Aprirsi alla modernità è un dovere: così Papa Francesco in un colloquio con il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, pubblicato oggi sul quotidiano diretto da Ezio Mauro.
In un dialogo in Vaticano, Bergoglio ha parlato a Scalfari dei suoi piani per una riforma della Chiesa. Da oggi a giovedì Francesco si riunisce con il Consiglio degli otto cardinali, istituzionalizzato con un chirografo dello stesso pontefice.
“I più gravi dei mali che affliggono il mondo” sono “la disoccupazione dei giovani e la solitudine in cui vengono lasciati i vecchi”, dice il Papa al fondatore di Repubblica. E il “liberismo selvaggio” non fa che “rendere i forti più forti, i deboli più deboli e gli esclusi più esclusi”. “Ci vuole grande libertà – aggiunge – nessuna discriminazione, non demagogia e molto amore. Ci vogliono regole di comportamento e anche, se fosse necessario, interventi diretti allo Stato per correggere le diseguaglianze più intollerabili”.
Il Papa: “Quando incontro un clericale, divento anticlericale di botto”. Il colloquio/intervista si estende su 3 pagine del quotidiano e va dai cambiamenti che Francesco intende portare nella Chiesa all’idea stessa di fede. “È vero, non sono anticlericale, ma lo divento quando incontro un clericale”, spiega Scalfari. E il Papa gli risponde con una battuta che dice molto di lui: “Capita anche a me, quando ho di fronte un clericale divento anticlericale di botto. Il clericalismo non dovrebbe avere niente a che vedere con il cristianesimo. San Paolo, che fu il primo a parlare ai Gentili, ai pagani, ai credenti in altre religioni, fu il primo ad insegnarcelo”.
“La corte è la lebbra del papato”. In alcuni passi dell’intervista Francesco usa toni molto duri verso la Chiesa e la sua organizzazione. “I Capi della Chiesa spesso sono stati narcisi, lusingati e malamente eccitati dai loro cortigiani. La corte è la lebbra del papato”. Cosa intende per corte? “Quella che negli eserciti chiamano l’intendenza, gestisce i servizi che servono alla Santa Sede. Però ha un difetto: è Vaticano-centrica. Vede e cura gli interessi del Vaticano, che sono ancora, in gran parte, interessi temporali. Questa visione Vaticano-centrica trascura il mondo che ci circonda. Non condivido questa visione e farò di tutto per cambiarla. La Chiesa è o deve tornare a essere una comunità del popolo di Dio e i presbiteri, i parroci, i vescovi con cura d’anime, sono al servizio del popolo di Dio”.
“Combattere la disoccupazione e ridare speranza ai giovani”. Papa Francesco parla a lungo anche di problemi dei giovani, della disoccupazione e della mancanza di speranza. “I giovani – dice – hanno bisogno di lavoro e di speranza, ma non hanno né l’uno né l’altra, e il guaio è che non li cercano più. Sono schiacciati sul presente. […] si può vivere schiacciati sul presente? Senza memoria del passato e senza il desiderio di proiettarsi nel futuro costruendo un progetto, un avvenire, una famiglia? È possibile continuare così? Questo, secondo me, è il problema più urgente della Chiesa”.
Per un’organizzazione della Chiesa più orizzontale. Riguardo al suo impegno per cambiare la Chiesa, Francesco si mostra determinato ad andare fino in fondo, pur non essendo “certo Francesco d’Assisi, non ho la sua forza e la sua santità”. “Sono il vescovo di Roma e il Papa della cattolicità e ho deciso come prima cosa di nominare un gruppo di 8 cardinali che siano il mio Consiglio, non cortigiani ma persone sagge ma animate dai miei stessi sentimenti. Questo è l’inizio di quella Chiesa con un’organizzazione non soltanto veritcistica ma anche orizzontale. Quando il cardinale Martini ne parlava mettendo l’accento sui Concili e sui Sinodi, sapeva benissimo come fosse lunga e difficile la strada da percorrere in quella direzione. Con prudenza ma fermezza e tenacia”.
Il Papa in versione intervistatore: “E lei, in che cosa crede?”. A un certo punto del colloquio, il dialogo quasi si ribalta e l’intervistatore diventa il Papa. “Ora lascia a me di farle una domanda: lei, laico non credente in Dio, in che cosa crede? Lei è uno scrittore e un uomo di pensiero. Crederà dunque in qualcosa, avrà un valore dominante. […] Si domanderà certo, come tutti, chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Se le pone anche un bambino queste domande. E lei?”.
La risposta di Scalfari è: “Io credo nell’Essere, cioè nel tessuto dal quale sorgono le forme, gli Enti”. “E io – gli risponde il Papa – credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio. E credo in Gesù Cristo, sua incarnazione. Gesù è il mio maestro e il mio pastore, ma Dio, il padre, Abbà, è la luce e il Creatore. Questo è il mio Essere. Le sembra che siamo distanti?”.
Il Papa e il comunismo. “Ebbi un’insegnante verso la quale concepì rispetto e amicizia, era una comunista fervente”, racconta Francesco ricordando il tempo dei suoi studi. “Spesso mi leggeva e mi dava da leggere testi del Partito Comunista. Così conobbi anche quella concezione molto materialistica. Ricordo che mi fece avere anche il comunicato dei comunisti americani in difesa dei Rosenberg che erano stati condannati a morte. La donna di cui le sto parlando fu poi arrestata, torturata e uccisa dal regime dittatoriale allora governante in Argentina”. “Il comunismo la sedusse?”, gli domanda Scalfari. “Il suo materialismo non ebbe alcuna presa su di me. Ma conoscerlo attraverso una persona coraggiosa e onesta mi è stato utile, ho capito alcune cose, un aspetto sociale, che poi ritrovai nella dottrina sociale della Chiesa”.