46ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani

“Cattolici nell’Italia di oggi.
Un’agenda di speranza per il futuro del Paese” è il tema della 46ma Settima Sociale (Reggio Calabria, 14-17 ottobre 2010), che ha avuto una preparazione di due anni, con circa 100 incontri in tutte le città d’Italia, e che vede la presenza di 1200 partecipanti e la rappresentanza di 177 associazioni.
IL PROGRAMMA 46ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani “Cattolici nell’Italia di oggi.
Un’agenda di speranza per il futuro del Paese” che si terrà a Reggio Calabria (14-17 ottobre 2010).  Si aprirà nel pomeriggio di giovedì 14 ottobre presso il Teatro comunale “Francesco Cilea” di Reggio Calabria con il saluto di S.E.
Mons.
Vittorio Luigi Mondello, Arcivescovo di Reggio Calabria-Bova e Presidente della Conferenza Episcopale Calabra, del sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Raffa, del Presidente della Provincia Giuseppe Morabito, del Presidente della Giunta regionale Giuseppe Scopelliti, di S.E.
Mons.
Giuseppe Bertello, Nunzio Apostolico in Italia.
Seguirà l’introduzione di S.E.
Mons.
Arrigo Miglio, Vescovo di Ivrea e Presidente del Comitato scientifico ed organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani.
“Logos e agape.
Intelligenza della fede e trasformazione della società” è il titolo della Prolusione che S.Em.za Card.
Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova e Presidente della CEI, pronuncerà davanti agli oltre 1200 delegati provenienti da tutte le 227 diocesi italiane.
“Il processo, l’agenda e l’attualità” è il titolo dell’intervento che Luca Diotallevi, Vice Presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani, terrà prima della conclusione dei lavori della prima giornata.
“Il tema della 46ª Settimana Sociale può sembrare atipico rispetto a quelli delle ultime Settimane Sociali, ma è scaturito quasi naturalmente dall’esperienza della 45ª Settimana, quella del centenario dedicata a Il Bene comune oggi.
Un impegno che viene da lontano – spiega il Vescovo Arrigo Miglio -.
Tale tema, infatti, ha suscitato interesse e si è rivelato più che mai attuale e urgente, ma ha bisogno di essere declinato in rapporto ad alcuni problemi concreti del Paese.
Di qui è nata l’idea di lavorare per proporre un’agenda di speranza, da compilare non a tavolino ma compiendo un’opera di riflessione che permetta di coinvolgere, da subito, molti di coloro che si stanno impegnando seriamente per il bene comune del Paese e per trovare le vie concrete per conseguirlo.
L’agenda – prosegue il Presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali – presenta dei problemi e non ha la pretesa di trovare tutte le soluzioni, soprattutto quelle politiche.
Vorremmo invece, alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, incoraggiare e offrire un contributo perché, come scrive Benedetto XVI nella Deus caritas est «le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili»”.

Intervista a mons. Philippe Brizard: In Medio Oriente, i cristiani in cerca di unità

Intervista a mons.
Philippe Brizard a cura di Jérôme Anciberro Che cosa ci possiamo aspettare dal Sinodo che sta per cominciare a Roma? Il titolo di questo sinodo, “Testimonianza e comunione” ci dà un’indicazione: la testimonianza passa solo se si è uniti.
Da questo punto di vista, ci sono da fare molti sforzi.
In paesi in cui l’islam ètentato dal fondamentalismo, sciita o sunnita, i cristiani possono avere la tentazione di irrigidire anch’essi le loro posizioni, sentendosi emarginati.
In realtà, non possono fare altro che assicurare il servizio di carità, cioè il servizio del bene di tutti, per tutti, sia attraverso le scuole, gli ospedali, i servizi sociali…
È già una testimonianza di fede ed è molto importante.
È un modo per loro di trasmettere alle popolazioni un po’ dell’amore di Dio.
L’idea di carità non è più tenuta in gran considerazione nei nostri paesi occidentali, ma corrisponde a qualcosa di molto concreto laggiù, nei paesi toccati da una guerra più o meno larvata, che dura da decenni e che blocca la riflessione.
I cristiani, e i cattolici in particolare, per definizione vanno oltre le separazioni nazionalistiche e dei singoli gruppi.
Già solo per questo motivo hanno molto da offrire a quelle regioni.
Chissà se il sinodo potrà prefigurare una nuova esperienza di Pentecoste? I cristiani sono in minoranza nella maggior parte dei paesi del Medio e Vicino Oriente.
E tra i cristiani, i cattolici stessi sono in minoranza.
Come concepire questa situazione di minoranza nella minoranza, quando si riflette da Roma o da Parigi? La realtà di minoranza a cui lei fa riferimento non è così semplice.
C’è un contro-esempio flagrante: i cristiani libanesi sono in maggioranza cattolici.
È così anche in Siria o in Iraq.
Certo, quello che lei dice resta vero per altri paesi.
Soprattutto in Egitto, il paese che conta il maggior numero di cristiani in Medio Oriente, circa 10 milioni.
I cattolici egiziani sono solo 250 000…
Tuttavia bisogna diffidare della tentazione di interpretare queste situazioni frettolosamente, ad esempio a partire dalla separazione tipicamente occidentale tra cattolici e protestanti.
Le Chiese orientali si inscrivono in effetti nelle tradizioni comuni che superano le frontiere di denominazione.
Tali tradizioni si esprimono nella liturgia, nel modo di pregare, di vivere la fede.  Quattro di esse sono particolarmente importanti: l’aramaica, la copta, la greca e la latina.
Ne esistono altre, più minoritarie, l’armena.
Se una di queste tradizioni scomparisse, la fede non sarebbe più completa.
Un po’ come se mancasse uno dei quattro vangeli.
Per prendere l’esempio della tradizione aramaica, la si ritrova nella Chiesa maronita, in quella jacobita, caldea, siriaca del Malabar, ecc.
Le Chiese cattoliche orientali del resto provengono generalmente da Chiese ortodosse della stessa tradizione.
All’interno di una stessa tradizione, ognuno cerca di coltivare la sua particolarità.
Una delle sfide del sinodo per il Medio Oriente è precisamente sapere se le Chiese orientali cattoliche saranno capaci di superare i particolarismi.
Ci sono opposizioni teologiche di fondo tra le Chiese orientali? Fino ad una cinquantina di anni fa, ci si trattava allegramente da eretici.
Quei tempi sono superati.
Innanzitutto perché l’unione si impone, di fronte alle difficoltà comuni.
Poi, perché è stato compiuto un enorme lavoro ecumenico.
Oggi non ci sono più differenze di fede cristologica tra le diverse Chiese orientali.
Le false dispute come quella del monofisismo sono completamente superate da diversi decenni, ufficialmente dal 1973 con gli accordi tra Shenuda III, patriarca copto ortodosso di Alessandria, e papa Paolo VI.
Ho letto delle opere di Shenuda III.
Di fatto, aderisco completamente al suo modo di parlare della doppia natura di Cristo.
Ma occorre tempo affinché questo passi nelle piccole parrocchie dell’Alto Egitto.
Allora, tutto funziona bene tra le Chiese orientali? Restano certamente alcuni problemi da risolvere.
Per continuare con l’esempio egiziano: i Copti ortodossi pretendono che i cattolici vengano ribattezzati quando c’è un matrimonio misto cattolicoortodosso.
È un grosso problema.
Non dal punto di vista teorico – la cosa ad alto livello è risolta – ma dal punto di vista pratico.
I responsabili e teologi copti ortodossi sanno benissimo che ribattezzare è assurdo dal punto di vista sacramentale.
Però i responsabili delle parrocchie o i preti di base forse non lo sanno ancora o non vogliono saperlo.
Si può anche parlare dell’influenza di una certa ideologia nazionale o nazionalista che complica le relazioni tra le Chiese.
Sempre in Egitto, le autorità copte cattoliche si sentono in dovere di restare estremamente prudenti nelle loro prese di posizione pubbliche e cercano di distinguersi il meno possibile dagli altri copti, il che talvolta non è facile.
Quando il patriarca copto ortodosso proibisce ai suoi correligionari di andare in pellegrinaggio a Gerusalemme e si lascia andare a dire cose spiacevoli sugli israeliani, la Chiesa copta cattolica non condivide questa linea.
Ma evita di mettere sulla pubblica piazza questo disaccordo, perché rischia di essere mostrata a dito come quella che difende posizioni venute dall’esterno, non proprio egiziane in certo qual modo.
Altro esempio: i vescovi e le istituzioni copte ortodosse che esprimono interesse per ciò che fanno i cattolici sono in un certo modo messi al bando dalla loro istituzione.
Nel delta del Nilo c’è un centro ecumenico di ritiro, Anaphora.
Questo centro è sostenuto da un vescovo copto ortodosso dell’Alto Egitto.
Ora, questo vescovo è estromesso dal Santo Sinodo.
Il monastero di San Macario, in Wadi el-Natrrun, non è visto di buon occhio da certi esponenti della gerarchia perché a volte accoglie dei cattolici che desiderano essere iniziati alla tradizione monastica copta.
Tutto questo non ha nulla a che fare con la teologia, ma con la politica e la psicologia.
Questo fenomeno si ritrova anche altrove, ad esempio in Armenia.
Un “vero” armeno è un armeno della Chiesa apostolica (non-cattolica).
In India questo lo si vede su una scala diversa: certi movimenti indù spiegano che i “veri” indiani sono necessariamente indù.
Le idee ecumeniche fanno più fatica ad imporsi in Medio Oriente che in Occidente? È difficile rispondere a questa domanda.
Si potrebbe dire, innanzitutto, che in Medio Oriente si pratica una sorta di ecumenismo popolare.
Ognuno sa bene a quale Chiesa appartiene.
E per nulla al mondo battezzerebbe i figli, si sposerebbe o si farebbe seppellire in un’altra.
Però, nel quotidiano, si mettono i figli nel collegio migliore – poco importa da quale Chiesa dipende, purché dipenda da una Chiesa.
Si va a messa o alla divina liturgia dove è più comodo.
Si pratica anche l’intercomunione, in particolare in Libano e in Siria.
Del resto, teologicamente parlando, l’intercomunione è perfettamente ammessa.
Cattolici e ortodossi hanno la stessa concezione teologica della Chiesa come corpo di Cristo.
Ciò non significa comunque che tutti si comunichino con tutti.
Non si è mai tanto Chiesa e corpo di Cristo come quando si celebra l’Eucarestia.
Ed è proprio lì che si sentono maggiormente le nostre differenze.
Spesso, quando sono invitati alla messa cattolica, gli esponenti della gerarchia ortodossa si ritirano al momento della comunione.
Ma hanno assistito a tutta la messa.
Non si pratica il sincretismo, tutto qui.
Allora si potrebbe parlare di due concezioni dell’ecumenismo: una occidentale e una orientale? Diciamo piuttosto che l’ecumenismo come lo intendiamo nel contesto occidentale non  è  un’ossessione in Medio Oriente.
Le persone sono talmente abituate a vivere nella diversità, le une accanto alle altre, che certe considerazioni paiono loro incongrue.
Ricordo di essere rimasto a lungo un giorno al Santo Sepolcro, a Gerusalemme.
In Occidente, è normale ridere a proposito dell’organizzazione molto particolare di questo luogo e della confusione che questo sembra generare.
Ma ho avuto un’impressione completamente diversa: quella di una straordinaria convergenza.
Perché è là che confluiscono tutte le tradizioni che confessano Gesù Cristo morto e risorto.
Immaginiamo che l’unione tra le Chiese un giorno avvenga.
Che cosa succederebbe? O si cancelleranno le tradizioni, oppure…
non cambierà niente.
La nostra idea occidentale di unità ha senza dubbio qualcosa a che vedere con un inconscio giacobino.
L’unione delle Chiese è certamente una cosa diversa.
La diversità vi ha il suo spazio.
Comunque, in Oriente, abbiamo lo stesso approccio al mistero della Chiesa, la stessa concezione del sacerdozio e dei sacramenti.
E a proposito della definizione dei ministeri…
La questione del celibato dei preti, ad esempio, non trova tutti unanimi…
C’è però un punto centrale comune: l’esistenza, in tutte le Chiese, di un ministero ordinato che si declina essenzialmente in vescovi, preti e diaconi, o anche suddiaconi, ad esempio nella Chiesa caldea.
Si dice perfino che agli inizi questa Chiesa caldea avrebbe avuto anche delle diaconesse ordinate…
Poi ci sono delle questioni disciplinari proprie a ciascuna Chiesa.
Di diritto divino c’è che Gesù ha fondato il sacerdozio dei vescovi.
Il resto è di diritto ecclesiastico.
Ciò può variare da una Chiesa all’altra, anche in seno alla Chiesa cattolica.
È il caso del celibato dei preti, obbligatorio nella Chiesa latina, ma opzionale in altre Chiese, ad esempio nella Chiesa maronita.
Ognuna di queste opzioni ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi.
Ma è lungi dall’essere centrale.
Ci sono diverse concezioni di potere nella Chiesa? Uno dei punti più importanti delle discussioni ecumeniche attuali è effettivamente il problema del modo di esercitare il primato.
In teoria tutti ammettono il primato del papa.
La divergenza, che non è lieve, riguarda il modo di concepire questo primato.
Il grande timore degli ortodossi è l’abuso di potere.
Quello che succede nelle Chiese orientali cattoliche è quindi molto importante per loro.
Il minimo intervento di Roma suscita preoccupazione.
E di fatto di tanto in tanto si pongono dei problemi di disciplina.
In questo caso, se le autorità delle Chiese cattoliche locali non si assumono le loro responsabilità, Roma si sente in dovere di intervenire.
Ora, il governo tradizionale della Chiesa in Medio Oriente è di tipo sinodale.
I vescovi di uno stessa Chiesa si riuniscono sotto la presidenza del patriarca e prendono le decisioni importanti, compresa l’elezione degli altri vescovi.
Terminato il sinodo, il patriarca esegue le decisioni.
Nella Chiesa latina, per ragioni storiche, la concezione del potere è di tipo monarchico.
Teoricamente, il potere del papa è sovrano e non conosce limiti.
C’è in questo una differenza importante.
Ad esempio: ciò che noi chiamiamo sinodo qui, noialtri latini, non è tale per i cristiani orientali.
In effetti, se i vescovi si riuniscono per discutere di un tema ed esprimere delle proposte, il papa può teoricamente fare ciò che vuole di tali proposte.
Stiamo ri-imparando, in Occidente, quello che è il governo sinodale rimesso in onore dal Vaticano II.
Ci vuole tempo…
La comunione tra Chiese conosce del resto una gradualità.
Si può comunicare perché ci si trova di fronte a difficoltà comuni, perché ci si inscrive nella stessa tradizione, perché si ha la stessa concezione del sacerdozio, le stesse scritture o la stessa fede cristologica…
La questione gerarchica non è tutto.
in “www.temoignagechretien.fr” del 7 ottobre 2010 (traduzione: www.finesettimana,org)

Il ritorno dei valori in politica

Fino a qualche tempo fa, pochi erano coloro che scomodavano l’etica parlando di politica.
Ciò non perché vi fosse insensibilità verso le grandi questioni umane, ma perché era diffuso il pensiero che la gente non avesse interesse a sentir parlare di cose noiose, astratte, impegnative.
Oltretutto a fare le prediche ci pensano già i filosofi ed altri, perciò è inutile che le facciano pure i politici.
Chi governa deve risolvere semmai la crisi dell’economia, organizzare il mercato del lavoro, salvaguardare la sicurezza dei cittadini, rilanciare le esportazioni e gli investimenti, senza avanzare inutili pretese.
Sembra un discorso sensato, apparentemente, ma è invece totalmente sbagliato.
Oggi, infatti, abbiamo scoperto che le cose non vanno quasi mai così.
La logica del consenso non autorizza mai l’estromissione dei contenuti fondamentali, vale a dire di quei valori che non dipendono dalle circostanze, dal novero fluttuante delle proposte che un politico o un partito intendono presentare agli elettori, di volta in volta.
Se, come insegnava Niccolò Machiavelli, la politica e la morale sono due cose separate, di certo non possono esserlo etica e consenso.
Per lo meno, non senza gravi difficoltà.
La gente normalmente si aspetta qualcosa in più di una competenza tecnica da un politico per votarlo.
Altrimenti rimane a casa.
Non stupisce, di conseguenza, che nei recenti avvicendamenti della nomenclatura al governo, tanto in Inghilterra quanto negli Stati Uniti abbia fatto ritorno la moda delle grandi proposte di sostanza.
Possiamo dire che si tratta di una buona norma che si sta propagando un po’ dappertutto, dopo tanti anni di dogmatica indifferenza.
Il premier britannico David Cameron, ad esempio, attualmente in carica nel Regno Unito, ha portato nuovamente al successo i Tory nel maggio scorso, proponendo proprio un’innovativa proposta organica di società.
In molti suoi discorsi si è fatto portavoce nel mondo della cosiddetta “Big Society”, ossia di un programma di solidarietà e di liberalizzazione del capitale improduttivo, elaborato teoricamente tra il 1988 ed il 1993 quando era direttore del Dipartimento di Ricerca Conservatore.
In uno dei suoi interventi ha chiarito che «si devono creare comunità che abbiano verve; quartieri che si facciano carico del proprio destino, che sentano che mettendosi insieme possono plasmare il mondo attorno a loro».
In una parola, si tratta di proporre un grande disegno etico-politico, capace di comprendere e gestire laicamente le dinamiche culturali del momento, e non solo di presentare una serie minimale di punti programmatici.
Assiduamente egli utilizza il termine “mission” per far capire il motivo ispiratore della sua politica, dando alla parola un accento persino esageratamente mistico.
Fin qui i Conservatori.
Ma anche dall’altra parte, i Laburisti, con l’elezione pochi giorni fa di Ed Miliband a nuovo leader, stanno vivendo una netta crescita di adesioni, grazie alle attese che il nuovo programma e la giovane figura promettono.
Certo, le sue idee politiche sono opposte a quelle di Cameron, almeno in linea di principio, anche se il metodo appare lo stesso.
Infatti, medesimo è anche il consenso che produce.
Secondo gli analisti, Ed Miliband ha battuto suo fratello David non tanto perché questi fosse più moderato di lui, ma perché ha trasferito al popolo inglese una spinta etica di maggiore intensità, accompagnandola efficacemente ad una seria promessa di riscossa del partito e del Paese.
È curioso che, saltando l’Atlantico, si constata un fenomeno analogo anche negli Stati Uniti.
Sorvolando sull’elezione di Barack Obama di due anni fa, che è stata caricata fin troppo da un’ondata di riscossa morale, il popolo statunitense ha salutato il ritorno in pista dei Repubblicani nelle prossime elezioni del 2 novembre con un notevole entusiasmo.
Nei contestati ma efficaci Tea Party elettorali, segnati da un riferimento costante all’ethos comunitario tradizionale, Sarah Palin, ritenuta fino a ieri una stelletta ormai al tramonto, ha esposto con successo ampie sezioni del suo manifesto politico, pubblicato integralmente su Facebook, in cui carica di colori etici perfino le cose più banali che i conservatori intendono fare per l’America di domani.
Il suo slogan «Pace attraverso la forza e orgoglio americano contro una politica centrata sul nemico» sottende, a ben vedere, una critica severa ai Democratici, ai quali è imputato l’errore di aver legittimato, per l’appunto, i nemici “etici” dell’America, dalla Corea all’Iran, fino a Cuba e al Venezuela.
La conclusione che si può ricavare da questi esempi emblematici è uno soltanto.
La politica può di certo fare a meno dei riferimenti valoriali, ma solo per un breve periodo, perché alla lunga il consenso è legato strettamente alla capacità d’inserire, nei programmi e nelle proposte che vengono offerte agli elettori, prospettive economiche, sociali e strategiche guidate da idee forti e durature sulla persona umana e sul senso del suo futuro.
L’etica, infatti, non è una vuota retorica o uno sciocco moralismo: è l’anima culturale profonda che  dà combustibile di umanità alla politica, spingendo i cittadini ad impegnarsi e a partecipare attivamente per migliorare la propria esistenza e quella altrui.
Alla fine, attualmente non ha più tanta importanza se un leader sia di sinistra o di destra, se sia progressista o conservatore, ma che egli incarni con i suoi gesti, con le sue parole, con la sua capacità di governo e perfino con la sua vita, una prospettiva etica credibile e autentica, cioè non superficialmente legata solo al mantenimento del potere.
In definitiva, i cittadini vogliono sapere qual è la verità umana che viene proposta e,soprattutto, chi può attuarla concretamente nel futuro.
in “la Repubblica” dell’11 ottobre 2010

Primo giorno di scuola: stupitevi, stupiteli.

Cari colleghi professori, mancano 24 ore alla prima campana.
I vostri alunni sono trepidanti, perché il primo giorno di scuola attraversa il cuore di un ragazzo come uno stormo di promesse.
Sperano che quel primo giorno sia un giorno nuovo, sintomo di un anno nuovo, una vita nuova, direbbe Dante.
Rendete quel giorno la loro Beatrice.
Non li deludete.
Date loro un giorno indimenticabile.
Non chiedete delle loro vacanze, non raccontate le vostre.
Fate lezione: con un amore con cui non l’avete mai fatta.
Preparate oggi quella lezione.
È domenica e avete ancora qualche ora.
Stupiteli con un argomento che desti la loro meraviglia.
Uccideteli di meraviglia! È dallo stupore che inizia la conoscenza, diceva Aristotele e nulla è cambiato.
Annichilite i grandifratelli, gli uominiedonne.
Superateli in share con le vostre lezioni.
Rinnovate in voi lo stupore.
Spiegate loro l’infinito di Leopardi anche se non è nel programma, fateglielo toccare questo infinito di là dalla siepe dei banchi.
Raccontate loro la vita e la morte di una stella.
Descrivete loro la sezione aurea dei petali di una rosa e il segreto per cui la si regala al proprio amore.
Stupitevi.
Stupiteli.
Fatevi brillare gli occhi, fate vedere loro che sapete perchè insegnate quella materia, che siete fieri di aver speso una vita intera a imparare quelle cose, perchè quelle cose contengono il mondo intero.
Stupiteli con la vita, quella che c’è dentro secoli di scoperte, conoscenze, fatti, libri.
Fategliela toccare questa vita.
Non torneranno più indietro.
Sapranno di avere davanti un professore.
Parola meravigliosa che vuol dire “professare”, quasi come una fede, la vostra materia.
Se professate questa fede toccheranno attraverso di voi le cose di cui hanno fame: verità, bene, bellezza.
Le uniche cose per cui viviamo, che lo vogliamo o no.
Tutti vogliamo un piatto buono, un amico sincero, una bella vacanza.
È scritto nel dna che vogliamo quelle tre cose, anche se costano fatica.
Diamogliele.
Immaginate domani di entrare in classe.
Durante la vostra lezione il mondo viene devastato da un’apocalisse.
Per una serie di fortunate (!) congiunture siete rimasti vivi solo voi, con la vostra classe.
Adesso dipende tutto da voi.
Rimboccatevi le maniche, prendetevi cura di quei 20-30 come fosse il mondo intero.
Che mondo sarà quello di domani? Dipende da te caro collega.
Non ti lamentare dei politici, delle strutture, del riscaldamento, dell’orario, adesso ci sei solo tu e loro.
Non ci sono ministri, riforme, strutture.
C’è la scuola nella sua essenza.
Tu e loro e quel che ci sta in mezzo: le parole.
Gli animali si addestrano, gli uomini si educano: con le parole.
Non c’è lo stipendio, perchè non c’è lo Stato e non c’è il privato: sono loro il tuo stipendio.
Ti è rimasto solo un libro: quello della tua materia.
Da lì devi partire per costruire il mondo intero.
Quello è il punto di appoggio con cui sollevarlo, il mondo intero.
Se loro vedranno in te il fuoco ti ripagheranno con uno stipendio che nessun altro mestiere dà: saranno degli innamorati del bene, della verità, della bellezza (cioè della vita).
Non saranno dei furbi, ma degli innamorati.
Forse ti manderanno ugualmente all’inferno come Dante ha fatto – anche se per altri motivi – col suo maestro Brunetto, ma sapranno riconoscerti (come Dante) di avere insegnato loro “come l’uom s’etterna”: come l’uomo si è reso immortale nella storia e come l’uomo si rende immortale al presente.
Caro collega hai 24 ore.
A te la scelta: un nuovo giorno, il primo, di una vita nuova.
 Stupisciti.
Stupiscili.  (Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione – 12 settembre 2010)  

“Sicurezza, qualità e comfort a scuola”

Bullismo e vandalismo sono in aumento (+2% e +7% rispettivamente), ma secondo l’VIII rapporto “Sicurezza, qualità e comfort a scuola” di Cittadinanzattiva, presentato oggi a Roma,  “il dato è sottostimato.
Ben più elevato è il numero di episodi dovuti a comportamenti violenti di diversa gravità che si consumano spesso di nascosto o che vengono minimizzati”.
Gli episodi di criminalità verificatisi all’interno dell’edificio scolastico o nei pressi dell’edificio sono stati segnalati dal responsabile del servizio Prevenzione e protezione (o dal dirigente scolastico), sottolinea Cittadinanzattiva, perciò “riteniamo che il dato sia sottostimato e che ben più elevato sarà presumibilmente il numero di episodi dovuti a comportamenti violenti di diversa gravità che si consumano spesso di nascosto o che vengono occultati e minimizzati”.
Secondo Cittadinanzattiva, inoltre, se è vero che il 90% delle scuole monitorate adotta sistemi di vigilanza all’ingresso dell’edificio  “la metà delle scuole non adotta lo strumento più semplice per la vigilanza che è quello di chiudere i cancelli anche durante l’orario scolastico”.
L’associazione chiede quindi al ministero dell’Istruzione di svolgere una più efficace azione di lotta e prevenzione di tali fenomeni nelle scuole mediante “la raccolta e la diffusione delle buone pratiche esistenti in materia di prevenzione dei comportamenti violenti a scuola” e di avviare un programma nazionale di contrasto a tali fenomeni “che tenga conto delle esperienze di successo realizzate da vari soggetti all’interno delle scuole o in territori più vasti”.
L’idagine di Cittadinanzattiva è stata condotta su un campione di 82 edifici scolastici di ogni ordine e grado (dall’infanzia alla secondaria di II grado) appartenenti ad 11 Province di 8 Regioni: Piemonte, Lombardia, Marche, Umbria, Lazio, Campania, Calabria e Sicilia.

La Bibbia nella scuola

La lettura della Bibbia a scuola “è un’iniziativa a cui sono favorevole come ministro, come credente e come cittadina italiana”.
 Lo scrive il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, in un articolo  scritto per il prossimo numero di Famiglia Cristiana.
“La scuola deve istruire i ragazzi”, spiega il ministro, “ma deve anche formare dei cittadini responsabili e degli adulti consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri.
Questo insieme di valori e insegnamenti, nel mondo occidentale, è rappresentato dalla tradizione cristiana.
E’ quindi importante che i nostri figli, nel bagaglio di conoscenze che la scuola deve garantire loro, possano incontrare fin da subito un testo che ha determinato la nascita della civiltà in cui viviamo e che parla ai cuori e alle coscienze di tutti”.
Le parole del ministro ripropongono la questione delle ‘radici’ cristiane dell’Europa, già oggetto di polemiche in occasione della stesura della Costituzione europea.
Gelmini prende lo spunto dalla Bibbia, ma poi sviluppa la sua riflessione sottolineando che “l’Occidente è stato edificato sugli insegnamenti del cristianesimo ed è impossibile, senza comprendere questa presenza, studiare la sua storia, capire la filosofia, conoscerne l’arte e la cultura.
Diventa impossibile, soprattutto, dialogare e confrontarsi in modo proficuo con le altre culture”, perciò “dobbiamo fare in modo che i nostri giovani siano consapevoli della propria identità per potersi confrontare con le altre e crescere e vivere nel rispetto reciproco”.
Ma sulla questione della lettura della Bibbia (che in effetti in Italia è poco conosciuta, meno che in molti altri Paesi europei), al di là del confronto politico e culturale sulla proposta nasce il problema di chi e come dovrebbe occuparsene in classe: l’insegnante di storia? Quello di religione? Entrambi? In collegamento o no con “Cittadinanza e Costituzione”? Per quanto tempo? Con quali ricadute sul piano valutativo? Come si vede, la proposta del ministro Gelmini non sembra di quelle facilmente praticabili…
tuttoscuola.com

La dispersione scolastica al 31%

Sono quasi 120mila i ”dispersi” tra i 14 e i 17 anni E’ quanto ha reso noto un rapporto Isfol, secondo cui il 5% dei ragazzi in questa fascia d’età abbandona gli studi Sono 117.429 (il 5%) i ragazzi tra i 14 e i 17 anni fuori da qualsiasi percorso formativo, con un forte divario tra Nord e Sud.
È quanto ha reso noto l’Isfol, che ha effettuato il rapporto di monitoraggio del diritto-dovere per conto del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
Il numero che risalta maggiormente è, ancora una volta, quello dei dispersi, pari ad oltre 117 mila giovani tra i 14 e i 17 anni.
Il fenomeno dell’abbandono, però, non ha la stessa rilevanza lungo tutto il territorio nazionale.
Oltre 71mila dispersi risulta risiedere al sud e nelle isole, in altri termini, oltre 1 disperso su 2.
Diversa la situazione al Nord, che registra rispettivamente il 4,5% dei dispersi a nord ovest e solo l’1,7% a nord est.
Tra gli strumenti a sostegno dei ragazzi a rischio si profilano i percorsi triennali di istruzione e formazione curati dalle Regioni, che hanno registrato, nel 2008, un +9,5% di iscrizioni.
 La dispersione in Sardegna sfiora il 40%; Marche e Umbria al 23% Difficile dare un nome preciso (e unico) alle cause di abbandono del percorso scolastico verso il diploma che colpisce tuttora più di tre ragazzi su dieci in Italia nella scuola statale.
Alle classi del quinto anno di corso del 2009-10 sono mancati 31 dei cento ragazzi partiti cinque anni prima.
Forse alcuni (molto pochi) hanno scelto altre strade formative o alternative (la scuola non statale, la formazione professionale).
In attesa che l’anagrafe degli studenti si attui pienamente consentendo di rilevare il percorso di ogni ragazzo e di quantificare e localizzare meglio il fenomeno della dispersione (e di intervenire con misure preventive puntuali), si può stimare nell’1-1,5% questa quota di non dispersi (non più di 10 mila all’anno) che non intacca sostanzialmente il fenomeno.  I differenziati livelli quantitativi della dispersione raggiunti sul territorio non aiutano a capire le cause effettive della dispersione, distinguendo tra fattori esterni alla scuola (attrazione del mondo del lavoro o grave mancanza di prospettiva occupazionale) e fattori interni (severità, selezione, impegno gravoso degli studi).
Così può capitare che nella stessa area territoriale del Sud vi sia la Calabria che registra “soltanto” un 24,1% di dispersione (24,4% nel 2008-09), mentre la Campania si attesta al 35,4% (35,9% nel 2008-09).
Molto più omogenee nella loro negatività le situazioni di dispersione nelle isole: Sicilia al 37,5% (36,7% l’anno precedente), Sardegna 39,4% (35,2% nel 2008-09).
Nell’area settentrionale si registra una analoga situazione differenziata con il Nord Ovest che evidenzia un tasso di dispersione oscillante tra il 33,2% della Lombardia e il 30,1% del Piemonte, mentre il Nord Est ha una dispersione compresa tra il 23,3% del Friuli Venezia Giulia e il 28% dell’Emilia Romagna.
Le regioni centrali sono tutte sotto il 30% di dispersione con la situazione virtuosa delle Marche (22,9% di dispersione) e dell’Umbria (23%).

Concilio e libertà

Sta emergendo, negli osservatori esterni, un sentimento di tenerezza e compassione verso Benedetto XVI a causa della sua profonda afflizione per “il peccato penetrato nella Chiesa” ed esploso con i preti pedofili e qualche incidente di percorso dei suoi maggiori prelati.
Da ciò a un giudizio generale sullo stato della Chiesa il passo è breve, e lo ha compiuto da ultimo Pietro Citati, che però usa categorie di giudizio che dimostrano quanto poco il rinnovamento del Concilio abbia modificato il modo in cui la Chiesa viene percepita dal mondo.
Dice infatti Citati che il problema non è il peccato, perché anzi senza l’angoscia del peccato il cristianesimo nemmeno potrebbe esistere; il rischio è invece che la Chiesa cessi di essere quell’“arca” nella quale la coscienza del peccato è compensata dalla gioia della grazia.
Il rischio a suo parere è che la Chiesa cessi di essere “un’eccezione” rispetto al mondo che vive la sua avventura moderna.
La Chiesa, secondo la visione un po’ giansenista (Pascal) espressa in questo articolo, non deve affatto essere moderna, anzi deve restare un residuo dei tempi antichi, il paradosso che contraddice la ragione, qualcosa di originario e straordinario che ignora le norme della società e della politica; e di conseguenza i suoi preti non devono essere “uomini come gli altri”, quasi fossero pastori protestanti, ma anzi devono riprodurre lo spirito degli antichi eremiti, e fare della castità e del celibato un segno di elezione, il segno della distanza, della differenza, dell’eccezione rispetto “al resto della vita”; cose di cui per fortuna, nonostante tutto, sussisterebbe qualche retaggio anche oggi.
Ora la domanda è: perché il mondo insiste su questa figura di Chiesa? Questa infatti è la figura sublimata della Chiesa professata prima del Concilio, a cui non corrispondeva affatto la Chiesa reale; e proprio Citati altra volta ha dato di quella Chiesa preconciliare una descrizione impietosa.
Quello che ha fatto il Concilio non è stato certo di spegnere il paradosso o di togliere al Vangelo la sua forza di scandalo rispetto alle pratiche del mondo.
Quello che ha fatto il Concilio è stato però di rimettere la Chiesa nel mondo e di riconoscere che questo  paradosso e questo scandalo non vogliono affatto essere “un’eccezione rispetto al resto della vita”, ma vogliono essere precisamente questa vita; non dunque da riservarsi alla Chiesa come a un’arca sottratta alla rovina, ma da destinarsi all’umanità tutta intera oggetto dell’elezione di Dio.
A ben vedere, al di là di tutto il riformismo ecclesiastico (ciò in cui il Concilio non è riuscito), l’aggiornamento (cioè la rivisitazione nelle forme del pensiero “moderno”) promosso da Giovanni XXIII, ha riguardato proprio la riproposizione della fede come comprensione (o “ermeneutica”) del mondo e come possibilità offerta a tutti, e dunque compatibile con la vita reale.
E la prima cosa che ha fatto il Concilio è stata precisamente di liberare l’uomo dall’idea del peccato come destino, quale era percepito dentro le categorie del peccato originale; e di fare invece della scelta tra il bene e il male un connotato della libertà, identico per l’uomo moderno come per il primo uomo, in quanto la libertà è e resta un “segno privilegiato” dell’immagine di Dio nell’uomo.
Il Concilio non fa alcun riferimento alle conseguenze devastanti che il primo peccato avrebbe avuto sull’intero genere umano, quasi attribuendo all’uomo una seconda e più inferma natura, ma dice che anche dopo la caduta Dio “non lo abbandonò”, non lo privò degli aiuti necessari alla salvezza e per conseguenza non lo scacciò da nessun giardino.
E l’incarnazione non è narrata come un’operazione di riscatto per estrarre dall’umanità una porzione di eletti o di salvati intesi come Chiesa, ma come un dono di grazia e una vocazione per gli uomini tutti.
Di conseguenza non c’è questa imparagonabilità della Chiesa col mondo, perché è proprio della totalità umana a lui unita nel Figlio, che Dio ha voluto fare il suo popolo.
E qui, se vogliamo, sta il vero fondamento della laicità, non irreligiosa, del mondo.
Questo cerco di dire in un libro che uscirà il 16 settembre, intitolato “Paradiso e libertà; l’uomo, quel Dio peccatore”.
Vi si racconta come una legge bolognese medioevale che aveva restituito ai servi la libertà fosse chiamata “Libro Paradiso”; il Paradiso è dunque il luogo dove gli uomini vengono a libertà.
Ma guai se gli uomini fossero liberi solo in Paradiso, e se il mondo della fede fosse il “totalmente altro” dal resto del mondo.
Se il Paradiso è libertà, perché lì abita Dio la cui immagine è la libertà, e se Dio è venuto in questo mondo, ogni volta che sono liberati dei prigionieri, che si chiudono le Inquisizioni, che sono sconfitti i mafiosi, che acquistano diritti gli operai, che escono le donne dalle mani di padri e padroni, e ogni volta che il mondo è amato così, si stabilisce un pezzo di paradiso in terra; e ogni volta che questo accade, si accorciano le distanze tra i due paradisi, e l’uomo, se è divino, può trovarsi a casa sua in ambedue le città.
in “Rocca” n.
15 del 1 agosto 2010

Lo spazio visto da Herschel

Galassie antichissime, lontane 10 miliardi di anni che appaiono come gocce luminose nel buio del cosmo, il primo ritratto di una culla di stelle a soli 1.000 anni luce dalla Terra, molecole di acqua e altri composti tutti indizi dell’esistenza di pianeti nella nebulosa di Orione: sono i primi risultati scientifici del più grande telescopio spaziale mai costruito, il satellite Herschel dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa).
ORIONE E I NUOVI PIANETI IN FORMAZIONE – A queste scoperte la rivista Astronomy and Astrophysics dedica una sezione speciale di 152 articoli, molti dei quali firmati anche da ricercatori italiani, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e di molte università fra cui Padova, Bologna, Milano Bicocca.
Le galassie visibili nelle immagini di Herschel come dense gocce luminose sono distanti da tre a dieci miliardi di anni e sono nate quando la formazione delle stelle era molto più diffusa di oggi nell’Universo.
L’incubatrice di stelle invece è vicinissima, soli 1.000 anni luce nella costellazione dell’Aquila.
È così ricca di polveri che finora nessun’altro telescopio a infrarossi era riuscito a osservarla.
Si distinguono 700 grumi di polveri e gas: sono embrioni di stelle, 100 dei quali già alle fasi finali della loro formazione.
Il satellite ha fotografato anche la nebulosa di Orione e qui ha identificato molecole di acqua, monossido di carbonio, formaldeide, metanolo, cianuro di idrogeno, ossido di zolfo: indizi di stelle e pianeti in formazione.
Con il contributo dei ricercatori italiani è stato anche risolto il mistero della polvere mancante nelle galassie dell’ammasso della Vergine.
In alcune zone del gigantesco ammasso della Vergine, composto da almeno 2.500 galassie distante da noi 55 milioni di anni luce, la polvere che permea lo spazio tra le stelle, l’ingrediente fondamentale per la formazione di nuovi astri, è molto carente.
<a href=”http://bs.serving-sys.com/BurstingPipe/BannerRedirect.asp?FlightID=913533&Page=&PluID=0&Pos=8507http%3A//bs.serving-sys.com/BurstingPipe/BannerRedirect.asp%3FFlightID%3D1565602%26Page%3D%26PluID%3D0%26Pos%3D8138″ target=”_blank”><img src=”http://bs.serving-sys.com/BurstingPipe/BannerSource.asp?FlightID=1565602&Page=&PluID=0&Pos=8138″ border=0 width=180 height=150></a> PERCHE NASCONO POCHE STELLE – Un fenomeno drammaticamente evidente soprattutto nelle galassie ellittiche, già note per avere un bassissimo tasso di formazione di nuove stelle.
Gli scienziati hanno dimostrato che la polvere viene sì prodotta continuamente nelle galassie ellittiche, ma non riesce a sopravvivere per più di 50 milioni di anni a causa degli urti fra i granelli di polvere e il gas caldo che permea queste galassie che disintegrerebbero nel tempo le particelle fino a farle sparire completamente.
«Il telescopio Herschel sta eseguendo perfettamente i suoi compiti – ha osservato Barbara Negri, responsabile dell’Agenzia Spaziale Italiana per l’esplorazione e osservazione dell’Universo – e gli studi sulla polvere che permea lo spazio tra le stelle forniranno una prova fondamentale nella comprensione dei meccanismi di formazione di nuove stelle».
(Fonte Ansa) Corriere della sera 17 luglio 2010

Tecnologie educative

Il Regno Unito è all’avanguardia in Europa per quanto riguarda la diffusione delle tecnologie per l’istruzione, tanto che in quasi tutte le scuole è presente una lavagna interattiva.
Secondo quanto riportato da una ricerca condotta da Panasonic le lavagne vendute nel 2009 in Gran Bretagna sono state ben 55.000.
Passi in avanti si stanno facendo anche in altri Paesi, come la Francia, dove però la percentuale di scuole equipaggiate con strumenti di questo tipo è solo del 20%.
In Spagna sono stati previsti 200 milioni di euro per la digitalizzazione di tutte le aule spagnole entro il 2012, e anche la Germania si muove nella stessa direzione.
Per quanto riguarda l’Italia, secondo il rapporto Ocse “Uno sguardo sull’educazione 2009”, il nostro paese risulta sotto la media europea della spesa per l’istruzione, ma ha varato un importante piano d’intervento, “La scuola digitale”, per la diffusione dell’innovazione nella scuola, coordinato dal Miur e dall’Agenzia per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica (ex Indire).
Il piano si articola in due fasi.
La prima prevede l’introduzione delle “Lavagne interattive multimediali (LIM)”, la seconda, denominata cl@ssi 2.0, ha come obiettivo l’utilizzo delle ICT nelle scuole primarie e secondarie di I grado.
A partire dall’anno scolastico 2009-2010) sono state installate 16.000 LIM in altrettante classi della scuola secondaria di I grado e 50.000 insegnanti sono stati coinvolti in percorsi di formazione che interessano oltre 350.000 studenti.
Anche il Ministro per l’Innovazione e la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, ha recentemente presentato My Innova, un social network che si appoggia alla piattaforma Innova Scuola, progettato per la condivisione di esperienze e risorse didattiche tra studenti e docenti.