La fede negata

Nell’anno incerto dell’Orissa dopo l’anno della violenza, della caccia al cristiano, degli stupri e del fuoco, i profughi hanno una sola volontà: tornare.
E una sola sicurezza: la Chiesa.
«Una foresta prese fuoco e tutti gli esseri viventi di quella foresta iniziarono a fuggire per salvarsi, ma un uccellino invece di allontanarsi, si tuffò in un ruscello e volò indietro.
Scuotendo le ali gettò gocce d’acqua sul fuoco per spegnerlo.
’Sforzo inutile, di uno sciocco uccello’, lo schernì Indra, dio della pioggia.
“Oh Grande – rispose l’uccellino – se tu volessi potresti spegnere il fuoco in un momento, ma non lo fai.
Io faccio solo quello che posso”, e così dicendo volò ancora verso il ruscello».
Come suggerisce questo racconto molto popolare in Orissa, a volte grandi cose succedono per piccoli atti di gente umile.
Allo stesso modo l’azione della Chiesa nella società, in particolare verso i diseredati, assomiglia all’azione del modesto volatile, ma porta con sé un valore esemplare che è difficile disconoscere.
Anche nella tragedia del Kandhamal, tra i profughi, parte dei 50mila iniziali, ancora raccolti attorno crocifisso all’interno dei campi istituiti dalle diocesi, pochi disposti ad accogliere l’offerta irrisoria in denaro e riso affinché abbandonino i centri di raccolta governativi.
Quello di Janla è stato aperto di corsa, sotto la pressione di un flusso di disperati in fuga senza un rifugio certo, nei dintorni polverosi di Bhubaneshwar, capitale dell’Orissa.
Il terreno è quello di una vecchia fabbrica di laterizi, adiacente al lebbrosario gestito dalle Missionarie della Carità che da mesi dividono impegno e tempo tra chi è oggi, nell’India dei record e della democrazia sbandierata ma spesso elusa, pesantemente discriminato.
Dei 500 ospiti iniziali di Janla, ne restano circa 350: 40 famiglie riunite per quanto possibile, secondo un piano voluto dall’arcidiocesi, ma esteso come prassi all’intero Stato.
Gruppi familiari ritrovatisi anche dopo settimane di inenarrabili traversie nella fuga.
Oggi volti sereni, ma nel cuore una paura difficile da cancellare e negli occhi la domanda che non trova aperta espressione tra questa gente: perché? Padre Manoj Nayak è una specie particolare di profugo, ma di questa non facile condi-zione condivide estraneazione, sofferenza, volontà di capire e di ricominciare.
Lui è un tribale Kandh, gruppo etnico che dà il nome al’intero distretto di Kandhamal, sfuggito per un soffio alle violenze, ma da mesi impegnato per i confratelli di fede ed etnia nella diocesi nel tentativo di abbreviare i tempi di un rientro in condizioni di sicurezza.
Nel villaggio, da dove la famiglia è riuscita a scappare, il pastore Samuer Nayak è stato massacrato in casa , bruciato assieme alla madre per essersi rifiutato di interrompere la lettura della Bibbia davanti agli assalitori.
Un confratello verbita, studente al Teologato di Sambalpur, è ufficialmente disperso e come lui decine di persone.
Parikhit Nayak era un catechista, viveva una vita al servizio d’impegno e di non pochi timori tra a sua gente nel villaggio di Taengai, Kandhamal.
Negli oc¬hi ha le violenze ma an¬che la sofferenza dei com¬pagni nel campo.
Gli uo¬mini si impegnano nella fabbricazione di mattoni con metodi moderni e in quella di prodotti artigia¬nali, le donne cercano di migliorare le condizioni dei loro rifugi.
Nel cuore di tutti, il timore che la provvisorietà diventi de¬finitiva, che il futuro sia una casa lontano dal¬le terre tribali.
«Chi non rinuncia alla fede cristiana va in¬contro a morte certa in Kandhamal – racconta padre Nayak –.
Ma l’abiura significa ben al¬tro che la già dura negazione della propria fe¬de.
Non è sufficiente che chi dichiara la pro¬pria rinuncia si rada il capo, beva acqua me¬scolata a sterco bo¬vino e firmi docu¬menti che attestino l’avvenuta riconver¬sione.
Deve dimo¬strare la propria sin¬cerità bruciando al¬meno una casa di cristiani, possibil¬mente con qualcu¬no all’interno».
Questa è una tragedia dentro la tragedia.
Tut¬ta la gente che vive nei campi non coltiva che una prospettiva: il rientro nella propria terra.
Tuttavia la minaccia della riconversione e an¬che ora la sfiducia verso i vicini di fede in¬duista – che in molti casi hanno tradito i cristiani e in altri coraggiosamente si sono op¬posti agli assalitori – rende il rientro pratica¬mente impossibile.
La vedova di Iswar Digal del villaggio di Mal¬lipoda è inconsolabile.
Al marito catturato il 20 settembre era stata offerta la salvezza in cambio della conversione.
Digal ha rifiutato e di lui si sono perse le tracce.
Sul luogo del¬l’aggressione indicato dalla moglie, la polizia ha potuto trovare solo macchie di sangue ma non il corpo.
Una tattica anche questa, par¬te di un disegno più vasto, che porta la polizia ad allun¬gare l’elenco dei dispersi ma non a indagare per reati in mancanza di prove.
Probabilmente Digal è stato ucciso e il suo corpo bruciato e occultato.
«Come ci hanno detto alcuni che sono ancora rifugiati nelle foreste, ci sono zone dove si sente il fetore dei corpi in decomposizione », racconta un altro profugo.
C’è voglia di raccontare la propria esperienza per quanto dolorosa, tra i profughi di Janla.
C’è la coscienza che sollevare il velo sugli orrori del Kandhamal e delle altre aree colpite dall’odio religioso innescato da ragioni politiche e interessi economici sulle terre tribali può contribuire almeno a garantire lo status quo, a conservare la presenza militare sul territorio gestita prioritariamente per ordine della Corte Suprema dal gover¬no centrale indiano.
Lo Stato.
L’Orissa è uno Stato complessivamente povero e arretrato, ma all’ombra delle sue foreste lussureggianti, abitate in prevalenza da gruppi tribali e aborigeni, si trovano ricche riserve minerarie.
La regione fornisce il 70 per cento della bauxite estratta in India, il 90 per cento del cromo e il 24 per cento del carbone.
Le compagnie minerarie locali e straniere si contendono territori protetti ma soprattutto abitati da popolazioni ricche di tradizioni e fiere di un rapporto stretto con le loro terre, considerate dimora delle divinità locali della fede animista.
Nonostante povertà e relativa insicurezza, l’Orissa è tra i primi dieci stati dell’India quanto ad investimenti stranieri.
Ma il progresso ha finora illuso le antiche genti delle foreste, private in molti casi delle loro risorse abituali, costrette a vivere in cubicoli di cemento, fuori dal loro habitat naturale e sempre più impoverite.
Ai tentativi di educazione della Chiesa, si oppongono vasti interessi economici che mobilitano a loro sostegno forze politiche, radicalismo induista e violenza mercenaria.
La testimonianza.
Edward Sequeira era nel suo ufficio presso la Casa per i Figli della lebbra e gli orfani di Padampur, distretto di Bargarh, Orissa, quando il 25 agosto una cinquantina di indù armati di spranghe, bastoni e torce assalì il centro.
Lui fece resistenza barricandosi all’interno del centro per più di un’ora prima dell’arrivo della polizia che lo liberò, con gravi ustioni e numerose fratture, dall’edificio in cui era stato chiuso dagli assalitori prima di darlo alle fiamme.
Rajni Mahji, 20 anni, studentessa di fede indù che svolgeva un lavoro volontario di assistenza alla ventina di piccoli ospiti, venne invece stuprata e bruciata viva.
«Ho lavorato a Padampur per gli ultimi 11 anni, in particolare tra le comunità indù – racconta padre Sequeira –.
I piccoli da noi ospitati provengono dalle colonie di lebbrosi, mondi chiusi di dolore e vergogna, ai margini delle comunità.
Ce n’erano 22 in questa casa», dice indicando le rovine bruciate delle costruzioni che un tempo rappresentavano rifugio e speranza di piccoli diseredati e un supplemento di missione per il sacerdote verbita.
«Quel giorno sono stato picchiato per 45 minuti con sbarre, vanghe e mazze raccolte tra il materiale da costruzione che avevamo presso di noi prima che mi chiudessero nel mio ufficio.
In quei momenti disperati ho avuto una visione, qualcuno che tra il fumo e le fiamme mi rassicurava: ’Soffro con te, non sei solo’.
Solo a quel punto ho ritrovato l’energia che mi ha spinto a chiudere porte e finestre dall’interno e ad usare un secchio d’acqua riempito nel gabinetto per estinguere il fuoco che mi circondava.
Dopo di che ricordo solo il tempo interminabile passato a cercare di ostacolare quanti volevano entrare dalle finestre e dal tetto devastato per catturarmi e finirmi».
Solo dopo essere uscito si rese conto della tragedia che l’aveva colpito e che più ancora aveva colpito la sua collaboratrice Rajani, orfana, studente al secondo anno di informatica.
«Ricordo di essere svenuto sentendo che chiedeva il mio aiuto mentre cercavano di bruciarla viva».
di Stefano Vecchia Avvenire, 16 gennaio ’09

Numeri e fede/3: «Ma la geometria non è atea»

Intervista alla matematica Lucia Alessandrini Professoressa, come vive la sua esperienza di matematica e di credente? «Non regge l’equazione “Se c’è razionalità, non c’è religione”.
Assolutamente non sussiste opposizione o incompatibilità.
Si tratta di avere una visione completa dell’uomo, in cui la razionalità non è vista solo come razionalità scientifica.
Credo che della razionalità dell’uomo facciano parte varie componenti.
La mia esperienza di credente è il fondamento della mia esistenza.
Questo non significa che, per sentirmi cristiana, io debba fare accenni di tipo religioso agli studenti durante le lezioni di matematica.
Non mi permetterei mai di farlo, mi sento di essere una cristiana per come vivo nella totalità della mia esistenza».
Mai un conflitto interiore fra il matematico e la credente? «La formazione universitaria e poi la carriera non sempre ti permettono di approfondire la parte “sapienziale” del tuo lavoro.
Non sempre puoi situarti in un ambito più ampio, non tanto in una tradizione quanto in una visione del mondo che, se parliamo il linguaggio biblico, è appunto di tipo sapienziale.
Se potessi riscrivere il libro del Siracide, per esempio, ci metterei dentro la figura del matematico, insieme con quella dello scriba e con le altre che vi compaiono».
I giovani che studiano matematica e sono credenti riescono a coltivare insieme la visione scientifica e quella sapienziale? «Anche i giovani che vengono da un impegno in parrocchia, da gruppi di preghiera, da movimenti ecclesiali, quando arrivano a Matematica a volte sono in difficoltà: manca loro (e devono costruirsela) una visione in cui non s’incontra un baratro tra l’approccio scientifico e quello sapienziale.
La maggior parte dei ragazzi ha una preparazione religiosa che, in genere, risale all’epoca della Cresima, e una conoscenza della Bibbia che è di livello piuttosto basso.
Quando viene proposto loro il discorso intellettuale severo, dal punto di vista della scienza, e debbono confrontarlo nel loro animo con la conoscenza di tipo religioso, si ritrovano (mi si lasci passare il termine) piuttosto “infantili”, perché in epoca infantile hanno appreso quella conoscenza.
Allora si domandano: “Com’è possibile che la Chiesa proponga di credere questo, mentre qui sento dei ragionamenti diversi?”.
Io penso che possa aiutarli una riscoperta dello studio della Bibbia , o ancora meglio frequentare un master in scienza, filosofia e teologia».
Questo approccio potrebbe fornirlo la scuola superiore? «Si potrebbe puntare sulla Bibbia, uno dei “codici” della nostra cultura.
I ragazzi si renderebbero conto che non si chiede loro di credere a “favolette”: gli studi biblici avanzati sono di tipo scientifico.
Constaterebbero come, nell’approccio a un testo religioso, venga usata la ragione.
Tutto questo, naturalmente, accanto allo studio della filosofia, che dovrebbe avere un ruolo fondamentale nella formazione dei giovani.
Ma la scuola ha programmi fissi in cui già vanno inserite, non senza difficoltà, tantissime materie.
E bisogna già combattere molto per salvare la filosofia.
Farei appello invece alla struttura ecclesiale, ai movimenti, alle parrocchie, ai centri culturali.
Questi devono assolutamente trovare tempi e modi per coinvolgere i giovani delle scuole superiori e dell’università».
E quelli che non frequentano regolarmente la parrocchia? «Credo che i giovani e le famiglie possano benissimo rivolgersi a un centro culturale che offra programmi seri.
Mi riferisco per esempio ai centri culturali messi in rete come strumenti del Progetto culturale della Chiesa cattolica.
Dovrebbero occuparsi molto dei giovani, dei giovani adulti, per aiutarli ad adottare una mentalità forse più corretta nell’ambito del dibattito fede-ragione».
Oggi soffre anche la filosofia.
Non interessa più la ricerca delle verità fondamentali, la causa rerum? «La filosofia va difesa in ambito scolastico, senza nulla togliere alla religione.
Formarsi una mentalità che ci permetta di ragionare sulle idee è basilare per poi capire che si può ragionare anche sulle idee che riguardano la fede».
È azzardato affermare che una scoperta matematica ha sempre qualcosa di “religioso” in sé, che assomiglia all’intensa gioia creativa dell’artista? «In matematica scoprire nuove proprietà o dimostrare un nuovo teorema conferisce quella soddisfazione intellettuale che probabilmente prova anche l’artista quando crea un capolavoro.
Il matematico opera in un mondo di idee che lo supererà sempre ma che non è chiuso all’intelligenza dell’uomo, non è il mondo dell’orrore della non-conoscenza: si presta all’approccio dell’uomo purché egli miri alla verità.
Abbiamo dei limiti dovuti alla nostra natura umana, ma la nostra mente è adatta a protendersi verso l’infinito, e questo è il lato prometeico, la “fede” che guida il matematico in quanto tale.
Al di là dell’infinito poi ci sono altri infiniti.
La conoscenza matematica di per sé non ha limiti, siamo noi esseri umani che ne abbiamo.
Ma spesso la matematica incontra il vero freno, quando la società non ha acquisito la piena certezza che la matematica è indispensabile al progresso.
E noi matematici, al giorno d’oggi, ancora più che di finanziamenti, abbiamo bisogno del sostegno sociale e culturale».
Luigi Dell’Aglio È proprio una mosca bianca un matematico che non sia ateo? «Penso proprio di no.
Non sono atea e conosco molti colleghi che credono (come molti che non credono).
Vengo da una famiglia religiosa, ho sempre frequentato la parrocchia e ho lavorato in Italia nei gruppi missionari.
Nel frattempo studiavo matematica perché mi piaceva moltissimo.
(Tutti i matematici risponderebbero così: studiavano per il “gusto” di fare matematica).
A un certo punto, ho dovuto scegliere.
Ho cercato di comprendere quale fosse veramente la mia “chiamata”, e ho concluso che dovevo fare il matematico.
Ho capito che il Signore era anche il Signore della matematica, perciò la mia vita non sarebbe stata divisa a metà; era un’unica vita in cui entravano insieme benissimo questi due impulsi potenti».
La professoressa Lucia Alessandrini è ordinario di Geometria all’Università di Parma.
E che sia un matematico a ventiquattro carati lo dimostrano la forza della sua vocazione scientifica, un’attività di ricerca di primissimo piano, e il modo in cui spiega il suo amore per la “regina delle scienze”.
«La matematica – dice – è collegata alla bellezza delle idee.
Ti attira anche perché con lei non puoi barare.
Una cosa è giusta o sbagliata: non esiste via di mezzo.
E non puoi fermarti, non puoi accontentarti finché non sei arrivato alla fine».

Il nuovo volto dell’istruzione tecnica: ecco cosa cambia

L’Istruzione Tecnica – come in più occasioni hanno affermato i vertici di Confindustria – è stata una risorsa fondamentale dagli anni della ricostruzione in poi e può anzi deve essere anche oggi il valore aggiunto per superare la congiuntura sfavorevole e contribuire allo sviluppo economico del paese.
Le imprese hanno oggi bisogno di tecnici diplomati per poter incrementare la produzione e renderla più competitiva ed idonea a sostenere e contrastare la concorrenza internazionale.
Ma i dati attuali rilevano un gap di 180.000 diplomati tecnici tra la domanda delle imprese e l’offerta delle scuole.
Sono gli effetti di una miope politica scolastica che in questi ultimi decenni ha progressivamente licealizzato l’istruzione secondaria superiore, cancellando la specificità degli istituti tecnici, con il risultato di un calo continuo di iscrizioni a questa tipologia di scuola.
Le risposte che il nuovo Regolamento offre alle principali istanze emerse negli ultimi anni vanno dalla conferma dell’identità degli istituti tecnici all’interno del secondo ciclo del sistema nazionale di istruzione e formazione, alla necessità di proporre ai giovani e alle famiglie un’offerta formativa fondata su percorsi chiari, distinguibili sia dai Licei sia dai Professionali, e su competenze spendibili tanto per l’inserimento nel mondo del lavoro, quanto per il passaggio ai livelli superiori di istruzione.
Tutto all’insegna di una maggiore semplificazione degli indirizzi di settore che passano dagli attuali 39 a 11, due per il settore Economico e nove per il settore Tecnologico e di una maggiore efficienza nella distribuzione dei servizi ed efficacia nell’utilizzo delle risorse.
Il provvedimento è destinato ad incidere profondamente nella struttura organizzativa, e non solo, degli Istituti tecnici in quanto interviene: – ad adeguare il carico orario annuale dalle attuali 1188 ore a 1056 ore, che si traduce nel passaggio da 36 a 32 ore settimanali; – a rafforzare l’autonomia con l’aumento delle quote di flessibilità fino al 30 % riservate alle singole scuole; – a favorire il raccordo sinergico tra scuola, territorio e mondo produttivo con la costituzione di un Comitato Tecnico Scientifico composto dal Dirigente Scolastico e, in modo paritetico, da docenti ed esperti del mondo del lavoro, delle professioni e della ricerca scientifica e tecnologica.
Non solo dunque nuovi modelli organizzativi e di gestione: il riordino degli Istituti tecnici passa anche attraverso una rivisitazione dei percorsi, definiti in termini di competenze, abilità e conoscenze in relazione alla Raccomandazione del Parlamento europeo, e che devono agganciarsi strettamente al quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF).
Sul piano metodologico-didattico gli aspetti più innovativi riguardano: – l’incremento dello studio dell’inglese, con la possibilità di insegnamento in inglese di almeno una disciplina di indirizzo; – la valorizzazione delle discipline scientifiche attraverso la didattica delle scienze integrate; – lo sviluppo di metodologie innovative basate sull’utilizzo dei laboratori in tutti gli ambiti disciplinari; – la diffusione più ampia di stage, alternanza scuola-lavoro e tirocini.
Il nuovo Regolamento, risultato e sintesi del lavoro di diverse commissioni di studio istituite dai governi in questi anni, e a cui ha dato il proprio contributo il nucleo Education di Confindustria, non nasce come scatola vuota, ma accoglie quanto delle migliori esperienze è stato prodotto e realizzato da alcune scuole, nell’ambito della sperimentazione dell’Autonomia e risponde alla necessità di collegare l’Offerta formativa più strettamente al territorio, alle imprese e all’Istruzione Tecnica Superiore al fine di sostenere lo sviluppo delle professioni tecniche a livello terziario.
L’applicazione del provvedimento è stata rimandata al 2010, per favorire la discussione nelle scuole e una corretta informazione alle famiglie, ma in alcune realtà regionali, come il Veneto, dove già da tempo Scuola Regione e Impresa stanno lavorando al cambiamento dell’istruzione tecnica, tutto è pronto per partire dal 2009 con una ventina di istituti, che hanno dato l’adesione, con un anticipo della riforma.
È un cambiamento che si impone, è richiesto dai tempi, dalle parti interessate, dalla difficile situazione economica che il paese deve affrontare e dall’aggressiva competitività delle nuove potenze economiche.
La sfida va raccolta e fatta passare al più presto attraverso la trasformazione dell’Istruzione Tecnica, asse portante per la costruzione di competenze e professionalità necessarie alla struttura produttiva del paese.
Altri rinvii non sono più accettabili.
Il 2008 si è chiuso per la scuola con un atto del Governo molto importante e molto atteso: il nuovo Regolamento dell’Istruzione Tecnica, approvato il 18 dicembre dal Consiglio dei Ministri.
Importante perché ad essere interessati sono ben 1800 istituti, distribuiti sul territorio nazionale, e 873.522 studenti che rappresentano una cospicua fetta, il 34 %, degli iscritti alla secondaria superiore.
Atteso perché da tempo le principali parti interessate, Scuola e Impresa, invocavano un rilancio dell’Istruzione Tecnica, rilancio che oggi si impone con una certa urgenza anche per sostenere la ripresa economica del Paese, ma che necessariamente deve passare attraverso un cambiamento, regolamentato a livello istituzionale.

Torna il voto in pagella

Tornano i voti nelle scuole elementari e medie.
Tra poche settimane, mamme e papà si ritroveranno tra le mani pagelle simili a quelle della loro epoca.
Ma non tutti: gli under trenta per trovare una pagella con i voti espressi in decimi dovranno frugare tra i ricordi dei genitori.
Perché è da più di trent’anni che i voti sono spariti dalle valutazioni trimestrali, quadrimestrali e finali della scuola primaria e secondaria di primo grado.
I voti espressi in decimi erano stati cancellati il 4 agosto del 1977, con la legge 517: a capo del governo c’era Giulio Andreotti, il ministro della Pubblica istruzione era il democristiano Franco Maria Malfatti.
Il ripristino dei voti, che sostituiranno i giudizi (sufficiente, buono, distinto, ottimo), è stato deliberato dal consiglio dei ministri a settembre con un decreto legge convertito in legge due mesi dopo.
La prima pagella con i voti nella scuola elementare e media sarà quella del primo quadrimestre, che si chiude ufficialmente il 31 gennaio.
Ma su tutta la questione aleggia lo spettro del rinvio di un anno: gli istituti sono in attesa infatti del regolamento sulla valutazione degli alunni e del decreto ministeriale che consentirà ai professori delle medie di “correlare la particolare e oggettiva gravità del comportamento al voto inferiore a sei decimi”, in pratica all’attribuzione di un’insufficienza in condotta.
Senza questi due provvedimenti i docenti avranno serie difficoltà ad applicare la legge.
Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale presidi, pur criticando i tempi ministeriali, non crede nello slittamento del provvedimento.
“Quando ci sono cambiamenti di questa importanza – commenta – occorre una riflessione interna che non può esaurirsi in pochi giorni.
Tuttavia, ritengo inverosimile il rinvio perché il ritorno ai voti nel primo ciclo è uno degli elementi portanti della politica del governo sulla scuola”.
Per le scuole che hanno suddiviso l’anno scolastico in quadrimestri i tempi si fanno strettissimi.
Se il regolamento verrà reso noto la settimana prossima le scuole dovranno prima di tutto “individuare le modalità e i criteri per la valutazione degli alunni” e dopo “predisporre il documento di valutazione individuale dell’alunno”.
Quelle che hanno adottato il trimestre (scaduto il 15 dicembre scorso) si sono dovute arrangiare con una circolare emanata l’11 dicembre che all’argomento dedica una pagina scarsa.
Una bozza del documento, inviata per il prescritto parere al Consiglio nazionale della pubblica istruzione (Cnpi), circola da alcuni giorni.
Ecco i punti salienti.
Nella scuola primaria il voto in decimi per ogni ambito disciplinare sarà accompagnato da un giudizio analitico.
Mentre sul comportamento gli insegnanti della classe esprimeranno un giudizio.
La bocciatura è prevista “solo in casi eccezionali” e comunque deliberata all’unanimità.
Per gli alunni della scuola media le cose si complicano: i voti delle singole discipline e di condotta saranno espressi in decimi.
Per ottenere la promozione alla classe successiva, deliberata a maggioranza, bisogna raggiungere la sufficienza in tutte le materie (condotta compresa) e avere frequentato almeno tre quarti dell’orario annuale.
Otterranno l’ammissione agli esami di licenza media soltanto coloro che riporteranno almeno sei in tutte le materie e avranno partecipato ad almeno tre quarti delle lezioni.
Quest’anno, la prova nazionale di italiano e matematica predisposta dall’Invalsi concorre alla valutazione finale.
Anche il punteggio del diploma è espresso in decimi.
Repubblica 10 gennaio 2009

“La nuova scuola spiegata ai genitori”

La pubblicazione di Tuttoscuola (in edicola con il Corriere della Sera sabato prossimo) si divide in tre parti: una vera e propria guida alle iscrizioni, per affrontare al meglio l’adempimento dell’iscrizione; la presentazione delle caratteristiche e delle novità dei diversi ordini di scuola; e infine scuola e famiglia, istruzioni per l’uso, con le informazioni per conoscere meglio come funziona una scuola e stabilire una buona relazione tra la famiglia e l’istituzione, nell’interesse degli studenti.
Ecco alcuni degli argomenti trattati per ogni sezione.
Guida alle iscrizioni: 1.
Breve panoramica del sistema di istruzione 2.
Pubblica o privata? 3.
Quando, dove e come iscriversi 4.
Modelli di domanda 5.
Alunni con disabilità 6.
Alunni con difficoltà specifiche di apprendimento 7.
Alunni con cittadinanza non italiana 8.
La privacy e la tutela dei dati personali 9.
Se e come avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica 10.
I servizi scolastici, le rette e i contributi Gli ordini e gradi di scuola, con tutte le novità per ciascuno: 1.
Scuola dell’infanzia 2.
Scuola primaria 3.
Scuola secondaria di I grado 4.
Scuola secondaria di II grado e i percorsi atipici Scuola e famiglia, istruzioni per l’uso: 1.
Stato, Regioni, Enti locali: un sistema integrato 2.
L’autonomia scolastica: come è organizzata una scuola 3.
La valutazione degli alunni 4.
Le assenze degli alunni 5.
Il bullismo e la scuola 6.
Il cellulare a scuola 7.
La partecipazione dei genitori alla vita della scuola 8.
Strategie di relazione a scuola 9.
I colloqui con gli insegnanti 10.
Studenti della secondaria – diritti e doveri 11.
Il patto di corresponsabilità 12.
Gli scambi culturali e la mobilità studentesca 13.
La scuola e il portafoglio ”La nuova scuola spiegata ai genitori”, che sarà in edicola con il Corriere della Sera sabato 17 gennaio 2009, fornisce in modo appropriato e puntuale ogni utile informazione sulle novità 2009 della scuola riformata, dall’infanzia al primo ciclo di istruzione; per gli istituti superiori, al fine di fornire un quadro completo del sistema di istruzione, oltre a presentare le caratteristiche dell’ordinamento attuale, pone a confronto anche le novità rilevanti che saranno introdotte dal 2010.
Oltre a tutto questo, la Guida di Tuttoscuola viene in aiuto dei genitori e dei non addetti ai lavori, con una serie di FAQ, suddivise per settori scolastici, con cui dà risposte alle domande più frequenti pervenute alla nostra rivista o raccolte nelle scuole relativamente ai problemi immediati delle iscrizioni, ma anche a problematiche varie che intervengono nel corso dell’anno scolastico.
Per le caratteristiche della Guida, essa si presta ad essere una valido strumento a disposizione della scuole per fare fronte alle domande delle famiglie: dirigenti scolastici e insegnanti potranno infatti rimandare con serenità alla lettura della guida per trovare risposta ai molti quesiti posti dai genitori.
Per ulteriori informazioni la Guida fornisce i recapiti (indirizzi completi, telefono, fax, e-mail) ai siti ufficiali di interesse per genitori e operatori scolastici a livello territoriale e nazionale, come, ad esempio, quelli degli ex-provveditorati agli studi (USP), degli Uffici scolastici regionali, degli Assessorati regionali all’istruzione e alla formazione, nonché i riferimenti alle associazioni delle scuole non statali e a quelle dei genitori.
Un utile indice analitico con 250 voci aiuta a trovare gli argomenti che di volta in volta interessano.

Università, è legge il decreto Gelmini

CONCORSI – Le commissioni che giudicheranno gli aspiranti professori universitari di prima e seconda fascia saranno composte, a differenza di quanto accadeva finora, da 4 professori sorteggiati da un elenco di commissari eletti a loro volta da una lista di ordinari del settore disciplinare oggetto del bando e da un solo professore ordinario nominato dalla facoltà che ha richiesto il bando.
Lo scopo è quello di evitare di predeterminare l’esito dei concorsi e di incoraggiare un più ampio numero di candidati a partecipare.
Per quanto riguarda i ricercatori, in attesa di un riordino organico del sistema di reclutamento, le commissioni che giudicheranno i candidati al concorso saranno composte da 1 professore associato nominato dalla facoltà che richiede il bando e da 2 professori ordinari sorteggiati da una lista di commissari eletti tra i professori appartenenti al settore disciplinare oggetto del bando.
La valutazione dei candidati avverrà secondo parametri riconosciuti in ambito internazionale.
ATENEI «SPENDACCIONI» – Le università con una spesa per il personale troppo elevata (più del 90% dello stanziamento statale) non potranno fare nuove assunzioni.
La norma vuole porre un freno alle gestioni finanziarie non adeguate (soprattutto nel rapporto entrate-uscite).
Da oggi, dunque, gli atenei che spendono più del 90% dei finanziamenti statali (Fondo di Finanziamento Ordinario) in stipendi non potranno bandire concorsi per docenti, ricercatori o personale amministrativo.
«ATENEI VIRTUOSI» – Più finanziamenti (cioè il 7% del Fondo del Finanziamento Ordinario e del Fondo Straordinario della Finanziaria 2008) saranno distribuiti alle Università migliori: quelle con offerta formativa, con qualità della ricerca scientifica, efficienza delle sedi didattiche migliori.
Le università più virtuose saranno individuate – in tempi molto brevi, assicura il ministero – attraverso i parametri di valutazione Civr (Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca) e Cnvsu (Comitato nazionale valutazione del sistema universitario).
RICERCATORI – Per favorire l’assunzione dei giovani ricercatori, il blocco del turn over (a quota 20% nelle altre amministrazioni) viene elevato al 50%.
Delle possibili assunzioni presso le Università, almeno il 60% dovrà essere riservato ai nuovi ricercatori.
I bandi di concorso per posti da ricercatore già banditi sono esclusi dal turn over (2300 ricercatori) e anche gli enti di ricerca sono esclusi dal blocco delle assunzioni entrato in vigore per tutte le amministrazioni pubbliche.
Con questi interventi si potranno assumere 4000 nuovi ricercatori.
BORSE DI STUDIO – Tutti gli aventi diritto avranno la borsa di studio.
Un incremento di 135 milioni di euro sarà, infatti, destinato ai ragazzi capaci privi di mezzi economici.
Oggi 180 mila ragazzi sono idonei a ricevere la borsa di studio e l’esonero dalle tasse universitarie, ma solo 140.000 li ottengono.
65 milioni di euro saranno destinati a progetti per residenze universitarie (1700 posti letto in più).
08 gennaio 2009 La Camera (281 sì e 196 voti contrari) ha approvato in via definitiva il decreto Gelmini sul riordino del sistema universitario.
Sul decreto, contro il quale in novembre si era mobilitata la protesta di studenti e docenti, il governo aveva chiesto la fiducia.
Voto a favore della maggioranza, no di Pd e Italia dei Valori, con dure critiche basate sulla stima dei tagli che il decreto comporta mentre l’Udc si è astenuta «per offrire un’apertura di credito nei confronti del ministro Mariastella Gelmini».
Che , dal canto suo, è naturalmente soddisfatta del risultato raggiunto: «L’università oggi cambia: valorizzato il merito, premiati i giovani, affermata la gestione virtuosa degli atenei e introdotta più trasparenza nei concorsi all’Università per diventare professori o ricercatori.
Da questi tre pilastri non si potrà prescindere».
Ecco i punti principali del decreto.

giovani

Articolo  Laico non vuol dire affatto, l’opposto di credente (o di cattolico) e non indica, di per sé, né un credente né un ateo né un agnostico.
Laicità non è un contenuto filosofico, bensì una forma mentis; è essenzialmente la capacità di distinguere ciò che è dimostrabile razionalmente da ciò che è invece oggetto di fede, a prescindere dall’adesione o meno a tale fede; di distinguere le sfere e gli ambiti delle diverse competenze, in primo luogo quelle della Chiesa e quelle dello Stato.
La laicità non si identifica con alcun credo, con alcuna filosofia o ideologia, ma è l’attitudine ad articolare il proprio pensiero (ateo, religioso, idealista, marxista) secondo principi logici che non possono essere condizionati, nella coerenza del loro procedere, da nessuna fede, da nessun pathos del cuore.  La cultura— anche cattolica — se è tale è sempre laica – non può non affidarsi a criteri di razionalità e la dimostrazione di un teorema, anche se fatta da un Santo della Chiesa, deve obbedire alle leggi della matematica e non al catechismo.
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