Aderendo alla Convenzione di Mérida delle Nazioni Unite contro la corruzione, sono state poi introdotte o novellate una serie di figure criminose relative ai delitti contro la pubblica amministrazione: il peculato, l’abuso d’ufficio, la corruzione, la concussione, il traffico d’influenze, la corruzione nel settore privato, l’autoriciclaggio. Non può non evidenziarsi che, per quanto riguarda l’ultima fattispecie, lo Stato vaticano è stato più celere e tempestivo di quello italiano a dotarsi di norme in materia di lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata.
A tale proposito si sottolinea ancora l’innovativo art. 33 che prevede, direttamente su istanza dell’interessato, l’adozione da parte del tribunale di adeguate misure di sicurezza per il testimone, la persona offesa o un prossimo congiunto, qualora sussista un concreto ed attuale pericolo per la loro incolumità personale.
È stata introdotta la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche derivanti da reato. Anche in questo caso si segnala la più ampia portata della norma incriminatrice vaticana rispetto alla legislazione del nostro Paese. E infatti, a differenza della legge italiana (la n. 231 del 2001 che sanziona le persone giuridiche solo per determinati reati) la legislazione d’Oltretevere prevede ora che, in presenza di determinate condotte omissive o commissive, esse siano sempre responsabili allorquando i reati siano stati commessi «nel suo interesse o a suo vantaggio».
Vi è infine il capitolo non meno interessante sul nodo – a volte spinoso – della cooperazione ed assistenza giudiziaria agli altri Paesi. Ebbene lo Stato Città del Vaticano ha previsto, nella legge recante modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, che «Per quanto concerne le rogatorie e l’estradizione (…) si osservano le convenzioni internazionali ratificate, gli usi internazionali e le leggi» (art. 37); «Agli Stati richiedenti è assicurata la più ampia assistenza giudiziaria per qualsiasi inchiesta o procedimento penale, nei modi e nei limiti previsti dall’ordinamento» (art. 38); «Nei casi espressamente previsti dalle convenzioni internazionali ratificate, non potrà essere invocato il segreto bancario per respingere una domanda di assistenza giudiziaria» (art. 40); «Nessuno dei reati di cui alla presente legge può essere considerato come un reato fiscale o come un reato politico o connesso ad un reato politico o ispirato da motivi politici, al fine di negare l’estradizione o l’assistenza giudiziaria» (art. 46).
Si tratta, come è evidente, di significative innovazioni legislative in materia penale, che erano state messe alla studio su indicazione e impulso di Benedetto XVI e che la recente ascesa al soglio pontificio di papa Francesco ha accelerato nella consapevolezza dell’urgenza per la Chiesa non solo di essere, ma anche di apparire senza ombre, e in tutte le sfaccettature dell’agire umano (anche quelle apparentemente più “tecniche”), annunciatrice credibile del messaggio evangelico. Papa Francesco avverte e segnala la necessità impellente che la Chiesa, madre e maestra, sia «luce e sale» di un mondo «affaticato e oppresso», testimone autentica della bellezza e della gioia dell’incontro con Cristo Risorto e compagna fedele dei poveri, degli emarginati e degli ultimi della terra. Ma per fare ciò, per avere la credibilità d’illuminare la coscienza troppe volte sopita dell’uomo moderno, la Chiesa non deve poter essere accusata di fare sconti a se stessa. Ha, certo, l’autorevolezza di indicare «la via, la verità e la vita» all’uomo che cade e stenta a rialzarsi, ma deve essere rigorosa in tutte le sue prassi, i suoi costumi e negli stili di vita per dimostrare ai suoi figli che è possibile non rassegnarsi alla banalità e mediocrità esistenziale della spasmodica ricerca del sesso senza amore, della ricchezza senza progresso comune e del potere senza servizio. Le riforme legislative in materia penale vanno in questo senso e indicano questo percorso.
Qualcuno un giorno ha detto che alla fine dei tempi il Signore Gesù ci chiederà non quanto siamo stati credenti bensì quanto siamo stati credibili. Anche con l’introduzione di queste modifiche al sistema penale dello Stato Città del Vaticano, il Papa ci invita tutti, come corpo vivo della Chiesa di Cristo, a essere credibili sapendo però che ciò sarà possibile solo se saremo stati prima autenticamente credenti.
Innanzitutto, ha sottolineato Dalla Torre, «non bisogna confondere l’ordinamento canonico con quello statuale della Città del Vaticano. La riforma penale si riferisce infatti a questo secondo ambito». In secondo luogo non bisogna intendere queste norme esclusivamente come una risposta alle osservazioni di Moneyval. «C’è anche questo aspetto – ha precisato Dalla Torre –, ma non tutte le osservazioni di Moneyval riguardano la materia penale. Penso che subito dopo l’estate, ci saranno nuovi interventi relativi all’attività finanziaria, all’antiriciclaggio, alla lotta al terrorismo e quant’altro».
Le fattispecie criminali sono dunque quelle commesse sul territorio dello Stato più piccolo del mondo, che se ha circa 500 abitanti e non tutti residenti (i nunzi ad esempio vivono all’estero), viene comunque attraversato ogni anno da 18 milioni di persone per motivi religiosi, turistici e di lavoro.
Inoltre, come dispone il motu proprio adottato sempre ieri dal Papa, queste stesse norme si applicano «ai reati commessi contro la sicurezza, gli interessi fondamentali o il patrimonio della Santa Sede». E in sostanza ricadono sotto la nuova giurisdizione penale «i membri, gli officiali e i dipendenti dei vari organismi della Curia Romana e delle Istituzioni ad essa collegate; i legati pontifici (i nunzi, ndr) ed il personale di ruolo diplomatico della Santa Sede; le persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione, nonché coloro che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo, degli enti direttamente dipendenti dalla Santa Sede ed iscritti nel registro delle persone giuridiche canoniche tenuto presso il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano». Tutte le norme entreranno in vigore il prossimo primo settembre.
Quali sono le novità più importanti dal punto di vista dei singoli reati? Sicuramente ha attirato l’attenzione dei giornalisti l’articolo 116 bis, che dispone: «Chiunque si procura illegittimamente o rivela notizie o documenti di cui è vietata la divulgazione è punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni o con la multa da euro 1.000, o da euro 5.000. Se la condotta ha avuto ad oggetto notizie o documenti concernenti gli interessi fondamentali o i rapporti diplomatici della Santa Sede, dello Stato, si applica la pena della reclusione da 4 a 8 anni. Se il fatto, di cui al comma precedente, è commesso per colpa, si applica la pena della reclusione da 6 mesi a 2 anni». Dalla Torre, però, alla domanda se questa norma sia stata disposta in seguito al caso che ha coinvolto Paolo Gabriele (l’ex aiutante di camera di Benedetto XVI) ha risposto che quella vicenda «non ha inciso in maniera determinate sull’articolo di legge».
L’altra novità di sicuro rilievo è l’abolizione dell’ergastolo e la sua sostituzione con la reclusione da 30 a 35 anni. Per il resto Dalla Torre ha sottolineato che si tratta di adeguamenti ad alcune importanti Convenzioni internazionali. Ad esempio è stato introdotto il delitto di tortura e ha ricevuto definizione la categoria dei delitti contro i minori (tra i quali sono da segnalare: la vendita, la prostituzione, l’arruolamento e la violenza sessuale in loro danno; la pedopornografia; la detenzione di materiale pedopornografico; gli atti sessuali con minori). «Questi erano reati anche prima ma ora sono stati meglio specificati. C’è la pedopornografia, per esempio, che non poteva esserci nel codice del 1889». Sempre in attuazione di convenzioni internazionali sono stati introdotti delitti come il genocidio e l’apartheid ed è stato rivisto anche il titolo dei delitti contro la pubblica amministrazione. In sostanza, come scrive Papa Francesco nel motu propriopoiché «il bene comune è sempre più minacciato dalla criminalità trasnazionale e organizzata», è necessario adottare «strumenti idonei» e favorire «la cooperazione giudiziaria internazionale», per contrastare «le attività criminose che minacciano la dignità umana, il bene comune e la pace». Ciò che appunto costituisce la ratio delle nuove norme.
L’arcivescovo di Tegucigalpa parla di una «sollecitazione alla collegialità» proveniente direttamente dal Concilio e di una più contingente: «Durante le riunioni prima del Conclave si avvertiva da parecchie parti questo bisogno che il Papa fosse più in diretto contatto con le Chiese locali. Il collegio cardinalizio avvertiva la necessità che anche i cardinali residenti fuori del Vaticano fossero messi in condizione di fare sentire la loro voce. Questa rimane senz’altro una grande speranza di collegialità». Rodríguez Maradiaga specifica che «parecchi di noi sostenevano che papa Benedetto non era ben informato della realtà. Nella vicenda dei Vatileaks si è visto che c’era bisogno di maggiore informazione. Pareva che alcuni documenti non arrivassero nelle mani del Papa. Si suggeriva che i documenti non pervenissero solo attraverso le nunziature e la Segreteria di stato, ma che esistesse per così dire la possibilità che un gruppo di cardinali provenienti da diversi continenti avesse accesso diretto al Papa».
Il presule, salesiano, ricorda di aver fatto per anni il direttore di coro e anche di orchestra e di voler adottare questo stile nel suo incarico voluto da Francesco: «Non abbiamo ancora incominciato. Sto però invitando i diversi membri della commissione a fare dei sondaggi nei loro continenti, a raccogliere proposte intorno a quelle ipotesi che già si erano presentate nelle congregazioni generali prima del Conclave, e sto trovando tantissima convergenza su molti argomenti. Quando arriveremo alla prima riunione, all’inizio di ottobre, ci troveremo veramente a un punto di partenza molto buono. Ho molta speranza». Il cardinale rilancia anche una proposta che gli viene suggerita dall’intervistatore, come possibile seguito dell’Anno della fede: «Mai come oggi abbiamo bisogno di pace nel mondo. Una pace che sia soprattutto fondata sulla giustizia sociale e sulla cessazione dei conflitti… Perciò sarebbe bello che dopo l’incontro di Assisi il Papa potesse indire un Anno della pace».