Non è un fatto privato, nè per chi è senza coraggio

Il messaggio della Salvezza, spiega l’autorevole filosofo, offre un “senso” all’origine e alla fine della vita, fonda la dignità di ogni persona umana e dà valore alla famiglia.

«La sostanza della nostra fede è che noi riconosciamo in Cristo il Figlio di Dio, vivente, incarnato e divenuto uomo». Questo scriveva l’allora cardinale Joseph Ratzinger ne Il sale della terra (1997). E aggiungeva che davanti a Cristo bisogna decidersi: «Si tratta di una decisione […)]che riguarda l’intera struttura della vita, che ha a che fare con me stesso nella parte più profonda di me… Si tratta di una decisione che abbraccia la totalità della mia esistenza: come vedo il mondo, quel che voglio essere, e quel che sarò. Non si tratta di una delle tante decisioni sul mercato delle possibilità che mi vengono offerte. Qui, al contrario, è in gioco tutto ciò che ha a che fare con la mia vita e con il suo destino».

«Profondamente grato», a Benedetto XVI, per il «prezioso lavoro» da lui sviluppato nella prima stesura della lettera enciclica sulla fede, papa Francesco fa subito presente che «chi crede, vede; vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perché viene a noi da Cristo, stella mattutina che non tramonta». È ben vero, egli dice, che tanti nostri contemporanei hanno parlato della fede come di una luce illusoria e, a tal proposito, cita un brano da una lettera di Nietzsche alla sorella Elisabeth: «Se vuoi raggiungere la pace dell’anima e la felicità, abbi pure fede; ma se vuoi essere un discepolo della verità, allora indaga». Il credere, dunque, si opporrebbe al cercare. Senonché – precisa papa Francesco – così non è, perché «a poco a poco si è visto che la luce della ragione autonoma non riesce a illuminare abbastanza il futuro; alla fine, esso resta nella sua oscurità e lascia l’uomo nella paura dell’ignoto».

I problemi più importanti della nostra vita esulano dalla ragione scientifica; la filosofia non salva; e “il senso” è sempre religioso. Aveva ragione Wittgenstein a dire che «noi sentiamo che se anche tutti i problemi della scienza ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero neppure sfiorati». E, d’altro canto, la filosofia non salva. La filosofia – ha scritto Norberto Bobbio – pone la «grande domanda» (perché l’essere e non il nulla?), ma non si è dimostrata in grado di offrire risposte soddisfacenti. E, «proprio perché le grandi risposte non sono alla portata della nostra mente, l’uomo» – è ancora Bobbio a parlare – «rimane un essere religioso, nonostante tutti i processi di demitizzazione, di secolarizzazione, tutte le affermazioni della morte di Dio che caratterizzano l’età moderna e ancor più quella contemporanea». La «grande domanda » è «una richiesta di senso, che rimane senza risposta, o meglio che rinvia a una risposta, che mi pare difficile chiamare ancora filosofia». Il “senso”, in altri termini, è sempre religioso. Di nuovo, Bobbio: «Non è sufficiente dire: la religione c’è, ma non dovrebbe esserci. C’è: perché c’è? Perché la scienza dà risposte parziali e la filosofia pone solo domande senza dare le risposte».

L’uomo, dice papa Francesco, non può accontentarsi delle piccole luci che illuminano il breve istante, non può rinunciare alla ricerca di una verità grande, di una luce grande capace di illuminare tutta l’esistenza. Ed è sotto il faro di luce proiettato dalla fede che papa Francesco vede e pone in risalto l’origine e la fine della vita; la dignità unica della singola persona, il valore della famiglia fondata sul matrimonio fra uomo e donna; il rispetto della natura quale «dimora a noi affidata perché sia coltivata e custodita»; la ricerca di «modelli di sviluppo che non si basino solo sull’utilità e il profitto»; un impegnato e concreto servizio alla giustizia, al diritto e alla pace; il senso della sofferenza quale «tappa di crescita della fede e dell’amore»; la convinzione che «la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro». E soprattutto la consapevolezza che la fede libera dall’idolatria («l’idolo è un pretesto per porre sé stessi al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani»; «l’idolatria è sempre politeismo, movimento senza meta da un signore all’altro»). In breve, «la fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita».

Famigliacristiana.it

11 settembre 2013