Una difesa laica del Papa

All’origine dell’aggressione cui sono sottoposti la Chiesa, e lo stesso papa Benedetto XVI, sul tema della pedofilia in ambito ecclesiale, ci sono un pregiudizio razionalista e una violenza giacobina: si pensi alla «peste pedofila » di cui parla Paolo Flores d’Arcais, che prefigura la dannazione per volontà popolare dell’«untore » di manzoniana memoria.
Sono toni cui dovrebbe essere estranea la stessa cultura laica.
Che non è negazione della religione, ma cavourriana separazione tra le leggi e i comandamenti, tra lo Stato e le istituzioni ecclesiastiche.
Il pregiudizio razionalista tende invece a cancellare la distinzione kantiana, e liberale, fra peccato e reato; pretende di assimilare, «omologare», i comportamenti della Chiesa a quelli della società civile, negandone la specificità spirituale, codificata nel diritto canonico, ben diverso da quello positivo dello Stato secolarizzato.
La Chiesa, che condanna il peccato e perdona il peccatore pentito, ha commesso in passato (anche con Papa Wojtyla) molti errori in materia di pedofilia ecclesiale.
I reati andavano denunciati con coraggio, mentre varie forme di reticenza hanno contribuito a peggiorare la situazione.
Tuttora gli atteggiamenti, spesso confusi e contraddittori, di alcuni rappresentanti del clero non aiutano a far chiarezza.
Quando risuonano paralleli impropri con le persecuzioni antisemite, o si stabiliscono arbitrarie correlazioni tra omosessualità e pedofilia, si ha l’impressione che papa Ratzinger vada tutelato anche dalle sortite incaute di alcuni alti prelati.
Resta il fatto che non si può chiedere alla Chiesa di rinunciare a uno spazio autonomo di analisi e di giudizio, che è tutt’altra cosa dalla pretesa di sottrarre i propri membri all’imperio della legge.
Lo Stato e la Chiesa hanno missioni diverse e la pretesa di cancellare questa feconda differenza danneggerebbe entrambi.
Si sta manifestando, inoltre, un vistoso paradosso.
A essere oggetto degli attacchi più aspri è proprio l’attuale Pontefice, che ha il merito indubbio di aver fatto opera di trasparenza all’interno della Chiesa, su un fenomeno troppo a lungo sottaciuto, e di aver cercato di definire, e distinguere, gli ambiti dei tribunali civili, riconoscendone le prerogative in tema di persecuzione del reato di pedofilia, secondo la legge civile, e quelli propri della Chiesa, rivendicandone l’autonomia nella condanna dei peccati e nella redenzione dei peccatori, secondo il diritto canonico e la propria predicazione (si chiama carità cristiana).
Nonostante questo, oggi Benedetto XVI rischia di passare come il Papa che ha coperto la pedofilia dei sacerdoti.
La distinzione fra peccato e reato è parte integrante della nostra cultura e della nostra civiltà, alla quale non possiamo rinunciare.
Essa sanziona la differenza, e la distanza, fra lo Stato democratico-liberale, fondato sui diritti e le garanzie individuali, e lo Stato teocratico: un ordinamento oppressivo che, come hanno tragicamente provato i totalitarismi anche di un recente passato, non s’identifica solo nel connubio fra trono e altare, ma, anche e soprattutto, nell’illusione razionalista e nel tentativo volontaristico di cambiare, con mezzi coercitivi, la natura dell’uomo.
Di fronte allo spettacolo inquietante cui stiamo assistendo, stupisce, infine, la grande quantità di spettatori che rimangono silenti in un’apparente indifferenza.
Come se la stessa nostra democrazia liberale non fosse debitrice del messaggio cristiano che ha posto al centro la sacralità e l’inviolabilità della persona.

Finita l’era degli scandali nascosti

L’intervista Per Michael Novak, l’autore de «L’etica cattolica e lo spirito del capitalismo» e di numerosi altri libri sulla religione e la politica, la lettera pastorale del Papa ai cattolici irlandesi dopo gli ultimi scandali che hanno scosso il Vaticano, «risponde alle istanze morali dei fedeli» in tutto il mondo.
«Benedetto XVI — sostiene — proclama che la Chiesa ha sbagliato, non solo che i colpevoli degli abusi sui minori ne rispondono a Dio e alla giustizia umana, e ammonisce che l’autorità ecclesiastica deve essere completamente onesta e aperta».
Troppo a lungo, sottolinea il filosofo cattolico conservatore, che negli Anni ottanta fu ambasciatore alla Commissione dei diritti umani all’Onu, gli scandali vennero nascosti o contenuti: «Rammento che nella mia adolescenza i preti pedofili erano giudicati malati che andavano curati, un errore a cui la Chiesa doveva porre subito riparo.
Il Pontefice ha dimostrato di avere capito la lezione».
Gli scandali sembrano danneggiare soprattutto i rapporti tra il Vaticano e il mondo anglosassone.
«Gli scandali sono gravi, e le vittime hanno diritto al risarcimento e alle scuse da parte della Chiesa, oltre che a una severa punizione dei colpevoli.
Ma l’ostilità di certi americani nei confronti del Vaticano è dovuta anche a certi avvocati e interessi finanziari che vedono negli scandali una fonte di guadagno.
La pedofilia non è un male solo cattolico, esiste in altre Chiese, in scuole pubbliche, nei boy scout: contro alcuni leader dei boy scout, anzi, inizierà a giorni un processo».
Qualcuno dice che il mondo anglosassone soffre di un antipapismo storico.
«E’ un tema che preferisco non toccare, solleverebbe un polverone inutile.
Il fatto fondamentale è che l’autorità morale della Chiesa cattolica, la più alta al mondo, è lesa da questi comportamenti inaccettabili.
Philips Jenkins, un teologo protestante, sostiene che la percentuale dei preti pedofili cattolici è inferiore a quella di altri ambienti.
Ma è una piaga che va eliminata ovunque».
Come è visto Benedetto XVI nel mondo anglosassone? «Distinguerei tra i cattolici e i media secolari.
In prevalenza i primi lo seguono.
I cattolici apprezzano molto i suoi richiami al ruolo cruciale della coscienza, alla tradizione americana di libertà religiosa, ai limiti della autorità dello stato.
E’ chiaro che ha studiato a fondo queste questioni.
I media secolari, invece, sono in genere critici, non perché sia un Papa tedesco, ma perché lo considerano dottrinario e controverso».
Inizialmente fu accusato di essere anti islamico.
«Per il suo riferimento a un passo del XIV secolo su una atrocità dell’Islam? Io penso che rievocando quell’episodio storico il Pontefice ottenne la reazione che sperava.
Portò a un chiarimento: nel mondo islamico furono e sono commesse atrocità ma non è affatto la tendenza prevalente.
L’accusa era infondata, il Papa vuole il dialogo tra le religioni, come il suo predecessore».
In America Giovanni Paolo II ebbe una popolarità senza precedenti.
«La ebbe in tutto il mondo grazie alla sua straordinaria personalità.
Giovanni Paolo II fu un Papa poetico, teatrale, carismatico, con una profonda fede e umanità, che attrasse le folle e i media.
Nessun leader religioso o politico resse al suo paragone».
E Benedetto XVI? «Forse è meno mediatico, solleva meno entusiasmi.
Ma lungo le strade dell’America io ho visto cartelloni con la sua immagine e la scritta: “Amo il mio pastore tedesco”, un significativo gioco di parole».
in “Corriere della Sera” del 21 marzo 2010

Pedofilia: Nessuna indulgenza

«Che cosa pensa dei casi di pedofilia tra sacerdoti e religiosi venuti alla luce solo in questi ultimi tempi?».
La domanda del giovane liceale era diretta e richiedeva la risposta leale che mi ero impegnato a dare a quelle diverse centinaia di ragazzi iniziando il mio dialogo con loro.
Non esitai a rispondere quello di cui sono convinto: che la pedofilia è un fenomeno mostruoso, di assoluta gravità morale, perché ferisce personalità indifese nella maniera più indegna e brutale.
Le si possono applicare senza esitazione le parole di Gesù: «Guai a colui a causa del quale avvengono scandali.
È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli» (Luca 17,1-2).
Aggiunsi, però, quanto sia necessario stare attenti a non generalizzare: alcuni casi — in percentuale pochissimi, sebbene anche uno solo basterebbe a suscitare una rivolta morale — non devono far dimenticare l’immensa maggioranza che c’è fra il clero di persone fedeli alla loro vocazione, serie e generose con Dio e con gli altri.
Una maggioranza, questa, che ho potuto conoscere in ogni parte del mondo nel mio servizio di teologo e che ora da Vescovo di una Chiesa diocesana riconosco nella fede e nella carità dei preti e dei consacrati, miei collaboratori.
Proprio in nome di questa maggioranza silenziosa è giusto che il Papa e i Vescovi insieme con lui siano inflessibili nel condannare questi scandali, nel sostenere in ogni modo le vittime, nel correggere, punire e curare i colpevoli.
Il silenzio sarebbe connivenza.
L’indulgenza complicità.
Mai, però, bisogna perdere di vista la persona umana da salvare, tanto nella vittima, quanto nel carnefice.
La Chiesa crede nella parola del Signore: «La verità vi farà liberi» (Giovanni 8,32), e perciò non solo non ha paura della verità, ma ha fiducia nella sua forza liberante e sanante.
D’altra parte, il fatto che su tanti casi di pedofilia che stanno emergendo quelli che più colpiscono i media e l’opinione pubblica siano gli episodi che coinvolgono sacerdoti e consacrati, è un segno eloquente dell’esigenza con cui giustamente si guarda alla Chiesa, del suo dovere di stare in alto, cioè nella grazia e nella fedeltà dell’amore di Dio e del prossimo.
Solo a questo prezzo, la sua parola risuonerà libera e liberante e la fiducia che tanti — credenti e non credenti — ripongono negli uomini di Chiesa non sarà tradita.
E il celibato? Alcuni nel chiasso mediatico sviluppatosi intorno allo scandalo pedofilia hanno puntato il dito contro questa legge ecclesiastica, quasi che chiedere ai sacerdoti l’impegno di rimanere celibi per tutta la vita sia una fonte inevitabile di deviazioni.
Se così fosse, non si spiegherebbe quella stragrande maggioranza di cui ho parlato: nel suo senso più vero e profondo, il celibato non è una frustrazione imposta, ma una libera risposta d’amore a una vocazione che supera certamente le capacità umane e che tuttavia è possibile vivere con fedeltà se essa viene da Dio ed è continuamente confortata dal Suo aiuto e dalla Sua presenza.
Vissuto fedelmente, nella durata dei giorni e nel sempre nuovo sì della fede al Signore vicino, il celibato è un segno meraviglioso della verità di ciò in cui crede chi crede: che, cioè, Dio non è una proiezione dei nostri desideri, un frutto del nostro bisogno di rassicurazione e di consolazione, ma il Vivente, che ti sovrasta ed insieme ti accompagna, che è infinitamente sopra di te ed insieme è dentro il tuo cuore umile, aperto a Lui.
Chi ha esperienza di preghiera sa bene di che cosa sto parlando.
Proprio così, il celibato e la verginità consacrata, vissuti con serena convinzione come una risposta alla chiamata e al dono di Dio, sono come una freccia puntata verso il cielo: ci dicono che Dio c’è, che Lui solo basta al nostro cuore inquieto, che Lui è la speranza del mondo e la patria promessa del nostro comune cammino.
Così il Signore ha dato a me e a tanti la grazia di vivere la nostra consacrazione a Lui: e questo, lungi dal farci sentire meno umani, più fragili o vuoti di amore, ci fa sentire una grandissima gioia, lo slancio di donarci e di testimoniare con la vita l’amore che viene dall’alto e che ci fa liberi, la bellezza di Dio che supera ogni bellezza e dà senso alle opere e ai giorni.
Dico queste parole con umile fierezza: umilmente, perché tutto in questa esperienza è grazia immeritata; ma con fierezza, perché nessuno va ingannato, soprattutto i giovani, e ad essi la Chiesa può e deve continuare a dire a testa alta non solo che Cristo è la verità e il bene, ma anche che Lui è il pastore bello, e la bellezza del Suo amore crocifisso e risorto è la sola che salverà il mondo.
Con buona pace di quanti vorrebbero vedere nella triste e squallida infedeltà di qualche pedofilo, ahimè presente fra le file del clero, la smentita della buona novella, che è il Vangelo dell’amore più grande, speranza per tutti.
in “Corriere della Sera” del 23 marzo 2010

Sos alcol

Sos giovani e alcol: i ragazzi italiani consumano alcol per la prima volta ad un’età che è la più bassa in Europa, poco più di 12 anni, e al di sotto dei 13 anni consumano bevande alcoliche con una prevalenza tra le più alte dell’Ue.
Così, nel 2008 il 17,6% dei giovani di 11-15 anni ha consumato bevande alcoliche, in un’età al di sotto di quella legale per la somministrazione e per la quale il consumo consigliato è pari a zero.
L’INDAGINE – Il dato allarmante è contenuto nella Relazione al Parlamento sugli interventi realizzati da Ministero della Salute e Regioni in materia di alcol e problemi alcolcorrelati, anni 2007-2008.
Tra i giovani di 18-24 anni di entrambi i sessi, evidenza la Relazione, ha consumato bevande alcoliche il 70,7%, con una prevalenza superiore alla media nazionale.
Inoltre, afferma il ministero della Salute, «per quanto riguarda i giovani, la bassa età del primo contatto con le bevande alcoliche è l’aspetto di maggiore debolezza del nostro Paese nel confronto con l’Europa (in media 12,2 anni di età, contro i 14,6 della media europea)».
BINGE-DRINKING – Tra i comportamenti a rischio è sempre più diffuso il binge drinking (abbuffate d’alcol fino all’ubriacatura), soprattutto nella popolazione maschile di 18-24 anni (22,1%) e di 25-44 (16,9% ).
Altra tipologia di consumo a rischio prevalente tra i giovani è, inoltre, il consumo fuori pasto, che ha riguardato nel 2008 il 31,7% dei maschi e il 21,3% delle femmine di età compresa fra gli 11 e i 24 anni.
Nella stessa fascia di età, il 13,2% dei maschi e il 4,4% delle femmine ha praticato il binge drinking nel corso dell’anno.
PER IL 9,4% DEGLI ITALIANI CONSUMO SMODATO – Per quanto riguarda il consumo di alcol in generale nella popolazione, la relazione del Ministero dice che in Italia va meglio che in altri Paesi europei, ma il rischio resta alto: il consumo di bevande alcoliche tra gli italiani, pur registrando percentuali minori rispetto ad altre nazioni, rimane comunque sostenuto, tanto che il 9,4% della popolazione consuma quotidianamente alcol in quantità non moderate e il 15,9% non rispetta le indicazioni di consumo proposte dagli organi di tutela della salute.
Il quadro epidemiologico conferma la diffusione, in atto negli ultimi anni, di comportamenti a rischio lontani dalla tradizione nazionale, quali i consumi fuori pasto, le ubriacature e il binge drinking.
Nei confronti dell’Europa, rileva la Relazione, «l’Italia presenta una minore prevalenza di consumatori di bevande alcoliche e una minore diffusione del binge drinking; tuttavia, fra coloro che consumano alcol, ben il 26% lo fa quotidianamente (il doppio della media europea), il 14% lo fa da 4 a 5 volte a settimana (valore più alto in Europa) e il 34% pratica il binge drinking almeno una volta a settimana (contro il 28% della media europea)».
(Fonte Agenzia Ansa) 03 marzo 2010

Crocifisso in aula

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha accolto il ricorso presentato dall’Italia contro la sentenza che ha sostanzialmente bocciato, il 3 novembre scorso, la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche.
Immediata la soddisfazione del ministro degli Esteri Franco Frattini: “Apprendo con vivo compiacimento la notizia dell’accoglimento, da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, della domanda di rinvio davanti alla Grande Camera del caso Lautzi, sull’affissione del crocifisso nelle aule scolastiche.
E’ con soddisfazione che constato che sono stati accolti i numerosi e articolati motivi di appello che l’Italia aveva presentato alla Corte”.
Ora il caso sarà esaminato dalla Grande Camera europea.
Strasburgo, no al crocifisso in aula Il governo italiano presenta ricorso Dura reazione della Santa Sede: decisione “miope e sbagliata” La presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche è “una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni”.
E’ quanto ha stabilito oggi la Corte europea dei diritti dell’uomo su istanza presentata da una cittadina italiana.
Ma il governo italiano ha presentato ricorso e, in caso di accoglimento, il caso verrà ridiscusso nella Grande Camera.
Altrimenti la sentenza diventerà definitiva fra tre mesi.
Durissime le prime reazioni, soprattutto nel centrodestra tra i cattolici.
La Cei e il Vaticano attaccano.
Prudente Bersani.
Risarcimento per la donna che ha denunciato.
Il caso era stato sollevato da Soile Lautsi, cittadina italiana originaria della Finlandia e socia dell’Uaar (Unione atei e agnostici razionalisti).
L’Unione precisa di aver “promosso, sostenuto, curato tecnicamente l’iter giuridico, che era già passato da Tar del Veneto, Corte Costituzionale e Consiglio di Stato”.
Soile Lautsi, infatti, nel 2002 aveva chiesto all’istituto statale “Vittorino da Feltre” di Abano Terme, in provincia di Padova, frequentato dai suoi due figli, di togliere i crocifissi dalle aule.
A nulla erano valsi i suoi ricorsi davanti ai tribunali in Italia.
Ora i giudici di Strasburgo le hanno dato ragione, stabilendo inoltre che il governo italiano debba pagare alla donna un risarcimento di cinquemila euro per danni morali.
La sentenza è la prima in assoluto in materia di esposizione dei simboli religiosi nelle aule scolastiche.
La decisione della Corte europea.
I sette componenti della Corte europea hanno sentenziato che la presenza dei crocifissi nelle aule può facilmente essere interpretata dai ragazzi di ogni età come un evidente “segno religioso” e, dunque, potrebbe condizionarli.
E se questo condizionamento può essere di “incoraggiamento” per i bambini già cattolici, può invece “disturbare” quelli di altre religioni o gli atei.
Le reazioni della maggioranza.
In attesa che vengano depositate le motivazioni della sentenza, il governo italiano ha già presentato ricorso.
Per il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, “la presenza del crocifisso in classe non significa adesione al cattolicesimo, ma è un simbolo della nostra tradizione”.
Sulla stessa linea il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli e quello della Giustizia Angelino Alfano.
E’ critico il presidente della Camera Gianfranco Fini: “Mi auguro che la sentenza non venga salutata come giusta affermazione della laicità delle istituzioni, che è valore ben diverso dalla negazione, propria del laicismo più deteriore, del ruolo del Cristianesimo nella società e nella identità italiana”.
L’opposizione.
E’ cauto il neosegretario del Pd Pier Luigi Bersani: “Un’antica tradizione come il crocifisso non può essere offensiva per nessuno.
Penso che su questioni delicate come questa, qualche volta il buonsenso finisce di essere vittima del diritto”.
E l’esponente Udc Rocco Buttiglione parla di “decisione aberrante”.
Il mondo cattolico.
Netta anche la reazione della Cei, che in una nota parla di “sopravvento di una visione parziale e ideologica”.
Per l’Osservatore Romano “tra tutti i simboli quotidianamente percepiti dai giovani la sentenza colpisce quello che più rappresenta una grande tradizione, non solo religiosa, del continente europeo”.
E in serata, a nome della Santa Sede, parla padre Federico Lombardi, secondo cui la decisione rivela un’ottica “miope e sbagliata”, “accolta in Vaticano con stupore e rammarico.
Stupisce che una Corte europea intervenga pesantemente in una materia molto profondamente legata all’identità storica, culturale, spirituale del popolo italiano”.
I precedenti in Italia e Spagna.
L’ultimo round dell’annosa polemica sui crocifissi a scuola si era chiuso a febbraio, quando una sentenza della Cassazione aveva annullato una condanna per interruzione di pubblico ufficio nei confronti del giudice Luigi Tosti, “colpevole” di aver rifiutato di celebrare udienze in un’aula dove era affisso un crocifisso.
Fino al precedente che fece clamore del presidente dell’Unione musulmani d’Italia Adel Smith, protagonista di un episodio analogo e che ora commenta: “Sentenza inevitabile”.
La questione non coinvolge solo il nostro Paese.
Duri scontri tra Stato e vescovi sono avvenuti anche in Spagna nel novembre dello scorso anno, in seguito a una decisione di un giudice di Valladolid di far rimuovere tutti i simboli cattolici da una scuola.
(3 novembre 2009)

Aborto in Europa

IL RAPPORTO: Spiega il saldo demografico negativo Nell’Unione Europea ogni anno si praticano oltre 1 milione e 200mila aborti, un numero equivalente al saldo negativo tra nascite e morti.
Vale a dire che il calo demografico in atto sarebbe azzerato se si lasciassero nascere tutti i bambini concepiti.
È questo forse il dato, contenuto nel Rapporto su «L’aborto in Europa e Spagna», che più dovrebbe far riflettere i governanti dell’Unione.
In effetti le statistiche dimostrano che l’aborto è una delle cause principali dei bassi tassi di natalità in Europa, dove nel 2008 si è registrata una contrazione di nascite del 12,5% rispetto al 1982.
E di conseguenza dell’invecchiamento della popolazione, visto che oggi si contano 6.5 milioni di ultrasessantacinquenni in più rispetto ai minori di 14 anni (85 milioni contro 78.5).
Non solo, l’aborto è la principale causa di mortalità in Europa, 30 volte più degli incidenti stradali (39mila morti nel 2008).
Un’Europa a tre velocità.
Il rapporto mette a confronto le tre diverse grandezze dell’Europa.
Considerando anche i Paesi europei al di fuori della Ue, il conto totale degli aborti, riferito al 2008, è di 2.863.649, in pratica un aborto ogni 11 secondi, quasi 7.500 aborti al giorno.
In pratica ogni anno la diffusione dell’aborto provoca l’eliminazione di un numero di persone equivalente alla somma della popolazione di 4 Paesi: Estonia (1.3 milioni di abitanti), Cipro (0.8 milioni), Lussemburgo (0.5 milioni) e Malta (0.4 milioni).
Gli aborti praticati nei 27 Paesi della Ue rappresentano il 42% (1.207.646) del totale, tenendo però conto che la popolazione residente nell’Unione è circa il 68% dell’intera popolazione europea.
All’interno dell’Europa comunitaria però ci sono notevoli differenze tra il gruppo Ue-15 (il nucleo storico dell’Unione Europea, che rappresenta l’83% della popolazione) e il resto dei Paesi.
Infatti mentre nei 12 Paesi dell’allargamento il decennio tra il 1998 e il 2008 ha visto un calo drastico nel numero degli aborti (-49%, da 550.587 a 281.060), nella Ue-15 si è registrato il fenomeno contrario: un aumento di circa 70mila aborti l’anno, da 855.645 a 926.586 (+8,3%).
I record di Romania e Spagna.
In entrambi i casi risultano decisivi due Paesi: tra i 15, è la Spagna che da sola rappresenta l’87% dell’aumento registrato negli ultimi dieci anni (vedi articolo a parte), mentre nei 12 di recente adesione il caso limite è quello della Romania, dove nel 1994 si praticavano 530.191 aborti, scesi nel 2008 a 127.907.
Da sola quindi la Romania ha registrato un calo assoluto maggiore di quello di tutti i 12 Paesi messi insieme.
Mentre considerando gli ultimi 15 anni la Romania è il Paese che ha registrato il più alto numero di aborti (4.065.904, contro i 3.082.816 della Francia, i 2.988.009 del Regno Unito e 1.998.225 dell’Italia), malgrado il nettissimo calo degli ultimi anni, essa rimane il terzo Paese europeo per numero di aborti, preceduta da Regno Unito (215.975) e Francia (209.913).
L’Italia è invece quarta con 121.406.
Rispetto agli altri tre Paesi (compresi tra i 60 e i 64 milioni di abitanti), la Romania però ha una popolazione complessiva nettamente inferiore (21.5 milioni).
Una gravidanza su 5 finisce in aborto.
Nel 2008 il 18.3% delle gravidanze nella Ue-27 è stato interrotto volontariamente.
Su 6.591.836 gravidanze, infatti, solo 5.384.190 sono state completate con la nascita di un bambino.
Il problema delle adolescenti.
Un aborto su 7 (il 14.2%) nella Ue-27 è stato praticato su ragazze minori di 20 anni, per un totale di 170.932.
Numero che sale a 338.217 se si considerano anche i Paesi europei extra-comunitari.
Rimanendo nell’ambito dei 27 è chiaro che il problema è più grave per il Regno Unito, dove nel 2008 hanno abortito 46.897 adolescenti, contro le 31.779 della Francia, le 14.939 della Spagna, le 14.316 della Romania e le 13.775 della Germania.
L’obiezione di coscienza non sempre rispettata.
Soltanto in due Paesi dell’Unione (Irlanda e Malta) l’aborto è illegale, mentre in 14 è ammesso in certe circostanze e in 11 è invece libero.
Nell’ambito della Ue-15, l’obiezione di coscienza è esplicitamente riconosciuta in undici Paesi: non è prevista invece in Grecia, Svezia e Finlandia.
Generalmente è previsto anche un periodo di riflessione intorno a una settimana.
Tale periodo è obbligatorio in Belgio, Francia, Lussemburgo, Italia, Olanda, Germania, Grecia e Portogallo.
Alcune proposte.
Le politiche di prevenzione dell’aborto finora applicate in Europa hanno mostrato chiaramente di non funzionare, per questo l’Istituto di Politica Familiare (Ipf) chiede un cambiamento radicale nell’approccio al problema, che ruota attorno a un obiettivo di fondo: «La promozione di politiche che garantiscano i diritti dei bambini non nati e il diritto delle donne alla maternità, eliminando gli ostacoli che impediscono la maternità e affermando esplicitamente che l’aborto è un atto di aggressione contro le donne».
Tra le proposte concrete avanzate dall’Ipf troviamo quella di un «Aiuto diretto universale» di 1.125 euro per ogni donna incinta (125 euro per nove mesi), una linea diretta di finanziamento per le associazioni che aiutano le donne durante la gravidanza, la riduzione del 50% dell’Iva sui prodotti basilari per l’infanzia.
Ma questo radicale cambiamento di approccio avrebbe tra gli obiettivi anche quello di rispondere alla drammatica crisi demografica dell’Europa.
E l’Ipf chiede perciò la preparazione di un Libro Verde sui tassi di natalità in Europa, per analizzare la situazione, le sue cause e le soluzioni da individuare.
Riccardo Cascioli  Gli appelli generici non bastano più La presentazione del Rapporto sull’aborto in Europa, elaborato dall’Istituto per le politiche familiari e presentato ieri a Bruxelles, piuttosto che assomigliare a un rigoroso resoconto statistico sulla popolazione continentale sembra un bollettino di guerra, l’impietosa fotografia di un massacro silenzioso.
Alcuni dati per capire: in Europa nel 2008 si è consumata la morte di 2,9 milioni di bambini non nati, uno ogni 11 secondi, 327 ogni ora, 7.468 al giorno.
Negli ultimi 15 anni solo nell’Europa comunitaria la cifra è di 20 milioni di bambini che non hanno visto la luce, e l’Italia, insieme alla Gran Bretagna, la Francia e la Romania fa parte del gruppo di testa di questa impressionante carneficina.
L’aborto ha così ormai perso l’immagine di una pratica eccezionale e dolorosa, compiuta per motivi gravi di salute della madre o del piccolo, per diventare in pochi decenni un metodo di controllo delle nascite, entrando nel costume sociale e nel sentire comune come una pratica “normale” che ha progressivamente condotto la coscienza collettiva a non considerarlo un “reato” contro la vita, quanto piuttosto come un “diritto” da parte della donna di autogestire la propria sessualità.
La successiva mistificante evoluzione linguistica, avviata nella Conferenza del Cairo su Popolazione e sviluppo, nel settembre 1994, che ha declinato l’aborto con il concetto di “diritto alla salute riproduttiva”, ha spalancato le porte alle legislazioni nazionali e internazionali, convinte ormai con l’ultima arrivata – la Spagna – che in pieno clima interculturale si debba favorire  la convivenza di un sano pluralismo etico.
Non si avverte però l’abissale differenza che separa la semplice accettazione di idee e di comportamenti diversi con l’ammissione devastante che compromette il diritto di esistere di altre persone.
Non si tratta infatti di manifestare opinioni culturali, prive di incidenze sociali, o di scelte etiche che coinvolgono la singolarità della coscienza personale, ma di opzioni che coinvolgono altri, come bambini non fatti nascere e che invece circostanze favorevoli avevano condotto alle soglie dell’esistenza.
Certo è che gli appelli generici non bastano più.
Va al contrario avviata una rivoluzione culturale che trovi un necessario supporto con decise politiche di garanzia e di sostegno per il figlio e la madre.
Lo ha capito bene l’Istituto estensore del Rapporto che alla fine della sua analisi sul desolante sviluppo zero della demografia europea indica alcune interessanti proposte, come quella di promuovere il diritto alla vita tramite la richiesta alla politica di condizioni sociali favorevoli, volte a supportare gli aiuti alla gravidanza intesa come bene sociale.
Interessante anche l’idea di monitorare la curva demografica all’interno dei singoli Paesi della Ue al fine di sostenere politiche comunitarie che risveglino la cultura dell’accoglienza e favoriscano la percezione sociale che la vita, prima ancora della libertà, è un diritto inalienabile che non può essere soffocato.
Oltre che potenziare centri di aiuto e di ascolto, si reclamano anche politiche finanziarie che, ad esempio riducano le spese dei prodotti per la prima infanzia, e che sostengano – tramite bonus – la preparazione nei nove mesi dell’attesa di quei supporti necessari per l’arrivo del bambino.
Piccoli segni, si dirà, ma indispensabili perché alla cultura dell’individualismo autocentrato e chiuso al futuro possa sostituirsi uno sguardo più aperto al domani, che vogliamo sia ospitale e promettente per quanti – si spera tanti – verranno dopo di noi.
Paola Ricci Sindoni  Con 2.863.649 aborti praticati e censiti ogni anno in Europa, di cui 1.207.646 nella sola Ue, nel Vecchio Continente l’aborto sta diventando la principale causa di morte.
Più del cancro, più dell’infarto, e in 12 giorni viene soppresso un numero di embrioni pari a quello dei morti in incidenti stradali lungo l’intero anno.
A sottolineare il peso che il fenomeno ha sulle società europee potrebbero bastare le nude cifre, che sono in aumento in numerosi Paesi, la Spagna in prima fila.
Ma dalle cifre dello studio «L’aborto in Europa e in Spagna» presentato ieri a Bruxelles dallo spagnolo Istituto di politica familiare (Ipf) si ricavano indicazioni che impressionano su vari piani: sulle tendenze in atto, sul loro impatto anche demografico per cui il numero degli aborti coincide con il deficit demografico dell’Ue, su quel che esse segnalano in termini di evoluzione complessiva nelle nostre società nei confronti di valori fondamentali.
E sulla cadenza incalzante degli aborti praticati nel nostro continente: uno ogni 11 secondi, 327 ogni ora, 7486 al giorno.
Il tema del rispetto dei valori nella società europea è stato al centro della conferenza stampa in cui, nella sede dell’Europarlamento, è stato illustrato lo studio dell’istituto spagnolo.
Aprendo la riunione Jaime Mayor Oreja, capo della delegazione spagnola nel gruppo parlamentare del Ppe, ha osservato che «la manifestazione più crudele della crisi dei valori è il diritto all’aborto».
Con questa espressione non aveva bisogno di chiarire quanto allarme abbia destato tra i Popolari il voto con cui il 10 febbraio scorso l’Europarlamento ha approvato su proposta di un socialista belga una risoluzione sulla parità di diritti tra uomini e donne in cui si legge che alle donne dovrebbe essere garantito «il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto», e che esse «devono godere di un accesso gratuito alla consultazione in tema di aborto», nel quadro di un generale impegno dei governi a «migliorare l’accesso delle donne ai servizi della salute sessuale e riproduttiva e a meglio informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili».
Il vicepresidente del Parlamento europeo Mario Mauro ha approfondito il tema dei valori citando Benedetto XVI sui pericoli del fondamentalismo e del relativismo: e annoverando tra le sue conseguenze la diminuzione del numero dei matrimoni e delle nascite.
«Le cifre del relativismo – ha detto – sono le cifre della decadenza del nostro continente, del fallimento dei governi europei» che tra l’altro continuano a dedicare alla politica della famiglia solo una piccola parte delle spese sociali che nell’Ue assorbono un 28% del prodotto interno lordo.
«Il legame tra aiuti prestati alle famiglie e numero delle nascite è chiarissimo», ha insistito Mauro condannando le tendenze che puntano a «un nuovo concetto di famiglia, che non è famiglia», e a fare dello Stato di diritto una sorta di «supermercato dei diritti».
Il presidente dell’Ipf, Eduardo Hertfelder si è poi soffermato sulle preoccupazioni che si acuiscono per la tendenza sugli aborti nel suo Paese, la Spagna.
Franco Serra

La corruzione e le sue radici

Si accontenti chi vuole di credere che «il problema è politico» e riguardi quindi la destra e la sinistra.
Sì, questa volta a essere presi con le mani nel sacco sono stati esponenti del Pdl, ma in passato la stessa cosa è accaduta con esponenti del Pd: ma anche dando per scontato che le imputazioni a loro carico siano domani convalidate da una sentenza, davvero la corruzione italiana si riduce a quella dei politici? Davvero in questo Paese la sfera della politica è malata e il resto della società è sano? Non è così, con ogni evidenza.
Ognuno di noi sa bene che non è così, e non bisogna smettere di dirlo, anche se i soliti moralisti di professione grideranno scandalizzati che in questo modo si finirebbe per occultare «le precise responsabilità politiche».
Ma figuriamoci: cosa volete mai che si occulti, con tutta la stampa ormai scatenata dietro Monica e Francesca, dietro Bertolaso, Balducci, e compagnia bella? Proprio perché non ha alcuna natura propriamente politica ma affonda radici profondissime nel corpo sociale – cosicché nella politica essa si riversa soltanto, essendo uno degli ambiti dove più facile è la sua opera – la corruzione italiana sfugge a ogni facile terapia.
Come si è visto quando, convinti per l’appunto del suo carattere politico, abbiamo creduto che almeno per ridurne la portata bastasse mutare il sistema elettorale, o fare le privatizzazioni, o cambiare la legge sugli appalti, o finanziare i partiti in altro modo dal finanziamento diretto; o che l’esempio di «Mani pulite», di cui proprio oggi è paradossalmente il 18mo anniversario, potesse segnare una svolta.
Invece è stato tutto inutile.
La corruzione italiana appare invincibile.
Rinasce di continuo perché in realtà non muore mai, dal momento che a mantenerla viva ci pensa l’enorme serbatoio del Paese.
La verità, infatti, è che è l’Italia la causa della corruzione italiana: lo si può dire senza rischiare l’accusa di lesa maestà? Chi si ostina a credere che «il problema è politico», che tutto si riduca a destra e sinistra, lo sa che le tangenti continuano a girare vorticosamente anche nel privato: che dappertutto qui da noi, quando ci sono soldi in ballo, non si dà e non si fa niente per niente? Lo sa che i concorsi più vari (non solo le gare d’appalto!) sono sempre, in misura maggiore o minore, manipolati? Riservati agli amici e ai protetti quando non direttamente truccati in un modo o nell’altro dai concorrenti con la complicità delle commissioni, e il tutto naturalmente in barba a ogni credo politico? E che colore politico pensa che abbia l’evasione fiscale dilagante? O i tentativi a cui si dedicano incessantemente milioni di italiani di violare i regolamenti urbanistici ed edilizi in tutti i modi possibili e immaginabili (spessissimo riuscendoci grazie all’esborso di mazzette)? E a quale schieramento politico addebitare, mi chiedo, il sistematico taglieggio che da noi viene praticato da quasi tutti coloro che offrono una merce o un servizio al pubblico, come le società autostradali, quelle di assicurazione, le compagnie telefoniche, le compagnie petrolifere, quelle aeree, le banche, le quali tutte possono a loro piacere fissare tariffe esagerate, imporre contratti truffaldini, balzelli supplementari, clausole capestro, sicure dell’impunità? Sì lo so, tecnicamente forse non è corruzione.
Ma so pure che in molti altri Paesi comportamenti del genere sono severamente sanzionati anche sul piano penale.
Da noi no, sono considerati normali.
Perché? La risposta è nella nostra storia profonda, nei suoi tratti negativi che i grandi ingegni italiani hanno sempre denunciato: poca legalità, assenza di Stato, molto individualismo anarchico, troppa famiglia, e via enumerando.
Perciò l’Italia è apparsa tante volte un Paese bellissimo ma a suo modo terribile.
E lo appare ancor di più oggi, dopo aver perso anche gli ultimi pezzi delle sue fedi e dei suoi usi antichi.
Più terribile e incarognito che mai.
Più corrotto.
Spesso queste cose le capisce per prima l’arte, e in particolare il cinema, il nostro cinema, a cui tanto deve la conoscenza di ciò che è stata ed è l’Italia vera.
Quell’Italia vera che riempie, ad esempio, le immagini dell’ultimo film di Pupi Avati, Il fratello più piccolo, in arrivo proprio in questi giorni nelle sale cinematografiche.
Un ritratto spietato di che cosa è diventato questo Paese: una società dove gli unici «buoni» sembra non possano che essere dei disadattati senz’arte né parte; dove, nell’ultima scena, dal volto pur devastato e ormai annichilito di un grandissimo De Sica, ladro e canaglia ridotto all’ozio forzato su un terrazzino di periferia, non cessa tuttavia di balenare il guizzo di un’inestinguibile mascalzonaggine.
È di una lucida resa dei conti del genere che abbiamo bisogno; di guardare a fondo dentro di noi e dentro la nostra storia.
Non di credere, o di fingere di credere, che cambiare governo serva a cambiare tutto e a diventare onesti.
Ernesto Galli della Loggia Corriere della sera 17 febbraio 2010

Le nuove Indicazioni didattiche per la religione cattolica

Il Consiglio dei ministri ha approvato su proposta del ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, Mariastella Gelmini un decreto presidenziale che recepisce l’intesa intercorsa fra il ministero e la Conferenza episcopale italiana ai fini dell’individuazione dei criteri didattici per l’insegnamento della religione cattolica nella scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione, come previsto nella normativa concordataria.
L’annuncio arriva dal comunicato ufficiale di Palazzo Chigi, diramato dopo la riunione del governo.
Insomma, per effetto di questo provvedimento sono mutate le Indicazioni didattiche risalenti al precedente dicastero Moratti.

Febbraio

Riprendiamo qui i brevi spunti di riflessione sulla spiritualità di San Paolo iniziati il mese scorso.
Dopo esserci soffermati a considerare il radicamento biblico della sua spiritualità, gli effetti della sua esperienza di incontro con Gesù Cristo, e la forza della sua spiritualità trinitaria (interrotta a Gennaio con la Persona del Padre), riprendiamo ora il filo del discorso soffermandoci sulla spiritualità che lega Paolo alle Persone di Cristo e dello Spirito Santo, per concludere considerando la spiritualità missionaria dell’Apostolo delle genti.
Dalle Lettere e dagli Atti trapela una personalità straordinaria: Paolo è un appassionato che si spende totalmente per un’ideale essenzialmente religioso.
Per lui Dio è tutto e Lo serve prima e dopo la scoperta di Cristo, e quando scopre che solo in Lui c’è la salvezza trascorre il resto della vita predicandolo con tutte le forze, anche nella malattia e nella prigionia.
Questa passione incondizionata si traduce in una vita di totale dedizione a Colui che ama.
Le sofferenze e i pericoli di morte (1Cor 4,9-13; 2Cor.
4,8ss) non possono sradicarlo dall’amore per Cristo; anzi, lo confortano perché lo avvicinano alla passione e alla croce del suo Signore.
La sua potenza spirituale si manifesta in una persona debole ma caparbia (2Cor 10,1-12,12).
La sua predicazione coincide con il kérigma, l’annuncio degli apostoli che proclamano Cristo crocifisso e risorto secondo le Scritture (1Cor 2,2; 15,3-4).
Le opere buone, compiute con la forza dello Spirito (Gal 5,22-25), non sono più quelle della legge in cui gli ebrei ponevano orgogliosamente la loro fiducia: esse sono ora accessibili a tutti coloro che credono anche se provengono dal paganesimo (Rm 4,11).
La vocazione di Paolo coinciderà con la conversione dei pagani (Gal 1,16; 2,7-9) secondo una linea universalistica che condurrà il vangelo di Cristo agli estremi confini della terra.
Novantuno immagini inedite per raccontare l’uomo e il suo mondo.
Novantuno scatti nei diversi continenti per descrivere la condizione umana nel nostro pianeta.
E scoprire che, pur con il cambiare delle latitudini, le similitudini sono superiori alle differenze.
L’uomo è uomo, dovunque si trovi, qualunque sia la sua cultura.
Gioisce e soffre allo stesso modo.
È questo il messaggio più profondo della mostra fotografica “Il nostro mondo” allestita da National Geographic Italia al Palazzo delle Esposizioni di Roma e visitabile gratuitamente fino al 2 maggio.
1.
Che cosa differenzia l’esperienza spirituale di Paolo dalla mistica religiosa?  2.
Utilizzando un motore di ricerca (ad esempio www.labibbia.org) individua tutti i passi del Nuovo Testamento in cui si fa riferimento alla “carne” e individuane il senso.  3.
Cerca e leggi nel sito internet www.annopaolino.org la catechesi di Benedetto XVI su “La concezione paolina dell’Apostolato” nell’udienza generale di mercoledì 10 settembre 2008.
Paolo e la spiritualità trinitaria: il Figlio (2Cor 11,16-33; 12,7-10) L’itinerario spirituale del credente (Paolo non usa le parole “discepolo” e “cristiano”) è la copia di quello del suo Signore.
Anzi, c’è fra loro una specie di osmosi: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me.
Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me.” (Gal 2,20).
È lui che dirige e orienta i primi credenti verso questa scoperta: Cristo “ha donato se stesso per i nostri peccati” (Gal 1,4), “è morto per noi” (Rm 5,8), “è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro.” (2Cor 5,15).
Conseguentemente ciascuno, e Paolo per primo, si impegna a vivere l’itinerario individuato dall’inno della Lettera ai Filippesi: dalla morte sulla croce alla gloria celeste (Fil 2,6-11).
L’Apostolo non vuole comprendere nulla che non sia la Croce di Cristo (1Cor 2,2): quella è la radice della sua spiritualità, ben più delle “visioni e rivelazioni” di cui lui stesso potrebbe pure andare fiero.
La sua esperienza spirituale, contrariamente alle mistiche religiose che non individuano la loro autenticità nella debolezza di Dio, è vissuta attraverso Cristo e i suoi fratelli.
Nel passo che segue, tratto dalla Seconda Lettera ai Corinzi (11,16-33; 12,7-10), Paolo parla della sua “follia”, se pure è tale (11,16), che consiste nel gloriarsi delle sue sofferenze.
Egli si mette a confronto con i suoi avversari che lo denigrano.
La sua vera gloria è la sua debolezza perché mette meglio in evidenza la forza di Cristo, mostrando così che la forza straordinaria dell’Apostolo non proviene da lui ma da Dio.
16 Lo dico di nuovo: nessuno mi consideri come un pazzo, o se no ritenetemi pure come un pazzo, perché possa anch’io vantarmi un poco. 17 Quello che dico, però, non lo dico secondo il Signore, ma come da stolto, nella fiducia che ho di potermi vantare.
18 Dal momento che molti si vantano da un punto di vista umano, mi vanterò anch’io.
19 Infatti voi, che pur siete saggi, sopportate facilmente gli stolti.
20 In realtà sopportate chi vi riduce in servitù, chi vi divora, chi vi sfrutta, chi è arrogante, chi vi colpisce in faccia.
21 Lo dico con vergogna; come siamo stati deboli! Però in quello in cui qualcuno osa vantarsi, lo dico da stolto, oso vantarmi anch’io.
22 Sono Ebrei? Anch’io! Sono Israeliti? Anch’io! Sono stirpe di Abramo? Anch’io! 23 Sono ministri di Cristo? Sto per dire una pazzia, io lo sono più di loro: molto di più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte.
24 Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i trentanove colpi; 25 tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde.
26 Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; 27 fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità.
28 E oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese.
29 Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema? 30 Se è necessario vantarsi, mi vanterò di quanto si riferisce alla mia debolezza.
31 Dio e Padre del Signore Gesù, lui che è benedetto nei secoli, sa che non mentisco.
32 A Damasco, il governatore del re Areta montava la guardia alla città dei Damasceni per catturarmi, 33 ma da una finestra fui calato per il muro in una cesta e così sfuggii dalle sue mani.
(…) 7 Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne (1), un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia.
8 A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me.
9 Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».
Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo.
10 Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte.
__________ (1) La spina nella carne è una sofferenza non esattamente identificata; può essere una malattia o la persecuzione accanita dei suoi fratelli nella carne.
Paolo e la spiritualità trinitaria: lo Spirito Santo (Gal 5,13-25) La spiritualità dell’Apostolo Paolo è basata sullo Spirito.
Questo Spirito che viene da Dio, detto “lo Spirito del suo Figlio” (Gal 4,6), diffonde “l’amore di Dio nei nostri cuori” (Rm 5,5) e fa di noi dei “figli adottivi” (Rm 8,15).
La vita del cristiano deve diventare la manifestazione (epifanìa) dello Spirito, una manifestazione visibile per il bene di tutti (1Cor 12,7).
Nella Lettera ai Romani (soprattutto al capitolo 8), Paolo pone la vita cristiana, e dunque anche la sua, non tanto sotto il segno del Battesimo, quanto sotto l’azione dello Spirito.
È lo Spirito che muove la nostra relazione col Padre attraverso la mediazione di Cristo.
È Lui che sostiene la lotta contro la “carne” (2) (Gal 5,13-25) i cui valori più autentici vengono distorti quando sono divinizzati.
È lo Spirito che rende liberi nei confronti di tutte le potenze cosmiche e politiche, compresa la Legge.
Il valore della rivelazione di Dio a Mosè permane.
La Legge (e dunque anche tutte le altre leggi di questo mondo), cede il passo allo Spirito.
È lo Spirito che conduce la nostra vita verso il suo fine ultimo quando, da “giustificati” che siamo attraverso la croce del Signore, noi saremo pienamente salvati per vivere con Cristo.
Sotto l’azione dello Spirito, la nostra vita attuale che già dipende dal Cristo (Paolo dice “in Cristo”) sboccerà pienamente nella vita “con il Signore” (1Ts 4,17).
Nel passo che segue, tratto dalla Lettera ai Galati (5,13-25) Paolo mette in evidenza l’opposizione tra i due princìpi fondamentali della carne e dello Spirito.
Il cristiano, guidato dallo Spirito, vive spontaneamente secondo lo Spirito, sottraendosi ai desideri della carne; ma non è affatto vero che questi siano tali per il fatto che hanno sede nel “corpo”.  ______ (2) La “carne” designa l’uomo nella sua condizione di debolezza, fragilità, mortalità 13 Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà.
Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri.
14 Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso.
15 Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! 16 Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; 17 la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.
18 Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge.
19 Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, 20 idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, 21 invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio.
22 Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; 23 contro queste cose non c’è legge.
24 Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri.
25 Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito.
26 Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri.
La spiritualità missionaria di Paolo (Rm 15,14-24) La spiritualità di Paolo è pervasa anche dalla “preoccupazione per tutte le Chiese” (2Cor 11,28).
Questa spiritualità apostolica fonda tutta la sua azione: “essere un ministro di Gesù Cristo tra i pagani, esercitando l’ufficio sacro del vangelo di Dio perché i pagani divengano una oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo” (Rm 15,16).
Fondata essenzialmente sullo Spirito, tale spiritualità appare centrale.
Tuttavia il pensiero paolino non è stato automaticamente accolto in tutte le comunità cristiane del I secolo.
Il dinamismo spirituale dell’Apostolo, all’apparenza un po’ libertario, poteva urtare la suscettibilità di alcune di esse.
Le opposizioni indicate dall’Apostolo tra la Legge e la fede, o tra la carne e lo Spirito, davano a volte adito a interpretazioni soggette a dubbi, lassiste e anche antisemite, con gravi sofferenze per Paolo, naturalmente.
Questo non lo distolse da un impegno indefettibile nelle proprie convinzioni e dall’amorevole vicinanza alle singole comunità cristiane.
Nel passo seguente, tratto dalla Lettera ai Romani (15,14-24) Paolo ribadisce il suo intento di condurre i pagani alla fede.
L’apostolato è sentito come una liturgia in cui l’Apostolo, o meglio il Cristo per mezzo di lui, offre gli uomini a Dio.
Il suo compito è quello di porre i fondamenti, lasciando ai discepoli la continuazione dell’opera missionaria.
14 Fratelli miei, sono anch’io convinto, per quel che vi riguarda, che voi pure siete pieni di bontà, colmi di ogni conoscenza e capaci di correggervi l’un l’altro.
15 Tuttavia vi ho scritto con un po’ di audacia, in qualche parte, come per ricordarvi quello che già sapete, a causa della grazia che mi è stata concessa da parte di Dio 16 di essere un ministro di Gesù Cristo tra i pagani, esercitando l’ufficio sacro del vangelo di Dio perché i pagani divengano una oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo.
17 Questo è in realtà il mio vanto in Gesù Cristo di fronte a Dio; 18 non oserei infatti parlare di ciò che Cristo non avesse operato per mezzo mio per condurre i pagani all’obbedienza, con parole e opere, 19 con la potenza di segni e di prodigi, con la potenza dello Spirito.
Così da Gerusalemme e dintorni fino all’Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo.
20 Ma mi sono fatto un punto di onore di non annunziare il vangelo se non dove ancora non era giunto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui, 21 ma come sta scritto: «Lo vedranno coloro ai quali non era stato annunziato e coloro che non ne avevano udito parlare, comprenderanno.
(3)» 22 Per questo appunto fui impedito più volte di venire da voi.
23 Ora però, non trovando più un campo d’azione in queste regioni e avendo già da parecchi anni un vivo desiderio di venire da voi, 24 quando andrò in Spagna spero, passando, di vedervi, e di esser da voi aiutato per recarmi in quella regione, dopo avere goduto un poco della vostra presenza.
_________ (3) Paolo cita qui un passo di Is 52,15

Primo biennio – Febbraio

VI unità di apprendimento: “Dio sceglie un popolo”  OBIETTIVI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO Conoscenze  Abilità  * Gesù, il Messia, compimento delle promesse di Dio.
* Ricostruire le principali tappe della storia della salvezza, anche attraverso figure significative.
OBIETTIVI FORMATIVI • Comprendere che Dio sceglie un popolo per realizzare il suo progetto • Conoscere la storia di alcuni personaggi dell’Antico Testamento  Suggerimenti operativi   • Introdurre la struttura della Bibbia, far scrivere alcune informazioni sul quaderno in modo schematico (significato della parola, come si compone, numero libri, cosa racconta, come si legge) e disegnare una Bibbia (portare una Bibbia in classe, così i bambini possono osservarla).
• Spiegare che nei prossimi incontri i bambini avranno l’opportunità di fare la conoscenza con alcuni importanti personaggi biblici, tutte figure dell’Antico Testamento.
• Chiedere ai bambini se conoscono la storia dell’Arca di Noè; provare a ricostruirla insieme con il contributo di tutti gli alunni.
Consegnare a ogni alunno un foglio da disegno e dare la consegna di rappresentare l’episodio con il materiale che si preferisce (pennarelli, pastelli a cera, matite, tempera…).   • Leggere un adattamento della storia di Abramo, sottolineare come sia il PADRE della FEDE per le tre religioni (il primo ad avere fede in un solo Dio) e insegnare uno dei canti dedicati a questa figura (ad esempio: “Abramo non partire” o “Padre Abramo”).
• Raccontare la vita di Giuseppe, spiegare i vari passaggi della vicenda (usare un adattamento del testo originale) e organizzare la classe in coppie o a gruppetti.
Ognuno avrà il compito di rappresentare un momento della vita di Giuseppe con la tecnica del fumetto; al termine i lavori saranno raccolti per formare un libro da lasciare nella biblioteca di classe.
Raccordi con altre discipline Italiano, ed.
alla convivenza, ed.
musicale, ed.
all’immagine Riferimento al tema “Per i diritti di tutti” “Convenzione sui diritti dell’infanzia”: Art.
7: Ogni bambino ha diritto ad avere un’identità.
Art.
14: Ogni bambino ha diritto di seguire la propria religione.