Onnipresenti grazie all’ambiente digitale. Gli smartphone, i tablet, gli smart-watch non sono strumenti. Sono estensioni dei nostri spazi relazionali, delle nostre possibilità di entrare in relazione con il mondo. Uno strumento è un oggetto che ha una forma e una funzione che adopero solo quando mi serve: il martello per piantare il chiodo, dopo averlo fatto lo metto apposto. L’ambiente digitale, invece, è sempre attivo e i ragazzi molto spesso non spengono mai questi dispositivi perché devono essere sempre “disponibili alla relazione”. Gli studiosi ci avvertono che viviamo in un ambiente “post mediale” perché i mezzi sono ormai sciolti nell’ambiente, la nostra realtà è mista tra materiale e digitale. E questa può rappresentare per tutti noi un’opportunità, se la sapremo sfruttare».
Più mi piace ho, più valgo. «Facebook letteralmente vuol dire libro di volti e il volto non è altro che la manifestazione dell’unicità di ognuno di noi. Il rischio è che Facebook diventi un Fakebook ovvero una rappresentazione distorta di noi stessi, di ciò che ci piacerebbe essere, l’adattarci a ciò che va per la maggiore, l’ambivalenza. Quali sono i rischi? Le nuove fragilità, le nuove insicurezze del nostro profilo: pensiamo di non essere abbastanza belli, simpatici, intelligenti, allora si esagera la rappresentazione di sè. Si esagerano gli aspetti che gli altri possono apprezzare e quindi valutiamo il nostro successo dai like, dalle condivisioni, dai retweetinsomma da dimensioni quantitative. Più gli altri mi citano, più valgo. Il bisogno di essere sempre connessi, l’incapacità di tolleranza del silenzio digitale proprio perché questi mezzi sono sempre lì a colmare i nostri silenzi».
Tutti possono dire tutto. «Quali le opportunità dell’ambiente digitale? La rete ci consegna delle modalità nuove come l’orizzontalità: tutto è uguale, tutti possono dire tutto. Se da una parte questa rischia di creare una marmellata indistinta dove non ci sono più differenze, dall’altra parte obbliga chi ha qualcosa di importante da dire ad esprimerlo in maniera convincente, attraverso la testimonianza. L’orizzontalità della rete ci obbliga a passare dall’autorità all’autorevolezza, obbliga a metterci in gioco e a testimoniare il valore di ciò che abbiamo da trasmettere».
Il contributo di Papa Francesco. «Papa Francesco ci ha aiutato tantissimo con la sua testimonianza e con i messaggi delle Giornate Mondiali delle Comunicazioni Sociali, per capire cosa significhi abitare l’ambiente digitale con un’attenzione antropologica. Quando si fa un selfie con i ragazzi che lo incontrano gli dice con la sua corporeità: io sono dalla vostra parte, siamo dalla stessa parte dello schermo, siamo nella stessa storia! Questo è un nuovo modo di far capire la riduzione delle distanze che è la stessa comunicazione. E anche l’ultimo messaggio per la GMCS ci dice l’importanza della relazione e della comunicazione. Non siamo esseri che prima nascono e poi costruiscono relazioni ma siamo individui perché siamo nati nella relazione, in primis quella del grembo della madre che ci ha partorito. La relazione viene prima, l’individuo viene dopo. Questo è un universale antropologico».