Una pagina che evangelizza e che coltiva le relazioni

Siamo lieti di dar spazio alla notizia di una  ex allieva che ha conseguito la licenza nel nostro curricolo di licenza di “Educazione e religione”.

 

Il 6 giugno scorso suor Daniela Sanguigni ha conseguito la licenza all’Università Pontificia Salesiana (Istituto di Catechetica – Facoltà di Scienze dell’educazione) con la tesi “La Parola di Dio in Rete. Valutazione empirico-critica della pagina Facebook Parole di Vita – Una Parola al giorno”.

Lo ha annunciato sul proprio profilo e sulla pagina oggetto della tesi, di cui è amministratrice per conto della sua famiglia religiosa, l’Istituto Figlie dell’Oratorio. Questa pagina Facebook ( bit.ly/35bu1oy ), nata il 16 febbraio 2020, presto allargatasi a Instagram e WhatsApp e recentemente emigrata anche su TikTok e Twitter, pubblica ogni giorno un versetto scelto dalle letture (prevalentemente Salmi e Vangeli) del calendario liturgico, abbinato a immagini belle e cercate con cura; gli utenti sono invitati a postare dei commenti.

I follower complessivi sono oltre 2mila, 160 dei quali hanno risposto, nei mesi scorsi, a un dettagliato questionario. Sono le loro risposte, classificate ed elaborate accuratamente, a rappresentare uno dei pezzi forti, ma non l’unico, della tesi. Infatti, avendo potuto darle uno sguardo, ho appreso quanta riflessione, quanta competenza digitale, quanta sensibilità ecclesiale si celino dietro a un’iniziativa apparentemente così semplice. E ho colto quanto sia avvertita dall’amministratrice e dal suo istituto la preoccupazione che essa sia strumento di evangelizzazione. Che, come una vera “missione digitale”, sia capace di trarre frutto dalle potenzialità della Rete; che consenta di stabilire delle relazioni e non sia solo uno strumento di comunicazione da uno a molti o, peggio, un acchiappaclick; che grazie a tali relazioni la Chiesa risulti credibile. A questa preoccupazione la ricerca svolta da suor Sanguigni ha portato conforto: la pagina è percepita dai suoi follower come un servizio alla Parola di Dio, che evangelizza ed educa alla fede; ma anche come un luogo di accoglienza, ascolto, comprensione, accettazione. Ovvero: anche in Rete, quando si fanno le cose per bene, i risultati si vedono.

Guido Mocellin

domenica 13 giugno 2021

La pastorale universitaria: un ebook da scaricare

Un quaderno in formato pdf sul ruolo dell’Università nella società odierna, l’impegno della Chiesa negli atenei e le collaborazioni possibili

“La pastorale universitaria. Interventi, schede e documenti” è il titolo dell’ebook che continua la serie dei Notiziari/Quaderni curati dall’Ufficio Nazionale per l’educazione, la scuola e l’università, dopo quelli dedicati all’Alternanza scuola lavoro e alle alleanze educative.

Il testo raccoglie alcuni contributi che, negli anni recenti, hanno contrassegnato il cammino della pastorale universitaria a livello nazionale. Si tratta di interventi pubblici, relazioni ai convegni, schede di lavoro su temi particolari, che appare utile raccogliere e mettere a disposizione. L’intento è quello di rilanciare l’attenzione della Chiesa nei confronti dell’Università, un servizio che consiste nell’impegno culturale, nell’accompagnamento delle persone che operano nel mondo accademico, nella promozione di dialogo e collaborazione a vantaggio di tutti, nell’ottica del bene comune e del “patto educativo” chiesto dal Papa e sai Vescovi italiani. Di seguito, l’indice del testo.

Ernesto Diaco – Presentazione

 

GLI INTERVENTI

Mons. Stefano Russo – L’Università di domani: valori, prospettive, responsabilità

Mons. Pierantonio Tremolada – Una nuova attenzione pastorale per l’Università

Mons. Claudio Giuliodori – Accompagnare i giovani sulle vie di Dio

Don Rossano Sala – I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Prospettive per la pastorale universitaria

Paola Bignardi – I giovani, la fede, il futuro. Esercizi di discernimento nel tempo della pandemia

Don Angelo Maffeis – Giovanni Battista Montini e la pastorale universitaria

 

LE SCHEDE

Don Marco Cianci – Pastorale universitaria e Chiesa locale

Don Luca Peyron – Pastorale universitaria, Atenei, Istituzioni e territorio

p. Giulio Parnofiello – Spiritualità e discernimento nella pastorale universitaria

 

I DOCUMENTI

Conferenza Episcopale Italiana – Conferenza dei Rettori delle Università Italiane – Manifesto per l’Università

CEI – Commissione Episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università – Lettera agli studenti universitari

DIOCESI DI ASTI – POLO UNIVERSITARIO ASTISS – Convenzione

 

In allegato il testo in formato pdf

«Vieni e vedi» (Gv 1,46). Comunicare incontrando le persone dove e come sono

Il testo del Messaggio del Santo Padre per la 55ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che quest’anno si è celebrato, in molti Paesi, il 16 maggio, Solennità dell’Ascensione del Signore.

SCARICA IL MANIFESTO DI QUEST’ANNO

 

«Vieni e vedi» (Gv 1,46). Comunicare incontrando le persone dove e come sono

Cari fratelli e sorelle,
l’invito a “venire e vedere”, che accompagna i primi emozionanti incontri di Gesù con i discepoli, è anche il metodo di ogni autentica comunicazione umana. Per poter raccontare la verità della vita che si fa storia (cfr Messaggio per la 54ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 24 gennaio 2020) è necessario uscire dalla comoda presunzione del “già saputo” e mettersi in movimento, andare a vedere, stare con le persone, ascoltarle, raccogliere le suggestioni della realtà, che sempre ci sorprenderà in qualche suo aspetto. «Apri con stupore gli occhi a ciò che vedrai, e lascia le tue mani riempirsi della freschezza della linfa, in modo che gli altri, quando ti leggeranno, toccheranno con mano il miracolo palpitante della vita», consigliava il Beato Manuel Lozano ai suoi colleghi giornalisti. Desidero quindi dedicare il Messaggio, quest’anno, alla chiamata a “venire e vedere”, come suggerimento per ogni espressione comunicativa che voglia essere limpida e onesta: nella redazione di un giornale come nel mondo del web, nella predicazione ordinaria della Chiesa come nella comunicazione politica o sociale. “Vieni e vedi” è il modo con cui la fede cristiana si è comunicata, a partire da quei primi incontri sulle rive del fiume Giordano e del lago di Galilea.

Consumare le suole delle scarpe
Pensiamo al grande tema dell’informazione. Voci attente lamentano da tempo il rischio di un appiattimento in “giornali fotocopia” o in notiziari tv e radio e siti web sostanzialmente uguali, dove il genere dell’inchiesta e del reportage perdono spazio e qualità a vantaggio di una informazione
preconfezionata, “di palazzo”, autoreferenziale, che sempre meno riesce a intercettare la verità delle cose e la vita concreta delle persone, e non sa più cogliere né i fenomeni sociali più gravi né le energie positive che si sprigionano dalla base della società. La crisi dell’editoria rischia di portare a un’informazione costruita nelle redazioni, davanti al computer, ai terminali delle agenzie, sulle reti sociali, senza mai uscire per strada, senza più “consumare le suole delle scarpe”, senza incontrare persone per cercare storie o verificare de visu certe situazioni. Se non ci apriamo all’incontro, rimaniamo spettatori esterni, nonostante le innovazioni tecnologiche che hanno la capacità di metterci davanti a una realtà aumentata nella quale ci sembra di essere immersi. Ogni strumento è utile e prezioso solo se ci spinge ad andare e vedere cose che altrimenti non sapremmo, se mette in rete conoscenze che altrimenti non circolerebbero, se permette incontri che altrimenti non avverrebbero.

Quei dettagli di cronaca nel Vangelo
Ai primi discepoli che vogliono conoscerlo, dopo il battesimo nel fiume Giordano, Gesù risponde: «Venite e vedrete» (Gv 1,39), invitandoli ad abitare la relazione con Lui. Oltre mezzo secolo dopo, quando Giovanni, molto anziano, redige il suo Vangelo, ricorda alcuni dettagli “di cronaca” che rivelano la sua presenza nel luogo e l’impatto che quell’esperienza ha avuto nella sua vita: «Era circa l’ora decima», annota, cioè le quattro del pomeriggio (cfr v. 39). Il giorno dopo – racconta ancora Giovanni – Filippo comunica a Natanaele l’incontro con il Messia. Il suo amico è scettico: «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?». Filippo non cerca di convincerlo con ragionamenti: «Vieni e vedi», gli dice (cfr vv. 45-46). Natanaele va e vede, e da quel momento la sua vita cambia.
La fede cristiana inizia così. E si comunica così: come una conoscenza diretta, nata dall’esperienza, non per sentito dire. «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito», dice la gente alla Samaritana, dopo che Gesù si era fermato nel loro villaggio (cfr Gv 4,39-42). Il “vieni e vedi” è il metodo più semplice per conoscere una realtà. È la verifica più onesta di ogni annuncio, perché per conoscere bisogna incontrare, permettere che colui che ho di fronte mi parli, lasciare che la sua testimonianza mi raggiunga.

Grazie al coraggio di tanti giornalisti
Anche il giornalismo, come racconto della realtà, richiede la capacità di andare laddove nessuno va: un muoversi e un desiderio di vedere. Una curiosità, un’apertura, una passione. Dobbiamo dire grazie al coraggio e all’impegno di tanti professionisti – giornalisti, cineoperatori, montatori, registi che spesso lavorano correndo grandi rischi – se oggi conosciamo, ad esempio, la condizione difficile delle minoranze perseguitate in varie parti del mondo; se molti soprusi e ingiustizie contro i poveri e contro il creato sono stati denunciati; se tante guerre dimenticate sono state raccontate. Sarebbe una perdita non solo per l’informazione, ma per tutta la società e per la democrazia se queste voci venissero meno: un impoverimento per la nostra umanità.
Numerose realtà del pianeta, ancor più in questo tempo di pandemia, rivolgono al mondo della comunicazione l’invito a “venire e vedere”. C’è il rischio di raccontare la pandemia, e così ogni crisi, solo con gli occhi del mondo più ricco, di tenere una “doppia contabilità”. Pensiamo alla questione dei vaccini, come delle cure mediche in genere, al rischio di esclusione delle popolazioni più indigenti. Chi ci racconterà l’attesa di guarigione nei villaggi più poveri dell’Asia, dell’America Latina e dell’Africa? Così le differenze sociali ed economiche a livello planetario rischiano di segnare l’ordine della distribuzione dei vaccini anti-Covid. Con i poveri sempre ultimi e il diritto alla salute per tutti, affermato in linea di principio, svuotato della sua reale valenza. Ma anche nel mondo dei più fortunati il dramma sociale delle famiglie scivolate rapidamente nella povertà resta in gran parte nascosto: feriscono e non fanno troppa notizia le persone che, vincendo la vergogna, fanno la fila davanti ai centri Caritas per ricevere un pacco di viveri.

Opportunità e insidie nel web
La rete, con le sue innumerevoli espressioni social, può moltiplicare la capacità di racconto e di condivisione: tanti occhi in più aperti sul mondo, un flusso continuo di immagini e testimonianze.
La tecnologia digitale ci dà la possibilità di una informazione di prima mano e tempestiva, a volte molto utile: pensiamo a certe emergenze in occasione delle quali le prime notizie e anche le prime comunicazioni di servizio alle popolazioni viaggiano proprio sul web. È uno strumento formidabile, che ci responsabilizza tutti come utenti e come fruitori. Potenzialmente tutti possiamo diventare testimoni di eventi che altrimenti sarebbero trascurati dai media tradizionali, dare un nostro contributo civile, far emergere più storie, anche positive. Grazie alla rete abbiamo la possibilità di raccontare ciò che vediamo, ciò che accade sotto i nostri occhi, di condividere testimonianze.
Ma sono diventati evidenti a tutti, ormai, anche i rischi di una comunicazione social priva di verifiche. Abbiamo appreso già da tempo come le notizie e persino le immagini siano facilmente manipolabili, per mille motivi, a volte anche solo per banale narcisismo. Tale consapevolezza critica spinge non a demonizzare lo strumento, ma a una maggiore capacità di discernimento e a un più maturo senso di responsabilità, sia quando si diffondono sia quando si ricevono contenuti. Tutti siamo responsabili della comunicazione che facciamo, delle informazioni che diamo, del controllo che insieme possiamo esercitare sulle notizie false, smascherandole. Tutti siamo chiamati a essere testimoni della verità: ad andare, vedere e condividere.

Nulla sostituisce il vedere di persona
Nella comunicazione nulla può mai completamente sostituire il vedere di persona. Alcune cose si possono imparare solo facendone esperienza. Non si comunica, infatti, solo con le parole, ma con gli occhi, con il tono della voce, con i gesti. La forte attrattiva di Gesù su chi lo incontrava dipendeva dalla verità della sua predicazione, ma l’efficacia di ciò che diceva era inscindibile dal suo sguardo, dai suoi atteggiamenti e persino dai suoi silenzi. I discepoli non solamente ascoltavano le sue parole, lo guardavano parlare. Infatti in Lui – il Logos incarnato – la Parola si è fatta Volto, il Dio invisibile si è lasciato vedere, sentire e toccare, come scrive lo stesso Giovanni (cfr 1 Gv 1,1-3). La parola è efficace solo se si “vede”, solo se ti coinvolge in un’esperienza, in un dialogo. Per questo motivo il “vieni e vedi” era ed è essenziale.
Pensiamo a quanta eloquenza vuota abbonda anche nel nostro tempo, in ogni ambito della vita pubblica, nel commercio come nella politica. «Sa parlare all’infinito e non dir nulla. Le sue ragioni sono due chicchi di frumento in due staia di pula. Si deve cercare tutto il giorno per trovarli e, quando si son trovati, non valgono la pena della ricerca». Le sferzanti parole del drammaturgo inglese valgono anche per noi comunicatori cristiani. La buona novella del Vangelo si è diffusa nel mondo grazie a incontri da persona a persona, da cuore a cuore. Uomini e donne che hanno accettato lo stesso invito: “Vieni e vedi”, e sono rimaste colpite da un “di più” di umanità che traspariva nello sguardo, nella parola e nei gesti di persone che testimoniavano Gesù Cristo. Tutti gli strumenti sono importanti, e quel grande comunicatore che si chiamava Paolo di Tarso si sarebbe certamente servito della posta elettronica e dei messaggi social; ma furono la sua fede, la sua speranza e la sua carità a impressionare i contemporanei che lo sentirono predicare ed ebbero la fortuna di passare del tempo con lui, di vederlo durante un’assemblea o in un colloquio individuale. Verificavano, vedendolo in azione nei luoghi dove si trovava, quanto vero e fruttuoso per la vita fosse l’annuncio di salvezza di cui era per grazia di Dio portatore. E anche laddove questo collaboratore di Dio non poteva essere incontrato in persona, il suo modo di vivere in Cristo era testimoniato dai discepoli che inviava (cfr 1 Cor 4,17).
«Nelle nostre mani ci sono i libri, nei nostri occhi i fatti», affermava Sant’Agostino, esortando a riscontrare nella realtà il verificarsi delle profezie presenti nelle Sacre Scritture. Così il Vangelo riaccade oggi, ogni qual volta riceviamo la testimonianza limpida di persone la cui vita è stata cambiata dall’incontro con Gesù. Da più di duemila anni è una catena di incontri a comunicare il fascino dell’avventura cristiana. La sfida che ci attende è dunque quella di comunicare incontrando le persone dove e come sono.

Signore, insegnaci a uscire dai noi stessi,
e a incamminarci alla ricerca della verità.
Insegnaci ad andare e vedere,
insegnaci ad ascoltare,
a non coltivare pregiudizi,
a non trarre conclusioni affrettate.
Insegnaci ad andare là dove nessuno vuole andare,
a prenderci il tempo per capire,
a porre attenzione all’essenziale,
a non farci distrarre dal superfluo,
a distinguere l’apparenza ingannevole dalla verità.
Donaci la grazia di riconoscere le tue dimore nel mondo
e l’onestà di raccontare ciò che abbiamo visto.

Roma, San Giovanni in Laterano, 23 gennaio 2021, Vigilia della Memoria di San Francesco di Sales.

La famiglia e la persona con disabilità durante il covid-19

Condividiamo la locandina contenente il programma del Webinar “La famiglia e la persona con disabilità durante il covid-19”, in programma mercoledì 19 maggio 2021 dalle ore 17:00 alle ore 19:00, il quarto della serie di webinar organizzati da questo Servizio dal titolo “Una Crisi da non sprecare”.

Il webinar, organizzato in collaborazione con l’Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia della CEI e nel quale interverranno famiglie disabili, famiglie con figli con disabilità, case famiglie, reti associative etc., verrà trasmesso, come il precedente, in diretta sul canale YouTube della Conferenza Episcopale Italiana (https://www.youtube.com/ChiesaCattolicaItaliana) e, oltre ad essere accessibile in Lingua dei Segni con interprete in video, disporrà anche del servizio di sottotitolazione.

Per poter intervenire durante la diretta: SMS o WhatsApp al numero 342 1215390.

 

locandina-programma-Webinar-Disabilità-19.05.2021

 

Avviare un Sinodo italiano

Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dall’Ufficio catechistico nazionale della Conferenza episcopale italiana

«Dopo cinque anni, la Chiesa italiana deve tornare al Convegno di Firenze, e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare». È l’invito che papa Francesco ha rivolto alla Chiesa italiana il 30 gennaio, incontrando l’Ufficio catechistico nazionale della Conferenza episcopale italiana.
In precedenza il papa aveva lanciato il suggerimento al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, nel 2015, immaginandolo come processo di approfondimento della Evangelii gaudium«per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni». E più recentemente il 20 maggio 2019, quando Francesco è tornato sull’argomento aprendo l’Assemblea della CEI, parlando di «probabile Sinodo per la Chiesa italiana».

Cari fratelli e sorelle,

vi do il benvenuto e ringrazio il card. Bassetti per le sue cortesi parole. Ha ripreso le forze, grazie! Saluto il segretario generale, mons. Russo, e tutti voi, che sostenete l’impegno della Chiesa italiana nell’ambito della catechesi. Sono contento di condividere con voi il ricordo del 60° anniversario della nascita dell’Ufficio catechistico nazionale. Istituito ancora prima della configurazione della Conferenza episcopale, esso è stato strumento indispensabile per il rinnovamento catechetico dopo il concilio Vaticano II. Questa ricorrenza è un’occasione preziosa per fare memoria, rendere grazie dei doni ricevuti e rinnovare lo spirito dell’annuncio. A questo scopo, vorrei condividere tre punti che spero possano aiutarvi nei lavori dei prossimi anni.

Catechesi e kerygma

Il primo: catechesi e kerygma. La catechesi è l’eco della parola di Dio. Nella trasmissione della fede la Scrittura – come ricorda il Documento di base – è «il Libro; non un sussidio, fosse pure il primo» (CEI, Il rinnovamento della catechesi, n. 107; ECEI 1/2687). La catechesi è dunque l’onda lunga della parola di Dio per trasmettere nella vita la gioia del Vangelo. Grazie alla narrazione della catechesi, la sacra Scrittura diventa «l’ambiente» in cui sentirsi parte della medesima storia di salvezza, incontrando i primi testimoni della fede. La catechesi è prendere per mano e accompagnare in questa storia. Suscita un cammino, in cui ciascuno trova un ritmo proprio, perché la vita cristiana non appiattisce né omologa, ma valorizza l’unicità di ogni figlio di Dio. La catechesi è anche un percorso mistagogico, che avanza in costante dialogo con la liturgia, ambito in cui risplendono simboli che, senza imporsi, parlano alla vita e la segnano con l’impronta della grazia.

Il cuore del mistero è il kerygma, e il kerygma è una persona: Gesù Cristo. La catechesi è uno spazio privilegiato per favorire l’incontro personale con lui. Perciò va intessuta di relazioni personali. Non c’è vera catechesi senza la testimonianza di uomini e donne in carne e ossa. Chi di noi non ricorda almeno uno dei suoi catechisti? Io lo ricordo: ricordo la suora che mi ha preparato alla prima comunione e mi ha fatto tanto bene. I primi protagonisti della catechesi sono loro, messaggeri del Vangelo, spesso laici, che si mettono in gioco con generosità per condividere la bellezza di aver incontrato Gesù. «Chi è il catechista? È colui che custodisce e alimenta la memoria di Dio; la custodisce in sé stesso – è un “memorioso” della storia della salvezza – e la sa risvegliare negli altri. È un cristiano che mette questa memoria al servizio dell’annuncio; non per farsi vedere, non per parlare di sé, ma per parlare di Dio, del suo amore, della sua fedeltà» (Omelia per la giornata dei catechisti nell’Anno della fede, 29.9.2013).

Per fare questo, è bene ricordare «alcune caratteristiche dell’annuncio che oggi sono necessarie in ogni luogo: che esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e religiosa» – tu sei amato, tu sei amata, questo è il primo, questa è la porta –, «che non imponga la verità e che faccia appello alla libertà» – come faceva Gesù –, «che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, e un’armoniosa completezza che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche. Questo esige dall’evangelizzatore alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio» – e quali sono queste disposizioni che ogni catechista deve avere? –: «Vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna» (esort. ap. Evangelii gaudium, n. 165; EV 29/2271). Gesù aveva questo. È l’intera geografia dell’umanità che il kerygma, bussola infallibile della fede, aiuta a esplorare.

E su questo punto – il catechista – riprendo una cosa che va detta anche ai genitori, ai nonni: la fede va trasmessa «in dialetto». Un catechista che non sa spiegare nel «dialetto» dei giovani, dei bambini, di coloro che… Ma con il dialetto non mi riferisco a quello linguistico, di cui l’Italia è tanto ricca, no, al dialetto della vicinanza, al dialetto che possa capire, al dialetto dell’intimità. A me tocca tanto quel passo dei Maccabei, dei sette fratelli (2Mac 7). Per due o tre volte si dice che la mamma li sosteneva parlando loro in dialetto («nella lingua dei padri»). È importante: la vera fede va trasmessa in dialetto. I catechisti devono imparare a trasmetterla in dialetto, cioè quella lingua che viene dal cuore, che è nata, che è proprio la più familiare, la più vicina a tutti. Se non c’è il dialetto, la fede non è tramessa totalmente e bene.

Catechesi e futuro

Il secondo punto: catechesi e futuro. L’anno scorso ricorreva il 50° anniversario del documento Il rinnovamento della catechesi, con cui la Conferenza episcopale italiana recepiva le indicazioni del Concilio. Al riguardo, faccio mie le parole di san Paolo VI, rivolte alla prima Assemblea generale della CEI dopo il Vaticano II: «Dobbiamo guardare al Concilio con riconoscenza a Dio e con fiducia per l’avvenire della Chiesa; esso sarà il grande catechismo dei tempi nuovi» (23.6.1966). E tornando sul tema, in occasione del I Congresso catechistico internazionale, egli aggiungeva: «È un compito che incessantemente rinasce e incessantemente si rinnova per la catechesi l’intendere questi problemi che salgono dal cuore dell’uomo, per ricondurli alla loro sorgente nascosta: il dono dell’amore che crea e che salva» (25.9.1971). Pertanto la catechesi ispirata dal Concilio è continuamente in ascolto del cuore dell’uomo, sempre con l’orecchio teso, sempre attenta a rinnovarsi.

Questo è magistero: il Concilio è magistero della Chiesa. O tu stai con la Chiesa e pertanto segui il Concilio, e se tu non segui il Concilio o tu l’interpreti a modo tuo, come vuoi tu, tu non stai con la Chiesa. Dobbiamo in questo punto essere esigenti, severi. Il Concilio non va negoziato, per avere più di questi… No, il Concilio è così. E questo problema che noi stiamo vivendo, della selettività rispetto al Concilio, si è ripetuto lungo la storia con altri Concili. A me fa pensare tanto un gruppo di vescovi che, dopo il Vaticano I, sono andati via, un gruppo di laici, dei gruppi, per continuare la «vera dottrina» che non era quella del Vaticano I: «Noi siamo i cattolici veri». Oggi ordinano donne. L’atteggiamento più severo, per custodire la fede senza il magistero della Chiesa, ti porta alla rovina. Per favore, nessuna concessione a coloro che cercano di presentare una catechesi che non sia concorde al magistero della Chiesa.

Come nel dopo Concilio la Chiesa italiana è stata pronta e capace nell’accogliere i segni e la sensibilità dei tempi, così anche oggi è chiamata a offrire una catechesi rinnovata, che ispiri ogni ambito della pastorale: carità, liturgia, famiglia, cultura, vita sociale, economia… Dalla radice della parola di Dio, attraverso il tronco della sapienza pastorale, fioriscono approcci fruttuosi ai vari aspetti della vita. La catechesi è così un’avventura straordinaria: come «avanguardia della Chiesa» ha il compito di leggere i segni dei tempi e di accogliere le sfide presenti e future. Non dobbiamo aver paura di parlare il linguaggio delle donne e degli uomini di oggi. Di parlare il linguaggio fuori dalla Chiesa, sì, di questo dobbiamo avere paura. Non dobbiamo avere paura di parlare il linguaggio della gente. Non dobbiamo aver paura di ascoltarne le domande, quali che siano, le questioni irrisolte, ascoltare le fragilità, le incertezze: di questo, non abbiamo paura. Non dobbiamo aver paura di elaborare strumenti nuovi: negli anni Settanta il Catechismo della Chiesa italiana fu originale e apprezzato; anche i tempi attuali richiedono intelligenza e coraggio per elaborare strumenti aggiornati, che trasmettano all’uomo d’oggi la ricchezza e la gioia del kerygma, e la ricchezza e la gioia dell’appartenenza alla Chiesa.

Catechesi e comunità

Terzo punto: catechesi e comunità. In questo anno contrassegnato dall’isolamento e dal senso di solitudine causati dalla pandemia, più volte si è riflettuto sul senso di appartenenza che sta alla base di una comunità. Il virus ha scavato nel tessuto vivo dei nostri territori, soprattutto esistenziali, alimentando timori, sospetti, sfiducia e incertezza. Ha messo in scacco prassi e abitudini consolidate e così ci provoca a ripensare il nostro essere comunità. Abbiamo capito, infatti, che non possiamo fare da soli e che l’unica via per uscire meglio dalle crisi è uscirne insieme – nessuno si salva da solo, uscirne insieme –, riabbracciando con più convinzione la comunità in cui viviamo. Perché la comunità non è un agglomerato di singoli, ma la famiglia in cui integrarsi, il luogo dove prendersi cura gli uni degli altri, i giovani degli anziani e gli anziani dei giovani, noi di oggi di chi verrà domani. Solo ritrovando il senso di comunità, ciascuno potrà trovare in pienezza la propria dignità.

La catechesi e l’annuncio non possono che porre al centro questa dimensione comunitaria. Non è il momento per strategie elitarie. La grande comunità: qual è la grande comunità? Il santo popolo fedele di Dio. Non si può andare avanti fuori del santo popolo fedele di Dio, il quale – come dice il Concilio – è infallibile in credendo. Sempre con il santo popolo di Dio. Invece, cercare appartenenze elitarie ti allontana dal popolo di Dio, forse con formule sofisticate, ma tu perdi quell’appartenenza alla Chiesa che è il santo popolo fedele di Dio.

Questo è il tempo per essere artigiani di comunità aperte che sanno valorizzare i talenti di ciascuno. È il tempo di comunità missionarie, libere e disinteressate, che non cerchino rilevanza e tornaconti, ma percorrano i sentieri della gente del nostro tempo, chinandosi su chi è al margine. È il tempo di comunità che guardino negli occhi i giovani delusi, che accolgano i forestieri e diano speranza agli sfiduciati. È il tempo di comunità che dialoghino senza paura con chi ha idee diverse. È il tempo di comunità che, come il buon Samaritano, sappiano farsi prossime a chi è ferito dalla vita, per fasciarne le piaghe con compassione. Non dimenticatevi questa parola: compassione. Quante volte, nel Vangelo, di Gesù si dice: «Ed ebbe compassione», «ne ebbe compassione».

Come ho detto al Convegno ecclesiale di Firenze, desidero una Chiesa «sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. (…) Una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza». Quanto riferivo allora all’umanesimo cristiano vale anche per la catechesi: essa «afferma radicalmente la dignità di ogni persona come figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria, l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura» (Discorso al V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze, 10.11.2015).

Ho menzionato il Convegno di Firenze. Dopo cinque anni, la Chiesa italiana deve tornare al Convegno di Firenze, e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare.

Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per quanto fate. Vi invito a continuare a pregare e a pensare con creatività a una catechesi centrata sul kerygma, che guardi al futuro delle nostre comunità, perché siano sempre più radicate nel Vangelo, comunità fraterne e inclusive. Vi benedico, vi accompagno. E voi, per favore, pregate per me, ne ho bisogno. Grazie!

 

Francesco

Documenti, 5/2021, 01/03/2021, pag. 139

Webinar: Accompagnare l’annuncio della fede in famiglia

Nella sezione “trasformazioni pastorali” del documento Ripartiamo insieme (2020) vengono date cinque indicazioni che richiedono un deciso cambio di mentalità. La seconda tra queste interessa direttamente la famiglia: «Abbiamo compreso di dover assumere la catechesi nelle famiglie» (p. 7). A partire da quest’opzione, nell’incontro si prende in esame il compito della famiglia nell’educazione alla fede dei figli. A questa riflessione si accompagna un interrogativo impegnativo: qual è il ruolo dei catechisti nel sostenere e accompagnare questo compito primario attribuito alle famiglie?

 

video del webinar

MATERIALI

Accompagnare l’annuncio della fede in famiglia

Accompagnare l’annuncio …

Lavoro di gruppo

 

La vita cristiana dei catechisti – Incontro di formazione

Il Webinar tenuto dal prof. Ubaldo Montisci si inserisce nel ciclo formativo rivolto ai catechisti di numerose parrocchie salesiane del Centro e Nord  Italia.

Il tema dell’incontro, il terzo della serie, è La vita cristiana dei catechisti. Trovate allegati la conferenza, il PowerPoint utilizzato, la scheda di lavoro, il video del Webinar.

IL VIDEO

La vita cristiana del catechista doc

La vita cristiana del catechista ppt

Quaresima – Pasqua 2021. Sussidio liturgico-pastorale

Questo sussidio liturgico-pastorale ci aiuti a vivere intensamente questi tempi, consapevoli come scrive il papa che «Vivere una Quaresima con speranza vuol dire sentire di essere, in Gesù Cristo, testimoni del tempo nuovo, in cui Dio “fa nuove tutte le cose” (cfr. Ap 21,1-6).

Presentazione

Il tempo che stiamo attraversando è tinto ancora d’incertezza, di stanchezza e di paura. «Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi». Così papa Francesco descriveva i sentimenti dell’intera umanità nel cuore della Quaresima dello scorso anno (Sagrato della Basilica di San Pietro, 27 marzo 2020). Ma se la situazione sanitaria sembra non darci tregua, l’impegno di tanti fratelli e sorelle e la loro testimonianza di carità aprono il cuore alla speranza. Le parole e i gesti profumati di amore ci ricordano che la morte non è l’ultima parola, che la speranza non può morire; essi annunciano che la Vita vince la morte! È la forza e la bellezza dell’annuncio pasquale!

Nel messaggio per la Quaresima di quest’ anno il papa ha scritto: «Nell’attuale contesto di preoccupazione in cui viviamo e in cui tutto sembra fragile e incerto, parlare di speranza potrebbe sembrare una provocazione. Il tempo di Quaresima è fatto per sperare, per tornare a rivolgere lo sguardo alla pazienza di Dio, che continua a prendersi cura della sua Creazione, mentre noi l’abbiamo spesso maltrattata (cfr. Enc. Laudato si’, 32-33.43-44). È speranza nella riconciliazione, alla quale ci esorta con passione San Paolo: “Lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5,20)».

Accogliamo allora questo tempo dell’anno liturgico lasciandoci illuminare, sin dall’inizio, dalla luce della Pasqua alla quale l’itinerario penitenziale della Quaresima conduce. Il cuore di ciascuno, da subito, fa proprie le parole che la liturgia pone sulla bocca di tutti nel canto della sequenza pasquale immaginandole già sulle labbra di Maria di Magdala: «Cristo, mia speranza, è risorto!». È il grido di gioia che squarcia l’oscurità della notte e annuncia l’alba di un nuovo giorno. «Maria di Magdala, si recò al sepolcro di buon mattino, quando era ancora buio» (Gv 20,1). Mentre l’esperienza del buio, dell’oscurità, del peccato e della morte tendono ad avvolgere la nostra vita, la Quaresima è il «tempo favorevole» per prenderne coscienza ma soprattutto per lasciarci afferrare da Cristo, il Crocifisso Risorto che ci prende per mano, ci strappa al peccato e alla morte e ci riconsegna alla Vita. Mistero di misericordia e di luce: evento fondante della nostra fede dove affondano le radici della speranza cristiana.

Alla Pasqua si arriva attraverso la croce ma proprio la croce diventa la vera via alla Vita, non solo perché ci narra di un Dio che fa con noi un’alleanza d’amore, ma perché proprio tramite la croce Dio è entrato nella morte per svegliarci da essa. Le tenebre vengono meno, non riescono a trattenere la potenza della luce. E anche quando ci si trova immersi nel peccato, tutto il mistero della Pasqua ci fa percepire una forza che dissipa la nostra notte, la riveste di speranza e la inonda di una luce che lava ogni colpa.

Questo sussidio liturgico-pastorale ci aiuti a vivere intensamente questi tempi, consapevoli come scrive il papa che «Vivere una Quaresima con speranza vuol dire sentire di essere, in Gesù Cristo, testimoni del tempo nuovo, in cui Dio “fa nuove tutte le cose” (cfr. Ap 21,1-6). Significa ricevere la speranza di Cristo che dà la sua vita sulla croce e che Dio risuscita il terzo giorno, “pronti sempre a rispondere a chiunque [ci] domandi ragione della speranza che è in [noi]” (1Pt 3,15)».

 

✠ Stefano Russo

Segretario Generale
della Conferenza Episcopale Italiana

 

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA QUARESIMA 2021

“Ecco, noi saliamo a Gerusalemme…” (Mt 20,18).
Quaresima: tempo per rinnovare fede, speranza e carità.

 

Cari fratelli e sorelle,

annunciando ai suoi discepoli la sua passione, morte e risurrezione, a compimento della volontà del Padre, Gesù svela loro il senso profondo della sua missione e li chiama ad associarsi ad essa, per la salvezza del mondo.

Nel percorrere il cammino quaresimale, che ci conduce verso le celebrazioni pasquali, ricordiamo Colui che «umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,8). In questo tempo di conversione rinnoviamo la nostra fede, attingiamo l’“acqua viva” della speranza e riceviamo a cuore aperto l’amore di Dio che ci trasforma in fratelli e sorelle in Cristo. Nella notte di Pasqua rinnoveremo le promesse del nostro Battesimo, per rinascere uomini e donne nuovi, grazie all’opera dello Spirito Santo. Ma già l’itinerario della Quaresima, come l’intero cammino cristiano, sta tutto sotto la luce della Risurrezione, che anima i sentimenti, gli atteggiamenti e le scelte di chi vuole seguire Cristo.

Il digiuno, la preghiera e l’elemosina, come vengono presentati da Gesù nella sua predicazione (cfr Mt 6,1-18), sono le condizioni e l’espressione della nostra conversione. La via della povertà e della privazione (il digiuno), lo sguardo e i gesti d’amore per l’uomo ferito (l’elemosina) e il dialogo filiale con il Padre (la preghiera) ci permettono di incarnare una fede sincera, una speranza viva e una carità operosa.

  1. La fede ci chiama ad accogliere la Verità e a diventarne testimoni, davanti a Dio e davanti a tutti i nostri fratelli e sorelle.

In questo tempo di Quaresima, accogliere e vivere la Verità manifestatasi in Cristo significa prima di tutto lasciarci raggiungere dalla Parola di Dio, che ci viene trasmessa, di generazione in generazione, dalla Chiesa. Questa Verità non è una costruzione dell’intelletto, riservata a poche menti elette, superiori o distinte, ma è un messaggio che riceviamo e possiamo comprendere grazie all’intelligenza del cuore, aperto alla grandezza di Dio che ci ama prima che noi stessi ne prendiamo coscienza. Questa Verità è Cristo stesso, che assumendo fino in fondo la nostra umanità si è fatto Via – esigente ma aperta a tutti – che conduce alla pienezza della Vita.

Il digiuno vissuto come esperienza di privazione porta quanti lo vivono in semplicità di cuore a riscoprire il dono di Dio e a comprendere la nostra realtà di creature a sua immagine e somiglianza, che in Lui trovano compimento. Facendo esperienza di una povertà accettata, chi digiuna si fa povero con i poveri e “accumula” la ricchezza dell’amore ricevuto e condiviso. Così inteso e praticato, il digiuno aiuta ad amare Dio e il prossimo in quanto, come insegna San Tommaso d’Aquino, l’amore è un movimento che pone l’attenzione sull’altro considerandolo come un’unica cosa con sé stessi (cfr Enc. Fratelli tutti, 93).

La Quaresima è un tempo per credere, ovvero per ricevere Dio nella nostra vita e consentirgli di “prendere dimora” presso di noi (cfr Gv 14,23). Digiunare vuol dire liberare la nostra esistenza da quanto la ingombra, anche dalla saturazione di informazioni – vere o false – e prodotti di consumo, per aprire le porte del nostro cuore a Colui che viene a noi povero di tutto, ma «pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14): il Figlio del Dio Salvatore.

  1. La speranza come “acqua viva” che ci consente di continuare il nostro cammino

La samaritana, alla quale Gesù chiede da bere presso il pozzo, non comprende quando Lui le dice che potrebbe offrirle un’“acqua viva” (Gv 4,10). All’inizio lei pensa naturalmente all’acqua materiale, Gesù invece intende lo Spirito Santo, quello che Lui darà in abbondanza nel Mistero pasquale e che infonde in noi la speranza che non delude. Già nell’annunciare la sua passione e morte Gesù annuncia la speranza, quando dice: «e il terzo giorno risorgerà» (Mt 20,19). Gesù ci parla del futuro spalancato dalla misericordia del Padre. Sperare con Lui e grazie a Lui vuol dire credere che la storia non si chiude sui nostri errori, sulle nostre violenze e ingiustizie e sul peccato che crocifigge l’Amore. Significa attingere dal suo Cuore aperto il perdono del Padre.

Nell’attuale contesto di preoccupazione in cui viviamo e in cui tutto sembra fragile e incerto, parlare di speranza potrebbe sembrare una provocazione. Il tempo di Quaresima è fatto per sperare, per tornare a rivolgere lo sguardo alla pazienza di Dio, che continua a prendersi cura della sua Creazione, mentre noi l’abbiamo spesso maltrattata (cfr Enc. Laudato si’, 32-33.43-44). È speranza nella riconciliazione, alla quale ci esorta con passione San Paolo: «Lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5,20). Ricevendo il perdono, nel Sacramento che è al cuore del nostro processo di conversione, diventiamo a nostra volta diffusori del perdono: avendolo noi stessi ricevuto, possiamo offrirlo attraverso la capacità di vivere un dialogo premuroso e adottando un comportamento che conforta chi è ferito. Il perdono di Dio, anche attraverso le nostre parole e i nostri gesti, permette di vivere una Pasqua di fraternità.

Nella Quaresima, stiamo più attenti a «dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano, invece di parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano» (Enc. Fratelli tutti [FT], 223). A volte, per dare speranza, basta essere «una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza» (ibid., 224).

Nel raccoglimento e nella preghiera silenziosa, la speranza ci viene donata come ispirazione e luce interiore, che illumina sfide e scelte della nostra missione: ecco perché è fondamentale raccogliersi per pregare (cfr Mt 6,6) e incontrare, nel segreto, il Padre della tenerezza.

Vivere una Quaresima con speranza vuol dire sentire di essere, in Gesù Cristo, testimoni del tempo nuovo, in cui Dio “fa nuove tutte le cose” (cfr Ap 21,1-6). Significa ricevere la speranza di Cristo che dà la sua vita sulla croce e che Dio risuscita il terzo giorno, «pronti sempre a rispondere a chiunque [ci] domandi ragione della speranza che è in [noi]» (1Pt 3,15).

  1. La carità, vissuta sulle orme di Cristo, nell’attenzione e nella compassione verso ciascuno, è la più alta espressione della nostra fede e della nostra speranza.

La carità si rallegra nel veder crescere l’altro. Ecco perché soffre quando l’altro si trova nell’angoscia: solo, malato, senzatetto, disprezzato, nel bisogno… La carità è lo slancio del cuore che ci fa uscire da noi stessi e che genera il vincolo della condivisione e della comunione.

«A partire dall’amore sociale è possibile progredire verso una civiltà dell’amore alla quale tutti possiamo sentirci chiamati. La carità, col suo dinamismo universale, può costruire un mondo nuovo, perché non è un sentimento sterile, bensì il modo migliore di raggiungere strade efficaci di sviluppo per tutti» (FT, 183).

La carità è dono che dà senso alla nostra vita e grazie al quale consideriamo chi versa nella privazione quale membro della nostra stessa famiglia, amico, fratello. Il poco, se condiviso con amore, non finisce mai, ma si trasforma in riserva di vita e di felicità. Così avvenne per la farina e l’olio della vedova di Sarepta, che offre la focaccia al profeta Elia (cfr 1 Re 17,7-16); e per i pani che Gesù benedice, spezza e dà ai discepoli da distribuire alla folla (cfr Mc 6,30-44). Così avviene per la nostra elemosina, piccola o grande che sia, offerta con gioia e semplicità.

Vivere una Quaresima di carità vuol dire prendersi cura di chi si trova in condizioni di sofferenza, abbandono o angoscia a causa della pandemia di Covid-19. Nel contesto di grande incertezza sul domani, ricordandoci della parola rivolta da Dio al suo Servo: «Non temere, perché ti ho riscattato» (Is 43,1), offriamo con la nostra carità una parola di fiducia, e facciamo sentire all’altro che Dio lo ama come un figlio.

«Solo con uno sguardo il cui orizzonte sia trasformato dalla carità, che lo porta a cogliere la dignità dell’altro, i poveri sono riconosciuti e apprezzati nella loro immensa dignità, rispettati nel loro stile proprio e nella loro cultura, e pertanto veramente integrati nella società» (FT, 187).

Cari fratelli e sorelle, ogni tappa della vita è un tempo per credere, sperare e amare. Questo appello a vivere la Quaresima come percorso di conversione, preghiera e condivisione dei nostri beni, ci aiuti a rivisitare, nella nostra memoria comunitaria e personale, la fede che viene da Cristo vivo, la speranza animata dal soffio dello Spirito e l’amore la cui fonte inesauribile è il cuore misericordioso del Padre.

Maria, Madre del Salvatore, fedele ai piedi della croce e nel cuore della Chiesa, ci sostenga con la sua premurosa presenza, e la benedizione del Risorto ci accompagni nel cammino verso la luce pasquale.

Roma, San Giovanni in Laterano, 11 novembre 2020, memoria di San Martino di Tours

Francesco