In questi ultimi giorni ha avuto ampio risalto la proposta estemporanea di alcuni politici di offrire nelle scuole l’insegnamento della religione islamica.
La proposta suscita interrogativi di carattere culturale e giuridico.
Sotto il primo profilo, c’è da chiedersi se l’apertura a un insegnamento dell’Islam debba considerarsi la premessa di ulteriori insegnamenti relativi ad altre religioni, una volta che queste abbiano un sufficiente numero di richiedenti.
Ma soprattutto c’è da chiedersi se sia la scuola la sede di un insegnamento che risponda specificamente a un’appartenenza di fede dell’alunno e della sua famiglia, o se la scuola non debba piuttosto curare la formazione globale dell’alunno a prescindere dalle sue personali scelte di fede e fornendogli strumenti utili per compiere o sostenere quelle libere scelte.
In altre parole, una lottizzazione dell’insegnamento religioso significherebbe che esso si andrebbe a configurare essenzialmente come catechesi, cioè una sorta di luogo franco assegnato alle diverse confessioni religiose per svolgervi proprie attività educative (ivi incluse, a questo punto, pratiche di culto).
La paradossalità di un simile esito condurrebbe logicamente e rapidamente all’estromissione di qualsiasi insegnamento del genere dalla scuola, rivelando così il vero scopo della proposta, cioè quello di espellere dalla scuola l’unico insegnamento religioso oggi presente, colpevole di operare in regime di monopolio e quindi in contrasto con il doveroso pluralismo di una scuola laica.
Ma così facendo si dimenticherebbero le motivazioni concordatarie che sono alla base dell’Irc e che ne fanno qualcosa di sostanzialmente diverso dalla catechesi (non è rivolto ai soli cattolici, né vuole essere una forma di proselitismo), caratterizzato da un’impostazione culturale che cerca soprattutto di fornire strumenti per la comprensione della storia e della realtà italiana, di fatto profondamente segnata dal confronto con il cattolicesimo.
Sotto il secondo profilo, quello giuridico, la proposta si presenta come ingiustificata, dato che un insegnamento della fede islamica è già possibile nella legislazione vigente, che comprende ancora il RD 28-2-1930, n.
289, attuativo della legge 24-6-1929, n.
1159, cosiddetta sui “culti ammessi”.
È una legge che da diverse legislature si cerca di sostituire con una più aggiornata normativa sulla libertà religiosa, ma finora non si è avuto alcun risultato.
Ovviamente, non c’entra nulla la legislazione concordataria, che regolamenta solo l’Irc, né le altre Intese con le confessioni non cattoliche, tra le quali non figura alcun accordo con rappresentanti della religione islamica.
Il RD 289/1930, nella parte tuttora vigente, testualmente recita: «Quando il numero degli scolari lo giustifichi e quando per fondati motivi non possa esservi adibito il tempio, i padri di famiglia professanti un culto diverso dalla religione dello Stato possono ottenere che sia messo a loro disposizione qualche locale scolastico per l’insegnamento religioso dei loro figli: la domanda è diretta al provveditore agli studi il quale, udito il consiglio scolastico, può provvedere direttamente in senso favorevole.
In caso diverso e sempre quando creda, ne riferisce al Ministero della Pubblica Istruzione, che decide di concerto con quello dell’Interno.
Nel provvedimento di concessione dei locali si devono determinare i giorni e le ore nei quali l’insegnamento deve essere impartito e le opportune cautele».
La norma deve essere necessariamente adeguata al quadro normativo attuale, ma conserva valore in relazione ai principi e alle azioni conseguenti.
In particolare, non essendo più in vigore il principio della religione di Stato, le disposizioni devono intendersi applicabili – alle condizioni ivi previste – nei confronti di qualsiasi culto.
In secondo luogo, la domanda non può più essere indirizzata al Provveditore agli Studi ma al Direttore Generale dell’Ufficio scolastico regionale per il tramite del dirigente scolastico della scuola interessata (ma la presenza di un dirigente all’interno della singola istituzione scolastica potrebbe oggi far attribuire a lui stesso la responsabilità di decidere in merito, una volta ascoltato il Consiglio di Circolo o di Istituto e alle condizioni sopra elencate).
Il Direttore Generale dell’Ufficio scolastico regionale consulterà invece il Consiglio scolastico provinciale e quindi disporrà in merito, qualora la risposta sia favorevole.
Ove non ricorrano le condizioni per l’accoglimento della richiesta, può essere investito del problema il Ministero dell’Istruzione che deciderà di concerto con quello dell’Interno.
Pertanto, qualora un alunno (o un genitore) chieda di poter frequentare lezioni di Islam (o di qualsiasi altra religione), la procedura da seguire può essere la seguente: 1. l’istanza deve essere presentata in forma scritta al dirigente della scuola, non necessariamente all’inizio dell’anno scolastico ma anche nel momento in cui si venga a creare l’esigenza; 2. l’oggetto della richiesta riguarda esclusivamente la messa a disposizione di un locale scolastico per consentire l’insegnamento religioso agli alunni della medesima scuola; 3. la possibilità di avere a disposizione detto locale discende dalla condizione – che deve essere puntualmente accertata dal dirigente scolastico o comunque dall’autorità scolastica che formulerà la risposta definitiva – che l’esigenza di istruzione religiosa non possa essere soddisfatta, per fondati motivi, negli appositi luoghi destinati sul territorio al culto in questione; 4. l’istanza deve essere inoltrata per competenza dal dirigente scolastico al Direttore Generale dell’Ufficio scolastico regionale; 5. il Direttore Generale dell’Ufficio scolastico regionale deve acquisire il parere del Consiglio scolastico provinciale e quindi provvedere in senso favorevole; 6. in caso contrario, il Direttore Generale dell’Ufficio scolastico regionale deve rinviare l’istanza al Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (Dipartimento per l’Istruzione), che deciderà di concerto con quello dell’Interno (Direzione Generale degli affari di culto); 7. ove vengano concessi i locali richiesti, la scuola o l’Ufficio che autorizza la concessione, sentita la scuola stessa, deve fissare i giorni e le ore in cui può essere impartito l’insegnamento; 8. devono inoltre essere stabiliti i necessari contatti con l’autorità religiosa competente per ricevere notizia circa le persone che impartirebbero tale insegnamento; 9. stante la norma richiamata, che giustifica l’accoglimento della richiesta in relazione al «numero degli scolari», l’istanza può essere accolta solo qualora i fruitori dell’istruzione siano in numero tale – comunque superiore a uno – da giustificare l’impegno organizzativo della scuola; 10. è infine da ritenere che l’eventuale soddisfazione della richiesta non debba porre oneri a carico della scuola o dell’amministrazione pubblica, né in relazione al prolungamento dell’orario di apertura della scuola, né in relazione a ulteriori compensi da corrispondere per detta istruzione.
Alla luce di questa ricostruzione normativa, risulta perciò evidente la finalità eminentemente propagandistica della proposta di un’ora di Islam, volta più a mettere in discussione l’Irc che a risolvere concretamente un problema la cui soluzione sarebbe già a portata di mano.
Ovviamente, ci si augura che non si debba ancora far riferimento a leggi che affondano le proprie radici in un regime politico e istituzionale che non ci appartiene più, ma ciò accade anche per l’Irc (per esempio in tema di valutazione).
Sarebbe quindi il caso di affrontare l’eventuale problema tenendo presente l’intero quadro giuridico sussistente (dalla Costituzione al Concordato), cercando di conservare alla scuola le sue finalità culturali ed educative, senza attribuirgliene altre che potrebbero solo snaturarla.
Categoria: Normativa
Il Tar del Lazio su Irc e credito scolastico
Il Tar del Lazio su Irc e credito scolastico Sergio Cicatelli In agosto i giornali sono a corto di notizie e allora si lascia spazio volentieri a dibattiti vuoti o polemiche superficiali per riempire in qualche modo le pagine.
C’è chi approfitta di questa situazione trovando facile ospitalità per “notizie” abilmente costruite e destinate a sopravvivere alla propria reale consistenza.
È il caso della sentenza del Tar del Lazio n.
7076, che è esplosa su TV e giornali tra l’11 e il 12 agosto scorsi, con titoli che parlavano di esclusione degli Idr dagli scrutini e interviste inneggianti alla recuperata laicità della scuola.
Chi si è fermato alla lettura dei giornali (o almeno di certi giornali) avrà immaginato un terremoto scolastico; chi ha cercato di documentarsi meglio avrà compreso la reale portata della sentenza e della notizia ad essa collegata.
Vogliamo quindi provare a ricostruire la vicenda, riconducendola entro i suoi effettivi confini giuridici ed evitando di discutere sui massimi sistemi (valore della religione, tradizioni storiche, laicità dello stato e della scuola, ecc.) come hanno fatto tanti degli esperti che, da posizioni diverse, sono intervenuti nei giorni scorsi sull’argomento cadendo nella trappola della polemica precostituita.
Anzitutto, il merito della questione.
Non si parla assolutamente di esclusione degli Idr dagli scrutini ma solo del contributo dell’Irc al credito scolastico negli ultimi tre anni di scuola superiore, in vista dell’esame di stato.
Il Tar del Lazio ha riunito insieme in un’unica trattazione due ricorsi che impugnavano le ordinanze ministeriali del 2007 e 2008 sugli esami di stato (OM 26/07 e OM 30/08), in cui era previsto (art.
8, cc.
13-14) che l’Irc potesse intervenire nella banda di oscillazione del punteggio di credito insieme agli altri fattori previsti dal regolamento d’esame (frequenza, partecipazione al dialogo educativo, attività integrative, crediti formativi extrascolastici).
Sull’OM 26/07 il Tar si era già espresso nel maggio 2007 disponendone la sospensione, ma la sua ordinanza (n.
2408) era stata tempestivamente annullata dal Consiglio di Stato (sez.
VI, decreto presidenziale cautelare n.
2699 del 31-5-2007 e ord.
2920 del 12-6-2007).
Incuranti di quell’annullamento, i ricorrenti – che nel frattempo hanno chiamato a raccolta altri alleati costituendo un cartello di ben 24 associazioni e comunità religiose non cattoliche (con sigle invero talvolta sovrapponibili) – hanno riproposto il medesimo ricorso contro l’ordinanza dell’anno successivo e il Tar ha abbinato inopinatamente la trattazione di entrambi i ricorsi (del resto identici) nella sentenza attuale pur conoscendo già la posizione contraria del superiore Consiglio di Stato.
In secondo luogo, diamo un’occhiata alle date.
La prima udienza pubblica in merito si tiene l’11 febbraio 2009, in singolare coincidenza con l’ottantesimo anniversario del primo Concordato.
La camera di consiglio si svolge il 6 maggio e la sentenza porta la data del 17 luglio.
C’è da chiedersi come mai sia finita sui giornali solo il 12 agosto, ma forse i registi della comunicazione hanno voluto assicurarsi una platea sgombra da altri eventi per ottenere una maggiore risonanza.
Inoltre, non va dimenticato che i ricorsi riguardano le ordinanze del 2007 e del 2008, relative ad anni scolastici che hanno da tempo concluso e perfezionato le loro operazioni; e la sentenza non ha alcuna efficacia sull’anno scolastico ancora in corso, che vedrà concludere nei prossimi giorni gli scrutini lasciati in sospeso a giugno per gli studenti che dovevano recuperare qualche materia.
Ma siamo certi che qualche zelante docente o dirigente non mancherà di sollevare la questione, comunque priva di qualsiasi fondamento giuridico.
Pare che anche contro l’ordinanza di quest’anno (OM 40/09) sia stato fatto ricorso, ma il Tar non si è ancora pronunciato.
Nel frattempo, lo scorso 19 agosto è uscito in Gazzetta Ufficiale l’atteso regolamento della valutazione (DPR 20-6-2009, n.
122), che scioglie ogni dubbio ribadendo che l’Idr partecipa regolarmente all’attribuzione del punteggio per il credito scolastico (art.
6, c.
3).
Infine, è curioso che il Tar del Lazio si sia pronunciato sulla questione dopo aver già respinto (con sentenza n.
7101 del 2000) il medesimo ricorso sull’ordinanza del 1999.
Ma si tratta di sezioni diverse del medesimo Tar: mentre nel 2000 era intervenuta la sezione terza bis del Tar laziale, da qualche anno il solito gruppo di ricorrenti ha trovato un insperato alleato nella sezione terza quater del medesimo Tar, che è già intervenuta in altre occasioni (puntualmente amplificate dalla stampa) su questioni relative alla valutazione dell’Irc.
Il collegio giudicante – composto dal dr.
Mario Di Giuseppe, presidente, e dal dr.
Umberto Realfonzo, relatore, di volta in volta affiancati da un terzo giudice – si era infatti già occupato di valutazione dell’Irc (ordinanze nn.
741-742 del 2006) disponendo la sospensiva della CM 84/05 che all’epoca aveva consentito il rientro dell’Irc in un unico documento di valutazione.
Il Ministero era stato di conseguenza costretto ad emanare le note del 3-2-2006, del 9-2-2006 e del 12-2-2006 con cui si precisava che le istituzioni scolastiche avrebbero prima “potuto” e poi “dovuto” redigere le consuete schede separate di valutazione dell’Irc.
La posizione della sezione terza quater del Tar laziale è facilmente riassumibile nella tesi della natura religiosa e non scolastica dell’Irc, nonostante il Concordato del 1984 lo abbia collocato «nel quadro delle finalità della scuola» e la successiva Intesa del 1985 abbia fissato tutti gli aspetti che ne fanno un insegnamento pienamente scolastico (programmi didattici, libri di testo, percorsi di formazione degli Idr).
Non è forse un caso che spesso, quando non cita formalmente norme costituite, il Tar parli di scelta della “religione cattolica” e non di scelta dell’“insegnamento” della religione cattolica, non volendo – forse inconsciamente – riconoscere valenza scolastica (di insegnamento) a quella che per esso rimane una scelta di fede e una dichiarazione di appartenenza.
I giudici della sezione terza quater, infatti, collocano l’Irc nell’ambito della «tutela di valori di carattere morale, spirituale e/o confessionale» che da un lato legittimano le diverse confessioni religiose a ricorrere e dall’altro riducono le coordinate scolastiche dell’Irc.
Essi sono consapevoli di entrare in contraddizione con i colleghi che nel 2000 si erano invece pronunciati a favore dell’Irc, ma contestano la logica della precedente pronuncia, fondata «su un presupposto logico e giuridico che non può essere condiviso, cioè che l’insegnamento di una religione, qualunque essa sia (sia cattolica che di altri culti), possa essere assimilata a qualsiasi altra attività intellettuale o educativa in senso tecnico del termine», dato che «qualsiasi religione – per sua natura – non è né un’attività culturale, né artistica, né ludica, né un’attività sportiva né un’attività lavorativa ma attiene all’essere più profondo della spiritualità dell’uomo ed a tale stregua va considerata a tutti gli effetti».
Già nelle ordinanze del 2007 la sezione terza quater aveva anticipato in forma sintetica le sue opinioni ritenendo «l’insegnamento della religione come una materia extracurriculare, come è dimostrato dal fatto che il relativo il giudizio – per coloro che se ne avvalgono – non fa parte della pagella ma deve essere comunicato con una separata “speciale nota”»; per altro verso, «sul piano didattico, l’insegnamento della religione non può a nessun titolo, concorrere alla formazione del “credito scolastico” di cui all’art.
11 del D.P.R.
n.
323/1988, per gli esami di maturità, che darebbe postumamente luogo ad una disparità di trattamento con gli studenti che non seguono né l’insegnamento religioso e né usufruiscono di attività sostitutive».
Con simili premesse, è facile ai giudici Di Giuseppe, Realfonzo e Amicuzzi accogliere oggi le ragioni dei ricorrenti, che possono essere sinteticamente riassunte come segue: 1) il divieto di discriminazione fissato dallo stesso Concordato del 1984 come conseguenza della scelta effettuata sull’Irc; 2-a) la disparità di trattamento tra chi si avvale dell’Irc e chi non se ne avvale, 2-b) l’indeterminatezza dei criteri di valutazione del credito scolastico che possono dar luogo ad ulteriori discriminazioni, 2-c) la tardiva pubblicazione delle istruzioni che fissano criteri per la valutazione di attività scelte in precedenza; 3) l’illegittimità costituzionale dell’art.
9 del Concordato stesso per la disparità di trattamento tra le diverse confessioni religiose.
Con atti separati alcuni hanno anche sostenuto che l’attribuzione del credito condizionerebbe la scelta di avvalersi dell’Irc.
È abbastanza facile notare invece che: 1) il divieto di discriminazione, in ragione del principio costituzionale di uguaglianza, non può essere interpretato a senso unico come possibile solo nei confronti di chi non si avvale dell’Irc ma deve valere anche a tutela di coloro che si avvalgono dell’Irc, impedendo che siano posti in difficoltà con il tentativo di rendere inefficace ai fini scolastici la scelta effettuata; 2-a) la scelta sull’Irc inevitabilmente determina una condizione diversa tra chi se ne avvale e chi non se ne avvale (altrimenti non avrebbe senso scegliere) e si deve solo evitare che la diversità diventi discriminazione con l’imposizione di una condizione deteriore (ad entrambe le parti) in ragione di quella scelta; 2-b) i criteri di valutazione sono istituzionalmente affidati alla discrezionalità delle singole scuole a motivo della loro autonomia (DPR 275/99, art.
4, c.
4) e del carattere tecnico della valutazione stessa; 2-c) le ordinanze sugli esami sono sempre state pubblicate in corso d’anno con istruzioni che si ripetono ogni volta per consuetudine consolidata, anche se si deve riconoscere che la sede più appropriata per le disposizioni sull’Irc sarebbe stata il regolamento dell’esame o una sua integrazione; 3) la legittimità costituzionale dell’art.
9 del nuovo Concordato è stata riconosciuta una prima volta dalla Corte costituzionale con la sentenza 203/89 (qui si intravede una nuova fragile contestazione, relativa all’uguaglianza tra confessioni religiose, ma la distinta definizione delle rispettive condizioni negli articoli 7 e 8 della Costituzione dovrebbe sufficientemente convincere circa la legittimità delle soluzioni adottate).
Per evidenti ragioni di spazio dobbiamo sorvolare sulle questioni procedurali e sugli errori tecnici commessi dai giudici.
Su questi ultimi – per non lasciare nel vago l’accusa – ci limitiamo a segnalare che il divieto di voto e di esame viene attribuito, insieme alla scheda separata di valutazione, al Protocollo addizionale del nuovo Concordato mentre è materia normata dall’art.
309 del DLgs 297/94 sulla base di autonome disposizioni risalenti addirittura al 1930; inoltre si sostiene che le ordinanze del 2007 e 2008 si pongono «in palese contraddizione con le precedenti analoghe ordinanze ministeriali», quando invece le norme impugnate risalgono all’OM 128 del 1999 e sono state puntualmente ribadite da tutti i Ministri succedutisi da allora, da Berlinguer a De Mauro, a Moratti e a Fioroni, come dimostra del resto il precedente ricorso risolto dal Tar nel 2000.
Sarebbe inoltre da approfondire l’uso parziale e tendenzioso che i giudici della sezione terza quater fanno delle sentenze della Corte costituzionale, estraendo dal contesto affermazioni incomplete.
Nel 1989, per esempio, la Corte costituzionale si espresse in maniera ambigua, scrivendo che «con l’accordo del 18 febbraio 1984 emerge un carattere peculiare dell’insegnamento di una religione positiva: il potere suscitare, dinanzi a proposte di sostanziale adesione ad una dottrina, problemi di coscienza personale e di educazione familiare, per evitare i quali lo Stato laico chiede agli interessati un atto di libera scelta».
L’Irc non propone assolutamente di aderire ad una fede ma solo di conoscerne correttamente i contenuti, come provano tutti i programmi didattici emanati negli ultimi venticinque anni.
D’altra parte, proprio la Corte costituzionale nella stessa sentenza n.
203 descrive l’Irc come «non implicante una pretesa di adesione diversa o superiore rispetto a quella richiesta per qualsiasi altra materia d’insegnamento».
I giudici della sezione terza quater, invece, sfruttano astutamente l’equivoca espressione della Corte costituzionale per sostenere che, «sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico, proprio per il rischio di valutazioni di valore proporzionalmente ancorate alla misura della fede stessa».
E introducono addirittura il sospetto che la valutazione dell’Irc sia da collegare «alla misura della adesione ai valori dell’insegnamento cattolico impartito» o che il profitto degli avvalentisi più convinti «potrebbe essere condizionato da dubbi teologici sui misteri della propria Fede».
Già solo alla luce di queste sommarie considerazioni risulta facile concludere che la sentenza 7076/09 è solo uno strumento di propaganda ideologica, visto che gli stessi giudici sono intervenuti inutilmente su anni scolastici conclusi e senza che gli interessati abbiano impugnato gli scrutini in cui si sarebbe verificata la supposta disparità di trattamento.
Sull’anno scolastico 2008-09 la sentenza non ha alcuna efficacia, sia perché l’anno è regolamentato dalla specifica OM 40/09 che finora non è stata annullata da alcuna ulteriore disposizione, sia perché è adesso in vigore il regolamento della valutazione (DPR 122/09) che riconosce all’Irc il ruolo di contribuire al credito scolastico.
Inoltre, non è difficile immaginare l’esito del ricorso annunciato dal ministro Gelmini al Consiglio di Stato (e non avrebbero dovuto far fatica ad immaginarlo neanche i giudici della sezione terza quater, visto che l’organo superiore si era già pronunciato in materia).
Ciononostante, la disputa ferragostana sull’Irc è risolta ma non dissolta, perché gli agguerriti ricorrenti non mancheranno di far partire nuovi attacchi alla normativa oggi contenuta nel DPR 122/09 (la Cgil ha da tempo annunciato ricorsi), quanto meno per via dell’incomprensibile distinzione – questa sì discriminante – che il Ministero ha voluto introdurre tra chi frequenta l’Irc e chi frequenta le attività alternative (art.
2, c.
5, e art.
4, c.
1).
D’altra parte, l’obiettivo era quello di riattizzare la polemica sull’Irc rilanciando argomenti e slogan privi di fondamento giuridico ma efficaci su un’opinione pubblica distratta e superficiale.
Come scriveva Beaumarchais: «Calunniate, calunniate.
Qualcosa resterà».
È il momento delle utilizzazioni
Con la firma del Contratto Collettivo Nazionale Integrativo (CCNI) sulle utilizzazioni e assegnazioni provvisorie lo scorso 26 giugno si è aperta per gli Idr di ruolo la fase delle utilizzazioni, che costituisce il momento più importante per la mobilità ordinaria di questo personale.
L’OM 36 del 23-3-2009 ha già provveduto a normare – come l’anno scorso – la mobilità interdiocesana, che però interessa un numero limitato di Idr.
Molti di più sono coloro che desiderano muoversi all’interno della propria diocesi per migliorare una sistemazione su più scuole o per avvicinarsi a casa.
Il CCNI del 26-6-2009 riprende in gran parte, con minime integrazioni, le disposizioni già fissate negli anni precedenti e ripropone alcuni dei problemi che già si erano posti in passato.
In primo luogo, può essere utile ricordare che gli Idr di ruolo sono titolari su un organico regionale, vincolato alla diocesi per via dell’idoneità.
Essi non sono quindi titolari sulla scuola ma sulla diocesi e sono assegnati alla sede scolastica mediante l’istituto dell’utilizzazione (che ordinariamente sarebbe un’operazione di durata annuale, ma che nel caso degli Idr diventa una sistemazione a tempo indeterminato).
Dato che l’utilizzazione è disposta d’intesa tra Ufficio scolastico regionale e autorità ecclesiastica, per ottenere un trasferimento gli Idr di ruolo devono fare domanda di utilizzazione in altra sede della medesima diocesi e contare sul consenso dell’ordinario diocesano.
La graduatoria prevista dall’art.
10, cc.
3-4, dell’OM 36/09 serve solo all’individuazione del personale in esubero a livello diocesano e quindi non deve essere utilizzata per individuare il soprannumerario nella singola scuola in caso di contrazione oraria.
Ci si potrebbe allora domandare a cosa serva questa graduatoria, citata anche dall’art.
1, c.
6 del CCNI in questione, visto che l’utilizzazione è comunque rimessa alla discrezionalità dell’intesa con l’autorità ecclesiastica; in risposta si può sostenere che essa abbia solo un valore orientativo per l’amministrazione scolastica che, in sede di intesa, deve comunque avere un proprio criterio da far valere per il raggiungimento di un accordo, fermo restando che la scelta dell’ordinario diocesano – se non palesemente irragionevole – non può essere contestata dall’amministrazione.
La principale novità del CCNI di quest’anno può essere l’art.
2, c.
5, che prevede la possibilità di completare l’orario nella scuola di titolarità per quegli Idr che subiscano una riduzione fino a un quinto dell’orario d’obbligo.
La norma, già introdotta lo scorso anno per la sola scuola secondaria, è stata estesa quest’anno anche alla scuola primaria e dell’infanzia, probabilmente per attutire gli effetti dei tagli di organico imposti dalle recenti misure finanziarie.
A prescindere dall’equivoco riferimento alla «scuola di titolarità», che per gli Idr può usarsi solo per analogia, non avendo essi una titolarità sulla scuola, va ricordato che lo scorso anno la disposizione aveva dato luogo a una nota di chiarimento (prot.
AOODGPER 12441 del 23-7-2008) in cui si precisava che «la possibilità di completare l’orario d’insegnamento deve intendersi riferita al territorio diocesano e al caso in cui, d’intesa con la competente autorità ecclesiastica, si verifichino per un numero limitato di insegnanti riduzioni d’orario non superiori ad un quinto dell’orario d’obbligo che non siano diversamente recuperabili mediante utilizzazione presso altre sedi scolastiche, nel rispetto delle quote di organico del personale di ruolo e non di ruolo e ai sensi della normativa vigente».
Al momento in cui scriviamo la precisazione non è stata reiterata, ma sembra evidente che debba valere anche nell’attuale situazione, riducendo perciò sensibilmente la possibilità di completare l’orario nella propria sede di servizio.
Del resto, è facile capire come una simile circostanza possa applicarsi in ogni scuola solo a pochi docenti delle altre materie, mentre – a parità di contrazione di organico – potrebbe interessare la quasi totalità degli Idr.
Sarebbe quindi improponibile un’applicazione letterale, ma la disposizione contribuirà lo stesso a risolvere qualche caso critico.
La circostanza consente di fare chiarezza anche su altri aspetti delle utilizzazioni che incidono sulla gestione degli organici degli Idr di ruolo e non di ruolo.
Un equivoco abbastanza diffuso è la pretesa disponibilità per gli Idr di ruolo dei posti affidati agli incaricati (30%).
In realtà, nella logica della legge 186/03 le due quote del 70% e del 30% vanno ugualmente salvaguardate, evitando di recuperare sull’una (il 30%) le eccedenze dell’altra: gli Idr incaricati non rappresentano una quota residuale dell’organico dell’Irc, ma ne costituiscono una parte incomprimibile, fatti salvi, ovviamente, gli arrotondamenti e i recuperi di eccedenze non diversamente compensabili.
Finché possibile, perciò, cioè fino alla concorrenza del tetto del 70% dell’organico diocesano complessivo, gli Idr di ruolo che dovessero perdere ore nella propria sede di servizio dovranno andare a completare il loro orario in altre scuole della diocesi.
Le domande di utilizzazione scadono per tutti gli Idr il 24 luglio, ma l’eventuale completamento orario all’interno della scuola in cui si è verificato l’esubero deve tenere conto dell’organico di fatto, quindi si tratterà di operazioni effettuabili solo successivamente.
L’Irc negli scrutini finali
Gli scrutini finali di questo anno scolastico si presentano come un gran pasticcio.
Il susseguirsi di annunci e smentite, regolamenti e circolari, ha creato un’incertezza tale che ne trarranno vantaggio solo gli avvocati per il gran numero di ricorsi che potranno promuovere.
Il regolamento della valutazione, che sarebbe dovuto uscire già da tempo, ha avuto un iter più lento del previsto e potrà entrare in vigore solo a scrutini ultimati.
Si sono quindi rese necessarie le CCMM 50 e 51 del 20-5-2009, che hanno riepilogato la normativa vigente nella fase transitoria in cui è già in vigore la legge 169/08 (che ha reintrodotto il voto numerico nel primo ciclo e ha inserito la valutazione del comportamento tra i fattori determinanti per la promozione) ma non è ancora in vigore il regolamento che doveva stabilire ulteriori modalità applicative della nuova normativa.
In questa fase di transizione, per esempio, nell’esame di primo ciclo non potrà far media il voto di idoneità con cui lo studente è ammesso all’esame, ma farà media per l’ammissione il voto di comportamento.
Sull’Irc le circolari citate tacciono nella maniera più assoluta, e questo silenzio può solo accrescere l’incertezza maturata nel corso dell’anno.
L’ultimo riferimento normativo è la CM 10 del 23-1-2009, che in maniera un po’ criptica si limitava a ricordare l’applicazione delle «specifiche norme vigenti» per l’Irc.
Il nodo è, come sempre, l’uso del voto numerico, ma si è posto da più parti anche il caso del peso complessivo che deve avere l’Irc nel determinare l’ammissione alla classe successiva o all’esame.
Nella confusione generale sono infatti venuti meno anche quei pochi punti di riferimento che finora erano dati dalle «specifiche norme vigenti».
Vediamo allora di riepilogare il quadro normativo.
La CM 50/09 ricorda come dalla legge 169/08 discenda la promozione solo in presenza di un voto non inferiore a sei decimi in ogni disciplina di studio.
Deve rientrare tra queste anche l’Irc o l’Irc non è una disciplina di studio? È chiaro che, dovendosi applicare la normativa previgente, l’Irc deve esprimersi con un giudizio che, quand’anche di insufficienza, non può essere immediatamente considerato «inferiore a sei decimi».
Ma ciò non vuol dire che l’Irc sia stato escluso dal novero delle discipline di studio o che la sua valutazione sia del tutto ininfluente in sede di scrutinio finale (anche se il fatto di non poter essere compreso nella “media” lo rende irrilevante agli occhi di molti studenti e anche di qualche insegnante).
Per capire come stanno le cose occorre distinguere tra l’insegnamento e l’insegnante: il primo è oggetto di specifiche restrizioni, il secondo fa «parte della componente docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri insegnanti» (Intesa, 2.7).
Se è vero che l’Irc non partecipa alla media dei voti e viene valutato mediante giudizi verbali, è tuttavia altrettanto vero che l’Idr partecipa agli scrutini periodici e finali, come ricorda anche la CM 51/09 per quanto riguarda l’ammissione all’esame di primo ciclo (assicurando peraltro un’identica posizione agli insegnanti di attività alternative, invece esclusi dal regolamento non ancora in vigore).
Vale qui il controverso testo dell’Intesa-bis del 1990, che aveva introdotto specifiche disposizioni proprio relative allo scrutinio finale, quando, «nel caso in cui la normativa statale richieda una deliberazione da adottarsi a maggioranza, il voto espresso dall’insegnante di religione cattolica, se determinante, diviene un giudizio motivato iscritto a verbale».
A seguito di numerosi ricorsi amministrativi che avevano tentato di negare valore determinante al voto dell’Idr nello scrutinio finale, si è affermato un orientamento giurisprudenziale che invece riconosce all’Idr piena partecipazione alla determinazione della maggioranza deliberante, con l’unico onere di dover motivare il proprio voto nel verbale.
La prima sentenza in tal senso è del 1994 da parte del Tar di Puglia (sez.
Lecce); dieci anni dopo si è pronunciato definitivamente anche il Consiglio di Stato (sez.
VI, ord.
5822 del 3-12-2004), riconoscendo che il voto dell’Idr non può perdere la sua rilevanza ai fini della valutazione finale.
Quindi ormai è chiaro che il voto dell’Idr non va scorporato, pena l’invalidazione dello scrutinio e delle sue decisioni.
In un certo senso possiamo dire che, mentre l’Irc è diverso dalle altre materie in sede di valutazione finale, l’Idr è uguale agli altri docenti ed è pienamente determinante per l’esito dello scrutinio, a prescindere dal fatto che la sua valutazione sia espressa con un voto o un giudizio.
L’equivoco sta tutto nell’uso dei numeri al posto dei giudizi: con i numeri si possono fare operazioni che con i giudizi non sono possibili.
È stato enfatizzato a sproposito il valore della “media”, riducendo un’operazione complessa come la valutazione a un semplice calcolo aritmetico.
Ma l’esito di un anno scolastico non è il risultato di un calcolo aritmetico; è l’effetto di una decisione collegiale che precede la traduzione numerica del profitto.
L’uso dei voti favorisce questi equivoci, ma almeno gli Idr dovrebbero essere consapevoli del proprio ruolo in sede valutativa e non accettare semplificazioni improprie.
Irc e regolamento della valutazione
L’anno scolastico è ormai in dirittura d’arrivo ma non si vede all’orizzonte il regolamento della valutazione che dovrebbe fornire indispensabili istruzioni per lo svolgimento degli scrutini finali.
Il 13 marzo scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato in prima lettura uno schema di regolamento che è stato trasmesso al Consiglio di Stato per il prescritto parere e che deve poi essere approvato definitivamente in seconda lettura dal Consiglio dei Ministri per passare alla firma del Presidente della Repubblica e al visto della Corte dei Conti.
Se siamo ancora fermi alla seconda tappa (il Consiglio di Stato ha dato parere favorevole lo scorso 8 maggio), appare difficile che il sospirato regolamento possa arrivare in tempo per gli scrutini finali.
Per certi aspetti, il regolamento potrebbe anche essere inutile, dato che la legge 169/08 ne ha prevista l’emanazione per il solo «coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni» (art.
3.5): se le norme sono già vigenti, anche senza regolamento potranno e dovranno essere applicate.
Ma la legge attribuisce al regolamento anche il compito di stabilire «eventuali ulteriori modalità applicative del presente articolo».
È in questione, per esempio, la partecipazione del voto di comportamento alla media dei voti.
È in questione anche l’adozione del voto numerico per l’Irc.
Come è noto, rispetto alla prima versione, che dedicava alla valutazione dell’Irc un intero articolo, lo schema attualmente in esame riserva all’Irc solo un comma, ripetuto una volta per il primo e una volta per il secondo ciclo di istruzione (artt.
2.4 e 4.3).
Questo il testo: «La valutazione dell’insegnamento della religione cattolica resta disciplinata dall’articolo 309 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n.
297, ed è comunque espressa senza attribuzione di voto numerico, fatte salve eventuali modifiche all’intesa di cui al punto 5 del Protocollo addizionale alla legge 25 marzo 1985, n.
121».
Il sintetico testo dice due sole cose: 1) la valutazione dell’Irc non può essere espressa con voto numerico; 2) la situazione potrebbe cambiare con una modifica all’Intesa Cei-Mpi del 1985.
Sul primo punto è ineccepibile che l’art.
309 del Testo Unico di legislazione scolastica sia in vigore e quindi costituisca un riferimento vincolante.
Ma è ugualmente in vigore anche l’art.
304 del Testo Unico, che esclude il voto di educazione fisica dalla media per l’ammissione agli esami, e questo articolo viene espressamente abrogato dallo schema di regolamento, dato che solo ora ci si è accorti della sopravvivenza di una norma contraddetta da una prassi generalizzata e da specifiche disposizioni ministeriali circa il conteggio del voto di educazione fisica nella media per la definizione del credito scolastico negli esami di stato di scuola superiore.
Se il regolamento può abrogare l’art.
304 (la cosa è tecnicamente discutibile, ma il Consiglio di Stato non ha fatto obiezioni), perché allora non abrogare anche l’art.
309? La giustificazione sarebbe fornita dalla ratio della legge 169/08, che prevede l’uso del voto numerico per «la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite», senza alcuna limitazione o esclusione.
Sarebbe perciò coerente intervenire anche sull’art.
309 per evitare una disparità di trattamento che potrebbe essere letta come una di quelle forme di discriminazione, escluse proprio dal Concordato.
La restrizione applicata al solo Irc vorrebbe essere giustificata con la riserva contenuta nella seconda parte del comma citato, che invoca la natura concordataria delle modalità valutative dell’Irc.
Ma proprio l’Intesa, nell’affrontare incidentalmente la materia valutativa (punto 2.7), mantiene «fermo quanto previsto dalla normativa statale in ordine al profitto e alla valutazione per tale insegnamento».
La valutazione dell’Irc non è quindi materia pattizia e il riferimento all’Intesa contenuto nello schema di regolamento è semplicemente un errore o un goffo tentativo di spostare altrove la responsabilità di una decisione probabilmente imbarazzante.
L’iter del regolamento è tale che, se anche dovesse riuscire a completare il suo percorso e comparire in Gazzetta Ufficiale prima degli scrutini di giugno, per l’Irc rimarranno comunque le incomprensibili disposizioni che fin dal 1930 escludono per esso la possibilità di ricorrere al voto numerico.
Ma il caso non può risolversi definitivamente così e la competenza a decidere spetta al Ministero.
Sarebbe assai strano che lo Stato volesse rinunciare ad una sua specifica prerogativa trasformando in pattizio un argomento che è unicamente attribuito alla sua decisione.
C’è chi potrebbe parlare di ferita alla laicità dello Stato.
E proprio il livello concordatario potrebbe rivelarsi un boomerang, dopo che la Cei ha fatto conoscere il proprio gradimento ad una soluzione uniforme che integri la valutazione dell’Irc nelle modalità previste per le altre discipline.
Anche se la sede più propria era il regolamento della valutazione, ancora altri regolamenti attendono di essere emanati: per esempio c’è quello per il secondo ciclo, che è stato momentaneamente accantonato per lo slittamento di un anno nell’attuazione della riforma, ma il 2010 è vicino e questo potrebbe comunque essere l’ultimo anno in cui l’Irc sarà ancora valutato mediante giudizi.
P.S.: I guai per lo schema di regolamento non finiscono qui.
Sempre in relazione all’Irc c’è la questione della valutazione delle attività alternative, che sono state inopinatamente declassate a contributo di valore solo consultivo in sede di scrutinio, contro le disposizioni ministeriali che fin dal 1987 (CM 136) avevano attribuito all’insegnante che le curava gli stessi diritti e doveri degli Idr «anche ai fini della partecipazione a pieno titolo ai lavori di tutti gli organi collegiali della scuola, ivi comprese le operazioni relative alla valutazione periodica e finale».
Si può obiettare che una circolare non è una legge, ma la disparità di trattamento è evidente e qualche avvocato sta già scrivendo il ricorso.
Irc e insegnante di classe nella primaria
UNITÀ 3 UN VOLTO PER DIO Schema Per introdurci 1.
l’esperienza Elaborazione. Battiato: E ti vengo a cercare – integrazioni degli Autori Venditti: Stella – integrazioni dei collaboratori OF 2.
L’interpretazione Cielo: Eliade Notte stellata: Van Gog – integrazioni degli Autori megaliti di Stonehenge – integrazioni dei collaboratori 3.
suggestioni per un progetto Vado in cerca di Dio: Slamo 42 Per un bilancio – integrazioni degli Autori Salmo 92: Il Signore rende stabile il mondo – integrazioni dei collaboratori 4.
Integrazioni proposte nel testo – integrazioni degli Autori – integrazioni dei collaboratori 5.
Osservazioni, suggerimenti, critiche all’elaborazione proposta Come è noto, nella scuola primaria l’Irc può essere impartito non solo dall’Idr specialista ma anche dall’insegnante di classe che si sia dichiarato disponibile a farlo e sia stato riconosciuto idoneo dalla competente autorità ecclesiastica.
Si tratta di un residuo della riforma Gentile, che aveva introdotto, ancor prima del Concordato del 1929, l’insegnamento di religione nelle scuole elementari affidandolo ordinariamente all’insegnante della classe.
Quella prassi è stata conservata anche dal nuovo Concordato, sia per continuità con il vecchio regime, sia per fronteggiare in prima applicazione la richiesta di Idr specialisti qualificati.
Col tempo l’affidamento dell’Irc all’insegnante di classe si è rivelato sempre più residuale, soprattutto da quando l’abolizione dell’istituto magistrale negli anni Novanta ha fatto mancare il corso di studi che – almeno formalmente – preparava i futuri maestri anche all’Irc attraverso un doppio orario di insegnamento motivato proprio dall’esigenza di fornire anche le competenze didattiche per insegnare religione.
È evidente che, al di là di lodevoli eccezioni, l’Idr specialista risulta formato in maniera più specifica e completa rispetto all’insegnante di classe, anche se l’attribuzione dell’Irc a chi insegna altre materie può evitare varie forme di emarginazione della disciplina.
D’altra parte va anche riconosciuto che affidare l’Irc a un insegnante comune sottopone al rischio di veder ridurre talvolta l’orario di Irc per via dell’urgenza di altre materie “più importanti”.
Per questi motivi e per una generica apertura alla presenza di altri insegnanti nella scuola, si era quindi diffusa la prassi di non dare la propria disponibilità all’Irc (in soli venti anni si è passati da zero a oltre il 70% di ore di Irc coperte da Idr specialisti nella primaria e da zero a oltre l’85% nella scuola dell’infanzia).
Ma negli ultimi mesi i provvedimenti ministeriali sull’organico del personale hanno prodotto una rapida inversione di tendenza.
Per un’equivoca interpretazione di quelle disposizioni tantissimi insegnanti di scuola primaria hanno fornito nuovamente la loro disponibilità all’Irc presumendo di poter rientrare automaticamente in questo servizio in virtù dell’idoneità ricevuta anni prima e mai revocata.
Tuttavia le cose non sono così semplici e si è creata parecchia confusione sull’argomento.
Alcuni hanno ritenuto che le ore di Irc fossero determinanti per la definizione dell’organico, temendo di poter andare in esubero proprio per via della mancata disponibilità all’Irc (ogni undici insegnanti non disponibili all’Irc si costituisce un posto di insegnamento che poteva essere tagliato).
Ma la CM 38 del 2 aprile scorso sugli organici ha rassicurato tutti chiarendo che l’organico è calcolato come se ogni docente insegni anche religione, a prescindere dalla sua effettiva condizione; quindi l’indisponibilità all’Irc, anziché sottrarre ore, crea nuova disponibilità per la scuola, perché le ore così avanzate potranno servire ad ampliare l’offerta formativa.
È a questo punto che intervengono altre preoccupazioni, di meno nobile natura.
Rassicurati sul fronte degli organici, gli insegnanti preferirebbero comunque tornare all’Irc per non dover completare il proprio orario di servizio in altre classi.
Ma si è già detto che il ritorno non è un diritto automatico e non è privo di effetti sui controinteressati, cioè gli Idr specialisti che finora hanno assicurato il servizio.
In primo luogo va ricordato che non c’è alcuna norma che stabilisca la precedenza dell’insegnante di classe sullo specialista (anzi, la CM 374/98 esplicitamente si appellava al principio della continuità didattica per limitare il rientro del docente comune nell’Irc solo all’inizio di un ciclo didattico e non anche nelle classi intermedie).
In secondo luogo va ricordato che l’idoneità a suo tempo ricevuta (dal 1990 l’idoneità è rilasciata a tempo indeterminato) non è un certificato che non perda mai di validità.
Proprio perché soggetta a revoca, essa attesta una relazione di fiducia e di appartenenza ecclesiale che può naturalmente evolversi nel tempo.
È quindi legittimo e necessario che gli ordinari diocesani verifichino, nelle forme ritenute più opportune ed efficaci, il sussistere delle condizioni che hanno consentito il primo riconoscimento di idoneità.
Gli insegnanti di classe dovevano dare la propria disponibilità entro lo scorso 15 marzo.
Di fronte a numeri talora cospicui di richieste, alcune diocesi stanno correndo ai ripari predisponendo una serie di accertamenti nei confronti dei richiedenti, con i quali è mancato negli ultimi anni quel rapporto di comunicazione che invece è stato presente con gli Idr specialisti, i quali normalmente partecipano a tutte le iniziative di formazione e animazione promosse periodicamente dalla diocesi.
Senza voler fare un processo alle intenzioni (ma con la consapevolezza che il sospetto nei confronti degli insegnanti nuovamente disponibili all’Irc è legittimo quanto meno per l’insolita quantità di richieste), è dovere dell’ordinario diocesano tutelare prima di tutto la qualità dell’Irc; ed è fuori di dubbio che un Idr specialista possieda titoli di studio e continuità nel servizio tali da assicurare quella qualità.
È altresì evidente che la formazione iniziale richiesta agli insegnanti di classe sia del tutto sproporzionata rispetto a quella degli specialisti (poche ore di Irc nel corso degli studi magistrali rispetto alla prassi più diffusa di un diploma almeno triennale di scienze religiose) e quindi sembra opportuno cercare di innalzare il livello di preparazione di chi insegna religione, pretendendo per esempio la frequenza di corsi di formazione lunghi e impegnativi.
Infine, non va trascurata la guerra tra poveri che così si è venuta a creare.
È ormai assodato che l’Idr specialista non è un supplente dell’insegnante di classe ed oggi è spesso anche di ruolo; quindi non può essere scalzato da un altro insegnante solo sulla base di una sua improvvisa dichiarazione.
Anzi, dovrebbe essere preoccupazione della stessa amministrazione scolastica non creare occasioni di esubero che andrebbero ad aggiungersi a quelle già determinate dai tagli generalizzati di personale.
Quindi, gli Idr specialisti non devono preoccuparsi per la loro sorte nel prossimo anno scolastico e potranno trovare negli interessi distinti ma convergenti dell’ordinario diocesano e dell’amministrazione scolastica la migliore garanzia per il loro futuro.
L’ordinanza sulla mobilità degli insegnanti di religione
È stata appena pubblicata l’OM 36 del 23 marzo 2009 sulla mobilità degli Idr di ruolo (vedi il pdf allegato) che regola trasferimenti e passaggi di ruolo per il prossimo anno scolastico 2009-10.
L’ordinanza relativa alla mobilità degli altri insegnanti era uscita il 13 febbraio scorso, dopo che il relativo Contratto Nazionale Integrativo era stato sottoscritto il giorno prima, in sensibile ritardo rispetto all’anno precedente, come era peraltro prevedibile per le novità organizzative e ordinamentali introdotte dal ministro Gelmini che hanno determinato lo slittamento di molte altre operazioni, a cominciare dalle iscrizioni degli alunni.
Rispetto al testo dell’anno scorso, che costituiva il primo esperimento di una procedura di mobilità applicata agli Idr, le novità sono minime, segno che la prima esperienza è andata bene e si sono potute confermare le istruzioni precedenti, integrando nel testo dell’OM solo alcuni chiarimenti che lo scorso anno erano stati forniti in successive note.
Si può quindi sperare che stavolta tutto possa procedere con maggiore tranquillità, visto che si tratta di procedure che vanno a stabilizzarsi.
Ricordiamo che l’OM 36/09 riguarda solo la mobilità interdiocesana e quella professionale, dato che i trasferimenti all’interno della stessa diocesi (che sono certamente la maggior parte) sono regolati dalla distinta ordinanza sulle utilizzazioni e assegnazioni provvisorie che esce di solito nel mese di giugno.
Coloro che intendono spostarsi in un’altra diocesi devono ovviamente possedere il riconoscimento di idoneità da parte del vescovo della/e diocesi di destinazione e possono solo indicare sinteticamente la/le diocesi desiderata/e, poiché l’assegnazione alla singola scuola o ad un comune del territorio diocesano è oggetto della specifica intesa che gli ordinari diocesani dovranno raggiungere con il direttore dell’Ufficio scolastico regionale al termine di tutta la procedura.
Anche gli Idr che intendono far valere i titoli derivanti dall’applicazione della legge 104/92 per la tutela e l’assistenza di invalidi e disabili possono solo scegliere la diocesi e rimettersi poi alla discrezionalità del vescovo per ottenere una sistemazione adeguata alle loro necessità, confidando nella sensibilità e nel discernimento degli ordinari diocesani.
Questo aspetto suscita probabilmente il malumore di qualche Idr, che si attendeva dalla conquista del ruolo maggiore oggettività e automatismo nella gestione del personale, ma non si può dimenticare che la “nomina d’intesa” è requisito concordatario che deve presiedere alla gestione degli Idr per tutta la durata della loro attività scolastica, quindi deve accompagnare anche tutte le operazioni di mobilità oltre all’assunzione iniziale.
Diversamente l’autorità ecclesiastica perderebbe con l’andare del tempo una delle sue specifiche prerogative.
Il caso della mobilità professionale, cioè il passaggio da un ruolo all’altro dell’Irc (dalla primaria alla secondaria o viceversa), è piuttosto limitato poiché gli aspiranti devono: 1) essere in possesso dei titoli per insegnare religione anche nel settore formativo richiesto, 2) essere in possesso dell’idoneità ecclesiastica anche per il settore formativo richiesto, 3) aver superato a suo tempo entrambi i concorsi.
Soprattutto quest’ultima condizione (limitata a pochi casi in Italia) dovrebbe ridurre di molto le richieste di mobilità professionale.
Le principali scadenze delle operazioni di mobilità, nonostante la recente emanazione della legge 14/09 (decreto milleproroghe) che ha spostato al 31 agosto la nomina del personale di ruolo e supplente annuale, ricalcano quelle dello scorso anno e sono riassumibili come segue: – presentazione delle domande dal 30 marzo al 28 aprile – invio delle domande all’USR entro l’8 maggio – attribuzione e notifica del punteggio entro il 4 giugno – revoca delle domande entro il 15 giugno – pubblicazione della graduatoria entro il 22 giugno – pubblicazione dei movimenti entro il 30 giugno – intesa per l’utilizzazione entro il 31 luglio Le scadenze sono diverse da quelle del restante personale docente in quanto le domande degli Idr non partecipano ai movimenti ordinari degli altri insegnanti e sono gestite manualmente dalle singole scuole e dagli Uffici scolastici regionali; il loro numero è infatti piuttosto ridotto e consente una gestione separata in tempi ragionevolmente brevi.
Il tempo a disposizione per la presentazione delle domande è sempre di trenta giorni, ma la decorrenza non coincide con la pubblicazione dell’ordinanza.
Lo scorso anno l’ordinanza era stata pubblicata molto prima dell’inizio dei termini di presentazione per concedere un po’ di tempo in più agli Idr che devono procurarsi l’idoneità presso una diocesi diversa da quella in cui prestano servizio.
Quest’anno l’OM 36 è stata pubblicata quasi a ridosso delle scadenze previste, ma si presume che le procedure si vadano stabilizzando e quindi gli interessati dovrebbero aver avviato con anticipo le operazioni connesse al proprio trasferimento.
Vedremo se nei prossimi anni sarà possibile superare il trattamento separato degli Idr in una distinta ordinanza sulla loro mobilità e si riuscirà ad integrare la loro gestione in un’unica ordinanza comune, così come comune è il Contratto Integrativo che prevede solo un articolo specifico per gli Idr.
Ma le peculiarità di cui tenere conto sono forse troppe.
Parte la sperimentazione di Cittadinanza e Costituzione
Portano la data del 4 marzo 2009 le Linee di indirizzo per la sperimentazione dell’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione” (vedi il pdf allegato), emanate dal ministro Gelmini in attuazione dell’art.
1 della legge 169/08 che prevedeva l’introduzione di questo nuovo insegnamento.
Per certi aspetti si potrebbe dire che la montagna ha partorito il topolino, dato che la massiccia campagna mediatica promossa su questa integrazione dei curricoli scolastici (l’unica novità su cui si sia registrato un consenso trasversale tra tutte le forze politiche, nell’opinione pubblica e all’interno del mondo della scuola) lasciava intendere una proposta forte per la nuova disciplina; invece le linee di indirizzo deludono un po’ le attese, ma sono coerenti con il dettato della legge 169/08.
In essa infatti si prevedeva di attivare, fin dal corrente anno scolastico 2008-09, «azioni di sensibilizzazione e di formazione del personale finalizzate all’acquisizione … delle conoscenze e delle competenze relative a “Cittadinanza e Costituzione”».
Accanto ad esse doveva essere inoltre avviata una specifica sperimentazione nazionale.
Sugli organi di informazione invece si era parlato molto di questo nuovo insegnamento soprattutto quale appariva nel primo disegno di legge del 1-8-2008, che prevedeva una nuova «disciplina … oggetto di specifica valutazione».
La proposta era stata poi acquisita nella forma più debole della sperimentazione e sensibilizzazione dal decreto Gelmini, senza però perdere l’iniziale vis educativa, e la prospettiva che si andava delineando era quella di un vera e propria nuova materia scolastica.
L’appuntamento sembra solo rinviato e per ora ci si deve accontentare della fase interlocutoria di sensibilizzazione e sperimentazione che, avviata peraltro a soli tre mesi dalla fine dell’anno scolastico che doveva vederne il decollo, rischia di rimanere solo una pia dichiarazione d’intenti.
Del resto, è nel regolamento del primo ciclo (ormai in dirittura d’arrivo) che troviamo precise indicazioni in materia; e il regolamento andrà in vigore solo col prossimo anno scolastico.
Le Linee di indirizzo propongono quindi un’ampia ricostruzione storica e ideale delle vicende e delle motivazioni che hanno condotto a elaborare l’attuale progetto, chiedendo alle scuole di concorrere a meglio definirne la fisionomia, «in vista di un più maturo assetto ordinamentale della materia».
Dei limiti della vecchia educazione civica sembra superato solo il ridotto carico orario, dato che dalle due ore mensili previste dal Dpr 585/58 si passa a un’ora settimanale; ma per il resto, finché non si avrà una distinta valutazione, sembra difficile immaginare un’incidenza reale per una disciplina non ancora autonoma ma agganciata in forma subordinata all’area storico-geografica o storico-sociale.
È interessante notare lo spazio dedicato dalle Linee di indirizzo alla rafforzata valutazione del comportamento, per sottolineare come entrambe le novità della legge 169/08 intendano rispondere all’esigenza di restituire alla scuola quel compito più globalmente educativo che ultimamente sembrava aver perduto.
Proprio questa attenzione educativa può giustificare l’interesse dello stesso Irc per innovazioni che vanno ad incidere sull’area valoriale dei curricoli scolastici, finora lasciata piuttosto sguarnita e appannaggio quasi esclusivo dell’Idr.
È altresì noto che in Spagna la recente introduzione di un’analoga “Educazione alla cittadinanza” ha suscitato le vivaci proteste della Chiesa cattolica per il sospetto che si voglia fare concorrenza all’Irc attraverso l’insegnamento di una sorta di religione civile nutrita di laicismo ed espressione di uno stato etico.
Un rischio del genere ci sembra da escludere in Italia, non tanto per la diversa provenienza politica della proposta, quanto per la natura dell’insegnamento, che non si ferma alla sola cittadinanza (che presa da sola potrebbe essere equivocamente interpretata come conoscenza e condivisione forzata del sistema etico-giuridico nazionale) ma si arricchisce del fondamentale riferimento alla Costituzione.
Un paragrafo delle Linee di indirizzo è significativamente intitolato “Educare alla cittadinanza secondo Costituzione, in contesti multiculturali”, lasciando intendere che la natura della cittadinanza non possa essere separata dal riferimento fondante alla Costituzione, i cui principi generali sono senz’altro condivisibili e condivisi al di là degli schieramenti ideologici e costituiscono il correttivo di usi strumentali di un concetto unilaterale di cittadinanza (che peraltro va oggi coniugato in prospettiva multiculturale).
La Costituzione è infatti definita «non solo il documento fondativo della democrazia nel nostro Paese, ma anche un “mappa valoriale” utile alla costruzione della propria identità personale, locale, nazionale e umana».
Per ogni ordine e grado di scuola, dall’infanzia alla secondaria di II grado, sono individuati obiettivi di apprendimento e situazioni di compito per la certificazione delle competenze personali.
Queste ultime sono articolate ad ogni livello in quattro distinte aree, che già danno un’idea chiara dei punti di riferimento e dei possibili sviluppi: dignità umana, identità e appartenenza, alterità e relazione, partecipazione.
Spetterà ora alle scuole convalidare o emendare questa proposta per trasformarla in una vera e propria nuova disciplina d’insegnamento.
Tempo di iscrizioni
La CM n.
4 del 15 gennaio 2009 fornisce istruzioni per le iscrizioni alle scuole di ogni ordine e grado nel prossimo anno scolastico 2009-10.
Come è noto, la scadenza per queste operazioni era stata spostata in avanti, al 28 febbraio, da una nota ministeriale del 4 dicembre scorso, quando ancora si pensava di poter avviare la riforma del secondo ciclo nel prossimo anno scolastico e quindi si concedeva una proroga per far meglio circolare le informazioni relative al nuovo secondo ciclo.
La riforma è slittata (per il secondo ciclo) ma la proroga è rimasta e si è rivelata utile anche per il primo ciclo, dove sono comunque molte le novità.
Il prossimo anno scolastico recepirà infatti i cambiamenti introdotti dalle ultime disposizioni di legge, tra cui il cosiddetto maestro unico, l’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione, il ridimensionamento degli organici, gli anticipi nell’iscrizione alla scuola primaria e dell’infanzia.
Proprio per questi motivi la circolare è stata oggetto di ricorsi da parte di associazioni e sindacati che contestano l’inserimento di materie non ancora formalmente definite sul piano normativo (i regolamenti sul primo ciclo e sulla rete scolastica devono ancora uscire e se ne conosce solo una versione provvisoria).
Tuttavia il Ministero ha ritenuto di poter anticipare le istruzioni necessarie, nella previsione dell’entrata in vigore dei regolamenti in tempo utile per l’avvio del nuovo anno, al quale occorre iscriversi con largo anticipo.
La scadenza delle iscrizioni è un passaggio importante anche per l’Irc, dato che il Concordato del 1984 prevede che la scelta se avvalersi o non avvalersi di questo insegnamento debba essere compiuta proprio all’atto dell’iscrizione.
L’Intesa del 1985 ha poi aggiunto che si deve intendere l’iscrizione non d’ufficio, poiché, per ovvie ragioni di continuità, la scelta operata all’inizio di un ciclo produce i suoi effetti fino al termine del corso, anche se è possibile modificarla ogni anno.
In effetti, in relazione alla scelta dell’Irc si registrano ancora irregolarità dovute alla richiesta ripetuta di operare una scelta non dovuta, alla accettazione di domande al di fuori dei termini previsti, alla contestuale scelta sull’Irc e sull’attività alternativa: tutte procedure irregolari che però, in buona o cattiva fede, le scuole continuano a praticare.
In relazione all’Irc la CM 4 contiene uno specifico paragrafo che ripete sostanzialmente le istruzioni già presenti nella circolare dell’anno precedente.
Basta rispettare scrupolosamente queste indicazioni per evitare errori o irregolarità.
Riepiloghiamo perciò quanto dice la circolare: 1. la scelta sull’Irc va fatta all’atto dell’iscrizione non d’ufficio su richiesta della scuola, utilizzando l’apposito modulo D; 2. la scelta compiuta al primo anno di ciascun ciclo può essere modificata ogni anno, entro la stessa scadenza (28 febbraio), ma su iniziativa degli interessati e non su richiesta della scuola; 3. la scelta è compiuta dai genitori nelle scuole dell’infanzia e del primo ciclo, dagli studenti (anche se minorenni) nel secondo ciclo; 4. per coloro che non si sono avvalsi dell’Irc la scelta delle attività alternative va compiuta ogni anno all’inizio delle lezioni (settembre) mediante l’apposito modulo E; 5. la scelta delle attività alternative comprende quattro opzioni (attività didattica, studio individuale assistito, studio individuale non assistito, uscita da scuola) e vale per l’intero anno.
Qualche equivoco è sorto a causa della dizione impropria usata dalla CM 4 nel paragrafo dedicato agli istituti comprensivi, dove si dice che nel passaggio dalla scuola primaria alla secondaria di I grado l’iscrizione «è disposta d’ufficio, fatto salvo, ovviamente, il diritto di scelta delle famiglie relativamente all’Irc e al modello di tempo scuola».
È evidente la contraddizione con quanto invece disposto nello specifico paragrafo sull’Irc, dato che, se l’iscrizione è d’ufficio, non deve essere rinnovata la scelta sull’Irc.
Negli istituti comprensivi si tende a considerare d’ufficio anche il passaggio da un ordine all’altro di scuola, ma è sempre possibile cambiare istituto, nel qual caso l’iscrizione non è più d’ufficio e va ripetuta la scelta sull’Irc.
D’altra parte, chi non frequenta istituti comprensivi deve comunque effettuare tutta la procedura d’iscrizione (compresa la scelta sull’Irc) nel passaggio alla secondaria di I grado.
Quindi, ciò che rimane, pur nel quadro di una iscrizione d’ufficio, è solo la facoltà dei genitori di modificare la scelta compiuta all’inizio del ciclo primario.