“Chiesa e discernimento spirituale nell’epoca secolare e nel mondo globale”. È il tema specifico scelto dal gesuita teologo e filosofo argentino Juan Carlos Scannone, scrittore de La Civiltà Cattolica,
per il convegno che si apre domani su “Renewing the Church in a secular age” presso la Pontificia Università Gregoriana. Una riflessione essenziale che ci porta a riconsiderare l’attualità del discernimento cristiano
non solo nella e per la Chiesa.
Professore, perché parlare oggi nella nostra epoca secolare e globalizzata di discernimento spirituale?
«Per la Chiesa continua ad essere profondamente valida la lettura evangelica dei segni dei tempi in accordo con la tradizione del “sentire” e del “discernere” secondo i sensi spirituali così come si è espressa fin dall’antichità con Origene, san Bernardo di Chiaravalle, san Bonaventura, sant’Ignazio di Loyola e come è oggi espressa anche da papa Francesco».
In che modo il discernimento spirituale può valere anche per i processi storici?
«È un processo spirituale per mezzo del quale si distinguono quegli impulsi spirituali che ci conducono a Dio da quelli che ci allontanano da lui. Aiuta a prendere decisioni e a fare scelte secondo il Vangelo. Questo può valere per la vita personale di ciascuno ma anche come modalità per i processi storici. Il discernimento spirituale evangelico cerca infatti di riconoscere la presenza dello Spirito nella realtà umana e culturale, il seme già piantato della sua presenza negli avvenimenti, nei desideri, nelle tensioni profonde dei contesti sociali, culturali. È un fattore che caratterizza la spiritualità ignaziana ma è soprattutto un atteggiamento che spinge a essere aperti interiormente al dialogo, all’incontro, a trovare Dio dovunque».
È questo atteggiamento che costituisce la Chiesa discernente?
«Secondo il Concilio Vaticano II la Chiesa per essere fedele alla sua missione deve “scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo”, è un “dovere permanente della Chiesa” (GS 4). Questi non sono solo i segni distintivi di una epoca, ma anche “veri segni della presenza dei disegni di Dio” in essa e per essa in modo che siano orientati “verso soluzioni pienamente umane” (GS11) per la e-
dificazione delle società. La dottrina sociale della Chiesa fa questo. Il metodo “vedere, giudicare, agire” praticato dalle Conferenze generali dell’episcopato latinoamericano di Medellín, Puebla e Aparecida parte da questo sguardo. Quindi in questo senso la Chiesa accompagna a maturare un discernimento che penetra e illumina i processi delle contingenze storiche e delle convivenze storico- sociali, in un atteggiamento di offerta alieno da competizioni e da scontri di carattere ideologico».
Lei afferma che questo sguardo trova risonanze, parallelismi anche con la filosofia contemporanea e che i principi costitutivi di tale metodologia possono quindi essere validi e accettati da tutti…
«Sì. In Discernimiento filosofico dé la acción y pasión históricas
sostengo questo attraverso in particolare il contributo di Paul Ricoeur. In sostanza dico che in questa età secolare e in questo mondo globalizzato i criteri di tale discernimento, che per la fede è guidato dallo spirito dei Dio, può essere condiviso da tutti gli uomini e le donne di buona volontà, siano o no credenti o che appartengano a differenti culture o religioni, in un dialogo il più ampio possibile, in una visione spogliata dall’autoreferenzialità e quindi aperta alla cultura dell’incontro».
Anche l’Evangelii gaudium è in questa direzione?
«La Evangelii gaudium è il frutto di una lettura dei segni dei tempi alla luce del Vangelo, quindi di un discernimento spirituale ecclesiale e insieme storico- sociale. Lì si affronta alla radice il problema della Chiesa e del mondo attuale minati dall’accidia, dall’autorenzialità, dall’inerzia del cuore, dalla violenza, dalla nausea, come diceva Sartre, che porta alla tristezza, alla chiusura e all’isolamento nella convivenza sociale. All’urgenza del momento e alla crisi nella Chiesa essa risponde con il Vangelo stesso, con la conversione al Vangelo. Perché è a partire dal Vangelo che la fede e la vita cristiana possono riconquistare la loro freschezza (EG11). Solo la gioia del Vangelo come dono dello Spirito Santo può suscitare di nuovo gioia di vivere, portare a un nuovo inizio e dunque a un rinnovamento. Un rinnovamento che comporta un uscita da sé».
Ma perché è tanto importante che la Chiesa “esca fuori da sé” per rinnovarsi?
«L’uscita da sé è una categoria antropologica, teologica, spirituale e pastorale che affonda le sue radici nella Trinità stessa. Le tre Persone sono in una reciproca e costante relazione ed hanno voluto un’alleanza con noi. Da quella vita divina nasce un movimento dinamico di uscita da sé che viene inciso nei nostri cuori dalla grazia. Per questo la carità, che ci fa uscire da noi stessi verso gli altri, è la più grande delle virtù. Quando diciamo che la Chiesa è missionaria per natura stiamo precisamente dicendo questo: che fu istituita affinché uscisse costantemente da sé stessa verso il servizio, il dialogo, l’offerta, la missione. La metafisica, che cerca di spiegare ciò che vi è di più profondo nella realtà, ci insegna che il bene stesso è diffusivo e che ciò che è buono tende sempre a comunicarsi. Se la realtà creata da Dio funziona così, se il dinamismo della grazia è il dinamismo dell’uscita, allora l’unico modo di mantenersi vivi, di crescere e di rinnovarsi rimanendo fedeli è uscire da noi stessi nella missione».
Quali sono secondo lei le responsabilità sociali di cui il magistero è chiamato oggi a farsi carico?
«La fonte di ogni responsabilità della Chiesa nel mondo risiede nella carità, nell’amore di Dio. Nell’omelia ai cardinali riuniti nell’ultimo concistoro il Papa ha detto precisamente che tra le due logiche – la logica dell’emarginazione segnata dalla paura e la logica dell’integrazione – la strada della Chiesa è quest’ultima. Quella cioè di adottare integralmente la logica di Dio che, con la sua misericordia, abbraccia e accoglie reintegrando e trasfigurando il male in bene, la condanna in salvezza e l’esclusione in annuncio».
Noi siamo tuttavia sopraffatti dai crimini che si commettono nelle nostre società e una soluzione di tali lacerazioni appare impossibile…
«Vediamo continuamente le vittime di ogni forma di esclusione nelle nostre società ammalate. Siamo immersi nelle contraddizioni sociali apparentemente insolubili, in quello che il teologo canadese Bernard Lonergan in A study of human understanding chiama “assurdo sociale”. Ma anche le continue azioni e i gesti suggeriti dal Papa in favore di una prassi inclusiva, nell’esercizio del dialogo e in favore della pacificazione per il bene comune, seppure possono non trovare un riscontro immediato pienamente risolutivo, lasciano segni reali che incidono nei processi della storia proprio in direzione di un superamento dell’’assurdo sociale».