Vito Mancuso: il destino dell’anima tra perdizione e resurrezione

L’anima al momento della nascita della carne è presente nel suo livello più basso. È identica a quella di un animale. E risaputo che se un essere umano crescesse con i cani o con i lupi non sarebbe diverso da loro quanto a linguaggio e interiorità.

L’anima va educata, va sottoposta al magistero dello spirito e più ancora alla disciplina dell’etica. Non è assolutamente detto che tutti gli uomini arrivino ad avere un’anima sovra-naturale. Tutti hanno un’anima, ma l’anima diviene sovra-naturale solo se si apre alla grazia che invita al bene; solo quando l’uomo, spinto dalla grazia, aderisce al bene la sua anima si trasforma da naturale a sovra-naturale.

Quando l’uomo dice sì alla grazia, l’anima naturale, presente in lui da sempre, supera la natura e diventa sovra-naturale, torna alla patria da dove deriva. L’accoglienza della grazia (che è l’azione dello Spirito Santo, che è quindi divinizzante in sé) muove al bene e risveglia alla sua vera natura il seme divino che è in noi fin dalla nascita.
Ma se un uomo rimane sempre chiuso alla grazia che invita al bene, se rimane incurvato su di sé, se ha occhi solo per sé e per i propri interessi, il seme di eternità racchiuso dentro di lui non germoglierà mai. La sua anima rimane semplicemente animale, e quindi mortale. 

INFERNO
Non ha senso pensare a un inferno colmo di peccatori condannati alla dannazione per l’eternità. Neppure, però, ha senso pensare a un inferno vuoto, segno di una salvezza universale, quasi come se fosse automatica per tutti. L’uomo si può perdere veramente. Il maestro è stato chiaro: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta, e spaziosa è la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. Quanto stretta invece è la porta, quanto angusta è la via che conduce alla vita, e quanto sono pochi quelli che la trovano» (Matteo 7,13-14), parole che forse feriscono la sensibilità democratica e universalistica dei nostri giorni, il cristianesimo solidaristico di tante comunità cristiane eroicamente impegnate, ma il caso è serio, c’è una guerra in corso, una guerra per il possesso delle nostre anime.
L’uomo si può perdere definitivamente. Questo amaro destino si compie quando la sua anima non risveglia il seme di eternità che contiene, quando non si apre al bene. Un’anima così incurvata su se stessa muore; è fatta solo del tempo e delle sue seduzioni, e subirà la stessa sorte del tempo e delle sue seduzioni.
L’inferno non è l’aldilà, l’aldilà non può che essere unitario, non può che essere il regno di Dio. E sbagliato pensare, come si fa comunemente, a un mondo governato con ordine, dove la provvidenza quasi la si tocca con mano, e a un aldilà scisso, frantumato in due o addirittura tre parti, col risultato che Dio qui regnerebbe totalmente, mentre nella dimensione dell’eternità, che è la sua propria, solo parzialmente! Il Diavolo non è nell’aldilà, ma agisce qui, su questa terra, è «questo mondo» il dominio di cui lui è il principe, o archon, il capo. L’Apocalisse afferma che la vittoria di Cristo è consistita nella liberazione definitiva del cielo dal drago e dai suoi angeli («non ci fu più posto per essi in cielo», Apocalisse 12,8) mentre ha precipitato Satana e i suoi angeli sulla terra («guai a voi terra e mare, perché il Diavolo è precipitato sopra di voi pieno di grande furore, sapendo che gli resta poco tempo», Apocalisse 12,12).
Questo mondo, questa terra sedotta da Satana, può essere l’inferno. E questo l’inferno. Ciò che invece si chiama tradizionalmente inferno, la «città dolente», «l’etterno dolore» cantati da Dante, è un’immagine mitologica che dice la realtà della morte eterna, la concretissima possibilità di essere dissolti per sempre. Ci è stata data la possibilità di trascendere il tempo attraverso la nostra anima, cioè attraverso una dotazione di energia libera che non si riscontra in nessun altro essere dell’universo conosciuto e che rende possibile la nostra vita come esistenza personale; chi di noi non è risultato degno ditale eccezionale e unica possibilità, ma ha vissuto secondo la logica dì tutti gli altri esseri non personali che popolano il mondo, avrà la loro medesima sorte, la dissoluzione. L’inferno è la dissipazione dell’energia personale nell’impersonalità del fiume cosmico. –
Ma una cosa è certa: l’aldilà, il regno dei cieli, è solo il regno del bene, perché solo il bene sa andare al di là della natura, solo il bene è trascendenza, solo il bene è sovra-naturale. 

CROCE E RISURREZIONE
Si è detto che il male è sempre rifiuto, che suppone l’aver prima visto il bene e l’averlo scartato. Si è detto che questa visione del bene è la grazia, e che il male nasce quando a questo appello interiore verso il bene si risponde di no: dicendo di no alla grazia si rimane nella logica naturale ma con l’accresciuta consapevolezza del rifiuto, con l’Io ancora più gonfio. Che cosa avviene invece se dice sì? Se dice sì, la libertà esce dalla logica naturale e oltrepassa l’essere, entra nella dimensione della gratuità, del bene, del divino. Se dice sì, la libertà attinge la trascendenza.

Il cristiano è colui che si ribella alla legge pesante dell’essere, alla forza, all’interesse, alla furbizia che comandano la natura e la storia. E l’uomo nobile che si rifiuta di costruire la sua vita sullo sfruttamento altrui. È colui che aderisce incondizionatamente al bene e lo dona agli altri, soprattutto ai più bisognosi, a coloro che forse mai lo ricompenseranno, che forse mai potranno ricambiare.

Il cristiano è colui che nel suo agire sceglie di perdere secondo la logica del mondo, e non per guadagnare altrove come troppo spesso viene predicato, ma perché sente il richiamo della nobiltà del gratuito, il fascino del bene, capisce che questa è la cosa più grande che la sua vita può fare. Un uomo così è visitato dalla grazia, vive già adesso in Dio.

L’OPPOSIZIONE DEL MONDO
Ma l’adesione incondizionata al bene nel profondo dell’anima si scontra con la legge che muove la natura e la storia che è la forza, perché l’essere è forza. Ne viene che chiunque ascolti la parola pura del bene, e sulla sua base inizi ad agire nel mondo, incontrerà una sicura opposizione da parte del mondo, un’opposizione che prima ti ridicolizza chiamandoti idiota (come già capitò al principe Mikin) e poi, se il gioco si fa pesante, se si toccano gli interessi dei signori del mondo, ti elimina. Tutto ciò è stato espresso in modo mirabile da Pavel Florenskij in una lettera alla moglie del 18 febbraio 1937, alcuni mesi prima che gli venisse tolta la vita mediante fucilazione in una località sconosciuta nei pressi di Leningrado: «Sì, la vita è fatta in modo che si può dare qualcosa al mondo solo pagandone poi il fio con sofferenze e persecuzioni. E più il dono è disinteressato, più crudeli sono le persecuzioni, e dure le sofferenze. Tale è la legge della vita, il suo assioma fondamentale… Per il dono della grandezza l’uomo deve pagare con il proprio sangue». Sullo stesso registro, Simone Weil: «Su questa terra non c’è altra forza che la forza. Questo potrebbe essere un assioma. In quanto alla forza che non è di questa terra, il contatto con essa si paga solo a prezzo di un transito attraverso qualcosa che assomiglia alla morte».

Ecco la meta cui va incontro, su questa terra, il cristiano. Questo dice il cristianesimo quando parla di croce.
Ma qui si comprende l’altro polo del kerigma cristiano, la risurrezione. Simone Weil ha scritto: «C’è in noi un obbligo verso ogni essere umano per il solo fatto che è un essere umano… Quest’obbligo non si fonda su nessuna situazione di fatto… su alcuna convenzione… Quest’obbligo è eterno. Risponde al destino eterno dell’essere umano». Quando l’uomo avverte quest’obbligo dentro di sé, è chiamato all’eternità.

La grazia sta agendo in lui. Se non l’osserva, rimane nel campo della necessità, nel ciclo delle esistenze dice la filosofia indù. Avvertire l’obbligo verso ogni altro essere umano e concretizzarlo in un operare per il bene fa sì che l’uomo esca dal tempo e dalle sue catene; il tempo e lo spazio sono le forme a priori sotto cui si rende presente la necessità che lega l’uomo; ma se l’uomo agisce seguendo l’obbligo verso il bene, allora risponde a una chiamata del tutto diversa rispetto a quella naturale, una chiamata che va in tutt’altra direzione; questa sua risposta a una chiamata che, diversamente da ogni altra azione che lo concentra solo su di sé, lo spinge all’infuori di sé, è una risposta che lo innalza, che lo libera, che lo spinge verso l’alto; mentre tutto si regge secondo la legge della gravità (e ogni uomo fa del proprio Io il centro verso cui convergono tutte le cose), l’azione del bene si modella secondo l’azione contraria: l’lo non attira a sé ma si dona agli altri. Per questo il bene trascende l’orizzonte della necessità, per questo il bene è trascendenza e conduce chi lo pratica «al di là». Questo dice il cristianesimo quando parla di risurrezione.

(Mancuso, Rifondazione della fede)