Questo documento è caratterizzato da un impeto missionario. Cosa la colpisce di più?
Innanzitutto lo stile: nuovo, immediato, profetico, che esprime una visione positiva della realtà. Poi l’invito molto bello alla gioia, termine che ricorre più volte nel testo. Negli orientamenti pastorali <+corsivo>Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia<+tondo> i nostri vescovi sottolineavano la necessità di dare a ogni azione una chiara connotazione missionaria. Ora il Papa ci sollecita a leggere tutto in chiave missionaria, anche le strutture stesse della Chiesa.
Questo significa che la missione oggi non ha che fare solo con i missionari…
Papa Francesco chiama in causa ogni battezzato, a prescindere dalla funzione che ha nella Chiesa e dal grado di istruzione della sua fede. La Chiesa tutta è chiamata a essere missionaria, a evangelizzare. Nel documento, che riprende le parole della <+corsivo>Redemptoris missio<+tondo> di Giovanni Paolo II l’attività missionaria è definita la «massima sfida». Bisogna prendere sul serio questo appello, che suona come un richiamo a un nuovo protagonismo di ogni cristiano.
Come si traduce in pratica la conversione pastorale di cui parla il Papa?
Tutto ciò che la Chiesa fa deve essere compiuto con un atteggiamento missionario. Con lo stile cioè di una Chiesa che va incontro, esce, si fa compagna di viaggio, testimonia, annuncia la misericordia di Dio, cerca di comunicare la bellezza del Vangelo. Senza proselitismi, senza imporre, ma portando agli altri ciò che è vero. Ricordando che in ogni azione bisogna partire dai poveri, che devono essere sempre privilegiati.
Come va cambiato il nostro modo di essere Chiesa?
L’annuncio deve concentrarsi su ciò che è essenziale, su ciò che è vero, più grande e più necessario. Il Papa chiede di avere uno stile semplice, quello descritto negli Atti degli Apostoli, tipico delle prime comunità cristiane. È questa la strada indicata da Francesco che ricorda come la pastorale in chiave missionaria non sia ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere.
Francesco ci indica un esempio preciso: quello dei nostri missionari…
Dobbiamo imparare dal dinamismo e dall’audacia dei missionari. A più riprese il testo ricorda che nella Chiesa siamo tutti discepoli e missionari. La regola è quella benedettina dell’<+corsivo>ora et labora<+tondo>, della preghiera unita all’azione affinché la Chiesa sia sempre più madre. Che accoglie, si prende cura, annuncia la sovrabbondante misericordia di Dio.
Un’altra indicazione chiave è l’inculturazione…
L’annuncio deve essere espresso secondo le tradizioni e le culture in cui il Vangelo deve incarnarsi. Non a caso il Papa insiste molto sull’inculturazione, ed è bello che l’immagine scelta sia quella della sposa adornata di gioielli, come ricorda Isaia. Sia questa figura che il richiamo, fatto suo da Francesco, lanciato dai vescovi dell’Oceania ai missionari perché operino in armonia con gli indigeni ci ricordano la necessità di non dimenticare il contesto. L’esortazione mette poi in evidenza il valore della pietà popolare, cui abbiamo guardato forse con troppa diffidenza. Il Papa ne parla invece come del frutto di un Vangelo inculturato. Questo è un aspetto nuovo, da tenere in considerazione.
Il Papa ribadisce che è meglio avere una Chiesa accidentata piuttosto che aggrappata alle sue sicurezze…
Ci viene chiesto di osare. La Chiesa in uscita va incontro ai lontani, con più coraggio, prendendo l’iniziativa. Abbiamo tante testimonianze di missionari che hanno osato nuove strade per portare il Vangelo, anche a rischio della loro vita, e sono molti i martiri che hanno dato se stessi per annunciare Cristo. Il Papa ci invita a guardare a chi ha osato, per prendere l’iniziativa con audacia e dare maggior fervore all’evangelizzazione.