«Così insegno inglese con Facebook e twitter, in classe e da casa»

Il gessetto e la lavagna, certo. Ma anche Twitter, perché no. E in classe, proprio dentro quelle stesse aule da cui di solito smartphone e tablet sono banditi. La lezione-tipo della prof norvegese Ann Michaelsen ha un che di irrituale e avveniristico. Di riflesso, molti potrebbero stentare a crederle. Se non fosse che tra le mura della Sandvika High School vicino a Oslo, le lezioni via Skype con classi sudafricane, i compiti consegnati sul blog personale, e il dialogo fitto tra alunni e docente su Twitter vanno in scena per davvero. «I ragazzi hanno bisogno di sapere cosa condividere in rete e come farlo, ed è la scuola che deve insegnare ad usare la tecnologia responsabilmente», dice al Corriere della Sera la professoressa Michaelsen. 

La docente insegna inglese a gruppi di studenti di classi diverse, ma tutti attorno ai 17-18 anni. «Loro hanno il permesso di usare Twitter, Facebook, Skype e YouTube a scuola. Lavorando sui social network siamo riusciti a scrivere insieme Connected Learners, un libro che tra le altre cose spiega come usiamo Twitter a scuola», racconta la prof. Il social dei 140 caratteri viene usato dagli studenti per inviare messaggi privati alla docente, che può assistere i suoi studenti in tempo reale anche quando è a casa. «Di certo non rispondo sempre, ma di volta in volta decido se è urgente o meno quello che mi domandano», confessa Michaelsen, che in effetti ha risposto in pochi minuti alla nostra richiesta di contatto su Twitter. Ma anche lanciare un hashtag particolare, con cui classificare link e approfondimenti trovati a casa ma da usare in classe, è una delle idee per ottenere il meglio dal social network dell’uccellino blu. «Facebook? Certo, da casa ci serve anche quello», assicura poi la docente, che spiega come riesce a mettersi in contatto con gli studenti, superando anche il costume che impone spesso l’accettazione della loro amicizia sul social. Compiti su facebook e consigli su twitter, ma niente «amicizia» Michealsen non concede agli studenti l’opportunità di chiedergliela, ma usa una pagina pubblica per ogni classe che le viene assegnata. Ad orari prefissati, gli studenti si ritrovano online per svolgere esercitazioni da casa, oppure ricevere indicazioni sulle lezioni del giorno dopo. «Condividere documenti su Facebook è spesso più semplice che stamparli e distribuirli di volta in volta agli studenti, magari assenti quel giorno. I ragazzi trascorrono sui social network molto tempo, perciò perché non raggiungerli dove sono, anziché passare dalle fredde e poco utilizzate piattaforme di condivisione didattica?», continua la docente. La motivazione parrebbe lampante: «Sì, gli studenti possono distrarsi con Facebook e Twitter a portata di mano. Ma il compito dell’insegnante in classe non è chiudersi ma aprirsi, anche andando a spulciare cosa stanno facendo, o imponendo ritmi serrati e scadenze specifiche da rispettare, incentivandoli così a lavorare di più», replica la professoressa della Sandvika High School. Un altro suggerimento per i colleghi insegnanti è quello di stimolare la curiosità degli studenti sfruttando proprio i social network, con metodi alternativi di trasmissione delle nozioni. In fondo Facebook e Twitter sono solo uno strumento, e demonizzarli, restituisce sempre un retrogusto luddista. Sembra essere questo l’approccio della prof Michaelsen, sempre molto concreta nel valutare il rapporto della scuola con la quotidianità, e le giuste contromosse per stare al passo con la domanda di didattica che si evolve continuamente. 

«La scuola deve insegnare come si usano i social e anche far ragionare i ragazzi» «I social media sono già una parte importante della nostra vita e la maggioranza dei miei studenti useranno la tecnologia nella loro professione. Perciò è necessario che la scuola insegni loro sia l’aspetto funzionale, sia quello etico. Non dimentichiamoci che il nostro obiettivo è fornire loro le competenze di cui avranno bisogno nel ventunesimo secolo», conferma la docente. Di certo, a fare da sfondo alle classi norvegesi c’è un ambiente ideale per studenti e professori. All’istruzione pubblica e gratuita, si accompagnano investimenti di non poco conto da parte dello Stato che assicurano a ciascuno studente un tablet o un pc da usare non solo a scopo didattico. Ad ogni modo, gessetto e lavagna a parte, anche in Italia la vera sfida sarà coniugare la domanda di nuovi strumenti didattici, con un’adeguata offerta di scuola pubblica. Passando forse anche da Twitter e Facebook.