Io e Dio

Vito MancusoIo e Dio, Garzanti, 2011, pp. 496,  € 18.60


Di quale domanda Dio è la risposta? Se non si chiarisce la domanda, la risposta-Dio può diventare semplicemente uno dei tanti strumenti di potere escogitati dalla politica per tenere buoni e compatti i popoli, o uno dei tanti hobby coltivati dagli esseri umani per non annoiarsi nel tempo libero, o uno psicofarmaco della mente, magari un po’ antiquato ma ancora abbastanza in uso e non senza qualche piacevole effetto.

A sentirli suonare così – senza saper leggere né scrivere – “Dio” e “d’io” possono trarre in confusione: sono simili al punto da generare il sospetto che i due concetti abbiano una radice comune, e non solo per il suono o le lettere di cui sono composte le parole.
Qualunque riflessione a proposito di quel che trascende la nostra vita di tutti giorni, le cose che facciamo, il senso del nostro affannarci dietro a cose di poca o nessuna importanza, non può che scaturire da noi stessi, e condurci nel vivo di una riflessione antica forse quanto il genere umano.
Oggi il dibattito sulla religione, almeno in occidente, è spesso arroccato su posizioni che vedono da un lato l’adesione cattolica (o la mancata adesione) al dogma della Chiesa e dall’altro l’interpretazione della bibbia, che secondo i protestanti è la fonte di ogni verità.
Tutto questo è troppo poco, sostiene Mancuso, e non rispecchia la complessità dei tempi in cui viviamo. 
I nostri sono tempi che richiedono a gran voce risposte nuove; risposte che sappiano andare oltre simili, piccine contrapposizioni e si facciano invece carico di quel che sappiamo e non ci è più dato ignorare.
Dando conto, insomma, del fatto che viviamo in una società secolarizzata e retta da un paradigma scientifico incompatibile con la visione del mondo espressa da una simile concezione religiosa, ormai definitivamente tramontata.
Ci vogliono risposte adeguate alla nostra perplessità.
È questa una parola chiave nel libro di Mancuso, che nell’introdurla ci spiega addirittura la sua etimologia: “perplesso” deriva dal verbo latino “plectere”, cioè “intessere”, e sta ad indicare appunto un incrocio confuso fra la trama e l’ordito.
Questa confusione, a dire del teologo, ben riassume il nostro attuale spaesamento.
Ma è uno spaesamento che faremmo bene a coltivare, o comunque a non sottovalutare e lasciare sullo sfondo, perché dalla risposta che saremo in grado di articolare dipende la nostra capacità di ricomporre la frattura – mai evidente come oggi – fra la vita che conduciamo tutti i giorni nel mondo e quella vita spirituale che è un bisogno irrinunciabile di ogni essere umano.
Accanto a queste considerazioni, di per sé ricchissime di conseguenze e implicazioni, Mancuso riporta una serie di dati che testimoniano come nel nostro mondo, in realtà, la religione stia occupando uno spazio crescente: i fedeli sono in aumento in tutte le principali religioni del mondo, e un gran numero di paesi ha addirittura governi che si ispirano nel loro operare ai precetti religiosi.
Ma la religione, nella maggior parte dei casi, non produce più una cultura, intesa come una visione del proprio stare al mondo che sappia declinarsi in tante forme – letteratura, arte, musica – e quindi resta lettera morta, sotto molti punti di vista: insieme di precetti oppure semplice sistema normativo che ci dice cosa fare e cosa non fare, senza darci gli strumenti per capire perché.
D’altra parte, una civiltà che rinunci a ogni forma di vita spirituale si consegna a sterilità certa, non solo nella produzione di forme artistiche ma anche – e soprattutto – nel cinismo e nell’egoismo che ne derivano, permeando ogni rapporto fra le persone.
Come uscire dall’impasse?
Riappropriandosi, o meglio: reinventandosi un rapporto con il sacro, con il legame insito nella radice stessa della parola “religione”: non insieme di vincoli ma relazione viva, presente, con una dimensione trascendente capace di non dimenticarsi mai della vita, che in sé è l’espressione biologica, spirituale e culturale più sacra che ci sia.
Soprattutto, Mancuso ci sprona a non delegare mai ad una chiesa, qualunque essa sia, la nostra personale ricerca di una verità: in quell’itinerario, complesso e fortunatamente inesauribile, il laico e il religioso in qualche modo procedono in parallelo, pur avvalendosi di strumenti diversi e giungendo (quando vi giungono) a conclusioni magari diametralmente opposte, ma ugualmente degne di rispetto perché scaturite da una ricerca personale.
Questo libro, che tutto ci dice volersi proporre come l’opus magnum di Mancuso, riesce ad attingere a una quantità sterminata di fonti e disporne organicamente le testimonianze assieme alle riflessioni dell’autore, per accompagnarci passo dopo passo in un cammino di grande fascino e di assoluta attualità.

Vito MancusoIo e Dio 496 pag., € 18.60 – Garzanti libri

Io, religioso senza fede


spesso abbiamo laicizzato malamente e  abbiamo erroneamente rinunciato anche ad alcuni degli aspetti più utili e affascinanti della religione.


Sono cresciuto in una famiglia di atei convinti, figlio di ebrei non osservanti che mettevano la fede religiosa sullo stesso piano della fede in Babbo Natale. Mio padre era riuscito a far piangere mia sorella quando aveva tentato di estirpare dalla sua mente l’idea, nemmeno troppo radicata, che da qualche parte dell’universo si nascondesse un dio solitario.
Aveva otto anni, a quell’epoca. Se i miei scoprivano che qualcuno, nella loro cerchia di conoscenze, covava segretamente un sentimento religioso, cominciavano a trattarlo con la commiserazione che in genere si riserva a chi soffre di una malattia degenerativa. Da quel momento, per loro, era impensabile ricominciare a prenderlo sul serio. Nonostante fossi stato fortemente influenzato dall’atteggiamento dei miei genitori, passati i vent’anni il mio ateismo mi ha mandato in crisi. I dubbi sono affiorati quando ho ascoltato per la prima volta le cantate di Bach, si sono sviluppati mentre osservavo alcune Madonne del Bellini e sono diventati un tormento quando mi sono avvicinato all’architettura zen.
Comunque, è stato solo parecchi anni dopo la morte di mio padre – seppellito sotto una lapide incisa in ebraico in un cimitero ebraico di Willesden, zona nord-ovest di Londra, perché, dettaglio interessante, si era scordato di lasciare istruzioni più laiche – che ho incominciato ad accettare il peso della mia ambivalenza nei confronti dei principi indiscutibili che mi erano stati inculcati durante l’infanzia.
La mia certezza che Dio non esiste rimaneva intatta. Mi sentivo semplicemente più libero all’idea che ci fosse un modo di avvicinarsi alla religione senza dover accettarne per forza anche il lato sovrannaturale; un modo, per dirla in termini più astratti, di pensare ai Padri senza offuscare la memoria di mio padre. Mi sono reso conto che la mia protratta resistenza alle teorie sull’aldilà o sugli abitanti del paradiso non era una giustificazione sufficiente per liquidare la musica, gli edifici, le preghiere, i rituali, le celebrazioni, i santuari, i pellegrinaggi, i pasti in comunione e i manoscritti miniati.
Dopo aver perso tutta una serie di pratiche e tradizioni che gli atei trovano insopportabili perché di quello che Nietzsche definiva «il cattivo odore della religione», la società laica si è  ingiustamente impoverita. Ormai il termine «moralità» ci fa paura, e al pensiero di ascoltare un sermone preferiamo darcela a gambe.
Rifuggiamo l’idea che l’arte possa elevarci o avere una missione etica. Non andiamo in pellegrinaggio. Non sappiamo più costruire templi. Non abbiamo strumenti per esprimere gratitudine. L’idea di leggere un manuale di auto-aiuto ci pare in contrasto con i nostri nobili principi. Rifiutiamo l’esercizio mentale. Di rado vediamo degli sconosciuti cantare tutti insieme.
Purtroppo ci troviamo di fronte a una scelta: abbracciare la bislacca nozione che esistano delle divinità immateriali, oppure abbandonare in blocco una serie di rituali confortanti, raffinati o semplicemente affascinanti di cui fatichiamo a trovare un equivalente nella società laica. Forse è giunto il momento di liberare i nostri bisogni spirituali dalla patina religiosa che li ricopre,  anche se paradossalmente è spesso lo studio delle religioni a fornire la chiave per riscoprire e riformulare questi bisogni.
Il mio è un tentativo di leggere le fedi, principalmente quella cristiana e, in misura minore, quella giudaica e quella buddista, alla ricerca di intuizioni che possano tornare utili nella vita laica, soprattutto in relazione ai problemi sollevati dalla convivenza all’interno di una comunità e dalle sofferenze mentali e fisiche.
Ben lungi dal negare i valori della laicità, la mia tesi è che spesso abbiamo laicizzato malamente, cioè che, mentre cercavamo di liberarci di idee inattuabili, abbiamo erroneamente rinunciato  anche ad alcuni degli aspetti più utili e affascinanti della religione.

 

in “Il Sole 24 Ore” del 4 settembre 2011

Libertà religiosa: indagine mondiale del Pew Forum

 

L’indagine mondiale del Pew Forum registra l’aumento di restrizioni e violenze. Il primato negativo a Egitto, Pakistan e India. Tra i paesi musulmani l’unico in controtendenza è la Turchia. I più maltrattati: i cristiani

 

 

L’indagine del Pew Forum ha preceduto le rivolte che sconvolgono il Nordafrica e il Medio Oriente. Ma non promette nulla di buono sui loro sviluppi futuri.

Già prima dello scoppio delle rivolte, infatti, gli indicatori segnavano quasi ovunque un peggioramento.

L’indagine ha riguardato le restrizioni alla libertà religiosa in 198 paesi del mondo: sia le restrizioni imposte dai governi, sia quelle prodotte da violenze di persone e di gruppi.

Rispetto a un’analoga indagine del Pew Forum di tre anni prima, il confronto segna un diffuso aumento di tali restrizioni.

E il paese che più di tutti è cambiato in peggio è proprio uno di quelli della cosiddetta “primavera araba”: l’Egitto.

*

Limitando lo sguardo ai paesi con più di 50 milioni di abitanti – come nel grafico sopra riprodotto – si può notare, rispetto alla precedente indagine, il netto peggioramento della situazione anche in Pakistan e in Nigeria.

I due colossi, l’India e la Cina, cambiano di poco rispetto a tre anni prima.

L’India rimane il paese record per le ostilità tra i gruppi religiosi, che si aggiungono alle già pesanti restrizioni di legge. A dispetto della fama pacifista che questo paese reca con sé.

Mentre la Cina mantiene il record – conteso solo da Iran ed Egitto – delle restrizioni di tipo politico. Con un aumento sensibile, però, anche delle ostilità interreligiose nella popolazione, in precedenza più contenute.

Va notato che tra i paesi con gli indicatori peggiori vi sono quelli con la più numerosa popolazione musulmana del globo: Indonesia, Pakistan, Egitto, Iran, Bangladesh…

Tra i grandi paesi musulmani solo la Turchia ha attenuato il proprio grado di restrizione alla libertà religiosa, rispetto a tre anni prima.

Proprio in questi giorni il primo ministro turco Tayip Erdogan ha deciso la restituzione alle fondazioni religiose non musulmane di più di mille proprietà confiscate dal regime dopo il 1936:

> Storica decisione: Erdogan restituisce le proprietà sequestrate alle minoranze religiose

Tra i paesi europei quello con gli indicatori peggiori, sia politici che sociali, è la Russia. Ma anche il Regno Unito e la Francia hanno irrigidito le restrizioni legali alla libertà religiosa.

Una curiosità. Tra le cinque nuove potenze emergenti le due maggiori, la Cina e l’India, hanno pessimi standard per quanto riguarda la libertà religiosa.

Il Brasile e il Sudafrica, invece, sono all’estremo opposto, con ampi spazi di libertà.

Mentre la Russia era tre anni fa in una posizione intermedia, ma ha fatto rapidi passi di avvicinamento alla zona critica.

*

In sintesi, uno su quattro dei paesi che già nel 2006 registravano forti restrizioni alla libertà religiosa hanno ulteriormente peggiorato i loro standard negli anni successivi.

Ma se si guarda non ai singoli stati ma al numero degli abitanti, i risultati dell’indagine sono ancor più impressionanti: ben il 59 per cento della popolazione mondiale vive oggi con restrizioni alla libertà religiosa “alte” o “altissime”.

La religione che più soffre tale situazione è il cristianesimo. Ma anche i musulmani ne sono vittima. In Nigeria lo scontro sociale è con i cristiani, ma altrove i musulmani sono soggetti a restrizioni legali e a violenze soprattutto ad opera di loro correligionari. In Iraq, ad esempio, sono molto più numerose le vittime di attentati islamisti alle moschee che alle chiese.

Ricchissima di dati, la doppia indagine del Pew Forum – l’autorevole centro ricerche sulla religione e la vita pubblica con sede a Washington – è tutta da leggere.

Sia quella pubblicata il 17 dicembre 2009:

> Global Restrictions on Religion

Sia quella messa in rete il 9 agosto di quest’anno, con le variazioni intercorse in ciascun paese:

> Rising Restrictions on Religion

__________

Alla precedente indagine del Pew Forum www.chiesa aveva dedicato il seguente servizio:

> Libertà di religione? Per 5 miliardi di uomini è un sogno proibito (8.1.2010)

Quale giustizia senza perdono?

Perché il perdono è un tema così decisivo nella nostra vita umana e cristiana?


Perché la nostra vita conosce il male, questa contraddizione, questa negazione del bene che non possiamo rimuovere né negare. Il perdono ha a che fare con il male, che noi facciamo a noi stessi e agli altri, che gli altri ci fanno. Il male – nelle sue varie forme del cattivo pensare, del malvagio agire, dell’offensivo  parlare – è una realtà nella nostra vita e nelle nostre relazioni. Il male – dice Gesù – è ciò che nasce dal nostro cuore e diventa aggressività, violenza, odio verso gli altri e verso noi stessi (cf. Mc  7,20-23; Mt 15,18-20) . Il male è ciò che io faccio nonostante voglia fare il bene, confessa l’Apostolo Paolo (cf. Rm 7,18-19) . Non a caso le domande che rivolgiamo a Dio nel Padre nostro sono: “Non abbandonarci alla tentazione” e “Liberaci dal male” (Mt 6,13); e queste richieste sono precedute da quella del perdono di Dio, invocato perché ci renda capaci di perdonare i nostri fratelli: “Rimetti  a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Mt 6,12).
Il male come azione malvagia ci accompagna per tutta la vita. Nel quotidiano il più delle volte non ha conseguenze vistose; in alcune circostanze invece esplode e ci spaventa, provocando in noi indignazione. In ogni caso, il male è sempre banale… L’uomo si abitua al male, e soprattutto, la violenza può nutrire il male, farlo crescere fino alla negazione dell’altro, degli altri. Siamo sinceri con noi stessi: non arriviamo alla tentazione di voler vedere scomparire chi ci è nemico, di voler vedere escluso dal nostro orizzonte un altro che ci ha fatto del male? Non siamo tentati di ripagare con lo stesso male chi ci ha fatto del male? Non giungiamo perlomeno a sperare il male per chi ci ha fatto soffrire?
Questo è l’istinto di conservazione: vogliamo vivere a ogni costo, anche senza gli altri e magari contro gli altri. Siamo tutti malati di philautía, l’egoistico amore di noi stessi, e quando siamo offesi ci difendiamo attaccando, come gli animali. Siamo tentati di rispondere al male con il male, alla violenza con la violenza, alimentando così una spirale di odio e vendetta che finisce per mostrare la sua qualità mortifera. Noi sappiamo che per intraprendere il cammino di umanizzazione in vista di una vita piena di senso, dobbiamo impedire la vittoria del male su di noi e la spirale di violenza che ne consegue: è qui che si colloca il perdono, che è innanzitutto interruzione del male, dire no a una logica di morte.
Gesù con la sua vita ha cercato di narrarci il volto di Dio fino a vivere lui stesso il perdono fino all’estremo. Perdono donato anche ai suoi carnefici, ai suoi aguzzini, a chi lo ha condannato a morte e angariato durante la sua esecuzione: “Padre, perdona loro perché non sanno né quello che dicono né quello che fanno” (cf. Lc 23,34). Proprio per aver ricevuto la testimonianza e l’insegnamento di Gesù, Paolo nella Lettera ai Romani ci ha rivelato Dio quale fonte di ogni perdono. Ecco lo straordinario annuncio dell’Apostolo: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita” (Rm 5,8-10) .
È una scandalosa simultaneità: mentre noi odiamo Dio, Dio ci ama e ci perdona; mentre noi siamo peccatori, Dio ci riconcilia con sé. Questo è il cristianesimo, a tal punto che Hannah Arendt,  filosofa ebrea e non credente, ha scritto: “A scoprire il ruolo del perdono nell’ambito delle relazioni umane fu Gesù di Nazaret” ( Vita activa. La condizione umana ). Questo è lo scandalo della croce  di Cristo , e solo nella folle logica della croce si può comprendere il perdono di Dio verso di noi, e quindi il nostro perdono verso noi stessi e gli altri.
Ma nel nostro cuore, di fronte a questo perdono così radicale ed esteso, sorge una domanda: e la giustizia? Misericordia, perdono sì, ma la giustizia? Certo, è anch’essa un attributo del Nome di Dio (“… non lascia senza punizione, castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione”: Es 34,7 ). Ma guai a noi se misurassimo la giustizia di Dio con i nostri criteri umani, se proiettassimo in Dio la nostra giustizia. La giustizia degli uomini è necessaria, capace di sanzionare il male, di arginarlo; ma solo la misericordia sa rendere all’uomo la sua dignità, sa fare del colpevole una creatura nuova, perché l’uomo ha bisogno di giustizia, ma anche di amore e gratuità del perdono. Solo la misericordia permette di fare giustizia senza vendicarsi, senza umiliare il colpevole, e di perdonare senza svuotare la legge, il diritto. Noi cristiani dobbiamo fare un altro passo avanti nella comprensione della giustizia e nel cammino di umanizzazione. È stato il beato Giovanni Paolo II ad aprirci il cammino alla comprensione di come sia possibile coniugare perdono e giustizia. Nel suo Messaggio per la giornata mondiale della pace del 2002 egli ha  confessato che, confrontandosi con la Parola di Dio contenuta nelle sante Scritture, era giunto a comprendere che il Vangelo esige che il principio “perdono” sia immanente a quello di “giustizia”.
Così ha potuto coniare un’affermazione che dà il titolo al suo testo: “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”. Questo il messaggio che chiede a tutti una prassi di perdono affinché sia possibile edificare insieme una polis, segnata da giustizia, pace, solidarietà comune. Ma Giovanni Paolo II ha anche chiesto che il perdono sia anche una virtù proposta alla comunità civile. Così scriveva: “Solo nella misura in cui si affermano un’etica e una cultura del perdono, si può anche sperare in una ’politica del perdono’, espressa in atteggiamenti sociali e istituti  giuridici, nei quali la stessa giustizia assuma un volto più umano”.
Questa la risposta alle patologie della società, ai conflitti che dividono gli uomini contrapponendoli tra loro. L’ordine sociale e la costruzione della polis non possono avvenire senza coniugare  giustizia e perdono. Bisogna quindi situare il perdono anche in ambito giuridico: occorre arginare e disarmare il colpevole, occorre la detenzione per impedirgli di reiterare i delitti; ma nello  stesso tempo occorre pensare a una rieducazione, a un cammino di umanizzazione e di reinserimento nella società, mostrando anche la possibilità di un perdono, di un condono. Già ad Atene,  nell’antichità, si conosceva l’amnistia, con lo scopo della riconciliazione nella polis. Nel contesto economico, il perdono può essere esercitato con la remissione del debito dei Paesi poveri, dando  loro la possibilità di un’economia che conosca uno sviluppo. Sì, il perdono, come ha detto Giovanni Paolo II (“Le famiglie, i gruppi, gli stati, la stessa comunità internazionale, hanno bisogno di aprirsi al perdono per ritessere legami interrotti, per superare situazioni di sterile condanna mutua, per vincere la tentazione di escludere gli altri non concedendo loro possibilità di appello. La capacità di perdono sta alla base di ogni progetto di una società futura più giusta e solidale”): a livello giuridico, politico ed economico internazionale non è solo un atto che vuole dimenticare un  passato che altrimenti potrebbe alimentare il conflitto, ma apre a un nuovo futuro. Perdonare è prendere coscienza che è necessario rinnovare la comunicazione, la relazione con l’altro, per non negarlo, per non lasciarlo nella condizione di nemico. Si pensi al perdono reciproco che si è attuato tra neri e bianchi in Sudafrica o a quello tra ebrei e palestinesi al fine di giungere a una pace vera e duratura. Il cammino del perdono è il cammino dell’umanizzazione, è il cammino di Dio per noi uomini.

 

in “Avvenire” del 27 agosto 2011

Una campagna anticattolica?

 

Riprende la campagna mai sopita su Chiesa cattolica e tasse.

 

 

Riportiamo di seguito alcuni contributi per comprendere i dati della polemica e la rispota scaricabile  pubblicata nel volume “La vera questua”

 


Campagna anticattolica
Da 4 anni le stesse bugie


Freezer e microonde sono il toccasana in tante cucine. E pure in certe redazioni. Proprio ieri un “settimanale di politica cultura economia” lanciava una roboante inchiesta dal titolo «La santa evasione», così riassunta: «I vescovi lanciano l’anatema contro chi non paga le tasse, ma i patrimoni della Chiesa vivono di agevolazioni ed esenzioni. Ecco la mappa di un tesoro che conta un quinto degli immobili italiani. E per legge sfugge alla manovra».

Nulla di nuovo. La fonte principale, se non unica, è una vecchia inchiesta di Curzio Maltese apparsa sulla “Repubblica” dal 28 settembre al 17 dicembre 2007, poi raccolta nel volume “La Questua”. A ogni puntata dell’inchiesta seguiva una pagina di Avvenire che confutava, dati alla mano, errori, verità dimezzate e omissioni, lavoro poi confluito nel libro “La vera questua” (scaricabile qui). “Repubblica” non rispose mai né mai corresse i suoi sbagli; ma Maltese ripulì il libro dagli errori più madornali, pur senza mai citare “Avvenire”, esempio perfetto di mobbing mediatico: ci sei ma non esisti.

Nient’altro di nuovo, se non un misterioso «altro libro» di Piergiorgio Odifreddi, che accuserebbe la Chiesa di un’evasione doppia, rispetto a quella denunciata da Maltese.

A sconcertare è l’assenza totale di fonti che i lettori possano controllare. Si citano vaghe «stime» e «calcoli», magari dei «Comuni». Tutto così generico da risultare inattendibile. Si dice, si ripete, si ridice che «la Chiesa non paga l’Ici», ma da quattro anni non facciamo che ripetere la verità: la Chiesa paga l’Ici per tutti gli immobili di sua proprietà che danno reddito, a cominciare dagli appartamenti (vedi la lettera del parroco romano) e dai cinema con caratteristiche commerciali. E se qualcuno non paga ma dovrebbe pagare, sbaglia e va fatto pagare. Ma chi?

L’inchiesta, se così la si può definire, non lo dice. Sbrina e riscalda. E insinua. Afferma che a Roma gli immobili del Vaticano sono grandi evasori. Ma non si prende la briga di chiedere all’Agenzia delle Entrate della capitale l’elenco degli enti non commerciali contribuenti. Comprensibile: se fosse una vera inchiesta, dovrebbe spiegare che Apsa (Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica) e Propaganda Fide sono al secondo e al terzo posto tra i contribuenti, dietro un importante istituto di previdenza. Quindi paga, eccome se paga. Ma poiché il teorema esige che evada, le cifre dell’Agenzia vanno oscurate, altrimenti farebbero saltare il teorema.

Son fatte così queste “inchieste”. Perfino la Caritas romana viene messa nel mirino come «proprietaria» di ben 70 immobili. La Caritas non «possiede» nulla ma gestisce, in effetti, mense e comunità di recupero per ex tossicodipendenti, case per malati terminali di Aids o per giovani madri in difficoltà… che per il gruppo guidato da Carlo De Benedetti, così in sintonia con le parole d’ordine e le campagne di Radicali italiani e Massoneria italiana, devono fruttare ampi redditi, e quindi vanno ben spremuti.

Nulla di nuovo, dunque. Anche se con ineffabile faccia tosta qualcuno afferma che la Chiesa manterrebbe un imbarazzato silenzio e non avrebbe mai smentito nulla, tutto è già stato ampiamente confutato dal 2007 in poi; ma la campagna militare esige l’applicazione del mobbing mediatico: so perfettamente che ci sei, mi rispondi e cerchi il dialogo, ma ti ignoro e faccio come se tu non esistessi. Via allora con le cifre sparate a casaccio senza citare fonti controllabili. Così gli immobili di proprietà della Chiesa cattolica, in Italia, ieri erano il 30 per cento, oggi calano al 22 e domani chissà… palesi enormità, avvalorate da numeri che si riferiscono a Roma, dove però tutte le congregazioni religiose del mondo hanno una “casa madre” o una rappresentanza, e molte Conferenze episcopali nazionali hanno i loro collegi dove ospitano i propri studenti che frequentano le Pontificie università. Che un collegio di seminaristi o giovani preti, che studiano e pregano, collegio che non produce reddito alcuno ma ha soltanto dei costi, debba pagare l’Ici è una palese sciocchezza. Nessun istituto d’istruzione la paga.

Ma la campagna contro la Chiesa non teme le sciocchezze. Leggiamo infatti l’elogio dell’emendamento dei Radicali «che farebbe cadere l’esenzione dall’Ici (…) per tutti gli immobili della Chiesa non utilizzati per finalità di culto», con questo elenco: «Quelli in cui si svolgono attività turistiche, assistenziali, didattiche, sportive e sanitarie, spesso in concorrenza con privati che al fisco non possono opporre scudi di sorta». La scure decapiterebbe anche innumerevoli ong, enti di promozione sportiva laicissimi, scuole non cattoliche, realtà culturali, politiche e sindacali. Un massacro. E costerebbe una cifra inaudita (la sola scuola paritaria, pubblica esattamente come la statale, fa “risparmiare” 6 miliardi all’anno) a uno Stato costretto a intervenire là dove la Chiesa, e altri, sarebbe costretti a mollare. Ma che importa? La furia demagogica ha bisogno di un facile bersaglio da additare all’odio popolare. E intanto gli evasori, quelli veri, gongolano.

Umberto Folena

 

Qualcosa che impressiona di Marco Tarquinio


– Il Grande Oriente suona la carica | La lettera: «Io, parroco, pago tutto»


– L’OSPITE  Chiesa e non profit: la ricchezza dei poveri di Angelino Alfano

 

 

L’Ici no, ma la Chiesa qualcosa deve fare
di Alberto Melloni

Farebbero malissimo i vescovi a sottovalutare la richiesta che arriva da più parti e che riguarda i «sacrifici» che anche la Chiesa dovrebbe fare nell’indomabile montare della crisi.
È ovvio che in molti casi queste istanze nascondono la stessa faciloneria che ha convinto milioni di italiani che il problema dei debiti sovrani dipenda in Italia dai privilegi dei politici che  esistono e sono odiosi ma non sono certo il cuore della cosa. E dunque potrebbe essere fortissima la tentazione di respingere al mittente tali istanze con argomenti tecnicamente e giuridicamente solidi.
Sui patroni basterebbe ammiccare ai sindaci e agli uffici scolastici per far sì che il calendario delle lezioni reintroduca dalla finestra festività che così verranno sottratte solo ai ceti operai e impiegatizi che non possono permettersi i ponti. Sulle festività che il concordato blinda ci si potrebbe limitare a richiamare la indisponibilità del tema (è la Repubblica che ha deciso insieme alla Santa Sede di mettere sotto l’ombrello di un trattato internazionale le feste dei dogmi di Pio IX e di Pio XII anziché il triduo pasquale: per cui, se ne ha voglia, porti la politica al Papa una legge con allegato il trattato sul triduo di Hans Urs von Balthasar). Sull’8 per mille, materia decisa dal concordato Casaroli-Craxi, i vescovi potrebbero ricordare agli smemorati radicali che gli accordi di Villa Madama prevedevano un riesame in commissione paritetica (nell’infondato timore che la quota stabilita non colmasse la «congrua») e che non è stato un ukaze Cei a impedirlo. Così pure sulle esenzioni Ici i vescovi potrebbero legittimamente rimandare ad una più attenta lettura all’elenco delle Onlus fra le quali (con esiti insostenibili dal punto di vista costituzionale) si chiede di discriminare quelle che hanno «fini di religione», declinati nella libertà della loro espressione.
Così facendo, però, verrebbero meno a quel dovere evocato dal presidente Napolitano nella sua orazione civica di Rimini, e che è una chiamata in attesa di reclute: porsi cioè al livello delle sfide che il Paese non può non affrontare. E qui i vescovi potrebbero cogliere in istanze vulnerabili o populiste una occasione. Il sistema dell’8 per mille, infatti, era stato inventato da grandi  ecclesiastici (Casaroli, Silvestrini, Nicora) per dare alla Chiesa italiana, e non alla Santa Sede, una sua autonomia, specialmente rispetto alla politica: e quel sistema aveva una implicazione di parificazione fra Chiese e religioni che non è stato implementato dallo Stato che ne aveva il dovere.
Se il miliardo e passa di entrate non basta a proteggere la Chiesa da una politica delle blandizie la questione, allora, è ancora più grande.
Il denaro dato alla Cei, infatti, è stato speso (quasi sempre) bene: ha rimesso in sesto un patrimonio che il Fondo edifici di culto del ministero degli Interni non poteva mantenere; ha finanziato tanta solidarietà. Non mancano le ombre: ha certo foraggiato sacche di interessi e comprato consensi in vendita, ha dato fiducia a mezze tacche della finanza o della cultura, ha coperto operazioni meschine (d’altronde, come spiegava un grande cardinale italiano, in fatto di denaro «i preti delinquenti si fidano sempre di delinquenti, perché sono anche loro delinquenti; i preti buoni si fidano dei delinquenti perché sono buoni»). Ma non è lo Stato che può dar lezioni di rigore, se non segna un punto e a capo per tutti.
Quel denaro però ha eroso qualcosa di assai più profondo per la Chiesa italiana: e cioè la sua fede nella povertà come via necessaria della Chiesa, secondo il limpido dettato della costituzione conciliare Lumen Gentium 8. Perché — come ha insegnato l’emersione dei crimini di pedofilia — ogni consiglio evangelico può essere vissuto in modo estrinseco o profondo: e come la superficialità esalta le turpitudini, la sincerità anche debole accresce la virtù. Così la scarsa fiducia, per dir così, nella povertà ha sottratto alla Chiesa una credibilità di cui oggi avrebbe bisogno, per essere  nella svolta che stiamo vivendo fattore di unità profonda del Paese.
Con quella credibilità potrebbe affrontare tutte le questioni sul tappeto difendendo il diritto delle feste religiose di tutti, cercando un punto di ripartenza del senso civico di tutti, insegnando  quel «linguaggio di verità», che il presidente ha evocato sul presente, sui vent’anni ultimi e che forse andrebbe spinto almeno indietro per poter produrre un rinnovamento vero della coscienza civica di tutti.
Qualcosa di limpido e impolitico come un tale atto di fede — con tutte le conseguenze di rigore e di trasparenza che esso comporta — darebbe ai vescovi o comunque accrescerebbe quella autorevolezza di cui hanno bisogno loro, spettatori di rimpianti e di lotte di carriera ecclesiastica spudorate: e di cui ha ancor più bisogno il Paese. Nei giorni più difficili della sua storia  post-fascista — l’8 settembre del 1943, il 9 maggio del 1978 — l’Italia ha trovato nella Chiesa un sostegno infungibile e in quei gesti di coraggio la Chiesa ha guadagnato una credibilità capitalizzata  per decenni. Nessuno può escludere che giorni, per fortuna diversi nella forma, ma non meno impegnativi nella sostanza, siano oggi innanzi al Paese.

in “Corriere della Sera” del 28 agosto 2011

 

 

 

Rassegna Stampa

.

30 agosto 2011

 

“«So bene – ha detto Bagnasco… – che il compito è arduo perché si tratta di intaccare consuetudini e interessi vetusti»… ha parlato di «reazione di disgusto» della gente semplice nei confronti, in politica, di «stili non esemplari che sono la norma»… Il vero uomo, ha detto il cardinale, non è quello che ha potere e denaro: «I giovani non vogliono essere ingannati»…”
“Per combattere la corruzione, tornata a galla nelle cronache di questi giorni, bisogna far capire con l’esempio che cos’è il valore della verità… essa va richiesta in modo particolare a coloro che costituiscono, per ruolo o visibilità, modelli di comportamento, [ma] è necessario interrogare in primo luogo se stessi… se abbiamo… la determinazione… di cercare al di là dell’apparenza, di fare fatica. Se si ha voglia, in sintesi, di essere consapevoli o servi”
“Gennaro Acquaviva, che è stato il plenipotenziario di Bettino Craxi per la revisione del Concordato del 1984… non chiede certo alla Chiesa di pensare a «una rinuncia, ma a una riduzione», questo sì, «per coerenza con lo scopo dell’8 per mille»… «Il metodo dei radicali non va bene perché non si può strattonare in questo modo un soggetto come la Chiesa cattolica che letteralmente tiene in piedi e unito il nostro Paese»… Sta alla Cei pensare il da farsi…”

.

29 agosto 2011

 

“in un momento di straordinaria gravità, non è lecito attendersi dalla Chiesa un qualcosa di più, un gesto unilaterale e di valore sostanziale e simbolico?”.

28 agosto 2011

 

  • Economia e gratuità di Bernard Ginisty in www.garrigues-et-sentiers.org del 28 agosto 2011 (nostra traduzione)
“È una bellissima cosa che degli economisti ci ricordino che la gratuità non è ristretta in una parentesi vacanziera, ma che essa sola dà senso all’arte di vivere da esseri umani”
“Per la strategia liberista, che ha un’ossessiva paura della memoria, la gente deve dimenticare il suo passato sociale… senz’altro ideale che la religione del danaro. Sono da seppellire le aspirazioni condivise di una vita felice per tutti senza confini, il senso di compiutezza umana provato nel lottare insieme per la giustizia… la constatazione che la fatica e il sangue versato sono seme e nutrimento, la speranza contro ogni speranza, l’esperienza che il pane condiviso è pane moltiplicato e fonte di vita per tutti”
“In Cei lo ripetono da giorni: «E’ sbagliato confondere una tassa come l’Ici con l’otto per mille che è un’intesa tra lo Stato e le confessioni religiose». E una cosa è il Vaticano e un’altra le diocesi con le loro spese per culto e carità. Adesso la protesta esce dai Sacri Palazzi e diventa pubblica. Il quotidiano della Conferenza episcopale punta l’indice contro «Radicali, massoni e il potente partito dell’evasione»”
“Quel denaro però ha eroso qualcosa di assai più profondo per la Chiesa italiana: e cioè la sua fede nella povertà come via necessaria della Chiesa, secondo il limpido dettato della costituzione conciliare Lumen Gentium 8. (…) Così la scarsa fiducia, per dir così, nella povertà ha sottratto alla Chiesa una credibilità di cui oggi avrebbe bisogno, per essere nella svolta che stiamo vivendo fattore di unità profonda del Paese.”
“Per restare con i piedi per terra conviene ricordare pacatamente all’Avvenire che sul Fatto Quotidiano è stata posta sin dall’inizio una domanda fondamentale, che circola nelle teste di tanti cittadini credenti e diversamente credenti. La Chiesa è disponibile o no – di fronte al rischio di crack dell’Italia – a rinunciare volontariamente a una parte delle sovvenzioni statali derivanti dall’8 per mille, visto che tagli pesanti sono imposti a settori vitali come sanità, istruzione, enti locali? È una domanda non acrimoniosa, che nulla disconosce dell’impegno della Chiesa per i più deboli. “
“Oggi, la Chiesa ufficiale, quella del Vaticano e della Cei, è un potente sostegno al potere politico, qui da noi. E davanti a una mobilitazione della pubblica opinione, arcistufa dei privilegi fiscali che quel potere ha concesso al sistema ecclesiastico (una “leggenda nera”, secondo il quotidiano dei vescovi), il tirare in ballo il potere occulto della Massoneria suona a dir poco grottesco. Davvero, come ha scritto Avvenire, si tratta di “Qualcosa che impressiona””
“Impressionante la realtà dell’evasione fiscale. Impressionante la disattenzione verso quell’immenso e bistrattato valore e quella portentosa (ma non inesauribile) risorsa che è la famiglia, e la famiglia con figli. Impressionante la campagna politico-mediatica che è stata scatenata contro la Chiesa per il solo fatto di aver detto tutto questo”

.

27 agosto 2011

 

“è anche vero che spesso non c’è trasparenza nella gestione di tutte le risorse materiali della Chiesa cattolica. Un dibattito aperto e partecipato sulle scelte che è possibile operare e sui criteri da seguire alla luce del Vangelo sarebbe un passo importante.”
“Senza grandi gesti, in realtà, basterebbe che l’8×1000 fosse calcolato esattamente per il gettito che dà”
premesso tutto quanto già sta facendo per fronteggiare la crisi e le ragioni dell’attuale regime fiscale, è immaginabile qualche gesto simbolico e liberamente scelto da parte della Chiesa italiana per contribuire al risanamento del debito pubblico?
“Freneticamente alla ricerca di unità d’azione nel luglio scorso, l’associazionismo cattolico si è ammutolito dopo il decreto anticrisi. Eppure ci sarebbe molto da dire da parte cattolica sullo svuotamento dell’art.18 dello statuto dei lavoratori, sull’evasione fiscale, sui costi della politica. Stupisce particolarmente il silenzio sullo scardinamento – attraverso l’articolo 8 del decreto – del principio della “giusta causa” nei licenziamenti…”
“E’ in giuoco quell’impresa di riappropriazione “pubblica” dei “beni comuni” (al plurale) che pure è stata da più parti segnalata come l’indice di un vento nuovo fatto di insperata coscienza politica e di desiderio di partecipazione” “non va mollata la presa sul tema dei “beni comuni” come tessere di quel più vasto mosaico che è il massimo bene umano possibile, da realizzare non con la delega in bianco a qualcuno ma con il concorso consapevole e il controllo assiduo di tutti.”

26 agosto 2011

 

“”Possiamo rassicurare tutti, compreso Pierluigi Bersani: le mense della Caritas non si toccano e rimarranno esenti dalle fiscalità come del resto tutte le associazioni di assistenza e beneficenza”.” “L’intento del partito di Marco Pannella è quello di far abolire gli sgravi per le attività commerciali svolte da enti ecclesiastici, come per l’appunto quelle ricettivo-turistiche, assistenziali, ricreative, sportive e sanitarie, “equiparandoli a chi fa le stesse cose senza insegna religiosa””
“A questi ricchi italiani non si chiede la metà in solidarietà, ma solo un piccolo contribuito. E se hanno frodato il Fisco non si chiede loro il quadruplo, ma solo il giusto. Quella di Zaccheo è stata una conversione miracolosa. A questi ricchi si chiede solo una conversione all’equità e alla solidarietà semplicemente umane e all’osservanza delle leggi” “… Se n’è accorta finalmente anche la Conferenza episcopale italiana…”
“Anziché tassare i patrimoni dei ricchi, coloro ai quali anche un forte prelievo fiscale non cambierebbe la vita, s’è preferito colpire quell’ammortizzatore sociale italiano per eccellenza che è la famiglia. Unico vero patrimonio del Paese”

 

 

 

Il triplice richiamo del Presidente della CEI


il ruolo educativo della famiglia, la responsabilità educativa della società, il servizio della carità

.
La solennità della Madonna della Guardia ha offerto al Cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, l’occasione per un triplice intervento in ideale continuità: dall’omelia di domenica 28 a quelle di lunedì 29 agosto.
Schematicamente, il primo contributo è stato incentrato sulla famiglia e sull’indispensabile ruolo educativo dei genitori (“lo Stato, che di per sé deve difendere e costruire il bene comune, ha il compito grave di salvaguardare e di promuovere il bene primario della famiglia, per cui un uomo e una donna si scelgono nell’amore e si consacrano totalmente e per sempre l’uno all’altra con il vincolo del matrimonio”); il secondo, sulla responsabilità educativa della società, per cui il Cardinale ha posto con forza la questione morale in politica (“Non si tratta in primo luogo di fare diversamente, ma di pensare diversamente, in modo più vero e nobile se si vuole purificare l’aria, e i nostri giovani non siano avvelenati nello spirito”); infine, sul servizio della carità (“La Chiesa – attraverso le innumerevoli opere di carità a servizio dei deboli e dei poveri – non solo viene in soccorso alle tante fragilità umane, ma mette in atto delle vere scuole di umanità e di fede, dove i discepoli sono lo stuolo degli operatori e dei volontari, spesso giovani e giovanissimi, che con gioia e dedizione aiutano i bisognosi, toccano con mano la complessità della vita, imparano ad amare nel segno del dono di sé senza nulla pretendere”).

file attached Omelia Guardia 28 agosto
file attached Omelia Guardia, 29 agosto pomeriggio.doc
file attached Omelia Guardia, 29 agosto 2011.doc

 


I richiami e le indicazioni di Bagnasco

Alle radici del bene comune

 

La crisi che viviamo in questo periodo provoca interrogativi, ansietà, che investono le basi stesse del bene comune, le motivazioni di quel crescere insieme che sentiamo messo a rischio dalla crisi economica, dallo scollamento tra principi etici fondamentali e una realtà che va in direzione opposta. Con le omelie pronunciate al Santuario della Madonna della Guardia, il Cardinale Angelo Bagnasco, ha offerto un cammino di riflessione sul tema dell’incertezza che si sta insinuando sul nostro futuro, su quello dei nostri giovani, dei ragazzi, che si va facendo opaco. Radice essenziale della società umana è il valore della famiglia, fonte insostituibile della formazione delle nuove generazioni, che è messo in discussione da chi nega la sua  centralità. La famiglia rappresenta la roccia su cui costruiamo la nostra umanità e le scienze psicologiche da sempre vedono nella sua solidità, nell’affetto dei genitori, nel legame tra le sue componenti, la base insostituibile per la gioia, la capacità di crescere, affrontare la vita, che si trasmette ai giovani. Chiunque pensi alla propria famiglia, ha osservato Angelo Bagnasco, sente come un’onda di calore che lo avvolge, ricorda la forza dei sentimenti che hanno alimentato i suoi primi anni, l’hanno introdotto alla vita. Lo Stato non può essere indifferente all’identità della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, perché ciò vorrebbe dire indifferenza verso la società che si vuole edificare, porre le basi di una disgregazione del tessuto umano che colpisce soprattutto i giovani, che devono ancora farsi come esseri umani pieni e completi.

I principi cui deve ispirarsi la nostra vita chiedono però rispondenza nella società degli adulti. Molti si accorgono oggi con stupore quanto sia fondato il magistero pontificio, di Benedetto XVI in particolare, sui valori di onestà, probità, sobrietà, che devono segnare l’esperienza umana; se ne accorgono perché toccano con mano che essi sono degradati, sfigurati, da una visione utilitarista pronta a cancellare la dimensione etica lasciando che ciascuno operi come meglio gli aggrada. Sociologia, letteratura, cinema, ci dicono invece ad ogni pié sospinto, che il modello che rischia di prevalere nelle nostra società è il modello di chi è più forte, scaltro, persino furbo; ma la crisi e l’ansietà per il futuro che stiamo vivendo ci mostrano quanto sia fallace questo modello, ci dicono che «la vita non è di chi se la gode», e «il successo del potere e dell’affermazione personale – anche a prezzo della propria onestà – non porta lontano»: perché dietro l’angolo spunta la corruzione che pervade la società, corrompe i rapporti umani, provoca danno a tutti. Il Cardinale Bagnasco richiama alla coerenza, invita tutti a fare la propria parte, non fingere che si possa essere bravi e disonesti insieme, capaci e scaltri allo stesso tempo; occorre promuovere «un ambiente di vita, un orizzonte di modelli, un clima respirabile di valori, un humus comune, dove l’apparenza, il raggiro, la corruzione non la spuntano, la disonestà non è la regola esibita e compiaciuta». Nessuno può chiamarsi fuori, tanto meno coloro che hanno responsabilità nella vita pubblica, i cui comportamenti sono importanti perché si «possa pensare diversamente, in modo più vero e nobile, se si vuole purificare l’aria, e i nostri giovani non siano avvelenati nello spirito».

Il Cardinale Angelo Bagnasco ha completato il cammino di riflessione delineando il ruolo e la funzione che la “carità”, cioè il dono di sé stessi agli altri, svolge nella società. Lo Stato ha l’importante compito di fare e creare giustizia, ma la giustizia non basta a soddisfare i bisogni più profondi dell’uomo. L’essere umano chiede rapporti autentici, di solidarietà profonda, con gli altri, sostegno non solo materiale, e il cristianesimo ha introdotto nella storia l’amore per il prossimo come categoria nuova che comprende ma supera la giustizia, dona qualcosa di più che nessuna legge può dare. I giovani comprendono quasi istintivamente la categoria della carità cristiana, perché vi vedono realizzata la propensione all’amicizia, alla gioia di donare senza nulla chiedere; la carità ha sempre rappresentato un grande vantaggio per lo Stato, realizzando gratuitamente ciò che le strutture pubbliche non sono in grado di fare; ma contiene un tesoro più grande, perché chi la attua supera d’incanto i vizi e le colpe d’egoismo di cui soffriamo oggi, offre un esempio di virtù e abnegazione che esalta l’uomo e propone agli altri una alternativa di vita di cui tutti avvertono, nella coscienza, il fascino.

Carlo Cardia

.

Alcuni commenti dalla Stampa

 

“«So bene – ha detto Bagnasco… – che il compito è arduo perché si tratta di intaccare consuetudini e interessi vetusti»… ha parlato di «reazione di disgusto» della gente semplice nei confronti, in politica, di «stili non esemplari che sono la norma»… Il vero uomo, ha detto il cardinale, non è quello che ha potere e denaro: «I giovani non vogliono essere ingannati»…”
“Per combattere la corruzione, tornata a galla nelle cronache di questi giorni, bisogna far capire con l’esempio che cos’è il valore della verità… essa va richiesta in modo particolare a coloro che costituiscono, per ruolo o visibilità, modelli di comportamento, [ma] è necessario interrogare in primo luogo se stessi… se abbiamo… la determinazione… di cercare al di là dell’apparenza, di fare fatica. Se si ha voglia, in sintesi, di essere consapevoli o servi”
“Impressionante la realtà dell’evasione fiscale. Impressionante la disattenzione verso quell’immenso e bistrattato valore e quella portentosa (ma non inesauribile) risorsa che è la famiglia, e la famiglia con figli. Impressionante la campagna politico-mediatica che è stata scatenata contro la Chiesa per il solo fatto di aver detto tutto questo”

Quei giovani dal Papa che sanno scuotere le nostre paure e le fughe nel privato

Un mare di giovani provenienti da tutto il mondo (si calcola che ai momenti di incontro con Papa Benedetto XVI siano stati oltre un milione e mezzo, di cui più di centomila gli italiani).

Una folla gioiosa e festante per le vie di Madrid. Una stupenda tavolozza di colori, di bandiere, di magliette, di volti, un coro di voci di ogni genere, un fiume in piena di canti, di parole, di risate. E poi, quegli stessi giovani raccolti nel silenzio prolungato dei momenti di adorazione, attenti e riflessivi nei tempi delle catechesi, spontanei e generosi, stanchi e felici, pronti sempre a  ricominciare la giornata con entusiasmo. E noi, vescovi e sacerdoti, educatori e catechisti, insieme con loro, a condividere cibo ed esperienze, testimonianza e fatica, fede e gioia profonde, sin dai giorni dei cosiddetti “gemellaggi” nelle principali città della Spagna. Tutto questo e molto di più è stata la XXVI Giornata Mondiale della Gioventù (GMG), tenutasi nella capitale spagnola in questo agosto infuocato. Alcuni media hanno dato evidenza a qualche chiassosa contestazione di “laicisti” radicali (certamente non “laici”, se con questo termine si vuole intendere la  posizione di chi rispetta tutte le posizioni e le identità): la violenza verbale (e talvolta non solo) di qualche scalmanato ha trovato la sua smentita migliore nella risposta del tutto non violenta e serena dei giovani, che hanno semplicemente continuato a cantare, testimoniando gioia e amicizia, simpatia e bellezza della loro scelta di fede.


Stando con questi ragazzi, parlando loro con fiducia e trasparenza, ascoltandoli e vedendoli nei tanti momenti di incontro, non ho potuto non chiedermi quale messaggio venga da loro a tutti noi e alla nostra Europa in crisi economica e morale. Provo a dare qualche risposta, certo però  che ciò che si è vissuto in questi giorni a Madrid ha un potenziale di vita e di speranza ben più grande di quanto immediatamente si possa rilevare. In primo luogo questi ragazzi hanno saputo testimoniare che libertà e impegno non solo non si oppongono, ma sono l’una il volto dell’altro: se si pensa ai sacrifici che hanno affrontato (dormendo per giorni in sacco a pelo nelle condizioni anche più proibitive, e mangiando in una maniera che definire sobria è già molto…) e alla gioia con cui li hanno vissuti, ci si rende conto che nessuno avrebbe potuto costringerli a tanto se non ci fosse stata in ciascuno una scelta libera e consapevole di volerci essere. Qui sta la bellezza dei cammini di preparazione che hanno portato questi ragazzi a vivere la GMG, ma qui emerge anche la straordinaria capacità dei nostri giovani di saper fare scelte consapevoli e responsabili di impegno e di dedizione. Vedendoli, mi è venuta tante volte in mente la frase fulminante di Paul Ricoeur a proposito del rapporto fra libertà e necessità: “C’est l’amour qui oblige”. Solo per amore si fa liberamente quello che nessun obbligo esteriore e nessun oro del mondo potrebbe portarti a fare.


Una seconda impressione che ho ricevuto da questi giovani è quella della loro trasparenza, della lealtà e della limpidezza dei loro occhi, dei loro sguardi, del loro cuore. Il loro stare insieme in un clima di amicizia semplice e festoso, dimostra come tanti, veramente tanti giovani di oggi siano molto migliori di come qualcuno vorrebbe dipingerli nel loro insieme. Di fronte allo scenario della politica non solo nostrana, che  suscita tante volte disaffezione e perfino disgusto, soprattutto quando si sente dai responsabili della cosa pubblica l’appello alla solidarietà e alla rinuncia senza vederne le conseguenze nella vita e nello stile propri di chi queste rinunce le chiede, questi ragazzi sono una sfida vivente a credere che un mondo diverso e migliore sia non solo possibile, ma necessario e urgente. Nel volto e nel cuore di questi ragazzi la speranza torna a essere l’anticipazione militante dell’avvenire, la passione per ciò che è possibile e bello per tutti, l’inizio di quel mondo nuovo che tira nel presente degli uomini qualcosa della bellezza del futuro promesso di Dio.


Infine, è la radice profonda del comportamento dei giovani a Madrid che mi sembra debba far pensare tutti: essi ci sono andati per ascoltare parole forti, tutt’altro che accomodanti, come quelle che Benedetto XVI sa dire con la sua intelligenza e la fede del suo cuore. Il loro ascolto, il loro entusiasmo li ha accomunati al di là delle differenze e perfino delle distanze di lingue, di culture, di condizioni sociali e politiche, dimostrazione ineccepibile di come il Vangelo sia ancora oggi e forse ancor più che in altri momenti della storia buona novella per amare, sperare e dare la vita per gli altri. E il Vangelo è sfida e dono a vivere quell’esodo da sé senza ritorno in cui consiste propriamente l’amore: un amore certo impossibile alle sole capacità umane, ma che diventa possibile con la grazia di Dio. Questo possibile, impossibile amore hanno incontrato e annunciato i giovani convenuti a Madrid: l’alternativa al vuoto di valori, all’assenza di senso, all’evasione egoistica e inconsistente, esiste, ed è l’impegno di amore al servizio del bene comune, sostenuto dalla fede e dall’amore che il Dio crocifisso ha offerto alla storia di tutti.

Mi chiedo se da questi giovani non venga a tutti noi una proposta capace di scuotere le nostre paure, i nostri calcoli mediocri, le nostre fughe nel privato. La proposta di un Dio più che mai giovane, attuale e necessario come giovane e necessario è per tutti l’amore, per vivere e dare senso e bellezza alla vita.

in “Il Sole 24 Ore” del 21 agosto 2011


Le parole del Papa



I testi integrali dei discorsi e delle omelie di Benedetto XVI alla Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid, nel sito del Vaticano:   > JMJ 2011 Madrid


GMG di Madrid online!
Racconta live la tua esperienza



iGMG è un’applicazione creata in occasione della Giornata Mondiale delle Gioventù 2011 di Madrid. Ricca di contenuti audio e video sarà la tua compagna di viaggio in questo evento popolato da giovani di tutto il mondo. All’interno di questa applicazione troverai un diario giornaliero che ti permetterà di appuntare, giorno per giorno, i luoghi visitati, le esperienze vissute, una piccola riflessione; inoltre potrai aggiungere gli amici conosciuti, scattare foto o registrare dei video e tenerli “inseriti” nella giornata in modo che questi momenti diventino ricordi indelebili della tua vita. Sarà possibile anche condividere tutto ciò sulla tua bacheca di Facebook.

Guarda l’articolo – 6/07/2011

La prossima GMG da Madir a Rio de Janeiro



Da Madrid il cuore guarda già a Rio de Janeiro, dove si svolgerà la prossima Giornata Mondiale della Gioventù, dal 23 al 28 luglio 2013.
Nell’udienza generale di mercoledì 24 agosto, il Papa ne ha presentato anche il tema, tolto dal Vangelo: “Andate e fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19).
Con ancora negli occhi e nel cuore la “formidabile esperienza di fraternità e di incontro con il Signore, di condivisione e di crescita nella fede” vissuta tra i circa due milioni di giovani di tutto il mondo che hanno partecipato alla Gmg di Madrid, il Papa ha voluto immediatamente avviare la preparazione del prossimo appuntamentio che avrà una tappa significativa nella prossima domenica delle Palme, quando la Gmg sarà celebrata a livello diocesano attorno all’espressione paolina “Siate sempre lieti nel Signore” (Fil 4,4).
Ripercorrendo i momenti delle giornate di Madrid – “un grande dono” – Benedetto XVI ha espresso le emozioni suscitate dall’entusiasmo con il quale i giovani e la Spagna lo hanno accolto e accompagnato fino alla celebrazione conclusiva, avvenuta domenica scorsa, 21 agosto.
L’impressione più viva che il Papa ha detto di conservare “con gioia nel cuore” è quella che hanno saputo suscitare i circa due milioni di giovani presenti, con la loro disponibilità a portare nel mondo “la speranza che nasce dalla fede”.

Dopo Madrid.

Come Benedetto XVI ha innovato le GMG


Sono almeno tre le novità che con questo papa caratterizzano le Giornate Mondiali della Gioventù:

gli spazi di silenzio, l’età giovanissima, la passione di testimoniare la fede nel mondo.Dopo ogni suo viaggio fuori d’Italia, Benedetto XVI ama tracciarne un bilancio nell’udienza generale del mercoledì successivo.

Fece così dopo la Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia, nell’agosto del 2005:

> Riflessione sul pellegrinaggio a Colonia

Non lo fece invece tre anni dopo, di ritorno da Sydney, perché era luglio e in questo mese le udienze generali sono sospese. Ma il papa commentò più tardi quella sua trasferta australiana nel discorso che tenne alla curia romana per gli auguri di Natale del 2008, riprodotto in questo recente servizio di www.chiesa:

> A Madrid risplende una stella

Questa volta, di ritorno da Madrid, ecco la riflessione che mercoledì 24 agosto Benedetto XVI ha dedicato alla terza Giornata Mondiale della Gioventù del suo pontificato:

> “Oggi vorrei riandare brevemente con il pensiero…”

Da questa e dalle sue precedenti riflessioni, è evidente che Benedetto XVI vede le Giornate Mondiali della Gioventù come un momento saliente della sua missione di successore di Pietro.

A una semplice osservazione esterna, questi ultimi raduni mondiali manifestano almeno tre caratteri distintivi e nuovi, che a Madrid sono apparsi con particolare visibilità.

*

Il primo è il silenzio. Un silenzio prolungato, intensissimo, che cala nei momenti chiave, in una marea di giovani che fino a subito prima esplodevano di gioia festante.

La Via Crucis è uno di questi momenti. Un altro, ancor più impressionante, è quello dell’adorazione dell’ostia santa durante la veglia notturna. Un terzo è stato quello della comunione durante la messa conclusiva.

L’adorazione silenziosa dell’ostia santa è un’innovazione introdotta nelle Giornate Mondiali della Gioventù da Benedetto XVI. Il papa si inginocchia e con lui si inginocchiano sulla nuda terra centinaia di migliaia di giovani. Tutti protesi non al papa ma a quel “nostro pane quotidiano” che è Gesù.

Il violento scroscio temporalesco che a Madrid ha preceduto l’adorazione eucaristica, creando notevole scompiglio, ha reso ancor più impressionante l’irrompere di tale silenzio. E altrettanto è accaduto la mattina dopo, nella messa. L’inaspettata cancellazione della distribuzione della comunione – per non chiarite ragioni di sicurezza – non ha prodotto disordine e distrazione nella distesa sterminata dei giovani ma, al contrario, un silenzio di compostezza e intensità sorprendenti, una “comunione spirituale” di massa di cui non si ricordano precedenti.

*

Un secondo carattere distintivo di quest’ultima Giornata Mondiale della Gioventù è l’età media molto bassa dei convenuti, 22 anni.

Questo significa che molti di essi vi hanno preso parte per la prima volta. Il loro papa è Benedetto XVI, non Giovanni Paolo II, che hanno conosciuto solo da bambini. Essi sono parte di una generazione di giovani e giovanissimi molto esposta a una cultura secolarizzata. Ma sono nello stesso tempo il segnale che le domande su Dio e i destini ultimi sono vive e presenti anche in questa generazione. E ciò che muove questi giovani sono proprio queste domande, alle quali un papa come Benedetto XVI offre risposte semplici eppure potentemente impegnative e attrattive.

I veterani delle Giornate Mondiali della Gioventù c’erano, a Madrid. Ma soprattutto tra le decine di migliaia di volontari che si sono prestati per l’organizzazione. O tra i numerosi sacerdoti e religiose che hanno accompagnato i giovani, e le cui vocazioni sono sbocciate proprio in precedenti Giornate Mondiali della Gioventù. È ormai assodato che questi appuntamenti sono un vivaio per le future leadership delle comunità cattoliche nel mondo.

*

Un terzo carattere distintivo è la proiezione “ad extra” di questi giovani. A loro non interessano affatto le battaglie interne alla Chiesa per un suo ammodernamento al passo con i tempi. Sono lontani anni luce dal “cahier de doléances” di certi loro fratelli maggiori: per i preti sposati, per le donne prete, per la comunione ai divorziati risposati, per l’elezione popolare dei vescovi, per la democrazia nella Chiesa, eccetera eccetera.

Per loro, tutto questo è irrilevante. A loro basta essere cattolici come papa Benedetto fa vedere e capire. Senza diversivi, senza sconti. Se alto è il prezzo con il quale siamo stati salvati, il sangue di Cristo, alta dev’essere anche l’offerta di vita dei veri cristiani.

Non è la riorganizzazione interna della Chiesa, ma la passione di testimoniare la fede nel mondo a muovere questi giovani. Il papa glielo stava per dire con queste parole, nel discorso interrotto dal temporale:

“Cari amici, non abbiate paura del mondo, né del futuro, né della vostra debolezza. Il Signore vi ha concesso di vivere in questo momento della storia, perché grazie alla vostra fede continui a risuonare il suo nome in tutta la terra”.

Il vaticanista americano John L. Allen ha definito i giovani convenuti a Madrid “Evangelical Catholics”:

> Big Picture at World Youth Day: ‘It’s the Evangelicals, stupid!’

__________

La nota di Catholic News Service a proposito della “comunione spirituale” durante la messa conclusiva:

> ‘Spiritual Communion’: Youths learn a traditional concept the hard way

__________

Su un’altra innovazione introdotta da Benedetto XVI nell’ultima Giornata Mondiale della Gioventù:

> Papa Benedetto confessore. L’esordio a Madrid

__________

di Sandro Magister


Altri contributi sulla GMG:

26 agosto 2011

“Un ebreo, Benjamin, due musulmane, Farah e Dieynaba, degli scout col fazzolettone, dei membri del Movimento eucaristico dei giovani, dei fan di Taizé, degli accompagnatori di giovani nella loro diocesi, una persona convertita da poche settimane… I giovani del gruppo Coexister hanno passato la settimana a Madrid. Alla GMG, hanno fatto molti incontri che hanno portato a grandi dibattiti: con i giovani cristiani del mondo intero, ma anche tra loro”
“È molto difficile esprimere una valutazione della GMG da poco terminata a Madrid in questo mese d’agosto 2011, appena scesi dal pullman di ritorno da Madrid… desideravo sostenere e accompagnare i giovani dell’associazione Coexister che avevano deciso di parteciparvi insieme, cattolici, musulmani ed ebrei”

24 agosto 2011

L’arcivescovo di Madrid: «Il Papa si è comportato come un padre, ha voluto incontrare tutti. Abbiamo sperimentato l’espressione concreta della comunione». Yago de la Cierva: nelle difficoltà i ragazzi sono stati un esempio di civiltà.

Annuncio vocazionale che vince la mediocrità di Antonello Mura

– Madrid rilancia l’evangelizzazione

– E anche l’economia sorride

22 agosto 2011

“La massa di ragazzi convenuta dai cinque continenti e da ben 193 Paesi, nonostante prima l’afa, poi la tempesta, quindi la mancanza d’acqua e poi una notte quasi insonne, hanno accolto con gioia e passione ancora ieri mattina Benedetto XVI nell’immenso campo attorno alla base aerea… Per molti osservatori il Papa è uscito dalla Spagna non solo con un successo rafforzato di immagine, ma anche con un risultato politico concreto”
“«Se Dio è buono, perché mi ha caricato di così tanto dolore», chiede il giovane cattolico Pablo, dopo aver visto due milioni di suoi coetanei, cantare e pregare per eccesso di gioia”

21 agosto 2011

Dal Rapporto del Censis emerge un volto dei giovani italiani di oggi ben diverso: “non hanno alcuna fiducia nella lotta collettiva per cambiare il mondo e dunque preferiscono adattarsi.”
“Il mondo va a rotoli, l’Europa barcolla, lo spettro del collasso dell’economia aleggia nel Vecchio Continente, il futuro è incerto soprattutto per le giovani generazioni, ma nell’ultima settimana Madrid è stata pacificamente invasa da un pezzo di umanità che non sembra segnata dalla paura e dal pessimismo”

20 agosto 2011

“Tra questi Antonio, pugliese che studia a Roma, e che tutti i venerdì sera distribuisce la cena alla persone che vivono per strada a Porta Pia. E Irene, al terzo anno di liceo, che a Novara si occupa del catechismo ai bambini rom. E Lena, che ad Anversa tutti i sabati fa un doposcuola per bambini di diverse nazionalità per favorire l’integrazione. Il Papa li ha guardati e benedetti tutti.”
“…Poi però parli con loro (senza microfono) e scopri che le preoccupazioni ci sono, e ci sono anche le sofferenze; c’è a volte la malattia, c’è il senso di precarietà causato dalla mancanza di lavoro. Ma non c’è angoscia. C’è, al contrario, una profonda fiducia nell’uomo e nelle sue risorse, perché tutti vivono una fede che non è fondata su una teoria o su una filosofia. Dicono di aver fatto l’incontro che ha cambiato la loro vita.”
.
.

19 agosto 2011

Benedetto XVI e la verità. “E’ nel dialogo, è nell’incontro con l’alterità che ci si accosta alla verità. Lì imparo a non vedere me stesso e le mie idee come il tutto, come un assoluto. Senza questo atteggiamento, la religione diventa ideologia. Un atteggiamento che, se applicato fino in fondo, avrebbe secondo me conseguenze di vasta portata nella Chiesa cattolica.”
“La Giornata mondiale umanitaria, celebrata oggi, rappresenta un’opportunità per esprimere il nostro apprezzamento e gratitudine per le donne e gli uomini che lavorano in condizioni difficili e, talvolta, pericolose e che dedicano il loro lavoro e le loro vite al servizio dell’umanità”
“Chiede loro [ai giovani] di non cedere «agli impulsi ciechi ed egoisti, alle proposte che lusingano, ma che… lasciano il vuoto»… Nella terra del laico Zapatero mette in guardia da coloro che… si arrogano il diritto di decidere ciò che è la verità, il bene e il male, ciò che giusto o ingiusto, sino a chi è degno di vivere e chi no… la polemica del Papa non è diretta. Non spinge ad uno scontro ideologico con la cultura laica. Rivendica il contributo positivo dei valori cristiani”
“resta particolarmente importante chiarire cosa s´intenda qui con fatto religioso. Perché alcuni dei ragazzi che partecipano alla Giornata non sono credenti; come non tutti coloro che rompono le vetrine sono criminali o tutti coloro che gridano libertà sono democratici… in definitiva, ad attirare tanti giovani a radunarsi è unicamente la razionalità del sacro, un desiderio di ascoltare la verità e di far parlare la coscienza”
“Guardando i volti dei cinquemila autoconvocati dei centri sociali, dei partiti comunista e repubblicano, delle associazioni laiche come anche dei cristiani di base e di altre associazioni cattoliche fermamente contrarie all’opulenza del cerimoniale approntato, e confrontandoli con quelli dei gruppi di pellegrini, fedeli e scout raccolti per festeggiare Benedetto XVI si ha l’impressione di guardare le stesse persone, due facce della stessa medaglia.”
” non è fatta di “bambini papalini” la gioventù che arriva alle Giornate. È’ uno spaccato di carne viva di una generazione (o di una fascia di generazione), che cerca solidarietà, fraternità, autenticità di valori e il difficile dialogo con quel soggetto misterioso chiamato Dio” Ma “Nessuno vuole mai ascoltarli (i giovani) su come loro vorrebbero vedere la Chiesa nel terzo millennio. Vescovi, cardinali e papi li considerano come persone da “orientare”.

18 agosto 2011

“La sera di mercoledì 17 agosto erano parecchie migliaia i partecipanti alla marcia organizzata da più di un centinaio di associazioni di laici, atei e cristiani progressisti, appoggiati dagli “indignati” per denunciare il costo delle Giornate Mondiali della Gioventù (GMG), che si svolgono a Madrid a partire dal 15 agosto.””
“Buenos catolicos y catolicas usan preservativos” “spiace vedere giovani cattolici (quelli con la maglietta rossa e quelli con lo zainetto) non entrare in dialogo e restare separati per una questione di idee. In mezzo ai tanti incontri e alle tante catechesi che si tengono in questi giorni, forse non sarebbe stato male organizzare anche una tavola rotonda…” (ndr.: finalmente un giornalista che fa il suo mestiere: informa e riflette)
“La “profezia” di questa Gmg2011, celebrata solo otto mesi dopo la conclusione di quel 2010 che nella storia della Chiesa verrà certamente ricordato come “l’anno zero” dell’istituzione clericale, consiste anche in quel milione e mezzo di famiglie che, inviando i loro figli poco più adolescenti a Madrid, dimostrano di fidarsi ancora del cattolicesimo. Perché hanno un Papa che, quando parla, è umile e dice sempre la verità.”(ndr.: Non è solo Gesù Cristo la via la verità e la vita? l’enfasi sui numeri sa tanto di prova muscolare più che di prova evangelica)
“Bisogna affrontare il problema con saggezza e prudenza, ma non si può fare finta di niente e accantonare l’intera questione come accaduto negli ultimi anni. Con una crisi sempre più prepotente e in una società così precaria è pericoloso se le persone si sentono escluse, e Londra non è poi così lontana…”
“Può la Chiesa italiana rifiutarsi di affrontare nella fase attuale la questione dell’8 per mille, che pesa sul bilancio dello stato per oltre mille milioni?” “La via maestra, la più dignitosa per la Chiesa, è che la Cei nella seduta del suo prossimo Consiglio permanente a settembre annunci di lasciare allo Stato una quota cospicua dei finanziamenti”.
.
.

17 agosto 2011

“Per alcuni atei, il mantenere l’identità europea sarebbe un motivo sufficiente per mettere da parte la lunga inimicizia tra loro e le chiese””a differenza degli Stati Uniti – dove le dispute fra atei e credenti sono aspre e persistenti – in Europa i non credenti conservatori hanno trovato alleati pronti in alcuni leader religiosi del continente, in particolare in papa Benedetto XVI”
“Pur mostrandosi all’attacco per quanto riguarda il posto del cattolicesimo in Spagna, il cardinale Antonio Maria Rouco Varela ha fatto molta attenzione a non esprimere critiche nei confronti del governo socialista e a non ricordare le leggi contro le quali la Chiesa si è levata in questi ultimi anni, come il matrimonio omosessuale o la liberalizzazione dell’aborto. Una netta differenza rispetto ad altri discorsi od omelie sentite nel passato”
“il 75% della popolazione spagnola continua a dichiararsi cattolico (tra i giovani il 53%)… ma solo il 15% degli spagnoli va a messa “quasi tutte le domeniche” (tra i giovani il 9%)… Evaristo Villar, prete e teologo… portavoce dell’associazione Redes cristianas (reti cristiane) che parteciperà ad una manifestazione contro la celebrazione delle GMG: “La separazione del trono e dell’altare fa parte del messaggio di Cristo. Ora, la gerarchia cattolica della Chiesa spagnola, che gode di molte sovvenzioni, fa troppa politica e assume posizioni retrograde che dimostrano le sue reticenze a modernizzarsi””
“da Papa teologo ha cercato di trasmettere con immagini vive ai ragazzi della GMG i misteri della fede cattolica, come quando a Colonia, sei anni fa, paragonò il cambiamento che avviene nella consacrazione eucaristica alla fissione nucleare” (ndr.:Non mi sembra che il neoediorialista della Stampa, già vaticanista del Giornale, abbia scelto l’esempio migliore. I misteri della fede non hanno bisogno di queste pseudodelucidazioni scientifiche, che hanno l’effetto di confondere più che di chiarire. Utilizzare poi la fissione nucleare, la rottura del nucleo di un atomo, per “spiegare” l’eucaristia, cioè l’espressione della massima unione possibile, del massimo amore, è davvero troppo. Non è oltretutto un’idea originale, già utilizzata da altri nel passato per “spiegare” l’immagine della sindone, suscitando giustificata ilarità. Un maggiore spirito critico non guasterebbe)



Una grammatica per dialogare

«Non ritenere vittoria l’usare la violenza contro una forma di culto o un’opinione. Farai dunque così: cesserai di polemizzare con gli altri e parlerai della verità in modo che tutte le cose dette siano inattaccabili… Io sono consapevole di non avere mai polemizzato contro greci o altri, perché penso sia  sufficiente, per uomini onesti, poter conoscere ed esporre il vero in se stesso… Ciascuno infatti afferma di possedere la moneta regale, ma in realtà ha forse appena l’immagine ingannevole di una particella di verità». Milleduecento anni prima che Voltaire intonasse il suo inno alla tolleranza (per altro rivolto in forma orante al «Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi e dei tempi»), tra il V e il VI secolo, un oscuro monaco nascosto sotto lo pseudonimo di Dionigi Areopagita intesseva questo programma di confronto teorico e personale, con l’orizzonte in cui era immerso, un programma concretizzato nei suoi scritti che si rivelavano come un’originale riformulazione della dottrina cristiana usando la strumentazione del pensiero neoplatonico. Siamo partiti così  lontano per proporre un tema che è iscritto nel Dna del cristianesimo, anche se spesso si sono assunti vigorosi anticorpi per estenuarne l’energia. Infatti, era già l’apostolo Pietro che ammoniva così i suoi interlocutori dell’Asia Minore nella prima delle due Lettere a noi giunte sotto il suo patronato: «Siate  pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi, ma questo sia fatto con dolcezza, rispetto e retta coscienza» (3, 15-16).


I nemici del dialogo – questo è appunto il tema a cui rimandavano san Pietro e lo Pseudo-Dionigi –sono molteplici e spesso antitetici tra loro. Da un lato, il fondamentalismo integrista che mette mano subito alla spada per un duello; d’altro lato, il sincretismo che gorgheggia in un duetto confuso e incolore. Da una parte, ecco la rigidità intellettuale scambiata per rigore; d’altra parte, l’approssimazione vaga che impedisce la pesatura delle argomentazioni,  perché sui piatti della bilancia si deposita solo nebbia o mucillagine ideologica. Certo, il dialogo è faticoso, talora arduo, anche perché – come suggerisce l’etimo stesso del vocabolo – è l’attraversamento (dià) di un lógos, ossia di un discorso scomponendone tutti i segmenti argomentativi e, se si vuole, è anche l’incrociarsi (dià) di due lógoi di matrice diversa se non opposta. Ai nostri giorni s’imbocca spesso la via in discesa dello scontro immediato, senza ascolto o verifica dell’altrui pensiero, nella tipica aggressività inconcludente e pirotecnica del talk-show televisivo. La forza dimostrativa più alta è nell’insulto («Capra, capra, capra…!») oppure nel più pacato ma sempre “esclusivo” asserto dello statista vittoriano Disraeli: «Il mio concetto di persona piacevole è quello di una persona che è d’accordo con me». La difficoltà del dialogo raggiunge picchi alti quando di mezzo sono le religioni con le loro concezioni dogmatiche e le loro concrezioni secolari: ci sono ormai volumi e volumi di documenti che attestano il costante e non di rado infruttuoso sforzo di un insonne dialogo interreligioso ed ecumenico.


Per non parlare poi del confronto all’interno della stessa singola confessione religiosa ove i conservatori scagliano anatemi contro chi, a loro avviso, cavalca oltre le frontiere dell’ortodossia e questi ultimi sbeffeggiano e scandalizzano quei tiratardi inconcludenti. Ecco perché è da tenere stretto tra le  mani il libro di un teologo francese, Jean-Marie Ploux, 74 anni, che – sulla base anche di una lunga esperienza pastorale – ha elaborato una sorta di  grammatica del dialogo come impegno irreversibile per il credente. La stessa sorgente della fede cristiana è proprio in un dialogo divino che squarcia il silenzio del nulla e che ha come interlocutore privilegiato la creatura umana.


Sulle tonalità differenti di questo colloquio, che ha appunto «in principio il Lógos» per usare il celebre incipit del Vangelo di Giovanni, si leggono in questo  saggio pagine illuminanti attorno a soggetti che ora elenchiamo soltanto: l’«ospite interiore», accettare la differenza, la libertà e la verità, il «paese  dell’altro», il rischio dell’incontro, la gratuità e così via. All’abbondante sequenza di lezioni, di regole, di eccezioni che questa grammatica ideale propone si  associano anche i capitoli degli «esercizi» pratici: l’incrocio con l’ebraismo, il Dio del Corano, il risveglio del buddhismo, il confronto con coloro che non credono in nessun Dio (un «esercizio», quest’ultimo, che mi coinvolge particolarmente attraverso il progetto di un «Cortile dei Gentili», simbolo giudaico destinato a illustrare il dialogo credenti-atei). Ma Ploux s’impegna anche a declinare i “casi” dell’incontro attorno ai nodi incandescenti della verità scientifica, etica e teologica. E il suo sguardo s’allunga fino ad Assisi, divenuta per merito del beato Giovanni Paolo II l’emblema del dialogo interreligioso e  che Benedetto XVI, il prossimo 27 ottobre, ha voluto riproporre come sede del convergere attorno alla verità e alla pace della folla dei credenti secondo le mille denominazioni, ma anche dei non credenti che s’interrogano sull’«oltre» e sull’«altro» rispetto al «qui» e al «se stessi».


La certezza e la speranza sono, alla fine, quelle che il poeta surrealista francese Paul Eluard ben esprimeva in alcuni suoi versi: «Non verremo alla meta a uno a uno / ma a due a due. / Se ci conosceremo a due a due, noi ci conosceremo / tutti, noi ci ameremo tutti e i figli / un giorno rideranno / della leggenda nera dove un uomo / lacrima in solitudine».


Jean-Marie Ploux, Il dialogo cambia la fede?, Qiqajon, Bose (Biella), pagg. 296, € 25,00


in “Il Sole 24 Ore” del 21 agosto 2011

Intimidazione e disinformazione sui cattolici


 

 

La chiesa e le tasse.

.

Che la denuncia del cardinale Angelo Bagnasco delle «impressionanti cifre dell’evasione fiscale» provocasse questa reazione da parte del segretario dei radicali italiani («il cardinale non può stigmatizzare l’evasione fiscale se prima non rinuncia alle agevolazioni ….») può non sorprendere, ma sorprende che sia stata ripresa in modo così clamoroso dalla rete e da tanta stampa. Mi sarei atteso invece parole di apprezzamento per una posizione netta e giusta, in un momento in cui il Paese sente di dovere preliminarmente condividere un giudizio morale solido su cui poggiare scelte e responsabilità politiche non elusive in primo luogo del dato di realtà.


Ne è seguita al contrario una aggressione alla Chiesa, di carattere oggettivamente intimidatorio, per di più fondata su una vera e propria disinformazione, utilizzata e intenzionalmente indotta. Intanto facendo confusione fra Vaticano e Chiesa italiana, ben sapendo che la competenza dello Stato italiano riguarda solo la seconda, essendo il primo un altro stato su cui non può interferire l’ordinamento tributario italiano.


Entriamo nel merito. Per quanto riguarda l’Ici si contesta la norma che prevede l’esenzione per gli immobili nei quali gli enti non commerciali svolgono attività «destinate esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, ….. (articolo 7, c1, lettera I del d.lgs. 30dicembre 1992, n. 504)». Gli immobili sono dunque esenti solo se utilizzati da enti non commerciali e se destinati totalmente all’esercizio esclusivo di una o più tra le attività indicate.


Si tratta di un’esenzione riservata non solo alla Chiesa cattolica, ma a tutte le confessioni e a tutti gli enti non commerciali come ad esempio le associazioni sportive dilettantistiche, le organizzazioni di volontariato, le onlus, le fondazioni, le proloco, le aziende sanitarie, e gli enti pubblici territoriali in genere. L’esenzione richiede che l’intero immobile sia destinato ad attività non commerciali (sono esclusi quindi alberghi, ristoranti, negozi, librerie) pena la perdita dell’agevolazione: non è vero dunque che basti inserire una cappella in un immobile per godere del beneficio.


Lo stesso discorso vale per l’Ires, nel senso che l’articolo 6 del dpr 60/1973 prevede l’esenzione per: a) gli enti di assistenza sociale, gli enti ospedalieri, eccetera; b) le scuole, le fondazioni, le accademie, gli istituti scientifici, eccetera; c) gli istituti per le case popolari.


Analogo ragionamento si deve fare per la stampa cattolica non destinataria di un contributo specifico ma di quanto è previsto per tutte le pubblicazioni dalla legge di sostegno all’editoria.


Ho voluto intenzionalmente rinunciare ad ogni valutazione sull’utilità sociale delle numerose attività assistenziali beneficiarie delle agevolazioni come la Caritas (mense, centri di assistenza, solidarietà internazionale) o la fittissima rete delle parrocchie (scuole per l’infanzia, assistenza agli anziani, o – per dire solo di un servizio divenuto oggi indispensabile per la generalità delle famiglie che non sanno a chi rivolgersi per la cura dei figli nel tempo  extrascolastico – i campi gioco estivi), che sollevano gli enti locali e lo Stato da spese ben superiori alle esenzioni di cui abbiamo parlato.


Mi sono limitato a contestare l’assurdità di una polemica costruita sul presupposto falso di un “privilegio” che non vedo, poiché le agevolazioni concesse a taluni immobili, come ho dimostrato, non riguardano solo gli enti ecclesiastici, ma la generalità delle istituzioni che non svolgono attività commerciali. E, allora, di cosa si sta discutendo?


in “l’Unità” del 22 agosto 2011

 

 

Contributi da Avvenire


Agevolazioni, ecco la verità
di Patrizia Clementi


Quelli che l’Ici
e la Chiesa cattolica

di Umberto Folena


Ici e Ires, i Radicali
insistono a sbagliare

di Umberto Folena