Netbook al posto dei libri di testo.
Succede all’istituto Pacioli, che diploma ragionieri, geometri e corrispondenti in lingue estere.
In tutto 1.600 studenti, che – da qui ai prossimi cinque anni – avranno tutti un loro computer e lasceranno lo zaino a casa.
La prima tranche di consegna, che ha riguardato le 15 classi prime, è avvenuta ieri mattina e di fatto segna un record per l’istituto scolastico cremasco: è il primo in Italia.
La dotazione sarà completa entro la fine di novembre.
Gli studenti che hanno iniziato a prendere confidenza con i loro netbook sono 430: da adesso in poi seguiranno le lezioni con il computer anzichè con il libro di testo.
Nella memoria di ogni portatile sono infatti stati caricati i contenuti didattici, messi a disposizione gratuitamente dalla scuola.
Libri di testo a casa, computer nello zaino.
L’obiettivo che si era prefissato il preside Giuseppe Strada giusto un anno fa, abbozzando il progetto dopo aver verificato di persona l’uso della nuova didattica che veniva fatta in scuole soprattutto all’estero.
Un anno di lavoro per individuare il fornitore e i fondi necessari.
Il risultato si è concretizzato ieri.
Per gli studenti, oltre alla novità che – assicurano – fungerà da stimolo, anche un risparmio.
Innanzitutto meno disagio: il volume dei libri di testo non è nemmeno da paragonare a quello di un net book e poi il minore esborso economico.
Certo, l’apparecchio viene pagato dagli studenti, ma a rate e a un prezzo scontato.
Computer che poi rimarrà in dotazione ai ragazzi.
E poi, come accennato, l’aspetto didattico, per nulla secondario.
I docenti sono certi che il metodo sarà più coinvolgente.
Le lezioni troveranno spiegazione attraverso un videoproiettore e una lavagna interattiva, ognuna per le 15 classi prime.
Quanto illustrato sarà poi memorizzato nel net book.
A casa, invece dei soliti e classici compiti, lo studente potrà scaricare il tutto e studiarselo.
La novità è stata accolta favorevolmente dagli allievi che già ieri mattina hanno iniziato a prendere confidenza con il nuovo metodo di insegnamento.
Novità che non è passata inosservata.
Altri istituti scolastici hanno preso informazioni sul progetto denominato «1×1» e che, fin dall’inizio, era stata considerata una sfida.
Vinta a quanto pare.
R.
Lom.
Categoria: Didattica
Credito formativo per l’IRC.
Con Ordinanza n.
4588 del 14 ottobre 2010 il Tar ha fissato al 20 dicembre prossimo la trattazione di merito del ricorso presentato alcuni mesi fa da una pluralità di soggetti laici contro l’ordinanza ministeriale n.
44/2010 sugli esami di Stato.
Promotori del ricorso, tra gli altri, la Consulta romana per la laicità delle istituzioni e altre associazioni laiche, il Cidi, il Coordinamento genitori democratici, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, la Tavola Valdese.
Motivo del contendere è il credito formativo riconosciuto a favore degli studenti che si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica e che va a integrare il credito scolastico assegnato dal consiglio di classe negli istituti di istruzione secondaria superiore in funzione dell’esame di Stato.
Il peso del credito formativo a favore degli studenti che si avvalgono dell’IRC era stato riconosciuto da un decreto del ministro Fioroni e confermato successivamente dal ministro Gelmini.
Già contestato nel 2009 con un precedente ricorso che aveva ottenuto la sospensiva da parte del Tar, poi cassata dal Consiglio di Stato, quel credito formativo era stato legittimato dal Regolamento sulla valutazione (dpr 122/2009) e quindi recuperato in pieno nella ordinanza per gli esami di Stato.
I ricorrenti hanno nuovamente impugnato la disposizione ottenendo, questa volta, una attenzione diversa da parte del Tar che con l’ordinanza 4588 del 14 ottobre scorso ha fissato l’udienza di merito, affermando che Considerato che da un primo sia pur sommario esame dei motivi di ricorso sono emersi profili favorevolmente apprezzabili, adeguatamente tutelabili a mezzo di una sollecita definizione nel merito.
Sul credito formativo riconosciuto all’IRC si profila, dunque, una sentenza di merito a favore dei ricorrenti con una probabile bocciatura (momentanea perché c’è sempre la possibilità di impugnare la sentenza davanti al Consiglio di Stato) che potrebbe aprire nuovamente una pesante polemica sull’insegnamento della religione cattolica.
tuttoscuola.com
La curia di Benedetto XVI.
L’imminente promozione del salesiano Massimo Palombella a nuovo direttore del coro della Cappella Sistina è l’ultima di una serie di nomine che hanno cambiato la faccia visibile della curia vaticana, nei cinque e più anni del pontificato di Joseph Ratzinger.
Di curie, infatti, attorno al papa ce ne sono due.
C’è quella che il grande pubblico vede poco, fatta dei dicasteri classici: la segreteria di stato, le congregazioni, i pontifici consigli.
Di questa curia sono pubbliche le decisioni finali, ma poco si vede e si sa del lavorio che precede tali decisioni.
Ma c’è anche una curia che per sua natura è più proiettata all’esterno e visibile.
È quella dei musei, della biblioteca, della cultura, della musica, dei media.
Molta parte dell’operato di quest’altra curia si svolge sotto gli occhi e il giudizio del grande pubblico.
Nella prima delle sue due curie Benedetto XVI ha compiuto anno dopo anno nomine di grande rilievo.
Alcune rivelatesi alla prova dei fatti inferiori alle attese: come quelle dei cardinali Cláudio Hummes e Ivan Dias alle congregazioni per il clero e per l’evangelizzazione dei popoli.
Un’altra di influenza capitale ma altalenante nei risultati e criticata da molti vescovi e conferenze episcopali: quella del cardinale Tarcisio Bertone alla segreteria di stato.
Altre ancora, recentissime, molto promettenti ma in attesa di una verifica: quelle del cardinale Marc Ouellet alla congregazione per i vescovi e dell’arcivescovo Kurt Koch all’ecumenismo.
Ma è nella seconda curia, quella più visibile e pubblica, che sono avvenute le variazioni più sensibili.
Anche qui con i pro e i contro.
* Nel campo dei media c’è stata anzitutto la nomina a direttore della sala stampa della Santa Sede del gesuita Federico Lombardi, il quale è anche direttore della radio e della tv vaticane.
Mentre il suo predecessore, l’esuberante Joaquín Navarro-Valls, a motivo del suo filo diretto con Giovanni Paolo II non si sapeva mai se parlava in proprio o per conto del papa, con effetti di invincibile ambiguità, padre Lombardi si attiene impeccabilmente ai limiti del suo ruolo.
In sala stampa la sua è sempre e solo la voce ufficiale dellae autorità vaticane, mentre in proprio egli parla alla radio.
La parola di Benedetto XVI risuona di conseguenza in tutta la sua nitidezza, mai coperta o interpretata dal vociare di un suo presunto portavoce.
Tanto più sono brillate la chiarezza e la misura del ruolo svolto da padre Lombardi in tempi burrascosi come gli ultimi, con la Chiesa e il papa sottoposti a ondate di critiche veementi.
I disastri comunicativi che a tratti si sono verificati non si possono imputare a lui, ma soltanto alle autorità vaticane, in particolare alla segreteria di stato dalla quale egli direttamente dipende.
Come s’è visto, ad esempio, col caso Williamson: > Disastro doppio in Vaticano: di governo e di comunicazione (4.2.2009) * Un altra svolta di rilievo è avvenuta a “L’Osservatore Romano” con la nomina a direttore del professor Giovanni Maria Vian.
Con lui il giornale della Santa Sede ha cambiato faccia.
Indiscutibilmente in meglio, come www.chiesa ha più volte documentato, ad esempio in questo servizio: > “L’Osservatore Romano” messo a nuovo.
Tutti i cambiamenti (29.11.2007) Ma con Vian direttore, “L’Osservatore Romano” ha avuto anche le sue disavventure.
Soprattutto due.
La prima è nata da un articolo pubblicato in prima pagina il 15 marzo 2009, per volere del cardinale Bertone, dall’allora presidente della pontificia accademia per la vita, l’arcivescovo Rino Fisichella, sul doppio aborto procurato a una giovanissima ragazza madre brasiliana.
La sollevazione che l’articolo provocò nel mondo cattolico contro le sue apparenti posizioni giustificazioniste non fu placata neppure da una successiva “chiarificazione” della congregazione per la dottrina della fede: > Ritrattazioni.
Il Sant’Uffizio dà una lezione a monsignor Fisichella (10.7.2009) La seconda disavventura è coincisa con il caso di Dino Boffo, cioè con la campagna diffamatoria messa in opera da un giornale conservatore italiano nell’estate del 2009 contro l’allora direttore del quotidiano della conferenza episcopale italiana “Avvenire”.
Le carte diffamatorie si rivelarono poi false, ma in quel frangente Vian non solo non difese Boffo e “Avvenire”, ma tornò a criticarli come già aveva fatto altre volte in passato, con bersaglio ultimo la presidenza della CEI impersonata dal cardinale Camillo Ruini.
Ne seguì un periodo di tensione tra l’episcopato italiano e la segreteria di stato vaticana, alla quale “L’Osservatore Romano” è legatissimo: > Italia, Stati Uniti, Brasile.
Dal Vaticano alla conquista del mondo (11.2.2010) In entrambi i casi, Vian ha sempre rivendicato la giustezza della linea da lui percorsa.
* Altre due nomine importanti sono intervenute in curia sul versante della cultura, entrambe pescate in quell’istituzione di rinomanza internazionale che è la Biblioteca Ambrosiana di Milano.
Il viceprefetto dell’Ambrosiana, monsignor Cesare Pasini, è stato chiamato a Roma a presiedere la Biblioteca Apostolica Vaticana.
E lì si è subito prodotto in una grandiosa opera di restauro e di ammodernamento tecnologico di questa che è la più famosa biblioteca del mondo, splendidamente restituita nel settembre del 2010 al godimento degli studiosi e dei visitatori: > Libreria Apostolica Vaticana Il prefetto dell’Ambrosiana, monsignor Gianfranco Ravasi, biblista di fama mondiale, è stato invece chiamato in Vaticano a presiedere il pontificio consiglio della cultura: > Aria di nomine in curia.
Con una ventata di nuova cultura (9.8.2007) E qui, tra le tante iniziative promosse, si sta dedicando con particolare cura a realizzare l’idea lanciata da Benedetto XVI di un “cortile dei gentili”, per un dialogo pubblico tra credenti e non credenti.
La prima tornata di incontri avverrà a Parigi nel marzo del 2011 ed è in fase avanzata di preparazione: > Il primo “cortile” di credenti e atei aprirà a Parigi (24.6.2010) Resta da capire se in futuro il “cortile dei gentili” rimarrà affidato a Ravasi – di cui si parla come possibile arcivescovo di Milano – oppure diverrà prerogativa del nuovo dicastero istituito in curia quest’anno per la “nuova evangelizzazione” delle nazioni di antica tradizione cristiana e oggi drammaticamente secolarizzate.
Questo nuovo dicastero per ora c’è solo sulla carta, senza che i suoi compiti siano stati definiti.
Ma ne è già stato nominato il presidente: l’arcivescovo Fisichella, spostato lì dalla pontificia accademia per la vita.
* Una nomina sicuramente riuscita è stata inoltre quella del professor Antonio Paolucci a direttore dei Musei Vaticani.
Paolucci è storico dell’arte tra i più insigni e ricchi d’esperienza manageriale.
Arrivato a Roma, ha dedicato tutti i suoi talenti ad offrire il godimento intelligente degli immensi tesori artistici della sede di Pietro al maggior numero di visitatori di tutti i popoli.
Riscuotendo molti consensi, in Vaticano e fuori.
Ma ha anche trovato chi gli mette i bastoni tra le ruote.
Uno di questi è il suo predecessore Francesco Buranelli, ora segretario della pontificia commissione per i beni culturali della Chiesa di cui è presidente monsignor Ravasi.
Tra i due è scoppiata giorni fa una polemica tanto più interessante perché aiuta a capire le ragioni di fondo – molto “ratzingeriane” – che animano l’opera del professor Paolucci.
Il 10 settembre, sul quotidiano di Roma “Il Messaggero”, Buranelli ha criticato la decisione di Paolucci di prolungare l’apertura dei Musei Vaticani e della Cappella Sistina oltre gli attuali orari.
È vero – ha obiettato – che con più visitatori “si incassano introiti aggiuntivi”, ma in questo modo si mettono irrimediabilmente in pericolo gli affreschi, con più polveri e più sbalzi di temperatura e umidità: “Se i troppi turisti fanno male, due ore in più fanno peggio”.
La replica di Paolucci è arrivata su “L’Osservatore Romano” del 13 settembre.
“Queste cose le so da quarant’anni”, scrive.
“È evidente, infatti, che meno gente entra in Sistina e meno vistosi e pericolosi sono i danni.
Ma io non intendo percorrere questa strada”.
La strada, cioè, di ridurre il numero dei visitatori.
E spiega perché: “La Cappella Sistina, pur facendo parte di un percorso museale, non è un museo.
È uno spazio consacrato.
Di più, essa è il vero e proprio luogo identitario della Chiesa cattolica romana.
Qui si celebrano le grandi liturgie, qui i cardinali riuniti in conclave eleggono il pontefice.
“La Sistina è allo stesso tempo la sintesi della teologia cattolica.
La storia del mondo, dalla cosmogonia all’ultimo giudizio, vi è qui rappresentata insieme al destino dell’uomo redento da Cristo.
La Sistina è la storia della salvezza per tutti e per ognuno, è l’affermazione del primato del papa di Roma, è il tempo ‘sub gratia’ che assorbe, trasfigura e fa proprio il tempo ‘sub lege’ dell’Antico Testamento.
È l’arca della nuova e definitiva alleanza che Dio ha stabilito con il popolo cristiano.
Non a caso l’architetto Baccio Pontelli ebbe dal papa l’ordine di dare alla cappella le dimensioni del perduto Tempio di Gerusalemme così come ci sono riferite dalla Bibbia.
“Tutto questo per dire che la Sistina è un luogo d’arte di assoluta eccellenza ma è anche uno spazio di altissima catechesi, è ‘Parola dipinta’, oggi come ieri perfettamente eloquente.
Tenerla aperta a tutti perché tutti vedano e capiscano è dovere e missione di chi amministra i musei della Santa Sede.
Garantire condizioni accettabili all’ambiente Sistina senza per questo contingentare il numero dei visitatori.
Questo è l’obiettivo che mi sono prefisso”.
E nel seguito dell’articolo Paolucci spiega gli accorgimenti tecnici che già sta mettendo in atto per preservare al massimo i dipinti della Sistina: > La salvaguardia della Sistina.
Stiano tranquilli i consiglieri troppo zelanti * Ostacoli interni alla sua opera di rinnovamento li ha incontrati anche un altro degli uomini nuovi chiamati in Vaticano durante l’attuale pontificato: il banchiere Ettore Gotti Tedeschi, nominato un anno fa presidente dell’Istituto per le Opere di Religione, un ente che agisce di regola in forma riservata ma opera comunque nel mondo, con contraccolpi clamorosamente pubblici come l’incidente giudiziario di alcuni giorni fa: > Il banchiere del papa resiste alla bufera (24.9.2010) * Infine, ultima nomina di questa curia “ad extra” fin qui passata in rassegna, quella imminente di don Massimo Palombella a direttore del coro della Cappella Sistina, coro già malandato da troppi anni.
Una nomina al buio, a differenza di tutte le precedenti.
Al buio perché non si sa come potrà accompagnare degnamente le liturgie del papa – e di un papa come Benedetto XVI – uno che nel suo curriculum musicale ha solo la volonterosa direzione di un coro composto di studenti universitari, e null’altro di significativo.
> Intermezzo musicale.
I rumori della Cappella Sistina (17.9.2010) La Sistina era il coro più antico e nobile della grande musica liturgica romana.
Ma oggi è solo l’ombra del suo glorioso passato.
Al livello a cui è stata ridotta, solo un miracolo la potrà salvare.
46ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani
“Cattolici nell’Italia di oggi.
Un’agenda di speranza per il futuro del Paese” è il tema della 46ma Settima Sociale (Reggio Calabria, 14-17 ottobre 2010), che ha avuto una preparazione di due anni, con circa 100 incontri in tutte le città d’Italia, e che vede la presenza di 1200 partecipanti e la rappresentanza di 177 associazioni.
– IL PROGRAMMA 46ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani “Cattolici nell’Italia di oggi.
Un’agenda di speranza per il futuro del Paese” che si terrà a Reggio Calabria (14-17 ottobre 2010). Si aprirà nel pomeriggio di giovedì 14 ottobre presso il Teatro comunale “Francesco Cilea” di Reggio Calabria con il saluto di S.E.
Mons.
Vittorio Luigi Mondello, Arcivescovo di Reggio Calabria-Bova e Presidente della Conferenza Episcopale Calabra, del sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Raffa, del Presidente della Provincia Giuseppe Morabito, del Presidente della Giunta regionale Giuseppe Scopelliti, di S.E.
Mons.
Giuseppe Bertello, Nunzio Apostolico in Italia.
Seguirà l’introduzione di S.E.
Mons.
Arrigo Miglio, Vescovo di Ivrea e Presidente del Comitato scientifico ed organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani.
“Logos e agape.
Intelligenza della fede e trasformazione della società” è il titolo della Prolusione che S.Em.za Card.
Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova e Presidente della CEI, pronuncerà davanti agli oltre 1200 delegati provenienti da tutte le 227 diocesi italiane.
“Il processo, l’agenda e l’attualità” è il titolo dell’intervento che Luca Diotallevi, Vice Presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani, terrà prima della conclusione dei lavori della prima giornata.
“Il tema della 46ª Settimana Sociale può sembrare atipico rispetto a quelli delle ultime Settimane Sociali, ma è scaturito quasi naturalmente dall’esperienza della 45ª Settimana, quella del centenario dedicata a Il Bene comune oggi.
Un impegno che viene da lontano – spiega il Vescovo Arrigo Miglio -.
Tale tema, infatti, ha suscitato interesse e si è rivelato più che mai attuale e urgente, ma ha bisogno di essere declinato in rapporto ad alcuni problemi concreti del Paese.
Di qui è nata l’idea di lavorare per proporre un’agenda di speranza, da compilare non a tavolino ma compiendo un’opera di riflessione che permetta di coinvolgere, da subito, molti di coloro che si stanno impegnando seriamente per il bene comune del Paese e per trovare le vie concrete per conseguirlo.
L’agenda – prosegue il Presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali – presenta dei problemi e non ha la pretesa di trovare tutte le soluzioni, soprattutto quelle politiche.
Vorremmo invece, alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, incoraggiare e offrire un contributo perché, come scrive Benedetto XVI nella Deus caritas est «le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili»”.
“Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale
L’era digitale al centro della Giornata delle comunicazioni sociali “Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale”.
Questo il tema scelto dal Papa per la 45ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali.
A comunicarlo è una nota diffusa oggi dalla sala stampa della Santa Sede.
“Il tema – viene spiegato – si caratterizza per porre al centro di tutti i processi della comunicazione, la persona umana.
Anche in un tempo così largamente dominato – e, spesso, condizionato – dalle nuove tecnologie, resta fondamentale il valore della testimonianza: accostarsi alla verità e assumersi l’impegno dell’annuncio richiede, per chi opera nel mondo dell’informazione e particolarmente per i giornalisti cattolici, la “garanzia” di un’autenticità di vita che non può venir meno neppure nell’era digitale”.
Nella nota viene ricordato che “non sono gli strumenti a poter modificare il livello di credibilità dei singoli operatori: né possono mutare i valori di riferimento rispetto a una comunicazione che continua a varcare le soglie di sempre nuovi traguardi tecnologici.
La verità resta l’immutabile faro d’approdo anche per i new-media e, anzi, l’era digitale, allargando i confini dell’informazione e della conoscenza, può rendere idealmente più vicino ciò che rappresenta il più importante degli obiettivi per chiunque operi nel mondo dei media”.
Il messaggio del Papa sarà pubblicato il 24 gennaio, ricorrenza di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti.
Il tema della Giornata delle comunicazioni sociali 2011 Annunciare la verità richiede autenticità di vita “Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale” è il tema scelto dal Papa per la quarantacinquesima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che si celebrerà nel 2011.
Reso noto oggi, 29 settembre, festa degli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, il tema precede il messaggio per la Giornata, che sarà pubblicato, come ogni anno, il prossimo 24 gennaio, ricorrenza di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti.
La scelta di quest’anno è caratterizzata dall’intenzione di porre al centro di tutti i processi della comunicazione la persona umana.
Anche in un tempo così largamente dominato – e spesso condizionato – dalle nuove tecnologie, resta fondamentale il valore della testimonianza personale: accostarsi alla verità e assumersi l’impegno dell’annuncio richiede, per chi opera nel mondo dell’informazione e particolarmente per i giornalisti cattolici, la garanzia di un’autenticità di vita che non può venir meno neppure nell’era digitale.
Non sono gli strumenti a poter modificare e accrescere il livello di credibilità dei singoli operatori, né possono mutare i valori di riferimento rispetto a una comunicazione che continua a varcare le soglie di sempre nuovi traguardi tecnologici.
La verità resta l’immutabile faro d’approdo anche per i nuovi media.
E, anzi, l’era digitale, allargando i confini dell’informazione e della conoscenza, può rendere idealmente più vicino ciò che rappresenta il più importante degli obiettivi per chiunque operi nel mondo dei media.
(©L’Osservatore Romano – 30 settembre 2010)
Mons. Emil Shimoun Nona: «Io, vescovo, costretto a rimanere nascosto»
Ci si arriva dopo l’ennesimo posto di blocco dell’esercito iracheno che controlla l’ingresso di una strada dominata dalla croce in cima alla cupola di una chiesa.
Di fronte c’è la residenza dell’arcivescovo caldeo, monsignor Emil Shimoun Nona, che ci accoglie con grande cordialità.
«È la prima volta che vengono dei giornalisti fin qui, a casa mia», dice sorridendo.
Non è stato poi così difficile, anche se tutti ci avevano sconsigliato un simile viaggio.
Mosul, cuore antico della Chiesa caldea fedele a Roma, è diventata il mattatoio dei cristiani, la città tristemente simbolo di una nuova stagione di persecuzioni che dura da sette anni e di cui non si vede ancora la fine.
Un occidentale non passa inosservato, e se poi è anche un giornalista cattolico diventa un doppio bersaglio.
E comunque vedrai, ti fermeranno al primo check-point, mi dicevano.
Invece, in auto insieme con un collega e con un prete che non ha mai smesso di venirci e sa evitare le zone più a rischio, tutto è filato liscio.
Ci vuole ben più coraggio a vivere qui tutti i giorni.
Come quello che ha monsignor Emil Nona – chiamato a succedere a monsignor Faraj Rahho, ucciso nel 2008 – giovane parroco di 42 anni consacrato vescovo di Mosul all’inizio del 2010.
«Non potevo rifiutare l’incarico, questa comunità sempre più piccola e martoriata aveva bisogno di un pastore.
È toccato a me», spiega con semplicità.
Eccellenza, come vivono i cristiani a Mosul? Siamo rimasti in pochi, anzi pochissimi.
Mosul era la seconda diocesi più grande della Chiesa caldea in Iraq, qui in città vivevano decine di migliaia di fedeli ma quasi tutti sono fuggiti.
Sono rimaste circa 700 famiglie, quelle più povere che non hanno mezzi per trasferirsi altrove.
Su dieci parrocchie sei non funzionano più, soltanto in quattro chiese si celebra regolarmente Messa la domenica.
Non hanno più fedeli; inoltre, molti edifici di culto sono inagibili perché danneggiati dalle bombe.
Com’è la sua vita quotidiana? Come si muove? Cerco di vivere normalmente, anche se con qualche precauzione.
Quando esco cambio sempre itinerario, qualche volta anche l’auto.
La mia attività pastorale è molto ridotta e nascosta, ogni settimana tengo un incontro sui Dieci Comandamenti nella vicina chiesa di San Paolo, che si trova in una zona relativamente tranquilla dove i fedeli possono riunirsi.
Cerco di visitare le famiglie, ma senza dare nell’occhio.
E quando mi reco nella città vecchia, dove ad ogni angolo posso incappare in qualche brutta sorpresa, non metto la talare e ci vado senza alcun preavviso.
Devo dire però che negli ultimi tempi la situazione è un po’ migliorata.
Intende dire che c’è più sicurezza? Dopo le elezioni che si sono tenute a marzo, il numero di omicidi, sequestri e attentati è diminuito.
Credo sia dovuto a due motivi: i sunniti hanno stravinto qui a Mosul, controllano il governo locale e quindi anche le loro frange più estremiste.
Inoltre, sia pure faticosamente, si sta avviando un dialogo tra arabi e curdi.
Nonostante questo, Mosul resta sempre la città più pericolosa di tutto l’Iraq.
Come si spiega? Storicamente Mosul è sempre stata una roccaforte dell’islam radicale.
Episodi d’intolleranza nei riguardi dei cristiani c’erano anche ai tempi di Saddam Hussein.
Poi, nel caos che è seguito alla guerra del 2003, è dilagata la violenza fondamentalista e Mosul è diventata il punto di raccolta di tutti i gruppi estremisti, sia locali che stranieri, a cominciare da al-Qaeda, cui si sono aggiunte altre sigle terroristiche.
In questa terribile situazione come intende la sua missione pastorale? Io dico sempre una cosa: basta con la paura di morire, ritroviamo la voglia di vivere.
È questo il mio messaggio ai fedeli che da sette anni continuano a soffrire: dobbiamo testimoniare un’umanità vera, quella che ci ha donato Cristo e che nessuno ci potrà mai togliere.
Non possiamo vivere nella paura! Ma l’esodo della famiglie purtroppo continua, la mia gente ha perso la fiducia, non crede che a Mosul i cristiani potranno avere ancora un futuro.
Lei vede qualche segno di speranza? Ho trovato persone che hanno rafforzato la loro fede dopo aver perso amici e familiari colpiti dalla violenza anti-cristiana.
Non provano sentimenti di odio e di vendetta, e questo mi è di grande esempio.
La speranza non muore: qualche settimana fa due ragazzi di Mosul sono venuti a dirmi che vogliono diventare sacerdoti di questa nostra Chiesa sofferente.
Devo ammettere che mi sono commosso.
Che cosa s’aspettano dall’Occidente i cristiani iracheni? Nulla.
Il giudizio sugli americani resta molto negativo: sono intervenuti in Iraq sulla base dei propri interessi, senza tener conto delle conseguenze a livello generale e dei contraccolpi pesantemente negativi per la presenza dei cristiani.
Difficile che adesso s’aspettino qualcosa di buono da chi ritengono essere il principale responsabile delle loro disgrazie.
Avete ricevuto solidarietà dalle Chiese d’Occidente? Non posso parlare a nome di tutte le Chiese d’Iraq.
Come vescovo di Mosul, devo dire che la mia diocesi ha ricevuto qualche aiuto materiale dai cattolici tedeschi.
Ma abbiamo bisogno di non sentirci soli e abbandonati, è questo che conta.
Eccellenza, lei parteciperà al Sinodo sul Medio Oriente che si terrà a Roma fra pochi giorni.
Quali sono le sue attese? Dal Sinodo mi aspetto non solo parole d’incoraggiamento, bensì anche indicazioni concrete per vivere la fede in una terra dove il cristianesimo ha radici antiche ma la cui presenza oggi è minacciata dal fondamentalismo islamico.
È un compito difficile, eppure dobbiamo affrontarlo come Chiesa universale.
Mi va bene che si parli di dialogo con il mondo musulmano, ma bisogna uscire dal generico, definendo chiaramente con chi e su quali punti è possibile dialogare.
Lei ha preso la guida della diocesi di Mosul in seguito al brutale assassinio del suo predecessore.
Si è fatta chiarezza sui mandanti e sugli esecutori dell’omicidio di monsignor Rahho? Ancora oggi non sappiamo esattamente che cosa sia successo.
C’è stata una commissione d’inchiesta governativa i cui lavori si sono conclusi con l’arresto e la condanna a morte di una persona ritenuta colpevole.
Ma non conosciamo la sua identità e neppure i capi d’accusa.
Siamo ancora lontani dalla verità, il che acuisce il nostro grande dolore.
Quando potremo tornare in una Mosul tranquilla e pacificata? Solo Dio lo sa.
Attendiamo con ansia la formazione del nuovo governo a Baghdad.
L’aspettiamo da più di sei mesi.
Spero in un esecutivo di concordia nazionale.
Ma se i sunniti restassero fuori, il Paese potrebbe ripiombare nella guerra civile.
E per noi cristiani, già duramente provati, sarebbe la fine.
Luigi Geninazzi
Meno figli, meno ricchezza
Se non c’è rispetto per la vita, che cosa merita rispetto? Io credo che il messaggio di fondo della “Caritas in veritate” sia questo: uno strumento – come lo sono l’economia, la scienza e la tecnica – non può e non deve rivendicare autonomia morale; ciò produrrebbe danni irreparabili per l’uomo, come è infatti successo.
E questo accade quando l’uomo perde il significato del vero e sottomette la verità alla propria libertà che, nella visuale cattolica, è disordinata.
L’autonomia morale di uno strumento è sintomo di confusione e di perdita della verità.
Ne consegue che la stessa vita umana perde di significato, la dignità umana perde il suo valore e l’uomo diventa mezzo di produzione, di consumo, di risparmio.
Negando la vita o subordinandola ad altri presunti valori, si producono realmente danni irreparabili.
Perciò affermo chiaramente che l’origine della crisi attuale è soprattutto morale ed è dovuta proprio alla negazione della vita.
Ricordiamoci che alla fine degli anni Sessanta i “profeti” neomalthusiani (prima quelli dell’università di Stanford, poi quelli del Massachusetts Institute of Technology) annunciarono che, se il tasso di crescita della popolazione avesse proseguito come negli anni precedenti (intorno al 4-4,5 per cento), prima del 2000 centinaia di milioni (cifra poi ridimensionata in decine di milioni) di persone sarebbero morte per fame soprattutto in Asia e India.
Questo la dice lunga sulle capacità predittive di sociologi ed economisti; infatti, ciò che poi è avvenuto contraddice in pieno i loro assunti.
Nel mondo occidentale, che ha interrotto la natalità portandola al di sotto dello zero, si sono create condizioni per la crisi, mentre nel mondo ex emergente, che ha continuato a far figli, si sono invece avuti sviluppo e creazione di ricchezza.
Noi occidentali abbiamo creduto di diventare più ricchi negando la vita, e invece siamo diventati più poveri.
Ed ecco quel che è successo.
Se la popolazione di un paese ricco e costoso cessa di crescere, diminuisce – conseguentemente e progressivamente – l’accesso di giovani alla fase di produttività; per contro, aumenta il numero delle persone che escono dalle attività produttive e diventano un costo per la collettività.
Questa, dunque, decresce sia in numero che in risorse.
In pratica, nel sistema socio-economico aumentano i costi fissi; e, non potendosi ridurre le tasse, diminuiscono i risparmi e, dunque, le attività finanziarie.
La reazione più naturale è a quel punto aumentare la produttività (il che equivale in pratica a fare più ore di lavoro) ma ciò ha un limite fisico.
Certo, si può tentare con sistemi che cerchino di aumentare il potere di acquisto riducendo i costi (per esempio, col trasferimento in Asia di molte produzioni).
Ma quando ciò non basta non rimane che un mezzo: il debito.
O meglio, il consumo a debito, che arriva agli eccessi che conosciamo.
Il fatto è che l’abnorme espansione creditizia, il cattivo uso degli strumenti finanziari, sono stati effetti, non cause.
L’origine degli attuali squilibri economici va cercata altrove: nel non rispetto della vita umana.
[…] Nei paesi che vent’anni fa erano considerati “in via di sviluppo” l’aumento della popolazione ha loro portato oggi, grazie anche alle nuove localizzazioni produttive, benessere e ricchezza in misura tale da potere persino tenere in piedi i nostri paesi ex ricchi e senza figli.
Questi paesi oggi stanno investendo in zone che noi occidentali abbiamo sempre considerato in povertà cronica e abbiamo “aiutato” mandando profilattici per interrompere la crescita della loro popolazio- ne.
Si stima che in Africa, in via di colonizzazione da parte dei cinesi, fra una decina d’anni potranno esserci un paio di miliardi di abitanti.
Su questo i cinesi stanno investendo, creando lavoro e promovendo benessere.
Il problema, semmai, sarà di quale cultura e quale visione della dignità dell’uomo questi nuovi colonizzatori saranno portatori fra quelle popolazioni.
Certo, non quelle cattoliche.
__________ Il libro: Ettore Gotti Tedeschi, Rino Camilleri, “Denaro e paradiso.
I cattolici e l’economia globale”, Lindau, Torino, 2010, pp.
160, euro 15,00.
Primo giorno di scuola: stupitevi, stupiteli.
Cari colleghi professori, mancano 24 ore alla prima campana.
I vostri alunni sono trepidanti, perché il primo giorno di scuola attraversa il cuore di un ragazzo come uno stormo di promesse.
Sperano che quel primo giorno sia un giorno nuovo, sintomo di un anno nuovo, una vita nuova, direbbe Dante.
Rendete quel giorno la loro Beatrice.
Non li deludete.
Date loro un giorno indimenticabile.
Non chiedete delle loro vacanze, non raccontate le vostre.
Fate lezione: con un amore con cui non l’avete mai fatta.
Preparate oggi quella lezione.
È domenica e avete ancora qualche ora.
Stupiteli con un argomento che desti la loro meraviglia.
Uccideteli di meraviglia! È dallo stupore che inizia la conoscenza, diceva Aristotele e nulla è cambiato.
Annichilite i grandifratelli, gli uominiedonne.
Superateli in share con le vostre lezioni.
Rinnovate in voi lo stupore.
Spiegate loro l’infinito di Leopardi anche se non è nel programma, fateglielo toccare questo infinito di là dalla siepe dei banchi.
Raccontate loro la vita e la morte di una stella.
Descrivete loro la sezione aurea dei petali di una rosa e il segreto per cui la si regala al proprio amore.
Stupitevi.
Stupiteli.
Fatevi brillare gli occhi, fate vedere loro che sapete perchè insegnate quella materia, che siete fieri di aver speso una vita intera a imparare quelle cose, perchè quelle cose contengono il mondo intero.
Stupiteli con la vita, quella che c’è dentro secoli di scoperte, conoscenze, fatti, libri.
Fategliela toccare questa vita.
Non torneranno più indietro.
Sapranno di avere davanti un professore.
Parola meravigliosa che vuol dire “professare”, quasi come una fede, la vostra materia.
Se professate questa fede toccheranno attraverso di voi le cose di cui hanno fame: verità, bene, bellezza.
Le uniche cose per cui viviamo, che lo vogliamo o no.
Tutti vogliamo un piatto buono, un amico sincero, una bella vacanza.
È scritto nel dna che vogliamo quelle tre cose, anche se costano fatica.
Diamogliele.
Immaginate domani di entrare in classe.
Durante la vostra lezione il mondo viene devastato da un’apocalisse.
Per una serie di fortunate (!) congiunture siete rimasti vivi solo voi, con la vostra classe.
Adesso dipende tutto da voi.
Rimboccatevi le maniche, prendetevi cura di quei 20-30 come fosse il mondo intero.
Che mondo sarà quello di domani? Dipende da te caro collega.
Non ti lamentare dei politici, delle strutture, del riscaldamento, dell’orario, adesso ci sei solo tu e loro.
Non ci sono ministri, riforme, strutture.
C’è la scuola nella sua essenza.
Tu e loro e quel che ci sta in mezzo: le parole.
Gli animali si addestrano, gli uomini si educano: con le parole.
Non c’è lo stipendio, perchè non c’è lo Stato e non c’è il privato: sono loro il tuo stipendio.
Ti è rimasto solo un libro: quello della tua materia.
Da lì devi partire per costruire il mondo intero.
Quello è il punto di appoggio con cui sollevarlo, il mondo intero.
Se loro vedranno in te il fuoco ti ripagheranno con uno stipendio che nessun altro mestiere dà: saranno degli innamorati del bene, della verità, della bellezza (cioè della vita).
Non saranno dei furbi, ma degli innamorati.
Forse ti manderanno ugualmente all’inferno come Dante ha fatto – anche se per altri motivi – col suo maestro Brunetto, ma sapranno riconoscerti (come Dante) di avere insegnato loro “come l’uom s’etterna”: come l’uomo si è reso immortale nella storia e come l’uomo si rende immortale al presente.
Caro collega hai 24 ore.
A te la scelta: un nuovo giorno, il primo, di una vita nuova.
Stupisciti.
Stupiscili. (Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione – 12 settembre 2010)
“Sicurezza, qualità e comfort a scuola”
Bullismo e vandalismo sono in aumento (+2% e +7% rispettivamente), ma secondo l’VIII rapporto “Sicurezza, qualità e comfort a scuola” di Cittadinanzattiva, presentato oggi a Roma, “il dato è sottostimato.
Ben più elevato è il numero di episodi dovuti a comportamenti violenti di diversa gravità che si consumano spesso di nascosto o che vengono minimizzati”.
Gli episodi di criminalità verificatisi all’interno dell’edificio scolastico o nei pressi dell’edificio sono stati segnalati dal responsabile del servizio Prevenzione e protezione (o dal dirigente scolastico), sottolinea Cittadinanzattiva, perciò “riteniamo che il dato sia sottostimato e che ben più elevato sarà presumibilmente il numero di episodi dovuti a comportamenti violenti di diversa gravità che si consumano spesso di nascosto o che vengono occultati e minimizzati”.
Secondo Cittadinanzattiva, inoltre, se è vero che il 90% delle scuole monitorate adotta sistemi di vigilanza all’ingresso dell’edificio “la metà delle scuole non adotta lo strumento più semplice per la vigilanza che è quello di chiudere i cancelli anche durante l’orario scolastico”.
L’associazione chiede quindi al ministero dell’Istruzione di svolgere una più efficace azione di lotta e prevenzione di tali fenomeni nelle scuole mediante “la raccolta e la diffusione delle buone pratiche esistenti in materia di prevenzione dei comportamenti violenti a scuola” e di avviare un programma nazionale di contrasto a tali fenomeni “che tenga conto delle esperienze di successo realizzate da vari soggetti all’interno delle scuole o in territori più vasti”.
L’idagine di Cittadinanzattiva è stata condotta su un campione di 82 edifici scolastici di ogni ordine e grado (dall’infanzia alla secondaria di II grado) appartenenti ad 11 Province di 8 Regioni: Piemonte, Lombardia, Marche, Umbria, Lazio, Campania, Calabria e Sicilia.
La Bibbia nella scuola
La lettura della Bibbia a scuola “è un’iniziativa a cui sono favorevole come ministro, come credente e come cittadina italiana”.
Lo scrive il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, in un articolo scritto per il prossimo numero di Famiglia Cristiana.
“La scuola deve istruire i ragazzi”, spiega il ministro, “ma deve anche formare dei cittadini responsabili e degli adulti consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri.
Questo insieme di valori e insegnamenti, nel mondo occidentale, è rappresentato dalla tradizione cristiana.
E’ quindi importante che i nostri figli, nel bagaglio di conoscenze che la scuola deve garantire loro, possano incontrare fin da subito un testo che ha determinato la nascita della civiltà in cui viviamo e che parla ai cuori e alle coscienze di tutti”.
Le parole del ministro ripropongono la questione delle ‘radici’ cristiane dell’Europa, già oggetto di polemiche in occasione della stesura della Costituzione europea.
Gelmini prende lo spunto dalla Bibbia, ma poi sviluppa la sua riflessione sottolineando che “l’Occidente è stato edificato sugli insegnamenti del cristianesimo ed è impossibile, senza comprendere questa presenza, studiare la sua storia, capire la filosofia, conoscerne l’arte e la cultura.
Diventa impossibile, soprattutto, dialogare e confrontarsi in modo proficuo con le altre culture”, perciò “dobbiamo fare in modo che i nostri giovani siano consapevoli della propria identità per potersi confrontare con le altre e crescere e vivere nel rispetto reciproco”.
Ma sulla questione della lettura della Bibbia (che in effetti in Italia è poco conosciuta, meno che in molti altri Paesi europei), al di là del confronto politico e culturale sulla proposta nasce il problema di chi e come dovrebbe occuparsene in classe: l’insegnante di storia? Quello di religione? Entrambi? In collegamento o no con “Cittadinanza e Costituzione”? Per quanto tempo? Con quali ricadute sul piano valutativo? Come si vede, la proposta del ministro Gelmini non sembra di quelle facilmente praticabili…
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