Essere missionarie oggi

di LUCIA CAPUZZI giornalista di «Avvenire»

Donne che vanno oltre. Così, parafrasando Madeleine Delbrêl, possiamo definire le missionarie. Quelle che partono verso orizzonti lontani e luoghi remoti in cui vivono e, spesso, muoiono da martiri, nel senso di testimoni. E quelle che, «senza battello», oltrepassano frontiere culturali, sociali e spirituali per raggiungere l’altro. Come ci ricorda papa Francesco nel messaggio per la scorsa Giornata missionaria mondiale: «La Chiesa di Cristo era, è e sarà sempre “in uscita” verso i nuovi orizzonti geografici, sociali, esistenziali, verso i luoghi e le situazioni umane “di confine”, per rendere testimonianza di Cristo e del suo amore a tutti gli uomini e le donne di ogni popolo, cultura, stato sociale. In questo senso, la missione sarà sempre anche missio ad gentes, come ci ha insegnato il Concilio Vaticano II, perché la Chiesa dovrà sempre spingersi oltre, oltre i propri confini, per testimoniare a tutti l’amore di Cristo».

Non è possibile tracciare un identikit rigido delle missionarie poiché la parola “missione” ingloba un contenuto plurale, multidimensionale, policromo. Fino alla seconda metà del Novecento, il termine veniva impiegato, in base all’accezione conferitale dai gesuiti nel XVI secolo, per indicare delle attività speciali della Chiesa. Nel boom missionario dell’Ottocento, si riferisce alla figura un po’ romantica del presbitero inviato ufficialmente dalla gerarchia ecclesiastica in un Paese non cristiano con il mandato di convertire la popolazione e edificare una comunità ecclesiale.
Una formula che, paradossalmente, esclude le donne. Eppure, proprio questo periodo, vede il fiorire di straordinarie figure: le grandi suore missionarie, da Francesca Saverio Cabrini, apostola dei migranti, a Laura Montoya, pioniera della difesa degli indigeni amazzonici. Donne che sono andate oltre in molti sensi, inclusi i pregiudizi nei propri confronti.
È il primo gennaio 1872 quando tre ragazze, Maria Caspio, Luigia Zago e Isabella Zadrich, danno vita al nucleo originario di quello che poi sarà il primo Istituto femminile esclusivamente missionario nato in Italia: le Pie madri della Nigrizia, ora comboniane. Il fondatore, Daniele Comboni, è consapevole dell’audacia della scelta e delle perplessità che rischiava di suscitare. A farlo perseverare è la convinzione profonda della necessità delle donne, testimoni della compassione di Dio per i poveri. Per questo, paragona le “sue” suore a «un sacerdote e più di un prete». Esse sono – scrive – «una vera immagine delle antiche donne del Vangelo, che, con la stessa facilità con la quale insegnano l’abc agli orfani abbandonati in Europa, affrontano mesi di lunghi viaggi a 60 gradi, attraversano deserti su cammelli, e cavalcano cavalli, dormono all’aperto, sotto un albero o in un angolo di una barca araba, aiutano i malati e chiedono giustizia dai Pascià per gl’infelici e gli oppressi. Loro non temono il ruggito del leone, affrontano tutti i lavori, viaggi disastrosi e la morte, per conquistare le anime per la Chiesa». Altri istituti verranno costituiti negli anni immediatamente successivi: le suore saveriane, le suore della Consolata, le missionarie dell’Immacolata.

A mandare in crisi il concetto “classico” di missione e di missionario o missionaria è la sua associazione all’espansione coloniale dell’Occidente. Una certa narrativa cerca di integrare la trasmissione della fede nell’opera “civilizzatrice dell’uomo bianco” nei confronti di popoli “primitivi o selvaggi”. È il concilio Vaticano II a fare piazza pulita di ogni ambiguità e a dare uno spessore inedito all’impulso missionario. La missione non è uno dei tanti uffici ecclesiali bensì dimensione costitutiva della Chiesa che partecipa alla missio Dei. In tale ottica, si configura come un dinamismo il cui fine è raggiungere il mondo intero per trasformarlo in Popolo di Dio. Quest’ultimo è missionario poiché Dio lo è.

Nell’ecclesiologia odierna, la Chiesa è considerata essenzialmente missionaria: esiste mentre è inviata e mentre si costituisce
in vista della sua missione. Una svolta ben descritta nell’articolo della storica Raffaella Perin [a pag. 12]. Evangelii gaudium, ispirato dal documento di Aparecida e dagli stimoli del Sinodo sulla Nuova evangelizzazione, riprende con forza questa prospettiva.

Nella “Chiesa in uscita” di cui parla papa Francesco, stile, attività, orari, linguaggio e struttura sono trasformati dalla scelta
missionaria, che ne costituisce il perno. La riforma della Curia romana, contenuta nella Costituzione apostolica Praedicate evangelium, ne è l’incarnazione concreta, come illustrato dalla canonista Donata Horak [a pag. 18].
Essere missionari è, dunque, un modo di essere comunità ecclesiale. Non è sociologia. La missione non è una Ong, come ripete il Pontefice. Non è, cioè, un’attività istituzionalizzata, una funzione da svolgere, un impegno da portare a termine, seppure a fini benefici e caritativi. È la natura della Chiesa. Il motore del suo agire. Riguarda il cuore del Vangelo: inquietudine per chi è escluso e passione per il Regno. Come afferma Agostino Rigon, direttore generale del Festival della missione: «Se Dio si preoccupa del mondo interno, anche il campo della missio Dei è il mondo intero: ogni essere umano e tutti gli aspetti della sua esistenza».
È la fraternità a spingere l’uomo o la donna a farsi prossimo dei caduti agli angoli delle vie, ovunque essi si trovino: indigeni espulsi dalle loro terre, vittime di tratta, bimbi schiavi, rom intrappolati nelle periferie delle città, migranti condannati a un invisibile pellegrinare. Ad aiutarli a rialzarsi e ad accettare di essere rialzato da loro.

Perché gli scartati sono maestri, di vita e di fede, come mette in luce un inedito progetto del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale che ha realizzato una sorta di “cattedra dei poveri di teologia”. Un gruppo di esperti ha rivolto le grandi domande della teologia a un gruppo di marginali fra i marginali. Le risposte, un distillato di Vangelo.
Da ciò, però, sorge un interrogativo cruciale. Se tutti i battezzati e le battezzate sono necessariamente missionari, ha ancora senso la scelta di quanti – laici e religiosi – lasciano il proprio Paese e si recano in luoghi lontani per annunciare il Vangelo con la vita e con le opere? «Ovviamente sono convinta di sì», afferma Marta Pettenazzo, religiosa delle missionarie di Nostra Signora degli Apostoli e prima donna a guidare tra il 2014 e il 2019 la Conferenza degli istituti missionari italiani (CIMI). «L’impegno missionario riguarda ciascuno e ciascuna. Alcuni e alcune, tuttavia, hanno la chiamata dedicare tutta la loro esistenza e talenti alla testimonianza del Vangelo, dentro e fuori dal proprio Paese». Una missione, dunque, intesa a trecentosessanta gradi e rivolta alla fragilità umana ovunque essa si trovi.

Se l’orizzonte geografico non è più dominante, esso, tuttavia, non è scomparso. «La cosiddetta missio ad extra, cioè vissuta in altre nazioni rispetto alla propria, è una delle dimensioni della missione e continua ad essere la priorità per alcuni Istituti o congregazioni. Al cuore di
questa scelta non si colloca tanto lo spostamento fisico quanto l’attitudine esistenziale che implica la disponibilità a partire. Significa lasciare il tuo noto per andare verso qualcos’altro. E quando lo fai, ti metti necessariamente nell’attitudine dell’imparare. La missione mi ha insegnato che doni solo nel modo in cui in cui impari», sottolinea suor Marta. Di nuovo, spunta la dimensione “dell’andare oltre” in cui il
contributo delle donne diventa fondamentale. Lo è sempre stato: la prima missionaria della storia della cristianità è Maddalena, come ci racconta la biblista Marinella Perroni [a pag. 16]. La missione contemporanea, al cui cuore si collocano il prendersi cura e l’accompagnare, ha però un volto molto femminile, come dimostra il caleidoscopio di storie raccolte in questo numero. Da quella di Lisa Clark, missionaria della nonviolenza nella società civile e all’interno delle istituzioni, alla vicenda di suor Zvonka Mikec, dell’Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, una vita missionaria in Africa, incontrata a Roma dalla scrittrice Tea Ranno, ex allieva delle salesiane. Il recupero del femminile, associato a lungo a irrazionalità e incapacità di gestione, come sostiene il teologo protestante David Bosch, è fondamentale per liberare il concetto di missione da ogni pretesa di dominio, da ogni ansia performativa, da ogni paradigma efficientista.

Solo il missionario che al vigore abbina la tenerezza sa creare spazi di autentica gratuità. Certo, tale atteggiamento mentale e spirituale richiede un percorso di formazione integrale che resta una delle sfide aperte. Istituti e congregazioni, per le religiose e o le laiche che vi appartengono, sempre più abbinano alla teologia di base studi avanzati di missionologia, oltre a un curriculum specifico per la mansione che andranno a svolgere nelle diverse opere, dalla sanità all’istruzione. «Certo, andrebbe potenziata maggiormente la parte sull’interculturalità», dice suor Marta. Per quante, invece, scelgono di partire con associazioni o attraverso la diocesi, oltre alla formazione interna, esistono dei corsi specifici, tra cui quello del Centro unitario per la formazione missionaria (CUM) di Verona.
La nota dolente, specie in tempi di recessione mondiale, resta il sostentamento. Solidarietà e opere sono le prime fonti anche se perennemente insufficienti. Spesso il contributo dei benefattori copre la realizzazione di progetti specifici. Più difficile, però, trovare fondi per il mantenimento, indispensabile affinché le missionarie possano dedicarsi a tempo pieno agli ultimi. Religiose e laiche spesso optano
per l’inserimento nelle diocesi dei Paesi di accoglienza.

Rimane, tuttavia, da risolvere la questione di rendere il contributo riconosciuto per il loro impegno nella pastorale, pienamente adeguato rispetto al lavoro svolto e idoneo a sostenersi. Una modalità, ancora pionieristica, che si va affermando è quella di comunità missionarie intercongregazionali e, a volte, miste, che consentano di sperimentare appieno relazioni di reciprocità tra i generi.
Insomma, la missione del XXI secolo non può fare a meno delle donne. «La loro creatività è indispensabile per affrontare le situazioni limite nelle quali sei immersa in missione. Per me missionaria è colei che contribuisce a partorire la fede sia in chi non la conosce sia in quanti hanno perso il senso». Una “levatrice del Va n g e l o ” che non ha l’ansia di battezzare o, peggio, di conquistare proseliti bensì cerca di aprire finestre per far entrare il soffio dello Spirito nelle donne e negli uomini di questo tempo.

 

DONNE CHIESA MOND O
MENSILE DELL’OSSERVATORE ROMANO NUMERO 119 FEBBRAIO 2023 CITTÀ DEL VAT I C A N O

Cristianesimo di minoranza

L’articolo che segue è di Faggioli ed è interessante per comprendere la situazione generale della Chiesa cattolica e in particolare per il ruolo che ha assunto «nella storia delle violenze e degli abusi nella Chiesa». Acquisire uno statuto di minoranza (e a maggiore ragione acquisirlo per demerito), specie nei paesi con «radici» cristiane non lascia dormire sonni tranquilli, agita i dibattiti, specie per l’interrogativo su come porsi di fronte al nuovo: ne parla sull’ultimo numero dell’anno Massimo Faggioli, presentando le due diverse e complementari visioni di Chantal Delsol (La fin de la chrétienté, Cerf, Paris 2021) e di Danièle Hervieu-Leger e Charles Schlegel (Vers l’implosion?, Seuil, Paris 2022).

 

Attualità, 22/2022, 15/12/2022, pag. 707

Cristianesimo di minoranza. Secondo due libri francesi

Massimo Faggioli

Nessuno può salvarsi da solo. Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace

Messaggio di sua santità Francesco per la LVI Giornata mondiale della pace

1° gennaio 2023

Nessuno può salvarsi da solo.
Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace

«Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte» (Prima Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi 5,1-2).

1. Con queste parole, l’Apostolo Paolo invitava la comunità di Tessalonica perché, nell’attesa dell’incontro con il Signore, restasse salda, con i piedi e il cuore ben piantati sulla terra, capace di uno sguardo attento sulla realtà e sulle vicende della storia. Perciò, anche se gli eventi della nostra esistenza appaiono così tragici e ci sentiamo spinti nel tunnel oscuro e difficile dell’ingiustizia e della sofferenza, siamo chiamati a tenere il cuore aperto alla speranza, fiduciosi in Dio che si fa presente, ci accompagna con tenerezza, ci sostiene nella fatica e, soprattutto, orienta il nostro cammino. Per questo San Paolo esorta costantemente la Comunità a vigilare, cercando il bene, la giustizia e la verità: «Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri» (5,6). È un invito a restare svegli, a non rinchiuderci nella paura, nel dolore o nella rassegnazione, a non cedere alla distrazione, a non scoraggiarci ma ad essere invece come sentinelle capaci di vegliare e di cogliere le prime luci dell’alba, soprattutto nelle ore più buie.

2. Il Covid-19 ci ha fatto piombare nel cuore della notte, destabilizzando la nostra vita ordinaria, mettendo a soqquadro i nostri piani e le nostre abitudini, ribaltando l’apparente tranquillità anche delle società più privilegiate, generando disorientamento e sofferenza, causando la morte di tanti nostri fratelli e sorelle.

Spinti nel vortice di sfide improvvise e in una situazione che non era del tutto chiara neanche dal punto di vista scientifico, il mondo della sanità si è mobilitato per lenire il dolore di tanti e per cercare di porvi rimedio; così come le Autorità politiche, che hanno dovuto adottare notevoli misure in termini di organizzazione e gestione dell’emergenza.

Assieme alle manifestazioni fisiche, il Covid-19 ha provocato, anche con effetti a lungo termine, un malessere generale che si è concentrato nel cuore di tante persone e famiglie, con risvolti non trascurabili, alimentati dai lunghi periodi di isolamento e da diverse limitazioni di libertà.

Inoltre, non possiamo dimenticare come la pandemia abbia toccato alcuni nervi scoperti dell’assetto sociale ed economico, facendo emergere contraddizioni e disuguaglianze. Ha minacciato la sicurezza lavorativa di tanti e aggravato la solitudine sempre più diffusa nelle nostre società, in particolare quella dei più deboli e dei poveri. Pensiamo, ad esempio, ai milioni di lavoratori informali in molte parti del mondo, rimasti senza impiego e senza alcun supporto durante tutto il periodo di confinamento.

Raramente gli individui e la società progrediscono in situazioni che generano un tale senso di sconfitta e amarezza: esso infatti indebolisce gli sforzi spesi per la pace e provoca conflitti sociali, frustrazioni e violenze di vario genere. In questo senso, la pandemia sembra aver sconvolto anche le zone più pacifiche del nostro mondo, facendo emergere innumerevoli fragilità.

3. Dopo tre anni, è ora di prendere un tempo per interrogarci, imparare, crescere e lasciarci trasformare, come singoli e come comunità; un tempo privilegiato per prepararsi al «giorno del Signore». Ho già avuto modo di ripetere più volte che dai momenti di crisi non si esce mai uguali: se ne esce o migliori o peggiori. Oggi siamo chiamati a chiederci: che cosa abbiamo imparato da questa situazione di pandemia? Quali nuovi cammini dovremo intraprendere per abbandonare le catene delle nostre vecchie abitudini, per essere meglio preparati, per osare la novità? Quali segni di vita e di speranza possiamo cogliere per andare avanti e cercare di rendere migliore il nostro mondo?

Di certo, avendo toccato con mano la fragilità che contraddistingue la realtà umana e la nostra esistenza personale, possiamo dire che la più grande lezione che il Covid-19 ci lascia in eredità è la consapevolezza che abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri, che il nostro tesoro più grande, seppure anche più fragile, è la fratellanza umana, fondata sulla comune figliolanza divina, e che nessuno può salvarsi da solo. È urgente dunque ricercare e promuovere insieme i valori universali che tracciano il cammino di questa fratellanza umana. Abbiamo anche imparato che la fiducia riposta nel progresso, nella tecnologia e negli effetti della globalizzazione non solo è stata eccessiva, ma si è trasformata in una intossicazione individualistica e idolatrica, compromettendo la garanzia auspicata di giustizia, di concordia e di pace. Nel nostro mondo che corre a grande velocità, molto spesso i diffusi problemi di squilibri, ingiustizie, povertà ed emarginazioni alimentano malesseri e conflitti, e generano violenze e anche guerre.

Mentre, da una parte, la pandemia ha fatto emergere tutto questo, abbiamo potuto, dall’altra, fare scoperte positive: un benefico ritorno all’umiltà; un ridimensionamento di certe pretese consumistiche; un senso rinnovato di solidarietà che ci incoraggia a uscire dal nostro egoismo per aprirci alla sofferenza degli altri e ai loro bisogni; nonché un impegno, in certi casi veramente eroico, di tante persone che si sono spese perché tutti potessero superare al meglio il dramma dell’emergenza.

Da tale esperienza è derivata più forte la consapevolezza che invita tutti, popoli e nazioni, a rimettere al centro la parola «insieme». Infatti, è insieme, nella fraternità e nella solidarietà, che costruiamo la pace, garantiamo la giustizia, superiamo gli eventi più dolorosi. Le risposte più efficaci alla pandemia sono state, in effetti, quelle che hanno visto gruppi sociali, istituzioni pubbliche e private, organizzazioni internazionali uniti per rispondere alla sfida, lasciando da parte interessi particolari. Solo la pace che nasce dall’amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare le crisi personali, sociali e mondiali.

4. Al tempo stesso, nel momento in cui abbiamo osato sperare che il peggio della notte della pandemia da Covid-19 fosse stato superato, una nuova terribile sciagura si è abbattuta sull’umanità. Abbiamo assistito all’insorgere di un altro flagello: un’ulteriore guerra, in parte paragonabile al Covid-19, ma tuttavia guidata da scelte umane colpevoli. La guerra in Ucraina miete vittime innocenti e diffonde incertezza, non solo per chi ne viene direttamente colpito, ma in modo diffuso e indiscriminato per tutti, anche per quanti, a migliaia di chilometri di distanza, ne soffrono gli effetti collaterali – basti solo pensare ai problemi del grano e ai prezzi del carburante.

Di certo, non è questa l’era post-Covid che speravamo o ci aspettavamo. Infatti, questa guerra, insieme a tutti gli altri conflitti sparsi per il globo, rappresenta una sconfitta per l’umanità intera e non solo per le parti direttamente coinvolte. Mentre per il Covid-19 si è trovato un vaccino, per la guerra ancora non si sono trovate soluzioni adeguate. Certamente il virus della guerra è più difficile da sconfiggere di quelli che colpiscono l’organismo umano, perché esso non proviene dall’esterno, ma dall’interno del cuore umano, corrotto dal peccato (cf. Vangelo di Marco 7,17-23).

5. Cosa, dunque, ci è chiesto di fare? Anzitutto, di lasciarci cambiare il cuore dall’emergenza che abbiamo vissuto, di permettere cioè che, attraverso questo momento storico, Dio trasformi i nostri criteri abituali di interpretazione del mondo e della realtà. Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un senso comunitario, ovvero come un «noi» aperto alla fraternità universale. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, ma è l’ora di impegnarci tutti per la guarigione della nostra società e del nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, seriamente impegnato alla ricerca di un bene che sia davvero comune.

Per fare questo e vivere in modo migliore dopo l’emergenza del Covid-19, non si può ignorare un dato fondamentale: le tante crisi morali, sociali, politiche ed economiche che stiamo vivendo sono tutte interconnesse, e quelli che guardiamo come singoli problemi sono in realtà uno la causa o la conseguenza dell’altro. E allora, siamo chiamati a far fronte alle sfide del nostro mondo con responsabilità e compassione. Dobbiamo rivisitare il tema della garanzia della salute pubblica per tutti; promuovere azioni di pace per mettere fine ai conflitti e alle guerre che continuano a generare vittime e povertà; prenderci cura in maniera concertata della nostra casa comune e attuare chiare ed efficaci misure per far fronte al cambiamento climatico; combattere il virus delle disuguaglianze e garantire il cibo e un lavoro dignitoso per tutti, sostenendo quanti non hanno neppure un salario minimo e sono in grande difficoltà. Lo scandalo dei popoli affamati ci ferisce. Abbiamo bisogno di sviluppare, con politiche adeguate, l’accoglienza e l’integrazione, in particolare nei confronti dei migranti e di coloro che vivono come scartati nelle nostre società. Solo spendendoci in queste situazioni, con un desiderio altruista ispirato all’amore infinito e misericordioso di Dio, potremo costruire un mondo nuovo e contribuire a edificare il Regno di Dio, che è Regno di amore, di giustizia e di pace.

Nel condividere queste riflessioni, auspico che nel nuovo anno possiamo camminare insieme facendo tesoro di quanto la storia ci può insegnare. Formulo i migliori voti ai Capi di Stato e di Governo, ai Responsabili delle Organizzazioni internazionali, ai Leaders delle diverse religioni. A tutti gli uomini e le donne di buona volontà auguro di costruire giorno per giorno, come artigiani di pace, un buon anno! Maria Immacolata, Madre di Gesù e Regina della Pace, interceda per noi e per il mondo intero.

Dal Vaticano, 8 dicembre 2022

Francesco

Le scuole cattoliche per la tutela dei minori

Il Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica ha pubblicato delle Linee guida con indicazioni per la vita scolastica e la formazione degli educatori

“La tutela dei minori nelle scuole cattoliche – Linee Guida” è il testo che il Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica (CNSC) rivolge a tutte le istituzioni educative cattoliche e di ispirazione cristiana, quale contributo alla cultura e all’azione promosse dalla Conferenza Episcopale Italiana per la prevenzione e il contrasto degli abusi sui minori.

Nella ferma convinzione che “la cura e la tutela dei minori sono una parte essenziale del compito educativo”, il CNSC intende offrire la visione “positiva e fiduciosa di chi intende rafforzare e migliorare la prassi educativa, servendosi di tutti gli strumenti a vantaggio della persona che cresce”. Si tratta di una scommessa sull’educazione. L’educazione integrale della persona, nella prospettiva dell’antropologia cristiana, infatti, “contiene in sé i semi della prevenzione e del contrasto di ogni forma di abuso”. In questo quadro si collocano gli interventi specifici, con il coinvolgimento dell’intera comunità educante e un particolare investimento nella formazione degli educatori.

Come ricorda S.E. mons. Claudio Giuliodori, presidente del CNSC, la finalità del testo è quella di “offrire a quanti lavorano nelle istituzioni educative cattoliche e di ispirazione cristiana alcuni criteri e indirizzi operativi. Si tratta di un’azione che ben si inserisce nelle prospettive pedagogiche a cui le scuole cattoliche si ispirano, volte a promuovere il vero bene della persona e dunque a prevenire e contrastare ogni ostacolo alla sua crescita armoniosa e integrale”.

Il documento è articolato in tre capitoli. Il primo (Presupposti di fondo) inserisce l’azione di prevenzione e contrasto degli abusi nel quadro del progetto educativo della scuola, “comunità di persone chiamata a prendersi cura di ciascun bambino e ragazzo per far fiorire la sua unicità”. Per questo, si evidenziano principi pedagogici quali la centralità dell’alunno e la corresponsabilità educativa con la famiglia, richiamando il ruolo di tutte le figure della comunità educante: insegnanti, coordinatori pedagogico-didattici; personale didattico; famiglie.

Il secondo capitolo (Maltrattamento, abuso e scuola) descrive i fenomeni da contrastare, soffermandosi sui diversi traumi e le loro conseguenze. Individua infine una strategia di prevenzione e protezione articolata in quattro azioni: osservare, ascoltare, accogliere, tessere reti per rilanciare.

Segue un’ampia sezione (Strumenti), di taglio prevalentemente giuridico, con una presentazione essenziale delle norme vigenti e indicazioni circa la trattazione delle segnalazioni. In appendice viene richiamata la struttura e l’azione della Chiesa italiana per la tutela dei minori e una serie di buone pratiche (Ispettoria Salesiana Lombardo Emiliana; Fondazione Gesuiti Educazione; FIDAE). In particolare, è riportata una scheda su un corso di formazione rivolto agli insegnanti.

In allegato il testo delle Linee guida e una scheda sintetica.

 

Seminario di Studio: la domanda formativa degli Insegnanti di Religione

3 dicembre 2022 presso l’Istituto di Catechetica- Facoltà di Scienze dell’Educazione- Università Pontificia Salesiana

 

In continuità con una lunga Tradizione, l’équipe di Pedagogia religiosa dell’Istituto di Catechetica della Facoltà di Scienze dell’Educazione della Università Pontificia Salesiana di Roma, riprende, dopo la sospensione nel periodo della pandemia, il Seminario di Studio per Insegnanti di Religione, che si realizzerà sabato 3 dicembre, presso l’Università Salesiana.

Il tema del Seminario è: La domanda formativa degli Insegnanti di Religione.

Ci si propone di individuare i bisogni degli IdR. Attraverso un Brainstorming autobiografico, diversi docenti di religione condivideranno il proprio punto di vista sul tema.

Faranno seguito due relazioni.

La prima, da parte di don Fabio Landi, fa il punto sulla situazione.

La seconda, della Professoressa Francesca Romana Busnelli, presenta un modello teorico di formazione degli adulti, nel nostro caso docenti di religione.

 

Programma

8.45-9.00 Accoglienza

9.00-9.15 Saluto del Decano della Facoltà di Scienze dell’Educazione, prof. Antonio Dellagiulia

Prima Parte

9.15 – 9.30 Introduzione

9.30 – 10.00 Brainstorming sulla domanda formativa degli Insegnanti di Religione

10.00 – 10.30 Condivisione in Plenaria

10.30 – 10.50 Coffee Break

Seconda Parte

10.50 – 11.30 Prima Relazione: Don Fabio Landi, Il punto della situazione sulla formazione degli Insegnanti di Religione

11.30 – 12.10 Seconda Relazione: Professoressa Francesca Romana Busnelli, Un modello teorico di formazione degli adulti.

12.10 – 12.40 Dialogo con i relatori

12.40 – 13.00 Conclusioni

 

ups – DomandaInsReligione-LOC

Potenzialità e limiti nel “dire Dio” oggi in Italia e oltre… L’apporto delle scienze e le provocazioni per il sapere teologico

Cecilia Costa*

SOMMARIO
L’articolo presenta una riflessione articolata e documentata sulle provocazioni e sulle sollecitazioni che le scienze sociali possono offrire alle altre scienze, in particolare alle scienze teologiche e alla catechetica. L’osservazione attenta dei fenomeni sociali, senza estromettere quelli che riguardano la dimensione religiosa dell’uomo e “Dio” nella percezione che l’individuo e la società di fatto elaborano, risulta imprescindibile per cogliere il senso della realtà e della storia che viviamo. A sua volta, in un contesto pluralistico e complesso che spinge alla transdisciplinarità, le scienze sociali possono ricevere degli apporti dalle altre scienze, accogliendo l’invito a interessarsi di temi di confine come la lettura del “religioso” e il “dire Dio oggi”, senza preclusioni ideologiche, senza venir meno al doveroso tenore di onestà intellettuale.

 

SCARICA NUMERO:

C&E 7(2) – 02. Costa

 

► PAROLE CHIAVE
Dio; Interdisciplinarità; Religiosità; Scienze sociali; Teologia.

 

 

Cecilia Costa è Ordinario di Sociologia dei processi culturali presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Roma Tre

 

 

 

ACCEDI ALLA RIVISTA ONLINE nella sezione “CATECHETICA ED EDUCAZIONE”

“Dire Dio” ai margini della vita e in un tempo di incertezze”

“Parlare di Guerra. Educare alla pace” Giornata pedagogica della scuola cattolica

Si rinnova l’annuale appuntamento con la giornata pedagogica della scuola cattolica quest’anno sul tema “ Parlare di guerra. Educare alla pace”. L’evento  si  svolgerà  in presenza a Roma il 22 ottobre 2022  presso  il Green Park Hotel Pamphili – Largo Lorenzo Mossa 4

Il Centro Studi per la Scuola Cattolica della Conferenza Episcopale Italiana rinnova per l’annuale appuntamento con la giornata pedagogica della scuola cattolica dal titolo “ Parlare di guerraEducare alla pace” –  L’evento  si  svolgerà  in presenza a Roma il 22 ottobre 2022  presso  il Green Park Hotel Pamphili – Largo Lorenzo Mossa 4,  con un  massimo di 100 partecipanti  ma i  lavori saranno trasmessi anche in diretta streaming sul canale Youtube della CEI per consentire a un maggior numero di persone di seguire tutte le relazioni.

Il tema della giornata: Le vicende internazionali degli ultimi mesi hanno fatto tornare di attualità il tema della guerra, non perché le guerre fossero scomparse ma perché si è tornato a combattere in aree geografiche a noi più vicine, con un coinvolgimento materiale e immateriale, emotivo ed economico, assai superiore al passato. Queste vicende hanno avuto una ricaduta anche sulla scuola, pertanto abbiamo pensato di proporre una riflessione articolata sul senso delle “vecchie” ma sempre attuali categorie della guerra e della pace per aggiornare la cultura di cui devono essere portatori gli insegnanti di ogni ordine e grado di scuola. A uno storico il Prof. Agostino Giovagnoli è stato dato il compito di contestualizzare il discorso sulla guerra; a una pedagogista la Prof.ssa Daniela Lucangeli invece, è stato chiesto di fornire categorie e strumenti per dare un senso rinnovato all’educazione alla pace.

 

Per coloro che intendono partecipare sia in presenza che in streaming, occorre iscriversi on-line entro il 14 ottobre 2022  tramite il sistema iniziative della CEI al link  

https://iniziative.chiesacattolica.it/GiornataPed_Ottobre2022_ParlarediGuerra

 

In allegato Depliant e Note organizzative

Scuola cattolica, “valutare per valorizzare”

Pubblicato il XXIV Rapporto sulla Scuola cattolica in Italia: nel 2022 quasi 8mila istituti con oltre mezzo milione di alunni
11 Ottobre 2022

Oltre 7.800 istituti con un totale di 542.080 alunni, tra i quali quasi 10mila con disabilità e quasi 40mila di cittadinanza non italiana. Sono i numeri del XXIV Rapporto sulla scuola cattolica in Italia, pubblicato come ogni anno a cura del Centro studi per la scuola cattolica (Cssc) della Conferenza episcopale italiana. Valutare per valorizzare il titolo del report che, uscito presso l’editrice Scholé in coincidenza con l’inizio del nuovo anno scolastico, rimanda ad un momento chiave della vita scolastica.

“A questa valutazione – scrive mons. Claudio Giuliodori, presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università, nella presentazione del volume – sono legati i ricordi di tutti noi ex alunni, che siamo sicuramente passati attraverso l’esperienza di prove di verifica ed esami, che a loro volta sono stati fonte di ansia e di soddisfazione, di attese e di delusioni, perché la valutazione scolastica” è “anche e soprattutto un’esperienza emotiva, oltre che un fatto tecnico affidato alla competenza degli insegnanti”.

Competenze didattiche, vissuto emotivo e prospettive di innovazione. Tra le novità registrate dal volume il ritorno del giudizio al posto del voto nella scuola primaria, la valutazione delle competenze, la valutazione della nuova educazione civica, le novità per gli esami di Stato. Perché, secondo i contributi raccolti dai diversi esperti, la valutazione deve valorizzare ogni alunno e non solo classificare e selezionare; più che funzione burocratico-amministrativa deve insomma avere soprattutto funzione educativa. E le scuole cattoliche questo lo fanno da tempo, come dimostra una ricerca sul campo che ha coinvolto insegnanti, studenti delle secondarie e genitori delle primarie mostrando che tutte le componenti scolastiche si pronunciano a larga maggioranza per una valutazione tesa a migliorare l’apprendimento degli alunni. Permangono forme tradizionali di valutazione, con interrogazioni e compiti scritti che occupano la maggior parte del tempo (rispettivamente 67% e 47%), ma è forte anche la presenza di prove strutturate e osservazione sistematica (oltre il 40%) e di esercitazioni e lavori di gruppo (intorno al 30%).

Cosa dicono gli studenti? Per quanto riguarda il vissuto personale, solo il 30% di studenti secondari riferisce di essere stressato dalle prove di valutazione, forse per via dell’ambiente disteso e accogliente delle scuole cattoliche in cui tre quarti dei genitori della primaria esprimono grande fiducia negli insegnanti approvandone incondizionatamente le valutazioni. Con riferimento alle recenti novità, due terzi degli insegnanti primari approvano la sostituzione del voto con il giudizio verbale mentre i genitori si dividono esattamente a metà; nella secondaria invece la maggioranza rimane affezionata ai voti numerici e non intende cambiare. “Manca purtroppo la possibilità di confrontare questi risultati con le analoghe posizioni espresse dalle scuole statali”, il commento dei curatori del Rapporto.

Buone pratiche. Il volume contiene anche una piccola raccolta di buone pratiche e suggerimenti metodologici che vanno dal ruolo strategico del metodo di studio all’applicazione del Sistema degli obiettivi fondamentali dell’educazione (Sofe), dalla sperimentazione di specifiche modalità valutative nella formazione professionale alla proposta finale di un decalogo per la valutazione. Ma la carta vincente rimane l’attenzione educativa propria delle scuole cattoliche, che si ripercuote positivamente anche sulle prassi valutative.

I dati. Come ogni anno, il Rapporto si conclude con l’appendice statistica che documenta le dimensioni del sistema di scuola cattolica in Italia, curata e commentata da Sergio Cicatelli, coordinatore scientifico del Cssc, che parla di “una lenta uscita dall’emergenza”. Rispetto ad anni recenti, in cui si era registrato un calo significativo e preoccupante, la linea di tendenza negativa sembra infatti aver rallentato il suo corso. I segnali di ripresa emersi già lo scorso anno e legati in parte all’emergenza pandemica trovano conferma: nell’anno scolastico 2021-22 le scuole cattoliche sono 7.829, solo 30 in meno rispetto all’anno precedente; gli alunni sono complessivamente 542.080, con un calo di 2.699 unità “che deriva però – si legge nel Rapporto – da una netta perdita nelle scuole primarie e dell’infanzia compensata da un aumento nelle secondarie, soprattutto di secondo grado”. Tra i punti di forza delle scuole cattoliche l’abbondante disponibilità di spazi e la buona condizione delle strutture edilizie, insieme alla progressiva crescita di inclusività nei confronti degli alunni disabili e degli stranieri. Tra le criticità rimangono quelle economiche, cui si aggiunge il forte divario territoriale: le scuole del Nord (che da sole rappresentano quasi il 60% del totale) hanno fino al doppio di alunni delle sempre meno numerose scuole del Sud.

Giovanna Pasqualin Traversa

Sir, 10 ottobre 2022

(Foto ANSA/Sir)

Concilio Vaticano II: il messaggio della Segreteria Generale del Sinodo

Pubblichiamo di seguito il Messaggio della Segreteria Generale del Sinodo in occasione del 60° anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II (11 ottobre 1962 – 11 ottobre 2022). 

Il 60° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II è un momento di particolare grazia anche per il Sinodo, che rappresenta un frutto di quell’assise ecumenica, anzi una delle sue «più preziose eredità» (Francesco, cost. ap. Episcopalis Communio, 15 settembre 2018, 1). Il Synodus Episcoporum, infatti, è stato istituito da San Paolo VI all’inizio del quarto e ultimo periodo del Concilio (15 settembre 1965), venendo incontro alle richieste avanzate da numerosi padri conciliari.
Scopo del Sinodo era e rimane quello di prolungare, nella vita e nella missione della Chiesa, lo stile del Concilio Vaticano II, nonché di favorire nel Popolo di Dio la viva appropriazione del suo insegnamento, nella consapevolezza che quel Concilio ha rappresentato «la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX» (Giovanni Paolo II, lett. ap. Novo millennio ineunte, 6 gennaio 2001, 57). Un compito lungi dall’essere esaurito, visto che la recezione del magistero conciliare è un processo in atto, addirittura per certi aspetti ancora agli inizi.
Nel corso di questi decenni, il Sinodo si è posto costantemente al servizio del Concilio, contribuendo per la sua parte a rinnovare il volto della Chiesa, in una sempre più profonda fedeltà alla Sacra Scrittura e alla vivente Tradizione e in attento ascolto dei segni dei tempi. Le sue Assemblee – Generali Ordinarie, Generali Straordinarie e Speciali – sono state tutte, ciascuna a suo modo, permeate dalla linfa vitale del Concilio, del quale hanno di volta in volta approfondito gli insegnamenti, dischiuso le potenzialità di fronte a nuovi scenari, favorito l’inculturazione tra i diversi popoli.
Anche il processo sinodale in corso, dedicato a «La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa», si situa nel solco del Concilio. La sinodalità è in tutto un tema conciliare, ancorché tale termine – di conio recente – non si trovi espressamente nei documenti dell’assise ecumenica. La magna charta del Sinodo 2021-2023 è la dottrina del Concilio sulla Chiesa, in particolare la sua teologia del Popolo di Dio, un Popolo che «ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali lo Spirito Santo dimora come in un tempio» (Lumen gentium 9).
Del resto, «comunione, partecipazione e missione» – i termini che Papa Francesco ha voluto includere nel titolo stesso del percorso sinodale, facendone per così dire le parole chiave – sono eminentemente parole conciliari. La Chiesa che siamo chiamati a sognare e a edificare è una comunità di donne e uomini stretti in comunione dall’unica fede, dal comune battesimo e dalla medesima eucaristia, a immagine di Dio Trinità: donne e
uomini che insieme, nella diversità dei ministeri e dei carismi ricevuti, partecipano attivamente all’instaurazione del Regno di Dio, con l’ansia missionaria di portare a tutte e a tutti la gioiosa testimonianza di Cristo, unico Salvatore del mondo.
Già Benedetto XVI affermava che «la dimensione sinodale è costitutiva della Chiesa: essa consiste nel con-venire da ogni popolo e cultura per diventare uno in Cristo e camminare insieme dietro a Lui, che ha detto: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6) (Angelus, 5 ottobre 2008). Nello stesso orizzonte Papa Francesco, commemorando il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo, ha asserito che il cammino della sinodalità, «dimensione costitutiva della Chiesa», «è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio» (17 ottobre 2015).

Città del Vaticano, il 10 ottobre 2022
A un anno dell’apertura del processo sinodale 2021-2023

10 Ottobre 2022