“L’Italia al bivio”

Se la società italiana è “al bivio”, come ci dicono i nostri vescovi, molto del suo futuro dipenderà dalla nostra capacità di rendere visibile la fede. Dalla nostra volontà di pronunciare il nostro personalissimo “io credo”. Dalla nostra originalissima affermazione che “Lui è il nostro centro” e che, come suggerisce il cardinale Angelo Bagnasco, “è l’annuncio di Gesù il perno e lo scopo della missione della Chiesa”.
Una Chiesa quella italiana, un popolo credente il nostro, che se hanno una parola da spendere è perché sono, siamo, una cosa sola con la nostra gente. Con la quale condividiamo tutto: l’amore, la gioia e il dolore. Noi sappiamo che questa bellissima storia ha radici profonde che Papa Francesco è venuto a ulteriormente rafforzare e incardinare nel corpo vivo di Gesù. Di cui il Papa ci ha invitato a scoprire il volto nei nostri poveri, sempre più numerosi ed esigenti. Sappiamo che la sfida della carità materiale e intellettuale è tutta davanti a noi e che non possiamo distogliere lo sguardo dai bisogni che questa prolungata crisi economica sembra far crescere all’infinito. Eppure sappiamo che in questo tornante della storia, grandissime restano le nostre responsabilità nella trasmissione della fede che ci vede, ogni giorno di più, in missione qui e ora, in mezzo al popolo. Sarebbe un errore imperdonabile scindere l’annuncio della fede dalla responsabilità nei confronti del vivere sociale e della città dell’uomo: dove troveremmo le ragioni e la forza del nostro discernimento personale e comunitario?
A questa grande responsabilità ecclesiale e sociale non si sottrae il cardinale Angelo Bagnasco, nella sua prolusione all’assemblea generale dei vescovi italiani in corso a Roma. E lo fa offrendo l’adesione di tutti noi al passo che Papa Francesco sta imprimendo alla Chiesa universale (“non sarà mai solo”) e suggerendo una lettura sapienziale della condizione sociale, civile, culturale e politica del Paese. Questa Italia nella quale, a tutti i livelli di responsabilità pubblica, occorre riprendere a “pensare alla gente”. “Questa è l’unica cosa seria”, chiosa il cardinale. “Pensarci con grandissimo senso di responsabilità, senza populismi inconcludenti e dannosi, mettendo sul tavolo le migliori risorse di intelletto, di competenza e di cuore”. Parole impegnative rivolte a tutti, senza distinzioni di sorta. Ed è bene che ognuno si interpelli sul che fare, magari accogliendo la provocazione del cardinale quando chiede di liberarsi dal “conformismo diffuso”, di essere “liberi dal così fan tutti”. E di coltivare, in questa prospettiva, “il senso e il gusto del vero, specialmente nelle giovani generazioni, che di solito sono più libere rispetto a ideologie, schemi ingessati e interessi individuali”. Già, le ideologie… Ad esse il cardinale sferra un colpo durissimo quando invoca una “bonifica culturale” rispetto alle “categorie concettuali e morali che descrivono o deformano l’alfabeto dell’umano”. 
È difficile non riconoscere quanto peso abbia, anche fra i credenti, “il pensiero unico” che finisce col renderci complici di chi calpesta la sacralità della persona, facendoci così precipitare nella spirale della decadenza. Gli italiani non lo meritano, non lo merita la nostra società, non lo meritano i credenti che amano la vita, la famiglia e la libertà di educare. E soprattutto amano Gesù Cristo. E lo amano con più forza e generosità anche per conto di chi proprio non ci riesce. E amano anche la politica in quel modo speciale che ci viene indicato da Jorge Mario Bergoglio: “Quando parliamo, alcuni ci accusano di fare politica. Io gli rispondo: sì, facciamo politica nel senso evangelico della parola, ma non siamo di parte”. La Chiesa non è di parte. La comunità ecclesiale non è di parte. Ma sa leggere la realtà secondo i Comandamenti e il Vangelo. Farlo è tutto iscritto nella nostra responsabilità.
 
Domenico Delle Foglie