In lieve aumento il numero di famiglie che impartiscono in proprio l’istruzione obbligatoria A confronto con i due milioni di piccoli studenti che negli USA frequentano in casa le lezioni, i circa duecento (stima) che lo fanno in Italia rappresentano una esigua quantità.
È una modalità educativa molto diffusa in Australia e negli Stati Uniti, dove le comunità rurali sono spesso troppo lontane dai centri urbani perché sia agevole la frequenza giornaliera delle lezioni; in Gran Bretagna, circa ventimila bambini hanno seguito lo scorso anno le lezioni in casa e in Francia, nel 2007/2008, oltre tremila bambini ne hanno usufruito, sia con aiuto a distanza che in maniera completamente autonoma.
Del fenomeno, che attualmente non viene censito ufficialmente, il Ministero dell’istruzione non tiene un registro specifico.
Tuttavia si tratta di una realtà in crescita: un numero crescente di famiglie italiane decide di far lezione direttamente in casa ai propri figli o attraverso un istitutore.
La scelta, che è consentita dalla norma purché i genitori che ne fanno richiesta dimostrino di possedere i mezzi intellettuali ed economici per farvi fronte, viene effettuata spesso in alternativa alle rigidità della scuola tradizionalmente intesa.
Vi sono maggiormente coinvolti i bambini della scuola dell’infanzia e della scuola primaria che, pur seguendo i programmi ministeriali, possono contare su orari e strutturazione flessibile delle lezioni, maggiore individualizzazione degli interventi con costi inferiori a quelli di una scuola privata.
La scuola parentale non prevede un contesto relazionale ampio come quello della classe, non dà rilevanza al valore della scuola pubblica come conquista sociale e resta comunque confinata ad una precisa tipologia familiare, dove il livello di istruzione e il reddito sono piuttosto elevati, e dove spesso almeno uno dei genitori non lavora.
Inoltre, non è previsto un controllo puntuale delle attività, tranne al momento di condurre gli allievi presso una scuola statale o paritaria per sostenere l’esame di idoneità per il passaggio da una classe all’altra, al termine dell’anno scolastico.
Categoria: Processi
Il credo carismatico dei ragazzi millennials
I ragazzi svezzati a Mtv – come li definisce il rapporto – spiazzano chi pensa che il nichilismo abbia fatto piazza pulita, e creano interrogativi forti nell’area dell’offerta, cioè nella Chiesa.
Ma in Italia? «In Usa c’è pluralismo religioso, che fa prendere forma a questa religiosità aconfessionale, da noi la presenza preponderante della Chiesa cattolica rende tutto diverso», spiega Luca Diotallevi, docente di Sociologia a Roma Tre e autore del libro appena pubblicato Una alternativa alla laicità.
Insomma, dire in Italia di credere in Dio ma in nessuna Chiesa è roba da talk show impegnato, «c’è un legame elastico tra giovani e Chiesa».
Un legame che si manifesta in molti modi, a partire dalla tradizionale filiera parrocchia-Azione cattolica, di certo assai poco mediatica (anche perché il tasso di tesseramento nella maggiore organizzazione ecclesiale è molto basso, Diotallevi stima il 10% circa della militanza accertata), ai movimenti presenti nei vari segmenti socio-religiosi, dai Focolarini a Cl, fino a Sant’Egidio.
Ma un fenomeno crescente e sicuramente espressione della nuova religiosità giovanile dei Millennials italiani – cresciuti a Moccia («e se gli parli di Maria pensano alla De Filippi», dice un esperto) – è quello dei movimenti carismatici, a fortissima densità identitaria.
Un emblema sono i Neo catecumenali, ispirati a un cammino di riscoperta del battesimo, movimento in fortissima crescita trai giovani, che affollano parrocchie – prese quasi in franchising – e che sono i protagonisti delle Giornate mondiali dei giovani e dei viaggi papali, quando attraversano le città cantando abbracciati alle chitarre e tutti vestiti con la stessa maglietta.
Altra forte presenza è Rinnovamento dello Spirito, cammino di comunione ecclesiale e formazione permanente, che nasce sulla scia del movimento carismatico Usa.
«A questi gruppi, e ad altri, è data in appalto la creazione di una massa critica che abbia un impatto mediatico», osserva Alberto Melloni, professore di Storia all’Università di Modena e uno dei massimi studiosi del Concilio.
Per le nuove generazioni l’esperienza di fede si presenta come poco intrigante, non c’è conflitto morale interiore, e anche la morale sessuale in passato era una discriminante, ora non più: ecco allora l’approdo a queste crescenti esperienze pentecostali, «che rappresentano la remunerazione emotiva al bisogno religioso», osserva Melloni.
Che significa? «Che si è accesa la spia della riserva».
Insomma, la Chiesa non si stanca di dichiarare il suo amore per le giovani generazioni «ma si fa fatica a vedere i segni».
La ricerca americana mette a nudo una religiosità stratificata ma tutto sommate elementare, dove le chiese sono cosa ben distinta dalla società, mentre in Italia la Chiesa cattolica è dentro la società (e in molti pensano anche dentro lo stato).
Da qui la ricerca dei ventenni di un’offerta religiosa che sia altro dalle gerarchie (ma non contro), che per molti significa, come dice un esponente della Curia, «mischiare Siddharta con il Vangelo in salsa new age», rifuggire dalla lettura razionale della fede, un po’ come i nuovi evangelici americani, i “cristiani rinati”.
A Ratzinger i movimenti in generale non piacciono molto: in particolare nei confronti di questi nuovi corpi della Chiesa, avversa la loro altissima libertà liturgica («messe che a volte sembrano Gospel», dice un vescovo) ma ne apprezza l’estremo rigore dottrinale, su vita e famiglia.
E, alla fine, tanto basta.
in “Il Sole 24 Ore” del 21 febbraio 2010 Sanno che hanno bisogno di Dio, ma sempre più spesso non sanno come parlarci.
E allora gridano, si accalcano, cantano, marciano, cercano una forza identitaria che li faccia sentire parte di una minoranza forte.
Il popolo dei giovani cattolici nati sul finire del millennio va a sbattere sempre più spesso contro la Chiesa ufficiale: la rispettano, ma la sentono distante, specie in periodi (come questo) dove gli intrighi vaticani fanno premio sulla spiritualità.
Forse accade come negli Usa? Un rapporto del Pew Research Center Forum dal titolo Religion Among Millennials appena pubblicato – e di cui riferisce il New York Times – parla chiaro: un giovane su quattro tra 18 e 29 anni non è praticante ma nega di essere ateo o agnostico (in questo differenti dalla precedente generazione X, i post baby-boomers) ma cercano Dio nella prospettiva del medio-lungo termine, insieme a metter su famiglia e diventare ricchi.
“Book in progress”
Libri di testo realizzati dagli insegnanti della scuola e venduti alla modica cifra di 25 euro a famiglia.
Il progetto “Book in progress”, lanciato all’inizio dell’anno scolastico, dalla presidenza e dal collegio docenti dell’Itis “E.
Majorana” di Brindisi potrebbe diventare una realtà diffusa a partire dal 2010-2011.
A sottolinearlo è una nota dell’Adiconsum che saluta con favore l’adesione da parte di altre scuole e istituzioni.
Il progetto (www.bookinprogress.it) prevede la realizzazione di “libri fatti in casa” grazie all’utilizzo degli appunti didattici scritti dagli stessi docenti, stampati e distribuiti agli studenti.
L’iniziativa permette un risparmio sulla spesa dei libri scolastici di almeno 200 euro l’anno per studente.
I libri “fai da te” del progetto Book i Progress non sono altro che una trasposizione di quanto avveniva in passato nel mondo universitario, dove gli appunti delle lezioni del docente potevano spesso sostituire l’acquisto del libro di testo.
Il progetto non fa altro che applicare questo vecchio metodo didattico alle scuole superiori, con evidente risparmio per la spesa dell’istruzione sostenuta ogni anno dalle famiglie degli studenti.
L’associazione dei consumatori sostiene il primo incontro della rete nazionale “Book in progress” in corso presso la Tenuta Moreno, in provincia di Brindisi, alla quale prendono parte 100 tra docenti e dirigenti scolastici, provenienti dalla Lombardia, dal Friuli, dal Veneto, dalle Marche, dalla Toscana, dalla Campania, dalla Calabria, dalla Puglia, che saranno formati al “Book in progress”.
“L’impatto positivo dell’iniziativa – spiega l’Adiconsum – interesserà il prossimo anno scolastico circa 3.000 famiglie che risparmieranno sulla spesa dei libri di testo dei propri figli”.
Adiconsum auspica che il progetto “Book in progress” sia seguito da sempre più istituti, “perché non venga meno e sia sempre salvaguardato il diritto costituzionale del diritto allo studio”.
Cacciari: no al servilismo, la fede vera è quella dei martiri
L’intervista «Il fatto religioso, la fede in ogni sua accezione sono fatti culturali di straordinario rilievo.
Una laicità malamente concepita che intenda il fatto religioso come superstizione è una pessima laicità».
Massimo Cacciari, oggi docente di estetica all’Università Vita-Salute San Raffaele, è da tempo protagonista attivo dello scambio intellettuale tra chi crede e chi resta sulla soglia della fede.
Il Papa chiede un nuovo dialogo con chi non crede.
Da filosofo, cosa pensa di questo invito? «Mi piace ricordare un’iniziativa pionieristica su questo tema, ovvero la Cattedra dei non credenti istituita a metà anni Ottanta a Milano dal cardinale Martini, una scelta audace.
Quanto a chi non crede, bisogna distinguere».
Ovvero? «Ci sono tre versioni di ateismo: una posizione risolutiva, per cui Dio è un puro nome senza contenuto semantico.
E questa è la forma di ateismo che va per la maggiore e per la quale la posizione del credente è insensata.
Questa visione aleggia in un certo illuminismo e nei suoi nipotini quali Piergiorgio Odifreddi e un certo giornalistume, sebbene abbia padri nobili e domini la filosofia analitica.
Vi è poi l’ateo che crede, che è ‘abbandonato’ da Dio, e che però non sa se questo abbandono sia definitivo.
È una posizione di assoluto dubbio sul fatto che Dio abbia ancora o meno una relazione con lui.
L’ateo che crede non sa se questo ‘abbandono di Dio’ dipenda da lui o da Lui, da se stesso o da Dio.
Ho trovato tale condizione in tanti autentici credenti: la loro fede combatte con questo dubbio, che è il grido di Gesù al Padre sulla croce.
È lo stesso ateismo di Giobbe e il segreto della grandezza del cristianesimo, ovvero il credente in lotta con Dio».
Il ‘terzo ateismo’? «È quello che ritiene che il proprio pensiero debba svolgersi finché manca la strada e non vuole fermarsi prima.
Non vuole solo deno- minare la cosa, vuole andare oltre la dialettica delle idee: è un pensiero rivolto costantemente all’ultimo, intrinsecamente legato alle idee teologiche ma non pensa che Dio ‘è’, perché se così fosse, si penserebbe Dio come ente.
Tale posizione dialoga con la tradizione mistica cristiana per cui Dio non è un ente ed è superiore allo stesso pensarlo: in pratica, Sant’Anselmo d’Aosta».
Il Papa afferma poi che vi sono quegli atei che vogliono avvicinare Dio come Sconosciuto.
«Vorrei un confronto che superi l’onto-teologia del tomismo e conduca a una filosofia che va verso la cosa ultima.
È possibile un confronto con una posizione filosofica che veda la trascendenza come una parte costitutiva del nostro essere uomini ».
Ma non è l’ateismo che pare preoccupare i credenti, oggi, quanto piuttosto l’indifferenza… «La cosa più pericolosa non è l’ateismo da mercato, quello di chi prende in giro i credenti.
Il dato più rischioso che come non credente vedo è la religione come ‘instrumentum regni’, così come la concepiva Spinoza o Machiavelli: il credo come strumento di conservazione.
È una tentazione da cui la Chiesa deve stare attenta, e che è molto presente nell’islam.
È la religione ridotta a forma politica, cioè Mosè e Maometto condottieri militari e politici.
È qui che sta la grandezza di Cristo e la forza della sua denuncia rispetto all’ebraismo del suo tempo.
Nel Novecento si è visto il pericolo delle religioni pronte a mettersi a disposizione di poteri politici in cambio di favori.
Mentre c’è stato, e fu importante, il fenomeno dei martiri dei grandi totalitarismi, soprattutto in ambito protestante».
E al mondo del pensiero cosa chiederebbe? «Vorrei che si pensasse in maniera più ‘difficile’.
Penso ancora alla Cattedra dei non credenti di Milano: riapriamo spazi e rifacciamo gesti di quell’audacia».
in “Avvenire” dell’11 febbraio 2010
La nuova SCUOLA spiegata ai genitori
Tuttoscuola presenta “La nuova scuola spiegata ai genitori” – edizione 2010, la Guida alle iscrizioni scolastiche.
Dopo il grande successo dell’anno scorso, con la distribuzione in tutte le edicole con il “Corriere della sera”, proponiamo la nuova edizione, aggiornata alle ultimissime novità, con una formula innovativa e di immediata disponibilità: scaricabile online dal nostro sito.
Con pochi click potrete ricevere e leggere comodamente la Guida sul vostro computer.
“La nuova scuola spiegata ai genitori” sarà infatti venduta esclusivamente in formato elettronico (in formato pdf) e spedita immediatamente all’email dell’acquirente al ricevimento del prezzo di acquisto (effettuabile con carta di credito con transazione sicura, o bollettino postale o bonifico bancario).
“La nuova scuola spiegata ai genitori” in formato elettronico ha un prezzo di soli euro 3,00 per le versioni specifiche per ogni grado di scuola (scuola dell’infanzia, scuola primaria, scuola secondaria di I grado, scuola secondaria di II grado) e di euro 5,00 per la versione integrale della Guida, che raggruppa tutti e quattro i gradi di scuola.
Per procedere subito all’acquisto, cliccare qui, o andare al catalogo dei nostri prodotti editoriali.
“La nuova scuola spiegata ai genitori”
Epocale.
Che l’aggettivo sia riferibile alla riforma della scuola secondaria superiore, come è stato utilizzato dal ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, o al taglio dei finanziamenti alla scuola pubblica, come è stato riattribuito dal segretario del PD Pierluigi Bersani, non c’è dubbio che le famiglie si trovano di fronte a novità rilevanti, anche in base alle quali devono iscrivere i loro figli al prossimo anno scolastico.
Queste novità però sono state oggetto da parte dei media di una trattazione giornalistica incentrata sullo scontro politico, sugli obiettivi di risparmio o sui tagli, e non sulle informazioni necessarie alle famiglie per effettuare scelte di studio consapevoli per i figli che si iscrivono alle prime classi di ogni grado di scuola.
Ma adesso la scelta non è più differibile: entro il 27 febbraio 2010 occorre procedere alle iscrizioni alla scuola dell’infanzia, alla scuola primaria e alla scuola secondaria di I grado; entro il 26 marzo alla scuola secondaria di II grado.
Tuttoscuola, la rivista da oltre 35 anni al fianco di insegnanti, genitori e studenti, dà una risposta a queste esigenze con la Guida “La nuova scuola spiegata ai genitori” edizione 2010, integralmente rinnovata, che quest’anno sarà distribuita in maniera innovativa, in formato elettronico, direttamente ed esclusivamente dal sito www.tuttoscuola.com, ad un prezzo compreso tra i 3 e i 5 euro.
La presentazione dell’opera è disponibile a questo link LA nuova SCUOLA spiegata ai genitori – Edizione 2010, mentre fin da ora è possibile acquistare (dalla pagina dedicata, o dal catalogo dei nostri prodotti editoriali) le Guide ai tre gradi (infanzia, primaria, secondaria di primo grado) di scuola, le cui iscrizioni terminano in febbraio.
Dalla prossima settimana sarà disponibile anche la Guida alla scuola secondaria di secondo grado, e la Guida nella versione integrale, comprendente tutti i gradi di scuola.
Per genitori, scuole, quattordicenni, e per tutti coloro che vogliono sapere di più sulla scuola che ci aspetta dal prossimo settembre, si tratta di un’opportunità imperdibile per avere un’informazione semplice, sintetica, precisa, aggiornata ed economica.
In più, se si sottoscrive un nuovo abbonamento ai nostri servizi (completo, solo rivista o solo Web), o se lo si rinnova o se ne anticipa il rinnovo, l’edizione completa dell’opera sarà in omaggio!
Alcol e giovani, connubio rischioso
Sempre più diffuso in Italia, l’uso e abuso di alcol coinvolge fasce crescenti di giovani e giovanissimi come emerge dalla lettura dei dati raccolti in un recente rapporto che il Governo ha pubblicato sul proprio sito.
Basato su dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità, messi a confronto con dati internazionali forniti dall’OMS e dall’OSSFAD, il rapporto contiene l’analisi delle criticità, delle cause e degli effetti, in rapporto all’età e al genere come emerge dagli esiti dell’indagine “Il Pilota” dell’Osservatorio Nazionale Alcol CNESPS e dai dati dello studio Multiscopo Istat.
L’ubriacatura negli ultimi dieci anni è assurta a modello sociale e di comportamento, spesso nascosta dietro i disvalori espressi dalla pubblicità che esaltano il valore positivo dell’alcol e in qualche modo favorita da una poco attenta vigilanza da parte della famiglia.
Il 41,7% dei ragazzi ed il 20,8% delle ragazze al di sotto dei 18 anni beve sino ad ubriacarsi, seguiti dai 19-24enni (18,8% dei maschi e 9,4% delle femmine) e dai giovani oltre i 25 anni (7,5% dei maschi e 5,5% delle femmine) tra cui si registra la più elevata percentuale di sobri.
Si beve di più nel fine settimana: al venerdì la percentuale di ragazze che dichiara di aver bevuto è del 37,2%, mentre i ragazzi sono il 52%; al sabato la percentuale di ragazze sale all’86%, mentre quella dei ragazzi aumenta fino all’86,3%; la domenica sera si beve meno con le ragazze attestate al 20,9% e i ragazzi al 20,7%.
In media, si bevono più di tre unità di alcool, considerando come unità un bicchiere da 125 ml di vino o una lattina da 33,3 cl di birra; la percentuale di giovani al di sotto dei 18 anni che beve appare preoccupante: i maschi sono il 41,7% del totale, le femmine sono il 20,8%.
I ragazzi più grandi sembrano più moderati: tra i 19 e i 24 anni bevono il 18,8% dei maschi e il 9,4% delle femmine.
I numeri tendono a diminuire ulteriormente con l’età: oltre i 25 anni beve il 7,5% dei maschi e il 5,5% delle femmine.
Il senso di moderazione che pare crescere con l’età non esime tuttavia le istituzioni e le famiglie dall’intervenire per far conoscere e mettere in guardia i giovani dai rischi dell’alcol che, anche a livello internazionale, è solo al 5° posto fra le droghe più pericolose con una sottovalutazione dei danni correlati.
La Costituzione più bella è quella scritta nel cuore
Così non posso non chiedermi, quali sono le cose che concorrono davvero, nell’educazione, a fare di un bambino un essere capace del vivere civile? Sono forse la grande quantità di corsi e discorsi che invadono da anni la scuola italiana — sulla tolleranza, sul multiculturalismo, su un generico irenismo, ed ora anche sulla Costituzione? Lo dubito, anzi ho la sensazione che tutta questa marea di ossessivo buonismo rischi di produrre effetti opposti.
Per quale ragione si deve rispettare il diverso, si deve preferire sempre la pace, si deve essere buoni quando è piuttosto evidente che il mondo è dei violenti e che la corruzione paga molto più dell’onestà? Ci salverà forse la conoscenza degli articoli della Costituzione da questo degrado? Credo che tutti questi corsi non siano molto diversi delle guarnizioni di una torta di gesso esposta nella vetrina di una pasticceria.
Ci sono ciliegine, canditi, panna montata, tutto sembra molto appetitoso ma in realtà, sotto quella torta, c’è solo una vuota anima di cartone.
Forse bisogna tornare a considerare il fatto che l’educazione ha bisogno soprattutto di due qualità: di semplicità e di coerenza.
La semplicità è la Cenerentola di tutte le teorie educative partorite negli ultimi decenni dai pedagoghi; come le sorelle della fiaba, l’hanno rinchiusa in un sottoscala e da lì si guardando bene di farla uscire.
La semplicità è guardare in faccia la natura dell’uomo e capire di cosa ha bisogno, questa natura, per crescere il più possibile armoniosamente.
La semplicità è fare capire che la vita è, prima di tutto, politically incorrect e che essere uomini vuol dire sapersi rapportare con la conflittualità e la contraddittorietà dei nostri giorni nei quali non sempre sventola l’iridata bandiera della pace.
In qualsiasi campo si operi, la via semplice è sempre la più difficile perché ci lascia inermi, sforbiciando via tutto ciò che non è essenziale, tutto ciò che allontana dal cuore del problema.
La patina di buonismo, del politically correct, evita di mettere a fuoco ciò che è più importante, e cioè che il male è dentro di noi, è una della nostre possibilità e che, per crescere, dobbiamo decidere in che modo rapportarci ad esso.
Si tratta di una scelta individuale che è in stretta relazione con l’idea di coscienza.
E la coscienza conduce a quel nucleo misterioso dell’uomo che lo rende essere capace di libertà.
È questo che ci differenzia dalle scimmie antropomorfe, con le quali pur condividiamo una gran quantità di codici etologici.
Entrambi abbiamo impressi nei nostri geni i comportamenti che ci consentono di creare una comunità stabile e di mutua assistenza, con la differenza che, da loro, comanda il maschio adulto e più abile nel tenere insieme il gruppo mentre da noi, purtroppo, anzianità di anni e saggezza di governo non vanno sempre di pari passo.
Crescere vuol dire saper scegliere e sapere che, scegliendo, si rinuncia a qualcosa.
Ma sono proprio quelle rinunce a costruire l’impalcatura solida della vita.
In un mondo bulimico che sempre più prospetta l’esistere come una corsa convulsa in cui afferrare più cose e più occasioni possibili, in cui ci viene proposto di essere tutto e il contrario di tutto, e che questo sia conciliabile, il discorso della scelta diventa quanto mai necessario.
La scelta, naturalmente, richiede l’entrata in campo di un’altra grande derelitta di questi tempi, la volontà.
È la volontà che ci permette di scegliere, che ci permette di costruire e di dare un senso preciso ai nostri giorni.
Senza esercizio della volontà, la nostra vita diventa qualcosa di non molto diverso da quella degli oggetti di plastica che cadono nei fiumi e vengono trascinati dalla corrente fino ad arenarsi in un’ansa.
È vero, viviamo in tempi complessi, tempi in cui avvengono mutazioni di portata straordinaria e queste mutazioni ci intimoriscono, ci fanno temere che le vie usuali dell’educazione non siano più in grado di creare gli uomini di domani.
Ed è forse proprio questo timore a far proliferare sistemi educativi sempre più farraginosi e astrusi, sempre più omologanti, volti a inseguire il nuovo, qualunque esso sia.
Quest’ansia, però, ci fa dimenticare che la natura profonda dell’uomo è sempre la stessa e che costruire senza aver prima fissato le fondamenta dell’etica vuol dire innalzare possenti edifici sulla sabbia.
Ricordo una serata trascorsa con un bambino di sette anni.
Tra un discorso sui Gormiti e uno sugli Invincibili, non ricordo come, ci siamo trovati a parlare del bene e del male e del senso che essi avevano nelle nostre vite.
Scegliere il bene vuol dire scegliere la vita, gli ho detto, costruire un mondo in cui le persone imparano, anche sbagliando, a volersi bene, scegliere il male vuol dire invece scegliere la morte, scegliere la menzogna che si insinua nei giorni, falsificando i rapporti e trasformando l’amore nel ghigno di una maschera.
«Io voglio essere buono.
Che cosa devo fare?» mi ha chiesto a un certo punto.
Ci siamo seduti allora sul divano e abbiamo ragionato a lungo su tutto ciò che, nella sua vita di bambino, portava al male o al bene.
«C’è una voce dentro di te», gli ho detto.
«E questa voce ti dice quello che è giusto e quello che è sbagliato.
Tu devi imparare solo ad ascoltarla».
A quel punto lui, altrimenti iperattivo, si è sdraiato, ha chiuso gli occhi e, con un sorriso beato, ha detto: «Questo per me è un momento bellissimo» e si è addormentato.
Sì, è davvero un momento bellissimo per i bambini capire che il bene e il male sono in noi e che, in noi, c’è sempre la voce della coscienza ed è questa voce che ci spinge a scegliere.
in “Corriere della Sera” del 18 novembre 2009 Leggendo, nei giorni scorsi, la notizia e i commenti sull’inserimento » del nuovo corso di «Cittadinanza e Costituzione» nelle scuole di ogni ordine e grado, mi sono trovata a fare alcune riflessioni.
Nei miei anni di scuola si studiava educazione civica, materia in realtà alquanto negletta anche dagli insegnanti che il più delle volte preferivano assorbirla nelle materie più importanti — italiano, storia, latino — sempre in affanno sui tempi nel programma.
Non conosco dunque la Costituzione, e confesso di non averla mai letta neppure in seguito, malgrado ciò mi considero una persona che continua, nonostante le vicende pietose che ci circondano e ci avviliscono, a rispettare le leggi dello Stato, a credere nell’importanza del bene comune e ad amare il mio Paese, pur rattristata dalla vergogna a cui tutti i cittadini per bene — che sono, per fortuna, la maggioranza — vengono sottoposti da una classe politica il cui primo tratto, al di là delle parti, sembra essere quello dell’immaturità.
In Usa boom dei libri elettronici
SCOMPARSA – Scrive il Washington Post: «I tomi pesanti che ci portavano dietro sembrano destinati a scomparire».
Al momento, le vendite dei libri elettronici sono solo l’1,5 per cento del totale.
Ma Steve Haber, un dirigente della Sony, ritiene che raggiungeranno presto il 50 per cento: «I miei nipoti», riferisce, «non prendono più in mano un libro.
Accade in tutte le famiglie dei miei amici».
E aggiunge che in America si compra ormai il 20 per cento dei libri online.
Conclude Haber: «Le mega catene di librerie sanno quale sarà il mercato del futuro, stanno lanciando i loro lettori elettronici, stanno mettendo a disposizione dell’acquirente i titoli di cui dispongono».
PREZZI – Il prezzo non è modico, va dai 200 dollari in su, ma l’iniziativa ha un successo enorme.
Un’analista, Sarah Rotman Epps, ha detto al Washington Post che con Kindle la Amazon ha innescato un trend che rivoluzionerà l’editoria.
«È anche questione di soldi: in media un nuovo best seller costa 15 dollari se stampato, ma solo 8 dollari se elettronico, una differenza sostanziosa».
Ne soffrono persino i tascabili, le cui vendite allo scorso agosto sono scese del 9 per cento.
Secondo l’analista, gli entusiasti dei libri elettronici ne leggono 3–4 al mese, hanno dai 40 ai 50 anni, un reddito annuo di oltre 100 mila dollari, e usano quotidianamente’internet: «I loro figli», afferma, «ne seguiranno in massa l’esempio.
Avremo un boom simile a quello delle foto digitali».
Il re del settore è l’ultimo Kindle, che contiene 1.500 titoli, ciascuno dei quali può essere scaricato in appena 60 secondi.
Ginny Wolfe, una private contractor che lavora in Afganistan, lo ha voluto con sé: «Una volta partendo mi riempivo una valigia di libri.
Adesso il Kindle mi offre più di quanto abbia bisogno».
È la fine della editoria tradizionale? Non secondo lettori come Hilton Henderson: «Per me leggere un libro su uno schermo à come fare sesso cibernetico», protesta Henderson.
Haber, il dirigente della Sony, lo contesta: «Prendete in mano un lettore elettronico e vedrete che qualche ragazza vi avvicinerà subito».
Ennio Caretto 05 novembre 2009 È il boom dei libri elettronici.
L’anno scorso, nonostante la crisi finanziaria ed economica, le loro vendite sono salite del 68,4 per cento e quest’anno, allo scorso agosto, di ben il 177 per cento.
Inoltre i libri elettronici hanno invaso le biblioteche pubbliche, e quella di Amazon, Kindle, è diventata la favorita dei giovani.
Mentre l’editoria tradizionale ha registrato una battuta d’arresto, quella elettronica prevede di arrivare a 10 milioni di lettori.
È una parte modesta del mercato, ma l’unica in inarrestabile espansione.
Da internauti a “infonauti”
GUARDA LE TABELLE I giovani sono protagonisti importanti di questa dinamica.
In sette casi su dieci utilizzano quotidianamente internet per informarsi, al pari della Tv.
E molto più del giornale cartaceo (19%) o del satellite (37%).
E’ un dato interessante se consideriamo che vengono spesso rimproverati di informarsi poco.
Evidentemente bypassano i canali tradizionali ricorrendo alla rete.
Tutto questo avviene, secondo l’indagine Demos-Coop, nel quadro di un utilizzo più diffuso delle tecnologie digitali per informarsi.
Rispetto al 2007 è aumentato l’uso della Tv satellitare e, del digitale terrestre (dal 19% al 41%: +22 punti percentuali, dovuto anche al passaggio di alcune regioni a questa tecnologia) e di Internet (+13 punti percentuali, dal 25% al 38%).
Gli altri media – tv, radio, stampa quotidiana e settimanale – sembrano ormai aver raggiunto un livello di saturazione.
I più giovani sono nativi digitali, come li ha definti Marc Prensky.
Sono fruitori “impegnati” di questa tecnologia.
Il 74% di chi ha un’età compresa tra 15 e 24 anni (+19 punti percentuali rispetto al 2007) e il 63% di quelli tra 25 e 34 anni (+15 punti percentuali rispetto al 2007) dichiarano che per informarsi utilizzano internet “tutti i giorni”.
Questo stile, come prevedibile, si riduce progressivamente nelle successive coorti di età.
Fino ad arrivare al 7% tra quanti hanno superato i 64 anni.
Ciò è dovuto al fatto che le risorse individuali necessarie a fare di internet uno strumento di uso quotidiano – non solo di informazione ma anche di lavoro e svago – sono meno disponibili presso i settori più adulti della popolazione.
I quali privilegiano la Tv o i giornali.
La radio, invece, sembra essere utilizzata in particolare da chi ha un’età compresa tra 35 e 44 anni.
I giovani internauti, dunque, non utilizzano solo chat, social network, blog, e-mail.
Ascoltano la radio e guardano la tivù in streaming, leggono i giornali on-line.
La rete è diventata la chiave di accesso a diverse fonti informative.
Internet caratterizza il loro stile di informazione, per questo oltre a internauti potremmo definirli info-nauti.
Ma qual è il loro profilo? Si osserva una maggior presenza di persone di genere maschile, con un grado elevato di scolarizzazione, di studenti, dirigenti e impiegati.
Relativamente all’identità politica appare più pronunciata quella di centrosinistra.
Dall’indagine si rileva una significativa differenza generazionale nell’approccio agli strumenti di informazione.
Gli utenti più anziani tendono ad essere fruitori “passivi”, si affidano alla rigidità dei palinsesti della tv tradizionale e delle pagine stampate dei quotidiani cartacei.
Gli info-nauti invece valorizzano l’interattività e la flessibilità dei sistemi digitali di informazione.
Sono fruitori “attivi”, che costruiscono in modo individualizzato l’approccio ai new media.
Un altro punto importante che emerge dall’indagine riguarda il nesso democrazia e comunicazione; i cittadini intervistati ritengono che indipendenza e libertà di informazione oggi appartengano in primo luogo alla rete internet (35%).
Poi alla Tv (25%), quindi ai quotidiani (20%).
Generalmente nella credibilità di un media si riflette la conoscenza e l’utilizzo dello stesso.
Per questo il dato su internet appare particolarmente significativo, perché è meno utilizzato della Tv (87% vs.
38%), ma nonostante ciò viene ritenuto più democratico.
Detto in altri termini: si guarda la Tv ma non ci si fida troppo.
Come prevedibile dietro questa opinione è fondamentale il fattore età.
Indicano la Tv come canale più libero e indipendente il 18% dei giovani (15-24 anni), dato che cresce progressivamente fino a raddoppiarsi negli over 64 (34%).
Tendenza inversa, e più accentuata, per quanto riguarda internet: per il 59% dei giovani è lo strumento di informazione più democratico, idea condivisa solo dal 6% dei più anziani.
Gli info-nauti, in modo compatto e ben più della media (57% vs.
35%), valorizzano il potenziale democratico di internet.
Ma presentano anche orientamenti diversi su specifiche questioni politiche.
Gli info-nauti di sinistra esprimono un giudizio più severo sul tema della libertà di informazione in Italia: l’87% ritiene che il conflitto di interesse che riguarda il premier Berlusconi “danneggi la libertà di informazione”.
La stessa quota (87%) sostiene inoltre che questa situazione “condizioni la politica”.
Si fermano invece al 26% e al 42% gli info-nauti di destra che condividono queste due opinioni.
Inoltre, gli info-nauti di sinistra si dicono più interessati alla politica, guardano meno la televisione e, conseguentemente, si informano meno attraverso questo media (compreso il satellite e il digitale terrestre).
Seguono di più i giornali e la radio.
Da un lato, quindi, i giovani si fanno promotori di innovazione, privilegiando la rete come arena del confronto democratico.
Dall’altro, sono anche portatori di elementi tradizionali.
Le classiche fratture ideologiche si riflettono infatti nel mondo dei nuovi media.
Gli info-nauti si configurano come estensione, nel virtuale, della politica reale.
Repubblica (29 ottobre 2009) La tecnologia digitale ha rivoluzionato il modo di informarsi degli italiani.
L’utilizzo di internet e della Tv satellitare è in continuo aumento.
Ma tenersi al corrente su questioni di pubblico interesse vuol dire prendere parte alla vita di una comunità.
Significa essere cittadini, partecipare.
Oggi, dunque, il nesso tra Internet e informazione (e politica) desta, più che in passato, attenzione e interesse.