I difensori cristiani della laicità

Per chi guardi indietro non è insensato sperare che qualche idea per un’Italia migliore possa nascere dentro il cattolicesimo, inteso non come machina mobilitante o agenzia di senso, ma come stile, di compagnia della fede e degli  uomini. È già accaduto. Lo ha richiamato il messaggio di Benedetto XVI al presidente Napolitano per il 150°  anniversario dell’Unità d’Italia, con toni seri e troppo frettolosamente liquidati fra le parole di circostanza.
Cent’anni fa la stampa cattolica deplorava le «esplosioni di gioia settaria» in quella Roma che un non negoziabile  «disegno divino» aveva dato al Papa. Solo mezzo secolo fa, Papa Giovanni XXIII potè dire, come scrive nei suoi diari.  «finalmente la prima parola buona, dopo un secolo» al Paese.
E quando Giovanni Battista Montini osò definire «provvidenziale» la fine del potere temporale, in difesa del quale  erano state emarginate le migliori intelligenze della Chiesa cattolica, alla beatificazione di Antonio Rosmini sono  passati 45 anni.
Se oggi il vescovo di Roma e primate d’Italia saluta i festeggiamenti del 150° con un’apertura che ha irritato gli  integristi, è certo per il significato storiografico che Giorgio Napolitano e Giuliano Amato hanno saputo iscrivere in queste celebrazioni, ma non solo. Quando il Papa sottolinea come il conflitto che riguardò lo Stato e la Chiesa deflagrò  nei vertici, ma non riverberò «nella società», smussa la ruvidità dei fatti —la soppressione degli enti ecclesiastici, le  ultime esibizioni della ghigliottina pontificia, le scomuniche dei votanti, l’aggressività delle propagande, il disprezzo e  la censura ecclesiastica per chi riteneva superabile la questione romana e via dicendo. Ma di un fatto prende atto. E  cioè che se la Chiesa ha dato all’Italia una sponda nelle sue grandi crisi (Caporetto, 1’8 settembre, la morte di Aldo  Moro), l’Italia ha insegnato alla Chiesa cattolica che cosa è lo Stato.
Lo ha fatto «all’italiana», naturalmente: ondeggiando fra arroganze antireligiose e blandizie clericofasciste, fra illusioni  concordatarie e scosse del costume, con laicità pediatriche e recriminazioni plurime. Ma lo ha fatto: segnando un  punta di non ritorno nella Costituente e nella Costituzione. È lì che diverse generazioni di cattolici —vuoi quelli che  avevano sofferto del fascismo storico, come Alcide De Gasperi, vuoi quelli che temevano il revival di un fascismo mite,  come Giuseppe Dossetti — hanno potuto chiedersi come far scaturire una lezione dal timbro di vergogna che la tragedia del ventennio lasciava su tutte le culture politiche (le forze risorgimentali destinate a diventare partitini  nell’Italia repubblicana, i partiti del movimento operaio e il popolarismo stesso, votati a diventare organizzazioni di  massa) dimostratesi incapaci di fermare un Mussolini che si definiva «cattolico e anticristiano».
La Santa Sede, sul piano dottrinale, non facilitava il compito. Padre Giovanni Sale ha pubblicato i tre modelli di  costituzione che in Vaticano avevano immaginato per ‘Italia: una costituzione semifranchista, nella quale i valori  cattolici fossero imposti per legge; in subordine una costituzione confessionale fatta di privilegi clericali; alla peggio  una costituzione democratica, nella quale però tre punti (i Patti del 1929, la sanzione del matrimonio indissolubile, la  possibilità di creare scuole private) venissero sanciti.
Sul piano squisitamente politico le dialettiche interne al mondo vaticano aggiungevano poi altre criticità pratiche.  Alcuni esponenti della Curia romana infatti vedevano bene il moltiplicarsi dei partiti cattolici, così da rendere più  efficace il potere di guida e ricatto del mondo che parla sempre a nome del Papa. Altri — sarà il disegno di sempre del  cardinale Giuseppe Siri — pensavano a una organizzazione nella quale laici ossequienti, e se possibile potenti, si  organizzavano per rendere operativi i desiderata dell’autorità ecclesiastica. Altri, come monsignor Montini o  monsignor Dell’Acqua, il cui stretto rapporto con i «professorini» di Dossetti è documentato dal diario di Amintore  Fanfani, credevano invece che un grande partito di italiani cattolici e democratici avrebbe potuto far meglio la  Costituzione: evitare cioè fratture irreversibili ed evitare di riproporre condizioni irricevibili come ai tempi del non  expedit — pena la nascita di uno Stato destinato a rifluire verso un anticomunismo vuoto, dunque, nella sostanza,  fascista.
Capaci di decifrare questa dialettica, i costituenti cattolici riuscirono a far sì che la Santa Sede accettasse una  Repubblica nella quale il cattolicesimo non sarebbe contato perché capace di federare le organizzazioni (come nella  effimera vita dell’Opera dei Congressi, sciolta dal Papa nel 1904); o di esercitare una pressione sui partiti (come  sarebbe stato nei decenni compresi fra i Comitati civici e il Family Day), ma solo se e quando uomini e donne dalla  coscienza adulta (come diceva Pio XII) e dalle mani pulite fossero stati capaci di pensare politicamente le mediazioni  che fanno crescere la società come comunanza di «persone», nella cui tensione — e qui si sentiva l’effetto degli studi  patristici di Lazzati — si realizza la pedagogia stessa del Signore della storia.
Ironia della sorte, la maggior parte di quegli uomini veniva dalla Cattolica, la scuderia dalla quale padre Gemelli  contava di far uscire una classe dirigente clerico-fascista perfetta. E che invece polemizzano perfino con quei popolari  che avevano pagato un prezzo altissimo per i loro errori, come De Gasperi, incarcerato dai fascisti, o Sturzo, mandato  in esilio dalla Chiesa. Eppure sarebbero stati proprio i «professorini» gli architetti della Costituzione che risolveva in  radice il problema della «responsabilità» dei cattolici in politica — che per chi ce l’ha è il più inestirpabile dei valori di  fede e in chi non ce l’ha il più temibile dei vizi. Una generazione capace, nelle sue differenze, di usare il dialogo con  culture politiche non meno inesperte di democrazia, non come una concessione né come una astuzia, ma come un  modo di agire in una società pluralista di cui essere il sale, senza pretendere di farne una saliera.

 

in “Corriere della Sera” del 30 ottobre 2011

Halloween, la notte dei relativisti «Un rito che non ci appartiene»

 

L’anatema di due cardinali: snatura le feste della Chiesa.

 

Halloween nemica delle feste cattoliche di Ognissanti e della Commemorazione dei Defunti? Il dilemma si ripresenta da anni ad ogni fine ottobre.
Ma nel 2011 una differenza c’è. Riguarda la durezza con cui l’Arcidiocesi di Bologna del cardinale Carlo Caffarra ha  parlato di «brutta resa al relativismo dilagante», con tanto di nota sull’edizione bolognese di Avvenire, per la  manifestazione organizzata in piazza Re Enzo a base di zucche da intarsiare per Halloween dalla Coldiretti, associazione  di area cattolica. La curia invita a usare le zucche «per la vellutata o il ripieno dei tortelli». A Torino l’arcivescovo  Cesare Nosiglia rincara la dose: «La prossima festa dei Santi e la commemorazione dei fedeli defunti, tanto care alla tradizione anche familiare del popolo cristiano, da anni sono contaminate da Halloween. Tale festa non ha nulla a che  vedere con la visione cristiana della vita e della morte e il fatto che si tenga in prossimità delle feste dei santi e del  suffragio ai defunti rischia sul piano educativo di snaturarne il messaggio spirituale, religioso, umano e sociale che  questi momenti forti della fede cristiana portano con sé. Halloween fa dello spiritismo e del senso del macabro il suo  centro ispiratore».
Vincenzo Pace, docente di Sociologia della religione all’università di Padova, replica con una riflessione ottimista ma  che consegna un dubbio alla Chiesa: «Halloween non ha affatto soppiantato quella di Tutti i Santi. Il culto che la base  cattolica riserva proprio ai Santi è tuttora solidissimo. Io vivo a Padova e vedo cosa avviene ogni giorno alla Basilica di  ant’Antonio. La tradizione del pellegrinaggio perdura così come, ripeto, non conosce crisi il culto dei Santi. Direi  che resiste più della figura dello stesso Papa…». Affermazione interessante, visto che viene da un sociologo della religione. Pace respinge anche il nodo del relativismo: «Ricordo che le stesse figure dei santi sono relative, ciascuno ha il proprio “ambito” in cui esercita, secondo i credenti, una influenza».
Pippo Corigliano, scrittore (il suo «Preferisco il Paradiso» edito da Mondadori ha superato le 20 mila copie), per  uarant’anni responsabile delle relazioni esterne dell’Opus Dei, si schiera con i vescovi: «Hanno ragione, Halloween è  una moda importata dall’America che, come tutte le mode, inducono alla superficialità. La bonomia buongustaia  bolognese fa capolino anche in questo caso perché la nota della Curia invita a usare le zucche per i tortellini o per la  “vellutata”…». Detto questo, aggiunge Corigliano, «le feste di Tutti i Santi e della Commemorazione dei defunti sono comunque momenti sanamente inquietanti perché inducono a riflettere sull’aldilà. È bene ricordare che Gesù è stato  chiaro: esiste la vita eterna e l’immagine che usa più di frequente per illustrarla è quella del banchetto, cioè una  riunione di famiglia e di amici in cui si mangia e si sta bene assieme». Dunque una festa… «Un modo per far capire che  in Dio staremo bene e non ci mancherà nulla. Sarà come mangiare dei tortellini di zucca e anche meglio. In tutta Italia  si confezionano i dolci dei morti sotto forme molto svariate. L’importante è imitare Gesù nel suo amare tutti, altrimenti  ci sarebbe anche l’inferno col suo “pianto e stridore di denti”. Ma speriamo che l’argomento non ci riguardi».
Più problematico Brunetto Salvarani, teologo e critico letterario, impegnato nel dialogo interreligioso, direttore della  collana Emi «Parole delle fedi»: «Ritengo che il problema sia più ampio della questione legata ad Halloween e a una  possibile accusa di relativismo. C’è una questione di omologazione del tempo. Fino agli anni immediatamente  successivi alla Seconda guerra mondiale, in Italia gran parte dei credenti erano anche praticanti e, attorno alle  parrocchie, scandivano il tempo della propria vita con le festività». E ora, professor Salvarani? «Tutto diverso.
La pratica nelle chiese è quella che vediamo. Assistiamo a una sorta di nomadismo culturale, religioso e spirituale che  denota una trasformazione complessiva. Occorre porsi il problema se talune festività cattoliche abbiano perso la forza  di “parlare” ai fedeli».
Cosa dovrebbe fare il mondo cattolico? «Ci viene offerta un’occasione per stare dentro questa trasformazione, per  intercettarne i dati eventualmente positivi. La mutazione non dovrebbe vedere la Chiesa cattolica come semplice  spettatrice, se non addirittura come parte ostile. In una contingenza simile, non si può stare l’un contro l’altro armati».

in “Corriere della Sera” del 31 ottobre 2011

“Occupare Wall Street”

Il Vaticano sulle barricate

Alla vigilia del G-20 la Santa Sede invoca un’autorità politica universale che governi l’economia. Per cominciare, chiede che sia introdotta una tassa sulle transazioni finanziarie

 

A sentire padre Thomas J. Reese, professore alla Georgetown University di Washington e già direttore del settimanale dei gesuiti di New York, “America”, il documento rilasciato oggi dalla Santa Sede “è non solo più a sinistra di Obama: è più a sinistra anche dei democratici liberal ed è più vicino alle vedute del movimento ‘Occupare Wall Street’ che di qualsiasi membro del congresso americano”.

In effetti, il documento diffuso lunedì 24 ottobre dal pontificio consiglio della giustizia e della pace invoca niente meno che l’avvento di un “mondo nuovo” che dovrebbe avere il suo cardine in una autorità politica universale.

L’idea non è inedita. Era già stata evocata nell’enciclica “Pacem in terris” di Giovanni XXIII, del 1963, ed è stata rilanciata da Benedetto XVI nell’enciclica “Caritas in veritate” del 2009, al paragrafo 67.

La “Caritas in veritate”, però, diceva molto altro e molto di più e l’auspicio di un governo mondiale della politica e dell’economia non ne era sicuramente il centro.

Qui invece, l’intero documento ruota attorno a questa idea, richiamata fin dal titolo:

> “Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale”

Quanto di utopico e quanto di realistico ci sia, nell’invocazione di tale governo supremo del mondo, è fatto intravedere dal generale disordine che le cronache dell’attuale crisi economica e finanziaria ci descrivono ogni giorno.

All’ambito del realistico e del praticabile appartiene però uno specifico elemento di innovazione auspicato dal documento: la tassazione delle transazioni finanziarie, altrimenti detta “Tobin tax”.

Il documento dedica ad essa poche righe. E si sa che la proposta è contrastata da forti e argomentate obiezioni. Come pure si sa che la sostengono economisti famosi, quali Joseph Stiglitz e Jeffrey Sachs.

Ma nel presentare il documento alla stampa, la Santa Sede ha deciso di schierarsi con grande risolutezza a favore della “Tobin tax”. Non solo chiedendo di “riflettervi”, come si legge nel documento, ma rispondendo punto per punto alle obiezioni e mostrandone la praticabilità e l’utilità già nell’immediato.

Questa apologia della “Tobin tax” è stata affidata all’economista Leonardo Becchetti, professore all’Università di Roma “Tor Vergata”. Ed egli ha svolto il suo compito con precisione e con ricchezza di dati:

> “L’aspetto positivo delle crisi…”

Sul tavolo dei capi di governo del G-20, che si riuniranno a Cannes, in Francia, il 3 e 4 novembre prossimi, ci sarà dunque questa netta presa di posizione della Santa Sede a favore dell’introduzione della “Tobin tax”, il cui gettito “potrebbe contribuire alla costituzione di una riserva mondiale per sostenere le economie del paesi colpiti dalle crisi”.

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POST SCRIPTUM – Per una critica del documento da parte di un grande economista, vedi in “Settimo cielo”:

> Il professor Forte boccia il temino targato Bertone

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Don Guanella, prete del fare

Nell’anno in cui don Luigi Guanella vedeva la luce, il 1842, moriva san Giuseppe Benedetto Cottolengo. Nella sua vita egli avrebbe collaborato con san Giovanni Bosco. Nei suoi stessi anni santa Francesca Cabrini attraversava l’oceano  per essere accanto alla miseria degli emigranti italiani in America, e la stessa opera era compiuta dal vescovo di  Piacenza, Giovanni Battista Scalabrini.
Dopo la sua morte avvenuta nel 1915, sarebbe brillata la figura di don Luigi Orione, del quale Silone ha lasciato un  memorabile ritratto personale in Uscita di sicurezza (1965), frutto di un incontro con lui allora giovane ateo. Lo scorso  nno è stato proclamato beato don Carlo Gnocchi, il prete milanese che aveva dedicato la sua missione alle  piccole vittime della guerra e a una folla di malati. Ancora oggi è viva l’opera e la memoria di don Zeno Saltini, l’artefice  i Nomadelfia…
Potremmo continuare a lungo in questo elenco, risalendo anche nel passato. Abbiamo voluto riservare oggi uno spazio  articolare a un genere letterario che in passato ebbe una straordinaria fortuna e che ora sopravvive ai margini  della cultura più paludata, cioè l’agiografia.
Lo facciamo con una biografia dedicata appunto a don Guanella, un sacerdote della diocesi di Como, nato sulle  montagne confinanti con la Svizzera, a Campodolcino (Sondrio). Oggi la sua immagine salirà solennemente sulla facciata di San Pietro a Roma quando Benedetto XVI lo dichiarerà santo della Chiesa cattolica. Appartiene a quella  “nube di testimoni” – per usare una suggestiva espressione della neotestamentaria Lettera agli Ebrei (12,1) – che hanno  messo in pratica senza glossa il precetto cristiano fondamentale della carità, soprattutto nei confronti degli ultimi della terra.
La loro pagina evangelica di riferimento è stato il capitolo 25 del Vangelo di Matteo nei versetti 31- 46, quando Gesù  “sceneggia” l’approdo estremo della storia in quello che la tradizione ha chiamato «il giudizio finale». Una pagina di  straordinaria potenza che è suggellata da una frase lapidaria rivolta dal Cristo giudice supremo ai giusti: «In verità vi  dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me». E chi fossero questi  “piccoli” lo dicevano già gli stessi giusti quando, rivolgendosi a Cristo un po’ sorpresi, gli domandavano: «Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere?

Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto  malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?». Sfilano, così, le famose «opere di misericordia corporale e spirituale» che sono l’incarnazione del comando evangelico dell’amore e che sono la cartina di tornasole dell’autentica santità. Forse non è del tutto ineccepibile teologicamente, ma ha un’indubbia verità il verso pascoliano dei Nuovi poemetti  (1909) che affermava: «Chi prega è santo, ma chi fa, più santo».
Luigi Guanella fu un cristiano esplicito, sacerdote cattolico, ordinato nel 1866 da un presule in esilio, mons. Frascolla,  primo vescovo di Foggia, incarcerato prima e agli arresti domiciliari poi a Como, a causa dei contrasti risorgimentali  tra Chiesa e Stato. L’incontro con don Bosco e un temporaneo ingresso tra i Salesiani tra il 1875 e il 1878 lo  prepareranno a quella missione che fiorirà da un germoglio minimo, un gruppetto di giovani donne che, a partire dal 1886, inizieranno ad assistere orfani e bambini e poi si rivolgeranno a derelitti e bisognosi di ogni genere, sconfinando anche in Svizzera, bonificando persino aree paludose per costituire villaggi o colonie autonome, approdando anche a  Roma ove decisiva sarà l’amicizia di papa Pio X. Frattanto si univano a don Guanella anche dieci sacerdoti e così, accanto alle Figlie di Santa Maria della Provvidenza, sorgerà anche la comunità dei Servi della Carità, che  popolarmente saranno denominati come i Guanelliani.
Gli autori della biografia, Michela Carrozzino, che è un’esperta nell’ambito della disabilità, e Cristina Siccardi, che è  ormai una veterana nel genere agiografico, seguono in forma narrativa ma anche con rigore documentario il percorso di questo semplice e appassionato sacerdote.
Egli non esiterà a raggiungere nel 1912 gli Stati Uniti per dedicarsi anche agli emigrati italiani, ma i suoi viaggi  ‘avevano  ià condotto in Terrasanta, a Londra, a Treviri. Alle soglie della morte, nel gennaio 1915, accorrerà in  Marsica, devastata dal terremoto, per impegnare i suoi sacerdoti e le sue suore in un’opera di assistenza. Il suo corpo  era da tempo debilitato dal diabete mellito, alla fine l’aveva colpito anche una paralisi che l’aveva ferito nella parola. Il   24 ottobre 1915, a 73 anni, si spegneva nella casa di Como dalla quale era partita la sua avventura spirituale e  caritativa. Il santo Luigi Guanella si definiva «un atomo perduto nello spazio», ma questo microscopico seme era destinato a generare l’evangelico albero maestoso della carità sul quale si posano gli uccelli del cielo. Parliamo delle  persone dalle disabilità più atroci e, in particolare, vorrei evocare (anche per una mia esperienza diretta) la straordinaria attenzione rivolta dai Guanelliani ai malati mentali: a Roma in una loro grande struttura ho potuto  scoprire la finezza e l’originalità del loro impegno nel seguire questo orizzonte così drammatico della sofferenza umana.

Uno dei capitoli della biografia si intitola appunto «Liberare i poveri dal manicomio» e don Guanella aveva intuito la  necessità del sostenere le famiglie in quest’opera delicata perché i disabili mentali hanno «il diritto di crescere, vivere e  morire dentro le pareti del domestico focolare».

in “Il Sole 24 Ore” del 23 ottobre 2011

 


Vangelo fede e politica: don Enzo Mazzi

La storia gira le sue pagine inesorabile e lenta. Ieri la storia di Firenze e della Chiesa italiana ne ha girata un’altra: s’è chiusa la vita terrena di don Enzo Mazzi. Uno spirito indomito e contestatario che  lo portò a più riprese ad entrare in  antagonismo con i suoi arcivescovi. Un nome che fa tutt’uno con «l’Isolotto», in una vicenda che il semplicismo  ideologico – subito o prodotto – chiamerà «dissenso».
Quello che accade attorno a un parroco (nominato nel 1954, a 27 anni) e alla sua parrocchia prima del 1968 è qualcosa  di ben più complesso ed emblematico. L’Isolotto diventa il mito di un cattolicesimo ribelle perché lì è cresciuta prima  una esperienza di comunione, un segno di fraternità popolare che testimonia della fecondità del Vangelo nel tempo.  Era questo che La Pira, inascoltato mediatore nel momento topico del conflitto voleva forse salvare, senza riuscire, in  mesi — quelli fra il ’68 e il ’69 — nei quali la prepotente vitalità della primissima ricezione del Valicano II in Italia vira. Perché anche in Italia, come in tutto il mondo, il post-Concilio rafforza l’idea che si possa e si debba anticipare il tempo  che verrà: e che dunque sia necessario trascinare nell’oggi, con la distruzione dei sistemi di potere, un domani quasi  escatologico. Ma, a differenza di altri Paesi, in Italia il post- Concilio naufraga sulla politicizzazione della fede  (politicizzata da sinistra, anziché dal collateralismo), come se solo l’organizzazione di un contropotere potesse  «inverare» la fraternità attesa.
Di questo percorso don Enzo Mazzi è un protagonista che trova nella rigidità del cardinale Florit più d’una occasione di  scontro. Dapprima insieme ad altri preti nella solidarietà con i ragazzi della Cattolica sgombrati dalla polizia dalla  cattedrale di Parma, che avevano occupato per protesta contro i doni della banca locale per le nuove chiese. Poi nel  momento in cui Florit – lo aveva già fatto per le elezioni del 1966 – lancia quell’ultimatum all’Isolotto che fa assurgere il  caso alla ribalta nazionale.
Infine, subita la condanna della rimozione comminata nel dicembre 1968 e perfino un processo penale, nel  superamento della forma parrocchiale e nella nascita della comunità di base.
Una comunità che alla fin fine — al netto di un linguaggio autocelebrativo e di un lessico politico patinato dal tempo –  ha fatto della polemica con l’autorità la propria cifra. Con don Mazzi se ne va un pezzo di quella Firenze di cui egli  interpretava un’anima più protestataria e che era stata per quindici anni il chiostro, per usare una espressione russa,  dei «folli Dio»: una Firenze che aveva saputo dare al Paese il senso che ad alcuni, governati col solo sguardo  dall’austero prestigio di Dalla Costa, premeva solo la fede. Cosette: di cui forse ci sarebbe bisogno anche oggi, se  Firenze volesse averle.

 

di Alberto Melloni
in “Corriere Fiorentino” del 23 ottobre 2011

 

ALTRI ARTICOLI

 

Continuiamo a presentare materiali su don Enzo Mazzi, con l’intervento di Giovanni Gennari, che fa una lettura forse più ecclesiastica che evangelica: “A differenza del suo grande confratello, don Milani, e di altri pionieri della fede nella chiesa fiorentina, forse don Mazzi si è lasciato strumentalizzare anche da chi con la Chiesa fiorentina non aveva e non voleva avere alcuna prossimità, e fu autore di dichiarazioni e azioni di rottura vera e propria anche in materie importanti come i sacramenti e la dottrina morale di fondo…”
“fino all’ultimo è stato punto di riferimento non solo per le prese di posizioni pubbliche che facevano rumore sui giornali (come quella a favore di papà Englaro) ma soprattutto per un’azione concreta, silenziosa e quotidiana di aiuto a chi aveva bisogno.” “Quello che appassionava molti cattolici (e li appassiona) di don Mazzi era che non faceva politica per sé, per fare carriera o per arricchirsi. O per difendere il posto di lavoro, come molti politici italiani attuali. Ma semplicemente per stare dalla parte degli ultimi. Questo dice il Vangelo. Altro che nuovo partito dei cattolici.”
“Guardando all’indietro, l’esperienza della Comunità di Base dell’Isolotto… potrà sembrare datata, legata come fu, al suo nascere, a una ben precisa temperie storica e di vita della Chiesa. Ma di sicuro le “rotture” che l’hanno contraddistinta… restano… prove sincere di un progetto di «chiesa di popolo» di cui il mondo cattolico sembra oggi avvertire di nuovo l’urgenza”
“è un saluto corale, fatto di abbracci e lacrime, di ricordi e testimonianze personali del sacerdote rimosso dalla parrocchia dell’Isolotto nel 1968 dal cardinale Florit. E diventato poi pioniere del dissenso cattolico”
“Mazzi questo rischio (quello di restare fermo alla nostalgia del ’68) l’ha corso, però credo che abbia sempre cercato di limitarne le conseguenze. Si è sempre misurato con l’attualità, la globalizzazione, con la dimensione di sacro e laicità nei nostri tempi. Sempre coerente alla sua radicalità, alla limpidezza di intenti. Una qualità che mai come in questi giorni è apprezzabile”
“«Vuoi andare in Africa? Ti mando in un posto forse più pericoloso, l’Isolotto». Così l’Arcivescovo Elia Dalla Costa rispose al giovane sacerdote Enzo Mazzi che voleva partire come missionario. Dalla Costa scelse un altro futuro per quel 27enne. Comincia così la storia del «prete eretico». Un simbolo di una generazione, quella dei preti «contro» di Firenze. Mazzi è scomparso venerdì no
“Nonostante la sua età, 84 anni passati, Enzo Mazzi conservava nel cuore tutte le caratteristiche della gioventù… Sulle nostre pagine ha tracciato un sentiero unico, spesso in assoluta solitudine. Per un cammino che veniva da lontano, dagli stessi giorni del ’68 che portarono alla nascita della Comunità dell’Isolotto a Firenze e all’esperienza in tutta Italia delle Comunità cristiane di base.”
“Come ogni domenica, anche oggi l’appuntamento della Comunità dell’Isolotto è alle 10.30… «socializzeremo l’assenza di Enzo, e la continuità della sua presenza». Nel solco di quella esperienza comunitaria che Enzo Mazzi considerava essenziale… Di cui ha fatto dono, non solo metaforico, alle donne e agli uomini della comunità… Grazie a loro, e ai tantissimi che… anno dopo anno hanno socializzato negli appuntamenti comunitari della domenica, Enzo Mazzi continuerà ad esserci”

una grammatica ‘esistenziale’ per imparare le lingue

una proposta del prof. Bertagna:

 

Secondo recenti ricerche l’85 per cento dei ragazzi italiani tra i 17 e i 23 anni sostiene di sapere l’inglese. E’ una percentuale alta, simile a quella dichiarata dai coetanei tedeschi e polacchi, e più elevata di quella dei giovani spagnoli e francesi.

E’ ben noto tuttavia che alla conoscenza cosiddetta ‘scolastica’ dell’inglese non corrisponde affatto una effettiva padronanza della lingua, e se ne hanno continue riprove in varie circostanze e a vari livelli. Non per nulla le scuole private di lingua inglese sono assai frequentate, e molto diffusi sono anche i corsi in autoistruzione, Cd, video cassette e lezioni online.

Ma perché la scuola italiana, a differenza di quella di altri Paesi, si attesta su livelli di apprendimento – o meglio di padronanza – così modesti?

Secondo Giuseppe Bertagna, che affronta il problema in una intervista a ilsussidiario.net, la ragione di fondo dell’inconsistenza dell’inglese ‘scolastico’ deriva dal fatto che in Italia si è attuata una “politica delle lingue basata più sull’utilità che sulla formatività delle lingue”, mentre “le persone non vivono solo di utilità, ma innanzitutto di verità”, nel senso che “se l’apprendimento della lingua straniera, come qualsiasi altro contributo di insegnamento, non trova un senso proprio nelle motivazioni e nell’interesse di chi apprende, ha vita breve”. Perciò, se si vuole risolvere il problema, “la lingua straniera deve diventare una verità esistenziale, una modalità di rapporto col mondo”.

Ma la scuola non ce la può fare da sola, come l’esperienza insegna. Perciò occorrerebbe varare un piano per incrementare e stimolare, d’intesa con le famiglie, tutte le occasioni di apprendimento esterne alla scuola, dai viaggi agli stage alla Tv e agli altri media. In questo modo “la scuola ricaverebbe spunti per la sua analisi critico-riflessiva, facendo grammatica non solo formale ma esistenziale”.

A ben riflettere la strategia suggerita da Bertagna per l’inglese – una sorta di curricolo integrato tra scuola ed extrascuola – trova punti di analogia e motivazioni non diverse anche per quanto riguarda l’apprendimento delle e attraverso le tecnologie dell’informazione e comunicazione. I ragazzi imparano a usarle, e con quale facilità e rapidità!, perché così soddisfano un loro bisogno esistenziale prima ancora che subire una ‘materia’ scolastica…




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tuttoscuola.com

Da cristiani, per dare valori alla politica

I primi commenti dopo il convegno di Todi
Salvatore Martinez –
Presidente del Rinnovamento nello Spirito
Vorrei partire con due affermazioni di principio. La Chiesa non è, né potrebbe mai trasformarsi in un soggetto politico. Come afferma Benedetto XVI, «perderebbe la sua indipendenza e autorità morale identificandosi con un’unica via politica e con posizioni parziali e opinabili». (Allocuzione alla V Conferenza generale del Celam Aparecida, 14 maggio 2007). La Chiesa non è chiamata alla formazione di partiti: si trasformerebbe in una religione civile.

La comunità cristiana, invece, è chiamata a formare in Cristo uomini nuovi, capaci di fare nuova anche la politica; uomini e donne dal cuore nuovo, capaci di fare nuovo il cuore delle istituzioni politiche. La “legge dell’amore” vale anche per la politica e incombe sulla nostra coscienza di laici cristiani; ci spinge a ridire con nuovo amore la nostra fede nei contesti sociali in cui Cristo manca, è trascurato o è offeso. Del resto il Papa è esplicito: «Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo» (Deus caritas est, 28). Dunque, la costruzione della civiltà dell’amore ci interpella. Spetta a noi discernere come fare, cosa fare perché il messaggio sociale della Chiesa, la sua Dottrina sociale, non vengano sviliti o ignorati, in primis nella formazione di tanti cristiani. Noi abbiamo nella Dottrina sociale della Chiesa un punto di riferimento unitario di giudizio sulla realtà sociale, un pensiero che coniuga fede e ragione in forza della verità in essa contenuta. E io vedo due grandi sfide di fondo per l’impegno dei cattolici in politica.

La prima sfida è impedire che sia marginalizzata la nostra fede cristiana nella vita pubblica delle nazioni. Come ha ricordato Benedetto XVI, «la Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire» (Caritas in veritate, 7). «Comunità ecclesiale» e «Comunità politica» sono realtà distinte, con rappresentanze distinte, ma devono tornare a dialogare. Noi possiamo far sì che questo dialogo si ristabilisca e sia fecondo, credibile, che riponga al centro l’uomo, in una società a misura d’uomo, per uno sviluppo umano integrale. Non possiamo permettere che la nostra laicità cristiana sia messa a tacere, che venga relegata nella sfera privata.

La seconda sfida della nuova evangelizzazione della politica è data dall’aspetto economico e mercantile della globalizzazione. Si sta ponendo al centro l’aspetto materiale dell’uomo, pregiudicando così l’apertura dell’uomo stesso alla trascendenza, a Dio. Si vorrebbe un «cristianesimo utilitario», utile a risolvere i problemi materiali dell’uomo, riducendo la portata salvifica della nostra fede a un puro umanesimo, a un’atea filantropia. Dio confinato nell’al di là e l’uomo sconfinato nell’insignificanza. L’attuale scenario della storia, ben lo sappiamo, è di profonda crisi economica e politica, una crisi planetaria che è prima di ogni cosa «crisi spirituale». Anche per molti credenti. Ecco perché abbiamo il dovere di pensare a una nuova evangelizzazione degli stili di vita e delle istituzioni che sovrintendono al destino degli uomini e dei popoli.

Ormai da tre anni, il Papa Benedetto XVI invoca nuova generazione di cattolici impegnati nella politica. E sono “cinque”, nel giudizio del Pontefice, le virtù, le attitudini indispensabili da riscontrare o da favorire in coloro che vogliono dedicarsi alla realizzazione del «bene comune» mediante l’impegno politico: 1) «coerenti con la fede professata», non con quelle conformi all’opinione pubblica prevalente; 2)«rigore morale», perché non si può più minimizzare la gravità della «questione morale», anche tra i cattolici; 3) «capacità di giudizio culturale», cioè di discernimento, frutto di studio, di meditazione, di capacità di distinguere un bene individuale dal bene comune; 4) «competenza professionale», perché la politica è un’arte, una vocazione e non ci si improvvisa; 5) «passione di servizio», non per l’onore personale o per la gratificazione di pochi.

In conclusione, ritengo che mai tempo sia stato più favorevole di questo per la nuova evangelizzazione, dopo il vuoto determinatosi con il crollo delle grandi ideologie. «Il nostro è un mondo che deve essere creato a nuovo con fiducia nel pensiero cristiano», affermava l’esule, grande sacerdote e statista, Luigi Sturzo. (The preservation of the faith, Londra, 1938). Siamo la prima generazione del primo secolo del terzo millennio. È nostra responsabilità di fede che questo mondo caotico sia ordinato dallo Spirito di Dio e disponibile agli autentici bisogni dell’uomo.

 

Compito certo, unità possibile

Radicati ed esigenti
Marco Tarquinio
Qualcuno ieri ha sintetizzato il senso di un evento in corso, dicendo che “i cattolici erano tutti a Todi”. Ieri, in realtà, come in ogni giorno nella vita dell’Italia, i cattolici erano ovunque in questo nostro Paese affaticato e vitale, tenace e assediato da troppe crisi. Erano ovunque, radicati e impegnati in forza della fede in Gesù Cristo e di quei princìpi (fondanti dell’umanesimo cristiano e razionalmente condivisibili da tutti), che il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha richiamato ancora una volta.

Erano ovunque, i cattolici: ben radicati nei territori e impegnati a fare, intraprendere, progettare, educare, produrre cultura, costruire e mantenere reti di solidarietà, alimentare speranza. Espressioni diverse di una stessa forza serena e vera, di uno stile di servizio e di un disinteressato interesse al bene di tutti e soprattutto di chi è più fragile e in maggiore precarietà.

E perciò, in una fase complessa e tesa come l’attuale, erano anche a Todi. Uomini e donne presenti – in modo senza precedenti nella vicenda del laicato cattolico – a dare volto e voce alla quasi totalità delle esperienze ecclesiali di associazione, di movimento, di cammino, delle istituzioni bancarie e culturali, del mondo della comunicazione. Tutti riuniti nella cittadina umbra per iniziativa del “Forum delle persone e delle associazioni d’ispirazione cattolica nel mondo del lavoro”. Cioè di organizzazioni vaste e generose dei lavoratori, della piccola impresa agricola e artigiana, della cooperazione.

Una «singolarissima assemblea», di gente provocata dall’idea di contribuire a una «buona politica» concretamente orientata  al «bene comune». Un’occasione per dimostrare, in un tempo segnato da potenti processi di disgregazione e incalzato dalla sfiducia, che forze buone e capaci di aggregare persone e suscitare fiducia sono disposte a unirsi, a valorizzare visioni e parole comuni, a dare ritmo a un processo di rinnovamento della presenza pubblica dei cattolici. Una risposta – in via di articolazione – ai ripetuti appelli in tal senso di Papa Benedetto e dei vescovi italiani.

Una mano tesa alle altre forze vive e presenti nella nostra società e una proposta oggettivamente incalzante e profondamente onesta a un mondo politico che ha evidente necessità di riorganizzarsi e di sgombrare – anche, ma non solo, con lo strumento di una legge elettorale che consenta di giudicare chiare proposte di governo e renda agli elettori il potere di scegliere gli eletti – i canali di comunicazione con la realtà del Paese. Uno sforzo indispensabile per fronteggiare con lucidità quella che Lorenzo Ornaghi chiama l’onda montante della «contropolitica», concetto che evoca con grande efficacia non solo un antagonismo aggressivo e polemico, ma un’insidia che grava sulla qualità stessa della nostra democrazia e che evoca la premeditazione di luoghi di governo rischiosamente «altri dalla politica» . 

Certo, chi si aspettava – da Todi, e a Todi – «fuochi  d’artificio» e corali «discese in campo» sarà rimasto deluso.  Chi aveva “deciso” la nascita sic et simpliciter di un «partito cattolico» dirà che è mancato qualcosa di decisivo. Altri, comunque, non vedranno e non capiranno ciò che s’è messo in moto. Non è la prima volta, non sarà l’ultima. Ma i laici cattolici in campo già ci sono in tanti modi, e il “di più” che sentono di dovere e potere dare nel tempo presente è l’obiettivo – e il senso – di un processo in pieno svolgimento.  
C’è una strada da compiere, con libertà responsabile, di buon passo e con sguardo attento e aperto. Senza farsi tentare dalle scorciatoie e senza farsi sviare dalla paura di deludere qualche pressante attesa.

Su questa strada i cattolici portano con sé, nella bisaccia e come bussola, una capacità di visione affinata grazie alla Dottrina sociale della Chiesa e princìpi che – come dice il presidente della Cei – sono il «fondamento stabile, orientativo e garante» del bene comune. Si tratta di quei «valori non negoziabili» che «difficilmente sopportano mediazioni per quanto volenterose». Non tutti apprezzano la tenacia nel tener cara questa consapevolezza e la concezione di unità profonda tra cattolici e tra cattolici e laici che ne può discendere (e che s’è già sperimentata persino negli anni del bipolarismo furioso).

Ma questa unità è ben possibile, e Papa Benedetto l’ha indicata come compito per l’uomo del XXI secolo consegnandola in modo memorabile alla riflessione di tutti nel suo recente discorso al Parlamento tedesco. C’è purtroppo chi vorrebbe trasformare quei valori in una bandiera che divide i campi e scatena guerre, magari per suggerire di ammainare il vessillo o per sbatterlo in faccia al “nemico”. È una pretesa sbagliata: lo era ieri, lo è oggi e lo sarà di più domani.

da Avvenire 18 ottobre 2011

«La buona politica per il bene comune»

 

è il tema dell’incontro di Todi delle associazioni cattolicche italiane sull’impegno politico oggi

 

In questo articolo vorremnmo dare rilievo al dibattito che si è aperto, in queste ultime settimane  Italia, sulla presenza dei cattolici nella vita politica italiana.

La rete di associazioni che coinvolge milioni di persone, ma che costituisce ancora un’entità pre-politica si incontrerà il prossimo lunedì a Todi sul tema «La buona politica per il bene comune». E’ il primo passo di quella «la straordinaria sfida» lanciata dal cardinal Bagnasco, «Non possumus nunc silere», «non possiamo ora tacere».

 

 

Il Cardinale Bagnasco a Todi
Bene comune, di terra e di cielo

“Il punto sorgivo della presenza sociale e civile dei cattolici: il primato della vita spirituale, quel guardare fermamente al volto di Cristo”, senza il quale “i cristiani sarebbero omologati alla cultura dominante e a interessi particolari”.
Lunedì 17 ottobre, a Todi, invitato dal Forum del mondo del lavoro, il card. Angelo Bagnasco – Arcivescovo di Genova e Presidente della CEI – ribadisce che “la Chiesa non cerca privilegi, né vuole intervenire in ambiti estranei alla sua missione, ma deve poter esercitare liberamente questa sua missione”. I cristiani, infatti, “sono diventati nella società civile massa critica, capace di visione e di reti virtuose, per contribuire al bene comune che è composto di “terra” e di “cielo”.
“La sensibilità e la presenza costante della Chiesa sul versante dell’etica sociale è sotto gli occhi di tutti” ha evidenziato il Cardinale Presidente, facendo riferimento “ai grandi problemi del lavoro, dell’economia, della politica, della solidarietà e della pace: problemi che oggi attanagliano pesantemente persone, famiglie e collettività, specialmente i giovani”.
“La giusta preoccupazione verso questi temi – ha aggiunto – non deve però far perdere di vista la posta in gioco che è forse meno evidente, ma che sta alla base di ogni altra sfida: una specie di metamorfosi antropologica”.
E ha spiegato: “Senza un reale rispetto di questi valori primi, che costituiscono l’etica della vita, è illusorio pensare ad un’etica sociale che vorrebbe promuovere l’uomo ma in realtà lo abbandona nei momenti di maggiore fragilità. Ecco perché nel “corpus” del bene comune non vi è un groviglio di equivalenze valoriali da scegliere a piacimento, ma esiste un ordine e una gerarchia costitutiva”.
“Il bene – ha concluso il Presidente della CEI – è possibile solo nella verità e nella verità intera”.

file attached Relazione Todi.doc

 

 

«Per l’Italia una rotta, non un salvagente»

intervista ad Andrea Riccardi a cura di Giovanni Grasso

in “Avvenire” del 13 ottobre 2011

«Vorrei subito invitare tutti alla calma: l’appuntamento di Todi non è l’atto fondativo di nuova formazione politica. Per essere espliciti: niente cose bianche, balene, pesciolini e men che meno ambizioni leaderistiche da parte di nessuno». Lo storico Andrea Riccardi , fondatore della Comunità di Sant’Egidio (che tiene a precisare di essere tra gli «invitati e non tra gli organizzatori» del convegno tuderte) spiega: «I cattolici (o, come leggo sui giornali, il Vaticano, la Cei…) non stanno lanciando un’Opa sulla politica italiana. Questa è pura fantasia. Stanno invece cominciando a riflettere in modo approfondito su qual è la domanda che oggi rivolge il Paese e quali possono essere le risposte agli italiani».


E, dunque, qual è l’interpretazione autentica del convegno di Todi?
Non è un convegno ecclesiale né un congresso di partito. Ma un momento di concertazione e di concentrazione di intelligenze e volontà che intendono riflettere sulla crisi del Paese. Un gruppo di laici cattolici, tra l’altro provenienti da diverse esperienze, che intendono cominciare a ragionare su quale possa essere il loro contributo per la rinascita del Paese.

Eppure si continua a sospettare e a straparlare di un nascente partito della Chiesa o di Bagnasco…
L’iniziativa è stata promossa autonomamente da un gruppo di laici, che da sempre dialogano con la gerarchia, ma che sono consapevoli della loro autonoma e specifica responsabilità rispetto all’impegno politico e civile.


Le chiedo: perché muoversi proprio oggi?
Un ciclo politico si è chiuso, quello della mai nata II Repubblica. Una fase, l’età di Berlusconi, in cui il Paese ha pensato di affidare le proprie sorti a partiti o fronti capeggiati dall’uno o l’altro leader. Ora c’è da riscoprire il valore dell’impegno e della partecipazione, perché si è creato un profondo distacco tra Palazzo e Paese. Le istituzioni comunitarie del nostro Paese sono in difficoltà e  tra queste la famiglia sta sopportando un peso tremendo. Ma per promuovere la partecipazione e rilanciare l’Italia bisogna ridare idee, pensieri, sentimenti.


E quale può essere oggi il contributo dei cattolici all’Italia?
Credo che oggi l’Italia domandi ai cattolici, ma ovviamente non solo a loro, un contributo di responsabilità e pensiero. Responsabilità, di fronte alla crisi economica internazionale, nella quale si colloca il nostro Paese con gravi difficoltà. Pensiero, rispetto ai grandi cambiamenti avvenuti nella nostra società, che deve interrogarsi sul modello antropologico dell’uomo e della donna come si  è andato configurando in quella che io chiamo la ‘ triste époque’ degli ultimi dieci anni; che deve fare i conti con un futuro che non è di crescita, ma caratterizzato da tante difficoltà. E allora le  sfide che ci attendono sono quelle della difesa della vita, della riscoperta del lavoro e del sacrificio, della solidarietà tra le generazioni, con particolare attenzione ai giovani e alla terza età, vere  questioni del presente e del futuro.


I tempi, però, stringono… Il Paese ha bisogno di un rilancio immediato.

Rilanciare il Paese significa innanzitutto rilanciarlo in Europa, il che implica un pensiero europeo, che oggi difetta. Come confrontarci con l’Asia, con gli emergenti, con i Brics, se non nel quadro europeo? Altrimenti saremmo una fragile barchetta. Inoltre dovremo affrontare una stagione di sacrifici, dopo un periodo caratterizzato dallo sperpero. E tutto questo implica un pensiero. L’Italia non ha solo bisogno di salvagenti, ma soprattutto di una rotta.


E quale può essere questa rotta?
Ci troviamo in un momento delicato: all’emergenza internazionale ed economica si somma l’emergenza politica nazionale. Vedo che si parla di elezioni nel 2012. La politica ha bisogno di pensieri  lunghi, di ricreare innanzitutto cultura politica. Il grande divario è avvenuto tra politica e cultura: le culture politiche si sono spente. Una vera cultura di destra, nel nostro Paese, forse non c’è  nemmeno mai stata. Mentre quella di sinistra è in crisi da tempo. Non così la cultura dei cattolici, che in questi anni è stata alimentata e promossa.


Si parla molto oggi della necessità di una svolta. La chiedono le opposizioni, ma anche molti  sponenti della stessa maggioranza. Si parla di transizione, decantazione, unità nazionale. Lei che ne dice?
La storia recente del nostro Paese è caratterizzata da una serie di cicli che si sono interrotti drammaticamente: pensiamo alla crisi dello Stato liberale, con l’avvento del fascismo, alla fine del regime con la guerra, alla caduta nell’ignominia della Prima Repubblica. Dobbiamo dare una svolta, ma anche assicurare una transizione pensata e responsabile. Si è già rotto il ciclo dell’età del bengodi, non possiamo permetterci altri traumi.


Tra le forze politiche è polemica permanente su federalismo e su sistema elettorale. Lei che ne pensa?
L’Italia a mio parere è più municipalista che federalista. Non è tanto il Paese delle venti Regioni, quanto quello delle cento città e dei villaggi di campagna. Da qui dovremo ripartire. Quanto al sistema elettorale, credo che occorra ristabilire un rapporto autentico tra elettore e cittadino, restituendo a quest’ultimo il diritto di scelta. Per il resto non ho mai creduto al potere messianico dell’ingegneria costituzionale. Oggi il primato è ricostruire un tessuto responsabile nella vita di una società atomizzata.


C’è un’attenzione spasmodica da parte dei media e della classe politica sull’appuntamento di Todi, ci si chiede in modo quasi maniacale dove sfocerà…
Io dico questo: le reti della società sono distrutte o molto danneggiate. Nelle periferie urbane non ci sono più le sezioni di partito, rappresentanze un tempo forti si sono rattrappite, i legami  familiari e di amicizia si sono allentati. C’è molta solitudine. Restano solo le parrocchie, con le associazioni e le comunità che accolgono e promuovono. Di fronte a questo spettacolo desolato, il  mondo dei laici cattolici può rilanciare delle idee forti: famiglia, vita, solidarietà, lavoro, mondo. Mi sembrano cose importanti, più di sapere se ci sarà o meno un nuovo partito, se sarà di centro, di  destra o di sinistra. Lasciamo correre la forza disarmata e disarmante delle idee, in un mondo troppo povero di idee e di speranza.

 

 

“C’è un grave problema etico dobbiamo ridare la speranza”

intervista a Franco Miano, presidente dell’Azione Cattolica, a cura di Annalisa Cuzzocrea

in “la Repubblica” del 13 ottobre 2011

Passare dalla rassegnazione alla speranza, coniugare coscienza personale e coscienza collettiva, recuperare un terreno comune di valori, saper coniugare politica e morale. E’ il messaggio che l’Azione cattolica porta all’incontro di Todi. «E’ urgente – dice il presidente Franco Miano – bisogna insegnare ai giovani il coraggio e la responsabilità. Per ora stiamo dando solo il cattivo  esempio».


Perché è importante in questo momento un confronto tra le più diverse componenti del mondo cattolico?

«Il Paese ha bisogno di esercizi di dialogo e di impegno comune. Serve un nuovo patto educativo per rilanciare il Paese, bisogna ristabilire una base condivisa di valori per poi passare all’azione, e mettere al centro concetti come lavoro, famiglia, giustizia sociale, legalità, sviluppo del mezzogiorno».

C’è un decadimento di valori, un impoverimento dell’etica?
«C’è un grande problema etico. Come ha detto il cardinale Bagnasco nella sua prolusione, come lo stesso Papa ha ricordato a Lamezia Terme, è necessario che ciascuno – anche come credente – sappia assumersi le proprie responsabilità. Serve una cultura della serietà e del sacrificio per imparare a assumere responsabilmente la vita».

Il mondo cattolico cerca unità per pesare di più?
«Se pesare vuol dire essere una lobby, imporre un potere, prendere interessi di parte, no, non ci interessa. Ma se significa pesare per il bene comune, incidere nella realtà per renderla migliore, allora ben venga».

Ben venga l’unità dei cattolici in politica?
«Non è ancora chiaro l’obiettivo verso cui andiamo, non vedo ancora passi tali da far pensare a uno scopo simile. Vado a partecipare al seminario, e si vedrà. Quel che penso sia fondamentale, è dare speranza alle giovani generazioni».

Stiamo dando il cattivo esempio?
«Non c’è dubbio, è così. E invece bisogna insegnare il coraggio, non quello della pacca sulla spalla, ma quello che viene dalla responsabilità che come generazione di adulti siamo in grado di  esercitare fino in fondo».

 

 

“È un Paese pieno di macerie ma non rifonderemo la Dc”

intervista a Gennaro Iorio, rappresentante dei Focolari, a cura di Marco Ansaldo

in “la Repubblica” del 13 ottobre 2011

«I vescovi, ma anche noi come associazioni cattoliche, ci rendiamo tutti conto che è il momento di una riflessione comune. Ci sono risposte da dare di fronte a un Paese alle prese con macerie da un punto di vista etico, culturale e di prospettiva politica. Todi sarà una tappa importante, ma noi è già da tempo che parliamo di questi argomenti anche in altri centri». Gennaro Iorio è il  rappresentante del movimento dei Focolari.


È dunque da tempo che state affrontando questo argomento?
«È un cammino che la Chiesa e i cattolici fanno da anni. C’è una ricchezza di movimenti e di associazioni che avevano l’esigenza di confrontarsi sui valori».


Ma ora il contesto è cambiato.
«Sì, questo incontro assume una rilevanza diversa. Anche a causa della crisi economica. Ma ci è ben chiaro in ogni caso che possiamo salvare l’Italia solo stando in Europa. E a partire dalla  prolusione  che farà il cardinale Bagnasco vogliamo essere l’humus culturale che poi potrà essere raccolto da progetti nuovi o da partiti politici. Di quest’ultimo aspetto tutti parlano, la cosa però  non è all’ordine del giorno della riunione».


Il direttore dell’Avvenire, Tarquinio, ha scritto che in passato i cattolici si sono trovati ad essere più marginali stando nel centro-sinistra. Si possono già stabilire  ora delle appartenenze nello schieramento politico?
«Dopo la fine della Dc la presenza dei cattolici in politica si è un po’ diluita. E mi pare che sia nel centro destra che nel centro sinistra non ci siano stati protagonisti cattolici. Certamente  l’esperienza di Romano Prodi è stata importante. E credo che di fronte alla crisi sia necessario interrogarsi come rispondere. C’è ancora tanta strada da fare, e non tutti i cattolici ritengono che  l’unica da percorrere sia quella di un partito. Tuttavia, di fronte al berlusconismo che ha monopolizzato il Paese da vent’anni, si aprono degli spazi».


L’obiettivo può essere una rinascita della Dc?

«Io sono nato dopo il 1970. Ho pianto per la caduta del Muro di Berlino. Sono domande che forse si fanno altre persone. Ma vedo il mio Paese che affonda, e questo non mi piace».

 

 

 

“Gli ultimi 10 anni una triste époque serve un nuovo progetto per i cattolici a Todi le basi per un confronto”

intervista ad Andrea Riccardi a cura di Marco Ansaldo

in “la Repubblica” del 14 ottobre 2011

«Ci interrogheremo sul futuro dell´Italia, non sul fare un partito o no. C´è da fare un investimento sul tessuto della società, un investimento culturale. In questa fase sono importanti le idee».

Rifugge dal ruolo di “deus ex machina” dell´iniziativa. «Macchè “deus”. Intanto, manca la “machina”», risponde con spirito sottraendosi alla domanda. Ma il professor Andrea Riccardi, storico  cattolico e fondatore della Comunità di Sant´Egidio, è l´uomo su cui stanno convogliando molte delle attenzioni riguardanti il Forum delle associazioni cattoliche. Lunedì, a Todi, il convegno potrebbe fare da grembo alla nascita di un nuovo soggetto politico.


Siamo alla vigilia di una riunione che potrebbe segnare un momento importante per la politica italiana. Ma non ci sono forse troppe attese?

«È vero, si è caricato questo convegno di tante attese. Non perché non sia importante, ma perché c´è una grande domanda fra la gente e nel Paese. Domanda di idee, di prospettive e di visioni. Si tratterà però di un momento significativo, come approdo al lavoro svolto dagli attori del Forum, in particolare da Raffaele Bonanni. C´è poi il lavoro quotidiano di tanti movimenti ecclesiali  accanto alla gente. Se Todi si è caricato di attesa probabilmente è perché c´è bisogno di luoghi di speranza».

 

Sotto il profilo concreto di che cosa si discuterà?
«Insisto sull´aspetto delle idee. Idee con i piedi per terra, maturate nella realtà, nel mondo del lavoro, nel radicamento sociale, in una Chiesa ben inserita nel tessuto del Paese e che “vede” la crisi».

 

Però non c´è il rischio di trovarsi in conflitto con un´altra iniziativa che punta alla nascita di un nuovo soggetto politico, quella in embrione di Luca di Montezemolo?
«Montezemolo ha avuto il merito di porre il problema del dopo. Si tratta di cose diverse. Nel processo che porta al convegno di Todi, e che andrà oltre, c´è un pensare prossimo alla politica, ma distinto. Più che la matrice di un partito, c´è un grembo di idee, di visioni e di speranze. Un percorso che nel variegato tessuto cattolico è in atto da tempo. È un´amicizia pensante fra cattolici, ma  dialogante con i laici. Un´amicizia responsabile».

 

Non sono formule vacue?

«Queste non sono parole, né un fumo che nasconde qualcosa. La nostra società ha bisogno di pensieri lunghi e di sguardi in avanti. Perché la nostra politica si è impoverita di cultura, con un dibattito urlato che interessa la gente sempre meno».

 

Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, terrà la prolusione dei lavori. C´è chi ha scritto che questo sarà il suo partito. Non ci metterà il cappello sopra?
«Guardiamo alla prolusione di Bagnasco ai vescovi: è il suo messaggio all´Italia. Lui ha partecipato a vari convegni di riflessione. La sua presenza a Todi non mi meraviglia. Non so cosa dirà, ma non credo che su questa iniziativa voglia mettere il cappello nè la corona. Fra i suoi messaggi è rimasto ignorato quello che sottolinea la responsabilità dei laici cattolici nella vita politica. Un  passaggio da guardare con attenzione. Bagnasco non prenderà la testa delle legioni cattoliche verso la politica. Piuttosto, darà un contributo autorevole a un dialogo polifonico».

 

Dunque prima il progetto e poi la ricerca di un leader?
«Sì, condivido l´impostazione. Penso che in Italia si conoscano poco tante personalità in grado di emergere. E in un momento in cui siamo tutti dominati dalla fretta trovo estremamente positivo il fatto di prenderci il tempo per un progetto da proporre. È anche questa la novità e lo spirito di diversità che contraddistingue Todi: dialogare con i politici, ma non farsi travolgere dal botta e risposta. Poi, per la mia formazione di studioso, è l´approccio giusto».

 

Avete dei nomi, dei punti di riferimento negli attuali schieramenti?
«Parlarne sarebbe sviante. Come detto, ci troviamo all´inizio di un discorso pre-politico».

 

Todi può essere l´inizio di una risposta al dopo Berlusconi?
«Vedo che si parla di elezioni nel 2012. Gli italiani hanno bisogno di risposte alle loro tante domande. Siamo in un periodo grave, con un tessuto sociale lacerato e a rischio di tensioni conflittuali. Ci vuole una transizione verso un nuovo ciclo politico: responsabile, paziente e pensata.
Ci siamo trovati negli ultimi dieci anni in quella che chiamo la “triste epoque”. Forse in Italia una vera cultura di destra non c´è mai stata. Quella di sinistra si trova in crisi. Non è così, però, per  la cultura dei cattolici. Che in questi anni, come si vede, è sempre stata alimentata e promossa».

 

 

 

«Il Pd raccolga la sfida di una nuova politica»

intervista a Beppe Fioroni, a cura di Maria Zegarelli

in “l’Unità” del 14 ottobre 2011

Un’entità pre-politica, per ora. Una rete di associazioni che coinvolge milioni di persone.
L’appuntamento dei cattolici a Todi, in programma lunedì prossimo, «La buona politica per il bene comune», è infondo la conseguenza diretta di quel monito lanciato durante l’ultima prolusione dal cardinal Bagnasco, «Non possumus nunc silere», «non possiamo ora tacere». Per Beppe Fioroni è «un treno partito, che non si fermerà». Il punto è chi nell’attuale quadro politico sarà in grado  di coglierne «la straordinaria sfida».

 

Fioroni, lei da cattolico impegnato politicamente come guarda all’appuntamento di Todi?

«Credo che nel panorama dell’Italia di oggi Todi rappresenti un elemento di novità molto importante. In un Paese dove paure e insicurezze portano tutti a chiudersi nel proprio egoismo, con una  politica che dà l’idea di essere lo strumento con il quale i furbi realizzano i propri interessi a discapito degli altri, trovare una mobilitazione all’insegna della responsabilità penso sia il segnale  di una rivoluzione del bene. Da lì si parte non per ricostruire un partito nuovo ma per lavorare, come sale e lievito, affinché si torni al futuro con una politica nuova».

 

Ma è o no la premessa per dare vita alla cosiddetta Cosa bianca?
«Da Todi parte un messaggio che diventerà un messaggio di popolo, si calerà nei territori per chiedere una vera offerta politica diversa da quello che c’è oggi. E si lancia una sfida ai soggetti politici esistenti: chi vuole interloquire deve dimostrare di essere all’altezza».

 

E il Pd secondo lei è all’altezza, può essere l’interlocutore di questo soggetto culturale e sociale, come si definisce?
«Se i cattolici fanno questa iniziativa è perché avvertono la necessità di una politica diversa e il Pd deve rendersi conto che se ritiene quel mondo un interlocutore fondamentale, senza il quale  non si governa l’Italia, deve saper rispondere a una richiesta di proposte e iniziative politiche concrete. E i primi ad avere interesse ad avviare questo percorso devono essere i cattolici impegnati  n politica».

 

Cioè, in buona sostanza, secondo lei il Pd così come è oggi non è all’altezza?
«Il Pd e il Pdl fanno entrambi un errore sostanziale. Non hanno capito che per incrociare quel mondo bisogna essere rispettosi e la prima cosa da fare è smettere di pensare che siano un “franchising”. Il Pd non può pensare di rispondere su tre o quattro cose e dire di tacere su tutto il resto. Quello è un mondo che nella seconda Repubblica ha guardato a destra e se oggi avvia una iniziativa di interlocuzione è perché vuole un cambiamento ».

 

Il Pdl li ha delusi, il Pd non li convince. Dipende dal fatto che non è sufficiente parlare di giustizia sociale e povertà, ma bisogna dare segnali concreti anche sui temi  ticamente sensibili. È questo che pensa?
«Dico che il Pd deve cambiare approccio perché etica della vita e etica sociale hanno il medesimo fondamento. La testimonianza e l’impegno di un cattolico in politica in questo senso non deve essere considerata dal Pd come pesante libertà di coscienza, ma come una straordinaria opportunità per rappresentare la società e dire a quel mondo che può stare in questo partito. Nel campo dei diritti non può esserci la “valorialità fai da te”: sarebbe la codificazione del relativismo».

 

Che succede se il Pd non assume questo approccio? Lei se ne andrà e contribuirà a trasformare questo soggetto sociale e culturale in soggetto politico?
Se il Pd non saprà raccogliere la sfida vuol dire che decide di rivolgere la testa indietro e rinunciare a essere quello che voleva per tornare a essere ciò che è già stato. Sarebbe un grande peccato».

 

Ma lei non risponde alla domanda. È tentato di lasciare il Pd davanti a questi nuovi scenari in evoluzione?
«Io voglio che il mio partito rappresenti quel mondo, che mi dia la possibilità anche attraverso la mia azione di far sentire quel mondo rappresentato. Questo voglio».

 

Lei sostiene che il Pd rischia di tornare ad essere quello che era. E i cattolici non sono tentati di tornare ad essere quello che erano, tutti uniti nella Balena bianca  eppur del nuovo Millennio?
«Quello che può diventare questo movimento è funzione di quello che i cattolici impegnati in politica sapranno fare. Se non saranno all’altezza quel treno è comunque partito e non si fermerà».

 

Il direttore di Avvenire, Tarquinio, sostiene che i cattolici hanno avuto un ruolo marginale in politica.
«Vorrei ricordare al direttore che se la legge 40 è stata approvata, lo si deve ai popolari che l’hanno votata e sostenuta. Se le scuole paritarie e cattoliche oggi hanno molti meno fondi di quelli che  ha garantito Prodi quando era al governo è perché i cattolici di centrosinistra non sono stati affatto irrilevanti».

 

Lei è uno degli interlocutori di quel mondo. Ci aiuta a capire in che cosa consiste questa richiesta di nuova politica?
«L’iniziativa di Todi parte da alcune riflessioni su quanto la politica ha fatto durante la seconda Repubblica. Sono tre i fondamenti su cui si è retto questo impianto che oggi quel mondo ci dice di modificare profondamente. Intanto la politica ha pensato che fosse nuovo e moderno rimuovere il concetto dell’agire fondato sui valori e quindi ha scardinato identità e appartenenze. In secondo luogo ha proposto una scissione tra il desiderio e il valore, ancora a scapito di quest’ultimo. Infine ha barattato la partecipazione con l’esaltazione della comunicazione, facendo saltare il rapporto  tra l’eletto e l’elettore».

 

Come si dovrebbe ricostruire su queste macerie?
«Tornando all’idea che l’impegno in politica sia finalizzato al bene comune e non personale. Per questo il cardinale Bagnasco ha lanciato un monito ai cattolici, perché c’è bisogno di una nuova partecipazione per “pulire l’aria”, per rimettere al centro valori, etica della vita e etica sociale».

 

 

 

Campanini: cattolici spaventati dalla politica

Alberto Bobbio

Su Famiglia Cristiana 20 01 2011

«Il cattolicesimo italiano sta diventando intimistico», dice il professore, «e soffre ormai della stessa malattia che affligge la nostra società: ciascuno si fa gli affari propri».

 

 

Premette e avvisa: «La fede non può in alcun modo sostituire la conoscenza puntuale dei problemi, che è una condizione necessaria perché le decisioni assunte dalla politica siano efficaci e producano buoni risultati». Giorgio Campanini, per lunghi anni professore di Storia delle dottrine politiche all’Università di Parma e poi di Etica sociale a Lugano e di Teologia del laicato alla Pontificia Università Lateranense a Roma, ha appena compiuto 80 anni e ragiona di politica e di fede, di religioni e di Stato e del rapporto non sempre facile tra cristianesimo e potere. E riflette sull’Italia e sulla Chiesa, i suoi vescovi e i suoi laici impegnati e disimpegnati, in un travagliato momento politico per il Paese. Voce di riferimento per la comunità ecclesiale durante la stagione postconciliare, senza sconti per nessuno.

Professore, perché la conciliazione tra il cristiano e la politica è difficile?
«Per un cristiano la politica è “servizio”, ma poi deve stare attento e non fare pasticci tra l’etica del successo e l’etica della testimonianza ».

Ma lei da cosa parte?
«Dal Vangelo, perché lì dentro ci sono gli strumenti per l’analisi. Prenda la questione della competenza. Rilegga Luca, quando il Signore spiega che chi ascolta le sue parole è come un uomo che ha costruito la casa sulla roccia e quando viene la tempesta e il fiume rompe gli argini la casa sta in piedi perché era costruita bene. Insomma, per operare bene in politica non basta la buona volontà, la buona fede, come si dice, e nemmeno una personale vita di pietà».

E lo spirito di servizio, altra formula spesso abusata?
«C’è un’ipocrisia con la quale spesso il potere usa quella formula, mentre essenzialmente persegue fini di successo e di affermazione personale o di gruppo. È il tema delle distorsioni: clientelismo, favoritismi vari, uso improprio della capacità di persuasione del politico fino ad arrivare alla corruzione. Ma c’è un’altra questione da analizzare, e cioè la zona grigia che sta tra la vera e propria corruzione, cioè un reato, e l’esercizio del potere discrezionale, che non è reato ma non vuol dire che sia ammesso, se esso diventa improprio. Per un cristiano che fa politica non basta astenersi dalla corruzione, occorre anche dare un’esemplare testimonianza, per esempio stando lontani da chi – parenti, amici, finanziatori, sostenitori – sollecita un uso disinvolto del potere, aiuti, posti e via di seguito. Si chiama “rigore morale” e oggi è una sorta di chimera».

Come giudica l’attuale momento politico?
«È uno dei più tristi della storia della Repubblica, ma non è tutta colpa della politica. Una notevole responsabilità l’ha l’opinione pubblica, che ha preferito l’intrattenimento televisivo, che non chiede informazione corretta, che ha deciso di non partecipare alla vita civile. E quando sono i cattolici ad aver perso passione per la città, cioè l’amore per le cose comuni, per dirla con Giorgio La Pira, il guaio è grande. Negli ultimi trent’anni i cattolici se ne sono andati dalla politica, hanno messo nel cassetto le proprie “virtù sociali”, hanno deciso di non andare a votare».

Peccato di omissione?
«Non faccio il confessore. Osservo solo che la disinformazione va bene, che si è accettata la delega passiva, che in giro c’è una riluttanza forte a informarsi sui programmi dei partiti e le personalità dei candidati, che “tutto va bene” e chi dissente è guardato con sospetto. Domando: davvero è senza importanza che l’etica pubblica sia sparita dall’orizzonte?».

Secondo lei da quando è accaduto?
«Da Craxi in poi è iniziata una fase involutiva della politica».

Che i cattolici non sono stati in grado di contrastare…
«Esattamente. Da una parte ci si era illusi che occupando ancora il potere con la Dc si poteva salvare qualche cosa. Dall’altra, l’episcopato italiano ha creduto, venuta meno la Dc, di poter gestire direttamente il rapporto tra la Chiesa e la politica. Ma ha demotivato i laici cattolici. Se l’episcopato parla sempre, perché dovrebbero poi intervenire i laici? L’esempio più recente è la Settimana sociale di Reggio Calabria: attenzione al messaggio del Papa e alla relazione del cardinale Bagnasco e silenzio sul lavoro delle commissioni dove parlavano i laici. Qualche difetto c’è».

Senza il cardinale Ruini in questi anni sarebbe stato peggio?
«Da molti anni la Cei gestisce in prima persona il rapporto con la politica. Io credo che, invece, i vescovi dovrebbero intervenire solo in casi eccezionali. La Gaudium et spes sottolinea la responsabilità dei laici. C’è qualcosa che non va nell’applicazione del Concilio».

Cosa bisogna cambiare?
«Bisogna scovare qualche organismo ecclesiale che dia voce ai laici ed esprima l’opinione dei cattolici e non solo dei vescovi. Può essere il Comitato permanente delle Settimane sociali, ma deve essere guidato da un laico e non da un vescovo. Oppure il Forum del progetto culturale, ma vescovi e cardinali devono fare un passo indietro».

Per dire che cosa?
«Per parlare, innanzitutto. Le faccio un esempio: sui 150 anni dell’unità d’Italia non c’è alcun documento su cosa i cattolici si attendono, su cosa vogliono che sia realizzato. Hanno parlato solo vescovi e cardinali. Sulla crisi politica non è stato elaborato nulla e non basta assolutamente per essere contenti mettere in fila le prolusioni del cardinale Bagnasco alle Assemblee e ai Consigli permanenti della Cei. I laici cattolici parlano e scrivono in ordine sparso e non c’è nessuno che si preoccupi di dare loro voce unitaria».

È soltanto questione di forma o anche di contenuto?
«La passione civile latita anche dai pulpiti, dalla catechesi, dalla prassi quotidiana: è paura della politica. Il cattolicesimo italiano sta diventando intimistico e soffre della stessa malattia della società: ciascuno si fa gli affari propri».

E sui “valori non negoziabili”?
«Sull’argomento ho delle riserve. L’esistenza di Dio è un valore non negoziabile. Ma quando si dilata troppo questa categoria si cade in più di un equivoco e si impedisce alla politica di avere cittadinanza. La politica è l’arte della mediazione. Prenda la vita, pacificamente valore non negoziabile. Ma non basta l’affermazione, perché poi si tratta di capire come la si difende in un particolare momento storico, cioè come si negozia sulle scelte. Qui i cattolici possono anche dividersi tra loro, arrivando a scelte politiche diverse, senza che ciò debba creare scandalo».

L’attuale Governo su questo piano secondo lei va promosso?
«Si può dire che ha impedito qualche deriva radicale sulla questione dell’eutanasia. Ma sulle politiche a favore della famiglia il mio giudizio è pesantemente negativo. E poi ci sono problemi come la questione dell’etica privata distinta da quella pubblica, la sindrome da presidenzialismo, la subordinazione dei valori agli interessi, l’uso strumentale, a volte, dell’etica evangelica, l’apparenza a scapito della sostanza».

Molti tendono a dare la colpa a Silvio Berlusconi. Lei che ne pensa?
«Magari fosse così! Auguro a Berlusconi lunga vita da pensionato. Ma non è lui il problema. È la cultura che in questi anni è stata imposta: arrivista, erotizzata, basata sulla visibilità. Piace agli italiani, ma non dovrebbe piacere ai cattolici».

 

 

 

 

IL DIBATTITO SULLA STAMPA

IL FORUM DI TODI

 

 

I cattolici, la politica, il futuro dell’Italia
“Sembra stagliarsi all’orizzonte la possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica, che sia promettente grembo di futuro”. Così il cardinale Bagnasco accennava il 26 settembre, nella sua Prolusione, al profilarsi di una nuova stagione di presenza dei cattolici al servizio del Paese. Una necessità sempre più avvertita nel laicato cattolico; è stato questo il fondamento del Forum di Todi di lunedì 17 ottobre, al quale hanno partecipano cattolici di diversa ispirazione impegnati nella società, nella cultura, nell’economia e nell’informazione, radunati dalla consapevolezza che c’è bisogno di un nuovo slancio per far uscire l’Italia dal pantano di una crisi – etica e non solo economica – di difficile soluzione. In questo dossier raccogliamo tutta la documentazione prodotta da Avvenire sul tema.

 

“Oggi la Chiesa non sembra più accontentarsi di questi riconoscimenti formali, o anche di alcuni vantaggi che i governi assegnano alla religione prevalente nella nazione, a fronte del prezioso ruolo che essa svolge a vari livelli. Di qui la domanda ai cattolici di essere più presenti e propositivi sulla scena politica”
“Parlare di un partito dei cattolici rivela un’esigenza generale e un pericolo da scongiurare. La prima risponde al bisogno dell’intero Paese di recuperare l’accezione negletta di «bene comune»… Il pericolo è che, sull’onda dell’emergenza, si creino attese di rinnovamento fondate solo sulla buona volontà (con frustrazione collettiva in caso di insuccessi)… Il contributo dei cattolici alla rigenerazione del Paese è possibile se frutto di un’elaborazione di cultura politica…”
“Ciò che emerge è la volontà di non farsi strumentalizzare da chicchessia. I cattolici di Todi non intendono diventare solo un serbatoio di voti per le formazioni politiche esistenti: anche per questo Costalli ha avvertito che «chi si chiude nel fortino degli attuali partiti rischia di essere travolto». Libertà è reclamata infine anche nei rapporti con i vescovi.” (ndr.: la libertà non è una concessione. La si sceglie)
“lavori in corso a pieno ritmo, il cui esito finale sembra essere la costruzione di un’area clerico-moderata – lobby o partito che sia – di centro-destra, senza Berlusconi, ancorata ai «valori non negoziabili» di vita e famiglia declinati dai vescovi e ai temi cari al mondo cattolico (scuola confessionale e sussidiarietà), sul modello del Ppe”
“Le verità strettamente religiose… messe in secondo piano. In primo piano, invece, quelle che riguardano l’etica sociale. Così il cristianesimo si è assicurato un ruolo importante anche in una società secolarizzata come l’attuale…. In questo quadro di accettazione della laicità si deve intendere anche l’attuale sforzo per ridare voce ai cattolici anche in Italia.”
“quale atteggiamento può assumere il Pd di fronte a queste novità dell’arcipelago cattolico? Spesso non si hanno orecchie attente ad ascoltare e comprendere… Talvolta vi è persino una diffidenza, alimentata da radicati pregiudizi laicisti… Proprio i cattolici, che insieme ad altri hanno contribuito a scrivere la Costituzione e a tessere la rete delle istituzioni democratiche, possono essere una risorsa per chi vuole un Paese più libero e più giusto”
“Il 19 luglio scorso è stato presentato alla stampa il manifesto «La buona politica per il bene comune»… Il 17 ottobre, sui contenuti del manifesto, sarà organizzato un seminario [Todi] … All’orizzonte non c’è la prospettiva del partito dei cattolici, ma l’esigenza di ricercare laicamente nuove modalità per incidere nella formazione di nuovi equilibri delle rappresentanze con altre espressioni culturali e politiche della società italiana”
“Il segnale mediaticamente più recente e rilevante è stato l’intervento (quasi una lectio magistralis) di Ermanno Olmi in… uno spazio da grandi ascolti per un padre nobile della cultura cattolica contemporanea… In vista di Todi, la domanda è legittima: qual è lo stato di salute della cultura cattolica? I fermenti non mancano, e nemmeno le scelte di prospettiva”
“la domanda che dobbiamo porci di fronte al fermento politico che sembra attraversare il cattolicesimo italiano non è «Dc o non Dc?», ma «Gentiloni o Sturzo?». Un abisso separa la soluzione clerico-moderata gentiloniana… che vede i cattolici come supporto ad uno schieramento esistente… da quella sturziana… [in cui] dei cattolici si assumono l’onere di elaborare una mediazione politica… che riflette la loro ispirazione e che può essere condivisa da altri”
“E l’assemblea di Todi può aiutare a riempirlo? «L’incontro di lunedì non sarà politico in senso stretto… Eppure avrà a che fare con la politica»… «La crisi è profonda ed è urgente interrogarsi sul futuro del Paese. I cattolici… oggi sentono la responsabilità di essere parte di una comunità nazionale. È questa, credo, la coscienza con cui ci si incontra a Todi»”
“All’inizio dei lavori del seminario ci sarà una prolusione affidata al presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco, e questa scelta non è facilmente comprensibile alla luce della necessaria laicità dell’avvenimento: sa tanto di ipoteca clericale su un incontro nel quale i protagonisti sono i laici cattolici impegnati nelle varie realtà associative.” “Il Pdl e i suoi alleati più o meno prezzolati hanno corroso l’impalcatura ideale su cui è stata costruita la Costituzione. In mezzo a tanta incertezza, chiaro è dunque il rischio che si profila: un Pdl in salsa cattolica con timbro vaticano. Una “Cosa bianca”, irrimediabilmente vecchia e ben poco attraente, rispetto alla quale i cattolici hanno un solo dovere: opporsi.”
“Lunedì, a Todi, si riunisce la carovana cattolica. Un’assemblea mai vista dal dopoguerra ad oggi. Oltre cento rappresentanti. Per la prima volta saranno insieme tutte le principali sigle dell’area bianca….”
“Dall’incontro di Todi ci si aspetta «uno spirito d’apertura al confronto e alla ricerca tra esperienze di impegno diverse… Non abbiamo risposte predefinite» scandisce il presidente dell’Azione cattolica. «Prima vi è da far maturare tra i cattolici un “nuovo sentire” che abbia al centro il bene comune… Poi si vedrà quale sarà la forma anche organizzativa più utile per far maturare un legame più stretto tra i cittadini e le istituzioni»”
“Altri ancora – mi sembra il progetto migliore – sperano nasca non un «partito» né solo una «scuola di politica», ma un luogo di studio, di libero confronto tra cristiani liberi e adulti, «un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica, che – coniugando strettamente l’etica sociale con l’etica della vita – sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie né ingenue illusioni».”
“L’appuntamento [di Todi] sarà aperto da Bagnasco in persona con una prolusione che molti prevedono «impegnativa» sul piano delle scelte future. «Il cardinale ha accettato il nostro invito e ne siamo lietissimi. Ma l’obiettivo è sollecitare i laici a darsi da fare». Il titolo del meeting è la “La buona politica per il bene comune. I cattolici protagonisti della politica italiana»… «In un nuovo modello di sviluppo… i politici devono essere dei francescani, devono dare l’esempio»”
“«A creare questa nostra Italia, il cattolicesimo fu d’ostacolo: gli elementi cattolici che vi parteciparono furono per lo più imbevuti di semi-giansenismo e di giobertismo della cui perfetta ortodossia è lecito dubitare». Bisogna partire da questa frase di Adolfo Omodeo per capire l’ispirazione del nuovo saggio di Massimo Teodori, ‘Risorgimento laico. Gli inganni clericali sull’unità d’Italia’”
“Il pluralismo delle scelte politiche dei cattolici è una realtà consolidata ed evocarne l’unità sul piano sociale e culturale non è meno fuorviante che farlo sul piano politico.” “”Animare” è verbo impegnativo; ed è molto diverso dal verbo “contare”. «Non vogliamo essere più contati, ma contare» ha detto il rettore della cattolica Lorenzo Ornaghi a coronamento volontaristico delle sue tesi “neoguelfe”. Ma se questo è lo scopo basta un patto scritto o tacito con il potere di turno, specie quando si dichiara “compiacente”, come nel caso di Berlusconi. Con il noto seguito di amarezze. Se invece si tende ad “animare”, il percorso è più arduo”
“Nell’area ecclesiastica ha vinto alla fine la strategia tenacemente portata avanti da Casini da due anni: nessuna alleanza con Berlusconi, rimozione del premier e poi creazione di un partito moderato non confessionale”
“In zona di ‘ndrangheta, di crisi, di disperazione, Benedetto XVI sceglie l’immagine della «terra sismica», e non solo «dal punto di vista geologico» ma anche «strutturale, comportamentale e sociale»: una terra «dove… una criminalità spesso efferata ferisce il tessuto sociale, in cui si ha la continua sensazione di essere in emergenza». Di qui l’elogio alle «sorprendenti» capacità di reazione dei calabresi… E l’appello prepolitico all’impegno nella società”
“Papa Benedetto XVI torna a lanciare il suo invito, questa volta particolarmente pressante, al laicato cattolico perché «non faccia mancare il suo contributo di competenza e di responsabilità per la costruzione del bene comune». E non per interessi di parte.” (ndr.: anche della chiesa)
“La sintesi quantitativa – la ricerca non si pone l’orizzonte qualitativo-valutativo delle scelte – mostra una interessante mappa dell’Italia, sicuramente utile a operatori politici e a gerarchie ecclesiastiche per elaborare strategie e pastorali.” (ndr.: ci si può basare solo su dati numerici quantitativi?)
“l’Italia cattolica è cambiata, e molto rapidamente, negli ultimi anni. Lo dimostra con dovizia di dati e con esemplare chiarezza il libro di Roberto Cartocci che fornisce una mappa della dimensione e della distribuzione territoriale dei cattolici in Italia…” “Questa ulteriore conferma della diversità territoriale del nostro paese pone ai cattolici e alla Chiesa una doppia sfida: recuperare il nord in via di accentuata secolarizzazione, e sottrarre il sud confessionale a quell’ attaccamento alla ritualità e a quella fascinazione per gli aspetti magico-tradizionali della religione che hanno a lungo depresso l’espressione autentica della fede e lo sviluppo dei movimenti cattolici. Senza soddisfare questo duplice obiettivo un nuovo partito dei cattolici non potrà farsi troppe “illusioni”.”
“Come si fa a pensare anche solo per un attimo di costringere la cultura dei cattolici in una nicchia? E per fare cosa poi? Una Dc degli anni Duemila? Un partito confessionale o di testimonianza? Si tratterebbe di iniziative anacronistiche, germinate più dal tentativo di occupare… uno spazio politico di mero potere che dalla volontà di affermare valori e cultura cattolici”
“Il referendum – o comunque una nuova legge elettorale – può aprire una strada nuova, comune a cattolici e laici, per una democrazia con meno polemiche – anche interne al Pd – ma più trasparente e rappresentativa.”
“a me interessa di più registrare questa vivacità del risveglio dei laici credenti. Auspico però che nel fare le scelte e nel decidere gli schieramenti consultino quella bussola. Perché tutti e quattro quei punti cardinali sono decisivi per una “politica buona” e possono rivelarsi decisivi per il bene del Paese che in questa crisi sembra davvero aver perso la bussola.”