La CM n. 18 del 25 febbraio 2011 ha diramato istruzioni sull’adozione dei libri di testo per il prossimo anno scolastico 2011-12.
Nel confermare quanto già era stato stabilito negli anni precedenti con la CM 16/09 e la CM 23/10, l’attuale circolare aggiunge solo alcune precisazioni, su cui conviene soffermarsi, anche perché in parte dedicate proprio all’Irc.
Come è noto, la legge 133/08, art. 15, ha stabilito che dal 2011-12 potranno essere adottati solo libri di testo scaricabili da internet o in versione mista, cartacea ed elettronica.
La legge 169/08, art. 5, ha poi aggiunto che i libri devono essere adottati per almeno un quinquennio nella scuola primaria e per almeno un sessennio nella secondaria.
Ciò che preoccupa gli insegnanti è soprattutto il vincolo di adozione pluriennale, dato che sulla versione elettronica si sono mobilitate le case editrici che ormai propongono quasi esclusivamente testi in versione mista.
Il vincolo pluriennale, invece, ricade sulle spalle degli insegnanti come una limitazione talvolta insopportabile, dato che il libro di testo rimane ancora il principale sussidio didattico per ogni docente.
Come è stato ribadito da ultimo con la Nota ministeriale del 20-5-2009, prot.
5361, a seguito di uno specifico contenzioso amministrativo, nemmeno il trasferimento dell’insegnante può giustificare la modifica del testo adottato prima della scadenza prevista.
La legge 169/08 consente la deroga solo in presenza di «specifiche e motivate esigenze», che la successiva legge 167/09, art. 1-ter, ha precisato doversi connettere «con la modifica di ordinamenti scolastici ovvero con la scelta di testi in formato misto o scaricabili da internet».
Attualmente ci troviamo in presenza di una riforma ordinamentale, che ha interessato le scuole del secondo ciclo a partire proprio dal corrente anno scolastico, e quindi è possibile immaginare una deroga ai vincoli di adozione pluriennale.
La CM 18/11, infatti, chiarisce che proprio per via di questa circostanza «i collegi dei docenti, limitatamente alle adozioni per la prima classe della scuola secondaria di secondo grado, potranno valutare l’opportunità di confermare i testi già adottati ovvero di procedere a nuove adozioni», anche se il periodo di adozione non è ancora scaduto.
Specificamente per l’Irc, inoltre, la CM 18/11 ricorda che quest’anno sono entrate in vigore le Indicazioni per le scuole del primo ciclo (DPR 11-2-2010) e quindi si può giustificare la modifica dei libri di testo in adozione per l’Irc in tutte le classi del primo ciclo.
Ovviamente si tratta di una possibilità e non di un obbligo, anche perché il mercato editoriale ancora non ha proposto un sufficiente numero di libri in linea con le nuove Indicazioni e quindi gli Idr potranno decidere di rinviare l’aggiornamento dei loro libri di testo in attesa di una maggiore varietà di offerte.
La situazione si ripropone anche nelle scuole del secondo ciclo, dove sono entrate in vigore quest’anno le Indicazioni diffuse con la CM 70/10.
Licei, tecnici e professionali non sono espressamente citati a proposito dell’Irc, ma si deve ritenere che il loro caso possa rientrare nelle modifiche ordinamentali dell’intero secondo ciclo, cui si fa riferimento in maniera generale nella circolare.
Pertanto, tutti gli Idr potranno non tener conto dei vincoli di adozione, salvo diversa valutazione dettata da motivi di prudenza.
Nella CM 18/11 si richiama anche il rispetto dei tetti di spesa individuati per le scuole secondarie di primo e secondo grado.
In proposito capita che talvolta le scuole ricorrano a qualche misura artificiosa per rientrare nei limiti, escludendo alcuni libri o proponendoli solo come consigliati.
Si tratta di “trucchi” che spesso coinvolgono l’Irc, ma occorre affermare con chiarezza che nessuna disciplina può essere esclusa dall’adozione formale dei libri di testo.
La scusa della facoltatività dell’Irc non regge, poiché tutti gli studenti avvalentisi sarebbero in tal modo costretti a sfondare il tetto di spesa per potersi dotare dei necessari strumenti didattici.
Viceversa, contando anche l’Irc tra i libri di testo che devono rientrare nei limiti di spesa si realizza implicitamente un ulteriore risparmio per i non avvalentisi.
Categoria: Normativa
Il Tar su Irc e alternativa
Il Tar sulla valutazione di Irc e alternativa di Sergio Cicatelli Con le due sentenze n.
33433 e n.
33434, depositate lo scorso 15 novembre, il Tar del Lazio, sezione III bis, ha rigettato quasi integralmente due ricorsi paralleli promossi lo scorso anno contro tutte quelle parti del regolamento della valutazione, Dpr 122/09, che riconoscevano all’Irc una significativa incidenza sulla valutazione degli alunni.
I ricorsi, in larga parte simili, erano stati presentati separatamente dalle solite sigle che da anni promuovono azioni del genere e dalla Cgil, sull’onda della sentenza emessa pochi mesi prima dal medesimo Tar del Lazio, sezione III quater, n.
7076, contro l’ordinanza ministeriale che consentiva la partecipazione dell’Irc all’attribuzione del credito scolastico.
Il Tar del Lazio ha risposto con due sentenze ampiamente sovrapponibili, che si distinguono solo per la considerazione che viene dedicata in una delle due alle attività alternative.
Le posizioni assunte oggi dal Tar possono per certi aspetti risultare soddisfacenti, in quanto rigettano i ricorsi e quindi convalidano il quadro normativo vigente, ma introducono anche elementi di ulteriore incertezza per la reticenza con cui affrontano questioni decisive.
In particolare, mentre i ricorrenti lamentavano la condizione di partecipazione a pieno titolo dell’Idr alle operazioni di valutazione, il Tar argomenta che non si può parlare di partecipazione a pieno titolo per via dei numerosi vincoli alla valutazione dell’Irc, che vanno dalla scheda separata, al divieto di voto numerico, alla circostanza del voto determinante in sede di scrutinio.
Tutte queste limitazioni non consentirebbero di parlare di partecipazione a pieno titolo alla valutazione e quindi non giustificherebbero le doglianze dei ricorrenti.
Su questo aspetto il Tar evita di dare una interpretazione autentica della clausola sul voto determinante dell’Idr, limitandosi a ribadire la controversa formulazione del 1990, ma lasciando intendere che – proprio in quanto clausola aggiuntiva e limitativa – il ruolo dell’Idr ne uscirebbe almeno in parte ridimensionato, «non potendosi dubitare che il docente della religione cattolica, sotto lo specifico profilo dell’attività valutativa, non è assimilabile ai docenti delle materie curricolari».
In relazione allo specifico caso di contributo alla determinazione del credito scolastico, il Tar respinge la tesi che il contributo dell’Irc possa creare discriminazione, ma lo fa ancora una volta per via delle peculiarità della valutazione dell’Irc che impediscono – a suo parere – una effettiva incidenza dell’Idr sul credito.
Gli Idr infatti non possono essere privati dello status di docenti e quindi di procedere alla valutazione dei propri studenti, ma lo fanno in maniera limitata ai soli aspetti generici dell’interesse, impegno e assiduità, e non intervenendo con una valutazione di merito circa il profitto acquisito nella propria disciplina.
In altre parole, si salva l’insegnante condannando l’insegnamento: è falso che la presenza dell’Idr al momento di determinare il credito scolastico possa costituire motivo di discriminazione, ma sarebbe altrettanto falso che l’Idr possa determinare tale credito in maniera analoga a quella degli altri docenti, dovendosi distinguere tra lo status dell’Irc e quello delle altre discipline scolastiche: «Non è quindi rispondente una configurazione del credito scolastico sul quale può incidere in maniera significativa il giudizio del docente di religione cattolica; a parte l’obiettiva circostanza – non tenuta in considerazione – che, come ogni giudizio, esso non conduce necessariamente ad un esito di segno positivo».
Per il resto, valgono le considerazioni già svolte in merito dal Consiglio di Stato nella citata decisione n.
2749/10.
E proprio come nella decisione del Consiglio di Stato, il Tar conclude una delle due sentenze (quella in risposta alle associazioni anti-Irc) con alcuni rilievi circa le attività alternative, accogliendo su questo punto le eccezioni dei ricorrenti, che avevano lamentato la condizione discriminatoria in cui si troverebbero coloro che chiedono di frequentarle, dato che i loro insegnanti sono stati accreditati dal regolamento della valutazione di un solo parere consultivo in sede di scrutinio.
Pertanto, le parti del Dpr 122/09 che negano la partecipazione del docente di attività alternative alle operazioni di valutazione finale devono essere considerate illegittime.
Oltre a questa conclusione, che già pone il Ministero nella delicata condizione di dover emendare – come era fin dall’inizio prevedibile – il Dpr 122/09, il Tar sollecita anche un altro intervento normativo, chiedendo che proprio per la delicatezza del settore «il Ministero della Pubblica Istruzione dia mano ad una nota informativa, chiara e puntuale, sull’insegnamento della religione cattolica, diretta agli organi scolastici e alle famiglie degli studenti, sugli aspetti organizzativi e sui riflessi didattici di detto insegnamento, con un necessario riferimento ovviamente anche alle previste attività alternative all’insegnamento della religione cattolica».
In attesa di vedere se il Ministero vorrà accogliere l’invito del Tar, prepariamoci comunque a seguire un’altra puntata di questo interminabile contenzioso, dato che è già in calendario l’udienza di un ulteriore ricorso promosso dalle solite sigle ancora una volta in materia di credito scolastico.
La nuova scuola del primo ciclo
LA SCUOLA DELL’INFANZIA La scuola dell’infanzia è il “primo segmento del percorso di istruzione” nella vita di una persona.
Si rivolge a tutti i bambini italiani e stranieri di età compresa fra i tre e i cinque anni.
Ha durata triennale e non è obbligatoria.
I suoi obiettivi: “Concorre all’educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale dei bambini promuovendone le potenzialità di relazione, autonomia, creatività apprendimento, e ad assicurare un’effettiva eguaglianza delle opportunità educative”.
Nel rispetto della responsabilità educativa dei genitori, la scuola dell’infanzia contribuisce alla formazione integrale dei bambini e realizza la continuità educativa con la scuola primaria.
LA SCUOLA PRIMARIA La scuola primaria è il primo segmento di istruzione obbligatoria.
Segue la scuola dell’infanzia e precede la secondaria di primo grado.
Si svolge in cinque anni e fornisce al bambino non solo l’alfabetizzazione, ma anche gli strumenti per sviluppare le competenze di base.
Le materie insegnate sono italiano, inglese, storia, geografia, matematica, scienze, tecnologia e informatica, arte, musica, scienze motorie e religione cattolica (non obbligatoria).
LA SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO La scuola secondaria di primo grado è la “vecchia” scuola media.
Il nuovo nome è stato introdotto dalla riforma Morati, nel 2003.
dura tre anni e la frequenza è obbligatoria.
Rappresenta la chiusura del primo ciclo dell’istruzione, e si conclude con l’esame di Stato per la licenza: di fatto, l’unica prova sopravvissuta nella scuola dell’obbligo.
La licenza di terza media è il prerequisito fondamentale per iscriversi alla secondaria di secondo grado.
Rispetto alla scuola elementare, ci sono ovviamente differenze nella didattica: se prima l’attenzione era rivolta agli elementi base della conoscenza, ora i bambini vengono messi di fronte a un corpo di discipline più strutturato e approfondito.
Il numero di materie aumenta, insieme con quello dei docenti, che sono tutti specialisti nel proprio settore.
Alla media, inoltre, viene introdotto l’insegnamento della seconda lingua comunitaria.
Per la consultazione dell’intero documento: la nuova scuola primaria.pdf 296K
Privacy e Irc
Privacy e Irc di Sergio Cicatelli L’Autorità garante per la protezione dei dati personali ha pubblicato nella scorsa primavera un opuscolo intitolato La privacy tra i banchi di scuola in cui presenta in forma divulgativa le più comuni problematiche relative al trattamento dei dati personali nella scuola e al rispetto della privacy, spesso in conflitto con le altrettanto obbligatorie regole di trasparenza.
Il documento è scaricabile all’indirizzo web http://www.garanteprivacy.it/garante/document?ID=1721480.
Con l’inizio dell’anno scolastico il Garante ha rilanciato la pubblicità del suo vademecum e la stampa ha sottolineato che le scuole possono farne richiesta e utilizzare il documento per le proprie attività didattiche, in particolare per quelle legate all’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione.
Gli argomenti di interesse scolastico sono molti e su di essi spesso si accumulano pregiudizi e false interpretazioni che fanno usare la privacy come scudo o alibi per fare vero e proprio ostruzionismo nei confronti di comportamenti a vario titolo indesiderati: pubblicità delle valutazioni, informazioni ricavabili dai temi d’italiano, foto di classe, registrazione delle lezioni, sistemi di videosorveglianza, ecc.
Tra i dati sensibili che la legislazione sulla privacy tende a tutelare con particolare attenzione, accanto alle condizioni di salute, alle convinzioni politiche e alle abitudini sessuali, ci sono anche le convinzioni religiose, che la scuola può utilizzare ad esempio per organizzare i servizi di mensa (quando si tratta di rispettare tradizioni o divieti alimentari di origine religiosa).
Accanto a questi dati, che sono senz’altro rivelatori di un’appartenenza religiosa, il Garante pone però anche la scelta di avvalersi dell’Irc, dando di essa un’interpretazione semplicemente inaccettabile sul piano culturale oltre che illegittima da un punto di vista giuridico, facendo vacillare la fiducia che si dovrebbe riporre in una autorità di “garanzia”.
Scrive testualmente il Garante che «gli istituti scolastici possono utilizzare i dati sulle convinzioni religiose al fine di garantire la libertà di credo – che potrebbe richiedere ad esempio misure particolari per la gestione della mensa scolastica – e per la fruizione dell’insegnamento della religione cattolica o delle attività alternative a tale insegnamento» (p.
7).
Non solo si afferma che i dati sulle convinzioni religiose servono per la fruizione dell’Irc, ma addirittura anche delle attività alternative, rafforzando il carattere identitario di queste scelte che, in positivo, farebbero riconoscere i cattolici dal fatto di aver scelto l’Irc e, in negativo, i non cattolici per aver optato per le attività alternative.
È di tutta evidenza a chiunque frequenti le scuole (non solo durante le ore di Irc) che questa interpretazione è anche empiricamente falsa, in quanto sono numerosi i cattolici che preferiscono non avvalersi dell’Irc e, viceversa, i non cattolici che scelgono di avvalersene perché vi riconoscono una proposta culturale e formativa che prescinde da una personale adesione di fede.
Ma l’interpretazione del Garante è sbagliata anche in termini giuridici, dato che il Concordato del 1984 colloca inequivocabilmente l’Irc «nel quadro delle finalità della scuola» e dunque esclude che possa trattarsi di una pratica di fede o di una catechesi travestita.
D’altra parte, per una attività catechetica mancherebbero i presupposti teorici ed il contesto ecclesiale o comunitario.
Né vale il fatto che l’Idr sia fornito di idoneità ecclesiastica o che i programmi siano approvati dalla Cei: si tratta di garanzie di autenticità (dei contenuti insegnati e dell’affidabilità del docente) derivanti dalla mancanza di competenza dello Stato.
Semmai – ma il Garante non lo dice o non se ne è accorto – l’unico dato sensibile di cui la scuola è in possesso in relazione all’Irc è proprio il certificato di idoneità dell’Idr, che attesta inequivocabilmente l’appartenenza ecclesiale del docente, la quale non può rimanere nascosta perché coincide con la materia insegnata.
Ma il fatto di avere a che fare con un insegnante cattolico non vuol dire che anche gli alunni debbano essere cattolici.
Il Garante però insiste sulle sue posizioni e, a proposito del “Trattamento dei dati nelle istituzioni scolastiche private”, anziché parlare della possibile rivelazione dell’appartenenza confessionale derivante dalla frequenza di eventuali scuole di ispirazione religiosa, torna a insistere sul fatto che si possano «elaborare informazioni sulle convinzioni religiose degli studenti, al fine di permettere la scelta di avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica» (p.
9).
Con maggiore equilibrio, in passato, il Garante era intervenuto con propri comunicati per denunciare alcune «leggende metropolitane», per esempio in materia di valutazione, affermando che «non esiste alcun provvedimento del Garante che proibisce agli alunni di rendere nota la fede religiosa o che ostacola le soluzioni da tempo in atto per la partecipazione o meno degli alunni all’ora di religione» (comunicato stampa 3-12-2004).
E di nuovo il 14-6-2005 il Garante tornava sull’argomento ribadendo che «i dati relativi agli esiti scolastici, per quanto riferiti a minori, non sono dati sensibili, non riguardano cioè informazioni sullo stato di salute, le opinioni politiche, le appartenenze religiose, l’etnia o gli stili di vita, ma attengono esclusivamente al rendimento scolastico degli allievi».
Ora, se la valutazione dell’Irc non è rivelatrice della fede dell’alunno, non si vede come possa esserlo il fatto di aver scelto di avvalersi di quella disciplina.
A questo punto il Garante, oltre a sanare la contraddizione con i propri precedenti pronunciamenti, dovrebbe chiarire quale sia la reale portata della scelta di avvalersi dell’Irc, correggendo le sue ultime imprudenti affermazioni.
Ma ormai il danno è fatto: gli opuscoletti stanno andando in giro nelle scuole in migliaia di esemplari e veicoleranno la falsa interpretazione di un Irc confessionale non solo nei contenuti ma anche nella forma e nell’adesione personale richiesta.
L’eventuale smentita o rettifica, se anche dovesse arrivare, finirebbe in qualche comunicato di scarsa pubblicità.
E la campagna in atto da tempo per divulgare la falsa immagine dell’Irc come corpo estraneo all’interno della scuola proseguirebbe indisturbata.
Consiglio di Stato: l’Irc contribuisce al credito scolastico
Il significato della decisione del CdS non è solo nel risultato finale, che indubbiamente soddisfa le attese degli Idr, ma soprattutto nelle considerazioni di merito su cui i giudici ritengono opportuno dilungarsi con argomentazioni limpide e a nostro parere inoppugnabili, in cui si fa ampio ricorso alle posizioni a suo tempo espresse dalla Corte costituzionale, collocando perciò la questione in un quadro di riferimenti fondativi estremamente forte.
In primo luogo, infatti, il CdS dichiara che le ordinanze ministeriali impugnate si pongono all’interno del quadro giuridico delineato dalla giurisprudenza costituzionale e quindi sono assolutamente legittime.
Non esiste infatti alcun condizionamento o discriminazione per coloro che scelgono di non avvalersi dell’Irc trovandosi a non poter fruire dell’eventuale relativo punteggio nel credito scolastico.
Come infatti afferma la Corte costituzionale, «l’insegnamento della religione è facoltativo solo nel senso che di esso si ci può non avvalere, ma una volta esercitato il diritto di avvalersi diviene un insegnamento obbligatorio.
Nasce cioè l’obbligo scolastico di seguirlo, ed è allora ragionevole che il titolare di quell’insegnamento (a quel punto divenuto obbligatorio) possa partecipare alla valutazione sull’adempimento dell’obbligo scolastico.
Le stesse considerazioni valgono per gli insegnamento alternativi che, una volta scelti, diventano insegnamenti obbligatori».
All’opposto, lo studente che non si avvale né dell’Irc né delle attività alternative «non può certo pretendere di essere valutato per attività che, nell’esercizio di un diritto costituzionale, ha deciso di non svolgere, ma non può nemmeno pretendere che tali attività non siano valutabili a favore di altri che, nell’esercizio dello stesso diritto costituzionale, hanno deciso di svolgerle».
Una volta riconosciuto che in forza della scelta di avvalersi dell’Irc lo studente si sottopone all’obbligo di frequentarne le lezioni, «discende la necessità di valutare in senso positivo o negativo, come quell’obbligo scolastico sia stato adempiuto.
Non farlo rischierebbe di dare luogo ad una sorta di discriminazione alla rovescia, perché lo stato di “non obbligo” andrebbe ad estendersi anche a coloro che invece hanno scelto di obbligarsi a seguire l’insegnamento della religione cattolica o altro insegnamento alternativo.
In altri termini, l’insegnamento non è obbligatorio per chi non se ne avvale, ma per chi se ne avvale è certamente insegnamento obbligatorio: la libertà religiosa dei non avvalentisi non può, quindi, arrivare a neutralizzare la scelta di chi, nell’esercizio della stessa libertà religiosa, ha scelto di seguire quell’insegnamento e che, dunque, ha il diritto-dovere di frequentarlo e di essere valutato per l’interesse e il profitto dimostrato».
Non è quindi lamentabile alcuna forma di discriminazione, perché «chi segue religione (o l’insegnamento alternativo) non è avvantaggiato né discriminato: è semplicemente valutato per come si comporta, per l’interesse che mostra e il profitto che consegue anche nell’ora di religione (o del corso alternativo).
Chi non segue religione né il corso alternativo, ugualmente, non è discriminato né favorito: semplicemente non viene valutato nei suoi confronti un momento della vita scolastica cui non ha partecipato, ferma rimanendo la possibilità di beneficiare del punto ulteriore nell’ambito della banda di oscillazione alla stregua degli altri elementi valutabili a suo favore».
Il CdS fonda la sua argomentazione su una duplice par condicio: in primo luogo quella che si deve realizzare tra chi si avvale e chi non si avvale dell’Irc, i quali non devono essere – entrambi – condizionati nella loro scelta da possibili conseguenze di carattere valutativo; in secondo luogo la parità di trattamento di cui debbono godere coloro che hanno scelto l’Irc e coloro che hanno optato per una attività alternativa.
Ma proprio su questo secondo aspetto si presentano sviluppi nuovi a seguito dell’entrata in vigore del DPR 122/09, il regolamento della valutazione che ha attribuito piena potestà valutativa all’Idr e solo potere consultivo all’insegnante delle attività alternative, contrariamente alla prassi più che ventennale finora applicata.
In relazione al quadro giuridico precedente, quindi, le argomentazioni del CdS sono assolutamente fondate, ma in prospettiva si trovano in conflitto con il nuovo quadro normativo.
Anzi, il Cds, con una scelta piuttosto inusuale, ritiene di doversi soffermare su una condizione di fatto che non ha alcuna rilevanza ai fini della decisione ma che costituisce un problema cui l’amministrazione scolastica presto o tardi «dovrà necessariamente farsi carico».
Si tratta della mancata attivazione dell’ora alternativa, che in molte scuole vanifica le opzioni di tanti non avvalentisi.
Con tale raccomandazione il CdS invia un doppio messaggio: a coloro che hanno già promosso ricorsi contro il regolamento della valutazione lascia intendere che la disparità di trattamento tra Irc e attività alternative presenta quel fumus boni juris che può condurre all’annullamento delle disposizioni contenute nel DPR 122/09; al Ministero chiede contestualmente di provvedere a rendere almeno effettivo il diritto di frequentare attività alternative all’Irc, diritto che soprattutto in questo ultimo anno scolastico è stato messo in seria crisi dai tagli sul personale (che hanno ridotto o annullato la presenza di docenti a disposizione e utilizzabili proprio per le attività alternative).
Perciò, fermo restando che la scelta sull’Irc è del tutto indifferente alla presenza di attività alternative o di crediti scolastici, il CdS esprime la sua preferenza – come aveva fatto oltre venti anni fa, prima di essere smentito dalla Corte costituzionale – per un regime di effettiva opzionalità tra Irc e attività alternative da realizzarsi a valle della scelta.
Al Ministero spetta adesso dare risposta alle sollecitazioni del CdS, fornendo istruzioni (e finanziamenti) alle scuole.
Come si ricorderà, la sentenza 7076/09 del Tar del Lazio aveva disposto l’annullamento delle ordinanze ministeriali sugli esami di stato nella parte in cui prevedevano la partecipazione a pieno titolo degli insegnanti di religione cattolica alla determinazione del credito scolastico assegnato a fine anno in vista degli esami.
La sentenza aveva avuto vasta eco sulla stampa nella scorsa estate ed aveva indotto il ministro Gelmini a fare appello al CdS per ristabilire la certezza del diritto in materia.
Il Tar era infatti intervenuto, con una sentenza di fatto priva di efficacia, sulle ordinanze relative agli anni scolastici 2006-07 e 2007-08 che si erano da tempo conclusi; ma le obiezioni potevano incrinare le procedure degli anni successivi.
Nel frattempo, proprio pochi giorni prima del deposito della decisione del CdS, il Ministero ha emanato per l’anno scolastico in corso l’OM 44/10, nella quale conferma sostanzialmente il dettato degli anni precedenti, con alcuni aggiornamenti dovuti al recente regolamento della valutazione relativamente alle attività alternative ma non all’Irc.
Ora, la decisione del CdS rilegittima pienamente la condizione valutativa dell’Irc e del suo insegnante, nonché le posizioni assunte finora dal Ministero in proposito.
Irc e Indicazioni Nazionali
Irc e Indicazioni per i licei Sergio Cicatelli In un precedente articolo ci siamo soffermati sul lessico dei documenti che accompagnano il riordino del secondo ciclo, notando quanto poco spazio sia riservato alla dimensione religiosa nei Profili di licei, tecnici e professionali.
Il Profilo dei licei è stato interamente riscritto ed ha abbandonato l’impostazione emarginante della prima versione, anche se il nuovo testo lascia ancora pochissimo spazio allo specifico religioso.
La situazione sembra essere un po’ migliorata con le Indicazioni nazionali che dal 15 marzo sono state sottoposte ad un pubblico dibattito in attesa della redazione definitiva.
Il testo delle Indicazioni si presenta estremamente asciutto e sintetico, ma può valere la pena esaminare le discipline che più facilmente possono avere a che fare con la cultura religiosa, per misurare con lo stesso sistema dell’analisi lessicale i riferimenti alla religione.
Qualcuno ricorderà la recente polemica sull’assenza della Resistenza dalle Indicazioni di storia: se ognuno pretendesse di trovare le parole chiave che gli stanno a cuore, le Indicazioni dovrebbero almeno raddoppiare di dimensioni.
Ma, visto che ci riferiamo a una dimensione costitutiva della persona (la cui assenza non può essere attribuita a distrazione), la ricerca di una citazione non è una questione di puntiglio ma di attenzione culturale ed educativa.
Nelle Indicazioni per l’insegnamento di lingua e letteratura italiana il riferimento religioso è decisamente modesto, consistendo solo nell’inevitabile richiamo alla letteratura religiosa che caratterizza gli inizi della storia letteraria.
Per il latino il quadro è più complesso, perché le Indicazioni sono differenziate per il classico, per il linguistico (dove il latino è presente solo nel primo biennio e dove manca qualsiasi riferimento perché si studia solo la lingua e non la letteratura) e per i licei scientifico e delle scienze umane.
Nei tre licei che danno spazio alla letteratura si raccomanda l’attenzione, fra gli altri, agli aspetti religiosi del mondo romano (stessa dizione per il greco nel classico).
In relazione alla tarda latinità, poi, si dà spazio alla letteratura cristiana citando espressamente Girolamo e la Vulgata, nonché – solo per il classico – Agostino.
Gli obiettivi specifici di apprendimento per la geografia prevedono solo un richiamo alla «diffusione delle religioni» come ovvio fattore di antropizzazione.
Un po’ più ricca è la serie di riferimenti nel caso della storia, dove la dimensione religiosa in quanto tale è presente solo nei movimenti religiosi del Medioevo e nella crisi dell’unità religiosa europea all’inizio dell’età moderna.
Nel quadro del mondo antico non può essere trascurato «l’avvento del Cristianesimo», come pure la Chiesa risulta essere presente da protagonista dell’alto Medioevo e specificamente come interlocutrice dei movimenti religiosi tardomedievali.
Inoltre, sempre nel primo biennio viene citata «la nascita e la diffusione dell’Islam».
Infine, è ancora presente il Papato come esempio di potere universale medievale, accanto all’Impero.
Insomma, la presenza storica della Chiesa e del fatto religioso sembra confinata in tempi remoti, visto che tra i nuclei tematici che «non potranno essere tralasciati» nello studio del Novecento non figura né il Vaticano II né il ruolo politico-sociale comunque svolto dalla Chiesa o dal fattore religioso in genere nelle dinamiche interculturali.
Altrettanto scarna, ma significativa, l’attenzione dedicata al religioso dalle Indicazioni di filosofia.
Qui il legame tra la filosofia greca e le tradizioni posteriori impone in primo luogo il richiamo a quelle religiose; e il legame viene ribadito in età ellenista nell’incontro «tra la filosofia greca e le religioni bibliche».
Tra gli autori imprescindibili figurano Agostino e Tommaso, ma anche Pascal e Kierkegaard.
Inoltre, tra gli argomenti a scelta che potranno essere trattati nello studio del Novecento figura «la filosofia d’ispirazione cristiana e la nuova teologia».
Il legame più forte con l’Irc sembra essere offerto dalle Indicazioni per le scienze umane, il cui insegnamento complessivo (nell’omonimo liceo) è previsto «in stretto contatto con la filosofia, la storia, la letteratura e la cultura religiosa».
Ora, visto che i riferimenti religiosi nelle altre materie sono piuttosto scarsi, l’unico legame cui si fa riferimento può essere quello con l’Irc.
Entrando nello specifico disciplinare delle singole scienze umane, nell’antropologia si trova il richiamo alla «dimensione religiosa e rituale» e alle «grandi culture-religioni mondiali»; del tutto assenti i riferimenti religiosi in psicologia e sociologia.
La pedagogia è quella che offre i richiami più numerosi: prevedibili quelli all’«educazione cristiana dei primi secoli (almeno Agostino)» e alla «vita monastica (almeno Benedetto da Norcia)»; nel Medioevo è dato spazio agli ordini religiosi e alla cultura teologica (almeno Tommaso), ma anche l’età umanistica viene proposta in confronto con le «istanze di riforma religiosa».
Tra gli autori imprescindibili figurano, oltre a quelli già citati, Calasanzio, Rosmini, don Bosco, Maritain.
Anche per la storia dell’arte è prescritto che lo studente acquisti chiara comprensione dei legami tra le opere d’arte e altri aspetti della vita, tra cui è esplicitamente citata la religione.
Solo per i licei artistici si fa anche riferimento all’arte cristiana delle origini.
Sono infine del tutto assenti altri riferimenti in discipline che pure avrebbero potuto presentare agganci (storia della musica, diritto, lingue …).
Da un punto di vista metodologico, ricorre spesso nelle Indicazioni delle verie discipline l’invito a curare raccordi interdisciplinari.
L’Irc da parte sua ha sempre cercato ed esplicitato tali legami, quindi è da tempo in sintonia con queste scelte didattiche.
In conclusione, occorre ribadire che si tratta di Indicazioni ancora provvisorie e che qualcosa potrebbe cambiare nella versione definitiva.
Per l’Irc, comunque, la sfida più importante rimane quella delle proprie Indicazioni, che dovranno uscire in tempo utile per l’inizio del nuovo anno.
Quelle del primo ciclo, pur firmate d’intesa il 1 agosto dello scorso anno, a distanza di quasi nove mesi ancora non sono apparse in Gazzetta Ufficiale.
Si spera che l’increscioso ritardo non si ripeta.
5.
In uno schema di sintesi 4 Corsi comuni – Processi di apprendimento – Uso delle fonti – Sapere religioso-cattolico – Comunicazione educativa 6 ECTS 1 Seminario a scelta 12 ECTS 4 Corsi speciali – progettazione – contesto plurireligioso – linguaggio religioso – linguaggi mass-mediali 6 ECTS 1 Tirocinio a scelta 18 ECTS Interventi di coordinamento 2 ECTS Tesi di diploma 16 ECTS ECTS (European Credits Transfer System) Crediti Formativi.
Il Miur rettifica sulle iscrizioni
Il Miur rettifica sulle iscrizioni di Sergio Cicatelli Come avevamo segnalato nel nostro precedente intervento, la CM 4/10 sulle iscrizioni conteneva alcune inesattezze relativamente alle procedure per la scelta delle attività alternative, prevedendo per essa la medesima scadenza della scelta dell’Irc e dando indicazioni contraddittorie sul numero delle opzioni possibili ai non avvalentisi.
Con nota del 21 gennaio 2010, prot.
AOODGOS 427, il Miur ha precisato la prassi da seguire, fornendo le seguenti indicazioni: «In relazione a quesiti pervenuti, si conferma che, come negli scorsi anni, l’Allegato D della CM n.
4 del 15 gennaio 2010 sulle iscrizioni per l’anno scolastico 2010-11, relativo alla scelta di avvalersi o di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, va compilato al momento dell’iscrizione alla classe iniziale.
L’Allegato E della medesima circolare, relativo alla scelta tra le attività alternative all’insegnamento della religione cattolica, va compilato entro l’avvio delle attività didattiche in relazione alla programmazione di inizio d’anno da parte degli organi collegiali.
Si precisa inoltre che le scelte alternative all’insegnamento della religione cattolica, previste dall’Allegato E, costituiscono il numero minimo di opzioni che la scuola offre agli alunni».
La procedura viene quindi ricondotta a quella sempre in uso, anche se con qualche significativa innovazione.
Va infatti ricordato che la scelta delle attività alternative deve essere compiuta solo all’inizio del nuovo anno scolastico, cioè a settembre, mentre la scelta dell’Irc va effettuata entro la scadenza prevista per le iscrizioni, cioè 27 febbraio per l’iscrizione al primo ciclo e 26 marzo per l’iscrizione al secondo ciclo.
È inoltre il caso di rammentare anche che il modulo per avvalersi o non avvalersi dell’Irc (Allegato D) deve essere distribuito dalla scuola solo a coloro che si iscrivono al primo anno, essendo la scelta iniziale confermata negli anni successivi per via dell’iscrizione d’ufficio.
Sulla discordanza tra il testo della circolare (che indicava tre alternative per i non avvalentisi) e quello dell’Allegato E (che prevedeva due sole opzioni), il Miur precisa che la modulistica è da considerare solo indicativa in quanto ogni scuola può personalizzarla come meglio crede, fermo restando che le due alternative contenute nell’Allegato E sono il numero minimo da offrire all’utenza.
In altre parole, la scuola non può negare la facoltà di uscire da scuola (pudicamente descritta come «non frequenza della scuola nelle ore di insegnamento della religione cattolica») né, all’opposto, evitare di offrire qualsiasi opportunità formativa.
Peraltro, nella nuova dizione adottata nell’Allegato E («Attività didattiche individuali o di gruppo con assistenza di personale docente») è da ritenere che possano essere ricomprese sia le tradizionali attività didattiche e formative, sia la libera attività di studio assistito.
È da ritenere che il Miur, evitando di proporre tra le alternative lo studio individuale senza assistenza di personale docente, abbia voluto sfruttare l’occasione delle istruzioni dirette solo alle scuole del primo ciclo per richiamarle a un giusto senso di responsabilità educativa, ritenendo che l’età degli alunni non possa giustificare un’attività priva di assistenza del personale docente.
Per la loro età gli alunni del primo ciclo non dovrebbero essere abbandonati a se stessi (come pure spesso accade), senza offrire loro qualcosa in più di una mera vigilanza.
Potrebbe essere questa l’occasione per riprendere una riflessione interrotta da anni sulla natura e la funzione delle attività alternative all’Irc, allo scopo di rimediare a quel vuoto educativo in cui si vengono a trovare i non avvalentisi.
L’uscita da scuola o, più genericamente, l’ora del nulla non possono più soddisfare un mondo della scuola che ha dovuto prendere atto della vitalità dell’Irc, nonostante le sue difficili condizioni di esercizio.
Se gli avvalentisi non sembrano avviati ad estinguersi, la scuola non può fare a meno di interrogarsi sulla condizione di quei pochi che, avendo scelto di non partecipare all’Irc, si trovano ad usufruire di un servizio scolastico oggettivamente ridotto rispetto agli altri.
La giurisprudenza costituzionale ci ha rassicurato che non siamo in presenza di discriminazione, ma non si può negare il disagio di fronte a una scelta, quella del nulla, che nei fatti si qualifica solo per vacuità e disimpegno.
Ci piacerebbe che si potesse rilanciare costruttivamente la discussione sulle attività alternative per uscire dal vicolo cieco in cui la scuola sembra essersi cacciata.
Il pasticcio delle iscrizioni
Il pasticcio delle iscrizioni di Sergio Cicatelli Il 15 gennaio 2010 il Miur ha pubblicato le CCMM 3 e 4 con cui si forniscono istruzioni per le iscrizioni al prossimo anno scolastico.
Le circolari sulle iscrizioni sono documenti di routine che si ripetono ogni anno, ma questa volta ci sono diverse novità, sia nelle procedure generali che per quanto riguarda l’Irc.
Come è noto, già con una nota del 26 ottobre 2009 il Ministero aveva annunciato che, per via del protrarsi delle operazioni di approvazione dei regolamenti del secondo ciclo, le iscrizioni al prossimo anno scolastico sarebbero slittate dalla scadenza ordinaria di fine gennaio al 27 febbraio.
La CM 3/10 ufficializza quanto si andava dicendo da qualche settimana, e cioè che – sempre per il ritardo dei regolamenti di licei, tecnici e professionali – le scadenze saranno separate: per il primo ciclo è confermato il 27 febbraio, per il secondo ciclo vale invece un’ulteriore proroga al 26 marzo.
La CM 4/10, quindi, regolamenta le iscrizioni solo alle scuole dell’infanzia e del primo ciclo, presentandosi con dimensioni ridotte rispetto al solito per via della materia circoscritta.
Lasciando da parte le istruzioni generali, ci soffermiamo solo su quanto riguarda la scelta di avvalersi o non avvalersi dell’Irc che, come previsto dal Concordato del 1984, va effettuata «all’atto dell’iscrizione».
In proposito, purtroppo, il Ministero incorre in diversi errori e contraddizioni, fornendo indicazioni diverse rispetto al passato, con il concreto rischio di aumentare la confusione che ha sempre accompagnato queste operazioni.
Anziché ribadire le istruzioni dell’anno precedente (che descrivevano correttamente operazioni e scadenze), la CM 4/10 introduce erroneamente almeno due novità in relazione alle attività alternative: 1) riduce da quattro a tre le opzioni per i non avvalentisi; 2) sposta al momento dell’iscrizione la scelta delle attività alternative.
Da un punto di vista formale si può osservare che la gestione delle attività alternative è stata sempre regolata con atti amministrativi e quindi può essere modificata con una semplice circolare, ma sembra piuttosto imprudente innovare in un settore così delicato senza aver prima ascoltato il mondo della scuola o avviato una discussione sul tema.
La decisione del Ministero risulta perciò del tutto affrettata e segnata da sviste grossolane.
Sul primo aspetto, la riduzione delle opzioni offerte ai non avvalentisi può discendere dal fatto che ci si rivolge stavolta alle sole scuole del primo ciclo, dove verosimilmente la scelta di attività individuali senza l’assistenza di personale docente può essere poco praticata.
Tuttavia, i dati raccolti dalla Cei relativamente alla sola scuola secondaria di I grado ci dicono che nello scorso anno scolastico il 13,2% dei non avvalentisi ha chiesto di partecipare ad attività di studio individuale non assistito; quindi la valutazione ministeriale (se questa è stata la motivazione) risulta poco fondata.
Inoltre, mentre nel testo della circolare vengono indicate tre opzioni (peraltro con dizioni rinnovate rispetto al passato), nell’allegato E in cui si riproduce il modulo da sottoporre ai non avvalentisi, le opzioni sono incomprensibilmente ridotte a due sole, «attività didattiche individuali o di gruppo con assistenza di personale docente» e «non frequenza della scuola nelle ore di Irc», cancellando di conseguenza anche la possibilità di frequentare le «attività didattiche e formative» che nello scorso anno, stando ai già citati dati della Cei, sono state richieste e frequentate da uno studente su quattro nella secondaria di I grado.
Probabilmente la discordanza tra testo della circolare e allegato è dovuta a un mero errore materiale, ma nel dubbio occorre almeno capire fin dove si siano spinti i tagli del Ministero, cioè se le opzioni siano ridotte a tre o due.
A nostro parere, non sussistono motivi per non riproporre le quattro alternative che da oltre vent’anni hanno soddisfatto le scelte del non avvalentisi.
A meno di dover attribuire il taglio sulle alternative ai diversi ma concomitanti tagli di personale che quest’anno hanno messo in gravi difficoltà le scuole nel soddisfare le richieste dei non avvalentisi: più comodo quindi sopprimere queste opportunità e dirottare le scelte su generiche attività non programmate o sull’uscita da scuola.
In secondo luogo, ancora più grave è lo spostamento della scelta delle attività alternative dall’inizio delle lezioni al momento delle iscrizioni, contro il disposto della Corte Costituzionale, che nel 1989 (sentenza n.
203) aveva invitato ad evitare «lo schema logico dell’obbligazione alternativa, quando dinanzi all’insegnamento di religione cattolica si è chiamati ad esercitare un diritto di libertà costituzionale non degradabile, nella sua serietà e impegnatività di coscienza, ad opzione tra equivalenti discipline scolastiche», e che nel 1991 (sentenza n.
13) aveva ribadito la necessità di «separare il momento dell’interrogazione di coscienza sulla scelta di libertà di religione o dalla religione, da quello delle libere richieste individuali alla organizzazione scolastica».
Fino ad oggi le istruzioni ministeriali avevano tenuto correttamente separata la scelta sull’Irc (da effettuare al momento dell’iscrizione) dalla scelta sulle attività alternative (da effettuare all’inizio dell’anno scolastico).
Proporre oggi una stessa scadenza per entrambe le scelte significa suggerire di fatto un’equivalenza tra due opzioni assolutamente incomparabili, con il rischio di dar luogo a quella confusione che la Corte Costituzionale chiede di evitare accuratamente.
E dato che per la medesima Corte la facoltatività dell’Irc, cioè le sue concrete modalità di scelta, sono condizione per la legittimità costituzionale dello stesso Concordato, una modifica a questo delicatissimo aspetto induce non solo sospetti di incostituzionalità ma addirittura di violazione del Concordato.
Con tutto ciò che ne potrebbe seguire sul piano giudiziario e diplomatico.
C’è da augurarsi che l’imperizia manifestata in questa occasione dal Ministero sia al più presto corretta dalle necessarie rettifiche e che almeno il testo della circolare che dovrà regolamentare le iscrizioni al secondo ciclo non contenga gli stessi errori.
Il lessico del secondo ciclo
Il lessico del secondo ciclo Sergio Cicatelli In questi giorni gli schemi di regolamento predisposti dal Ministero per i futuri licei, istituti tecnici e istituti professionali stanno affrontando l’esame degli organi di consultazione tecnico-politica.
Accanto ai pareri delle Commisioni parlamentari, della Conferenza Unificata, del CNPI, è particolarmente importante il parere tecnico del Consiglio di Stato, che proprio pochi giorni fa ha chiesto alcuni chiarimenti decisivi lamentando un eccesso di potere rispetto alla delega assegnata al Ministro.
Lasciando da parte per il momento le questioni di carattere formale, vogliamo tentare di riflettere su questi regolamenti da un’angolatura particolare per cercare di individuare la cultura e la progettualità di cui sono espressione.
Lo strumento che intendiamo adottare è quello dell’analisi lessicale, per misurare – in maniera puramente orientativa – la frequenza di alcune parole chiave nei testi in discussione.
È legittimo immaginare che alla frequenza di certi concetti corrisponda un grado di maggiore o minore attenzione da parte del legislatore.
L’esame è stato condotto sul testo dei tre regolamenti, completo di tutti gli allegati disponibili (profilo dello studente, piani orari, ecc.).
Per quanto riguarda la dimensione pedagogica, si può notare che i termini riconducibili in vario modo all’apprendimento e all’apprendere figurano con una discreta frequenza in tutti e tre i regolamenti, ma si tratta di citazioni poco significative in quanto consistono prevalentemente nel rinvio ai “risultati di apprendimento”, recente locuzione didattica di derivazione anche europea.
In questa forma, l’apprendimento ricorre 14 volte per i licei, 20 volte per i tecnici e 22 volte per i professionali, ma non si può sostenere che a ciò corrisponda una precisa ed originale scelta pedagogico-didattica.
D’altra parte, non è nemmeno possibile confrontare una pedagogia dell’apprendimento con una pedagogia dell’insegnamento, dato che il termine insegnamento ricorre sì un gran numero di volte (53 nei licei, 60 nei tecnici e 36 nei professionali), ma prevalentemente al plurale e come sinonimo di disciplina o materia scolastica nelle diverse elencazioni.
Inutile dire che il termine istruzione ricorre un numero infinito di volte per via del continuo riferimento al Ministero dell’Istruzione o al sistema di istruzione e formazione.
Non se può quindi tenere conto.
Per lo stesso motivo potrebbe essere poco significativa la presenza di formazione e formativo, proprio perché i termini compaiono prevalentemente nel contesto del citato sistema di istruzione e formazione e del piano dell’offerta formativa, cioè in doverosi contesti istituzionali più che per una scelta culturale particolare.
Le rispettive occorrenze sono 35 nei licei, 41 nei tecnici e 33 nei professionali.
Ugualmente, non è indicativa la presenza dell’educazione o dell’educativo, dato che anche in questo caso si tratta prevalentemente di citazioni relative al Profilo educativo, culturale e professionale dello studente o del sistema educativo in genere.
La radice educ- è comunque presente 25 volte nei licei, 10 nei tecnici e 11 nei professionali.
Abbiamo immaginato che potesse essere rilevante l’attenzione alla sfera socio-politica e quindi abbiamo contato le rispettive frequenze.
Di politica si parla solo 3 volte nei licei, 3 volte nei tecnici e 1 volta nei professionali.
La radice civic- non compare mai, mentre civil- compare 6 volte nei licei (ma è quasi sempre civiltà), 5 volte nei tecnici (dove invece è quasi sempre riferita alla dimensione civilistica del diritto) e 1 volta nei professionali (con l’identico significato giuridico).
La parola cittadinanza compare 1 sola volta nei licei, 2 volte nei tecnici e 3 volte nei professionali, ma si tratta solo della citazione della nuova disciplina Cittadinanza e Costituzione.
Molto più ampia è la presenza della dimensione sociale (o del prefisso socio-), che compare 28 volte nei licei, 18 volte nei tecnici e 33 volte nei professionali, ma spesso ricorre solo nel nome delle discipline scolastiche.
Era logico attendersi una massiccia presenza della storia e dei suoi derivati.
Per evitare di sovrarappresentare il concetto, si sono esclusi gli elenchi delle discipline (in cui figura sempre la storia), e ci si è limitati a rilevare le frequenze nel testo di legge e nei profili.
In tal modo, il termine ricorre 21 volte nei licei, 5 volte nei tecnici e 4 nei professionali, confermando un’attenzione storica o storicista ancora forte nei nostri corsi liceali.
All’opposto, si è misurato con lo stesso criterio (cioè escludendo gli elenchi di materie), la frequenza di scienze e scientifico, che mostra un andamento nettamente diversificato, con 55 occorrenze nei licei, 23 nei tecnici e 9 nei professionali (va tenuto presente che una parte delle citazioni nei licei era dovuta alle denominazioni dei corsi di liceo scientifico e delle scienze umane, ma il dato non è determinante).
E veniamo infine alla specifica dimensione religiosa, che risulta essere significativamente assente dalla progettualità educativa di questi documenti.
La parola religione ricorre 12 volte nei licei, ma per 11 volte è la citazione dell’Irc tra gli insegnamenti previsti dai piani di studio; lo stesso si può dire per le 3 occorrenze nei tecnici e per l’unica presenza nei professionali.
L’unica volta in cui si parla di religione in forma generica è, nei licei, per indicarla come possibile chiave interpretativa della realtà.
Inutile aggiungere che non compare mai la radice crist-, né come sostantivo né come aggettivo.
L’impostazione anti- o a-religiosa dei regolamenti Gelmini era già emersa con l’Atto di indirizzo per il primo ciclo, ma qui si incorre in assenze particolarmente clamorose, come quella relativa al liceo artistico, in cui gli studenti sono invitati a individuare solo le problematiche «estetiche, storiche, economiche, sociali e giuridiche connesse alla tutela e alla valorizzazione dei beni artistici e culturali», potendo beatamente trascurare la dimensione religiosa di tutta l’arte sacra, che pure rappresenta almeno metà del patrimonio artistico italiano.
C’è da augurarsi che si possa rimediare nel testo che fra qualche settimana dovrebbe essere approvato definitivamente dal Consiglio dei Ministri.
Da questo rapido e superficiale sguardo si può comunque concludere che i regolamenti non esprimono una chiara impostazione culturale e forse parlano più attraverso i loro silenzi o le loro reticenze che attraverso ciò che dicono esplicitamente.
D’altra parte, la lettura che abbiamo condotto è necessariamente superficiale dato che siamo ancora di fronte a testi provvisori che potrebbero subire significative modifiche nella loro versione definitiva.
Quando i testi saranno disponibili in versione ufficiale, suggeriamo ai lettori di esercitarsi in questo tipo di analisi per ricavare anche da questi testi normativi indicazioni e orientamenti culturali.
Polemiche su precari e Irc
Il 18 novembre scorso il Senato ha definitivamente approvato e convertito in legge il decreto legge 25-9-2009, n.
134, principalmente dedicato alle garanzie da offrire ai precari che – per via dei tagli operati sull’organico dei docenti – non hanno visto confermata quest’anno la supplenza annuale ricevuta l’anno precedente.
La disposizione ha mobilitato il mondo politico e sindacale, ma non intendiamo qui entrare nel merito del provvedimento, preferendo piuttosto segnalare come gli Idr siano stati coinvolti indirettamente nel dibattito che ha accompagnato l’iter legislativo.
Uno dei punti più controversi del decreto legge è stato il primo comma dell’articolo 1, in cui si diceva inizialmente che i contratti dei supplenti «non possono in alcun caso trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato e consentire la maturazione di anzianità utile ai fini retributivi prima della immissione in ruolo».
In sede di conversione in legge, il comma è stato modificato consentendo che i contratti di supplenza possano trasformarsi in contratti a tempo indeterminato «solo nel caso di immissione in ruolo».
A prescindere dall’opportunità della modifica e delle polemiche che la prima formulazione ha innescato, si vuole richiamare l’attenzione sul fatto che nel corso del dibattito alla Camera si è più volte tornati sul caso degli Idr non di ruolo, unico esempio di precari cui oggi è consentito accedere a una progressione economica ai sensi dell’art.
53 della legge 312/80 o ad avanzamenti biennali.
Va peraltro notato che la condizione degli Idr era contenuta nella documentazione tecnica fornita ai parlamentari dall’ufficio legislativo della Camera, e l’on.
Maurizio Turco (componente radicale del PD) ha colto l’occasione per presentare alcuni emendamenti volti a ridurre i benefici per gli Idr.
L’oggetto del contendere è stato soprattutto l’art.
53 della legge 312/80, ora dato per abrogato e ora considerato ancora vigente: poiché da esso discende il trattamento economico degli Idr, la disputa è stata sulle garanzie da estendere a tutti i precari o da riservare ai soli Idr.
Di fatto la modifica infine introdotta non ha affrontato il problema, confermando implicitamente il trattamento economico degli Idr ma lasciando traccia negli atti parlamentari della loro equivoca condizione.
Nel passaggio al Senato si è avuta anche la presentazione di un ordine del giorno da parte dei senatori Donatella Poretti e Marco Perduca (componente radicale del PD), volto a parificare il trattamento giuridico ed economico degli Idr a quello degli altri docenti, svincolandone anche l’assunzione dal riconoscimento di idoneità da parte dell’autorità ecclesiastica.
È evidente l’intento provocatorio della proposta (che infatti non è stata neanche messa ai voti in quanto improponibile), ma pare il caso di sottolineare come la condizione degli Idr sia stata ancora una volta presentata come causa di difficoltà e motivo di discriminazioni, richiamando anche un precedente ricorso presentato sul tema alla Commissione Europea.
Il ricorso, promosso dallo stesso sen.
Turco, lamentava la presunta violazione della Direttiva europea n.
2000/78 del 27-11-2000, che mira a «stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento» (art.
1).
Dato che per accedere all’Irc occorre l’idoneità ecclesiastica, non ci sarebbe parità di trattamento in quanto l’accesso sarebbe condizionato all’appartenenza religiosa.
Ma la stessa Direttiva, all’art.
4, chiarisce che «gli Stati membri possono stabilire che una differenza di trattamento basata su una caratteristica correlata a uno qualunque dei motivi di cui all’articolo 1 non costituisca discriminazione laddove, per la natura di un’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato».
È dunque evidente che per insegnare religione “cattolica” sia necessaria l’approvazione dell’autorità ecclesiastica corrispondente.
Ciò rivela tutta la pretestuosità del ricorso, che la Commissione Europea ha infatti riconosciuto infondato.
Ne troviamo tuttavia traccia in un’interrogazione proposta qualche tempo fa dalla sen.
Luciana Sbarbati (PD), che raccoglieva tutta una serie di presunte irregolarità collegate alla gestione dell’Irc e degli Idr, tra cui la storia del loro trattamento economico privilegiato.
Visto il periodico ripresentarsi di certe tesi, ci sembra di poter immaginare che un “pacchetto Irc” circoli nei corridoi parlamentari in attesa di cogliere l’occasione, opportuna e inopportuna, per ripresentare il suo bagaglio di disinformazione e di vis polemica.
Questa volta è toccato al decreto sui precari, ma probabilmente non è l’ultima puntata.