Da “LA STAMPA” di sabato 22 gennaio 2011 A ventiquattr`ore dal monito di Bertone sul caso Ruby e prima che si pronunci Bagnasco al consiglio Cei di lunedì, scende in campo il Papa per invocare un recupero di moralità delle istituzioni.
Benedetto XVI denuncia nell`Italia di oggi un «senso di insicurezza» dovuto «alla precarietà sociale ed economica», acuita «da un certo indebolimento della percezione dei principi etici su cui si fonda il diritto e degli atteggiamenti morali personali, che a quegli ordinamenti sempre danno forza».
E invita «società» e «istituzioni pubbliche» a ritrovare moralità «per dare nuova consistenza ai valori etici e giuridici di riferimento e quindi all`azione pratica».
C`è forte preoccupazione perla tenuta sociale dell`Italia, di cui è Ratzinger è primate.
Il Ruby-gate, ha insolitamente annunciato Bagnasco, sarà esaminato lunedì dalla Cei.
A dar voce ai timori della Chiesa è anche l`arcivescovo di Torino, Nosiglia: «Chi ha responsabilità pubblica ha anche maggiore responsabilità nel privato e le due dimensioni non vanno separate, c`è in tutti preoccupazione per quanto sta accadendo, occorre chiarire in tempi ragionevoli la questione per non lasciare il paese alla mercé di notizie non si sa se vere o false».
Gli ha fatto eco Famiglia Cristiana, esprimendo «angoscia» per gli effetti dello «scandalo» che da Arcore si abbatte sulle famiglie, con la «indecente rappresentazione del modo di vivere di tre generazioni, dei nonni, dei padri e dei figli».
L`Osservatore Romano, oltre a pubblicare la condanna di Bertone, rilancia anche l`appello di Napolitano a evitare esasperazioni e nuove tensioni.
Prendendo spunto dai forti «mutamenti» che nella «città Eterna» «generano talvolta un senso di insicurezza», il Pontefice ha paventato che «le strutture alla base della convivenza non riescano più a funzionare in modo pieno» per il venire meno del «consenso morale».
Dunque,«si affaccia in molti la tentazione di pensare che le forze mobilitate per la difesa della società civile siano alla fine destinate all`insuccesso».
Cioè se la morale è debole, si indebolisce anche il diritto.
Dall`allarme per il disorientamento della società civile, Benedetto XVI passa all`appello ai cristiani: ritrovino «una nuova risolutezza nel professare la fede e nel compiere il bene», contro una «visione riduttiva della coscienza, secondo la quale non vi sono riferimenti oggettivi nel determinare ciò che vale e ciò che è vero, ma è il singolo individuo, con le sue intuizioni e le sue esperienze, ad essere il metro di misura».
Dunque «ognuno pòssiede la propria verità, la propria morale».
Così fede e morale vengono confinati nel privato, invece il cristiano non deve rinunciare alla capacità della coscienza di riconoscere la verità.
«Le nuove sfide che si affacciano all`orizzonte esigono che Dio e uomo tornino ad incontrarsi, che la società e le Istituzioni pubbliche ritrovino la loro “anima”, le loro radici spirituali e morali, per dare nuova consistenza ai valori etici e giuridici di riferimento e quindi all`azione pratica».
Così «una solida morale personale dà forza al diritto e alle istituzioni, tanto più se i cristiani lavorano per il bene comune».
Il Pdl inizia a risentire dei contraccolpi, visto che lo schiaffo del Vaticano ha preso in contropiede un partito già scosso dall`inchiesta e che adesso guarda con preoccupazione all`intervento di Bagnasco.
I canali diplomatici dell`ala cattolica del Pdl sono già stati attivati con un obiettivo: «ammorbidire», anche attraverso contatti (forse anche un incontro che Gianni Letta potrebbe tenere nel weekend con esponenti di primissimo piano delle gerarchie ecclesiastiche), la «censura» che la Cei si prepara a lanciare dopo il duplice affondo targato Bertone-Papa.
Oltre al sottosegretario, altri azzurri vicini al premier sono stati attivati per arginare, attraverso colloqui informali, il rischio di un ulteriore danno d`immagine.
Ieri mattina Berlusconi, in consiglio dei ministri, ha riferito di rassicurazioni in Vaticano: «Bertone parlava in generale e non si riferiva a me».
Pochi minuti e piovono le dichiarazioni del Papa sulla necessità che le istituzioni ritrovino radici morali.
Nel governo come nel partito, la preoccupazione torna a crescere.
[GIA.GAL.I Centrodestra in allarme Si cerca un contatto per ammorbidire la condanna Una nuova presa di posizione dopo quella di Bertone Lunedì parla Bagnasco L`ANALISI in Italia c`è un senso di insicurezza dovuto alla precarietà sociale ed economica acuita da un indebolimento della percezione dei principi etici IL TIMORE Le strutture alla base della convivenza non riescono più a funzionare in modo pieno.
Si affaccia la tentazione di pensare che le forze che difendono ia società civile siano destinate all`insuccesso LAL Ex I cattolici del Pdl «Stiamo attenti al moralismo» » Una «marea di pettegolezzi» rischia di farci tutti «trascinare da un morallismo interessato» contro Berlusconi.
Un moralismo che può diventare una «trappola» e ingannare i cittadini.
Per questo con una lettera aperta ai cattolici italiani i cattolici del Pdl chiedono di «sospendere il giudizio» e di dare tempo perchè «la polvere e il fango si depositino» in modo di conoscere la verità.
La lettera è firmata da Raffaele Calabrò, Roberto Formigoni, Maurizio Gasparri, Maurizio Lupi, Alfredo Mantovano, Mario Mauro, Gaetano Quagliariello, Eugenia Roccella, Maurizio Sacconi.
La difesa del bene comune di Vito Mancuso NEL discorso di ieri, atteso dall’Italia con un interesse forse mai avuto prima per le parole di un Presidente della Cei, il cardinal Bagnasco ha disposto le artiglierie, ha caricato i proiettili, ha puntato nella direzione giusta.
E ha iniziato a colpire con parole infuocate come non era mai accaduto prima i comportamenti del capo del governo, andando ad affiancare le sue critiche a quelle espresse in precedenza dal Presidente della Repubblica e dal Presidente degli industriali.
Quando però è stato il momento di compiere la missione fino alla fine, il cardinale ha rivolto le sue armi altrove.
Il risultato, quest’oggi, è che tutti possono dire che sono contenti, persino i sostenitori del governo, per una situazione analoga a quella del dopo-elezioni quando nessuno dice di avere perso.
La gerarchia cattolica aveva l’occasione di aiutare gli italiani a fare chiarezza per uscire da una situazione che li rende ridicoli al mondo e peggio ancora a se stessi, ma non è stata capace di portarla avanti fino in fondo, immolandola sull’altare della diplomazia.
Bagnasco ha esordito parlando di “nubi preoccupanti che si addensano sul nostro paese”, ha continuato con la “perversione di fondo del concetto di ethos”, ha detto che “a vacillare sono i fondamenti stessi di una civiltà”, ha proseguito con il “consumismo” e la “cultura della seduzione” da cui scaturiscono una “rappresentazione fasulla dell’esistenza, volta a perseguire un successo basato sull’artificiosità, la scalata furba, il guadagno facile, l’ostentazione e il mercimonio di sé” con il risultato di un “disastro antropologico”.
Quando poi è giunto a toccare la più stretta attualità ha parlato di “debolezza etica” e di “fibrillazione politica e istituzionale”, ha ricordato che “si moltiplicano notizie che riferiscono di comportamenti contrari al pubblico decoro e si esibiscono squarci di stili non compatibili con la sobrietà e la correttezza”, e infine ha ricordato l’art.
54 della Costituzione che sottolinea il dovere per chi governa di misura, sobrietà, disciplina e onore.
Insomma un’analisi limpida e forte, a tratti severa, come si conviene al momento drammatico del paese.
Ma alla fine è mancato il coraggio di andare fino in fondo nel combattere i mali evocati, ha vinto la diplomazia e ha perso la profezia.
Infatti dopo tutte queste analisi all’insegna della chiarezza evangelica, il cardinale ha girato le artigliere dall’altra parte puntandole verso i magistrati milanesi e ha proclamato in perfetto stile curiale, e non senza una sottile sfumatura di ambiguità per l’uso del pronome indefinito: “…
mentre qualcuno si chiede a che cosa sia dovuta l’ingente mole di strumenti di indagine”, col risultato, per Bagnasco, che così si passa “da una situazione abnorme all’altra”.
Ovvero: il capo del governo ha torto, ma i magistrati non hanno ragione, esagerano.
Sia chiaro che nessuno si aspettava scomuniche, ma che almeno quello “scatto di coscienza e di responsabilità” che lo stesso cardinale chiede agli italiani fosse mantenuto con coerenza fino in fondo sì.
Nel discorso di qualche giorno fa al Corpo diplomatico il Papa ha detto della minaccia costituita da alcuni programmi di educazione sessuale nelle scuole.
Senza entrare nel merito, chiedo che cos’è un’ora scolastica di educazione sessuale rispetto alle notizie che ogni giorno entrano nelle case con tutti i sexy-gate che periodicamente ricorrono in questa colossale permanente maleducazione sessuale e antropologica, che ora si chiama Ruby ora in molti altri nomi, ma il cui vero nome è “Legione” come rispose l’indemoniato a Gesù: “Mi chiamo Legione perché siamo in molti” (Vangelo di Marco 5,9).
La Chiesa poteva contribuire a far sì che chi vuole godere di questa compagnia lo faccia pure giorno e notte quando e come vuole ma senza coinvolgere la politica e la vita degli italiani, ma non ha avuto il coraggio per andare fino in fondo.
La Chiesa, è noto, ha una lunga storia con il tema prostituz ione, ben prima della comparsa di tutte queste signorine nelle ville del capo del governo.
Dalle prime pagine della Bibbia alla genealogia di Gesù, dalle parole evangeliche “le prostitute vi passeranno avanti nel regno dei cieli” all’appellativo patristico sulla Chiesa casta meretrix e alle parole di Dante che accusano i papi di puttaneggiar coi regi”, la prostituzione ha sempre accompagnato il cammino del cristianesimo.
Nulla di strano, perché ha sempre accompagnato il cammino dell’umanità.
Quindi nessuno si aspettava che il cardinal Bagnasco si stracciasse le vesti scandalizzato.
Ma tra lo scandalo di un Savonarola e le parole di biasimo in sé giuste rese però innocue dal biasimo riversato sui magistrati per il troppo zelo, c’è una bella differenza.
So bene che vi sono legittimi interessi dell’istituzione Chiesa da salvaguardare come i finanziamenti alle scuole cattoliche, le esenzioni delle tasse per gli edifici ecclesiastici, la battaglia parlamentare sul biotestamento e materie similari.
Ed è giusto che il presidente della Cei tenga conto di tutto ciò.
Ma vi sono dei momenti nei quali bisogna guardare davvero unicamente al bene comune, momenti nei quali chi sta in alto si ritrova solo, ed è chiamato a responsabilità profetiche e morali senza poter coniugare tutti gli interessi in gioco.
Ieri la gerarchia della Chiesa italiana era in questa situazione.
Le parole di Bagnasco sono state per molti tratti un buon esempio di cosa significa parlare di politica senza fare ingerenze partitiche, perché la nostra situazione non è più questione di destra o di sinistra ma solo di decenza e di dare un governo vero a un paese che ne ha urgente bisogno.
Alla fine però ha ceduto alla diplomazia, ha usato il bilancino che le consente di avere tutti i forni sempre aperti.
E così il sale evangelico ha perso ancora un po’ del suo in “la Repubblica” del 25 gennaio 2011 I cardini della società Roma, 21.
La Santa Sede condivide il “turbamento” espresso dal presidente della Repubblica italiana a proposito delle indiscrezioni dei media sul caso giudiziario che coinvolge il presidente del Consiglio dei ministri, e segue “con preoccupazione” la vicenda.
Lo ha detto nel tardo pomeriggio di ieri il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato di Benedetto XVI, conversando con i giornalisti a margine dell’inaugurazione di una casa di accoglienza dell’ospedale pediatrico romano Bambino Gesù, della quale abbiamo riferito nell’edizione di ieri.
Nel suo richiamo il porporato si è rivolto a tutti coloro che – nel campo politico e amministrativo come in quello giudiziario – rivestono ruoli di responsabilità pubblica: “La Chiesa spinge e invita tutti, soprattutto coloro che hanno una responsabilità pubblica di ogni genere, in qualunque settore amministrativo, politico e giudiziario, ad avere e ad assumere l’impegno di una più robusta moralità, di un senso di giustizia e di legalità”.
Per questo – ha aggiunto il cardinale Bertone – “segue con attenzione e con preoccupazione queste vicende italiane, alimentando la consapevolezza di una grande responsabilità soprattutto di fronte alle famiglie, alle nuove generazioni, di fronte alla domanda di esemplarità e ai problemi che pesano sulla società italiana”.
“Credo – ha affermato il cardinale – che moralità, giustizia e legalità siano i cardini di una società che vuole crescere e che vuole dare delle risposte positive a tutti i problemi del nostro tempo”.
(©L’Osservatore Romano – 22 gennaio 2011) Non cedere al pessimismo e tornare a educare i giovani di Angelo Bagnasco Si è aperto oggi ad Ancona il Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana, che si concluderà il 27 gennaio.
Pubblichiamo stralci della prolusione del cardinale presidente.
Venerati e cari Confratelli, ci ritroviamo insieme, all’inizio del nuovo anno 2011, per la sessione invernale del nostro Consiglio Permanente, mentre nubi ancora una volta preoccupanti si addensano sul nostro Paese.
Conserviamo come preziosa in noi l’eco delle celebrazioni natalizie, con il loro corredo di tradizioni e di clima intensamente familiare, in coincidenza delle quali s’è potuto ancora una volta constatare il fascino benefico che la tradizione cristiana continua a far sentire ovunque nel nostro Paese.
E ciò sembra muoversi in un quadro interpretativo nel quale una de-cristianizzazione progressiva apparirebbe ad alcuni ineluttabile.
In realtà, sugli esiti possono influire una serie non interamente ponderabile di cause, che determinano situazioni in continua evoluzione.
La fede religiosa può far fronte alle intemperie, e ciascuno di noi è testimone di esperienze positive, capaci di rinvigorire e proporre una concezione della vita tipicamente cristiana.
C’è, d’altra parte, un legame personale con lo spazio e il tempo che solo la religione riesce ad assicurare.
Conosciamo il fascino che esercita il mistero di un Dio mai stanco degli uomini, che si fa loro incontro nella forma scandalosamente più dimessa, fino a permettere alla nostra presuntuosa libertà di ignorarlo o addirittura sentirlo come rivale (cfr.
Benedetto XVI, Omelia nella Solennità dell’Epifania, 6 gennaio 2011).
Dio supera il nostro metro di misura e lo sorprende, non in astratto però, bensì nel Bimbo deposto in una grotta.
Certo, nel mistero del Natale riusciamo ad avvertire nitidissimo anche lo strazio per chi si tiene lontano, e non vuol essere raggiunto neppure da un Dio Bambino; ma anche per chi è talmente compreso di sé e della sua propria intelligenza, da non lasciarsi insidiare dallo stupore né ghermire dal sorriso, gratuito e totale che, dalla grotta di Betlemme, si spande sul mondo.
La strage avvenuta ad Alessandria d’Egitto il primo giorno del 2011, che ha causato la morte di ventitré cristiani copti e il ferimento di altri novanta, è stato probabilmente l’episodio oltre il quale l’opinione pubblica non poteva più far finta di non vedere, ossia lo stillicidio di situazioni persecutorie, che nell’ultimo periodo si erano verificate in diverse zone del mondo, e avevano avuto i cristiani come vittime designate.
Questi da tempo sono diventati il gruppo religioso che deve affrontare il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede.
Un crescendo di episodi sanguinosi che nel corso dei mesi aveva interessato India, Pakistan e Filippine, Sudan e Nigeria, Eritrea e Somalia.
Ma i fatti più gravi sono avvenuti in Iraq ed infine in Egitto; in entrambe le situazioni, a precedenti episodi di sangue trascurati o non chiariti, ne sono seguiti altri sempre più gravi.
Impressiona che il momento di preferenza scelto per condurre gli agguati contro i cristiani sia il giorno di festa, durante la celebrazione liturgica o all’uscita di chiesa.
E ciò non fa che aggiungere orrore ad orrore.
Naturalmente ciascun episodio fa caso a sé, così come ciascuna Nazione ha uno scenario proprio.
Il Medio Oriente è di sicuro la regione a più alta tensione; lì la cristianofobìa, che è la versione più corrente dell’intolleranza religiosa, non è lontana dal porsi ormai nelle forme della pulizia etnica o religiosa, benché i cristiani siano colà una componente certo non aggiuntiva né importata, e per secoli quella terra sia stata laboratorio di convivenza tra fedi ed etnie diverse.
Nessuno Stato accetta oggi tranquillamente condizioni di disuguaglianza nei rapporti economici, politici e culturali: se questo è vero, ed è fatto valere nelle sedi internazionali, occorre che il problema delle più elementari garanzie negate alle minoranze religiose – in non poche situazioni nazionali – venga posto con la lucidità e l’energia necessarie.
Si apre qui, è noto, un problema drammatico di reciprocità, che non si risolve minacciando ritorsioni o attenuando, in Italia e in Occidente, le garanzie dei cittadini provenienti dagli Stati che non assicurano parità di trattamento.
Anziché procedere con mezzo passo in avanti, se ne farebbe uno indietro.
Questo però non può essere un alibi per incrementare colpevoli acquiescenze o finti pragmatismi.
Si può e si deve urgentemente porre la questione della libertà religiosa nelle sedi internazionali – Unione Europea, Onu…
– al fine di aprire gli occhi e mantenerli aperti, insistendo affinché nei singoli Stati vi sia un sistema minimo di garanzie reali per la libertà di tutte le fedi.
Esiste la possibilità di istituire degli osservatori internazionali in grado di controllare quello che concretamente avviene nei singoli territori.
È ragionevole presumere ci siano, in ogni Paese, settori di opinione pubblica sufficientemente maturi da comprendere che l’estinguersi delle minoranze interne non può non segnare un’involuzione massimalista, quando non totalitaria.
Ciò spiega il dibattito magari sottotraccia che esiste anche nelle situazioni più blindate, come pure gli appoggi che i cristiani ricevono sempre di più anche da esponenti di religione diversa.
La questione tuttavia, di una fondamentale libertà religiosa, è da sollevarsi opportunamente nelle sedi multilaterali, come nelle relazioni bilaterali, e nei rapporti informali tra rappresentanti di Paesi diversi, avendo cura che l’interessamento puntuale non abbia a scatenare ritorsioni sulle spalle già oberate di chi soffre.
Passi molto importanti in questo senso sono stati compiuti dall’Italia, e di ciò noi vescovi non possiamo non essere grati.
Saremmo – per così dire – ancora più soddisfatti se tutti i nostri stimati interlocutori prendessero atto che subdole minacce ad un’effettiva libertà religiosa esistono anche nei Paesi di tradizione democratica, a partire da quelli europei.
Dovremmo guardarci infatti dai sottili tranelli dell’ipocrisia, che induce a cercare lontano ciò che invece è riscontrabile anche vicino.
Il Papa nel suo Messaggio non manca di rilevarlo (cfr.
n.
13; e anche il Saluto all’Angelus, 1 gennaio 2011, e il Discorso pronunciato dinanzi al corpo diplomatico il 10 gennaio 2011.), e dal canto nostro, al pari di Confratelli di altri Paesi, non manchiamo di ripeterlo quando serve, ad esempio nella vicenda del Crocifisso esposto nelle scuole o in ambito pubblico.
Convinti come siamo che la libertà religiosa è un perno essenziale e delicatissimo, compromesso il quale è l’intero meccanismo sociale a risentirne, solitamente anche oltre le previsioni.
C’è talora un argomentare infastidito sulla neutralità dello Stato che si rivela non poco capzioso.
E c’è un’aggressività laicista dalle singolari analogie con certe ossessioni ideologiche che ci eravamo lasciati alle spalle senza rimpianti.
Colpisce, in questo senso, la denuncia che nel mese scorso è stata diffusa durante un convegno viennese dell’Osce secondo la quale un’astratta applicazione del principio di non discriminazione finisce paradossalmente per comportare un’oggettiva limitazione al diritto dei credenti a manifestare pubblicamente la propria fede.
Un male sottile insomma sta affliggendo l’Europa, provocando una lenta, sotterranea emarginazione del cristianesimo, con discriminazioni talora evidenti ma anche con un soffocamento silente di libertà fondamentali.
Il caso su cui ci si sofferma è quello dell’obiezione di coscienza sui temi di alta rilevanza etica che, in più nazioni, si tenta ormai di ridimensionare.
Ciò segnerebbe un regresso sul crinale della libertà.
Emarginare simboli, isolare contenuti, denigrare persone è arma con cui si induce al conformismo, si smorzano le posizioni scomode, si mortificano i soggetti portatori di una loro testimonianza in favore di valori cui liberamente credono.
La crisi economica e finanziaria che, a partire dal 2009, ha investito in pratica il mondo intero non è finita.
E che non sia esaurita lo dicono studiosi ed economisti, ma del fatto abbiamo conferma anche nella concreta vicinanza alla gente, nostra e dei nostri cari sacerdoti, ai quali indirizziamo il pensiero grato e fraterno.
Non mancano germi di nuovo, segnali di ripresa e di innovazione, con esperimenti rilevanti nelle relazioni lavorative, ma persistono varie situazioni impaludate.
E dentro ciascuna di esse ci sono persone e, di conseguenza, famiglie in grande allarme e in comprensibile sofferenza.
Noi siamo anzitutto con loro.
Contribuisce poi ad impensierirci ulteriormente il senso di spaesamento che perdura, non come un’atmosfera evidentemente artificiosa e momentanea, ma come stato d’animo concreto, affatto passeggero.
Per questo resta sempre necessario ascoltare per meglio comprendere e opportunamente decidere.
Ad esempio, la contestazione studentesca, sviluppatasi nelle settimane precedenti il Natale, è un fatto che merita una riflessione non scontata.
Non si è trattato di un evento ripetitivo del passato; troppo diverse le situazioni e le condizioni.
Certo, hanno inquietato gli innesti di violenza e di grave devastazione che si sono registrati.
Si è parlato di infiltrazioni improprie, e non tutti né ovunque sono stati pronti a dissociarsi dalla violenza.
Ma in ogni campo bisogna dare ascolto alle preoccupazioni reali e ai dubbi sinceri per meglio capirsi e per poter procedere con l’apporto più ampio e onesto possibile.
Riconoscendo anche, come è accaduto non di rado, che l’esperienza diretta e concreta del nuovo ha riservato sorprese positive, magari non subito colte nella concitazione degli animi e degli eventi.
Resta l’esigenza evidente, comunque, che ogni riforma richiede risorse indispensabili.
La prospettiva infatti del ridimensionamento di quello che ai giovani appare come il più consistente cespite di spesa che lo Stato stanzia in loro favore, deve essere apparsa incomprensibile.
Ma oltre a queste motivazioni psicologiche – di impellenza immediata – ci sono quelle lunghe, ossia la consapevolezza che essi hanno di arrivare alla ribalta in cui dovrebbe cominciare la vita adulta e autonoma, quando una serie di condizioni sono diventate sfavorevoli.
Si dice che questa sia la prima generazione della decrescita, e la si chiama generazione inascoltata o non garantita.
La disoccupazione giovanile è un dramma per l’intera società, e non solo per i giovani direttamente interessati.
Stando alle statistiche, ci sono oltre due milioni di giovani tra i 15 e 34 anni che non studiano, non lavorano, né ormai cercano più un impiego.
Dicono di saper già di non trovarne uno stabile e sono poco disponibili ad abbracciarne uno qualsiasi.
La svalutazione del lavoro manuale, anche specializzato, è evidente.
E questo non è un bene.
Il mondo degli adulti, secondo le diverse responsabilità, è in debito nei confronti delle nuove generazioni, “in debito di futuro”.
I giovani non vogliono certo essere accarezzati come degli eterni adolescenti, desiderano essere considerati responsabili e quindi trattati con serietà, ma chiedono di non sentirsi soli, gettati nella vita e privi di possibilità.
In un documento del nostro episcopato pubblicato trent’anni or sono e che ebbe a suo tempo una notevole accoglienza (La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, 1981), si diceva icasticamente: “Il consumismo ha fiaccato tutti” (n.
11).
Ed eravamo appena agli inizi di quel processo di trasformazione che interesserà l’Italia e l’Occidente nei decenni a seguire, e troverà rappresentazione nella cosiddetta “modernità liquida” dominata da quella che alcuni hanno definito “ideologia del mercato”.
Colpisce l’efficacia di quella predizione, dove ad apparire centrato è in particolare il verbo usato: “fiaccare”.
La desertificazione valoriale ha prosciugato l’aria e rarefatto il respiro.
La cultura della seduzione ha indubbiamente raffinato le aspettative ma ha soprattutto adulterato le proposte.
Ha così potuto affermarsi un’idea balzana della vita, secondo cui tutto è a portata di mano, basta pretenderlo.
Una sorta di ubriacatura, alle cui lusinghe ha – in realtà – ceduto una parte soltanto della società.
Però il calco di quel pensiero è entrato sgomitando nella testa di molti, come un pensiero molesto che pretende ascolto.
Un ascolto peraltro che diventava sempre più improbabile, considerato il nuovo clima sociale, determinato da un volano economico che senza tanti complimenti si era messo a girare all’incontrario.
Noi siamo testimoni della dignità con cui la nostra gente sta normalmente reagendo alle difficoltà che si sono presentate, arrivando a configurare un andamento diverso nel passo del mondo.
Sembrava che il trend della crescita dovesse tutto sommato aumentare sempre, in un movimento espansivo che avrebbe via via incluso sempre nuove fette di popolazione.
Invece la crisi si è presentata come una sorta di drenaggio generale, obbligando un po’ tutti a rivedere le proprie ambizioni.
C’è una verità, forse non troppo detta, ma che la gente ha intuito abbastanza presto: si stava vivendo al di sopra delle proprie possibilità.
Bisogna allora imprimere una moderazione complessiva dell’andamento di vita, senza dimenticare – anzi! – tutti coloro che già prima vivevano sul filo e oggi si trovano sotto.
Con bilanci meno ambiziosi, occorre far fronte a tutte le necessità di una società moderna, per di più senza poter più contare sullo sfogo del debito pubblico che invece dovrà rientrare.
Ma che fare se ognuno difende a spada tratta il livello di vita già acquisito? Questo è il punto in cui i problemi dei giovani vengono a coincidere con le questioni di ordine generale: bisogna infrangere l’involucro individualista e tornare a pensare con la categoria comunitaria del “noi”, perché tutto va ricalibrato secondo un diverso soggetto.
Anche la crescente allergia che si registra nei confronti dell’evasione fiscale è un segnale positivo, che va assecondato.
Adesso più che mai è il momento di pagare tutti nella giusta misura le tasse che la comunità impone, a fronte dei servizi che si ricevono.
Bisogna snellire e semplificare, ma nessuno è moralmente autorizzato ad autodecretarsi il livello fiscale.
Chi fa il furbo non va ammirato né emulato.
Il settimo comandamento, “Non rubare”, resiste con tutta la sua intrinseca perentorietà anche in una prospettiva sociale.
L’intelligenza collettiva ha il dovere di riscattare l’istituto familiare dalle visioni ristrette e impacciate in cui è stato relegato.
I riconoscimenti che nell’ultimo periodo sono giunti da istituzioni insospettabili alla famiglia italiana quale soggetto-baluardo della finanza nazionale e salvadanaio in grado di riequilibrare la finanza pubblica agli occhi delle autorità europee, acquistano oggi il valore di una riabilitazione culturale della famiglia stessa dinanzi a quei grandi poteri da cui è stata spesso ignorata.
Va da sé che una ricognizione lucida della condizione nazionale deve portare il Paese a darsi una politica familiare preveggente, che mantenga la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, e aperta alla vita, quale base per rilanciare il Paese, e rilanciarlo sul proprio caratteristico equilibrio esistenziale, dunque senza ossessivi cedimenti alla struttura del “soggetto singolare”.
Come ho già più volte auspicato, bisogna che il nostro Paese superi, in modo rapido e definitivo, la convulsa fase che vede miscelarsi in modo sempre più minaccioso la debolezza etica con la fibrillazione politica e istituzionale, per la quale i poteri non solo si guardano con diffidenza ma si tendono tranelli, in una logica conflittuale che perdura ormai da troppi anni.
Si moltiplicano notizie che riferiscono di comportamenti contrari al pubblico decoro e si esibiscono squarci – veri o presunti – di stili non compatibili con la sobrietà e la correttezza, mentre qualcuno si chiede a che cosa sia dovuta l’ingente mole di strumenti di indagine.
In tale modo, passando da una situazione abnorme all’altra, è l’equilibrio generale che ne risente in maniera progressiva, nonché l’immagine generale del Paese.
La collettività, infatti, guarda sgomenta gli attori della scena pubblica, e respira un evidente disagio morale.
La vita di una democrazia – sappiamo – si compone di delicati e necessari equilibri, poggia sulla capacità da parte di ciascuno di auto-limitarsi, di mantenersi cioè con sapienza entro i confini invalicabili delle proprie prerogative.
“Muoversi secondo una prospettiva di responsabilità – ammoniva il Papa in occasione dell’ultima Settimana Sociale – comporta la disponibilità ad uscire dalla ricerca del proprio interesse esclusivo per perseguire insieme il bene del Paese” (Benedetto XVI, Messaggio alla 46a Settimana Sociale dei cattolici italiani, 12 ottobre 2010).
Come ho già avuto modo di dire, “chiunque accetta di assumere un mandato politico deve essere consapevole della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che esso comporta, come anche la nostra Costituzione ricorda (cfr.
art.
54)” (Prolusione al Consiglio Permanente, 21-24 settembre 2009, n.
8).
Dalla situazione presente – comunque si chiariranno le cose – nessuno ricaverà realmente motivo per rallegrarsi, né per ritenersi vincitore.
Troppi oggi – seppur ciascuno a modo suo – contribuiscono al turbamento generale, a una certa confusione, a un clima di reciproca delegittimazione.
E questo – facile a prevedersi – potrebbe lasciare nell’animo collettivo segni anche profondi, se non vere e proprie ferite.
La comunità nazionale ha indubbiamente una propria robustezza e non si lascia facilmente incantare né distrarre dai propri compiti quotidiani.
Tuttavia, è possibile che taluni sottili veleni si insinuino nelle psicologie come nelle relazioni, e in tal modo – Dio non voglia! – si affermino modelli mentali e di comportamento radicalmente faziosi.
Forse che questo non sarebbe un attentato grave alla coesione sociale? E quale futuro comune potrà risultare, se il terreno in cui il Paese vive rimanesse inquinato? È necessario fermarsi – tutti – in tempo, fare chiarezza in modo sollecito e pacato, e nelle sedi appropriate, dando ascolto alla voce del Paese che chiede di essere accompagnato con lungimiranza ed efficacia senza avventurismi, a cominciare dal fronte dell’etica della vita, della famiglia, della solidarietà e del lavoro.
Come Pastori che amano la comunità cristiana, e come cittadini di questo caro Paese, diciamo a tutti e a ciascuno di non cedere al pessimismo, ma di guardare avanti con fiducia.
È questo l’atteggiamento interiore che permetterà di avere quello scatto di coscienza e di responsabilità necessario per camminare e costruire insieme.
Così, non possiamo non porre mente particolare alle giovani generazioni e al dovere educativo che investe in primissimo luogo la famiglia, e irrinunciabilmente i genitori, sostenuti dai parenti, in particolare dai nonni.
La Chiesa è consapevole di questo diritto, primordiale perché naturale, dei genitori quali essenziali educatori dei loro figli, e si concepisce anzitutto al loro servizio, e questo fa con profondo rispetto e la premura che viene da un patrimonio umano e religioso a tutti noto.
A sua volta, la Chiesa stessa ha un irrinunciabile mandato educativo, che intende assolvere con dedizione assoluta e santità di vita.
Certamente l’istituzione scolastica fa tutto quello che può, specialmente attraverso l’impegno serrato di una moltitudine di docenti e operatori, competenti e generosi.
Eppure, questo dispiegamento di disponibilità pare non bastare, tanto è grande e delicata oggi “la sfida educativa”.
Per questo deve entrare in campo la società nel suo insieme, e dunque con ciascuna delle sue componenti e articolazioni.
Se la scuola – come oggi si intende – dev’essere “comunità educante”, bisogna convincersi con una maggiore risolutezza che la società nel suo complesso è chiamata ad essere “comunità educante”.
Affermare ciò, a fronte di determinati “spettacoli”, potrebbe apparire patetico o ingenuo, eppure come Vescovi dobbiamo caricarci sulle spalle anche, e soprattutto, questo onere di richiamare ai doveri di fondo, di evidenziare le connessioni, di scoprire i pilastri portanti di una comunità di vita e di destino.
Se si ingannano i giovani, se si trasmettono ideali bacati cioè guasti dal di dentro, se li si induce a rincorrere miraggi scintillanti quanto illusori, si finisce per trasmettere un senso distorcente della realtà, si oscura la dignità delle persone, si manipolano le mentalità, si depotenziano le energie del rinnovamento generazionale.
È la speranza, pane irrinunciabile sul tavolo dei popoli, a piegarsi e venire meno.
Il cuore dei giovani tende – per natura – alla grandezza e alla bellezza, per questo cerca ideali alti: bisogna che essi sappiano che nulla di umanamente valevole si raggiunge senza il senso del dovere, del sacrificio, dell’onestà verso se stessi, della fiducia illuminata verso gli altri, della sincerità che soppesa ogni proposta, scartando insidie e complicità.
In una parola, di valori perenni.
Gesù è il modello affascinante, l’amico che non tradisce e viene sempre incontro, che prende per mano e riaccende ogni volta la forza sorgiva che sostiene la fiducia verso la realizzazione di sé e la vera felicità.
Questo – come adulti e come giovani – abbiamo bisogno di vedere e di sentire sempre, oltre ogni moralismo ma anche oltre ogni libertarismo, l’uno e l’altro spesso dosati secondo le stagioni.
Bisogna che nel suo complesso il Paese ringiovanisca, torni a crescere dal punto di vista culturale e quindi anche sociale ed economico, battendo i catastrofismi.
Cambiare in meglio si può e si deve.
Le cortine fumogene svaniscono, arroganze e supponenze portano a poco.
I sacrifici che i cittadini stanno affrontando acquistano un senso se vengono prospettati obiettivi credibili e affidabili.
Tra questi, c’è l’orizzonte di una maggiore giustizia sociale e di una modernizzazione effettiva in ogni articolazione pubblica, anche quella a beneficio dell’utenza più larga, specialmente se perseguita nel rispetto delle regole, e respingendo il malaffare e le intimidazioni di ogni mafia.
Come è obiettivo inderogabile l’avvio delle riforme annunciate, applicandosi in un’ottica puntigliosamente coinvolgente tutte le forze politiche, ciascuna secondo la misura intera nella parte assegnata dai cittadini.
Bisogna avere fiducia nelle nostre qualità e potenziare la capacità elaborativa di ogni sede responsabile, affinando l’attitudine a captare umori e orientamenti per poterli comporre in vista di una mediazione d’insieme la più alta possibile.
Un Paese complesso richiede saggezza e virtù.
Vi ringrazio, Confratelli cari, per il Vostro paziente ascolto e per l’accoglienza ragionata che vorrete riservare a queste considerazioni.
Con la discussione, entriamo già nel vivo dell’ordine del giorno, mentre ci attendono argomenti importanti in merito alla vita cristiana del nostro popolo e all’efficacia della nostra Conferenza.
Ci assista Maria, che il popolo anconetano venera come Regina di tutti Santi, e che dalla sacra Casa di Loreto ci segue e ci protegge.
E ci assistano i Santi Patroni, san Ciriaco e san Leopardo, san Giuseppe da Copertino e san Francesco di Sales: la loro compagnia ci incoraggia e ci sostiene.
(©L’Osservatore Romano – 24-25 gennaio 2011) La difesa del bene comune di Vito Mancuso NEL discorso di ieri, atteso dall’Italia con un interesse forse mai avuto prima per le parole di un Presidente della Cei, il cardinal Bagnasco ha disposto le artiglierie, ha caricato i proiettili, ha puntato nella direzione giusta.
E ha iniziato a colpire con parole infuocate come non era mai accaduto prima i comportamenti del capo del governo, andando ad affiancare le sue critiche a quelle espresse in precedenza dal Presidente della Repubblica e dal Presidente degli industriali.
Quando però è stato il momento di compiere la missione fino alla fine, il cardinale ha rivolto le sue armi altrove.
Il risultato, quest’oggi, è che tutti possono dire che sono contenti, persino i sostenitori del governo, per una situazione analoga a quella del dopo-elezioni quando nessuno dice di avere perso.
La gerarchia cattolica aveva l’occasione di aiutare gli italiani a fare chiarezza per uscire da una situazione che li rende ridicoli al mondo e peggio ancora a se stessi, ma non è stata capace di portarla avanti fino in fondo, immolandola sull’altare della diplomazia.
Bagnasco ha esordito parlando di “nubi preoccupanti che si addensano sul nostro paese”, ha continuato con la “perversione di fondo del concetto di ethos”, ha detto che “a vacillare sono i fondamenti stessi di una civiltà”, ha proseguito con il “consumismo” e la “cultura della seduzione” da cui scaturiscono una “rappresentazione fasulla dell’esistenza, volta a perseguire un successo basato sull’artificiosità, la scalata furba, il guadagno facile, l’ostentazione e il mercimonio di sé” con il risultato di un “disastro antropologico”.
Quando poi è giunto a toccare la più stretta attualità ha parlato di “debolezza etica” e di “fibrillazione politica e istituzionale”, ha ricordato che “si moltiplicano notizie che riferiscono di comportamenti contrari al pubblico decoro e si esibiscono squarci di stili non compatibili con la sobrietà e la correttezza”, e infine ha ricordato l’art.
54 della Costituzione che sottolinea il dovere per chi governa di misura, sobrietà, disciplina e onore.
Insomma un’analisi limpida e forte, a tratti severa, come si conviene al momento drammatico del paese.
Ma alla fine è mancato il coraggio di andare fino in fondo nel combattere i mali evocati, ha vinto la diplomazia e ha perso la profezia.
Infatti dopo tutte queste analisi all’insegna della chiarezza evangelica, il cardinale ha girato le artigliere dall’altra parte puntandole verso i magistrati milanesi e ha proclamato in perfetto stile curiale, e non senza una sottile sfumatura di ambiguità per l’uso del pronome indefinito: “…
mentre qualcuno si chiede a che cosa sia dovuta l’ingente mole di strumenti di indagine”, col risultato, per Bagnasco, che così si passa “da una situazione abnorme all’altra”.
Ovvero: il capo del governo ha torto, ma i magistrati non hanno ragione, esagerano.
Sia chiaro che nessuno si aspettava scomuniche, ma che almeno quello “scatto di coscienza e di responsabilità” che lo stesso cardinale chiede agli italiani fosse mantenuto con coerenza fino in fondo sì.
Nel discorso di qualche giorno fa al Corpo diplomatico il Papa ha detto della minaccia costituita da alcuni programmi di educazione sessuale nelle scuole.
Senza entrare nel merito, chiedo che cos’è un’ora scolastica di educazione sessuale rispetto alle notizie che ogni giorno entrano nelle case con tutti i sexy-gate che periodicamente ricorrono in questa colossale permanente maleducazione sessuale e antropologica, che ora si chiama Ruby ora in molti altri nomi, ma il cui vero nome è “Legione” come rispose l’indemoniato a Gesù: “Mi chiamo Legione perché siamo in molti” (Vangelo di Marco 5,9).
La Chiesa poteva contribuire a far sì che chi vuole godere di questa compagnia lo faccia pure giorno e notte quando e come vuole ma senza coinvolgere la politica e la vita degli italiani, ma non ha avuto il coraggio per andare fino in fondo.
La Chiesa, è noto, ha una lunga storia con il tema prostituz ione, ben prima della comparsa di tutte queste signorine nelle ville del capo del governo.
Dalle prime pagine della Bibbia alla genealogia di Gesù, dalle parole evangeliche “le prostitute vi passeranno avanti nel regno dei cieli” all’appellativo patristico sulla Chiesa casta meretrix e alle parole di Dante che accusano i papi di puttaneggiar coi regi”, la prostituzione ha sempre accompagnato il cammino del cristianesimo.
Nulla di strano, perché ha sempre accompagnato il cammino dell’umanità.
Quindi nessuno si aspettava che il cardinal Bagnasco si stracciasse le vesti scandalizzato.
Ma tra lo scandalo di un Savonarola e le parole di biasimo in sé giuste rese però innocue dal biasimo riversato sui magistrati per il troppo zelo, c’è una bella differenza.
So bene che vi sono legittimi interessi dell’istituzione Chiesa da salvaguardare come i finanziamenti alle scuole cattoliche, le esenzioni delle tasse per gli edifici ecclesiastici, la battaglia parlamentare sul biotestamento e materie similari.
Ed è giusto che il presidente della Cei tenga conto di tutto ciò.
Ma vi sono dei momenti nei quali bisogna guardare davvero unicamente al bene comune, momenti nei quali chi sta in alto si ritrova solo, ed è chiamato a responsabilità profetiche e morali senza poter coniugare tutti gli interessi in gioco.
Ieri la gerarchia della Chiesa italiana era in questa situazione.
Le parole di Bagnasco sono state per molti tratti un buon esempio di cosa significa parlare di politica senza fare ingerenze partitiche, perché la nostra situazione non è più questione di destra o di sinistra ma solo di decenza e di dare un governo vero a un paese che ne ha urgente bisogno.
Alla fine però ha ceduto alla diplomazia, ha usato il bilancino che le consente di avere tutti i forni sempre aperti.
E così il sale evangelico ha perso ancora un po’ del suo in “la Repubblica” del 25 gennaio 2011 Appello del presidente Giorgio Napolitano Bisogna evitare esasperazioni e nuove tensioni Roma, 21.
“Occorre nell’immediato scongiurare ulteriori esasperazioni e tensioni che possono solo aggravare un turbamento largamente avvertito e riconosciuto e suscitare un effetto di deprimente lontananza dallo sforzo che si richiede per superare le molteplici prove cui la comunità nazionale deve fare fronte”: è un passaggio dell’intervento tenuto oggi dal presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, in occasione della Giornata dell’informazione celebrata al Quirinale.
Il capo dello Stato ha fatto appello a “un valido equilibrio tra i valori del diritto-dovere” di cronaca e quelli del “rispetto della riservatezza delle indagini nonché della privacy e dignità delle persone” e ha richiamato l’esigenza del “senso del limite e responsabilità che non può mancare nell’informazione, specie nella cronaca giudiziaria”, anche se “la materia è sempre e più che mai scottante”.
Napolitano ha definito “un rilevante banco di prova” per quanti operano nel mondo dell’informazione l’applicazione del codice di autoregolamentazione in materia di rappresentazione delle vicende giudiziarie nelle trasmissioni radiotelevisive.
Napolitano ha aggiunto un richiamo a un equilibrio “egualmente sempre indispensabile tra chi esercita il controllo di legalità e l’azione penale obbligatoria e chi è chiamato a funzioni di governo”.
Nella Costituzione e nella legge – ha spiegato ancora – si possono trovare “i riferimenti di principio e i canali normativi e procedurali per far valere, insieme, le ragioni della legalità nel loro necessario rigore e le garanzie del giusto processo”.
Al di fuori di questo quadro, ha aggiunto, “ci sono solo le tentazioni di conflitti istituzionali e di strappi mediatici che non possono condurre, per nessuno, a conclusioni di verità e di giustizia”.
Il capo dello Stato ha ricordato come da anni si stia spendendo “per sollecitare quell’equilibrio e quel rispetto reciproco che appaiono spesso alterati”.
Un’alterazione che provoca “grave danno sia per la politica che per la giustizia”.
Da qui, lo sconforto per le “troppe sollecitazioni” cadute nel vuoto: troppe occasioni sono state perdute, “e oggi ne paghiamo il prezzo”, ha concluso Napolitano.
(©L’Osservatore Romano – 22 gennaio 2011) Cari amici, in un momento tanto confuso e delicato per il nostro paese vorremmo evitare che la marea dei pettegolezzi che invade ogni giorno le pagine dei giornali finisca per oscurare il senso del nostro lavoro quotidiano per il bene comune.
C’è il rischio di farsi tutti confondere o trascinare dall’onda nera, lasciandosi strumentalizzare da un moralismo interessato e intermittente, che emerge solo quando c’è di mezzo il presidente Berlusconi.
Un moralismo che nulla ha a che fare con quella “imitatio Christi” a cui la Chiesa ci invita, e che anzi non si fa scrupoli a brandire per fini politici, e in senso opposto a seconda delle convenienze di parte, l’idea della morale cristiana.
L’enorme scossone mediatico e politico di questi ultimi giorni non si comprende appieno se non come l’ultimo atto di un’offensiva giudiziaria iniziata con Tangentopoli: il tentativo di una piccola ma agguerrita minoranza di magistrati di interferire pesantemente negli assetti politici, per determinare nuovi equilibri che prescindano dal consenso popolare.
Diciassette anni fa c’erano gli arresti spettacolari: politici e personaggi pubblici sfilavano in manette sotto telecamere impietose, e la carcerazione preventiva era lo strumento privilegiato di alcune procure.
Ma quante di quelle accuse, urlate da certi magistrati con tanta sicurezza da sembrare indubitabili, si sono rivelate poi vere? Certamente sono stati riconosciuti dei colpevoli, anche se altri pur imputabili delle stesse responsabilità sono stati risparmiati e in alcuni casi nemmeno sfiorati dall’ombra del sospetto.
Quel che è più grave, però, in numerose occasioni processi condotti nelle aule dei tribunali sono giunti a ben altre conclusioni rispetto alle accuse iniziali.
Le tante assoluzioni che pure ne sono seguite, però, non potranno mai ripagare l’ingiustizia subita da chi vi si è trovato coinvolto, soprattutto da chi non ce l’ha fatta e si è tolto la vita.
E intanto, il paese ha pagato e paga ancora oggi le conseguenze di indagini a senso unico che hanno azzerato il ceto politico moderato, rallentato e inibito la capacità decisionale delle pubbliche amministrazioni, indebolito la grande impresa italiana.
Adesso la carcerazione preventiva è stata sostituita dalla gogna preventiva.
Si butta nella pubblica piazza con una violenza inusitata la presunta vita privata delle persone (presunta perché contenuti frammentari di intercettazioni e commenti di persone terze non offrono alcuna garanzia di veridicità), e la si chiama “trasparenza”.
Abbiamo bisogno di giustizia, una giustizia che sia però veramente giusta, che segua regole certe, assicuri l’inviolabilità dei diritti di tutti i cittadini compreso chi si trova ad essere oggetto di accuse, e offra le garanzie necessarie, a partire dall’imparzialità del giudice e dal rispetto del segreto istruttorio.
Una giustizia nella quale i magistrati formulino ipotesi di reato e non si occupino di costruire operazioni finalizzate ad emettere sentenze di ordine morale.
Chiediamo a tutti di aspettare, di sospendere il giudizio, di non farsi trascinare nella facile trappola del processo mediatico e sommario al Presidente del Consiglio, e chiediamo che si rispetti una vera presunzione di innocenza nei suoi confronti, finché il percorso di accertamento dei fatti sarà completato.
Ve lo chiediamo non solo perchè è un elementare principio di civiltà giuridica, ma anche perché noi all’immagine abietta del Presidente Berlusconi così come dipinta da tanti giornali non crediamo.
Noi conosciamo un altro Berlusconi, conosciamo il Presidente con cui abbiamo lavorato in questi anni, e che ci ha dato la possibilità di portare avanti battaglie difficili e controcorrente, condividendole con noi.
Siamo certi che il tempo ci darà ragione: ma è di quel tempo che adesso c’è bisogno.
Sarebbe assurdo e deleterio per il futuro dell’Italia consentire che, nell’attesa di un esito incerto della vicenda giudiziaria si producesse il danno certo di un cambiamento politico nel segno della conservazione sociale, della recessione economica e del relativismo etico come conseguenza di indagini asimmetriche che colpiscono alcuni risparmiando altri.
Ciò che non intendiamo invece tenere in sospeso è la responsabilità di noi, credenti e non credenti, impegnati convintamente nel Popolo della Libertà.
Non abbiamo alcuna intenzione di interrompere il lavoro politico e legislativo che ci vede dediti alla costruzione del bene comune, dalla difesa della famiglia alla libertà di educazione, dalle leggi in difesa della vita alla attuazione concreta del principio di sussidiarietà.
Aspettiamo che la polvere e il fango si depositino, diamo tempo alla verità e alla giustizia.
Raffaele Calabrò Roberto Formigoni Maurizio Gasparri Maurizio Lupi Alfredo Mantovano Mario Mauro Gaetano Quagliariello Eugenia Roccella Maurizio Sacconi La politica deve dare speranza di Franco Garelli Ha parlato più della rabbia dei giovani che dell’«affaire Berlusconi», più del vuoto politico che penalizza i giovani che del danno etico che deriva al Paese dai comportamenti privati (che fanno cultura pubblica) del premier.
Questa l’impressione di fondo che si ricava dalla prolusione con cui ieri il cardinal Bagnasco ha aperto ad Ancona i lavori del parlamentino dei Vescovi italiani.
Era grande l’attesa per questo intervento, che seguiva di qualche giorno le riflessioni sofferte e coraggiose sul «Rubygate» avanzate sia dal quotidiano cattolico Avvenire , sia dal segretario di Stato vaticano.
Nel chiedere urgente chiarezza, il direttore di Avvenire aveva definito molto pesanti i reati imputati a Silvio Berlusconi dai pubblici ministeri milanesi, giudicando l’accusa di prostituzione minorile addirittura insopportabile sul piano della valutazione morale.
In parallelo, il cardinal Bertone ha rotto il silenzio ufficiale della Santa Sede, assicurando di seguire con particolare preoccupazione «queste vicende italiane», chiedendo «più moralità e legalità nella vita politica».
Il discorso del presidente della Cei è stato in linea con questi richiami, anche se con un tono più sfumato e bipartisan rispetto a ciò che molti (anche nel mondo cattolico di base) potevano attendersi.
Ovviamente, i warning indiretti alle ultime vicende del presidente del Consiglio non sono mancati, come quando Bagnasco ricorda che l’assunzione di un mandato politico richiede «misura, sobrietà e disciplina»; o quando denuncia lo sgomento e il disagio morale che si respira nel Paese per come si comportano gli attori nella scena pubblica; o ancora, quando lancia un pressante invito a quanti ricoprono incarichi di alta responsabilità ad «auto-limitarsi», a «mantenersi cioè con sapienza entro i confini invalicabili delle proprie prerogative».
Soprattutto il porporato ha ben presente che certi stili disinvolti nell’interpretare i ruoli politici influenzano la mentalità della gente comune, modificano l’antropologia della nazione.
I cattivi esempi pubblici producono degrado morale, alimentano una «rappresentazione fasulla dell’esistenza», legittimano «un successo basato sull’artificiosità, la scalata furba, il guadagno facile, l’ostentazione e il mercimonio di sé».
Le parole forti, dunque, non sono mancate, ma esse sono state accompagnate da molte considerazioni che chiamano in causa l’intera classe politica, lo strapotere di alcuni magistrati, la responsabilità dei mass media, la disunità di un Paese in cui prevale la fibrillazione politica e istituzionale e in cui i diversi poteri si delegittimano a vicenda.
Come a dire che le responsabilità sono diffuse e che non è facile trovare il bandolo della matassa; o che l’alternativa non è dietro l’angolo.
Uno scenario questo, che indurrà molti a pensare che la chiesa si muove sempre con grande prudenza, e che è più propensa ad ammonire e denunciare i cattivi esempi che a prefigurare situazioni che rompano equilibri consolidati.
Mentre è stato più articolato e «ecumenico» nel giudizio sul battage politico di questi giorni, il cardinal Bagnasco ha riservato un vero e proprio affondo alle forze politiche e al governo su un altro tema caldo del momento, rappresentato dal disagio dei giovani, dal precariato infinito, dalle proteste che hanno accompagnato e seguito la recente riforma dell’Università.
Pur condannando senza mezzi termini gli episodi di violenza che si sono registrati in alcuni moti di piazza nelle settimane precedenti il Natale, il capo dei vescovi ha ricordato le «ragioni serie» della rivolta dei giovani.
Questa è la prima generazione della «decrescita», perlopiù inascoltata e non garantita; giovani dunque che chiedono alla società di non essere messi ai margini e ai politici di investire sul loro futuro.
Che cosa fanno le forze politiche e di governo per ridare speranza ai giovani, per promuovere la formazione e la ricerca, per ridurre il dramma della disoccupazione dilagante e di un precariato sempre più endemico? Quelle forze politiche che sembrano più occupate dalle misere vicende di Arcore o di Montecarlo che a governare i grandi problemi del Paese? in “La Stampa” del 25 gennaio 2011 Udienza di Benedetto XVI a dirigenti e agenti della questura di Roma I principi etici su cui si fonda il diritto “Le nuove sfide che si affacciano all’orizzonte esigono che la società e le istituzioni pubbliche ritrovino la loro “anima”, le loro radici spirituali e morali, per dare nuova consistenza ai valori etici e giuridici di riferimento e quindi all’azione pratica”.
Lo ha affermato Benedetto XVI nel discorso ai dirigenti e agli agenti della Questura di Roma ricevuti in udienza stamane, 21 gennaio, nell’Aula della Benedizione.
Illustre Signor Questore, illustri Dirigenti e Funzionari, cari Agenti e Personale civile della Polizia di Stato! Sono veramente lieto di questo incontro con voi e vi do il benvenuto nella Casa di Pietro, questa volta non per servizio, ma per vederci, parlarci e salutarci in modo più familiare! Saluto in particolare il Signor Questore, ringraziandolo per le sue cortesi parole, come pure gli altri Dirigenti e il Cappellano.
Un saluto cordiale ai vostri familiari, specialmente ai bambini! Desidero anzitutto ringraziarvi per tutto il lavoro che svolgete a favore della città di Roma, di cui sono il Vescovo, perché la sua vita si svolga nell’ordine e nella sicurezza.
Esprimo la mia riconoscenza anche per quell’impegno in più che spesso la mia attività richiede da voi! L’epoca in cui viviamo è percorsa da profondi cambiamenti.
Anche Roma, che giustamente è chiamata “città eterna”, è molto cambiata e si evolve; lo sperimentiamo ogni giorno e voi ne siete testimoni privilegiati.
Questi mutamenti generano talvolta un senso di insicurezza, dovuto in primo luogo alla precarietà sociale ed economica, acuita però anche da un certo indebolimento della percezione dei principi etici su cui si fonda il diritto e degli atteggiamenti morali personali, che a quegli ordinamenti sempre danno forza.
Il nostro mondo, con tutte le sue nuove speranze e possibilità, è attraversato, al tempo stesso, dall’impressione che il consenso morale venga meno e che, di conseguenza, le strutture alla base della convivenza non riescano più a funzionare in modo pieno.
Si affaccia pertanto in molti la tentazione di pensare che le forze mobilitate per la difesa della società civile siano alla fine destinate all’insuccesso.
Di fronte a questa tentazione, noi, in modo particolare, che siamo cristiani, abbiamo la responsabilità di ritrovare una nuova risolutezza nel professare la fede e nel compiere il bene, per continuare con coraggio ad essere vicini agli uomini nelle loro gioie e sofferenze, nelle ore felici come in quelle buie dell’esistenza terrena.
Ai nostri giorni, grande importanza è data alla dimensione soggettiva dell’esistenza.
Ciò, da una parte, è un bene, perché permette di porre l’uomo e la sua dignità al centro della considerazione sia nel pensiero che nell’azione storica.
Non si deve mai dimenticare, però, che l’uomo trova la sua dignità profondissima nello sguardo amorevole di Dio, nel riferimento a Lui.
L’attenzione alla dimensione soggettiva è anche un bene quando si mette in evidenza il valore della coscienza umana.
Ma qui troviamo un grave rischio, perché nel pensiero moderno si è sviluppata una visione riduttiva della coscienza, secondo la quale non vi sono riferimenti oggettivi nel determinare ciò che vale e ciò che è vero, ma è il singolo individuo, con le sue intuizioni e le sue esperienze, ad essere il metro di misura; ognuno, quindi, possiede la propria verità, la propria morale.
La conseguenza più evidente è che la religione e la morale tendono ad essere confinate nell’ambito del soggetto, del privato: la fede con i suoi valori e i suoi comportamenti, cioè, non avrebbe più diritto ad un posto nella vita pubblica e civile.
Pertanto, se, da una parte, nella società si dà grande importanza al pluralismo e alla tolleranza, dall’altra, la religione tende ad essere progressivamente emarginata e considerata senza rilevanza e, in un certo senso, estranea al mondo civile, quasi si dovesse limitare la sua influenza sulla vita dell’uomo.
Al contrario, per noi cristiani, il vero significato della “coscienza” è la capacità dell’uomo di riconoscere la verità, e, prima ancora, la possibilità di sentirne il richiamo, di cercarla e di trovarla.
Alla verità e al bene occorre che l’uomo sappia aprirsi, per poterli accogliere in modo libero e consapevole.
La persona umana, del resto, è espressione di un disegno di amore e di verità: Dio l’ha “progettata”, per così dire, con la sua interiorità, con la sua coscienza, affinché essa possa trarne gli orientamenti per custodire e coltivare se stessa e la società umana.
Le nuove sfide che si affacciano all’orizzonte esigono che Dio e uomo tornino ad incontrarsi, che la società e le Istituzioni pubbliche ritrovino la loro “anima”, le loro radici spirituali e morali, per dare nuova consistenza ai valori etici e giuridici di riferimento e quindi all’azione pratica.
La fede cristiana e la Chiesa non cessano mai di offrire il proprio contributo alla promozione del bene comune e di un progresso autenticamente umano.
Lo stesso servizio religioso e di assistenza spirituale che, in forza delle vigenti disposizioni normative, Stato e Chiesa si impegnano a fornire anche al personale della Polizia di Stato, testimonia la perenne fecondità di questo incontro.
La singolare vocazione della città di Roma richiede oggi a voi, che siete pubblici ufficiali, di offrire un buon esempio di positiva e proficua interazione fra sana laicità e fede cristiana.
L’efficacia del vostro servizio, infatti, è il frutto della combinazione tra la professionalità e la qualità umana, tra l’aggiornamento dei mezzi e dei sistemi di sicurezza e il bagaglio di doti umane quali la pazienza, la perseveranza nel bene, il sacrificio e la disponibilità all’ascolto.
Tutto questo, ben armonizzato, va a favore dei cittadini, specialmente delle persone in difficoltà.
Sappiate sempre considerare l’uomo come il fine, perché tutti possano vivere in maniera autenticamente umana.
Come Vescovo di questa città, vorrei invitarvi a leggere e meditare la Parola di Dio, per trovare in essa la fonte e il criterio di ispirazione per la vostra azione.
Cari amici! quando siete in servizio per le strade di Roma, o nei vostri uffici, pensate che il vostro Vescovo, il Papa, prega per voi, che vi vuole bene! Vi ringrazio per la vostra visita, e vi affido tutti alla protezione di Maria Santissima e dell’Arcangelo San Michele, vostro protettore celeste, mentre imparto di cuore su di voi e sul vostro impegno una speciale Benedizione Apostolica.
(©L’Osservatore Romano – 22 gennaio 2011)
Categoria: Didattica
Giovanni Maria Vian: la Chiesa non venga tirata per la manica
L’intervista «Mi viene in mente l’apologo del clown e del villaggio in fiamme narrato da Kierkegaard che Joseph Ratzinger aveva citato nella sua Introduzione al cristianesimo per descrivere la situazione di un teologo oggi: il circo che s’incendia, il clown mandato a chiamare aiuto al villaggio vicino e la gente che, davanti alle sue grida, ride fino alle lacrime pensando ad un trucco per attrarre pubblico.
Finché le fiamme arrivano al villaggio» .
Il professor Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano, parla sul filo di un’ironia un po’ amara: «Le parole della Chiesa intorno a valori antichi come la sessualità responsabile o il rispetto per la persona umana facevano ridere a crepapelle, quando non venivano bollate di oscurantismo e considerate aggressioni…» .
E adesso? «È singolare come questi temi vengano invocati solo ora» .
È singolare anche il momento, no? «C’è un allarme diffuso, certo, ma sono decenni che la Chiesa ne parla, non ha mai cambiato predicazione» .
L’intervento di Benedetto XVI non riguarda anche Berlusconi? «Riguarda tutti.
E certamente il discorso del Papa non può essere usato nello scontro politico.
Penso alle considerazioni equilibrate fatte giorni fa da persone come monsignor Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e assistente generale dell’Azione Cattolica, o padre Ugo Sartorio, direttore del Messaggero di Sant’Antonio: la Chiesa non può essere tirata per la manica, non le si può chiedere una supplenza di questo genere.
I problemi politici devono essere risolti politicamente» .
Una certa urgenza si nota: anche nel discorso natalizio alla Curia, Benedetto XVI aveva parlato del «consenso morale» che si sta «dissolvendo» .
«E infatti pure quest’ultimo intervento del Papa vola alto, non è diretto alla sola società italiana.
Tra l’altro, anche prima di Natale, il pontefice parlava del venir meno, col dissolversi del consenso morale, delle strutture “giuridiche e politiche”» .
Come ha fatto il cardinale Bertone chiedendo più moralità e legalità? «Non a caso il Segretario di Stato ha parlato di diversi ambiti: politico, giudiziario e amministrativo.
La responsabilità è di tutti, che tutti ripensino ai loro comportamenti» .
Era preoccupato…
«Lo ha detto lui stesso.
E il suo non era un intervento polemico ma costruttivo, rivolto al bene del Paese.
Infatti l’Osservatore ha pubblicato la nota del Quirinale e, oggi, l’intervento sacrosanto del Colle perché si evitino esasperazioni e nuove tensioni» .
Sacrosanto? «Il Paese non è in una situazione tranquilla e florida, bisogna costruire anziché distruggere, cercare un cammino comune e positivo.
Il Colle si è detto turbato sia per le ipotesi di reato sia per la diffusione di certe intercettazioni: un amico con figli che vanno a scuola mi ha raccontato che ha dovuto cambiare canale» .
La sintonia tra Santa Sede e Quirinale sembra andare ben oltre l’etichetta diplomatica, no? «Senz’altro.
Il Santo Padre e Napolitano sono quasi coetanei, hanno storie diverse ma questo non ha impedito che si mantenessero contatti frequenti e un rapporto personale di profonda sintonia».
in “Corriere della Sera” del 22 gennaio 2011
Intervista a Angelo Scola: «Tra i musulmani è in corso una lotta di idee, oltre che di armi»
L’intervista Ieri ventuno rose rosse, ventuno «bocoli» , sono state offerte all’altare della Madonna Nicopeia nella Basilica di San Marco al termine della messa presieduta dal Patriarca, cardinale Angelo Scola.
Un gesto speciale per ricordare il martirio dei cristiani nel mondo e la strage di 21 persone che ha colpito la comunità copta ad Alessandria d’Egitto, una chiesa particolarmente vicina a quella di Venezia, perché nate entrambe dalla predicazione dell’evangelista Marco.
Cardinale Scola, l’imam Al Tayyeb, capo della moschea di Al Azhar, ha chiesto in un’intervista al Corriere un segnale del Papa per ristabilire la fiducia.
Lei, da decenni, si occupa della presenza dei cristiani in Medioriente anche attraverso la Fondazione Oasis.
Cosa pensa delle parole di Al Tayyeb? «Prima di tutto bisogna prendere atto che sappiamo ancora poco gli uni degli altri.
Lo prova il fatto che nessun cristiano praticante si riconoscerebbe nell’immagine della sua fede che è corrente tra i musulmani e viceversa.
Poi è urgente affrontare il grande nodo del rapporto tra verità e libertà.
Si tratta di un equilibrio sempre da riconquistare perché senza verità l’uomo si smarrisce, ma senza libertà l’uomo si ritrova schiavo.
La violenza nasce anche da qui».
Ma i cristiani non hanno minacciato nessuno, semmai sono vittime di chi in nome della religione fa stragi e semina paura e morte.
«Purtroppo le percezioni sono radicalmente diverse tra una sponda e l’altra del Mediterraneo.
Molti in Occidente si sentono sotto attacco da parte dell’Islam, mentre in Oriente molti ritengono che sia l’Islam a essere sotto attacco.
I media hanno una responsabilità in questo.
Tuttavia dobbiamo rimanere aderenti ai fatti: non per la prima volta, alcuni terroristi che sostengono di agire in nome dell’Islam hanno perpetrato un esecrabile attentato suicida in una Chiesa in cui erano radunati in preghiera diversi fedeli cristiani».
Benedetto XVI ha chiesto protezione per tutti i cristiani.
Come spiega che questa posizione venga etichettata come un’ingerenza? «Il Papa non chiede alcun trattamento privilegiato per i cristiani.
Chiede il rispetto dei diritti fondamentali di ogni uomo, tra i quali c’è evidentemente quello a vivere, a professare pubblicamente la religione e a non essere cacciati dal proprio Paese.
Siccome negli attentati di Alessandria, come a Bagdad in ottobre, come a Nag Hammadi un anno fa, come in Pakistan molto di frequente, come in India o in Cina, a essere colpiti sono i cristiani, il Papa, che porta la responsabilità di più di un miliardo di fedeli, ha ritenuto doveroso attirare l’attenzione del mondo sul problema della persecuzione dei cristiani».
Quale ruolo per l’Europa? «L’Europa deve operare in modo molto più deciso per il rispetto dei diritti fondamentali, avendo il coraggio di non subordinarli agli interessi economici.
Inoltre può promuovere, nei fatti, un modello di società plurale nella quale le diverse componenti si riconoscano a partire dal bene pratico dell’essere insieme.
È un’idea su cui si possono incontrare laici e credenti delle varie religioni.
Un’idea che, nel medio termine, può essere un paradigma per tutti i Paesi».
Proprio il giorno dell’attentato di Alessandria, il Papa aveva reso noto che ad ottobre parteciperà all’incontro interreligioso di Assisi…
«L’incontro di Assisi ha esattamente questo significato: il terrorismo, prima ancora di essere un problema di sicurezza e di intelligence, solleva una questione di esperienza e di cultura.
Esiste una violenza che viene perpetrata in nome di Dio.
Occorre che le religioni tolgano ogni legittimità a questi atti criminali.
Non dobbiamo dire solo che è sbagliato, ma anche perché è sbagliato».
I kamikaze musulmani si ritengono martiri.
Anche per i cristiani i martiri sono chiamati a dare testimonianza a Cristo nel modo più alto e definitivo.
Che differenza c’è? «La differenza tra un martire e un terrorista suicida è radicale.
Il primo abbraccia anticipatamente nella sua offerta il proprio persecutore.
Il suo perdono previo vince così un male ingiustificabile.
Il terrorista suicida si dispone a morire, ma il suo gesto è rivolto all’annientamento dell’altro.
Perciò è intrinsecamente un male, è una negazione dell’umano».
Cristiani ed ebrei nei secoli passati sono stati costretti a vivere da «dhimmi», da assoggettati, sotto l’Islam.
Ciò è ineluttabile? «Assolutamente no.
Le parole dell’imam Al Tayyeb nell’intervista che lei citava sono molto chiare.
E a onor del vero l’imam ha già espresso questa posizione anche in altre circostanze, ad esempio in un’intervista al giornale libanese an-Nahar di qualche mese fa.
Ne ho potuto leggere in anteprima un sunto preparato per la prossima newsletter di Oasis.
Nel mondo musulmano è in corso una battaglia delle idee, accanto a quella delle armi che tutti possono vedere: sbaglierebbe chi pensasse che nulla si muove» .
in “Corriere della Sera” del 7 gennaio 2011
Arturo Paoli: “Aspetto che torni il cardinal Borromeo”
L’intervista Bianchi i capelli, candidi, un’aureola di pudicizia.
Fratel Arturo, una volta circumnavigato il mondo, nel tascapane una bussola che oscilla fra il Golgota e il sepolcro vuoto, ha ritrovato la via di casa, in Lucchesia, assaporando, riassaporando, «il privilegio della radice».
Qui è nato novantotto anni fa, qui – nel villaggio di San Martino in Vignale cosparso di cipressi – attende il Natale.
Svelando una disposizione fanciullesca, la stessa irradiata da un laico come Franco Lucentini quando, accostando il Vangelo di Luca, ammirerà la capacità di ricordare «con un minimo di parole» un «fatto semplicissimo» eppure prodigioso, «il fatto che il Natale fosse di notte».
Fratel Arturo ha allargato la tenda sulle colline intorno a Lucca nel 2006.
In dicembre, quando si festeggia il beato Charles de Foucauld, il fondatore dei Piccoli Fratelli di Gesù.
Quest’uomo così tenace, così mansueto, diverrà uno di loro, esaurita la stagione nella Gioventù di Azione Cattolica, a cavallo fra Anni Quaranta e Cinquanta.
Scoprendosi «sradicato», non «disoccupato», nella scia di Carlo Carretto, come lui testimone di una Chiesa profetica («obbediente al “sabato” disobbedendo “alla pratica del sabato”») che confliggeva con la Chiesa politica di Luigi Gedda, Comitati civici e dintorni.
Nel 1953, Arturo Paoli andrà in esilio, fra le zolle dell’America Latina in cui, dopo il noviziato nel deserto algerino, lascerà orme profonde, tra i poveri, con i poveri, per i poveri, ispirando la teologia della liberazione (il suo Dialogo della liberazione si riverbererà nella Teologia della liberazione di Gustavo Gutiérrez, come si rammenta in Ne valeva la pena , il saggio-biografia di Silvia Pettiti per le Edizioni San Paolo fresco di stampa).
«Parola della nostra liberazione».
Arturo Paoli, ogni domenica, suggella vigorosamente il Vangelo.
Oggi l’omelia ruota intorno a un verbo greco «intraducibile», che il sacerdote «spezzerà», offrendolo nella sua filologica possanza: «Cristo è Colui che reagisce visceralmente – misericordioso fin nelle viscere – alla miseria dell’uomo».
Cristo che sconvolge la Storia abitandola…
Fratel Arturo, c’è chi La ricorda professore di greco nel liceo «Machiavelli» di Lucca, il Suo liceo…
«Sin da piccolo fu chiara la mia inclinazione agli studi.
Figlio, non a caso, di un signor lettore, ancorché facesse l’artigiano.
In casa i classici non mancavano, da Dostoevskij a Manzoni, l’amatissimo Don Lisander».
«I promessi sposi»…
«Ossia la Storia scritta dagli umili, dagli umili felicemente stravolta.
Il Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola si serve prodigiosamente di loro».
Per contrasto, rispetto alla sua coraggiosa parabola, come non riandare al pavido Don Abbondio? «Non è onesto parlare del mio mondo, non è prudente.
Chi sono io per giudicare? E comunque: nei Promessi sposi c’è don Abbondio e c’è il cardinal Borromeo.
Come non rimpiangerne la statura alla luce di quel che accade?».
A che cosa pensa? «Ai cardinali italiani recentemente creati.
Hanno dato scandalo.
Avevano appena giurato di esaltare, di nobilitare la Chiesa, e già sedevano a pranzo con l’attuale presidente del Consiglio, una figura indegna, nella dimensione privata come in quella pubblica».
Forse andrebbe riscoperta la vita di Gesù.
Da Mauriac a Ratzinger in molti si sono provati a scriverla.
Quale predilige? «I Vangeli».
Nuovo e Vecchio Testamento: i passi che più La interpellano, La scuotono? «Nel Nuovo, Matteo 16, 1-4, là dove Cristo sferza i farisei e i sadducei: “Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi?”.
Nel Vecchio, Geremia: “Mi hai sedotto, Signore, ed io mi sono lasciato sedurre”».
Quando fu sedotto? «Intorno ai vent’anni.
Decisivo l’incontro con Giorgio La Pira, sarà lui a svelarmi i sentieri della mistica».
A proposito: Lucca è la città di santa Gemma Galgani…
«Ma per me, soprattutto, della beata Elena Guerra, la religiosa incardinata nello Spirito, l’ànemos che rinnova la Terra».
Non le pare sfumato lo Spirito conciliare? Tra le pagine desuete, non risaltano forse i documenti del Vaticano II? «La decadenza della Chiesa è visibilissima.
Due costituzioni andrebbero, fra le altre, riscoperte o scoperte: la Lumen Gentium , ovvero l’urgenza di annunciare il Vangelo a ogni creatura, e la Gaudium et spes, che invita a scommettere su un ”uomo integrale”».
Maritain…
«Ecco.
Maritain.
L’umanesimo integrale.
Il cristianesimo è veramente un umanesimo.
Il Vangelo non è metafisico.
Bisognerebbe finalmente affrancarsi da certa teologia che lo contraddice.
Da Maritain approdando a un filosofo cruciale come Lévinas.
Per capire che la filosofia dell’essere è obsoleta, che occorre pronunciare il “tu”, andare verso l’Altro».
Il suo Papa? «Giovanni XXIII.
Ha messo l’autorità papale al giusto posto.
Il pontefice come presidente dell’episcopato mondiale.
Umilmente in ascolto, favorendo la collegialità».
Montini La inviterà a pregare di non diventare mai vescovo…
« E’ il Papa della Populorum progressio, la maggiore enciclica della nostra età.
Il suo limite: affidarsi oltremodo alla Curia».
Preti di oggi, preti di ieri…
«La loro formazione.
Urge una svolta culturale, in chiave psicoanalitica.
Non da oggi Jung è tra i miei autori.
I suoi archetipi, aperti a tutte le esperienze dello spirito».
C’era una volta il catechismo…
«E c’è ancora.
Ma se non si afferrano i segni dei tempi, nulla potranno le pandette della fede di fronte all’uomo che quotidianamente mi si presenta, arido o drammaticamente problematico».
Negli Anni Trenta la laurea.
«Alla Cattolica, con una tesi su Romanticismo e medioevo nella poesia di Carducci.
L’avevo definita a Pisa con Attilio Momigliano, nel frattempo costretto dalle leggi razziali a lasciare la cattedra.
Era agnostico, eppure un manzoniano fanatico, nonché ammiratore dei mistici medioevali, protagonisti di un corso indimenticabile».
Carducci poeta…
«Non il mio poeta.
Di Carducci, ad attrarmi, era la vastissima cultura europea, la francese e la tedesca in particolare, onorate di un dialogo al massimo grado».
I suoi poeti? «Leopardi e Manzoni.
L’anima tormentata di Leopardi.
Come non specchiarvisi in gioventù? E il Dante del Purgatorio: perché umanissimo, noi, ciascuno di noi, che camminiamo per la strada…».
Lucca, la Toscana, gli scrittori non difettano, da Pea a Tobino…
«Di Tobino ho l’opera omnia, libro dopo libro.
Ma più viva in me è la letteratura latinoamericana.
In vetta Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez.
L’ho conosciuto in Colombia, ne ho apprezzato l’affabilità.
Il suo capolavoro depista e disarma lo sguardo rapinoso dell’Europa sul Nuovo Mondo: esistiamo e non esistiamo, sappiamo sognare e, quindi, non saremo, infine, mai umiliati».
Era colma, questa mattina, la chiesa secentesca di San Martino in Vignale.
Come raramente succede di vedere.
Perché all’altare c’era, c’è, un uomo di Parola.
Ascoltandolo, dividendo a pranzo il pane con lui (che indossa un tovagliolo su cui ne è ricamato il nome, Arturo), interrogandolo, si dìssipa la profezia di Julien Green: quando il segno lasciato dal Crocifisso sul muro si stingerà sino a svanire, la casa, la casa nostra, la casa di tutti, crollerà.
Nella navata filtra un raggio di sole.
Il toscano Piero Calamandrei vi avrebbe riconosciuto l’«oro di noi poveri», l’oro dello spirito.
*Arturo Paoli è nato a Lucca il 30 novembre 1912.
Allievo di Momigliano, si è laureato con una tesi su Carducci.
Sacerdote dal 1940.
Giusto tra le Nazioni.
Nel 2006, il presidente Ciampi lo ha insignito della medaglia d’oro al valore civile per meriti durante la esistenza.
Vive a San Martino in Vignale, sulle colline lucchesi.
Le opere.
E’ appena uscito, di Silvia Pettiti, «Arturo Paoli.
“Ne valeva la pena”» (San Paolo, pp.
233, 16).
Tra gli altri titoli: «Svegliate Dio» (La Collina), «Il cuore del regno» (Dissensi), e «Il sacerdote e la donna» (Marsilio) in “La Stampa” del 23 dicembre 2010
La riforma Gelmini è un passo importante
Mario Monti, presidente dell’Università Bocconi e per un decennio commissario europeo, in una intervista del Messaggero sulla questione della riforma universitaria, critica, innanzitutto il sistema politico italiano dalla vista cortissima e la protesta violenta che ha accompagnato nei giorni scorsi la manifestazione degli studenti a Roma.
A proposito del ddl di legge Gelmini Monti sembra avere le idee molto chiare e non esita a prendere le difese del progetto che mercoledì al Senato dovrebbe ricevere l’approvazione definitiva.
“Il ddl Gelmini è un passo importante verso un sistema universitario più moderno e più funzionale” ha dichiarato l’ex-commissario che, contrariamente a quanto hanno dichiarato con molta genericità diversi politici in questi giorni, è sceso nel dettaglio per motivare la sua presa di posizione.
“Trovo positiva – ha dichiarato – la riforma degli organi di governo, la maggiore autonomia nella gestione del corpo docente, l’abolizione dell’attuale sistema dei concorsi.
Nell’insieme, si riduce la presa del sistema corporativo sull’università”.
Nell’intervista non poteva mancare il riferimento critico alla riduzione delle risorse che è tuttora, come si sa, uno dei motivi di forza della protesta.
Anche su questo Monti è andato in senso contrario, dichiarando che “Le risorse sono sicuramente un problema ma non credo abbia senso gettare denaro in un sistema che funziona nell’interesse della corporazione universitaria invece che della qualità.” Monti non ha però nascosto le sue riserve sull’azione di Governo a causa soprattutto dell’assenza di un ministro per lo sviluppo economico che avrebbe dovuto affiancare il ministro dell’economia.
“Bisognerebbe fare come la Germania – ha osservato Monti – che per un certo periodo ha avuto un “ministro per il futuro”.
Potrebbe dare una voce alle prossime generazioni che sono sottorappresentate, perché non votano o addirittura non sono ancora nate”.
tuttoscuola.com
Babbo natale sì, Gesù bambino no
Sono sempre più frequenti i casi di scuole, per lo più del settore della scuola materna ed elementare, nelle quali gli insegnanti, per rispetto della presenza multietnica di diversi alunni, rifuggono da qualsiasi riferimento alla tradizione italiana, arrivando anche ad escludere il Bambinello da un improbabile presepe.
Babbo natale sì, Gesù bambino no, per rispetto delle culture diverse.
Una scelta che non piace alle mamme italiane, ma nemmeno, a quanto sembra, alle mamme di bambini stranieri.
Se ne parla nell’edizione milanese di Repubblica, citando il caso di una scuola materna (ma l’esempio vale certamente per molte altre scuole non citate), in cui le renne infiocchettate sono al posto del bue e dell´asinello.
Le maestre hanno deciso di rinunciare alla tradizionale festa di Natale aperta alle famiglie e di “censurare” poesie e canzoncine a contenuto religioso, perché «L´asilo è multietnico, molti bambini non sono cristiani e questo tipo di celebrazione rischia di discriminarli».
In questo modo, però i discriminati sono i bambini italiani.
Le mamme insorgono («la festa di Natale non faceva male a nessuno») e da Palazzo Marino l´assessore all´Istruzione chiede chiarimenti.
Il problema si pone in tutta Italia, e non mancano recenti casi di natali anonimi in nome dell’antidiscriminazione, anche se non dappertutto le scelte sono così drastiche.
Un grave errore, e non solo secondo i cattolici: «Quel che ci serve – spiega Ugo Perone, docente di Filosofia delle religioni all´Università del Piemonte orientale e inventore, negli anni Novanta a Torino, di uno dei primi “calendari multietnici” – è una cultura dell´accoglienza, non la rimozione di aspetti autentici e profondi come il cristianesimo è tuttora in Italia».
Pubblicate le Indicazioni per i nuovi Licei
È stato pubblicato, finalmente, ieri in Gazzetta Ufficiale (n.
291 del 14 dicembre 2010) il decreto n.
211 del 7 ottobre 2010, con il quale il ministro Gelmini ha definito il regolamento sulle “Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento concernenti le attività e gli insegnamenti compresi nei piani degli studi previsti per i percorsi liceali”.
Dopo le linee guida per gli istituti tecnici e gli istituti professionali riformati, anche i nuovi Licei, dunque, hanno le loro Indicazioni per nuovi piani di studio.
Il testo ufficioso delle nuove Indicazioni era già stato reso noto all’inizio dell’anno scolastico per consentire ai professori delle prime classi a riforma di adeguare i loro insegnamenti.
Il testo ufficiale entrerà in vigore formalmente dal prossimo 29 dicembre.
Con la pubblicazione delle Indicazioni per i licei si completa l’intero impianto della riforma dell’istruzione secondaria superiore, avviata dal 1° settembre scorso.
Per completare l’intero quadro delle riforme targate Gelmini mancano ancora il regolamento sulla formazione iniziale dei docenti e quello sull’istruzione degli adulti.
“Tornare a desiderare”
La parola d’ordine del 44° rapporto Censis è “tornare a desiderare”.
E’ un’Italia “appiattita”, che stenta a ripartire, appesantita da un inconscio collettivo senza più legge nè desiderio quella che esce dall’analisi del Censis contenuta nel 44/mo Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2010.
Il rapporto è stato presentato questa mattina a Roma dal presidente del centro studi, Giuseppe de Rita, e dal direttore Giuseppe Roma.
Abbiamo resistito ai mesi più drammatici della crisi, dice il Censis, seppure con una “evidente fatica del vivere e dolorose emarginazioni occupazionali”.
Sono evidenti manifestazioni di fragilità sia personali sia di massa: comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattativi, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza profondità di memoria e futuro.
E una società appiattita “fa franare verso il basso anche il vigore dei soggetti presenti in essa”.
Così all’inconscio, ammonisce il Censis, manca oggi la materia prima su cui lavorare: il desiderio.
Ma “tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita”.
E’ questa l’indicazione che viene dalle considerazioni generali che aprono il rapporto di quest’anno, e che costituisce la chiave di lettura delle diverse sezioni in cui esso, come di consueto, si articola.
Torneremo con altre notizie sull’analisi che il volume dedica al settore della formazione.
tuttoscuola.com Comunicato stampa 03/12/2010 Un inconscio collettivo senza più legge, né desiderio 03/12/2010 L’Italia appiattita stenta a ripartire 03/12/2010 Il capitolo «Processi formativi» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 03/12/2010 Il capitolo «Lavoro, professionalità, rappresentanze» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 03/12/2010 Il capitolo «Il sistema di welfare» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 03/12/2010 Il capitolo «Territorio e reti» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 03/12/2010 Il capitolo «I soggetti economici dello sviluppo» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 03/12/2010 Il capitolo «Comunicazione e media» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 03/12/2010 Il capitolo «Governo pubblico» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 03/12/2010 Il capitolo «Sicurezza e cittadinanza» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 Download Il capitolo «Le Considerazioni generali» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 Il capitolo «La società italiana al 2010» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 Il capitolo «Processi formativi» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 Il capitolo «Lavoro, professionalità, rappresentanze» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 Il capitolo «Il sistema di welfare» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 Il capitolo «Territorio e reti» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 Il capitolo «I soggetti economici dello sviluppo» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 Il capitolo «Comunicazione e media» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 Il capitolo «Governo pubblico» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 Il capitolo «Sicurezza e cittadinanza» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010
Trilioni di pianeti simili alla Terra
Un team di astronomi statunitensi, in seguito a osservazioni del telescopio Keck (nelle Hawaii), sostiene in una recente ricerca che le galassie più antiche della nostra contengano una quantità di stelle rosse nane venti volte superiore a quelle presenti nella Via Lattea e dalla cinque alle dieci volte superiore a quanto stimato precedentemente.
Secondo Pieter van Dokkum, professore di astronomia all‘Università di Yale e a capo della ricerca pubblicata su BbcNews e su Nature, questo potrebbe significare che vi siano trilioni di pianeti (un trilione è pari a un milione elevato alla terza e quindi a un miliardo di miliardi) simili alla Terra e aumenterebbe le possibilità che esistano forme di vita nello spazio infinito.
UNA STELLA / 100 NANE – In astronomia una nana rossa è una stella piccola e dalla luminosità flebile, caratteristiche che ne rendono difficile l’individuazione sia all’esterno che all’interno della nostra galassia.
Si tratta della tipologia stellare più diffusa nell’universo e si ritiene che nell’insieme costituiscano una percentuale tra il sessantacinque e l’ottanta per cento delle stelle presenti nella Via Lattea.
Fino a oggi per valutare il numero di stelle presenti nelle galassie, valore molto importante per comprenderne la storia, gli studiosi hanno utilizzato una proporzione derivata dal fatto che, nella Via Lattea, per ogni stella simile al Sole vi sono all’incirca 100 nane rosse.
Nel corso dello studio invece gli astronomi hanno preso in considerazione otto galassie ellittiche, tipologia alla quale appartengono le più grandi dell’universo, con distanze dalla Terra comprese tra i cinquanta milioni e i trecento milioni di anni luce e sono andati alla ricerca delle nane rosse.
MATERIA OSCURA – Le scoperte portate a termine grazie al telescopio hawaiano hanno consentito agli scienziati americani di esprimere l’ipotesi che, nelle galassie osservate, il numero delle stelle sia dalle cinque alle dieci volte superiore rispetto a ciò che si è sempre creduto, triplicando in questo modo il numero delle stelle totali individuate nell’universo fino a oggi.
Inoltre la presenza di una maggiore quantità di corpi stellari potrebbe portare a rivedere la quantità di materia oscura (la componente di materia che si manifesta attraverso i suoi effetti gravitazionali, ma non è direttamente osservabile) presente nelle galassie ellittiche e la massa reale di queste ultime.
ESO-PIANETI – Infine è bene ricordare che più stelle significano maggiori possibilità dell’esistenza di pianeti e che altre recenti ricerche hanno portato alla scoperta di eso-pianeti, vale a dire corpi celesti che orbitano attorno a una stella diversa dal Sole, proprio nelle vicinanze di stelle nane rosse.
«Forse ci sono trilioni di pianeti simili alla Terra attorno a queste stelle – ha dichiarato il professor van Dokkum – Le nane rosse hanno normalmente più di dieci miliardi di anni e quindi esistono da un tempo sufficiente da far ritenere che possano avere consentito lo sviluppo della vita sui pianeti che le circondano».
Università: passa la riforma
La Camera ha approvato il disegno di legge Gelmini sulla riforma universitaria con 307 voti favorevoli , 252 contrari e 7 astenuti.
Il provvedimento ora torna al Senato per l’approvazione definitiva.
Molte sono le novità, dal reclutamento al merito, dai contratti di ricerca alle borse di studio per arrivare alla stretta contro la cosiddetta ‘parentopoli’ all’interno dell’università.
Tra i punti principali della riforma ci sono quelli che riguardano l’organizzazione del sistema universitario: entro sei mesi dall’approvazione della legge le università dovranno approvare statuti con le seguenti caratteristiche: Codice etico: ci sarà un codice etico per evitare incompatibilità e conflitti di interessi legati a parentele.
Alle università che assumeranno o gestiranno le risorse in maniera non trasparente saranno ridotti i finanziamenti del Ministero.
Rettori: limite massimo complessivo di 6 anni al mandato dei rettori, inclusi quelli già trascorsi prima della riforma.
Governance: distinzione netta di funzioni tra Senato Accademico e Consiglio d’Amministrazione, il primo organo accademico, il secondo di alta amministrazione e programmazione.
Il Senato avanzerà proposte di carattere scientifico, ma sarà il Cda ad avere la responsabilità chiara delle assunzioni e delle spese, anche delle sedi distaccate.
Il Cda avrà un massimo di tre componenti esterni.
Parentopoli: la Camera ha approvato un subemendamento della maggioranza che rende ancora più duro un emendamento proposto dall’Idv contro la ‘parentopoli’ all’interno dell’università.
In particolare, non si potranno avere parentele fino al quarto grado per partecipare ai concorsi, anche per ricercatori e assegnisti.
L’Idv aveva proposto fino al terzo grado.
Fusione atenei: gli atenei avranno la possibilità di fondersi tra loro o aggregarsi su base federativa per evitare duplicazioni e costi inutili.
Riduzione facoltà: riduzione molto forte delle facoltà che potranno essere al massimo 12 per ateneo.
Questo per evitare la moltiplicazione di facoltà inutili o non richieste dal mondo del lavoro.
tuttoscuola.com martedì 30 novembre 2010