E’ uscita la prima enciclica di papa Francesco. Che, come dichiara lo stesso Jorge Mario Bergoglio, recepisce il testo già preparato dal suo predecessore, Benedetto XVI, salvo “alcuni ulteriori contributi” apportati dall’attuale Pontefice. La fede, chiamata e promessa, da Abramo a oggi.
Il “gran lavoro” di Benedetto XVI è alla base della prima enciclica di Papa Francesco. La firma alla fine delle 96 pagine, divise in quattro capitoli più tre paragrafi di introduzione, è quella di Francesco. Ma Bergoglio aveva già annunciato di aver ricevuto una bozza da Ratzinger e aveva parlato di una sorta di “enciclica a quattro mani”.
Ne parla al termine nel terzo paragrafo, spiegando che queste “considerazione sulla fede” intendono “aggiungersi a quanto Benedetto XVI ha scritto nelle Lettere encicliche sulla carità e sulla speranza”. Bergoglio rivela che Papa Benedetto aveva “già quasi completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede”: “Gliene sono profondamente grato e, nella fraternità di Cristo assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi”. E questo l’omaggio a Joseph Ratzinger di Jorge Mario Bergoglio.
Papa Francesco cita l’esempio di due mediatori della luce della fede: san Francesco d’Assisi e Madre Teresa di Calcutta. La fede, quindi, «non ci fa dimenticare le sofferenze del mondo» e «si pone al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace»: «la fede non allontana dal mondo e non risulta estranea all’impegno concreto dei nostri contemporanei».
E’ la prima enciclica del primo Papa sudamericano, del primo Papa gesuita, del primo Papa che ha accanto a sé un Papa emerito. Arriva dopo poco più di cento giorni di pontificato. Benedetto XVI aspettò otto mesi per pubblicare la Deus caritas est. Giovanni Paolo II presentò dopo cinque mesi di pontificato la Redemptor hominis. Paolo VI pubblicò l’Ecclesiam suam dopo oltre un anno, mentre Angelo Roncalli cinque mesi dopo l’elezione presentò la Ad Petri Cathedram.
ARTICOLI CORRELATI
Ma senza l’amore anche la fede inaridisce
Ogni parola che dice diventa un gesto, una scelta, un comportamento. S’incarna nella realtà quotidiana, individuale e collettiva. È il carisma di papa Francesco che arriva direttamente dall’annuncio del Vangelo. Leggere questa sua prima enciclica Lumen fidei è ritrovare queste parole. È rivedere il suo sorriso e l’affettuosa complicità dei suoi occhi, quando le pronuncia. È percepire la sua passione, il suo amore per un’umanità che sente il bisogno di riferimenti affidabili, ma non riesce più a trovarli.
Le parole allora. A cominciare da quella che percorre nelle sue varie declinazioni il documento pontificio, ne rappresenta il luminoso filo rosso: la fede. Offerta come un dono che fa stare bene nella ricerca, nell’ascolto, nell’apertura al mondo, in una visione complessiva che comprende il tutto. Permette di realizzare la pienezza nella vita personale e comunitaria. Coltiva il bene comune. Intrecciata alla parola fede, la parola amore. Questo intreccio è l’anima, «la parte fondativa e più importante del documento», sottolinea monsignor Rino Fisichella nell’introduzione. È la linfa di altre parole: verità, giustizia, uguaglianza, impegno, servizio, partecipazione, dialogo. Conoscenza. «L’amore stesso è una conoscenza, porta una logica nuova», scrive Francesco, citando Gregorio Magno. Senza l’amore la stessa fede si inaridisce, si affloscia. Ma anche senza la fede, l’amore si svuota del suo significato più profondo, devia su versanti che ne tradiscono l’autentica natura.
Che bello e intenso questo canto sull’amore, alfabeto del mondo, vento carezzevole e avvolgente che parte dal cuore. Un cuore di carne, come quello che papa Francesco continua a testimoniare nella scelta prioritaria degli ultimi, nella condivisione con chi fa fatica, nell’abbraccio con i giovani e con il popolo degli invisibili. «Toccare con il cuore, questo è credere ». Francesco cita sant’Agostino che commenta l’episodio della donna ammalata che tocca il mantello di Gesù, riconoscendo «il suo mistero, il suo essere Figlio che manifesta il Padre». Questo richiamo è una celebrazione della sacralità dei sensi nel cammino della fede, come strumenti per far percepire la presenza fisica del Cristo fra noi e accanto a noi. Come compagno di strada con il quale camminiamo, spezziamo ogni giorno il pane delle nostre mense, delle nostre inquietudini e sofferenze, delle gioie e attese. La fisicità tangibile del Figlio di Dio diventa allora il nucleo pulsante di quella «città affidabile » che l’impegno dei credenti deve edificare ogni giorno in una fratellanza universale rivolta al bene comune.
In questa «città dell’uomo e di Dio» papa Francesco dedica, nella conclusione dell’enciclica, quasi un sigillo, uno spazio luminoso alla sofferenza del mondo e di ogni persona: «Il cristiano sa che la sofferenza non può essere eliminata, ma può ricevere un senso, può diventare atto d’amore, affidamento a Dio, e in questo modo essere una tappa di crescita della fede e dell’amore… All’uomo che soffre, Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna. Di una storia di bene che si unisce a ogni storia di sofferenza per aprire in essa un varco di luce». Grazie, papa Francesco, per questa luce che hai acceso come un faro nel mistero inquietante del dolore. E grazie per avere ribadito, ancora una volta: «Non facciamoci rubare la speranza».
11 settembre 2013