Grazie Eluana

Il dibattito pubblico sulla sorte della sfortunata Eluana Englaro ha investito e grandemente coinvolto dal punto di vista emotivo i giovani del nostro Paese.
Scontro istituzionale a parte, si è trattato, e si tratta, di uno dei momenti più alti del confronto di idee, valori, visioni della vita e della morte, che si sia realizzato in Italia da decenni a questa parte, paragonabile per intensità al dibattito sviluppatosi durante il rapimento e dopo l’uccisione di Aldo Moro, ricostruito da Alfredo Vinciguerra in un indimenticato instant book del 1978 (Questo Paese non si salverà…).
E’ verosimile che l’eco di questo dibattito abbia raggiunto le aule delle scuole secondarie superiori, e noi ci auguriamo che – anche nel quadro della sperimentazione di nuovi contenuti e metodi per l’insegnamento della disciplina “Cittadinanza e Costituzione” – un numero significativo di docenti abbia ritenuto di utilizzare a fini didattici la discussione in corso.
Non, però, per sostenere la “verità” assoluta di questa o quella tesi in campo, ma per metterle tutte a confronto in modo sereno e con i necessari approfondimenti.
La lettura dei giornali di questi giorni, densi di editoriali e di interventi di notevole qualità, potrebbe fornire spunti importanti.
Se questo civile confronto, sempre rispettoso della libertà di giudizio dei discenti, potrà svilupparsi nelle nostre scuole, sarà giusto esprimere un sentimento di gratitudine per Eluana, il cui triste destino avrà fornito alla scuola italiana una grande opportunità per dare un significato moralmente elevato e pedagogicamente efficace al nuovo modo di intendere l’Educazione civica nel nostro tempo.
——————————————————————————– TuttoscuolaFOCUS lunedì 9 febbraio 2009

La riforma del primo ciclo è in dirittura di arrivo

Come garantire la qualità dell’istruzione contenendo i costi? Questa è la grande sfida della nostra scuola.
Ma tale sfida presuppone un salto di qualità non solo da parte dei docenti, ma di tutta la comunità scolastica, che deve lavorare in sintonia con enti e istituzioni del territorio per andare incontro alle reali necessità del contesto in cui opera.
Infatti da anni alla scuola viene attribuita una forte responsabilità educativa e formativa che trova la sua ragione nell’elaborazione di pratiche didattiche innovative, nonché di progetti che portino gli alunni ad essere protagonisti del proprio sapere e saper essere.
L’obiettivo della scuola e quindi di ogni docente deve essere educare istruendo, individuare cioè un senso dentro la trasmissione dei saperi e delle competenze e rispondere alle domande di una specifica comunità.
Con l’avvio della riforma e l’abolizione delle compresenze si costituirà l’organico d’istituto e sul suo utilizzo si giocherà e si svilupperà la responsabilità dei dirigenti e dei docenti nell’ambito di un’autonomia sostanziale e non formale.
L’utilizzo dell’organico d’istituto dovrà allora essere indirizzato ad obiettivi comuni e realistici, non rispondere a logiche di tipo personalistico o di una singola classe, nel rispetto comunque della libertà di educazione e di metodologie didattiche del docente.
Il Collegio docenti potrà trasformarsi così da luogo di decisioni prese altrove in un gruppo di lavoro di professionisti, tesi ad individuare obiettivi, indicatori di risultato e quindi di qualità, a monitorare, valutare e correggere la propria azione educativa rispetto alla progettazione della risposta complessiva della scuola, sentendosi parte di una comunità e avvertendo una forte responsabilità collettiva.
Da quanto detto si capisce che la vera sfida della scuola è l’autonomia che, se è effettiva, deve diventare anche creativa: tiene conto dei bisogni emergenti degli alunni, della realtà territoriale e delle risorse finanziarie disponibili.
Oltre all’assegnazione dell’organico d’istituto è auspicabile una maggiore flessibilità nell’utilizzo dei fondi con l’assegnazione alle scuole di tutte le risorse di cui hanno diritto, senza nessun vincolo di spesa predefinito, per la realizzazione compiuta dell’autonomia.
Se la riforma “Gelmini” si pone l’obiettivo non solo di razionalizzare i costi, ma anche di migliorare la qualità d’insegnamento e favorire la libertà di scelta educativa della famiglia è indispensabile responsabilizzare le scuole e i docenti ridefinendo il profilo della loro professione e operando una revisione del loro stato giuridico.
da www.ilsussidiario.net _________________ Il Regolamento sulla riforma del primo ciclo è in dirittura d’arrivo e contiene novità rilevanti soprattutto sul piano organizzativo, che tuttavia vanno ad incidere anche sul piano educativo-didattico.
Per quanto riguarda la scuola primaria, in estrema sintesi, dall’anno scolastico 2009/2010, a partire dalle classi prime, le famiglie potranno scegliere fra due modelli base di 24 o 27 ore settimanali, che prevedono un unico maestro di riferimento oppure richiedere, sulla base dell’organico assegnato alla scuola, un modello orario di 30 ore con attività facoltative o di 40 ore (tempo pieno) con conferma dell’organico del T.P.
Si prevede la soppressione del modulo a più maestri e delle compresenze, mentre l’insegnamento dell’inglese e il sostegno non subiscono variazioni.
È chiaro che tutta la partita nella primaria verrà giocata sulla dotazione organica d’istituto, assegnata a ciascuna istituzione scolastica.
Quale che sia il modello orario che sarà prospettato alle famiglie (24-27-30-…) l’organico delle classi non a tempo pieno è determinato a 27 ore.
Tale quadro, che vede in un certo senso l’abbandono di consolidate abitudini, genera nei docenti una serie di perplessità che vanno a toccare sia lo svolgimento del loro lavoro quotidiano, sia il loro rapporto contrattuale di lavoro con il timore inoltre di non rendere un servizio di qualità e soprattutto di non poter svolgere un insegnamento basato sulla personalizzazione, tanto auspicato dalla riforma Moratti.

Giovani ed internet

L’aumentato utilizzo dei social network come Facebook porterebbe con sé molte opportunità di contatto tra i ragazzi, aiutati a superare le timidezze a coltivare i propri interessi insieme agli altri.
Il tempo dedicato a fare ricerche è però sempre meno.
E sale il rischio adescamento: dal 1998 ad oggi in Italia sono stati chiusi per pedofilia 177 siti.
Il Moige lancia una campagna informativa: esperti del movimento entreranno in 50 scuole per incontrare studenti, genitori e docenti.
Sembra ridursi sempre più il tempo che i giovani dedicano ad internet per realizzare ricerche o per trovare informazioni di supporto allo studio.
In calo sarebbe anche la recente abitudine intrapresa dai ragazzi di scaricare dal web file musicali o multimediali di ogni genere.
Sale invece l’utilizzo della rete per comunicare con gli altri o per fare nuove amicizie: un fenomeno che spiega il boom dei social network come Facebook, il luogo virtuale per eccellenza dove si possono facilmente conoscere nuovi amici, ma anche chiacchiere in chat, scambiarsi confidenze, raccontare la propria vita quotidiana a tutti, otre che inserire le proprie foto.
La moda del suo utilizzo starebbe però anche ampliando le possibilità di adescamento dei minori su internet: una triste escalation di ragazzi caduti in trappole tese da individui spietati che spesso celano la loro vera identità e i loro scopi per “colpire” al momento opportuno.
I dati provengono da un’indagine condotta da Swg per il Movimento italiano genitori (Moige).
In base allo studio risulta che l’utilizzo della rete porterebbe con sé molte opportunità di contatto tra i ragazzi, aiutati a superare le timidezze a coltivare i propri interessi insieme agli altri, ma anche diversi pericoli, primo fra tutti quello dell’adescamento dei pedofili.
Per mettere in guardia ragazzi e genitori, aiutandoli a riconoscere i pericoli e a utilizzare gli strumenti di sicurezza, il Moige lancia una campagna di informazione, che ha preso il via a fine gennaio per coinvolgere 50 scuole medie inferiori in due anni: 28 nel 2009 e le altre nel 2010.
Gli esperti del movimento dei genitori entreranno nelle aule insieme agli agenti della polizia postale nelle ore di lezione, mentre al pomeriggio incontreranno genitori e docenti, che spiegare loro come utilizzare gli strumenti di controllo per la verifica e la limitazione della navigazione.
Sei genitori su dieci, infatti, secondo la ricerca, non adottano alcun sistema di controllo sul computer, nonostante il fatto di essere preoccupati: l’83% dei 600 genitori con figli compresi tra gli 11 e i 15 anni che hanno partecipato all’indagine, ammette di avere il timore di pedofili o di un uso pericoloso di internet da parte dei propri figli.
“L’avvento dei nuovi social network con Facebook e My Space potrebbe incrementare il rischio di adescamento per i nostri ragazzi”, spiega Diego Busi, direttore della divisione investigativa della polizia postale.
“La nostra campagna – sottolinea Maria Rita Munizzi, presidente del Moige – nasce proprio per questo motivo: noi adulti, genitori e insegnanti, non possiamo più permetterci di restare nell’ignoranza ma dobbiamo iniziare a conoscere internet e gli strumenti a nostra disposizione per proteggere i ragazzi, insegnare loro a utilizzarlo e assicurare loro una navigazione sicura”.
Malgrado si operi in un ambito virtuale, i pericoli sono più che reali: secondo la polizia postale dal 1998 ad oggi in Italia sono stati chiusi per pedofilia 177 siti internet.
E poco meno di altri 11mila siti internet pedofili, scoperti durante l’attività investigativa, sono stati poi segnalati dagli agenti italiani alle forze di polizia di altri Paesi.
Negli ultimi dieci anni, grazie al lavoro di controllo, sono scattati 238 arresti e 4.465 denunce.
In tutto la polizia postale italiana ha controllato oltre 293mila siti internet.
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Il Papa: «Solidale con gli ebrei»

Subito dopo, il Papa ha espresso la sua indiscutibile “solidarietà” ai fratelli ebrei ed ha detto che la shoah rimane un monito contro ogni oblio e negazionismo.
Quasi in contemporanea, il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha voluto dare un’immediata risposta alla minaccia di rottura delle relazioni con il Vaticano trapelata da fonti del Rabbinato di Israele.
“Le parole del Papa, nelle diverse occasioni in cui già in passato si è espresso, e che oggi sono state pronunciate ancora una volta sul tema della Shoah – ha detto padre Lombardi – dovrebbero essere più che sufficienti per rispondere alle attese di chi esprime dubbi sulla posizione del Papa e della Chiesa cattolica sull’argomento”.
Il commento del card.
Bertone.
Sulla questione è poi tornato in serata anche il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato della Santa Sede.
“Benedetto XVI ha pronunciato questa mattina parole chiarissime”.
ha detto sottolineando che per il Papa le incomprensioni con il mondo ebraico seguite al perdono ai lefbvriani “è stato un episodio dolorosissimo”.
Secondo il card.
Bertone, a ferire in modo particolare sono state le parole le parole di David Rosen, già ambasciatore presso la Santa Sede, che aveva definito la riabilitazione del vescovo negazionista Richard Williamson una decisione grave fino al punto di contaminare tutta la Chiesa.
“Penso – ha spiegato il cardinale – che non sia giusto nè bene giudicare continuamente l’operato del Papa, e lo dico anche a un rabbino amico, David Rosen, perchè dire che Benedetto XVI ha contaminato la Chiesa è abnorme”.
Il segretario di Stato ha tenuto questa sera un discorso al Circolo di Roma sul magistero del pontificato di Benedetto XVI.
Per Bertone, anche se gravissimo l’episodio delle dichiarazioni negazioniste di Williamson a una tv svedese, invece “non deve essere enfatizzato più di quanto valga in se stesso, perchè le chiarificazioni in proposito sono state nette e precise”.
“Nel processo di riavvicinamento tra i lefebvriani e la Chiesa Cattolica – ha ricostruito Bertone – c’è stato un intralcio prodotto da questo intervento: un fatto anomalo, improvviso e inaspettato, che però non poteva fermare il processo di revoca della scomunica”.
“Benedetto XVI ha agito – ha concluso il porporato – seguendo una delle linee portanti del suo magistero, cioè quella di realizzare il più possibile la comunione e l’unità dei cristiani”.
Il Rabbinato d’Israele.
Stamane il quotidiano Jerusalem Post, citando una fonte anonima interna all’autorevole istituzione ebraica, aveva sostenuto che il Rabbinato d’Israele ritiene «difficile proseguire il dialogo con il Vaticano» qualora non vi fosse un atto di pubbliche scuse e di ritrattazione delle dichiarazioni sulla Shoah del vescovo lefebvriano Richard Williamson, coinvolto nel recente provvedimento di annullamento della scomunica contro i tradizionalisti deciso dal Papa.
E nel pomeriggio il rabbinato di Israele ha accolto le parole odierne di papa Benedetto XVI sulla Shoah come «un grande passo in avanti per la soluzione della questione» sollevata dalla recente revoca della scomunica nei confronti del vescovo lefevbriano negazionista Richard Williamson.
La dichiarazione è stata fatta all’agenzia Ansa dal direttore generale del Rabbinato Oded Wiener, secondo il quale si tratta di «una dichiarazione molto importante per noi e per il mondo intero».
Padre Lombardi: «Il dialogo continui».
«Le parole del Papa, nelle diverse occasioni in cui già in passato si è espresso, e che oggi sono state pronunciate ancora una volta sul tema della Shoah, dovrebbero essere più che sufficienti per rispondere alle attese di chi esprime dubbi sulle posizioni del Papa e della Chiesa cattolica sull’argomento».
Lo ha detto il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi.
«Ci auguriamo – ha aggiunto – che, anche alla luce di esse, le difficoltà presentate dal Rabbinato di Israele possano essere oggetto di ulteriore e più approfondita riflessione, in dialogo con la Commissione per i rapporti con l’ebraismo del Consiglio per l’unità dei cristiani, in modo che il dialogo della Chiesa Cattolica con l’ebraismo possa continuare con frutto e serenità».
(Avvenire, 29 gennaio ’09) Il Papa ha espresso oggi, durante l’udienza, la sua indiscutibile “solidarietà” ai fratelli ebrei e ha detto che la Shoah rimane un monito contro ogni oblio e negazionismo.
Il Papa ha chiesto anche ai vescovi lefebvriani ai quali ha revocato la scomunica l’impegno a «realizzare i passi necessari» per realizzare la piena comunione con la Chiesa riconoscendo il Concilio Vaticano II.
Ratzinger ha spiegato di aver concesso “la remissione della scomunica in cui erano incorsi i quattro vescovi ordinati nel 1988 da mons.
Lefebvre senza mandato pontificio”, “in adempimento” del servizio all’unità della Chiesa affermato dal Vangelo.
“Ho compiuto questo atto di paterna misericordia – ha detto – perchè ripetutamente questi presuli mi hanno manifestato la loro viva sofferenza per la situazione in cui si erano venuti a trovare.
Auspico – ha aggiunto – che a questo mio gesto faccia seguito il sollecito impegno da parte loro di compiere gli ulteriori passi necessari per realizzare la piena comunione con la Chiesa, testimoniando così vera fedeltà e vero riconoscimento del magistero e dell’autorità del Papa e del Concilio Vaticano II”.

Il giorno della memoria

“Si avvicina il Giorno della Memoria e crescono i dubbi sulla tenuta della ricorrenza”.
Comincia in questo modo una riflessione di Elena Loewenthal sulla Stampa di Torino dello scorso 24 gennaio sul senso e l’utilità civile della celebrazione.
Il Giorno della Memoria – osserva – incontra innanzitutto il rischio che ogni forma di ritualizzazione comporta: la perdita di pregnanza.
“A scuola il Giorno della Memoria si carica di aspettative troppo alte: non didattiche ma etiche.
Il metodo più efficace per (presumere di) arrivare a questi obiettivi si rivela la ricerca dell’effetto.
E così, il ricordo finisce per diventare qualcosa di astratto”.
L’accostamento tra gli ebrei di oggi e i fatti che li coinvolgono è troppo facile.
“L’imminente Giorno della Memoria è diventato un «soggetto» della guerra di Gaza.
E allora s’imbrattano muri di scritte antisemite (Torino), s’infangano cimiteri ebraici (Pisa), si disdicono celebrazioni del Giorno della Memoria (Catalogna), si grida: viva Hamas, ebrei nelle camere a gas (Olanda)” o si pensa di celebrare in alternativa a scuola (Roma) la giornata della memoria dei bambini palestinesi.
“La Shoah – conclude la Loewenthal – diventa codice interpretativo della guerra a Gaza.
Non si tratta solo di opinioni azzardate, d’incompetenza allo sbaraglio.
È anche un effetto del Giorno della Memoria: più s’avvicina, più diventa comodo strumento per denigrare l’oggi.
Per isolare ancora una volta l’esperienza ebraica, che sia dentro la Shoah o nell’attualità.
Liquidarla con categorie prefabbricate”.
27 gennaio 2009 – la memoria dei perseguitati Se questo è un uomo Voi che vivete sicuri Nelle vostre tiepide case; Voi che trovate tornando la sera Il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo Che lavora nel fango Che non conosce la pace Che lotta per mezzo pane Che muore per un sì e per un no Considerate se questa è una donna Senza capelli e senza nome Senza più forza di ricordare Vuoti gli occhi e freddo il grembo Come una rana d’inverno: Meditate che questo è stato: Vi comando queste parole: Scolpitele nel vostro cuore Stando in casa andando per via, Coricandovi alzandovi; Ripetetele ai vostri figli: O vi si sfaccia la casa, La malattia vi impedisca, I vostri cari torcano il viso da voi.
Primo Levi Prima vennero per gli ebrei Prima vennero per gli ebrei e io non dissi nulla perché non ero ebreo.
Poi vennero per i comunisti e io non dissi nulla perché non ero comunista.
Poi vennero per i sindacalisti e io non dissi nulla perché non ero sindacalista.
Poi vennero a prendere me.
E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa.” Martin Niemoeller (Pastore evangelico deportato a Dachau)

La volgarità nel linguaggio comune

In Italia lo si riassume col “vaffa”.
In Gran Bretagna lo sintetizzano con “F word” (la parola che comincia per F).
In ogni paese ha un suo slang e diverse caratteristiche.
Ma il fenomeno è universale: la nostra era ha sdoganato le parolacce, le volgarità, gli insulti.
Basta sintonizzarsi su una stazione radio, su un canale televisivo o navigare su internet, dove blog, commenti ai blog e chat-line ne sono infarciti, per rendersi conto delle dimensioni del problema.
Al punto che ormai, per la stragrande maggioranza, non è più un problema.
Un sondaggio condotto nel Regno Unito, probabilmente sintomatico di una situazione generalizzata anche altrove, rivela che nove adulti su dieci dicono parolacce tutti i giorni, che il britannico medio ne fa uso mediamente 14 volte al giorno e che il 90 per cento della popolazione non ci trova niente di male, di strano o di offensivo, insomma ci ha fatto l’abitudine: la “F word” (in questo caso non specifichiamo quale sia, tanto non è difficile arrivarci) è ormai considerata una parola come le altre, non una parolaccia.
Adesso qualcuno prova a dire, educatamente, basta e pensa di avere individuato il principale colpevole.
I promotori di una Campaign for Courtesy (Campagna per la Cortesia), qui in Gran Bretagna, chiedono ai media cartacei e digitali, all’industria cinematografica, ma soprattutto alla radio e alla televisione di moderare il proprio linguaggio.
“In tivù si sentono parolacce in continuazione e questo deve cambiare”, dice Edsther Rantzen, personalità televisiva e uno degli ideatori della protesta, al quotidiano Daily Express, che dedica oggi la prima pagina al tema.
“Sarà vero che la maggioranza della gente le dice, ma in questo paese esiste ancora un appetito per le buone maniere”, gli fa eco Peter Foot, che dirige la campagna di pressione.
Quando il linguaggio volgare e sboccato risuona dal video con particolare virulenza, in effetti, una parte dell’opinione pubblica protesta.
Succede talvolta in Italia, dove le risse verbali a base di insulti e contumelie sono la regola in tivù: non solo c’è da noi l’abitudine a dire parolacce, ma perdono le staffe e sembrano pronti a venire alle mani anche i conduttori televisivi e perfino i ministri, come accaduto di recente con quello della Difesa, Ignazio La Russa, che sembrava sul punto di esplodere davanti alle pacate dichiarazioni del direttore dell’Unità Concita De Gregorio.
In Inghilterra, dove l’uso di scrivere lettere di protesta è più diffuso, forse perché ogni tanto se ne tiene conto, ne sono partite a migliaia quando la cantante Madonna ha usato espressioni sconce durante un’intervista radiofonica e ancora di più quando un presentatore, Jonathan Ross, e un comico, Russell Brand, hanno fatto pesanti allusioni sessuali alla radio su una giovane attrice.
Brand si è dimesso dallo show, Ross è stato sospeso per due mesi e la Bbc si è impegnata a non dire più parolacce, tanto più che è un network pubblico e che la gente, pagando il canone, si sente in diritto di esprimere il proprio parere.
Ma i canali privati non vanno tanto per il sottile.
Gordon Ramsey, cuoco-celebrità, fa degli insulti e delle “F word” il suo cavallo di battaglia, nel programma che tiene da anni in tivù.
Un altro celebrity-chef, Jamie Oliver, ha dovuto chiedere scusa dopo avere detto la stessa parolaccia non meno di 23 volte in un programma di 50 minuti.
Non è una questione di etichetta, sostiene John Beyer della società di consulenze MediaWatch: “Questo tipo di linguaggio danneggia la nostra cultura, a 5 anni i bambini ripetono quello che ascoltano in tivù e il modo di parlare di questo passo diventerà sempre più trito, volgare, banale”.
Anche dalle scuole, in questo paese come in Italia, giungono simili segnali d’allarme: influenzati da tivù e media, i giovani parlano sempre peggio, infarcendo sempre di più il discorso di brutte parole.
Siamo sicuri, domandano educatori e psicologi, che un linguaggio simile sia davvero liberatorio, moderno, accettabile? Il sondaggio pubblicato dal Daily Express, tuttavia, sembra indicare che è troppo tardi, almeno per gli inglesi.
Soltanto l’8 per cento degli interpellati si dice offeso dalle parolacce.
E il 78 per cento ammette di dirle non perché sia arrabbiato per qualche motivo, ma così, senza alcuna precisa ragione.
Repubblica 19 gennaio 2009

I bulli crescono tra videogiochi violenti e famiglie inesistenti

Famiglie inesistenti, videogiochi violenti, mancanza di regole.
Così si diventa bulli.
A tracciare l’identikit è Paola Vinciguerra, psicologa, presidente dell’Eurodap (Associazione europea disturbi da attacchi di panico), in base a un’indagine condotta su un gruppo di 600 persone sul fenomeno bullismo.
TRASGRESSIONE ADOLESCENZIALE «Il dato più interessante e allo stesso tempo preoccupante – spiega la Vinciguerra – è che il 70 per cento delle persone che hanno risposto al nostro sondaggio online, quelle con un’età compresa tra i 18 e i 45 anni, considerano il bullismo unicamente come comportamento di trasgressione sociale, come può essere quello di vestirsi in maniera appariscente riempiendosi di piercing, per esempio».
Questo, in sostanza, significa che gli stessi adolescenti e i loro genitori non considerano il bullismo come un problema sul quale porre particolare attenzione.
La psicoterapeuta, anche direttore dell’Unità italiana attacchi di panico (Uiap) presso la Clinica Paiedia di Roma, aggiunge che «il 50 per cento di coloro che hanno risposto al sondaggio, e che hanno un’età compresa tra i 45 e i 55 anni, riconosce il fenomeno come realmente esistente ed allarmante, riconducendone la responsabilità primaria alle istituzioni e in modo particolare alla scuola».
Più si è adulti, dunque, e più ci si rende conto della grandezza e gravità del fenomeno.
Il 70 per cento degli over 55 che hanno partecipato al questionario online, infatti, considerano il bullismo un fenomeno esistente e addebitano la responsabilità in primo luogo alla famiglia, e poi alle istituzioni.
TROPPO POCO TEMPO DEDICATO AI FIGLI Ma cosa si nasconde dietro il bullismo? «Le cause degli atteggiamenti aggressivi tipici di questo fenomeno – continua la Vinciguerra in una nota – sono da ricercare nella sfera familiare innanzitutto, poi in quella scolastica e istituzionale.
La nuova struttura familiare non è più un solido riferimento indistruttibile: le separazioni dei genitori sono in aumento e gli equilibri relazionali e gli schemi educativi, che vanno a determinarsi dopo la separazione, sono precari e lontani dalle esigenze dei bambini e degli adolescenti», avverte.
«Inoltre si passa troppo poco tempo con i figli per spiegare e trasmettere codici morali di stile di vita e per capire i loro disagi cercando di rassicurarli».
Secondo l’esperta, è necessario mettere in discussione lo stile di vita che ci viene proposto.
«Il fare frenetico – afferma – svuota le azioni del loro significato primario che dovrebbe essere quello emotivo.
Le leggi che regolano la nostra cultura consumistica sono la transitorietà e l’appagamento immediato del desiderio a discapito della durevolezza e quindi della stabilità e della conquista del desiderio, con il conseguente atteggiamento di emarginazione di coloro che non riescono a stare al passo».
INTERNET E VIDEOGIOCHI «Per non parlare dell’uso smodato di tv, Internet e videogiochi: tutti e tre elementi assolutamente dannosi per i bambini e gli adolescenti», prosegue la psicologa, secondo la quale le istituzioni dovrebbero vigilare su tutto ciò che, in maniera così libera e senza controllo, gira in Rete, nonchè sulla commercializzazione dei videogiochi dai contenuti aggressivi.
«Ma ciò che risulta preoccupante – aggiunge – è come sia cambiato il ruolo del vincente.
Il vincente, infatti, non è come per le generazioni precedenti il buono e il coraggioso che mette a repentaglio la sua vita per difendere la vittima dal cattivo.
Il vincente, oggi, è colui il quale uccide di più, ruba di più».
«Inoltre – sottolinea la Vinciguerra – i ragazzi sono particolarmente stimolati dalle immagini violente che si trovano facilmente su Internet.
Immagini che mostrano comportamenti violenti e molto aggressivi che agli adolescenti possono risultare normali.
Non possiamo quindi meravigliarci se i nostri ragazzi siano aggressivi e contrari a qualsiasi forma di regola: forse non abbiamo vigilato sull’insegnamento di validi modelli di riferimento da proporre loro e i giovani, con questa nuova idea di come si deve essere vincenti, costruiranno la futura società».
AUTOREVOLEZZA NECESSARIA, BASTA COI GENITORI «AMICI» Per quanto concerne poi la famiglia, «sicuramente – suggerisce la psicologa – dobbiamo cominciare a fare un lavoro di educazione con i nostri figli, che non è solo quello di impartire regole sommarie di buona educazione.
Il problema è che i nostri ragazzi non sono abituati alla comunicazione del loro vissuto emotivo ed affettivo: questo dobbiamo insegnarglielo noi.
Li dobbiamo osservare, cercando si intuire i loro disagi, parlarne e rassicurarli.
I ragazzi hanno bisogno di regole, da soli non riescono ad orientarsi.
Ma noi adulti dove siamo? – chiede critica l’esperta – Controlliamo quanto stanno davanti alla tv o quanto tempo passano attaccati a Internet o ai loro videogames? L’era del genitore amico, visti i risultati, è tramontata.
L’autoritarismo ha creato stuoli di depressi e aggressivi? Dobbiamo allora percorrere la strada del dialogo, della spiegazione, ma non dobbiamo perdere la nostra autorevolezza.
Che scuola ed istituzioni – conclude la Vinciguerra con un appello – affianchino i genitori con corsi di supporto per far sì che svolgano al meglio il loro delicato compito, che intervengano dove è di loro competenza consultandosi con professionisti del settore».
Corriere della sera 19 gennaio 2009

La proclamazione cristiana della speranza in un mondo diviso

Il tema della dispersione e della riunione è trasparente.
Ed è applicato analogicamente alla situazione dei cristiani divisi che il Signore chiama e conduce all’unità.
Nella pagina biblica si trova un altro elemento essenziale per il movimento ecumenico.
La dispersione ha introdotto impurità, ha causato infedeltà, ha generato imperfezioni, ha messo gli Israeliti a contatto con l’idolatria.
Il Signore dice a Ezechiele: “Li libererò da tutte le loro infedeltà di cui si sono resi colpevoli.
Li purificherò.
Essi saranno il mio popolo ed io sarò il loro Dio” (Ezechiele 37, 23).
La profezia può quindi essere letta in vista della ricomposizione dell’unità dei cristiani.
Il decreto sull’ecumenismo del concilio Vaticano II aveva chiaramente affermato: “Ecumenismo vero non c’è senza interiore conversione, perché il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall’abnegazione di se stesso e dal pieno esercizio della carità” (Unitatis redintegratio, 7).
Il tema si pone in una prospettiva di speranza.
Dio non abbandona il suo popolo.
Anzi, nel tempo della distretta, prende l’iniziativa per la sua liberazione e il suo raduno, nell’unità ristabilita, nella propria terra.
Attraverso il suo inviato, Ezechiele, con un atto simbolico che colpisce l’immaginazione, rivela il suo piano di salvezza, e ravviva la speranza nel suo popolo con una visione di pacificazione: “Farò con loro un’alleanza di pace” e di comunione: “In mezzo a loro sarà la mia dimora”.
Un’analoga prospettiva di speranza vuole suscitare il tema di questa settimana di preghiera, cioè di rinnovata fiducia dei cristiani nel Signore che è venuto al mondo e che “doveva” morire sulla croce per radunare i figli dispersi.
Questa speranza si fonda su alcuni elementi fondamentali.
Innanzitutto sulla nascita stessa del movimento ecumenico che è “sorto per grazia dello Spirito Santo” e che diventa “ogni giorno più ampio” (Unitatis redintegratio 1).
In secondo luogo la speranza è sostenuta dalla preghiera stessa di Gesù Cristo che rimane l’ispirazione profonda di ogni preghiera per l’unità dei cristiani.
Il decreto sull’ecumenismo del concilio Vaticano ii è stato esplicito.
Il santo concilio si dichiara ben conscio che l’opera del ristabilimento della piena unità dei cristiani “supera le forze e le doti umane”, ma afferma con vigore che “ripone tutta la sua speranza nell’orazione di Cristo per la Chiesa, nell’amore del Padre per noi e nella forza dello Spirito Santo” (Unitati redintegratio 24).
Il concilio dichiara anche che non si tratta di un qualche evanescente ottimismo ma della certezza della fede: “La speranza non inganna” (Romani 5, 5).
Un’analisi sui frutti già raggiunti dal movimento ecumenico rafforza lo spirito positivo con cui vanno affrontate le altre fasi, certamente più ardue.
Per ora si può constatare che la situazione tra i cristiani è completamente diversa da quella che essi sperimentavano prima del concilio Vaticano II con cui la Chiesa cattolica si è ufficialmente impegnata nel movimento ecumenico conferendogli un impulso decisivo, nelle relazioni, nelle problematiche affrontate nei dialoghi bilaterali e nei traguardi raggiunti tanto con le Chiese d’Oriente quanto con le Comunità ecclesiali di Occidente.
Nell’enciclica sull’impegno ecumenico Giovanni Paolo II ne ha dato una lettura autorevole: “È la prima volta nella storia che l’azione in favore dell’unità dei cristiani ha assunto proporzioni così grandi e si è estesa ad un ambito così vasto”.
Ed ha aggiunto: “Uno sguardo d’insieme degli ultimi trent’anni fa meglio comprendere molti dei frutti di questa comune conversione al Vangelo di cui lo Spirito di Dio ha fatto strumento il movimento ecumenico” (Ut unum sint, 41).
Egli, a conferma, annovera: la fraternità ritrovata, la solidarietà nel servizio all’umanità, le convergenze nella Parola di Dio, la crescita della comunione.
Analizza quindi il dialogo con le Chiese di Oriente e i suoi progressi (Ut unum sint, 50-63) e ugualmente quello con le Chiese e Comunità ecclesiali di Occidente (Ut unum sint, 64-70).
L’enciclica fa affermazioni più dettagliate.
Nel dialogo con le Chiese ortodosse afferma che “con spirito positivo, basandoci su quanto abbiamo in comune, la commissione mista ha potuto progredire sostanzialmente” (Ut unum sint, 59).
In seguito il dialogo ha ripreso l’avvio di una nuova fase di lavoro su “Collegialità e autorità nella Chiesa” (Belgrado 2006 e Ravenna 2007) impostando positivamente lo studio della questione cruciale del ruolo del vescovo di Roma nella Chiesa.
Anche con le antiche Chiese di Oriente o precalcedonesi si è potuto organizzare un dialogo fra la Chiesa cattolica e tutte quelle Chiese insieme (copta, etiopica, sira, armena).
L’enciclica ha apprezzato anche il lavoro svolto con le Chiese e Comunità ecclesiali di Occidente affermando che “il dialogo è stato ed è fecondo, ricco di promesse…
La riflessione dei vari dialoghi bilaterali, con una dedizione che merita l’elogio di tutta la comunità ecumenica, si è concentrata su molte questioni controverse quali il Battesimo, l’Eucaristia, il Ministero ordinato, la sacramentalità e l’autorità nella Chiesa, la successione apostolica”.
Non solo, ma questi dialoghi hanno prodotto frutti positivi.
L’enciclica dichiara: “Si sono delineate così delle prospettive di soluzione insperate e nel contempo si è compreso come fosse necessario scandagliare più profondamente alcuni argomenti” (Ut unum sint, 69).
Dopo l’enciclica i dialoghi sono continuati e hanno prodotto nuovi frutti come la dichiarazione comune sulla Giustificazione per fede con i Luterani, nuova pietra miliare nel dialogo con i protestanti.
In seguito Benedetto XVI non ha mancato di incoraggiare tanto il dialogo della carità quanto il dialogo teologico.
Recentemente Benedetto XVI alla Sessione Plenaria del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani (18 dicembre 2008) sul tema “Ricezione e futuro del dialogo ecumenico” ebbe a dire: “Ringraziamo il Signore per i significativi passi in avanti compiuti”.
Questi progressi vanno applicati e verificati nella realtà concreta.
L’indicazione operativa che proviene dalla visione di Ezechiele è quella di “accostare l’uno all’altro” in modo da fare “un legno solo”, e cioè da formare “una cosa sola” (Ezechiele 37, 17).
I temi suggeriti per gli otto giorni si riferiscono appunto all’azione comune tra i cristiani nella situazione concreta del mondo di oggi.
Le problematiche trattate negli otto giorni si possono sintetizzare in tre gruppi: la divisione dei cristiani, le questioni sociali dominanti, il contesto interreligioso.
La questione della divisione tra i cristiani viene affrontata in particolare nel primo giorno in cui si considerano “le comunità cristiane di fronte a vecchie e nuove divisioni”.
Il tema ovviamente trova risonanze in tutti gli altri giorni.
Sono note le grandi divisioni storiche, fra cattolici e ortodossi e fra cattolici e protestanti.
Esse sono oggetto di dialogo e su molte di esse si sono trovate positive convergenze.
Ma permangono ancora i motivi di fondo delle divisioni.
In più la situazione attuale presenta “nuove divisioni” che si constatano tanto fra le Chiese ortodosse quanto nel mondo protestante, nuove frammentazioni e emergenza di nuove problematiche etiche con gravi dissensi.
Il dialogo ecumenico ne deve tenere conto approfondendo la ricerca.
Le questioni sociali dominanti richiedono una cooperazione fattiva tra i cristiani mettendo insieme gli elementi comuni per una testimonianza comune e un concorde annuncio del messaggio cristiano.
L’ampia problematica viene affrontata in cinque giorni, dal secondo al sesto giorno.
L’impostazione è sempre la stessa per ciascun giorno: come si situano i cristiani di fronte ai vari problemi, di fronte alla guerra e alla violenza, di fronte alle ingiustizie, di fronte alla crisi ecologica, di fronte alle discriminazioni e alla sofferenza.
Il tutto è sempre, giorno per giorno, sotto lo slogan: “Essere riuniti nella tua mano”.
La cooperazione tra i cristiani è stata proposta e ecumenicamente valorizzata dal decreto del concilio Vaticano II sull’ecumenismo: “La cooperazione di tutti i cristiani esprime vivamente quella unione che già vige tra di loro”.
Inoltre “da questa cooperazione i credenti in Cristo possono facilmente imparare come si appiani la via verso l’unità” (Unitatis redintegratio 12).
I cristiani di fronte alla pluralità delle religioni trovano un campo nuovo in cui esplicare la loro testimonianza comune di fede nella Trinità e in Gesù Cristo Signore e Salvatore del mondo.
Le relazioni con le altre religioni sono avvertite come indispensabili nel nostro tempo nel duplice scopo di affermare valori comuni (trascendenza, principi di convivenza pacifica, opzioni fondamentali di etica, ecc.) e, inoltre, di cercare insieme come evitare quei conflitti che sorgono per altri interessi ma che strumentalizzano le religioni per creare contrapposizioni tra i popoli.
I cristiani hanno un messaggio comune specifico da presentare nel dialogo con le altre religioni.
Infine l’ottavo giorno è quasi la sintesi dell’intera riflessione di quest’anno per la preghiera per l’unità dei cristiani.
Il tema del giorno presenta una formulazione sintomatica ed efficace: “Proclamazione cristiana della speranza in un mondo di separazione”.
Nel nostro mondo e nel nostro tempo, segnato da separazioni e conflitti, tra i cristiani, tra le religioni, tra i popoli, i cristiani sono chiamati a “proclamare” la speranza cristiana che il testo di Ezechiele ripropone ricordando che il Signore assicura: “Li libererò”, “Li purificherò”, “Li unirò”, “Stabilirò il mio santuario in mezzo a loro per sempre”.
Il commento proposto per questo ultimo giorno, riassumendo l’orientamento generale, afferma: “Quando i cristiani si riuniscono per pregare per l’unità sono motivati e sostenuti da questa speranza”.
(©L’Osservatore Romano – 18 gennaio 2009)   VI unità di apprendimento:  “Gesù e…”  OBIETTIVI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO  Conoscenze  Abilità  * Gesù di Nazaret, l’Emmanuele “Dio con noi”.   * Descrivere l’ambiente di vita di Gesù nei suoi aspetti quotidiani, familiari, sociali e religiosi.
OBIETTIVI FORMATIVI • Scoprire l’attenzione di Gesù verso i più piccoli • Comprendere l’amore di Gesù nei confronti dei sofferenti  Suggerimenti operativi   • Raccontare l’episodio di Gesù con gli apostoli, la folla e alcuni bambini.
Sottolineare la frase centrale detta da Gesù: “Lasciate che i bambini vengano a me…” Se è necessario, rileggere anche due volte il brano, in modo da comprenderlo meglio.
• Sul quaderno rappresentare i due momenti: 1.
gli apostoli mandano via i bambini; 2.
Gesù li richiama a sé.
Prima di far rappresentare l’episodio con il disegno evidenziare gli elementi chiave della scena e, se possibile, anche una semplice frase da inserire in un fumetto per trasmettere meglio il messaggio.  • Scoprire attraverso il racconto del cieco Bartimeo come Gesù sia attento a chi soffre ed è in difficoltà.
Leggere un adattamento del brano evangelico.
Per far immedesimare i bambini nei personaggi assegnare a ciascuno un ruolo (Gesù, folla, Bartimeo) e durante la lettura far rappresentare il divenire della storia.
Visto che i personaggi sono pochi, se la classe è molto numerosa, dividerla in gruppi e ripetere la messa in scena in modo che tutti possano prendervi parte.
Attuare un debriefing alla fine per capire come si sono sentiti i bambini “nei panni di…”; ricercare le emozioni, i desideri, i pensieri…
• Dare la consegna, a ogni alunno, di rappresentare sul quaderno il momento del racconto che ritiene più significativo.
Raccordi con altre discipline Italiano, ed.
alla convivenza, ed.
all’immagine Riferimento al tema “Per i diritti di tutti” “Convenzione sui diritti dell’infanzia”: Art.
3: ogni bambino ha il diritto di essere amato.
Art.
7: ogni bambino ha il diritto ad avere un nome.
Art.
28: ogni bambino ha il diritto a ricevere un’istruzione.
Art.
31: ogni bambino ha il diritto di giocare.
Il tema per la preghiera dell’unità dell’anno 2009 è stato proposto da un gruppo ecumenico della Corea, che partendo dallo stato di divisione della loro patria e dalle divisioni tra cristiani ivi presenti, ha suggerito come testo-base la visione simbolica e profetica di Ezechiele (Ezechiele 37, 15-28).
In seguito, il Comitato misto internazionale per la preghiera – composto da rappresentanti del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e della Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese – ha riveduto il primo progetto e gli ha conferito le caratteristiche necessarie per una divulgazione internazionale.
Il Comitato si è incontrato a Marsiglia dove opera una interessante organizzazione con carattere ecumenico ed interreligioso nota come “Marseille espérance”.
Il gruppo è stato accolto con calorosa fraternità ecumenica dalla diocesi, dagli organismi ecumenici locali e dalla stessa cittadinanza.
Il Comitato Misto Internazionale, come è sua tradizione, ha elaborato i sussidi in due lingue, francese e inglese.
Le traduzioni e gli adattamenti sono lasciate all’iniziativa delle Chiese locali.
Nella visione profetica, il Signore chiede a Ezechiele di prendere due bastoni, in uno scriverà il nome di Giuda e delle tribù unite a lui, nell’altro scriverà il nome di Giuseppe e di tutte le altre tribù d’Israele.
Quindi gli ordina: “Accostali l’uno all’altro in modo da fare un legno solo, che formino una cosa sola nella tua mano” (Ezechiele 37, 17).
E quando i compatrioti chiederanno il significato, Ezechiele, dovrà trasmettere ciò che il Signore gli ha detto: “Ecco, io prendo il legno di Giuseppe e lo metto sul legno di Giuda per farne un legno solo; diventeranno una cosa sola in mano mia” (Ezechiele 37, 19).
Il Signore ne dà una spiegazione più precisa: “Ecco, io prenderò gli Israeliti dalle genti fra le quali sono andati e li radunerò da ogni parte e li ricondurrò nel loro paese: farò di loro un solo popolo nella mia terra” (Ezechiele 37, 21).

Scuola: Iscrizioni e valutazione

Ecco la circolare sulle iscrizioni a scuola.
Il ministero dell’Istruzione l’ha pubblicata sul proprio sito pochi minuti fa, contestualmente al decreto per attribuire le insufficienze in condotta ai ragazzini della scuola media.
Dopo le polemiche di questi giorni e le vivaci proteste dei sindacati che hanno denunciato lo “stato confusionale” della scuola, dirigenti scolastici, insegnanti e famiglie hanno a disposizione due provvedimenti che consentono le iscrizioni all’anno scolastico 2009/2010 e la valutazione del primo quadrimestre con il ripristino dei voti in decimi all’elementare e alla media.
Il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, ha firmato il decreto sulla valutazione del comportamento degli studenti.
“La valutazione del comportamento degli studenti – spiega il decreto – nella scuola secondaria di primo grado e nella scuola secondaria di secondo grado è espressa in decimi”.
La valutazione espressa dal consiglio di classe “si riferisce a tutto il periodo di permanenza nella sede scolastica e comprende anche gli interventi e le attività di carattere educativo posti in essere al di fuori di essa”.
L’attribuzione di un voto inferiore a sei decimi, “in presenza di comportamenti di particolare e oggettiva gravità”, comporta l’automatica bocciatura.
Il consiglio di classe può attribuire una valutazione insufficiente in condotta soltanto in presenza di sanzioni disciplinari che comportino l’allontanamento dalla scuola superiore a 15 giorni e per quegli alunni che a seguito di tali sanzioni “non abbiano dimostrato apprezzabili e concreti cambiamenti nel comportamento, tali da evidenziare un sufficiente livello di miglioramento nel suo percorso di crescita e di maturazione”.
Le scuole “sono tenute a curare con particolare attenzione sia l’elaborazione del Patto educativo di corresponsabilità, sia l’informazione tempestiva e il coinvolgimento attivo delle famiglie in merito alla condotta dei propri figli”.
Repubblica 16 gennaio 2009 Scadenza iscrizioni.
I genitori che dovranno iscrivere i propri figli nella scuola dell’infanzia, alla prima classe della scuola primaria, secondaria di primo grado e secondaria di secondo grado dovranno presentare il relativo modulo (I MODULI) predisposto dal ministero dell’Istruzione entro e non oltre il 28 febbraio prossimo.
L’iscrizione alle classi intermedie viene curata delle segreterie scolastiche.
Scuola dell’infanzia.
Potranno richiedere l’iscrizione al primo anno della scuola primaria i genitori dei bambini che compiranno sei anni entro il 31 dicembre 2009.
Possono altresì essere iscritti i piccoli che compiranno sei anni entro il 30 aprile 2010.
Quest’ultima possibilità è subordinata alla disponibilità dei posti, all’esaurimento delle liste d’attesa, alla disponibilità di locali e dotazioni idonei ad accogliere i piccoli anticipatari e alla valutazione pedagogico didattica del collegio dei docenti.
Ove ricorrano le condizioni logistiche e funzionali, continua anche l’esperienza delle “sezioni primavera” per i piccoli di età compresa fra i 24 e i 36 mesi.
L’orario di funzionamento normale è di 40 ore settimanali: 8 ore al giorno.
Le famiglie possono anche richiedere un orario ridotto a 25 ore settimanali o prolungato di 50 ore a settimana.
Scuola primaria.
Hanno l’obbligo di iscriversi in prima elementare i bambini che compiono sei anni entro il 31 dicembre 2009.
Mamme e papà possono optare per l’anticipo, riservato ai piccoli che festeggiano il sesto compleanno entro il 30 aprile 2010.
La domanda può essere presentata in qualsiasi scuola (del territorio di appartenenza o no).
Le istanze verranno accolte in basa ai criteri elaborati e resi noti dagli organi collegiali della scuola.
Nel modulo di domanda le famiglie dovranno indicare l’ordine di priorità delle 4 opzioni orarie: 24, 27, 30 o 40 ore per il tempo pieno.
Ma per l’orario settimanale di 30 ore e il tempo pieno di 40 ore verranno accontentati i genitori soltanto in relazione alle disponibilità di organico della scuola.
Scuola media.
L’iscrizione al primo anno della scuola secondaria di primo grado avviene tramite la scuola primaria frequentata dall’alunno.
L’istanza va indirizzata alla scuola prescelta e deve riportare l’ordine di preferenza delle tre opzioni orarie: 30 ore settimanali (29 ore curricolari più un’ora di approfondimento di Italiano) , tempo prolungato di 36 ore o tempo prolungato di 40 ore a settimana.
I posti a disposizione per frequentare il tempo prolungato dipenderanno dalle dotazioni organiche che assegnerà il ministero alle singole scuole.
Al momento dell’iscrizione le famiglie possono anche scegliere l’Inglese potenziato: 5 ore settimanali anziché 3 più due di una seconda lingua comunitaria.
Per gli alunni che frequentano gli istituti comprensivi l’iscrizione in prima media è effettuata d’ufficio dalla segreteria scolastica.
Scuola secondaria di secondo grado.
Coloro che terminano il primo ciclo, in base alle norme sull’assolvimento dell’obbligo di istruzione, sono tenuti ad iscriversi al primo anno della scuola superiore o a frequentare un percorso di istruzione e formazione professionale triennale.

Ebrei e Chiesa cattolica

Sul versante geopolitico la guerra di Gaza ha acuito le divergenze tra la Chiesa cattolica e Israele, come www.chiesa ha mostrato nel servizio del 4 gennaio.
Il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa, ipotizzato per maggio, si auspica che attenui le reciproche incomprensioni.
Intanto, però, soprattutto per l’intransigenza israeliana, non fanno passi avanti i negoziati per dare attuazione pratica agli accordi del 1993 tra la Santa Sede e Israele.
Né si intravede alcuna disponibilità a rimuovere, nel museo della Shoah a Gerusalemme, la didascalia che squalifica Pio XII come complice dello sterminio nazista degli ebrei.
Ma anche sul terreno più strettamente religioso il rapporto tra le due parti è accidentato.
Per il 17 gennaio la conferenza episcopale italiana ha indetto la “Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei”.
Dal 1990 questa giornata si tiene tutti gli anni, dal 2001 la comunità ebraica italiana la promuove assieme ai vescovi e dal 2005 entrambe le parti hanno concordato un programma decennale di riflessione sui Dieci Comandamenti.
Ma questa volta la Chiesa cattolica si ritrova sola.
L’assemblea dei rabbini italiani, presieduta da Giuseppe Laras, ha deciso di “sospendere” la partecipazione degli ebrei all’evento.
Ferdinando Bonsignore – La Chiesa della Gran Madre di Dio   Esempio dello stile neoclassico in auge ai primi dell’Ottocento è la chiesa della Gran Madre di Dio, opera di Ferdinando Bonsignore, eretta tra il 1818 e il 1831 per festeggiare il ritorno di Vittorio Emanuele I di Savoia il 20 maggio 1814 dopo la sconfitta di Napoleone: sul timpano della chiesa si legge infatti l’epigrafe «Ordo Populusque Taurinus Ob Adventum Regis» («La città e i cittadini di Torino per il ritorno del re»).
Lo schema dell’edificio si rifà, con spirito deliberatamente archeologico, a una diffusissima tipologia che trova il suo prototipo nel Pantheon, monumento romano del periodo adrianeo; una pianta rotonda sormontata da una cupola, e preceduta da un peristilio a frontone triangolare, il tutto poggiante su un alto zoccolo.
Il documento diffuso dalla conferenza episcopale italiana per la “Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei” del 17 gennaio 2009: > Ebrei e cristiani 1959-2009: mezzo secolo di dialogo __________ L’articolo del rabbino capo di Venezia, Elia Enrico Richetti, sulla rivista missionaria dei gesuiti italiani, “Popoli”: > Giornata dell’ebraismo.
Le ragioni del nostro no
__________ Il documento della pontificia commissione biblica del 24 maggio 2001 prodotto sotto la direzione dell’allora cardinale Joseph Ratzinger: > Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana __________ Un dossier sull’ebraismo d’oggi in Italia, nel numero di gennaio del 2009 del mensile dei religiosi paolini “Jesus” > Torah, Torah, Torah Laras ha annunciato il ritiro dell’adesione lo scorso 18 novembre, durante un convegno sul dialogo interreligioso svoltosi a Roma alla camera dei deputati.
E l’ha addebitata alla decisione di Benedetto XVI di introdurre nel rito romano antico del Venerdì Santo l’invocazione affinché Dio “illumini” i cuori degli ebrei, “perché riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini”.
Invocazione giudicata da Laras inaccettabile in quanto finalizzata alla conversione degli ebrei alla fede cristiana.
Il 13 gennaio il rabbino capo di Venezia, Elia Enrico Richetti, ha rincarato la protesta.
Su “Popoli”, la rivista missionaria dei gesuiti italiani, ha scritto che con Benedetto XVI “stiamo andando verso la cancellazione degli ultimi cinquant’anni di storia della Chiesa”.
La conferenza episcopale italiana ha reagito mantenendo ferma la giornata di riflessione ebraico-cristiana – significativamente collocata alla vigilia dell’annuale settimana dell’unità dei cristiani – e pubblicando per l’occasione un documento che riassume le tappe del dialogo tra ebrei e cristiani nell’ultimo mezzo secolo, a partire dalla cancellazione, decisa da papa Giovanni XXIII nel 1959, dell’aggettivo latino “perfidi” (che propriamente significa “increduli”) applicato agli ebrei nella preghiera del Venerdì Santo in vigore all’epoca.
Nel documento è sottolineata l’importanza del testo vaticano pubblicato dall’allora cardinale Joseph Ratzinger nel 2001 col titolo “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana”.
Questo testo, in effetti, è riconosciuto da autorevoli esponenti cattolici ed ebrei come il punto più alto e costruttivo fin qui raggiunto nel dialogo tra le due fedi, assieme al libro “Gesù di Nazaret” pubblicato nel 2007 dallo stesso Ratzinger, nel frattempo divenuto papa, nelle pagine dedicate alla divinità di Gesù: questione teologica capitale per gli ebrei di allora come di oggi, credenti in Cristo oppure no.
In campo cattolico la via tracciata da Ratzinger nel dialogo con l’ebraismo non è da tutti accettata.
Gli si oppone la cosiddetta “teologia della sostituzione”, sia nelle versioni “di sinistra”, filopalestinesi, sia in quelle “di destra”, tradizionaliste.
Secondo tale teologia, l’alleanza con Israele è stata revocata da Dio e solo la Chiesa è il nuovo popolo eletto.
In taluni tale visione arriva sino a un rigetto sostanziale dell’Antico Testamento.
Ma anche in campo ebraico vi sono sensibili divergenze di vedute.
Lo scorso novembre, quando Benedetto XVI fece colpo affermando che “un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale”, a sorpresa il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni (nella foto), si dichiarò d’accordo col papa.
E aggiunse che la decisione dell’assemblea dei rabbini italiani di sospendere l’adesione alla giornata di riflessione ebraico-cristiana del 17 gennaio andava anch’essa in questa direzione: “rimuovere l’equivoco che si debba dialogare tra cristiani ed ebrei anche sul piano teologico”.
Rispetto al predecessore Elio Toaff – quello del celebre abbraccio con Giovanni Paolo II in sinagoga – Di Segni ha inaugurato una dirigenza del rabbinato in Italia meno laica e più identitaria, più osservante di riti e precetti, e di conseguenza più conflittuale col papato sul versante religioso.
Ma, appunto, non tutti gli ebrei la pensano così.
Alcuni interpretano diversamente le riserve di Benedetto XVI sul dialogo interreligioso.
Ritengono cioè che il papa, quando esclude “un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola”, non si riferisca all’ebraismo ma soltanto alle religioni esterne al plesso ebraico-cristiano, cioè islam, induismo, buddismo, eccetera.
E infatti – chiedono – “che cosa sono stati il documento del 2001 e il libro ‘Gesù di Nazaret’ se non un confronto sul terreno propriamente teologico con l’unica religione con cui il cristianesimo può farlo?”.
A formulare quest’ultima domanda – in una nota sul quotidiano “il Foglio” dell’11 gennaio – è stato Giorgio Israel, docente di matematica all’Università di Roma “La Sapienza” ed impegnato fautore del dialogo ebraico-cristiano in sintonia con l’attuale pontefice.
Assieme a Guido Guastalla, assessore alla cultura della comunità ebraica di Livorno, Israel ha anche contestato pubblicamente, sul “Corriere della sera” del 26 novembre, la decisione di Laras e dell’assemblea dei rabbini di dissociarsi dalla giornata di riflessione ebraico-cristiana del 17 gennaio.
A loro giudizio, la motivazione portata a sostegno del rifiuto, cioè la preghiera per gli ebrei formulata da Benedetto XVI per il rito antico del Venerdì Santo, non è più sostenibile dopo le chiarificazioni fatte in proposito dalle autorità vaticane, chiarificazioni accolte anche dal presidente dell’International Jewish Committee, il rabbino David Rosen.
Hanno replicato a Israel e Guastalla, sul “Corriere della Sera” del 4 dicembre, il rabbino Laras, l’altro rabbino Amos Luzzatto e il presidente dell’Unione giovani ebrei d’Italia, Daniele Nahum.
I tre hanno restituito alla Chiesa cattolica e in particolare al papa la colpa della rottura, hanno definito le posizioni di Benedetto XVI “una regressione rispetto alle conquiste scaturite dagli ultimi decenni di dialogo e collaborazione” e hanno accusato i loro critici di voler usare il dialogo ebraico-cristiano in funzione anti islam.
Laras, Luzzatto e Nahum hanno concluso così la loro replica: “Si ricordi che i rapporti tra ebraismo e islam generalmente sono stati più proficui e sereni rispetto a quelli intercorsi tra ebraismo e cristianesimo”.
La storia ha il suo peso irremovibile.
Ma riletti oggi, nel pieno della guerra di Gaza, questo omaggio all’islam e questa stilettata alla Chiesa suonano surreali.