XV DOMENICA TEMPO ORDINARIO

Prima lettura: Isaia 55,10-11

 Così dice il Signore: «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».

 

L’ottimismo soggiacente a questa immagine della terra resa fertile dalla pioggia e dalla neve, è in sintonia con l’interpretazione positiva della parabola del seminatore proposta nel Vangelo. Questi due versi così pieni di speranza, chiudono il messaggio salvifico del Secondo Isaia (Is cc. 40-45) immediatamente prima della conclusione contenuta nei vv. 12-13 seguenti. Tutto il discorso di questo profeta, che annuncia e prepara la fine imminente dell’esilio babilonese (587-538 a.C.), fa un uso abbondante di immagini legate alla vegetazione, proiettata per contrasto nello scenario desolato del deserto che separa Babilonia dalla Palestina. Il deserto si deve riempire di piante e di corsi d’acqua (cf 41,18-19), per alleggerire i disagi degli esuli che, come in un nuovo esodo, fanno ritorno in patria.

     Ma l’immagine usata nel nostro piccolo brano, ha ormai dimenticato le sperdute distese del deserto, per far riferimento al piccolo pezzo di terra coltivato della Palestina, che ha bisogno della pioggia e della neve perché il contadino che l’ha prima seminato possa vedere coronati i suoi sforzi. L’efficacia di questa irrigazione naturale per il raccolto è qui l’immagine della stessa parola di Dio che, scendendo dall’alto come promessa di salvezza, è stata annunciata dal profeta ad un popolo sfiduciato ed incredulo. In una visione di fede, la natura tutta, come la storia, è subordinata alla volontà di Dio, che le ordina alla salvezza dell’uomo.

     Il tema della vegetazione viene ripreso, con toni ancora più lirici, nel salmo responsoriale (Sal 65,10-14), che ci riporta un inno di ringraziamento per il raccolto che è stato abbondante grazie alle piogge che il Signore ha mandato nella terra. Egli ha benedetto ogni fase dei lavori agricoli a partire dal momento in cui tracciavano i solchi con l’aratro. Ma anche i pascoli hanno fruito della sua benedizione. Ora nella terra d’Israele «tutto canta e grida di gioia» (v. 14). 

Seconda lettura: Romani 8,18-23

Fratelli, ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per  entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.  Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. 

 

È dalla X Domenica che leggiamo brani della Lettera ai Romani, la quale ci accompagnerà fino alla XXIV Domenica: essa ci presenta in compendio tutta la storia della salvezza secondo la più tipica visione di S. Paolo. Il brano di oggi, che tratta del compimento escatologico della salvezza, crea un forte contrasto con il senso di gioiosa compiutezza che si riscontra nel Salmo responsoriale. Non siamo più a goderci i frutti del raccolto della terra, ma ad attendere il rivestirsi di gloria dell’intera creazione, che geme e soffre nelle doglie del parto. Perciò ci troviamo in una condizione di caducità e di gemito.

     Questo aspetto negativo è ricordato solo in funzione della speranza della compiutezza della nostra salvezza, che comprende pure la redenzione del nostro corpo, e perciò la liberazione da tutti i disagi legati alla nostra condizione corporale. La nostra redenzione si è compiuta ancora, in uno stadio germinale, con il dono dello Spirito.

 

Vangelo: Matteo 13,1-23

Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».

  Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.  Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice: “Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca!”.

  Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono! Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

 

Esegesi

     Il c. 13 del Vangelo di Matteo raccoglie sette parabole sul mistero del regno dei cieli. È  un insegnamento che Gesù offre a una folla innumerevole, pur nella consapevolezza che pochi lo accoglieranno: le prime reazioni alla sua missione lo lasciano già presagire. La domanda che pongono i discepoli (v. 10) e la risposta di Gesù (vv. 11-17) ribadiscono ulteriormente il significato di questa parabola che apre la serie. Attraverso le immagini del seme e del terreno, infatti, è rappresentata la vicenda della parola di Dio, che come un seme ha un immenso potenziale di vita, ma può svilupparlo solo a misura dell’accoglienza che riceve. La forma parabolica somiglia all’involucro coriaceo di certi semi: protegge il significato dell’insegnamento di Gesù, perché «a colui che non ha» il desiderio sincero di comprendere e convertirsi sia «tolto anche quello che ha»: l’ascolto disimpegnato, l’interesse superficiale di un momento (vv. 10-13). Eppure Dio, nella sua gratuità, supera l’ostinazione che indurisce il cuore dell’uomo: il seminatore della parabola getta ovunque la sua semente, senza risparmio e senza calcolo; la «parola del Regno» (v. 19) va comunque annunziata (vv. 3s. e 14s.) e proposta alla collaborazione di ciascuno. E questa incomincia con un ascolto attento, intenso, disponibile alla Parola, così che essa possa penetrare profondamente nel cuore e risanarlo (v. 15b). Il centro dell’essere umano, infatti, può essere malato: durezza, superficialità, molteplicità di interessi egoistici sono i mali messi in luce dall’immagine dei terreni in cui il seme non potrà svilupparsi (vv. 19-22). Ma quando

la Parola è accolta da un cuore buono, giungerà sicuramente ad effetto e porterà il suo frutto di grazia, in misura variabile a seconda della corrispondenza di ciascuno al dono di Dio (v. 23).

Meditazione

     Che sia paragonata alla pioggia e alla neve che fecondano la terra e consentono ai semi di fruttificare (prima lettura) o al seme seminato dal seminatore che da frutto in proporzioni diverse (vangelo), la parola di Dio manifesta un’efficacia che non è assolutamente dell’ordine della magia, ma che richiede la sinergia dell’uomo.

     Il testo di Is 55,10-11 afferma che la parola uscita dalla bocca di Dio non ritornerà al Signore «senza effetto». Vi è un iter della parola di Dio che è compiuto quando essa, dopo essere stata pronunciata da Dio, ritorna a Dio. Ed essa vi ritorna in forma di lode e ringraziamento, di supplica e invocazione, di preghiera personale e comunitaria, di orazione e di liturgia. Non a caso la preghiera dei Salmi, risposta umana alla parola di Dio, è inglobata dal Canone biblico nella Scrittura che contiene e trasmette la parola di Dio. Analogamente al dinamismo dell’incarnazione, la parola di Dio ritorna a Dio in forma di parola umana, avendo suscitato una parola umana. La parola di Dio è davvero tale quando è ascoltata e celebrata, quando è riconosciuta e diviene fonte di dialogo. Concretamente, la parola di Dio, che è anche storia ed evento, una volta riconosciuta e discreta nella realtà, suscita una risposta orante a Dio. La preghiera e la liturgia compiono la parola di Dio.

     La parabola del seminatore (Mt 13,3-9) diviene, nella spiegazione (Mt 13,18-23), un insegnamento sull’ascolto, sulla responsabilità umana che la parola di Dio suscita. E l’ascolto della parola di Dio appare come un lavoro, una vera e propria ascesi.

     I tre tipi di terreno in cui il seme resta infruttuoso, mentre rivelano ostacoli e resistenze che l’ascolto della parola incontra nel cuore umano, indicano anche delle disposizioni spirituali che aiutano la parola a radicarsi e a fruttificare. Sono gli elementi fondamentali dell’ascesi dell’ascolto.

     L’interiorizzazione. Il seme seminato lungo la strada e mangiato dagli uccelli prima ancora che possa germogliare simboleggia l’ascolto superficiale, cioè senza interiorizzazione, assunzione ed elaborazione profonda della parola stessa. Senza questo lavoro interiore la parola non può diventare principio vitale che guida l’uomo nel suo vivere (Mt 13,4.19).

     La perseveranza. Il seme caduto su terreni petrosi denuncia un tipo di ascolto infruttuoso perché non accompagnato dalla necessaria perseveranza. È rivelativo di «colui che ascolta la parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha radice in se stesso ed è in-costante; venendo una tribolazione o persecuzione a causa della parola, subito si scandalizza». Matteo dice che quest’uomo è próskairos, cioè «uomo di un momento», incapace di far divenire storia la sua fede, di sottoporre la fede alla prova del tempo. Essendo senza radice, egli non sa resistere nelle difficoltà e nelle persecuzioni che la parola stessa provoca (Mt 13,5.20-21).

     La lotta spirituale. Il seme seminato tra le spine e rimasto soffocato rinvia all’uomo che, pur avendo ascoltato la parola, rimane sedotto da altre parole, dalle tentazioni mondane, dalla ricchezza, dai «piaceri della vita» (come aggiunge Lc 8,14). Insomma è colui che non sa porre in atto la necessaria lotta interiore e spirituale per trattenere la parola, per combattere i pensieri e le tentazioni, e così si lascia distrarre e sedurre dagli idoli (Mt 13,7.22).

     Le resistenze alla parola di Dio sono le resistenze alla conversione (Mt 13,15), alla fatica del cuore che, per accogliere la parola, deve lasciarsi purificare dalla parola stessa. Noi temiamo la purificazione e lo spogliamento prodotti in noi dall’accoglienza del seme della parola, così come i terreni non profondi, sassosi, o infestati dai rovi (Mc 4,1-9.13-20) non accolgono la semente perché per farlo dovrebbero lasciarsi dissodare dai sassi, ripulire dai rovi, arare e sarchiare (cfr. Is 5,1-7).

     L’ascolto della parola di Dio avviene sempre all’interno della dinamica pasquale, nel quadro di una morte e di una resurrezione. Non a caso, l’antica esegesi cristiana vedeva nel seme caduto sulla terra buona e che porta frutto nella misura del cento i martiri, cioè coloro che lasciano dispiegare pienamente in sé il dinamismo pasquale. 

Preghiere e racconti

Qualche seme germoglierà e illuminerà il cammino

“Un contadino si diresse verso i campi per seminare. Ma accadde che rovesciò una parte delle sementi lungo il cammino, e subito arrivarono gli uccelli a banchettare.

Poi, per l’accanimento della sfortuna, un’altra parte fu versata in una pietraia: germogliò quasi subito, perché c’era soltanto un velo di terra sopra i sassi. Quando il sole divenne cocente, le piccole gemme seccarono, poiché non avevano radici.

Un’altra parte ancora scivolò tra i rovi e, crescendo, fu soffocata dalla malerba, che gli impedì di produrre alcunché.

L’ultima semente fu sparsa su una terra grassa e feconda. Attecchì e diede molti frutti – e un seme ne produsse trenta, un altro sessanta e un altro ancora cento.

Ecco perché dovete spargere le vostre sementi in tutti i luoghi nei quali vi troverete a passare : qualche seme germoglierà e illuminerà il cammino delle generazioni a venire.”

(Paulo COELHO, Il manoscritto ritrovato ad Accra, Bompiani, Milano, 2012, 175)

Perché occorre seminare in se stessi

Uno di questi grandi maestri anonimi, però, è stato per me un vicino di casa, Pinot […] Aveva un bellissimo orto in un terreno che in seguito dovette cedere per fare spazio alla costruzione della cantina sociale del paese: Pinot ogni mattina scendeva nell’orto a lavorare per poi tornare a casa verso le undici con ortaggi e verdure che servivano per il pranzo e la cena. […] Quell’uomo semplice e buono mi ripeteva sempre: «Ricordati che per fare un orto ci vuole acqua, letame, ma soprattutto una ciuènda! » Sì, per l’orto non basta che ci siano gli elementi che fanno crescere una pianta, ci vuole anche la ciuènda, la recinzione fatta di canne – più tardi sostituite dalla rete metallica – e di pali che protegge l’appezzamento di terra dagli animali che minacciano di devastarlo: cani, conigli, a volte il cinghiale, più raramente anche altre persone attratte dall’idea di poter raccogliere senza aver seminato. Così, alla fine dell’inverno e anche ogni volta che si apriva qualche varco, aiutavo Pinot a riparare la ciuènda e più che i segreti della coltivazione degli ortaggi imparavo una lezione di vita perché l’orto è una grande metafora della vita spirituale: anche la nostra vita interiore abbisogna di essere coltivata e lavorata, richiede semine, irrigazioni, cure continue e necessita di essere protetta, difesa da intromissioni indebite. L’orto, come lo spazio interiore della nostra vita, è luogo di lavoro e di delizia, luogo di semina e di raccolto, luogo di attesa e di soddisfazione. Solo così, nell’attesa paziente e operosa, nella custodia attenta, potrà dare frutti a suo tempo.

Mi sono quindi appassionato molto presto all’orto, soprattutto alle piante aromatiche: prezzemolo, basilico, borragine, erba cipollina, menta, timo, maggiorana, rosmarino… Piantavo talmente tante piante di rosmarino, che Pinot si lamentava, perché sottraevano terreno agli ortaggi: «Basta rosmarini, quelli non si mangiano!».           

Io però ero già allora affascinato e sedotto dai profumi e dagli aromi che emanano da quelle pianticelle: umili erbe che, utilizzate con discernimento e sapienza, sanno rendere gloriose con la loro gratuità le pietanze più sostanziose. Così, a quattordici anni chiesi in dono a mio padre di affittare per me un fazzoletto di terra dove potessi avere il «mio» orto. Venni esaudito e da allora non sono mai riuscito a vivere senza accudirne uno: arrivato a Bose per iniziare una vita monastica, ho subito avviato un orto – che ora altri conducono, ricavandone frutti meravigliosi in ogni stagione -, e anche oggi continuo a tenere un orticello vicino alla mia cella, interamente dedicato alle erbe aromatiche. Non riusci-rei a vivere senza quest’orto che non solo da gusto ai cibi, ma mi insaporisce l’anima. […]            Sono momenti in cui ripenso sovente con gratitudine a Pinot, che mi insegnò tramite l’orto ad avere un sano rapporto con le «cose»: non mi spiegava solo a piantare, seminare, far crescere, ma mi aiutava anche a capire perché occorre seminare in se stessi, coltivare se stessi, far crescere se stessi e attendere i frutti.

(Enzo BIANCHI, Il pane di ieri, Einaudi, Torino, 2008, 94-96).

Il seme e il frutto

Prendi un seme di girasole e piantalo nella terra

nel grembo materno

e aspetta devotamente: esso comincia a lottare,

un piccolo stelo si drizza allo splendore del sole

cresce, diventa grande e forte

abbraccia con la corona verde delle sue foglie

finché tutto intero splende al sole

diventa gemma e fiorisce un fiore.

E nella fioritura, seme dopo seme,

c’è, mille volte tanto, l’essenza futura.

E tu pianti nuovamente i mille semi,

e sarà lo stesso spettacolo, la stessa parabola.

Affonda l’anima nelle mille fioriture dei mille e mille germogli

abbracciando tutto, e poi guardando all’indietro

guida verso casa i pensieri e pensa:

tutto ciò era nel primo seme.

(Christian Morgenstern).

L’importante e’ seminare

Semina, semina:

l’importante è seminare

-poco, molto, tutto-

il grano della speranza.

Semina il tuo sorriso

perché splenda intorno a te.

Semina le tue energie per affrontare le battaglie della vita.

Semina il tuo coraggio per risollevare quello altrui.

Semina il tuo entusiasmo,

la tua fede

il tuo amore.

Semina le più piccole cose,

il nonnulla.

Semina e abbi fiducia:

ogni chicco arricchirà

un piccolo angolo della terra

(Ottaviano Menato).

Il piccolo seme piantato in un suolo fertile

La fecondità della nostra piccola vita, una volta riconosciuta e vissuta come la vita di colui che è Amato, va oltre qualunque cosa si possa immaginare. Uno dei più grandi atti di fede è credere che i pochi anni che viviamo su questa terra sono come un piccolo seme piantato in un suolo molto fertile.

Perché questo seme porti frutto, deve morire. Noi spesso vediamo o sentiamo solo l’aspetto finale della morte, ma il raccolto sarà abbondante anche se noi non ne siamo i mietitori.

(Henri J.M. NOUWEN, Sentirsi amati, Brescia, Queriniana, 2005, 101)

Il seminatore uscì a seminare

Ecco, il seminatore uscì a seminare (Mt 13,3). Per qual motivo uscì? Per distruggere la terra piena di spine? Per punire gli agricoltori? No, affatto; uscì per coltivare la terra, per prendersi cura di essa e seminare la parola della fede […]. Il Signore diceva questa parabola per mostrare che dispensava a tutti la sua parola con generosità. Come infatti il seminatore non distingue il terreno sottostante, ma getta semplicemente il seme senza fare distinzioni, così anche lui non distingue tra il ricco e il povero, tra il sapiente e l’ignorante, tra chi è negligente e chi è pieno di zelo, tra chi è coraggioso e chi è vile, ma parla a tutti e compie quanto dipende da lui, sebbene preveda ciò che accadrà.

Così si comporta in modo che si possa dire: «Che cosa dovevo fare che non abbia fatto?» (Is 5,4). I profeti parlano del popolo come di una vigna: «Il mio amato possedeva una vigna» (Is 5,1 ) e: «Ha divelto una vite dall’Egitto» (Sal 79 [80], 9). Gesù invece ricorre al paragone della semina […]. Ma da cosa deriva, dimmi, che sia andata perduta la maggior parte della semina?

Non a causa di colui che gettava il seme, ma della terra che l’accoglieva, cioè di colui che non presta ascolto. E perché non dice che parte l’accolsero i negligenti, e andò perduta; parte i ricchi e la soffocarono; parte gli sciocchi e l’hanno abbandonata? Perché non vuole colpirli severamente per non gettarli nella disperazione, ma lascia la riprovazione alla coscienza degli ascoltatori. Questo non si è verificato soltanto per la semina, ma anche per la rete, poiché anch’essa portò molte cose inutili. Dice questa parabola per preparare i discepoli e ammonirli a non scoraggiarsi anche se la maggior parte di quelli che accolgono la parola si perdono. E difatti questo accadde anche al Signore; colui che certamente sapeva in anticipo che questo sarebbe accaduto, non si astenne dal seminare. Ma, si potrebbe osservare, come può essere ragionevole seminare sulle spine, sul terreno sassoso, sulla strada? Nel caso dei semi e della terra non sarebbe ragionevole; nel caso invece delle anime e degli insegnamenti questo merita lode. A ragione il contadino potrebbe essere rimproverato di comportarsi così perché non è possibile che il terreno sassoso diventi terra, né che la strada non sia più strada, né che le spine non siano spine, ma nel caso degli esseri dotati di ragione non è così. È possibile infatti che il terreno sassoso si trasformi e divenga terra fertile e che la strada non sia più calpestata e non sia esposta a tutti i passanti, ma diventi terreno pingue e che le spine siano eliminate e i semi abbiano la massima libertà di crescere. Se non fosse possibile, il Signore non seminerebbe. Se non in tutti è avvenuto il cambiamento, non è stato a causa del seminatore, ma a causa di quelli che non hanno voluto cambiare, perché egli ha fatto quanto era in lui e se quelli hanno abbandonato la sua opera, non è responsabile colui che ha mostrato tale bontà nei confronti degli uomini.

(GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al vangelo di Matteo, om. 44,2-3, PG 57,467-468).

Risonanza della tua Parola

La tua Parola, o Dio,

è lampada ai miei passi

luce alla mia strada.

(Sal 118,105)

La tua Parola

hai detto

è lampada ai miei passi

e luce al mio sentiero.

Il seme caduto in buon terreno

significa colui che ode la parola

e l’accoglie

ed essa dà frutto.

(Mt 13,23)

La tua Parola

hai detto

è seme che fruttifica

quando il cuore è un terreno

libero e buono.

Come pioggia o neve

che scendendo dal cielo

non vi fanno ritorno senza aver irrorato

e fecondato la terra,

tale è la mia Parola.

(Is 55,10)

La tua Parola

hai detto

è come pioggia o neve

che irrora e fa

germogliare

e non ritorna al Padre

senza compiere quello

per cui fu mandata.

Viva è la Parola di Dio

ed efficace, più tagliente

d’una spada a due tagli.

(Eb 4,12)

La tua Parola

hai detto

è spada affilata

che penetra nel profondo

e lacera per guarire.

Ecco, verranno giorni,

 dice il Signore Dio

in cui manderò la fame nel paese

non fame di pane, né sete di acqua

ma d’ascoltare la Parola del Signore.

(Am 8,11)

La tua Parola

hai detto

molto più dell’acqua disseta,

molto più del pane sfama.

Canto è diventato per me

la tua Parola

mentre vado pellegrinando (Sal 118,54).

La tua Parola

hai detto

è canto per il cuore

lungo la strada

del mio pellegrinare.

La tua Parola

io l’ho capito,

Signore

è il cuore dell’essere

e la sua rivelazione.

Fa’ ch’io diventi

povera e vuota

per accoglierla,

pura e silenziosa

per darne RISONANZA.

(MARIA PIA GIUDICI, Risonanze della parola).

Qui potest capere, capiat

Guardate, guardate Dio che attraversa la terra come un seminatore e prende il suo cuore a due mani e lo getta su tutta la superficie della terra!… Si direbbe che per lo più egli getta ad occhi chiusi, a caso e al vento, questa semente che gonfia il suo grembiule. Qui potest capere, capiat. Qui habet aures audiendi, audiat. C’è la pietra, c’è il terreno indurito dal passaggio dei passanti; ci sono i rovi e le altre erbacce, ci sono gli uccelli del cielo, ci sono le intemperie! Pazienza! Ma c’è anche la buona terra e quell’orecchio nella profondità del nostro essere che è un utero, quell’interesse, quell’appropriazzione, quella conservazione.

(P. Claudel, Io credo in Te).

Io ti saluto, Parola

Io ti conosco, Parola,

così pazientemente costruita,

con i tuoi archetti

più tenaci delle nostre voci.

Io ti saluto, Parola,

liberata dall’essere detta,

che ci trae fuori da noi stessi

come cervo fuori dalle selve.

Io ti circondo, Parola,

ti voglio preda e docile;

tu maturi blu e libera

e mi inventi a tua volta.

Se, geloso della tua cima,

io ti salgo, Parola,

la mia ombra provvisoria

si annulla a ogni svolta.

(A. Chedid, Controcanto).

Il seme delle domande

Dio mio, sono venuto con il seme delle domande!

Le seminai e non fiorirono.

Dio mio, sono arrivato con le corolle delle risposte,

ma il vento non le sfoglia!

Dio mio, sono Lazzaro!

Piena d’aurora, la mia tomba

dà al mio carro neri puledri.

Dio mio, resterò senza domanda e con risposta

vedendo i rami muoversi!

(F. Garcia Lorca)

Piccolo seme

Ho imparato

che non muore

chi lascia dietro di sé

un seme

se c’è qualcuno a custodire

il piccolo seme verde

e a crescerlo nel cuore

sotto un dolore di neve

e a lasciarlo crescere ancora

nel sole senza tramonto dell’amore

finché diventa

un albero grande che da ombra e frutti

e altri semi.

Signore, vorrei lasciargli

un piccolo seme verde

e vorrei, Signore, lasciargli la neve e il sole.

(Preghiere di Mamma e Papa, Gribaudi, Torino, 1989).

Preghiera

Perché la tua parola, o Signore, non cada ai bordi del cammino

e Satana la sradichi dai nostri cuori,

noi ti preghiamo.

Perché la tua parola, o Signore, non cada sul suolo indurito

e l’incostanza ci vinca alla prima tentazione,

noi ti preghiamo.

Perché la tua parola, o Signore, non cada in mezzo alle

spine e gli affanni e le ricchezze ci seducano,

noi ti preghiamo.

Perché la tua parola, o Signore, cada in un cuore che sa ascoltare

e produca in noi frutti abbondanti,

noi ti preghiamo.

Perché la tua parola, o Signore, cada in un cuore che sa conservare e meditare

e ci renda esecutori obbedienti della tua volontà, noi ti preghiamo.

(COMUNITA’ ECUMENICA DI BOSE, Davanti a  Dio, Torino, Gribaudi, 1977). 

 

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004;2007-.

Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

– Comunità domenicana di Santa Maria delle Grazie, La grazia della predicazione. Tempo ordinario – Parte prima, in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano»  95 (2014) 5, pp. 36.

– C.M. MARTINI, Incontro al Signore risorto. Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.

– E. BIANCHI et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Tempo ordinario anno A, Milano, vita e Pensiero, 2010.

– F. ARMELLI, Ascoltarti è una festa. Le letture domenicali spiegate alla comunità. Anno A, Padova, Messaggero, 2001.  

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù,  Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.

PER L’APPROFONDIMENTO:

XV DOM TEMP ORDINARIO (A)