Multireligione, linguaggio e traguardi di competenza nell’IRC

L’Istituto di Catechetica organizza annualmente una Giornata di Studio riservata a docenti di Pedagogia Religiosa e Catecheti, che coinvolge esperti a livello nazionale e gode del loro apprezzamento. Dedichiamo la giornata di studio alle provocazioni, cui l’Irc è chiamato a far fronte nel contesto attuale.

Ha come tema: Multireligione, linguaggio e traguardi di competenza nell’IRC. La giornata si realizzerà sabato 24 novembre 2012 presso l’Università Pontificia Salesiana dalle 9.00 alle 18.00.

Il contesto scolastico diventa sempre più vistosamente plurireligioso. L’attuale orientamento pedagogico e didattico quale consapevolezza ne prende, quale attenzione vi dedica? Le attuali ‘Indicazioni Nazionali’ offrono contributi significativi?

Inoltre la scuola va privilegiando ‘le competenze’ da identificare e promuovere in tutte le discipline. La religione ha un proprio e peculiare linguaggio difficilmente traducibile in ‘competenza’. Si profila il rischio di cogliere solo tangenzialmente la dimensione religiosa nell’elaborazione dei traguardi di competenza, che ciascuna disciplina è chiamata a perseguire.

Ci pare particolarmente urgente una riflessione e una verifica puntuale e tempestiva sulle nuove esigenze che si impongono per consentire all’IRC di stare nella scuola con un proprio apporto, senza compromettere le sue specifiche connotazioni e la sua identità.

Pensiamo ad un dialogo aperto, scandito da alcuni imputs sintetici e orientativi.

Sono previste le seguenti relazioni:

– Contesto plurireligioso e apprendimento                              Prof.  Castegnaro A.

– Profilo religioso della studente                                                  Prof.ssa Feliziani Kannheiser F.

– Il linguaggio nell’Irc                                                                       Prof. Moral J.L.

– Le Indicazioni Nazionali e i traguardi di competenza        Prof. Cicatelli S.

– Nella programmazione operativa                                              Prof. Romio R.

Naturalmente saremo onorati della tua presenza e contiamo sull’apporto che puoi offrire alla riflessione e alla migliore comprensione del tema.

Sono graditi anche eventuali contributi personali (un paio di cartelle) da inserire con le Relazioni.

Le adesioni e i contributi vanno comunicati entro il 15 novembre via E-Mail a: pastore@unisal.it.

Siamo lieti di averti ospite a pranzo.

Preghiamo quanti devono arrivare la sera di venerdì 23 novembre di segnalarlo per tempo, dal momento che non siamo sicuri di poter avere camere a disposizione nella struttura della Università.

Con viva cordialità e amicizia

Corrado Pastore                                                                      don Zelindo Trenti

Direttore dell’Istituto                                                                  Coordinatore

 

VISUALIZZA: Programma

Convegno internazionale: la tutela dei minori. Buone pratiche relazionali”

Raccontare le “buone idee” e le “esperienze che funzionano”, per dare stimolo e strumenti a “quegli operatori che raccolgono la scommessa di voler continuare a lavorare sul campo, e a lavorare bene”.

Questo l’intento del 4° Convegno internazionale sulla qualità del welfare, “La tutela dei minori. Buone pratiche relazionali”, organizzato dal Centro studi Erickson e che si terrà a Riva del Garda (Trento) dall’8 al 10 novembre.

L’appuntamento si rivolge ad assistenti sociali, educatori, magistrati, psicologi, neuropsichiatri infantili, insomma a tutti gli operatori che hanno a che fare con situazioni di gravi difficoltà nelle quali sono coinvolti i minori e le loro famiglie.

Incontro e confronto. “Vogliamo offrire una possibilità d’incontro e di confronto agli operatori del settore – spiega al Sir Maria Luisa Raineri, coordinatore scientifico del Convegno, assistente sociale e docente – raccogliendo buone prassi e proponendo riflessioni”.

La chiave di lettura degli aspetti positivi è già stata sperimentata in un analogo convegno tenuto nel 2010: lì, riporta la presentazione dell’iniziativa, “abbiamo iniziato a esplorare l’idea che i percorsi di tutela minorile, per risultare davvero efficaci, vadano costruiti partendo dal punto di vista e dai punti di forza dei minori e delle famiglie interessate”.

Il convincimento è che “le famiglie, anche e soprattutto quelle in difficoltà”, vadano “ascoltate per poter costruire progetti di aiuto che siano davvero praticabili per loro, dal loro punto di vista”. “Lavorare insieme” per “valorizzare il positivo” che si trova anche nelle famiglie in difficoltà è un imperativo per Raineri, che riprende i dati sugli affidi del Centro nazionale per l’infanzia e l’adolescenza: nel 2009 sono stati 32.400 i minori dati in affidamento familiare o accolti nei servizi residenziali; tra le motivazioni, ai primi posti figura una difficoltà educativa da parte della famiglia d’origine, gravi problemi di un genitore o la conflittualità tra i due genitori, che pure recenti casi di cronaca hanno portato alla ribalta.

Esempi di buone pratiche. In effetti, sono molte le buone pratiche che si sperimentano, in Italia o altrove, in questo settore.

Al Convegno del 2010, ad esempio, furono presentati contributi significativi sulle “family group conference”, “incontri – precisa la coordinatrice – organizzati con tutte le figure di riferimento di un bambino o ragazzo che ha un provvedimento di tutela”, al fine di ottimizzare le risorse di cui il minore può disporre, da qualsiasi parte provengano.

Una modalità, racconta Raineri, “diffusa in tutto il mondo, e di cui sono partite sperimentazioni in Italia proprio dopo la presentazione”. Altro esempio, l’operatore-portavoce, ovvero “una figura che ascolta il bambino, o il ragazzo, affinché questi possa dare il suo parere sui problemi che lo riguardano”: pure questa è una pratica che “appartiene – sottolinea – alla tradizione del servizio sociale internazionale, ma della quale non vi è traccia nel nostro Paese”. Terzo, “i gruppi di auto-mutuo aiuto per i genitori i cui figli sono destinatari di un provvedimento di tutela, o che sono stati adottati da altri”, alla stregua dei gruppi di famiglie affidatarie e adottive.

Spesso, infatti, “non si pensa a quale stigmatizzazione ci sia nel dire che il proprio figlio è in affidamento: i servizi sociali non devono solo tutelare il minore, ma pure aiutare i suoi genitori a ‘rimettersi in sesto’ per poi riaccogliere il figlio”.

Un “sostegno sostenibile”. Le buone pratiche, quindi, non mancano, e sono tanto più necessarie quanto più scarseggiano le risorse economiche. “Veniamo da una tradizione – osserva Raineri – d’interventi costosi e pesanti. Ma, se non si trovano modalità alternative, il rischio è che i fondi ci siano solo per i casi più gravi, lasciando perdere tante altre situazioni che però, così facendo, rischiano di deteriorarsi sempre più”.

La coordinatrice del Convegno parla di “sostegno sostenibile” per definire tutte quelle forme di supporto che tendono a valorizzare le risorse presenti – pure quelle, seppure scarse, delle famiglie d’origine – e che alla lunga producono “interventi più efficaci e tendenzialmente meno costosi”. “È perdente pensare di allontanare il minore e poi, in un secondo tempo, aiutare la famiglia”; viceversa, “è sempre più importante che l’operatore abbia lo sguardo rivolto a tutta la famiglia e l’accompagni passo dopo passo, se possibile assieme al loro figlio”.

INFORMAZIONI SUL CONVEGNO:

http://www.fabiofolgheraiter.it/convegni

UN’AGENDA PER LA FAMIGLIA: LAVORO E SCUOLA

In Umbria il primo dei 16 Convegni pubblici regionali promossi dall’Ac

Sabato 3 novembre 2012 a Foligno, presso l’Istituto San Carlo, con inizio alle ore 16.30, si terrà il primo dei 16 Convegno pubblici regionali promossi dalla Presidenza nazionale dell’Azione Cattolica Italiana congiuntamente alle Delegazioni regionali dell’associazione allo scopo di offrire un contributo alla fase di preparazione alla prossima Settimana sociale dei cattolici italiani, in programma a Torino dal 12 al 15 settembre 2013.

Si tratta di occasioni di discernimento e confronto con la società civile e con le istituzioni del territorio a partire dagli argomenti che saranno oggetto di riflessione durante i lavori dell’assise torinese.

Il tema di questo primo incontro pubblico regionale è “Un’agenda per la famiglia: lavoro e scuola”.

Interverranno Luca Diotallevi, vice presidente delle Settimane Sociali, Marcello Rinaldi, dirigente dell’Istituto Agrario di Todi, Valentina Di Maggio, responsabile del “Progetto Policoro” della diocesi di Assisi-Nocera-Gualdo, e Ulderico Sbarra, segretario regionale della Cisl. Le conclusioni sono affidate al presidente nazionale dell’Ac, Franco Miano, e al vescovo della diocesi di Foligno, mons. Gualtiero Sigismondi.

Come sottolinea Stefano Sereni, delegato regionale Ac Umbria, «in questo momento di grave crisi economica e occupazionale, come Azione Cattolica riteniamo opportuno un momento di discernimento che possa portare a un nuovo impegno come cittadini, affinché scuola e lavoro possano trovare nuove sinergie e idee di sviluppo, in una regione dove non mancano uomini e donne di buona volontà pronti a confrontarsi e a impegnarsi affinché le famiglie possano tornare a guardare con speranza al futuro, e al futuro delle nuove generazioni in particolare».

«Una nuova fase di sviluppo non solo economico potrebbe passare – rileva ancora Stefano Sereni – attraverso una diversa considerazione e un diverso impegno verso gli Istituti Tecnici Superiori, che fino a qualche decennio fa sfornavano ragazzi con una buona possibilità di collocazione sul territorio. Una diversa formula della formazione professionale e un utilizzo più efficace dei fondi che le Regioni mettono a disposizione potrebbero dare maggiori possibilità occupazionali a tanti nostri giovani, che senza un lavoro degno di questo nome difficilmente riusciranno nel progetto di formare una nuova famiglia».

* Ulteriori informazioni saranno disponibili collegandosi al sito:
http://www2.azionecattolica.it/conv-pub-reg-2012-13

“Catechesi con arte”: Speciale giovani

Le Missionarie della Divina Rivelazione presentano il nuovo itinerario di arte e fede dedicato interamente alle nuove generazioni, in occasione dell’Anno della Fede

di suor Rebecca Nazzaro, 
superiora delle Missionarie della Divina Rivelazione

Amore e fede, viaggi e conversione, santità e martirio, apostoli e primato di Pietro…. Cosa vogliono dire queste parole alle menti dei giovani, o azzarderemo, ai loro cuori?

Resta forse inconcepibile oggi far coesistere fede e amore, come splendidamente, ma non senza difficoltà, fecero gli sposi Cecilia e Valeriano. O ancor più strano può sembrare parlare di San Paolo che dopo tutti i suoi viaggi per convertire i pagani, spendendo la sua intera vita per Cristo, si ritrova solo in una minuscola prigione a scrivere le ultime righe prima di partire da questo mondo verso Gesù.

Come poter parlare poi di Pietro che dal lago della Galilea si ritrova a Roma, a morire per un Uomo che aveva detto essere il Figlio di Dio e che affidò solennemente a questo povero pescatore, la Sua Chiesa?

Queste persone possono veramente dire ancora qualcosa ai giovani del terzo millennio? Hanno lasciato tutto, hanno seguito Gesù Cristo, ma non solo, lo hanno amato fino a versare il loro sangue per Lui. Cosa vuol dire tutto questo? Cosa hanno capito queste persone tanto da agire così estremamente?

L’itinerario che proponiamo ai giovani cattolici – e non solo – consiste nel cercare di dimostrare attraverso l’arte, come tutto ciò non abbia “sapore di passato”, ma di un presente proteso verso un futuro al di là di noi.

E’ proprio conducendo i nostri giovani sui luoghi dove questi Santi hanno vissuto e testimoniato la loro fede che ci daremo tutte le risposte necessarie, cercando dunque di comprendere perché questi Santi hanno ritenuto che morire per Cristo non è stata una perdita, bensì un “guadagno”!

Per maggiori informazione sulle date e gli incontri, consultare il sito: www.divinarivelazione.org

Come insegnare la religione con l’arte

Tra le tante proposte per una nuova evangelizzazione e per un insegnamento della religione che sia strettamente connesso ad un progetto culturale, ha destato grande interesse la pratica di alcuni insegnanti di utilizzare le arti visive.

Una vera e propria catechesi della bellezza che mentre fa conoscere e spiega e svela il mistero di capolavori artistici, pittorici, architettonici, scultorei, allarga gli orizzonti verso il sacro e il divino.

A questo proposito le suore Maria Luisa Mazzarello e Maria Franca Tricarico, docenti alla Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”, hanno curato e pubblicato un cofanetto di cinque volumi edito da Il Capitello ed Ellenici, con il titolo “Insegnare la religione con l’arte”.

Secondo suor Mazzarello: “Comunicare la fede percorrendo la via della bellezza è certamente avvalersi più di una opportunità per incontrare e penetrare il mistero”.

L’arte – ha aggiunto – è parola silenziosa ed eloquente per incontrare Dio. L’arte, infatti, è luogo teologico, espressione della fede attraverso le formule iconografiche. L’arte è la via del concreto che apre alla comprensione del trascendente”.

Per approfondire un tema di così grande attualità e interesse ZENIT ha intervistato suor Maria Franca Tricarico.

Come è possibile insegnare religione seguendo percorsi artistici?

Nel supertecnologico XXI secolo la Chiesa non manca di richiamare l’attenzione sulla rilevanza del linguaggio dell’arte cristiana il cui scopo, oggi come nel passato, è quello di ‘demonstrare invisibilia per visibilia’  cioè ‘spiegare le cose invisibili attraverso quelle visibili’.

Dall’esperienza in aula e dialogando con gli insegnanti, risulta che il ricorso all’arte è una strada percorribile. L’arte – come aveva scritto Giovanni Paolo II nella Lettera agli artisti – è per sua natura una sorta di appello al Mistero. L’arte, dunque, è un linguaggio che attraverso le forme simboliche svela agli alunni, non solo a quelli della scuola superiore, ma anche a quelli della scuola dell’infanzia, le “cose di Dio”. I nostri ragazzi oggi, sono un po’ come quegli “illetterati” di cui parlava Gregorio Magno i quali vedendo comprendevano. Lo stesso vale a scuola. L’esperienza ci dice che per i ragazzi un’immagine è più eloquente del solo discorso che va comunque ricuperato, forse proprio a partire da un’opera d’arte.

In definitiva, il percorso artistico nell’insegnamento della religione significa riappropriarsi della tradizione antica, significa ri-attualizzarla; significa considerare l’arte quale “testo” che ri-dice la parola di Dio e, nel caso dell’arte contemporanea, quale “testo” che lascia intravedere il religioso e la dimensione spirituale anche attraverso la precarietà esistenziale dell’uomo.

In concreto, in aula le opere d’arte vanno proposte come testo-documento, come esegesi pratica, come esegesi figurativa della Scrittura. Operativamente, per l’analisi delle opere, si può prevedere

▪ la presentazione e l’osservazione dell’opera d’arte: si sollecitano i ragazzi a guardare con attenzione tutti gli elementi presenti nell’opera proposta e ad elencarli (descrizione preiconografica);

▪ il passaggio dalla descrizione dell’opera all’interpretazione simbolica: si sollecitano i ragazzi a scoprire che tutti gli elementi presenti nelle opere di diverse epoche hanno un preciso intento comunicativo, e a tentarne un’interpretazione; si provocano interrogativi che consentono di formulare ipotesi di significato da convalidare alla luce di varie fonti, in particolare il testo biblico come fonte privilegiata. Tutto questo per scoprire gli elementi di significato di cui il testo-arte è portatore (analisi iconografica e interpretazione iconologica).

Inoltre, si può pure prevedere la riespressione dei contenuti trasmessi dall’opera d’arte mediante la produzione dei ragazzi: è il momento di verifica delle competenze acquisite in ordine alla lettura e alla comprensione dell’opera d’arte la quale nasce sempre da un’idea biblico-teologica che si materializza in personaggi, forme, colori, volumi, disposizioni spaziali, ecc. I ragazzi sono invitati ad assumere i seguenti atteggiamenti: silenzio immaginativo, esternazione delle proprie idee, dialogo, produzione individuale e/o di gruppo. In questo modo la classe si costituisce quale “bottega d’arte” dove viene potenziata l’immaginazione e la creatività attraverso processi di reinterpretazione e di rielaborazione.

Un’importante attenzione didattica va rivolta alla scelta delle opere. Si escluderanno opere in cui prevalgono dettagli inutili e l’effetto scenografico; come pure quelle che “infantilizzano” il Mistero. Si sceglieranno invece opere che si propongono per la loro semplicità ed essenzialità, come pure opere che penetrano la Sacra Scrittura, la ri-dicono, la interpretano e l’attualizzano.

Una tale scelta deriva dalla consapevolezza che l’arte è un testo complesso non nel senso di difficile, ma nel senso che racchiude una molteplicità di elementi riconducibili a vari aspetti del dato cristiano. L’attenzione pedagogica e didattica che si richiede è allora quella di proporre agli alunni espressioni artistiche a seconda della loro età e delle loro capacità cognitive ben sapendo che ogni traccia, ogni espressione dell’arte cristiana è un testo che può essere letto, compreso e interpretato a vari livelli.

In definitiva, la via dell’arte cristiana nell’azione didattica è percorribile anche se richiede da parte dell’insegnante una particolare “attrezzatura” cognitiva e la passione per l’arte. Tutto ciò si acquista con una continua formazione e contemplazione.

Per questo, nel corso degli anni, con una mia collega, ho curato la pubblicazione dei sette testi della Collana “Insegnare Religione con l’Arte” (Elledici) il cui scopo è appunto quello di aiutare gli insegnanti nella loro formazione. Questi testi sono indirizzati anche agli studenti degli Istituti Superiori di Scienze Religiose e ai Catechisti.

zenit del 5/09/12

Le Indicazioni per l’Irc nel Sistema Educativo di Istruzione e Formazione

Anche quest’anno si è svolto il laboratorio riservato ai Direttori/Responsabili diocesani dell’Irc, nominati nell’arco dell’ultimo quinquennio. Mercoledì 13 giugno 2012, a Roma presso il “Centro Congressi” della CEI sito in via Aurelia 796, dalle ore 10,00 alle ore 17.00, sul tema “Le Indicazioni per l’Irc nel Sistema Educativo di Istruzione e Formazione”.

Oltre alla gestione quotidiana del lavoro d’ufficio, legata spesso a questioni di tipo istituzionale, ci si trova impegnati anche nella progettazione della proposta formativa al fine di offrire un’Irc sempre di qualità. Naturalmente, per far questo, bisogna puntare su insegnanti di religione cattolica davvero preparati, che possano essere una risorsa culturale non solo per la scuola, ma anche per la stessa diocesi. Questi insegnanti, per i contenuti che affrontano e per la modalità d’approccio alle domande di tipo religioso, sono oggi, nella scuola, espressione di quell’attenzione culturale della Chiesa che si vorrebbe maggiormente evidente.

Curare la formazione in servizio degli Idr significa, da una parte, cogliere le esigenze formative dei docenti e, dall’altra, progettare consci del nuovo assetto scolastico e delle indicazioni dell’Irc.Lo stile laboratoriale adottato negli ultimi incontri si è rivelato molto vantaggioso, di fatto ha consentito ai partecipanti non solo di confrontarsi su temi all’ordine del giorno in un ufficio/servizio diocesano, ma anche di esercitarsi a costruirne l’impegno secondo alcune coordinate di riferimento.

E’ possibile scaricare il programmal’esonero del MIUR.


Le Relazioni

Introduzione ai lavori , Mons. Vincenzo Annicchiarico 

1. Lo statuto epistemologico dell’Irc, Prof. Sergio Cicatelli                       

2. Lettura in verticale delle Indicazioni per l’Irc: progressivo approfondimento dei contenuti fondanti, Don Cesare Bissoli

3. Introduzione all’attività laboratoriale: “Progettare per competenze a partire dalle Indicazioni per l’Irc e dalle esigenze formative degli Idr”, Prof.ssa Rita Minello

“Lascia perdere chi ti porta a mala strada” documentario su Don Puglisi

Martedì 3 luglio Rai1 trasmette un documentario con testimonianze inedite – tra cui quella del killer – su don Pino Puglisi, per il quale Be­nedetto XVI ha approvato il 28 giugno il decreto di riconoscimento del marti­rio in odio alla fede.

Un martire che parla in tv, che con pacatezza e fermezza chiede la scuola per il quartiere, s’indigna perché ci sono adolescenti che non sanno nemmeno mettere la firma e nel rione Brancaccio mancano i servizi es­senziali.
Fa un certo effetto sentir parlare don Pino Puglisi con la sua voce, in un video dei primi anni ’90. Lui, così allergico ai riflettori, lavorava nel silenzio del quo­tidiano, in una parrocchia di periferia, dove «in appena tre anni di attività ha innescato una rivoluzione culturale» ri­corda il cardinale Paolo Romeo, arcive­scovo di Palermo. Per questo è stato uc­ciso, racconta con un passamontagna sul viso Salvatore Grigoli, il killer reo­confesso del parroco di San Gaetano, ucciso a Brancaccio il 15 settembre 1993 e prossimo alla beatificazione.

La vitti­ma e il carnefice parlano con la loro vo­ce nel documentario Lascia perdere chi ti porta a mala strada , firmato dai regi­sti Pino Nano e Filippo Di Giacomo, che sarà trasmesso oggi su Rai1 alle 23.10 e che è stato presentato ieri a Palazzo del­le Aquile dal sindaco Leoluca Orlando, dal cardinale Romeo, dal suo ausiliare monsignor Carmelo Cuttitta, dal pro­curatore generale di Catanzaro, il pa­lermitano Santi Consolo, da Marco Si­meon, responsabile di Rai Vaticano, e A­lessandro Casarin, direttore della Tgr.
Una presentazione che cade proprio nell’anniversario di ordinazione sacer­dotale di don Puglisi, per il quale Be­nedetto XVI ha approvato il 28 giugno il decreto di riconoscimento del marti­rio in odio alla fede.

Filmati di reperto­rio, foto di famiglia, immagini girate da parrocchiani, testimonianze inedite, partendo dal lungo racconto che fa di quella sera l’assassino. Tra le testimo­nianze che lo speciale ripropone, quella di uno dei fratelli di don Pi­no, Francesco Puglisi («anche se lo faranno santo…a me manca da vent’anni il mio dolce fratello…») e di suor Carolina Iavazzo, braccio destro del sacerdote per tre anni. E ancora il filosofo Massimo Caccia­ri, il postulatore della causa di bea­tificazione, monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanza­ro, che definisce l’impegno pastorale e umano di padre Puglisi «un monu­mento alla libertà». Uno speciale che il sindaco Orlando si impegna a diffondere nelle scuole pa­lermitane «perché possa raggiungere il maggior numero di persone. Ricorda­re don Pino Puglisi è un invito a guar­dare oltre le apparenze e a cogliere la meravigliosa normalità di un martire».

Avvenire, martedì 3 luglio 2012

Festival internazionale del cinema cattolico

“Un’occasione privilegiata per accogliere una domanda antropologica di senso che sale dal cuore di ogni uomo”.

Questa la definizione che mons. Franco Perazzolo, del Pontificio Consiglio della cultura, offre di “Mirabile dictu”, il festival internazionale del cinema cattolico la cui terza edizione (Roma, 2/5 luglio) .

Un festival, ha precisato mons. Perazzolo, che “offre la possibilità, in un momento così difficile, di una sosta per riflettere”. Nel corso del festival, indipendente e patrocinato dal Pontificio Consiglio della cultura, sarà scelto dalla giuria, presenziata dal card. Gianfranco Ravasi, il film vincitore tra i 1.124 che hanno concorso.

Obiettivo dell’iniziativa è “dare spazio a chi ha lo slancio di fare film che sviluppano storie e personaggi con valori positivi”, ha sottolineato Liana Marabini, presidente del festival. “I film cattolici – ha aggiunto – hanno vita molto dura nell’industria del cinema”: per questo “il festival si propone come un palcoscenico privilegiato”, ha detto Marabini.

La manifestazione è stata inaugurata lunedì 2 luglio col congresso internazionale “Cinema e nuova evangelizzazione”, patrocinato dal Pontificio Consiglio della cultura, che per 18 mesi toccherà, dopo Roma, dieci città in tutto il mondo.

Info: www.mirabiledictu-icff.com (Fonte: Sir)

La missione del Festival
del Cinema International Catholic Festival è indipendente, ideato e realizzato da Liana Marabini, sotto l’alto patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura, e mira a mostrare la Chiesa da una nuova prospettiva:. glamour e tradizione allo stesso tempo, mirabile dictu (meraviglioso per Relate, in latino) è un luogo privilegiato di incontro per attori, registi e cineasti, raccolte dalla preoccupazione che possono avere per la storia ei valori del Chiesa. Il Presidente del Festival, Liana Marabini, è regista, produttore ed editore. Si consacra il suo lavoro alla storia della Chiesa, ed è particolarmente preoccupato per il linguaggio religioso e della comunicazione, qualcosa che emerge nei film che produce e dei 

libri che pubblica. Premi Il premio del festival, ” Il Pesce d’Argento ” (Il pesce d’argento, in italiano), si ispira al primo simbolo cristiano.

L’evento di apertura del Festival
di quest’anno, l’evento di apertura straordinaria del Festival sarà la prima italiana di un film notevole: Una donna di nome Maria
di Robert Hossein

Selezione Nazionale. Progetti di formazione diocesana per catechisti

Anno pastorale 2013 – Anno della Fede

Presentazione del Regolamento

L’Ufficio Catechistico Nazionale (UCN) della CEI e in collaborazione con il Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica (SPSE) della CEI, indice una Selezione Nazionale di Progetti di Formazione Diocesana per Catechisti.

Alla luce degli orientamenti pastorali 2010-2020 dell’Episcopato Italiano Educare alla vita buona del Vangelo, annunciare Cristo significa portare a pienezza l’umanità e quindi seminare cultura e civiltà.

Non c’è nulla, nella nostra azione, che non abbia una significativa valenza educativa. Così anche i temi legati al sostegno economico alla Chiesa possono affiancarsi a pieno titolo a tutti gli altri aspetti pastorali che concorrono ad educare alla vita buona del Vangelo.

Perciò il titolo della selezione è “Non di solo pane. Formazione catechistica, corresponsabilità economica e partecipazione dei fedeli alla vita della Chiesa”.

La selezione coinvolge gli Uffici Catechistici Diocesani (UCD) nella formazione dei catechisti e tra gli obiettivi si pone anche quello di valorizzare il precetto di “sovvenire alle necessità della Chiesa”, diffondendo i valori alla base del suo sostegno economico ed educando i fedeli ad una loro effettiva corresponsabilità e partecipazione alla vita della Chiesa.

Scarica il Regolamento completo

Giovani e Media: un incontro sui “nativi digitali”

“Le giovani generazioni sono quelle che posseggono le chiavi d’accesso più dinamiche alla società digitale. La rivoluzione nell’uso dei media da parte dei giovani ha assunto i caratteri della moltiplicazione e dell’integrazione degli strumenti di informazione e comunicazione”;

“queste trasformazioni investono i processi di apprendimento e di istruzione, e hanno importanti ripercussioni sui comportamenti che i più giovani adottano, consapevolmente o meno, nel contatto e nell’utilizzo, spesso intensivo, delle tecnologie digitali”.

Di “Nativi digitali ed emergenza educativa. L’innovazione nell’apprendimento, il cambiamento nell’istruzione” si parlerà nel corso dell’incontro in programma domai, alla Camera dei deputati (ore 9), su iniziativa del Censis.

Interverranno, tra gli altri, il ministro dell’istruzione Francesco Profumo, Tonino Cantelmi, presidente dell’associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici, il linguista Tullio De Mauro, i giornalisti Riccardo Luna e Luca De Biase.

Nel corso del convegno verrà presentata la ricerca Censis promossa dall’Assessorato alla cultura della Regione Calabria, che ha coinvolto 2.300 studenti delle scuole medie e superiori calabresi e 1.800 genitori.

da SIR 3-7-12

STUDI E RICERCHE

I media e la nuova generazione dei nativi digitali
Dalla Francia una ricerca sul rapporto tra informazione mainstream e nativi digitali

Ottobre 2010

Non credono ai politici, sono diffidenti verso i media tradizionali e mal sopportano i brand, considerati, letteralmente, i nemici da abbattere. Sono i cosiddetti i ‘nativi digitali’, ovvero giovani e giovanissimi (in media tra i 18 e i 24 anni) cresciuti a pane e tecnologia, persone che hanno sempre convissuto con il mouse accanto al cuscino e che considerano internet, videogiochi e social network parte integrante della propria vita.

Una nuova generazione, dunque, dalle cui scelte molto dipenderà del futuro del giornalismo e in particolare della carta stampata, considerato che il futuro dei giornali è largamente associato alle dinamiche di consumo dell’informazione da parte delle nuove generazioni. Come afferma Alan Mutter, infatti, il grande problema della stampa è costituito dal fatto che più del 50% dei lettori dei giornali è rappresentato da una popolazione progressivamente più anziana che, da un punto di vista demografico, corrisponde soltanto al 30% della popolazione. E a tale proposito recentemente una ricerca della società francese BVA ha offerto l’occasione per comprendere meglio quale sia il reale rapporto tra giovani e mezzi di comunicazione, come le nuove generazioni differiscono dall’audience tradizionale e quali siano i contenuti e le notizie su cui si focalizzano e le modalità attraverso le quali acquisiscono nuove conoscenze.

Lo studio si è basato su un campione di 100 ragazzi di età compresa tra i 18 e i 24 anni, ovvero quella fascia generazionale che dovrebbe coincidere appunto con i nativi digitali: ragazzi nati e cresciuti in un ambiente talmente condizionato dalla nuove tecnologie da lasciar presupporre condizionamenti tutt’altro che trascurabili sul piano dei riferimenti simbolici, culturali e,in senso più ampio, politico-sociali. Dalla ricerca, infatti, emerge come i giovani alfabetizzati a Internet abbiano rivisitato i propri modelli valoriali e culturali, lasciandosi definitivamente alle spalle vecchi schemi ideologici, categorie tradizionali così come le istituzioni di riferimento. Sistema politico e sistema dei media innanzitutto. A partire da un disconoscimento delle fonti informative generaliste fino alla messa in discussione dell’autorevolezza dei tradizionali opinion leader, questa nuova generazione digitale inizia a ragionare in termini di comunità, ovvero all’interno di quella network community caratterizzata non solo da specifici interessi e agende tematiche, ma anche da peculiari codici espressivi e linguistici.

Tra gli aspetti più criticati da parte di costoro va ricordato proprio il modello comunicativo sotteso ai media mainstream: un modello di trasmissione verticale, dall’alto verso il basso, nel quale i contenuti – testo scritto, immagini, video – sono trasmessi in modo pressoché immutato dalla fonte al destinatario, senza prevedere alcuna possibilità di feedback. Lo stesso Alan Mutter, infatti, evidenzia l’insofferenza dei giovani digitalizzati verso questo tipo di informazione – che include la stessa pubblicità tradizionale – che viene offerta loro in modo precostituito e non modificabile.

Sfruttando le potenzialità del web, l’interattività e la multimedialità innanzitutto, i media tradizionali dovrebbero invece puntare ad innovare il loro modo di fare comunicazione, coinvolgendo i giovani – nativi digitali ma non solo – e provando ad andare incontro alle loro esigenze. La tesi sostenuta da Mutter, infatti, è che i giornali dovrebbero smettere di considerare soltanto il lettore di riferimento già acquisito, ovvero quel bacino di utenti fidelizzati e affezionati ad una serie di valori e scelte editoriali stabili. E provare a sperimentare strade innovative, utili ad avvicinare il pubblico dei giovani.

Non tutti però sono d’accordo con una posizione, come appunto quella di Mutter, che considera i nativi digitali inesorabilmente distanti dalle precedenti generazioni. Bennett, Maton e Kervin, in un lavoro pubblicato nel 2008 dal British Journal of Educational Technology e titolato: The ‘digital natives’ debate: A critical review of the evidencesostengono che le differenze generazionali in fondo non siano poi così marcate. Prima di tutto perché se è vero che i ragazzi vivono immersi nella tecnologia, il loro reale utilizzo è ancora molto tradizionale (scrittura, e-mail, navigazione web). In secondo luogo perché la produzione di contenuti dal basso, user genereted, è in realtà un fenomeno ancora marginale, limitato e le differenze di skills all’interno della generazione giovanile sono le stesse esistenti tra le diverse generazioni.

Va qui evidenziato che i tre autori si spingono anche oltre, sostenendo come, alla base di queste visioni eccessivamente “avveniristiche”, vi siano gli stessi mezzi di comunicazione: riproponendo il concetto di moral panic (Cohen, 1972) Bennett, Maton e Kervin ritengono come questo fenomeno dei nativi digitali, pur restando in realtà privo di evidenze scientifiche, sia di fatto amplificato ed enfatizzato dai media e persino da parte del mondo accademico.

Il dibattito, come spesso accade in queste circostanze, è in realtà aperto e lontano dall’essere risolto. A conclusione di questa riflessione possiamo osservare che certamente i nativi digitali, sia attuali che futuri, si caratterizzeranno sempre più per un approccio alle fonti informative più rapido, immediato e orizzontale. Se poi tale atteggiamento sia destinato a tradursi in un incremento della superficialità ai danni dell’approfondimento, e in un’accentuazione delle differenze con le generazioni precedenti, molto dipenderà anche dalle risorse di partenza di ciascun soggetto. Risorse legate alla collocazione sociale dei giovani e al loro livello di istruzione innanzitutto: fattori, entrambi, destinati a riflettersi nella competenza all’uso di Internet, e cioè nella capacità di non restare vittime del caos della Rete, riuscendo, per contro, a sfruttarla per ottenere informazioni, conoscenza e relazioni sociali, utili al miglioramento della propria posizione di partenza.

UN VIDEO

I giovani e le nuove tecnologie. Un’indagine sui “nativi digitali”

Come usano Internet? A quanti anni hanno imparato a navigare? Qual è il social network più utilizzato? Preferiscono la televisione o Internet? Sono alcune delle domande dell’indagine che ha coinvolto 852 studenti delle scuole superiori del Trentino realizzata da Silvia Gherardi e Manuela Perrotta dell’Università di Trento nell’ambito del progetto “LiveMemories” coordinato dalla Fondazione Bruno Kessler e finanziato dalla Provincia autonoma di Trento. Nello spotlight di questo mese le risultanze dello studio che ha permesso di indagare abitudini e interessi dei “Native speakers” delle tecnologie digitali.