Numeri e fede/3: «Ma la geometria non è atea»

Intervista alla matematica Lucia Alessandrini Professoressa, come vive la sua esperienza di matematica e di credente? «Non regge l’equazione “Se c’è razionalità, non c’è religione”.
Assolutamente non sussiste opposizione o incompatibilità.
Si tratta di avere una visione completa dell’uomo, in cui la razionalità non è vista solo come razionalità scientifica.
Credo che della razionalità dell’uomo facciano parte varie componenti.
La mia esperienza di credente è il fondamento della mia esistenza.
Questo non significa che, per sentirmi cristiana, io debba fare accenni di tipo religioso agli studenti durante le lezioni di matematica.
Non mi permetterei mai di farlo, mi sento di essere una cristiana per come vivo nella totalità della mia esistenza».
Mai un conflitto interiore fra il matematico e la credente? «La formazione universitaria e poi la carriera non sempre ti permettono di approfondire la parte “sapienziale” del tuo lavoro.
Non sempre puoi situarti in un ambito più ampio, non tanto in una tradizione quanto in una visione del mondo che, se parliamo il linguaggio biblico, è appunto di tipo sapienziale.
Se potessi riscrivere il libro del Siracide, per esempio, ci metterei dentro la figura del matematico, insieme con quella dello scriba e con le altre che vi compaiono».
I giovani che studiano matematica e sono credenti riescono a coltivare insieme la visione scientifica e quella sapienziale? «Anche i giovani che vengono da un impegno in parrocchia, da gruppi di preghiera, da movimenti ecclesiali, quando arrivano a Matematica a volte sono in difficoltà: manca loro (e devono costruirsela) una visione in cui non s’incontra un baratro tra l’approccio scientifico e quello sapienziale.
La maggior parte dei ragazzi ha una preparazione religiosa che, in genere, risale all’epoca della Cresima, e una conoscenza della Bibbia che è di livello piuttosto basso.
Quando viene proposto loro il discorso intellettuale severo, dal punto di vista della scienza, e debbono confrontarlo nel loro animo con la conoscenza di tipo religioso, si ritrovano (mi si lasci passare il termine) piuttosto “infantili”, perché in epoca infantile hanno appreso quella conoscenza.
Allora si domandano: “Com’è possibile che la Chiesa proponga di credere questo, mentre qui sento dei ragionamenti diversi?”.
Io penso che possa aiutarli una riscoperta dello studio della Bibbia , o ancora meglio frequentare un master in scienza, filosofia e teologia».
Questo approccio potrebbe fornirlo la scuola superiore? «Si potrebbe puntare sulla Bibbia, uno dei “codici” della nostra cultura.
I ragazzi si renderebbero conto che non si chiede loro di credere a “favolette”: gli studi biblici avanzati sono di tipo scientifico.
Constaterebbero come, nell’approccio a un testo religioso, venga usata la ragione.
Tutto questo, naturalmente, accanto allo studio della filosofia, che dovrebbe avere un ruolo fondamentale nella formazione dei giovani.
Ma la scuola ha programmi fissi in cui già vanno inserite, non senza difficoltà, tantissime materie.
E bisogna già combattere molto per salvare la filosofia.
Farei appello invece alla struttura ecclesiale, ai movimenti, alle parrocchie, ai centri culturali.
Questi devono assolutamente trovare tempi e modi per coinvolgere i giovani delle scuole superiori e dell’università».
E quelli che non frequentano regolarmente la parrocchia? «Credo che i giovani e le famiglie possano benissimo rivolgersi a un centro culturale che offra programmi seri.
Mi riferisco per esempio ai centri culturali messi in rete come strumenti del Progetto culturale della Chiesa cattolica.
Dovrebbero occuparsi molto dei giovani, dei giovani adulti, per aiutarli ad adottare una mentalità forse più corretta nell’ambito del dibattito fede-ragione».
Oggi soffre anche la filosofia.
Non interessa più la ricerca delle verità fondamentali, la causa rerum? «La filosofia va difesa in ambito scolastico, senza nulla togliere alla religione.
Formarsi una mentalità che ci permetta di ragionare sulle idee è basilare per poi capire che si può ragionare anche sulle idee che riguardano la fede».
È azzardato affermare che una scoperta matematica ha sempre qualcosa di “religioso” in sé, che assomiglia all’intensa gioia creativa dell’artista? «In matematica scoprire nuove proprietà o dimostrare un nuovo teorema conferisce quella soddisfazione intellettuale che probabilmente prova anche l’artista quando crea un capolavoro.
Il matematico opera in un mondo di idee che lo supererà sempre ma che non è chiuso all’intelligenza dell’uomo, non è il mondo dell’orrore della non-conoscenza: si presta all’approccio dell’uomo purché egli miri alla verità.
Abbiamo dei limiti dovuti alla nostra natura umana, ma la nostra mente è adatta a protendersi verso l’infinito, e questo è il lato prometeico, la “fede” che guida il matematico in quanto tale.
Al di là dell’infinito poi ci sono altri infiniti.
La conoscenza matematica di per sé non ha limiti, siamo noi esseri umani che ne abbiamo.
Ma spesso la matematica incontra il vero freno, quando la società non ha acquisito la piena certezza che la matematica è indispensabile al progresso.
E noi matematici, al giorno d’oggi, ancora più che di finanziamenti, abbiamo bisogno del sostegno sociale e culturale».
Luigi Dell’Aglio È proprio una mosca bianca un matematico che non sia ateo? «Penso proprio di no.
Non sono atea e conosco molti colleghi che credono (come molti che non credono).
Vengo da una famiglia religiosa, ho sempre frequentato la parrocchia e ho lavorato in Italia nei gruppi missionari.
Nel frattempo studiavo matematica perché mi piaceva moltissimo.
(Tutti i matematici risponderebbero così: studiavano per il “gusto” di fare matematica).
A un certo punto, ho dovuto scegliere.
Ho cercato di comprendere quale fosse veramente la mia “chiamata”, e ho concluso che dovevo fare il matematico.
Ho capito che il Signore era anche il Signore della matematica, perciò la mia vita non sarebbe stata divisa a metà; era un’unica vita in cui entravano insieme benissimo questi due impulsi potenti».
La professoressa Lucia Alessandrini è ordinario di Geometria all’Università di Parma.
E che sia un matematico a ventiquattro carati lo dimostrano la forza della sua vocazione scientifica, un’attività di ricerca di primissimo piano, e il modo in cui spiega il suo amore per la “regina delle scienze”.
«La matematica – dice – è collegata alla bellezza delle idee.
Ti attira anche perché con lei non puoi barare.
Una cosa è giusta o sbagliata: non esiste via di mezzo.
E non puoi fermarti, non puoi accontentarti finché non sei arrivato alla fine».

Il nuovo volto dell’istruzione tecnica: ecco cosa cambia

L’Istruzione Tecnica – come in più occasioni hanno affermato i vertici di Confindustria – è stata una risorsa fondamentale dagli anni della ricostruzione in poi e può anzi deve essere anche oggi il valore aggiunto per superare la congiuntura sfavorevole e contribuire allo sviluppo economico del paese.
Le imprese hanno oggi bisogno di tecnici diplomati per poter incrementare la produzione e renderla più competitiva ed idonea a sostenere e contrastare la concorrenza internazionale.
Ma i dati attuali rilevano un gap di 180.000 diplomati tecnici tra la domanda delle imprese e l’offerta delle scuole.
Sono gli effetti di una miope politica scolastica che in questi ultimi decenni ha progressivamente licealizzato l’istruzione secondaria superiore, cancellando la specificità degli istituti tecnici, con il risultato di un calo continuo di iscrizioni a questa tipologia di scuola.
Le risposte che il nuovo Regolamento offre alle principali istanze emerse negli ultimi anni vanno dalla conferma dell’identità degli istituti tecnici all’interno del secondo ciclo del sistema nazionale di istruzione e formazione, alla necessità di proporre ai giovani e alle famiglie un’offerta formativa fondata su percorsi chiari, distinguibili sia dai Licei sia dai Professionali, e su competenze spendibili tanto per l’inserimento nel mondo del lavoro, quanto per il passaggio ai livelli superiori di istruzione.
Tutto all’insegna di una maggiore semplificazione degli indirizzi di settore che passano dagli attuali 39 a 11, due per il settore Economico e nove per il settore Tecnologico e di una maggiore efficienza nella distribuzione dei servizi ed efficacia nell’utilizzo delle risorse.
Il provvedimento è destinato ad incidere profondamente nella struttura organizzativa, e non solo, degli Istituti tecnici in quanto interviene: – ad adeguare il carico orario annuale dalle attuali 1188 ore a 1056 ore, che si traduce nel passaggio da 36 a 32 ore settimanali; – a rafforzare l’autonomia con l’aumento delle quote di flessibilità fino al 30 % riservate alle singole scuole; – a favorire il raccordo sinergico tra scuola, territorio e mondo produttivo con la costituzione di un Comitato Tecnico Scientifico composto dal Dirigente Scolastico e, in modo paritetico, da docenti ed esperti del mondo del lavoro, delle professioni e della ricerca scientifica e tecnologica.
Non solo dunque nuovi modelli organizzativi e di gestione: il riordino degli Istituti tecnici passa anche attraverso una rivisitazione dei percorsi, definiti in termini di competenze, abilità e conoscenze in relazione alla Raccomandazione del Parlamento europeo, e che devono agganciarsi strettamente al quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF).
Sul piano metodologico-didattico gli aspetti più innovativi riguardano: – l’incremento dello studio dell’inglese, con la possibilità di insegnamento in inglese di almeno una disciplina di indirizzo; – la valorizzazione delle discipline scientifiche attraverso la didattica delle scienze integrate; – lo sviluppo di metodologie innovative basate sull’utilizzo dei laboratori in tutti gli ambiti disciplinari; – la diffusione più ampia di stage, alternanza scuola-lavoro e tirocini.
Il nuovo Regolamento, risultato e sintesi del lavoro di diverse commissioni di studio istituite dai governi in questi anni, e a cui ha dato il proprio contributo il nucleo Education di Confindustria, non nasce come scatola vuota, ma accoglie quanto delle migliori esperienze è stato prodotto e realizzato da alcune scuole, nell’ambito della sperimentazione dell’Autonomia e risponde alla necessità di collegare l’Offerta formativa più strettamente al territorio, alle imprese e all’Istruzione Tecnica Superiore al fine di sostenere lo sviluppo delle professioni tecniche a livello terziario.
L’applicazione del provvedimento è stata rimandata al 2010, per favorire la discussione nelle scuole e una corretta informazione alle famiglie, ma in alcune realtà regionali, come il Veneto, dove già da tempo Scuola Regione e Impresa stanno lavorando al cambiamento dell’istruzione tecnica, tutto è pronto per partire dal 2009 con una ventina di istituti, che hanno dato l’adesione, con un anticipo della riforma.
È un cambiamento che si impone, è richiesto dai tempi, dalle parti interessate, dalla difficile situazione economica che il paese deve affrontare e dall’aggressiva competitività delle nuove potenze economiche.
La sfida va raccolta e fatta passare al più presto attraverso la trasformazione dell’Istruzione Tecnica, asse portante per la costruzione di competenze e professionalità necessarie alla struttura produttiva del paese.
Altri rinvii non sono più accettabili.
Il 2008 si è chiuso per la scuola con un atto del Governo molto importante e molto atteso: il nuovo Regolamento dell’Istruzione Tecnica, approvato il 18 dicembre dal Consiglio dei Ministri.
Importante perché ad essere interessati sono ben 1800 istituti, distribuiti sul territorio nazionale, e 873.522 studenti che rappresentano una cospicua fetta, il 34 %, degli iscritti alla secondaria superiore.
Atteso perché da tempo le principali parti interessate, Scuola e Impresa, invocavano un rilancio dell’Istruzione Tecnica, rilancio che oggi si impone con una certa urgenza anche per sostenere la ripresa economica del Paese, ma che necessariamente deve passare attraverso un cambiamento, regolamentato a livello istituzionale.

Torna il voto in pagella

Tornano i voti nelle scuole elementari e medie.
Tra poche settimane, mamme e papà si ritroveranno tra le mani pagelle simili a quelle della loro epoca.
Ma non tutti: gli under trenta per trovare una pagella con i voti espressi in decimi dovranno frugare tra i ricordi dei genitori.
Perché è da più di trent’anni che i voti sono spariti dalle valutazioni trimestrali, quadrimestrali e finali della scuola primaria e secondaria di primo grado.
I voti espressi in decimi erano stati cancellati il 4 agosto del 1977, con la legge 517: a capo del governo c’era Giulio Andreotti, il ministro della Pubblica istruzione era il democristiano Franco Maria Malfatti.
Il ripristino dei voti, che sostituiranno i giudizi (sufficiente, buono, distinto, ottimo), è stato deliberato dal consiglio dei ministri a settembre con un decreto legge convertito in legge due mesi dopo.
La prima pagella con i voti nella scuola elementare e media sarà quella del primo quadrimestre, che si chiude ufficialmente il 31 gennaio.
Ma su tutta la questione aleggia lo spettro del rinvio di un anno: gli istituti sono in attesa infatti del regolamento sulla valutazione degli alunni e del decreto ministeriale che consentirà ai professori delle medie di “correlare la particolare e oggettiva gravità del comportamento al voto inferiore a sei decimi”, in pratica all’attribuzione di un’insufficienza in condotta.
Senza questi due provvedimenti i docenti avranno serie difficoltà ad applicare la legge.
Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale presidi, pur criticando i tempi ministeriali, non crede nello slittamento del provvedimento.
“Quando ci sono cambiamenti di questa importanza – commenta – occorre una riflessione interna che non può esaurirsi in pochi giorni.
Tuttavia, ritengo inverosimile il rinvio perché il ritorno ai voti nel primo ciclo è uno degli elementi portanti della politica del governo sulla scuola”.
Per le scuole che hanno suddiviso l’anno scolastico in quadrimestri i tempi si fanno strettissimi.
Se il regolamento verrà reso noto la settimana prossima le scuole dovranno prima di tutto “individuare le modalità e i criteri per la valutazione degli alunni” e dopo “predisporre il documento di valutazione individuale dell’alunno”.
Quelle che hanno adottato il trimestre (scaduto il 15 dicembre scorso) si sono dovute arrangiare con una circolare emanata l’11 dicembre che all’argomento dedica una pagina scarsa.
Una bozza del documento, inviata per il prescritto parere al Consiglio nazionale della pubblica istruzione (Cnpi), circola da alcuni giorni.
Ecco i punti salienti.
Nella scuola primaria il voto in decimi per ogni ambito disciplinare sarà accompagnato da un giudizio analitico.
Mentre sul comportamento gli insegnanti della classe esprimeranno un giudizio.
La bocciatura è prevista “solo in casi eccezionali” e comunque deliberata all’unanimità.
Per gli alunni della scuola media le cose si complicano: i voti delle singole discipline e di condotta saranno espressi in decimi.
Per ottenere la promozione alla classe successiva, deliberata a maggioranza, bisogna raggiungere la sufficienza in tutte le materie (condotta compresa) e avere frequentato almeno tre quarti dell’orario annuale.
Otterranno l’ammissione agli esami di licenza media soltanto coloro che riporteranno almeno sei in tutte le materie e avranno partecipato ad almeno tre quarti delle lezioni.
Quest’anno, la prova nazionale di italiano e matematica predisposta dall’Invalsi concorre alla valutazione finale.
Anche il punteggio del diploma è espresso in decimi.
Repubblica 10 gennaio 2009

“La nuova scuola spiegata ai genitori”

La pubblicazione di Tuttoscuola (in edicola con il Corriere della Sera sabato prossimo) si divide in tre parti: una vera e propria guida alle iscrizioni, per affrontare al meglio l’adempimento dell’iscrizione; la presentazione delle caratteristiche e delle novità dei diversi ordini di scuola; e infine scuola e famiglia, istruzioni per l’uso, con le informazioni per conoscere meglio come funziona una scuola e stabilire una buona relazione tra la famiglia e l’istituzione, nell’interesse degli studenti.
Ecco alcuni degli argomenti trattati per ogni sezione.
Guida alle iscrizioni: 1.
Breve panoramica del sistema di istruzione 2.
Pubblica o privata? 3.
Quando, dove e come iscriversi 4.
Modelli di domanda 5.
Alunni con disabilità 6.
Alunni con difficoltà specifiche di apprendimento 7.
Alunni con cittadinanza non italiana 8.
La privacy e la tutela dei dati personali 9.
Se e come avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica 10.
I servizi scolastici, le rette e i contributi Gli ordini e gradi di scuola, con tutte le novità per ciascuno: 1.
Scuola dell’infanzia 2.
Scuola primaria 3.
Scuola secondaria di I grado 4.
Scuola secondaria di II grado e i percorsi atipici Scuola e famiglia, istruzioni per l’uso: 1.
Stato, Regioni, Enti locali: un sistema integrato 2.
L’autonomia scolastica: come è organizzata una scuola 3.
La valutazione degli alunni 4.
Le assenze degli alunni 5.
Il bullismo e la scuola 6.
Il cellulare a scuola 7.
La partecipazione dei genitori alla vita della scuola 8.
Strategie di relazione a scuola 9.
I colloqui con gli insegnanti 10.
Studenti della secondaria – diritti e doveri 11.
Il patto di corresponsabilità 12.
Gli scambi culturali e la mobilità studentesca 13.
La scuola e il portafoglio ”La nuova scuola spiegata ai genitori”, che sarà in edicola con il Corriere della Sera sabato 17 gennaio 2009, fornisce in modo appropriato e puntuale ogni utile informazione sulle novità 2009 della scuola riformata, dall’infanzia al primo ciclo di istruzione; per gli istituti superiori, al fine di fornire un quadro completo del sistema di istruzione, oltre a presentare le caratteristiche dell’ordinamento attuale, pone a confronto anche le novità rilevanti che saranno introdotte dal 2010.
Oltre a tutto questo, la Guida di Tuttoscuola viene in aiuto dei genitori e dei non addetti ai lavori, con una serie di FAQ, suddivise per settori scolastici, con cui dà risposte alle domande più frequenti pervenute alla nostra rivista o raccolte nelle scuole relativamente ai problemi immediati delle iscrizioni, ma anche a problematiche varie che intervengono nel corso dell’anno scolastico.
Per le caratteristiche della Guida, essa si presta ad essere una valido strumento a disposizione della scuole per fare fronte alle domande delle famiglie: dirigenti scolastici e insegnanti potranno infatti rimandare con serenità alla lettura della guida per trovare risposta ai molti quesiti posti dai genitori.
Per ulteriori informazioni la Guida fornisce i recapiti (indirizzi completi, telefono, fax, e-mail) ai siti ufficiali di interesse per genitori e operatori scolastici a livello territoriale e nazionale, come, ad esempio, quelli degli ex-provveditorati agli studi (USP), degli Uffici scolastici regionali, degli Assessorati regionali all’istruzione e alla formazione, nonché i riferimenti alle associazioni delle scuole non statali e a quelle dei genitori.
Un utile indice analitico con 250 voci aiuta a trovare gli argomenti che di volta in volta interessano.

Università, è legge il decreto Gelmini

CONCORSI – Le commissioni che giudicheranno gli aspiranti professori universitari di prima e seconda fascia saranno composte, a differenza di quanto accadeva finora, da 4 professori sorteggiati da un elenco di commissari eletti a loro volta da una lista di ordinari del settore disciplinare oggetto del bando e da un solo professore ordinario nominato dalla facoltà che ha richiesto il bando.
Lo scopo è quello di evitare di predeterminare l’esito dei concorsi e di incoraggiare un più ampio numero di candidati a partecipare.
Per quanto riguarda i ricercatori, in attesa di un riordino organico del sistema di reclutamento, le commissioni che giudicheranno i candidati al concorso saranno composte da 1 professore associato nominato dalla facoltà che richiede il bando e da 2 professori ordinari sorteggiati da una lista di commissari eletti tra i professori appartenenti al settore disciplinare oggetto del bando.
La valutazione dei candidati avverrà secondo parametri riconosciuti in ambito internazionale.
ATENEI «SPENDACCIONI» – Le università con una spesa per il personale troppo elevata (più del 90% dello stanziamento statale) non potranno fare nuove assunzioni.
La norma vuole porre un freno alle gestioni finanziarie non adeguate (soprattutto nel rapporto entrate-uscite).
Da oggi, dunque, gli atenei che spendono più del 90% dei finanziamenti statali (Fondo di Finanziamento Ordinario) in stipendi non potranno bandire concorsi per docenti, ricercatori o personale amministrativo.
«ATENEI VIRTUOSI» – Più finanziamenti (cioè il 7% del Fondo del Finanziamento Ordinario e del Fondo Straordinario della Finanziaria 2008) saranno distribuiti alle Università migliori: quelle con offerta formativa, con qualità della ricerca scientifica, efficienza delle sedi didattiche migliori.
Le università più virtuose saranno individuate – in tempi molto brevi, assicura il ministero – attraverso i parametri di valutazione Civr (Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca) e Cnvsu (Comitato nazionale valutazione del sistema universitario).
RICERCATORI – Per favorire l’assunzione dei giovani ricercatori, il blocco del turn over (a quota 20% nelle altre amministrazioni) viene elevato al 50%.
Delle possibili assunzioni presso le Università, almeno il 60% dovrà essere riservato ai nuovi ricercatori.
I bandi di concorso per posti da ricercatore già banditi sono esclusi dal turn over (2300 ricercatori) e anche gli enti di ricerca sono esclusi dal blocco delle assunzioni entrato in vigore per tutte le amministrazioni pubbliche.
Con questi interventi si potranno assumere 4000 nuovi ricercatori.
BORSE DI STUDIO – Tutti gli aventi diritto avranno la borsa di studio.
Un incremento di 135 milioni di euro sarà, infatti, destinato ai ragazzi capaci privi di mezzi economici.
Oggi 180 mila ragazzi sono idonei a ricevere la borsa di studio e l’esonero dalle tasse universitarie, ma solo 140.000 li ottengono.
65 milioni di euro saranno destinati a progetti per residenze universitarie (1700 posti letto in più).
08 gennaio 2009 La Camera (281 sì e 196 voti contrari) ha approvato in via definitiva il decreto Gelmini sul riordino del sistema universitario.
Sul decreto, contro il quale in novembre si era mobilitata la protesta di studenti e docenti, il governo aveva chiesto la fiducia.
Voto a favore della maggioranza, no di Pd e Italia dei Valori, con dure critiche basate sulla stima dei tagli che il decreto comporta mentre l’Udc si è astenuta «per offrire un’apertura di credito nei confronti del ministro Mariastella Gelmini».
Che , dal canto suo, è naturalmente soddisfatta del risultato raggiunto: «L’università oggi cambia: valorizzato il merito, premiati i giovani, affermata la gestione virtuosa degli atenei e introdotta più trasparenza nei concorsi all’Università per diventare professori o ricercatori.
Da questi tre pilastri non si potrà prescindere».
Ecco i punti principali del decreto.

In attesa del regolamento sulla valutazione

Torniamo sul tema della valutazione perché rispetto al nostro ultimo intervento di tre mesi fa si sono avute parecchie novità e il quadro deve essere aggiornato.
Il decreto Gelmini è divenuto legge 169/08 ed ha perduto nel corso della conversione in legge quella formula che lasciava aperta la strada all’implicita abrogazione dell’art.
309 del Testo Unico nella parte che vieta l’uso del voto numerico per l’Irc.
La legge rinvia ora solo ad un regolamento che dovrebbe coordinare le norme vigenti e stabilire eventuali ulteriori modalità applicative della norma.
Una prima bozza di questo regolamento è in circolazione da qualche settimana ed è stata già sottoposta al parere del CNPI che non ha potuto fare a meno di rilevarne diverse incongruenze.
Ampio spazio nel regolamento è dedicato proprio alla valutazione dell’Irc, ribadendo però le disposizioni già in vigore e cadendo in alcuni errori e contraddizioni.
Vedremo quale effetto avranno le osservazioni del CNPI, che nel suo parere ha rivendicato anche «la necessità di garantire la pari dignità di tutti gli insegnanti, […] in modo da evitare inaccettabili differenziazioni tra gli insegnanti di educazione fisica e religione e gli altri insegnanti».
Va infatti notato che inopinatamente il regolamento esclude anche il voto di educazione fisica dalla media finale.
In attesa di conoscere la veste definitiva che assumerà il regolamento, per ora ci limitiamo a segnalarne alcuni aspetti, rinviando i lettori al testo provvisorio completo (vedi pdf allegato) per una maggiore informazione.
L’errore più grossolano è quello di far discendere il divieto di voto in decimi dalla scheda separata di valutazione (art.
7, c.
1).
Come è  noto, quest’ultima venne introdotta nel 1986 da un ordine del giorno della Camera, mentre il divieto di voto risale alla legge 824 del 1930.
Le contraddizioni riguardano il voto sul comportamento e la determinazione dei crediti scolastici, da cui l’Idr sembra essere una volta escluso (art.
3, c.
6 e art.
6, c.
6) e una volta compreso (art.
7, c.
2), nonché la partecipazione allo scrutinio finale che risulta essere una volta piena (art.
7, c.
2) e una volta limitata in base alla parziale citazione della nota clausola introdotta dalla revisione dell’Intesa nel 1990 (art.
7, c.
3).
Sicuramente il testo definitivo provvederà ad eliminare queste incongruenze, ma vorremmo sperare che si avesse il coraggio di innovare davvero il sistema di valutazione rivedendo le posizioni fin qui consolidatesi sulla base di una acritica assunzione di norme vecchie e superate.
Al divieto di voto è poi abbinato il divieto di esame, che non è ora in discussione perché la legge 169/08 ha solo riproposto il problema del voto numerico, ma – forse anche più dell’uso del voto – il divieto di esame va ad incidere sull’effettiva rilevanza scolastica dell’Irc, nonostante gli sforzi messi in atto negli ultimi venticinque anni per collocare con sempre maggiore credibilità l’Irc nel quadro delle finalità della scuola mediante l’adozione di programmi didattici aggiornati e coerenti con l’impostazione delle innovazioni di volta in volta introdotte nel sistema scolastico.
Mentre l’Idr partecipa alla valutazione degli alunni che si avvalgono dell’Irc e quindi determina la delibera collegiale sull’esito finale dell’anno scolastico, la valutazione da lui espressa sulla propria disciplina rimane per certi aspetti sottratta a quella collegialità che dovrebbe essere garanzia di equità e giustizia per tutti gli alunni: in mancanza di un esame, inteso come occasione di verifica pubblica della congruità della valutazione, il giudizio espresso dall’Idr diventa quasi un affare privato tra lui e l’alunno, tale da poter essere sottratto alla procedura di controllo collegiale, dato che manca la possibilità ad altri insegnanti di sindacare il giudizio del collega, quando invece possono farlo con i colleghi di altre materie di cui pure non sono competenti.
Per l’Irc, infine, l’esame sarebbe l’occasione per rendere conto – a sé, alla scuola e all’utenza – dello svolgimento effettivo dei contenuti didattici prescritti e dell’apprendimento prodotto negli alunni.

Numeri e fede/ 2: Matematica, il fascino della verità

INTERVISTA Professor Pistone, tra tutte queste cause di “irreligion”, qual è la predominante? «La gente parla di religione ma non sa nulla circa le cose di cui parla.
Ignora l’immenso patrimonio culturale accumulato in duemila anni di cristianesimo.
Crede che la preghiera si riduca a poche frasette pie o formule superstiziose.
Non ha alcuna idea di che cos’è la Rivelazione, il Credo, la liturgia, la Bibbia.
A dire il vero, con molti scienziati, ricercatori, persone dotate di un’elevata abitudine all’argomentazione razionale, non ho difficoltà a parlare di fede.
Trovo ascolto.
Invece, fuori dalle mura dell’accademia, avviene ciò che non finisce mai di ferirmi: spesso mi trovo di fronte persone, specialmente tra gli anziani, che provano una netta avversione per la fede.
In Italia ha lasciato tracce profonde l’illuminismo francese, programmaticamente ateo e rivoluzionario, molto diverso dell’illuminismo di tipo americano che non è affatto antireligioso.
Negli Usa, lo abbiamo visto nella propaganda per le elezioni presidenziali, spesso i discorsi di Obama e di McCain seguivano i canoni della predicazione.
I politici americani sono soliti manifestare in pubblico la loro fede religiosa.
Da noi invece la fede è considerata un fatto privato.
E poi, in Italia, appena si comincia a parlare di religione, la conversazione è minata da un grosso equivoco».
Quale equivoco? «Spesso io vorrei parlare di teologia ma mi accorgo che i miei interlocutori, quando dicono ’religione’ pensano alla politica, e basta.
Si confonde la fede con le posizioni che le chiese legittimamente assumono nel dibattito politico e civile.
Pensiamo, ad esempio, alla mancata visita del Papa all’università di Roma.
Ritengo che il Papa avrebbe dovuto parlare alla Sapienza e che molti degli autorevoli accademici che hanno firmato la lettera contro la sua visita siano stati mossi da un pregiudizio politico e da immotivate paure, in un quadro completamente falsato.
Ora poi si sta formando una cultura fortemente antireligiosa dalle cui pubblicazioni esce un leit-motiv martellante: attenti alla religione perché è “pericolosa”, “fanatica”, “scatena odii e guerre”, dato che “chi crede in qualcosa disprezza gli altri che non credono”.
Tutto questo da un lato è vero, in certi casi, come dimostra la cronaca quotidiana dal mondo.
D’altro lato, nel concreto della situazione italiana, questi allarmi sono senza fondamento.
Dalle nostre parti, ad esempio, le accanite lotte del passato sono assopite e sostituite da polemiche accese ma pacifiche; perfino nelle edizioni per la catechesi dei bambini c’è collaborazione fra la nostra casa editrice e quella salesiana».
Nel suo caso, è nato prima il matematico oppure il credente? «Vengo da un ambiente di campagna, sono nato a Chieri da una famiglia proveniente dalle Langhe.
I miei appartenevano al mondo artigiano, in un contesto aperto ma religioso.
In famiglia c’era sempre stato un certo numero di evangelici.
E anche molti sacerdoti.
Come in tanti altri casi, questa tradizione, che alcuni consideravano oppressiva, si è persa.
Quasi tutta la mia vita è passata senza pensiero di fede: studi di matematica, famiglia e poco altro.
In me il credente è nato dopo i 50 anni.
Non per un evento particolare ma per un’evoluzione progressiva.
Quando arrivano dei momenti di crisi – e arrivano per tutti – succede qualcosa: quello che per noi evangelici è la “chiamata”.
Il Signore ti cerca sempre e, quando sei in fondo al pozzo, lo riconosci».
E come ha reagito alla “chiamata”? «Facendo quello che so fare, cioè studiando.
Se si leggono le opere degli scienziati inglesi contemporanei di Newton, si scopre che erano tutti credenti, alcuni anche apologeti.
Leggendo le loro opere appare chiaro che per loro non c’era contraddizione tra scienza e fede; anzi erano convinti che scienza e fede non siano due cose diverse.
Non vedevano alcuna differenza tra scoprire teoremi e aver fede».
Ma qual è la ragione principale per cui non v’è contraddizione tra scienza e fede? «Come dice la Bibbia, e poi la Chiesa di tutti secoli, “se si guarda con fiducia la creazione, si vede il Creatore”.
I matematici poi sentono particolarmente il fascino della verità.
Studiano oggetti che considerano perfetti e che sono, inoltre, applicabili alla descrizione della natura.
Ciò che affascina lo scienziato è che il mondo sia stato non solo creato, ma creato comprensibile.
E il fatto che il mondo sia intelligibile è un dato a priori.
È l’attestato del ruolo che il Creatore ripone nella scienza dell’uomo.
Chi si occupa tutti i giorni di scienza si domanda: com’è possibile che una persona – sia pure geniale come Einstein – che lavora all’Ufficio Brevetti di Zurigo – capisca com’è fatto il mondo, e che le sue teorie vengano poi confermate sperimentalmente?».
Lei è appena arrivato da Hanoi, dove ha parlato in un convegno di Statistica.
E sta per partire per Berkeley in California.
La verità cui la matematica anela è universale, passa attraverso culture e tradizioni diverse…
«Hanoi è la capitale di un paese socialista, il Vietnam, con tante difficoltà da superare, e una cultura molto distante dalla nostra.
Ma, quando parliamo della nostra scienza, non c’è differenza che tenga.
La matematica cinese e quella di Euclide sono la stessa cosa.
Altri campi della cultura umana non hanno questa caratteristica».
Luigi Dell’Aglio Se «No Drama» è divenuto anche il motto della «Generation Obama» il merito è dello stesso neo-eletto presidente che tenne i nervi a posto in due momenti roventi della sua campagna: a metà gennaio quando perse in New Hampshire subito dopo il trionfo iniziale in Iowa e tre mesi dopo, allorché gestì le dichiarazioni razziste anti-bianchi del reverendo nero Jeremiah Wright riuscendo a trasformare la questione razziale da svantaggio in vantaggio elettorale.
Egli poi si ispira ad Abramo Lincoln, il presidente che seppe guidare un governo composto di ministri fra loro rivali grazie all’abilità nel rimanere calmo in momenti di crisi politica aggravati dalla Guerra Civile, come ricostruisce Doris Kearns Goodwin nel libro «Team of Rivals» che Barack ha confessato di tenere sul comodino.
Il richiamo al «No Drama« di Lincoln, si spiega con le sfide terribili che Obama ha di fronte: la recessione e due guerre aperte.
Per affrontarle e superarle con successo serviranno nervi molto saldi.
Però non bisogna dimenticare che il Dream Team 2009(l’insieme dei ministri ed esperti che compongono il suo gruppo di governo) ha saputo cogliere questo semplice ed efficacissimo detto dal No More Drama, che potrebbe diventare il motto per il mondo intero che è stanco di guerre, tragedie, razzismo, non solo nel 2009, ma nel futuro: “No drama (no more drama in my life) No more, no more, No more, no more No more tears (no more tears, no more cryin every night) No more fears (no more waking up in the morning) No drama, no more in my life No more drama, no more drama No more drama, no more drama No more drama, no more drama No more drama, no more drama No more drama in my life So tired, tired of this drama”(Cfr: dal singolo R&B di Mary J.
Blige).
Per il politologo Bill Schneider, volto di rilievo della tv Cnn, dietro «No Drama Obama» c’è l’identità di un leader riassunta da «tre C» ovvero «casual, cool, connected» (casual, calmo, connesso elettronicamente) che rispondono ad altrettante caratteristiche che ha chi lo ha votato.
Egli si sta preparando «con una calma alla Obi-Wan Kenobi» (il Maestro Jedi di Guerre Stellari) ad affrontare una terrificante lista di problemi planetari(così «Time» ritrae Barack Obama raccontando la «Persona dell’anno 2008»).
E noi “speriamo che se la cavi”.
Come speriamo che se la cavi l’altrettanto famoso “tiratore di scarpe”, divenuto anche lui un simbolo del cambiamento dei prossimi anni, in cui non si useranno armi, ma oggetti per colpire i tiranni.
Dopo il suo exploit, il giornalista iracheno Muntazer al-Zaidi, che ha tentato di colpire il presidente americano George W.
Bush lanciandogli contro le scarpe, i potenti temono eventuali “imitazioni” del gesto: chiunque parteciperà a una conferenza stampa sarebbe così tenuto rigorosamente d’occhio, onde impedirgli di levarsi le calzature e farne un uso che è stato definito “improprio”.
Ma non è meglio tirare una scarpa che sparare? Molti dicono che è il minimo che un iracheno potesse fare a uno come Bush, il tiranno criminale che ha ucciso due milioni di persone in Iraq e in Afghanistan.
Infatti, Muntazer, sebbene sia stato punito severamente dalle autorità irachene per la “cattiva figura” che hanno fatto di fronte al mondo, è diventato un eroe per le tante e le troppe popolazioni affamate e martoriate dalle guerre.
Per lui, per difenderlo si sono offerti gratis più di 200 famosi avvocati e pure in Italia ha trovato subito “copioni”(un esponente del partito Italia dei valori, ha deposto un vecchio mocassino infiocchettato davanti a Palazzo Chigi: per le parole e non i fatti del governo Berlusconi).
Ma la cosa più simpatica e anche divertente che potrebbe diventare una regola nei prossimi anni , è lo “scambio” avvenuto tra i soldati americani e capi tribù musulmane di stanza in medio oriente: il Viagra in cambio di preziose informazioni per snidare i guerrafondai! Figuriamoci, con tutte le mogli che hanno, avranno toccato il cielo con un dito, altro che chiamare Allah o i fondamentalisti armati per soddisfarle! Così, semplicemente, possiamo dire che Il “dream team” di Obama, Le scarpe di Muntazer al-Zaidi, il Viagra dei soldati americani, non sono che piccolissimi segni di un’umanità che vuole, fortissimamente vuole un cambiamento nella modernità che ha sostituito delle costrizioni visibili, individuabili, con alienazioni astratte e coercizioni strutturali, pretendendo di rendere l’uomo meno dipendente, ma lo ha isolato, reso più vulnerabile, più estraneo che mai ai suoi simili.
Convinta delle virtù pacificatrici dell’uguaglianza e del commercio, ha gettato l’uomo in una corsa mimetica infinita.
Alle disuguaglianze legate alla nascita, ha rimpiazzato l’oligarchia del denaro.
Ha provocato la distruzione dell’ambiente, l’omogeneizzazione attraverso l’economia e la tecnoscienza, la folclorizzazione dei popoli, la generalizzazione della solitudine e dell’anonimato.
Nel mondo postmoderno, il cambiamento avviene per implosione.
La vita comincia a cambiare quando un sufficiente numero di cittadini si distoglie dal gioco istituzionale perché ritiene che la vera vita sia altrove.
Oggi non abbiamo bisogno di rivoluzionari – figure emblematiche della modernità – ma di “creativi intelligenti”.
Come, appunto, lo sono le persone che ho citato e che dimostrano, ancora una volta, che l’umanità vuole camminare verso un domani migliore per tutti.
«Ho l’impressione che la percentuale di credenti sia più alta nel Dipartimento di Matematica, al Politecnico di Torino, dove lavoro, che tra le persone che incontro camminando per la strada o viaggiando in treno.
Alcuni dei miei colleghi non solo sono credenti ma fanno parte di movimenti, come ad esempio quello dei Focolari.
Però credo che non sia questione di percentuali da calcolare.
C’è una differenza più profonda, che salta all’occhio.
Tra i miei colleghi di università, credenti o no, incontro persone disposte a parlare, e anche a discutere, di fede.
Invece per la strada o in treno, se nella conversazione accenno a un argomento di fede, vengo guardato come un fenomeno da baraccone, con stupore più che con indifferenza.
E, se apro un giornale o una rivista, specie nelle pagine di scienza, genetica o medicina, come credente mi sento circondato da ostilità e rancore», riferisce il professor Giovanni Pistone, ordinario di Probabilità al Politecnico di Torino, membro della Chiesa Valdese.

Il razzismo

Il razzismo si è insinuato a tutti i livelli della vita sociale, negli atteggiamenti individuali e collettivi, macchiando la storia dell’umanità con l’infamia del razzismo di sfruttamento (apartheid, sfruttamento dei neri negli USA) e del razzismo di sterminio (olocausto e Germania Nazista).
Il razzismo ha continuato la sua triste marcia sino ai giorni nostri.
Ora in Italia all’antica diffidenza tra settentrionali e meridionali è stata sostituita dall’aversione verso gli immigrati.
Cresce sempre più il rifiuto nei riguardi dei diversi, il problema della xenofobia, che compromette la tendenza biologica, storica e morale dell’umanità verso l’integrazione universale.
Dalla vastissima filmografia che affronta il tema del razzismo, segnaliamo tre titoli: Concorrenza sleale, 2001, regia di Ettore Scola. Roma, 1938: Umberto  e Leone sono due commercianti di stoffa che lavorano sulla stessa via.
Il primo, cattolico prepara abiti su misura, mentre il secondo, ebreo, vende capi confezionati.
Il film narra le vicende di questi due uomini e delle loro famiglie attraverso le difficoltà del periodo storico, dalla promulgazioni delle leggi razziali per la conservazione della razza alla privazione delle libertà fondamentali ai cittadini ebrei.
In my country, 2004, regia di John Boorman. Il giornalista americano Langston Whitfield viene mandato in Sud Africa per eseguire un reportage sulla Commissione per la Verità e la Riconciliazione, istituita dopo l’abolizione dell’apartheid. Qui incontra la poetessa afrikaans Anna Malan , che seguendo questi processi è colpita dalle macabre torture e sevizie a cui erano sottoposti i discriminati.
I due personaggi vengono così in contatto ed indagano loro stessi sulle atrocità commesse.
La generazione rubata, 2002, regia di Philip Noyce. Il film narra la drammatica vicenda di tre bambine.
Strappate alle rispettive mamme per ordine di un provvedimento governativo, teso alla “rieducazione” degli aborigeni australiani, le ragazzine decidono di tornare a casa.
Per giorni e intere notti camminano per piu’ di 1500 chilometri, sfuggendo alla polizia, e raggiungono infine il loro paese.
Segnaliamo inoltre dei testi: L’amico ritrovato, di Fred Uhlman, Feltrinelli.
L’amicizia tra due ragazzi bruscamente interrota dall’avvento del Nazismo.
Età di Ferro, di J.M.
Coetzee, Einaudi.
Gli ultimi mesi di vista di Elizabeth Curren, insegnante di lettere classiche ormai in pensione e malata di cancro.
L’incontro con Vercueil, il misterioso barbone che l’accompagna sino all’ultimo istante, e sullo sfondo la rivolta delle Township sudafricane.
Il corpo di Mrs Curren, divorato dal male, diviene metafora del Sudafrica lacerato dal razzismo.
Da madre a madre, di Sindiwe Magona, edizioni Gorée.
Una ragazza bianca viene uccisa nella Township e la madre dell’assassino scrive alla madre della vittima e tenta, parlando del suo dolore, di ottenere la comprensione per suo figlio dal racconto sia della vita di questi che della propria in un mondo condizionato dall’apartheid.
Home, di Larissa Behrendt, Baldini e Castoldi.  Candice, la protagonista, è la pronipote di Garibooli, una bimba portata via con la forza dal campo di eualayai.
A distanza di settant’anni, ritorna con il padre Bob nei luoghi dove venne rapita la nonna.
Insieme ai ricordi che affiorano e attraverso i luoghi e i volti, si ricompone la vita di Garibooli, ribattezzata Elisabeth.
Violenze, diritti violati, ferite non rimarginabili.
per ulteriori approfondimenti, confronta Bibiani Cocchi, Per il mondo che vogliamo, percorsi per l’IRC, SEI 2007.
Nel 1876 lo Stato italiano accettava la teoria dell’esistenza di almeno due razze in Italia: la razza eurasiatica (padana e ariana) e quella euroafricana (centro-meridionale e negroide).
Alfredo Niceforo, presidente della Società Italiana di Antropologia e Criminologia, scriveva: La razza maledetta, che popola tutta la Sardegna, la Sicilia e il mezzogiono d’Italia dovrebbe essere trattata ugualmente col ferro e col fuoco-dannata alla morte come le razze inferiori dell’Africa e dell’Australia.
L’europa conosce il periodo di razzismo più vergognoso durante il periodo Nazista.
Di seguito riportiamo alcuni articoli delle leggi razziali naziste (leggi di Norimberga, emanate il 14 Novembre 1935), che in particolare definiscono lo status di cittadino ebraico e lo escludono da qualunque diritto politico e civile.
Articolo IV 1.
Un ebreo non può essere cittadino del Reich.
Egli non può esercitare il diritto di voto e non può ricoprire cariche pubbliche.
Articolo V 1.
Si considera ebreo chiunque discenda da almeno tre nonni di razza ebrea.
2.
Si considera ebreo anche chi discende da due nonni interamente ebrei, qualora: a) sia membro della comunità ebraica al momento dell’entrata in vigore della presente legge o vi aderisca successivamente.
b) contragga matrimonio con persona ebrea al momento dell’emanazione della presente legge o successivamente, c) nasca dal matrimonio con persona ebrea, considerata tale ai sensi di quanto stabilito al Paragrafo 1, che sia stato contratto dopo l’entrata in vigore della Legge per la promozione e conservazione del sangue tedesco del 15 Settembre 1935.
d) sia il frutto di una relazione extra-coniugale con una persona ebrea, considerata tale ai sensi di quanto stabilito nel Paragrafo 1 e nasca dopo il 31 luglio 1936.
Il regime Fascista in Italia promulgò le leggi razziali, che sostanzialmente ricalcavano quelle tedesche.
proponiamo alcuni articoli del Manifesto della razza, redatto da dieci scienziati italiani, accademici di varie università, e pubblicato il 14 Luglio 1938, in cui si affermava la “purezza” della razza italiana e la necessità di individuare e poi successivamente isolare gli elementi estranei ad essa:  IV La popolazione dell’Italia attuale è nella maggioranza di origine ariana e la sua civiltà ariana.
Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane.
L’origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell’Europa.
V È una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici.
Dopo l’invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione.
Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l’Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: i quarantaquattro milioni d’Italiani di oggi rimontano quindi nella assoluta maggioranza a famiglie che abitano l’Italia da almeno un millennio.
VI Esiste ormai una pura “razza italiana”.
Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico-linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l’Italia.
Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.
VII È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti.
Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo.
Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza.
La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose.
La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo ariano-nordico.
Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa.
Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra-europee, questo vuol dire elevare l’italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.
VIII È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d’Europa (Occidentali) da una parte gli Orientali e gli Africani dall’altra.
Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l’origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili.
IX Gli ebrei non appartengono alla razza italiana.
Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto.
Anche l’occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all’infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia.
Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani.
X I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo.
L’unione è ammissibile solo nell’ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri.
Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall’incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani.
In sudafrica vigeva sino a pochissimo tempo fa (le prime elezioni democratiche nel paese si sono tenute nel 1994) il regime dell’apartheid (dall’inglese apart “separato” e l’olandese heit “condizione”), un complesso di leggi che discrimanva la maggioranza nera della popolazione.
Tra i decreti emanati vi erano: la proibizione dei matrimoni interrazziali; la legge secondo la quale avere rapporti sessuali con una persona di razza diversa diventava un reato penalmente perseguibile; la legge che imponeva ai cittadini di registrarsi come bianchi, neri; la legge che proibiva alle persone di diverse razze di entrare in alcune aree urbane; la legge che proibiva a persone di colore diverso di utilizzare le stesse strutture pubbliche (fontane, sale d’attesa, marciapiedi etc.); la legge che prevedeva una serie di provvedimenti tutti tesi a rendere più difficile per i neri l’accesso all’istruzione; la legge che sanciva la discriminazione razziale in ambito lavorativo; la legge che istituiva i bantustan, una sorta di “riserve” per la popolazione nera, nominalmente indipendenti ma in realtà sottoposti al controllo del governo sudafricano; la legge che privava della cittadinanza sudafricana e dei diritti a essa connessi gli abitanti dei bantustan.
Nel 1956 la politica di apartheid fu estesa a tutti i cittadini di colore compresi gli asiatici.
Negli anni ’60 3,5 milioni di neri, chiamati Bantù, furono sfrattati con la forza dalle loro case e reinsediati nelle “homeland del sud”.
I neri furono privati di ogni diritto politico e civile.
Potevano frequentare solo l’istituzione di scuole agricole e commerciali speciali.
I negozi dovevano servire tutti i clienti bianchi prima dei neri.
Dovevano avere speciali passaporti interni per muoversi nelle zone bianche, pena l’arresto o peggio.
In Australia, sino agli anni ’70 del Novecento, gli aborigeni non godevano dello stauts di cittadini australiani.
Considerati dei selvaggi, vennero rinchiusi in apposite riserve.
Dal 1860 sino al 1967, i bambini frutto di unioni miste (tra madre aborigena e padre bianco, per lo più si trattava di stupri), venivano tolti alle madri e “avviati alla civilizzazione”: affidati a famiglie adottive o allevati in orfanotrofio.
Ancora oggi i cosiddetti bambini della “generazione rubata”, ormai adulti, non sanno chi siano i loro veri genitori e le speranze di scoprirlo sono scarsissime, data la totale assenza di documenti.
Solo negli anni ’90 fu avviata la prima inchiesta commissionata dal governo.
In un rapporto di 600 pagine basato su lunghi colloqui con le famiglie e le vittime della separazione, enti governativi, chiese e altri gruppi, l’inchiesta descrisse la pratica come «genocidio» e «crimine contro l’umanità» collegandola direttamente alla disintegrazione delle famiglie, all’abuso di alcol e droghe, alla violenza e l’angoscia che affliggono ancora oggi le comunità aborigene.
Oltre 500 persone raccontarono di essere state separate dai genitori, metà delle quali quando avevano fra uno e cinque anni.
Uno su sei ha riferito di aver subito percosse e punizioni eccessive, uno su cinque abusi sessuali in istituti o da parte delle famiglie adottive.
I documenti ufficiali dell’epoca citati nel rapporto offrono numerosi esempi dell’evidente razzismo delle intenzioni delle autorità.
«Alla fine del 19° secolo – scrive il rapporto – si ritenne che benchè la popolazione indigena purosangue fosse in declino, quella di discendenza mista fosse in aumento.
Il fatto che avessero sangue europeo significava che per loro vi era posto nella società bianca, sia pure uno molto umile».
Il termine razzismo indica la teoria che afferma la superiorità biologica di una razza e si traduce in atteggiamenti di intolleranza (minacce, discriminazione,violenza e perfino assassinio) rivolti a gruppi di persone a causa della loro eazza, del colore della loro pelle o della loro origni etnica.
Può manifestarsi contro qualsiasi razza, colore della pelle o origine etnica.
Storicamente il razzismo è un fenomeno relativamente recente, che si è sviluppato a partire dalla seconda metà dell’Ottocento.
Durante l’epoca coloniale, gli stati europei si trovarono a dover giustificare la conquista dei territori situati oltremare, ricchi di materie prime e manodopera, e a risolvere la divergenza tra i valori cristiani di uguaglianza e lo sfruttamento delle popolazioni indigene.
Le scoperte delle scienze naturali e sociali furono utilizzate per dare un fondamento scientifico alla teoria di dell’esistenza di una razza superiore.
Questa teoria faceva rifermento in modo assolutamente improprio alle teorie evoluzionistiche di Chrales Darwin.
Si affermava che gli esseri umani sono classificabili in razze diverse, con gradi diversi di di evoluzione le une rispetto alle altre, creando così una sorta distinzioni tra razze superiori ed inferiori.
La razza bianca era, secondo questa teoria, quella superiore a tutte le altre, avendo raggiunto il massimo grado di evoluzione.
1-Nel 1951 l’Unesco mise a punto una dichiarazione, frutto di una commissione di cinque genetisti e sei antropologi, che confutava ogni giustificazione scientifica del razzismo.
Nella dichiarazione si afferma che: gruppi nazionali, religiosi, geografici, linguistici e culturali non possono essere definiti razze, poichè le loro caratteristiche non possono essere trasmesse per via ereditaria; non vi è alcuna relazione tra l’apparteneza a una razza e lo sviluppo intellettuale e culturale: le differenze genetiche non hanno alcun peso nel determinare differenze sociali e culturali fra individui e gruppi.
non ci sono, e probabilmente non ci sono mai state razze “pure”, il che sancisce definitivamente il fatto che la cultura non ha una base biologica.
2- Dopo la fine dell’apartheid e dopo le prime libere elezioni, in Sudafrica venne istituita la Truth and Reconciliation Commission (La commissione per la verità e la riconciliazione), presieduta dall’arcivescovo Desmond Tutu, che si propose come strumento innovativo per guidare il paese nel difficile momento di transizione tra il segregazionismo dell’apartheid e la nuova democrazia.
La commissione organizzò una serie di processi pubblici (i trials), in cui ogni persona che sentiva di essere stata oggetto di violenza negli anni dell’apartheid aveva l’opportunità di essere ascoltata.
L’ elemento più importante della TRC risiede però nel trattamento dei responsabili della violenze: i rei confessi avevano la possibilità di ottenere l’amnistia, in linea con la posizione di Nelson Mandela, che sosteneva che il perdono dovesse essere la principale risposta dei neri a ciò che avevano subito durante l’apartheid.
La TRC aveva come scopo principale una ricostruzione quanto più accurata possibile dei fatti avvenuti, e non la punizione dei colpevoli.  Il tribunale, con la sua vasta eco mediatica, fu anche per molti afrikaner il momento in cui per la prima volta vennero a conoscenza degli abusi perpretrati negli anni passati dalla polizia e dalle forze dell’ordine sudafricane.
Questa fatto sancì la morte politica delle forze legate al National Party, che conobbero un crollo di consensi anche presso diversi ambienti della società dei sudafricani bianchi.
3-L’Australia chiede scusa agli aborigeni.
«Oggi onoriamo i popoli indigeni di questa terra, le più antiche culture ininterrotte nella storia umana.
Riflettiamo sui passati maltrattamenti.
Riflettiamo in particolare sui maltrattamenti di coloro che erano le generazioni rubate, questo capitolo vergognoso nella storia della nostra nazione.
È venuto il tempo che la nazione volti pagina nella storia d’Australia, correggendo i torti del passato e avanzando così con fiducia nel futuro.
Chiediamo scusa per le leggi e le politiche di successivi parlamenti e governi, che hanno inflitto profondo dolore, sofferenze e perdite a questi nostri fratelli australiani.
Chiediamo scusa in modo speciale per la sottrazione di bambini aborigeni e isolani dello stretto di Torres dalle loro famiglie, dalle loro comunità e le loro terre.
Per il dolore, le sofferenze e le ferite di queste generazioni rubate, per i loro discendenti e per le famiglie lasciate indietro, chiediamo scusa.
Alle madri e ai padri, fratelli e sorelle, per la distruzione di famiglie e di comunità chiediamo scusa.
E per le sofferenze e le umiliazioni così inflitte su un popolo orgoglioso e una cultura orgogliosa chiediamo scusa.
Noi parlamento d’Australia rispettosamente chiediamo che queste scuse siano ricevute nello spirito in cui sono offerte come contributo alla guarigione della nazione.
Per il futuro ci sentiamo incoraggiati nel decidere che ora può essere scritta questa nuova pagina nella storia del nostro grande continente.
Noi oggi compiamo il primo passo nel riconoscere il passato e nel rivendicare un futuro che abbracci tutti gli australiani.
Un futuro in cui questo parlamento decide che le ingiustizie del passato non debbano accadere mai, mai più.
Un futuro in cui si uniscano la determinazione di tutti gli australiani, indigeni e non indigeni, a chiudere il divario fra di noi in aspettativa di vita, educazione e opportunità economiche.
Un futuro in cui abbracciamo la possibilità di nuove soluzioni per problemi duraturi, dove i vecchi approcci hanno fallito.
Un futuro basato su mutuo rispetto, comune determinazione e responsabilità.
Un futuro in cui tutti gli australiani, di qualsiasi origine, siano partner veramente alla pari, con pari opportunità e con un pari ruolo nel dare forma al prossimo capitolo nella storia di questo grande paese, l’Australia».
Discorso del premier laburista Kevin Rudd.
 fonte www.lastampa.it ISLAM Il concetto di razza non ha senso perchè si tratta di una religione tradizionalmente universalistica.
EBRAISMO Non attribuisce alcun valore al concetto di razza.
La definizione di popolo eletto non è da ricondurre a nessuna etnia, dal momento che chiunque può convertirsi all’ebraismo.
CRISTIANESIMO San Paolo, nella prima lettera ai Corinti richiama all’unità delle nazioni, delle culture, delle razze e dei sessi: Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo spirito Cor,12,13.
 Papa Benedetto XVI ha sottolineato quanto sia importante «soprattutto nel nostro tempo, che ogni comunità cristiana approfondisca sempre più questa sua consapevolezza, al fine di aiutare anche la società civile a superare ogni possibile tentazione di razzismo, di intolleranza e di esclusione e ad organizzarsi con scelte rispettose della dignità di ogni essere.
Una delle grandi conquiste dell’umanità è infatti proprio il superamento del razzismo.
Purtroppo, però, di esso si registrano in diversi Paesi nuove manifestazioni preoccupanti, legate spesso a problemi sociali ed economici, che tuttavia mai possono giustificare il disprezzo e la discriminazione razziale.
Preghiamo perché dovunque cresca il rispetto per ogni persona, insieme alla responsabile consapevolezza che solo nella reciproca accoglienza di tutti è possibile costruire un mondo segnato da autentica giustizia e pace vera».