Il decreto conferma la cancellazione dei 42.102 posti previsti dal Piano programmatico, ripartiti in 31.485 unità in meno in organico di diritto, 5.616 posti in meno di seconda lingua comunitaria nella scuola secondaria di primo grado, e 5.001 posti in meno in sede di definizione degli organici di fatto.
Sul fronte delle istituzioni scolastiche, risultano 245 autonomie scolastiche soppresse.
La scuola dell’infanzia non subisce nessun ridimensionamento, vedendo integralmente confermati tanto gli organici, quanto i 610 posti relativi agli anticipi; l’organico della primaria diminuisce di 9.969 unità, ma trova la conferma dei 2.550 posti assegnati per effetto degli anticipi; la secondaria di primo grado subisce i tagli più cospicui, 15.542 posti in meno, derivanti dalla somma di 9.926 docenti in meno in organico, cui si aggiungono i già menzionati 5.616 posti di per la seconda lingua comunitaria; infine, sono 11.347 i posti in meno nella secondaria di secondo grado.
L’organico di sostegno viene confermato in 90.469 posti complessivi e si prevede che l’organico di diritto venga incrementato di nuovi 4.882 posti per l’anno scolastico 2009/2010 e di altri 4.885 nel 2010/2011.
Nel 2009/2010 le autonomie scolastiche saranno 245 in meno rispetto ad oggi.
75 istituzioni scolastiche saranno soppresse nella sola Calabria, 33 in Sardegna e 23 in Sicilia.
Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Marche e Puglia non registreranno invece nessun taglio di posti di dirigenti e di DSGA.
Questo un primo quadro di sintesi.
Tuttoscuola approfondirà in giornata i contenuti piuttosto complessi dei documenti fin da ora all’attenzione di tutti i lettori, e li riprenderà con commenti nelle tradizionali newsletter TuttoscuolaNEWS e TuttoscuolaFOCUS del fine settimana.
tuttoscuola.com I siti della Cisl Scuola e della Flc Cgil pubblicano da ieri sera i provvedimenti del Miur relativi alla determinazione della dotazione organica di diritto del personale docente.
Sono: 1) la Circolare n.
38 del 2 aprile 2009 relativa alla trasmissione dello schema di decreto interministeriale – organici per l’anno scolastico 2009/2010; 2) lo Schema di Decreto interministriale e tabelle allegate contenenti gli organici del personale docente per l’anno scolastico 2009/10; 3) il Decreto ministeriale n.
37 del 26 marzo 2009 relativo alle nuove classi di abilitazione e alla composizione delle cattedre della scuola secondaria di I grado.
L’ultima pagina delle tabelle dello schema di decreto riepiloga come si sia arrivati alle “riduzioni di posti da operare in organico di diritto e di fatto con interventi strutturali sulla formazione delle classi e sulle dotazioni organiche”.
Categoria: IRC
Adolescenza
1.
Studi sull’a.
Nell’ultimo sec.
l’a.
è stata studiata da diverse scienze; le scienze psicologiche (nell’ambito delle quali ci situiamo) hanno affrontato il tema da molti punti di vista.
Ci sembra che le varie prospettive possano essere organizzate intorno a tre gruppi di studi.
In un primo gruppo di lavori, che tiene presente una preoccupazione speculativa, è possibile scorgere un tentativo di far aderire la realtà alla teoria (e non viceversa); in altri termini, la preoccupazione è quella di applicare e «imporre» alla realtà adolescenziale le caratteristiche definite aprioristicamente.
La concezione psicoanalitica, che in questo gruppo si situa, offre un’ipotesi interpretativa secondo la quale il periodo di crisi e di grande disagio proprio dell’a.
va attribuito all’emergere degli istinti e delle forze pulsionali, che provoca uno squilibrio psichico che si manifesta con quei comportamenti disadattivi, a diversi livelli di «patologia», tipici degli adolescenti; si tratta, evidentemente, di una interpretazione di tipo biologico che presenta l’a.
come una realtà con caratteristiche legate e condizionate dalla fisiologia dei soggetti.
Un secondo gruppo di studi, con preoccupazione sociologica, prende in considerazione i dati reali che emergono da incontri psicologici di tipo clinico con soggetti «atipici» o «diversi» e da osservazioni di tipo sociologico su soggetti «emarginati» o «disadattati».
Si tratta di interpretazioni di tipo socio-culturale secondo le quali l’a.
sarebbe un «prodotto» della realtà sociale delle diverse strutture nazionali ed internazionali.
A questa prospettiva interpretativa si richiama la teoria sociologica secondo la quale le difficoltà adolescenziali, ed i relativi comportamenti disadattivi, sono frutto dell’influsso della società e sono correlati al processo di socializzazione ed alla diversità di ruoli attribuiti all’adolescente.
Interpretazioni sempre di tipo sociologico, ma più complete e meno rigide, propongono categorie che consentono una più ampia e realistica visione della condizione giovanile: «marginalità», «frammentarietà», «cambio culturale», «eccedenza delle opportunità» e «lotta per l’identità».
Queste due note ipotesi interpretative della psicologia dell’a., biologica e sociale, pongono l’accento solo su uno dei due fattori di sviluppo (endogeno ed esogeno) e non tengono presente, in modo adeguato, il contributo di ciascuno e la possibilità che entrambi hanno di integrarsi.
Inoltre, vogliamo evidenziare l’insufficienza di queste posizioni poiché non vi è alcuna corrispondenza tra le caratteristiche adolescenziali da esse indicate, i conseguenti tentativi interpretativi offerti, ed i numerosi dati empirici ormai acquisiti sugli adolescenti.
Diversamente, la preoccupazione empirica è ciò che caratterizza il terzo gruppo di studi.
La realtà adolescenziale, nell’orizzonte di una definita prospettiva teorica, viene avvicinata sperimentalmente.
In altre parole, alla luce di una teoria di riferimento, una ipotesi interpretativa viene confrontata con i dati ottenuti tramite ricerche condotte su adolescenti «normali».
Se queste tre categorie di studi prese isolatamente mostrano limiti e carenze, integrandosi possono diventare una chiave di lettura molto utile per approssimarsi nel modo più adeguato e completo alla ricca realtà adolescenziale.
2.
Pista di lettura dell’a.
Senza pretendere di essere completi e senza voler schematizzare la ricchezza della persona, proponiamo la nostra lettura della realtà adolescenziale.
Nella riflessione sull’adolescente, per avere una visione il più completa possibile, è necessario tener presente gli aspetti comportamentali, cognitivi e tendenziali della persona in sviluppo e avvicinarli alla luce di una pluralità di teorie psicologiche.
a) Capacità dell’adolescente.
L’adolescente è in grado di vedersi dall’esterno, di percepirsi oggettivamente, distaccandosi dalle prime impressioni soggettive; nello stesso tempo, si trova a dover fare i conti con l’ambiente sociale e con la sensibilità che ancora lo rende vulnerabile al giudizio altrui e che, spesso in misura notevole, condiziona e ridimensiona la sua oggettiva capacità di autorealizzazione.
Sempre in riferimento allo sviluppo cognitivo, una seconda osservazione vuole evidenziare tanto la capacità dell’adolescente di creare realtà ipotetiche e di immaginare, quanto le sue esigenze di giustizia, uguaglianza e amore universali, che appaiono come una ricerca del senso della vita, di rifiuto della realtà concreta e, alle volte, di sublimazione dei suoi desideri, pensieri e sentimenti.
La ricerca della trascendenza attraverso la modalità intellettuale è uno degli aspetti che più caratterizza l’adolescente (riconoscere questo bisogno profondo è un modo stupendo per avvicinarsi a lui).
L’adolescente ha difficoltà ad accettare i propri sentimenti; per convivere con tali sentimenti non integrati nella personalità, li «iperdifferenzia».
L’iperdifferenziazione dell’esperienza profonda lo rende «unico», lo caratterizza con una diversità tale da fargli pensare che la sua sia una realtà incomunicabile e che nessuno sia in grado di capirlo.
Il rapporto interpersonale diventa, quindi, difficile e, alle volte, impossibile; ma, poiché è doloroso vivere incompreso, può nascere in lui la ricerca di un essere così grande, così distante, e persino così diverso, da avere la capacità di capirlo e di comprenderlo.
Proprio perché emergente da questo bisogno, da questa ricerca di comprensione, definiamo il rapporto dell’adolescente con la realtà trascendente di falso ascetismo (in quanto derivante, appunto, dalla sublimazione di alcuni bisogni ai quali non si trova una risposta corrispondente).
L’adolescente si caratterizza anche per una grande apertura agli altri.
Il desiderio della socialità, generalmente, trova soddisfazione nell’incontro con il gruppo dei pari.
In esso, il giovane ha la possibilità di confrontarsi, di realizzare attività, progetti o, semplicemente, di «stare con» gli altri; inoltre, visto che il gruppo si propone come referente normativo e affettivo, progressivamente va ad affiancare e sostituire i ruoli parentali consentendo un distacco sempre maggiore dalla famiglia; infine, l’esperienza della relazione con i coetanei, costituisce un valido aiuto alla formazione del senso di identità, poiché permette all’adolescente di conoscersi e di stimarsi di più in quanto, nel gruppo, viene accettato per ciò che è e per ciò che realizza.
La capacità cognitiva di cui l’adolescente è dotato e l’importanza dell’ambiente sociale vengono ad interagire con il suo mondo profondo che comprende il passato (a volte pesante da sopportare), i sentimenti autentici, la difficoltà dell’integrazione armonica delle diverse componenti della personalità, le ambivalenze, i bisogni ed altro ancora.
In sintesi, possiamo dire che l’adolescente viene visto come una persona capace di mettersi in rapporto proattivo con il mondo circostante e di rispondere ai compiti di sviluppo che gli si presentano e che, progressivamente e armonicamente, lo portano verso la maturità.
b) Difficoltà dell’adolescente.
Anziché parlare di «problemi», parola che fa pensare a qualcosa da sopportare od a disturbi propri dell’età per cui non si può far altro che aspettare il superamento della fase, useremo le espressioni «aspetti problematici» e «punti focali» che, ci sembra, consentono di cogliere le peculiarità dell’a.
e i possibili conflitti intra ed interpersonali senza stigmatizzarli, ma leggendoli in termini processuali di impegno verso una maturità più grande.
Un primo, e generale, aspetto problematico consiste, allora, nella difficoltà che l’adolescente incontra nel compiere un’integrazione transazionale delle tre componenti (cognitiva, affettiva, relazionale) della sua personalità; soprattutto, l’adolescente trova difficoltà ad integrare l’aspetto cognitivo e quello tendenziale: malgrado abbia la capacità di auto-vedersi oggettivamente, non riesce a cogliere la positività delle sue esperienze e non riesce a dare una spiegazione soddisfacente delle proprie tendenze, dei sentimenti o di ciò che prova nelle diverse situazioni.
Un secondo, e più «banale», aspetto problematico è legato all’immagine corporea.
Non è facile per l’adolescente integrare i mutamenti corporei che, spesso, sfuggono al controllo razionale e che non sempre è possibile armonizzare in modo da sentirsi a proprio agio sia con se stessi che nel gruppo dei pari.
La conoscenza, l’accettazione e la rielaborazione dell’immagine corporea e la formazione di una adeguata identità psicosessuale, sono compiti molto impegnativi che richiedono la presenza e la mediazione di un educatore.
Un terzo punto focale è costituito dalla conquistata capacità di pensare in termini ipotetici, che porta l’adolescente a vivere in un mondo fantastico, nel quale è possibile costruire sia eventi che persone ideali.
Due conseguenze di questa conquista possono creare difficoltà all’adolescente.
In primo luogo, il cambio della relazione «reale-possibile», che conduce l’adolescente a relazionarsi con il «possibile» come se fosse «realtà», ostacola la capacità di ragionare e di comportarsi in base ai fatti concreti ed all’esperienza vissuta e riflessa.
D’altra parte, e arriviamo alla seconda conseguenza, la capacità di vedere come possibili tante risposte e tanti modi di combinare gli eventi e le risorse in suo possesso, porta l’adolescente all’incertezza, all’indecisione e, quindi, blocca la sua azione; non potendo accettare tale immobilità, nel suo disorientamento, chiede aiuto.
I problemi emergono allorché l’adolescente confronta la scelta che gli è stata consigliata, e che lui ha messo in pratica, con tutte le altre che la sua capacità di pensiero gli presenta (realizzabili o ipoteticamente possibili che siano) e constata che l’alternativa attuata è più povera di quelle che avrebbe potuto attuare.
Questa scoperta può portare l’adolescente ad un sentimento ambivalente: colpevolizza le persone da cui ha ricevuto l’orientamento (ribellione) e, successivamente, nel momento in cui riesce a vedere sia gli aspetti positivi del consiglio ricevuto sia l’interessamento delle persone adulte a cui si è rivolto in cerca di consiglio, si sente colpevole.
Un quarto aspetto problematico riguarda la vita relazionale dell’adolescente; la tendenza ad aprirsi agli altri può trasformarsi in tendenza all’isolamento per due ordini di difficoltà.
In primo luogo, la non accettazione del proprio mondo personale può portare l’adolescente a costruirsi delle «maschere sociali» che hanno lo scopo di difenderlo dai pregiudizi e dalle etichette sociali e, soprattutto, dal pericolo di venir scoperto negli aspetti negativi che crede di avere o negli aspetti che realmente ha e non gli piacciono.
In secondo luogo, la tendenza all’isolamento dell’adolescente è favorita dall’impossibilità di manifestare chiaramente e apertamente nel mondo sociale la sua ricchezza intrapsichica.
3.
Suggerimenti educativi.
Da un punto di vista educativo è necessario partire da una concezione dell’uomo che permetta di coglierne tutta la ricchezza e che, di conseguenza, offra una visione dell’adolescente come persona che realizza in modo proprio, non solo in funzione dell’adulto che diventerà o del fanciullo che non è più, il compito di essere uomo.
Da un punto di vista psicologico in generale e della psicologia dell’a.
in particolare, è bene tener presente che un processo educativo si realizza seguendo alcuni passi.
Per prima cosa, è necessario «stare con» il soggetto in modo da conoscere la sua struttura cognitiva, il suo modo di ragionare, le sue risorse.
L’adolescente si sviluppa continuamente; le sue risposte non sono mai definitive.
È necessario saper decodificare e proporre le risposte considerandole parte di un processo, di un dinamismo in continuo sviluppo e mai come entità chiuse e definite.
Indichiamo alcune mete che, se comunicate in modo chiaro, possono essere raggiunte favorendo così la crescita dell’adolescente: accettare le opinioni per il loro valore, differire la soddisfazione dei bisogni, operare un equilibrio tra dipendenza e indipendenza, richiedere secondo le esigenze e non solo secondo le apparenze.
L’educatore deve essere in grado di capire e di accettare le risposte e le sollecitazioni che gli vengono dal mondo adolescenziale in qualsiasi modo gli arrivino; nello stesso tempo, deve essere capace di dar ragione esplicita delle sue proposte in modo tale che l’adolescente le possa accettare per il loro valore intrinseco (senza dimenticare l’importanza che la persona dell’educatore ha per l’adolescente).
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Arto Classicamente, l’adolescenza è considerata come il periodo della vita situato tra 1’infanzia e l’età adulta.
In termini biologici, l’inizio viene segnalato dalla pubertà e la durata, in genere, viene attribuita ad un arco di tempo che va dai 12 ai 18 anni d’età (le differenze sessuali e delle condizioni ambientali, sociali e razziali fanno oscillare questi limiti temporali).
In base ad un criterio di tipo cognitivo-sociale, l’a.
va dal momento in cui il ragazzo comincia ad essere capace di utilizzare con una certa autonomia il pensiero logico, fino a quando giunge alla piena integrazione delle sue capacità logico-cognitive ed ha la possibilità di vivere una vita indipendente a livello affettivo, economico e relazionale.
Rappresentazione sociale dell’infanzia in TV
1.
Introduzione Il processo di tutela del minore include le conoscenze, le idee, le credenze socialmente condivise che concorrono alla costruzione di una realtà comune in un insieme sociale (Jodelet, 1992).
Le rappresentazioni sociali, con la duplice funzione di organizzare la percezione del mondo e di servire da codice condiviso per la comunicazione sociale, possono portare spesso alla creazione di un’immagine non reale, distorta, dell’infanzia, anche perché frutto di schemi culturalmente condivisi, lontani, il più delle volte dalla realtà.
La complessità della formazione delle credenze e la profondità delle ragioni sociali della loro organizzazione escludono che se ne possa attribuire l’origine a una sola causa (Chombart de Lauwe, 1989).
Le rappresentazioni sociali sono costruzioni mentali di cui ci serviamo per comprendere gli eventi del mondo: per «ordinare» le esperienze.
Nella nascita di una nuova rappresentazione sociale, di un nuovo oggetto condiviso tra gli attori sociali, quel che assume importanza è il successo cognitivo di un emergente modo di vedere la realtà.
Per misurare il successo cognitivo di una nuova rappresentazione, la modalità più semplice e immediata è la misura della sua diffusione nella collettività: si parla di opinioni quando le rappresentazioni non superano la dimensione della soggettività; di atteggiamenti quando le rappresentazioni vengono assunte come proprie da un gruppo sociale; di stereotipi quando esse giungono alla collettività (Moscovici, 2005).
C’è un equilibrio non definitivo tra stabilità, irrigidimento e cambiamento delle rappresentazioni.
La rappresentazione però è chiaramente visibile solo dall’esterno, in quanto i soggetti che la condividono agiscono all’interno di essa e ne sono «dominati».
Arruda (2003) sostiene che una rappresentazione sociale è costituita da ragione ed emozione; è un processo attraverso il quale si associa la memoria con l’aspirazione ed esprime sia la nostra curiosità che la nostra ambizione; qualcosa in divenire, che si basa sia sul bagaglio culturale, accumulato da chi la produce, che sulle influenze esterne.
Tutti i ricercatori che si sono occupati di questo argomento hanno messo in evidenza che la rappresentazione di qualcosa è anche la rappresentazione di chi le dà vita (Bijmolt, Claasen e Brus, 1998).
Da un punto di vista strettamente metodologico, questo significa che il «costruttore di rappresentazioni» basa la sua costruzione su tutta una serie di simbolismi ed esperienze di vita, che provvedono alla creazione della sua interpretazione del mondo (Brucks, Armstrong e Goldberg, 1988; Buijzen e Valkenburg, 2003).
La condivisione che alimenta la rappresentazione sociale è causa ed effetto sia della sua vitalità che del suo cambiamento.
Il passaggio del nuovo oggetto «rappresentato» attraverso i singoli soggetti è fonte infatti di trasformazioni che infinitamente piccole all’inizio del processo, cresceranno attraverso i molteplici legami sociali con esiti mano a mano di coesistenza di barriere e limitazioni che insieme vanno a costruire un nuovo equilibrio (Moscovici e Farr, 1984).
L’ipotesi che le rappresentazioni sociali siano presenti nei mezzi di comunicazione di massa è condivisa da molti studiosi.
Sembra che in televisione si proponga una sorta di simulazione delle interazioni socialmente fondate presenti nella vita quotidiana.
È come se si vivesse in un ambiente in cui i soggetti scelti (casalinghe, bambini ecc.), si facciano di volta in volta sostenitori di credenze al posto degli spettatori, facendosi portatori delle rappresentazioni sociali moderne (Buijzen e Valkenburg, 2000; D’Alessio e Laghi, 2006).
Lo sforzo dei media è quello di agire come se fosse possibile farsi capire da tutti allo stesso modo (D’Alessio, Laghi e Froio, 2007).
Di fatto quel che succede all’interno dei programmi televisivi, non è altro che il tentativo di alimentare un serbatoio di senso comune in cui si propongono di volta in volta modelli «giovanili», «familiari», «infantili», «femminili» e così via: rappresentazioni a loro volta condivise o meglio, condivisibili (Atoum e Al-Simadi, 2000).
Lo slittamento tra condiviso e condivisibile è lo spazio che, privo dell’esperienza personale, della luce dei valori sociali, realizza spesso il più famoso «salto nel buio».
Quei modelli si cristallizzano come null’altro che luoghi comuni, perché si trovano rappresentati in un contesto in cui sono privi di esperienza «reale» e sono presentati in un’esperienza «mediatica» che non è oggettiva, e, al contrario, produce un argomento di uso corrente e per questo, dozzinale.
I bambini, spesso considerati poco competenti, o addirittura «adultizzati», non vengono quasi mai considerati spettatori da tutelare, essendo inseriti nella categoria “pubblico” (D’Alessio, 1990; Miljeteig, 1994).
Le ricerche svolte (D’Alessio, 2003; D’Alessio, Baiocco e Laghi, 2007) mettono in evidenza, inoltre, due atteggiamenti fondamentali dei telespettatori: 1) insoddisfazione e scetticismo sulla qualità dei programmi televisivi; 2) incapacità a riconoscere gli atteggiamenti e i comportamenti a rischio per l’infanzia all’interno dei programmi.
Anche genitori consapevoli, iscritti ad associazioni di telespettatori, hanno difficoltà a riconoscere l’ammiccamento sessuale, la volgarità, la rozzezza, la manipolazione dell’infanzia.
Nessuna trasmissione, in particolare quelle che contengono bambini, annuncia un intento di manipolazione, disconferma, frustrazione e mancanza di rispetto (Buckingham, 1997).
Così il telespettatore non potendo tornare indietro, rivedere, confrontare ed esaminare va avanti con la visione ricevendo alla fine al massimo un sentimento di frustrazione e di disagio.
Questi sentimenti sono difficili da elaborare perché richiedono un costante distacco da quanto è trasmesso.
Il più delle volte il telespettatore è spinto dalle caratteristiche del mezzo a partecipare.
L’interazione di questi fattori può portare spesso, nello specifico, a una immagine del bambino determinata da stereotipi, credenze e opinioni anche fortemente in contrasto tra loro.
Può accadere che i bambini siano giudicati poco competenti (Qvortrup, 1990; Archard, 1993; D’Alessio, Laghi e Baiocco, 2007), piccoli e tuttavia messi in situazioni ambigue e difficili da interpretare e gestire.
Inoltre, tali convinzioni non sono costruite su base oggettiva, ma ideologica: la rappresentazione sociale dell’infanzia è in buona parte frutto di schemi culturalmente condivisi, spesso lontani dall’effettiva realtà, risultato di processi culturali, sociali e economici che hanno dato origine a modelli di allevamento del bambino che si sono alternati e sovrapposti nel corso della storia dell’umanità (Casas, 1997).
Tali schemi sono poco sensibili all’esperienza, ma spesso a essa precedenti (pregiudizi).
Anche la legge e i codici non aiutano il monitoraggio televisivo.
È vero che essi lo prevedono ma sulla base di segnalazioni: le autorità interpretano il loro ruolo come arbitri delle segnalazioni che il telespettatore dovrebbe far notare.
1.1.
Obiettivi della ricerca La ricerca ha l’obiettivo di esplorare le rappresentazioni sociali di avvocati, giudici, genitori, ecclesiastici e insegnanti in relazione alla tutela del minore rispetto alla programmazione televisiva e agli spot pubblicitari.
Sono state scelte categorie di soggetti in cui l’elaborazione della “norma” non è un caso, ma piuttosto l’obiettivo della professione: gli avvocati e i giudici, rappresentativi di come i soggetti si rapportano con la “norma giuridica”; gli ecclesiastici con la “norma ideologica” e i genitori e gli insegnanti con la “norma socio-educativa”.
L’obiettivo principale della presente ricerca è indagare le rappresentazioni sociali di categorie di soggetti che si trovano ad elaborare una linea di condotta che collega il modello ideale dell’ infanzia con i comportamenti e le esperienze quotidiane e verificare come essi risolvano il problema della norma e della rappresentazione individuale in termini di concordanza/discordanza tra norma reale e ideale.
Ci proponiamo, inoltre, di verificare se avvocati, giudici ed ecclesiastici con differenti anni di servizio e con un diverso livello di competenza riguardo al Codice di autoregolamentazione Tv e minori (2002) e alla recente Legge Gasparri (2004) abbiano una rappresentazione condivisa della televisione e dei modelli cognitivi e affettivi proposti.
2.
Metodo e tecniche 2.1.
Soggetti e procedura La ricerca è stata condotta su un campione totale di 614 soggetti: 214 avvocati (M=124 e F=90), 100 giudici (M=70 e F=30), 100 ecclesiastici (M=60 e F=40) impegnati in attività di catechesi per bambini, 100 genitori (M=45 e F=55) con figli di età compresa tra gli otto e i dieci anni e 100 insegnanti di scuola elementare (M=25 e F=75), con un’età media di 35,6 (ds=0.84).
A tutti i soggetti è stata somministrato il questionario La TV e l’infanzia; la durata media di ogni somministrazione è stata di 35 minuti.
2.2.
Descrizione dello strumento Lo strumento di indagine, La TV e l’infanzia (D’Alessio e Laghi, 2006), è un questionario costituito da: A.
21 item con scala Likert a 5 passi (da1= Per nulla a 5= Moltissimo) che misurano: a) la valutazione dell’utilità o del danno per i bambini che partecipano alle trasmissioni e per quelli che guardano la TV a casa; b) la rappresentazione sociale del bambino protagonista o destinatario delle trasmissioni; c) la presenza di contenuti espliciti (sesso, violenza, volgarità) nella fascia oraria protetta di programmazione televisiva; d) la rappresentazione e la complessità dei sentimenti infantili e delle competenze cognitive infantili in relazione agli spot pubblicitari; B.
due stralci in versione cartacea di programmi televisivi per bambini: “Genius”, condotto da Mike Buongiorno, e “Chi ha incastrato Peter Pan” condotto da Paolo Bonolis; C.
8 domande aperte che consentono di valutare: a) la capacità del soggetto di riconoscere le dimensioni stereotipiche all’interno dei programmi presentati; b) la capacità di individuare la presenza di contenuti televisivi nocivi per i bambini; c) la consapevolezza e il grado di conoscenza del Codice di autoregolamentazione in materia di tutela del minore e della sua immagine.
2.3.
Metodologia statistica utilizzata Le elaborazioni statistiche effettuate sono state eseguite con il pacchetto statistico SPSS 11.0 per Windows, calcolando i parametri di statistica descrittiva Curtosi e Asimmetria e il Coefficiente di Variazione per verificare il carattere gaussiano della distribuzione dei dati.
La struttura fattoriale della prima sezione del questionario (item 1-21) è stata indagata mediante l’Analisi delle Componenti Principali (ACP) e la rotazione Oblimin degli assi fattoriali.
L’attendibilità delle dimensioni emerse dall’ACP è stata verificata mediante il coefficiente Alfa di Cronbach.
Per verificare la presenza di differenze statisticamente significative ai punteggi medi delle diverse dimensioni della scala, è stata condotta un’Analisi della Varianza Multivariata (con metodo Wilks di Lambda) considerando come variabile indipendente il gruppo (avvocati, giudici, ecclesiastici, insegnanti e genitori) e come variabili dipendenti i punteggi alle singole sottodimensioni della scala.
Per verificare la presenza di differenze statisticamente significative tra i giudici e avvocati con diversa anzianità di servizio e livello di competenza ai punteggi medi delle diverse dimensioni della scala, è stato computato un disegno di analisi della varianza fattoriale 2x3x2.
Le risposte alle domande aperte sono state indagate mediante il programma NUDIST VIVO; sono state individuate in ogni singolo item delle unità di analisi definibili come simboli-chiave caratterizzati da pregnanza semantica e in seguito sono state calcolate le frequenze differenziate per categoria (avvocati, giudici, genitori e insegnanti).
Dopo aver individuato le categorie è stata verificata la concordanza tra giudici con la statistica Kappa, utilizzata per valutare l’accordo tra siglatori con variabili categoriali.
Tale statistica è stata applicata alle assegnazioni fatte da tre valutatori al fine di individuare l’eventuale accordo o disaccordo nell’attribuire ogni aspetto caratteristico a una determinata categoria oppure no.
Per verificare le differenze tra i gruppi rispetto alle variabili categoriali emerse dall’analisi del contenuto sono state computate analisi del Chi2.
3.
Risultati 3.1.
Analisi delle Componenti Principali La matrice di correlazione relativa ai primi 21 quesiti del questionario è stata sottoposta ad analisi fattoriale mediante l’Analisi delle Componenti Principali (ACP) al fine di individuare eventuali dimensioni latenti.
La misura dell’adeguatezza (indice di Kaiser) della matrice di correlazione è .86; la matrice può quindi ritenersi appropriata per l’analisi fattoriale.
Successivamente all’analisi dello scree test e a considerazioni di natura teorica, è stato deciso di estrarre cinque fattori che spiegano il 59,44 % della varianza totale.
Numerose prove con diversi algoritmi di estrazione e rotazione, hanno evidenziato una struttura fattoriale stabile; poiché alcuni fattori estratti mostrano tra loro una correlazione si è deciso di applicare la rotazione obliqua Oblimin.
La struttura fattoriale evidenziata coincide con la definizione operativa che si è fornita per le dimensioni indagate: gli item afferenti a ognuna delle cinque dimensioni hanno infatti (nella maggioranza dei casi) una saturazione elevata su un unico fattore e saturazioni vicino allo zero sugli altri fattori (Tab.
1).
per la consultazione dei dati vedi allegato La rappresentazione sociale dell’infanzia in TVi risultati della ricerca Lo studio indaga le rappresentazioni sociali dell’infanzia in TV.
La ricerca si è svolta su un campione di 614 soggetti (214 avvocati, 100 giudici, 100 ecclesiastici, 100 insegnanti e 100 genitori).
Metodo: lo strumento utilizzato indaga la rappresentazione sociale del bambino protagonista o destinatario delle trasmissioni e degli spot pubblicitari.
Risultati: sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra i gruppi ai punteggi medi delle dimensioni Carattere educativo dei programmi, Contenuto degli spot inadatti ai bambini, Accordo sulla presenza dei bambini negli spot.
Sono emerse differenze anche tra avvocati e giudici differenziati in base al livello di competenza e all’anzianità di servizio.
Conclusioni: i risultati emersi suggeriscono la necessità di approfondire la relazione tra le diverse variabili implicate nella rappresentazione sociale dell’infanzia nei programmi televisivi e negli spot pubblicitari.
Narrare la fede… coi gialli /1
Stravaganti, irriverenti, sarcastici, con la battuta sempre pronta, occhi a palla e pelle gialla: sono i Simpson! Diciamo la verità: alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di Homer, Marge, Bart, Lisa e della piccola Maggie (se qualcuno alza la mano, ecco pronto un bel “d’oh!” da parte dell’autore).
“I Simpson” è la serie animata televisiva più famosa e seguita da quindici anni ad oggi: incollano davanti allo schermo un pubblico abbastanza eterogeneo, che va dagli adolescenti sino agli adulti.
Cosa c’è di tanto ammaliante in questa famiglia di esseri gialli da riuscire a catturare l’attenzione di giovani e non? Ma soprattutto: che c’azzecca questa tipica famiglia della classe media americana e le sue sgangherate avventure con il percorso sulla narrazione della fede di quest’anno? Forse che un cartone animato possa esserci d’aiuto per affrontare qualche riflessione in parrocchia? Breve identikit di una famiglia-tipo all’occidentale Non è escluso che chi ora sta leggendo sappia poco o nulla della sitcom animata in questione…
Ecco quindi una breve descrizione della storia e dei personaggi.
I Simpson vivono nella città di Springfield, negli Stati Uniti: assieme alla loro eterogenea comunità, questa famiglia rappresenta in maniera umoristica e per lo più sarcastica uno spaccato della società e dello stile di vita statunitense (ma, data la sempre più diffusa “americanizzazione” che anche il nostro tessuto sociale sta conoscendo, possiamo dire che molto spesso ritrae vizi e virtù non solo degli States, ma del mondo occidentale in generis).
I personaggi Narrare la fede…
coi giallii Simpson Come ogni serial, anche questo comincia con la sigla che, nei modi più bizzarri e rocamboleschi, rappresenta la frenetica corsa dei componenti della famiglia per prender posto sul divano di casa e accendere la tv che trasmette proprio…
i Simpson! L’irruenza del tubo catodico nella vita moderna è la deduzione forse più banale cui si può giungere guardando la sigla in questione, ma a questa riflessione si può aggiungere una altrettanto semplice ed onesta intuizione: tutti i ragazzi hanno familiarità con i linguaggi della tv e, considerazione ancor più importante, molti di loro conoscono e seguono i Simpson.
Certo, non è questo il motivo principale per cui si è scelta la strada di tentare un approccio alla discussione sulla fede mediante questo cartone animato, ma è bene tenerlo presente, specie se ad un primo impatto questo vivace quintetto ci trasmette sensazioni contrastanti, capaci di mettere in subbuglio la nostra coscienza circa l’opportunità o meno di proporre qualche spezzone di questo serial in parrocchia.
I giovani vedono i Simpson e ridono alle loro provocatorie battute: che tutto questo possa rivelarsi utile per parlare di fede nei nostri oratori? Consapevoli del fatto che i “Simpson” sono una serie televisiva nel complesso discutibile e non adatta ai più piccoli, ma anche molto famosa e largamente seguita dai giovani, proponiamo una selezione di puntate (con relativa guida) per tentare un nuovo approccio al dialogo sulla fede nei gruppi parrocchiali.
Un altro aspetto importante di questa sitcom è che nelle svariate sfumature dei personaggi, nei loro comportamenti e caratteri non è poi così difficile intravedere delle somiglianze con i modi di pensare e di agire nostri o di persone a noi vicine.
I Simpson dunque siamo noi (anche se preferiremmo non esserlo)? In un certo modo è così.
Chiaramente non all’estremo: lungi Homer Simpson dall’essere il padre medio italiano (per fortuna non siamo ancora arrivati a questo punto!), però a ben vedere in questo cartone animato ci sono numerosi richiami ai luoghi comuni (il politico corrotto, l’imprenditore tirchio e senza scrupoli, la madre che farebbe qualunque cosa per i figli, il sacerdote dalla predica lunga e noiosa,…) e alle dinamiche classiche della nostra società (a scuola: i bulli e i secchioni, gli scontri di personalità tra l’alunno ed il professore…
e tra professore e bidello…).
Sotto questo aspetto i Simpson pongono il riflettore su diversi contesti del nostro vivere quotidiano, con il rispettivo mix di stati d’animo e con quella punta di ironia e sarcasmo che ci permette di ridere anche sui nostri difetti.
Numeri e fede/8: Senza assoluto la scienza dove va?
Esordiamo con la domanda di rito: ma è proprio vero che solo un ateo può divenire un buon matematico? Nel corso dell’inchiesta sulla compatibilità tra scienza e fede, Avvenire intervista il professor Alberto Strumia, ordinario di Fisica matematica all’Università di Bari e docente incaricato di Teologia fondamentale alla Facoltà teologica dell’Emilia Romagna.
«Non sono io ma la storia a rispondere di no.
L’elenco dei grandi matematici credenti (e in particolare cattolici) è ben più lungo di quello dei matematici dichiaratamente avversi alla fede.
Ma non mi sembra questo il punto decisivo.
Vorrei quasi capovolgere la domanda, spingendola più avanti.
È possibile alla matematica, e in generale alla scienza, proseguire oggi il proprio cammino senza un “fondamento” assoluto, comunque lo si voglia chiamare? Ai tempi di san Tommaso d’Aquino (XIII secolo) non si aveva timore di chiamare il fondamento ultimo con il suo nome universale che è “Dio”.
Oggi si è molto più condizionati ideologicamente e non si usa volentieri questo nome, ma il problema dei ‘ fondamenti’ della matematica, e più in generale della scienza, rimane la grande questione».
L’intervista al professor Alberto Strumia, Non è una questione filosofica più che scientifica? «Sì e no.
No, perché, si tratta di un problema “interno” alla scienza e non di una sorta di aggiunta che i filosofi, o i teologi, vogliono imporle dall’esterno.
Può la matematica e tutta la scienza, decidere da sola se è nella verità, essere “completa” ( il problema del matematico David Hilbert) oppure ha bisogno di un fondamento assoluto? E di questo fondamento si può sapere qualcosa, e come? Senza un fondamento assoluto – non arbitrario – anche la matematica e la scienza finiscono per cadere nel relativismo della cultura di oggi ( additato da Benedetto XVI come il grande problema del mondo contemporaneo) in cui tutto è opinione e niente è verità sicura, neppure il classico 2+ 2 fa 4.
Kurt Gödel, uno dei più grandi logici matematici del XX secolo – proprio lui che aveva dimostrato nel 1931, con il suo teorema più famoso, che la matematica non è “completa” come invece sperava Hilbert – sosteneva che devono esserci addirittura delle proposizioni matematiche che sono valide in senso assoluto, senza alcuna ipotesi ulteriore.
Proposizioni cosiffatte devono esistere, perché altrimenti non esisterebbero neppure i teoremi ipotetici’.
Questa è la sfida di oggi: la questione dei fondamenti.
Perché evitarla e procedere come se non ci fosse il problema, lasciando che la “macchina scientifica” vada avanti con la ‘ benzina’ che ha ancora nel serbatoio, ma che prima o poi finirà? O, peggio ancora, consegnando la scienza alla strumentalizzazione da parte dei grandi poteri e dell’ideologia, che impongono un’etica sempre meno umana?» E invece in che senso si tratta di una questione anche filosofica? «È anche una questione filosofica nel senso che ormai la matematica non è più solo una teoria dei numeri come un tempo, ma ad esempio con la teoria degli insiemi è diventata una teoria che si occupa di ‘ oggetti’ qualunque ( quelli che i filosofi chiamano ‘ enti’) che non sono per forza solo i numeri.
Certo il passaggio dagli “insiemi” agli “enti” nel senso pieno del termine richiede un lavoro ulteriore, ma è sempre più vicino e indispensabile.
Oggi sono gli ingegneri che lavorano con i computer a parlare di “ontologia formale”! Si cerca di mettere a punto una “teoria degli enti”, quella che i filosofi chiamano una metafisica, elaborata con gli strumenti della logica matematica odierna.
E questo per far funzionare il computer e non per fare teologia! Ma forse un giorno questo lavoro darà frutti utili anche ai teologi… Però gli studi teologici dovranno recuperare un po’ più di teologia sistematica e non limitarsi alle opinioni degli autori contemporanei».
La questione è essenziale per tutti, oltre che per gli specialisti? «Forse fino a una quindicina di anni fa si poteva anche pensare che la questione dei fondamenti non avesse a che fare con la vita di tutti i giorni e dei non specialisti.
Oggi le cose cominciano a mostrare proprio il contrario.
Pensiamo, ad esempio, alla difficoltà di stabilire che cosa sono i diritti della persona umana.
Senza la base di una “metafisica” che abbia rigore scientifico, cioè sia riconoscibile da tutti come valida, che fondi quella che un tempo era chiamata la “legge morale naturale”, non c’è speranza di mettersi d’accordo per varare una normativa che non sia frutto di un’operazione di potere di una parte dominante su un’altra, o almeno di un condizionamento culturale e ideologico.
E questo vale su scala locale, nazionale e internazionale.
La stessa democrazia, oggi, fatica a darsi delle regole condivise e non basta fare un referendum per stabilire se una norma è per l’uomo o è contro l’uomo.
Ormai si vede bene che i vecchi meccanismi cominciano a incepparsi e la vita diventa sempre meno vivibile per i singoli e per la società civile.
Perfino la finanza e l’economia di mercato, che sembravano inattaccabili, entrano in crisi».
Ma come si fa ad orientarsi in una questione così difficile come quella dei fondamenti? «C’è molto da imparare, oltre che dai geni più vicini a noi, anche dai grandi geni del passato.
Tra gli antichi Aristotele e Tommaso d’Aquino, e i moderni Cantor e Gödel ci sono molti più punti d’incontro di quanto si possa immaginare» .
Accompagnamento
1.
Il concetto esprime la natura relazionale dell’essere umano, e più in particolare la qualità del vincolo che lega tra loro le persone, l’una responsabile e capace di prendersi cura dell’altra, ma pure bisognosa del suo aiuto e della sua presenza.
Al tempo stesso questo concetto rimanda all’idea classica della vita come viaggio e della relazione umana come com-pagnia tra pellegrini che condividono tra loro le fatiche e il «pane del viaggio».
Infine, la prassi dell’a.
ritrova i suoi parametri interpretativi nelle teorie psicopedagogiche che privilegiano l’approccio non direttivo nella relazione di aiuto.
2.
Il termine è usato nella pedagogia moderna per sottolineare esigenze e caratteristiche della relazione educativa, oltre quanto una tradizione antica (la pedagogia cristiana) e una più recente (la moderna scienza psicologica) già hanno detto sull’argomento.
La teoria dell’a., inoltre, amplia e specifica il senso sia della direzione spirituale che della terapia psicologica: a) da un lato l’a.
indica le varie forme di aiuto attraverso le quali la persona è aiutata a crescere non solo sul piano spirituale o clinico-mentale, ma anche su quello più globalmente e integralmente umano; con un intervento non esclusivamente sul singolo, ma anche sul gruppo e attraverso il gruppo; non legato a un’unica modalità operativa, ma a diverse possibilità di cammini di crescita; rivolti a qualsiasi persona, non solo a chi si trova in una particolare situazione di necessità spirituale o di disordine di personalità; b) d’altro lato elemento centrale-peculiare dell’a.
non è tanto la «direzione» da imprimere alla vita dell’altro, o l’«analisi» del suo inconscio, quanto la «compagnia», o quella vicinanza intelligente e significativa che porta a un certo coinvolgimento da parte della guida, alla condivisione di ciò che è vitale ed essenziale («il pane del cammino»), alla confessione della fede e della propria esperienza di Dio, nel caso del credente.
3.
Si tratta allora d’accompagnare l’altro verso un duplice obiettivo: verso la conoscenza dell’io, anzitutto, della sua realtà interiore, passata e presente, attuale e ideale, positiva e negativa, conscia e inconscia, verso la radice di desideri e motivazioni.
Ma è necessario pure accompagnarlo verso la realizzazione dell’io, in un processo d’apertura nei confronti dell’altro e dell’Altro, del presente e del futuro, nella tensione salutare verso il massimo delle proprie potenzialità e nell’assunzione piena della propria libertà e responsabilità.
L’a.
è dunque un aiuto necessario per la crescita e la maturazione di chiunque; ma vi sono particolari momenti della vita in cui tale servizio è indispensabile: nel periodo dell’adolescenza e della giovinezza e in genere nella formazione iniziale, prima di discernimenti importanti, in situazioni specifiche della vita (momenti di crisi, di sofferenza, di cambiamenti imprevisti, di richieste nuove…), e come strumento di formazione permanente.
Particolarmente importante è stato da sempre considerato l’a.
nella pastorale giovanile e vocazionale, oltreché nella formazione iniziale e permanente delle vocazioni di speciale consacrazione.
A.
Cencini L’accompagnamento (dal lat.
medievale, ove com-panio è «colui che ha il pane in comune» [Devoto-Oli, 1988, 679]), in generale, è un aiuto temporaneo e sistematico che un adulto nell’esperienza e maturità dell’esistenza dà a un minore, condividendo con lui un tratto di strada e di vita perché questi possa meglio conoscersi e decidere di sé e del suo futuro in libertà e responsabilità.
Bibliografia Cencini A., Direzione spirituale e accompagnamento vocazionale, Milano, Ancora, 1996; Baldissera D.
P., Acompanhamento personalizado.
Guia para formadores, S.
Paulo, Paulinas, 2002; Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna, A.
spirituale, affettività e sessualità, Bologna, EDB, 2004; Meloni E., Accompagnare la formazione.
Il sé, gli altri, l’Altro, Ibid., 2005; Goya B., L’aiuto fraterno.
La pratica della direzione spirituale, Ibid., 2006.
Mine vaganti nella Chiesa.
A proposito dell’AIDS, l’accusa che è stata lanciata per l’ennesima volta contro la Chiesa è stata quella di favorirne la diffusione, vietando il preservativo.
I fatti dicono però che in Africa quasi un terzo delle iniziative di contrasto al dilagare dell’AIDS sono opera di cattolici.
I preservativi sono oggetto di diffusione massiccia da parte di governi, enti internazionali ed ONG, e non risulta che i cattolici ne ostacolino la distribuzione e l’uso, specie tra coniugi uno dei quali sia portatore di contagio.
Ma ogni operatore avveduto sa che essi non bastano, come prova la diffusione dell’AIDS nei paesi ricchi del nord dove i preservativi sono a disposizione di tutti.
Il giudizio della Chiesa, confermato dall’esperienza sul campo, è che da soli i preservativi non frenano la promiscuità sessuale, vera causa del dilagare del flagello, anzi talora la incoraggiano accendendo una ingannevole sicurezza.
Di conseguenza la Chiesa cattolica, sul fronte dell’AIDS, si prodiga soprattutto in due modi, che Benedetto XVI ha ricordato nella risposta che ha dato esca alla polemica: con una “umanizzazione della sessualità”, incoraggiandone l’esercizio solo entro l’amore coniugale fedele, e con la cura dei malati.
Le indagini provano che dove all’uso del preservativo si antepongono una guida al controllo della sessualità e cure adeguate e gratuite, i risultati sono confortanti.
Nell’incontrare a Yaoundé degli operatori contro l’AIDS e poi dei malati sottoposti a cura, Benedetto XVI ha paragonato l’azione della Chiesa a quella del Cireneo, il contadino africano che aiutò Gesù a portare la croce.
Questa immagine di prossimità al sofferente porta dritto al secondo conflitto scoppiato nei giorni scorsi, sull’aborto di una fanciulla.
*** “Dalla parte della bambina brasiliana”: così ha titolato “L’Osservatore Romano” del 15 marzo una nota di prima pagina firmata dall’arcivescovo Rino Fisichella, presidente della pontificia accademia per la vita, oltre che rettore della Pontificia Università Lateranense.
Per il ruolo dell’autore, per la collocazione e più ancora per i contenuti, sicuramente l’articolo era tra quelli controllati e autorizzati dalla segreteria di stato vaticana.
L’articolo partiva dal caso di una bambina brasiliana in età fertile già a nove anni, violentata più volte dal giovane patrigno, rimasta incinta di due gemelli e poi fatta abortire al quarto mese di gestazione.
Il suo caso, scriveva Fisichella, “ha guadagnato le pagine dei giornali solo perché l’arcivescovo di Olinda e Recife si è affrettato a dichiarare la scomunica per i medici che l’hanno aiutata a interrompere la gravidanza”.
Quando invece, “prima di pensare alla scomunica”, la fanciulla “doveva essere in primo luogo difesa, abbracciata, accarezzata” con quella “umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere esperti annunciatori e maestri”.
Ma “così non è stato”.
L’attacco all’arcivescovo di Olinda e Recife – la diocesi che fu di Helder Camara – non poteva essere più duro.
In effetti, le dichiarazioni dell’arcivescovo sulla scomunica degli operatori del duplice aborto avevano occasionato l’inasprirsi del conflitto già in corso da tempo in Brasile tra la Chiesa e il governo, la prima impegnata in una grande campagna in difesa della vita nascente, il secondo orientato a liberalizzare l’aborto più di quanto già sia.
Da Roma, il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della congregazione vaticana per i vescovi, in un’intervista a “La Stampa” aveva preso le difese dell’arcivescovo di Olinda e Recife.
Altrettanto aveva fatto, in Brasile, la conferenza episcopale, con una nota diffusa il 13 marzo e con dichiarazioni del suo presidente, l’arcivescovo Geraldo Lyrio Rocha, e del suo segretario, Dimas Lara.
Anche il nuovo arcivescovo di Rio de Janeiro, Orani João Tempesta, si era espresso nello stesso senso, rimarcando tra l’altro che la madre della fanciulla aveva testimoniato che “l’unico luogo in cui non si era sentita maltrattata ma rispettata era stato l’ufficio della Caritas”.
Persino dalla Francia era giunto un autorevole sostegno all’operato della Chiesa brasiliana.
Il vescovo di Tolone, Dominique Rey, in visita in quel paese, aveva dichiarato d’aver visto con i suoi occhi “le molteplici testimonianze di misericordia vissute dalle comunità cristiane che avevano avvicinato e accompagnato la fanciulla e sua madre”.
La Santa Sede si è però mossa diversamente.
Pubblicando l’articolo di Fisichella su “L’Osservatore Romano” ha mostrato di anteporre alla difesa della Chiesa brasiliana e della sua campagna “pro vita” l’obiettivo di appianare il dissidio con l’opinione laica, il presidente Luiz Inácio Lula da Silva e il suo governo.
Col risultato di portare il conflitto tutto all’interno della gerarchia.
Per di più aprendo una controversia sul giudizio da dare all’aborto in casi come quello in oggetto.
L’articolo di Fisichella, infatti, così proseguiva: “A causa della giovanissima età e delle condizioni di salute precarie, la vita [della fanciulla] era in serio pericolo per la gravidanza in atto.
Come agire in questi casi? Decisione ardua per il medico e per la stessa legge morale.
Scelte come questa […] si ripetono quotidianamente […] e la coscienza del medico si ritrova sola con se stessa nell’atto di dovere decidere cosa sia meglio fare”.
Nel finale dell’articolo Fisichella plaudiva a coloro che alla fanciulla “hanno permesso di vivere”.
È vero che, in un altro passaggio, il presidente della pontifica accademia per la vita ribadiva che “l’aborto provocato è sempre stato condannato dalla legge morale come un atto intrinsecamente cattivo e questo insegnamento permane immutato ai nostri giorni”.
Ma i dubbi prima affacciati restavano.
E davano l’impronta all’intero articolo.
Dubbi visibilmente in contrasto con la solidità granitica di questo passaggio del paragrafo 62 dell’enciclica di Giovanni Paolo II “Evangelium vitae”: “Nessuna circostanza, nessuna finalità, nessuna legge al mondo potrà mai rendere lecito un atto che è intrinsecamente illecito, perché contrario alla legge di Dio, scritta nel cuore di ogni uomo, riconoscibile dalla ragione stessa, e proclamata dalla Chiesa”.
*** All’articolo di Fisichella su “L’Osservatore Romano” l’arcidiocesi di Olinda e Recife ha replicato il 16 marzo con delle “Chiarificazioni” ufficiali, pubblicate con grande evidenza sulla home page del suo sito web.
Da parte di Roma nessun cenno di ricevuta.
Neppure quando, il 21 marzo, è intervenuto nuovamente sulla vicenda il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi.
Padre Lombardi era quel giorno a Luanda, al seguito del viaggio di Benedetto XVI in Camerun e in Angola.
Il giorno precedente, parlando al corpo diplomatico e facendo riferimento all’articolo 14 del Protocollo di Maputo sulla “salute materna e riproduttiva”, il papa aveva polemicamente esclamato: “Quanto amara è l’ironia di coloro che promuovono l’aborto tra le cure della salute materna! Quanto sconcertante la tesi di coloro secondo i quali la soppressione della vita sarebbe una questione di salute riproduttiva!”.
Padre Lombardi, incontrando i giornalisti, ha escluso qualsiasi collegamento tra le parole del papa e la vicenda della fanciulla brasiliana.
E ha così proseguito: “In proposito valgono le considerazioni di monsignor Rino Fisichella, che su ‘L’Osservatore Romano’ ha lamentato la scomunica dichiarata con troppa fretta dall’arcivescovo di Recife.
Nessun caso limite deve oscurare il vero senso del discorso del Santo Padre, che si riferiva a una cosa estremamente diversa.
[…] Il papa non ha parlato assolutamente di aborto terapeutico e non ha detto che deve essere sempre rifiutato”.
Ha sorpreso che, a distanza di quasi una settimana dalla diffusione delle “Chiarificazioni” dell’arcidiocesi brasiliana, il portavoce ufficiale della Santa Sede abbia mostrato di ignorarle del tutto, sia nella opposta ricostruzione dei fatti, sia nelle obiezioni di carattere dottrinale e morale.
Il sito web del giornale della Santa Sede: > L’Osservatore Romano __________ Il testo originale, in portoghese, della dichiarazione dell’arcidiocesi di Olinda e Recife: > Esclaricimentos sobre o artigo publicado no “L’Osservatore Romano”… __________ Il commento del vescovo di Frejus-Tolone, Dominique Rey: > À propos de l’affaire de la petite fille brésilienne __________ Per una valutazione sul rischio di vita di bambine gravide e sulla liceità morale dell’aborto in questi casi, una nota di Renzo Puccetti, medico e segretario dell’associazione “Scienza & Vita” di Pisa e Livorno, in “Zenit” del 22 marzo 2009: > Valutazione bioetica del caso della bambina brasiliana __________ Tutti i discorsi e le omelie del viaggio in Africa di Benedetto XVI, nel sito del Vaticano: > Viaggio apostolico in Camerun e Angola, 17-23 marzo 2009 __________ Sull’Africa, l’AIDS e altri nodi polemici, una nota di Pietro De Marco ne “l’Occidentale”: > Il piacere di aggredire il papa senza capirne il messaggio __________ Sulla Chiesa cattolica e l’AIDS, in www.chiesa: > Preservativo sì o no: “La Civiltà Cattolica” sbarra la strada (22.5.2006) __________ Per altre notizie e commenti vedi il blog SETTIMO CIELO che Sandro Magister cura per i lettori italiani.
Ultimi titoli: Bagnasco su Eluana: “Più la gente è sembrata farsi cauta, pensosa…” Sacro romano disordine.
Un’istantanea della curia vaticana In Camerun Benedetto XVI dialoga con l’islam.
A modo suo L’articolo uscito su “L’Osservatore Romano” del 15 marzo 2009, oggetto della dichiarazione dell’arcidiocesi di Olinda e Recife: Dalla parte della bambina brasiliana di Rino Fisichella Il dibattito su alcune questioni si fa spesso serrato e le differenti prospettive non sempre permettono di considerare quanto la posta in gioco sia veramente grande.
È questo il momento in cui si deve guardare all’essenziale e, per un attimo, lasciare in disparte ciò che non tocca direttamente il problema.
Il caso nella sua drammaticità è semplice.
C’è una bambina di soli nove anni – la chiameremo Carmen – che dobbiamo guardare fisso negli occhi senza distrarre lo sguardo neppure un attimo, per farle capire quanto le si vuole bene.
Carmen, a Recife, in Brasile, viene violentata ripetutamente dal giovane patrigno, rimane incinta di due gemellini e non avrà più una vita facile.
La ferita è profonda perché la violenza del tutto gratuita l’ha distrutta dentro e difficilmente le permetterà in futuro di guardare agli altri con amore.
Carmen rappresenta una storia di quotidiana violenza e ha guadagnato le pagine dei giornali solo perché l’arcivescovo di Olinda e Recife si è affrettato a dichiarare la scomunica per i medici che l’hanno aiutata a interrompere la gravidanza.
Una storia di violenza che, purtroppo, sarebbe passata inosservata, tanto si è abituati a subire ogni giorno fatti di una gravità ineguagliabile, se non fosse stato per lo scalpore e le reazioni suscitate dall’intervento del vescovo.
La violenza su una donna, già grave di per sé, assume una valenza ancora più deprecabile quando a subirla è una bambina, con l’aggravante della povertà e del degrado sociale in cui vive.
Non c’è linguaggio corrispondente per condannare tali episodi, e i sentimenti che ne derivano sono spesso una miscela di rabbia e di rancore che si assopiscono solo quando viene fatta realmente giustizia e la pena inflitta al delinquente di turno ha certezza di essere scontata.
Carmen doveva essere in primo luogo difesa, abbracciata, accarezzata con dolcezza per farle sentire che eravamo tutti con lei; tutti, senza distinzione alcuna.
Prima di pensare alla scomunica era necessario e urgente salvaguardare la sua vita innocente e riportarla a un livello di umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere esperti annunciatori e maestri.
Così non è stato e, purtroppo, ne risente la credibilità del nostro insegnamento che appare agli occhi di tanti come insensibile, incomprensibile e privo di misericordia.
È vero, Carmen portava dentro di sé altre vite innocenti come la sua, anche se frutto della violenza, e sono state soppresse; ciò, tuttavia, non basta per dare un giudizio che pesa come una mannaia.
Nel caso di Carmen si sono scontrate la vita e la morte.
A causa della giovanissima età e delle condizioni di salute precarie la sua vita era in serio pericolo per la gravidanza in atto.
Come agire in questi casi? Decisione ardua per il medico e per la stessa legge morale.
Scelte come questa, anche se con una casistica differente, si ripetono quotidianamente nelle sale di rianimazione e la coscienza del medico si ritrova sola con se stessa nell’atto di dovere decidere cosa sia meglio fare.
Nessuno, comunque, arriva a una decisione di questo genere con disinvoltura; è ingiusto e offensivo il solo pensarlo.
Il rispetto dovuto alla professionalità del medico è una regola che deve coinvolgere tutti e non può consentire di giungere a un giudizio negativo senza prima aver considerato il conflitto che si è creato nel suo intimo.
Il medico porta con sé la sua storia e la sua esperienza; una scelta come quella di dover salvare una vita, sapendo che ne mette a serio rischio una seconda, non viene mai vissuta con facilità.
Certo, alcuni si abituano alle situazioni così da non provare più neppure l’emozione; in questi casi, però, la scelta di essere medico viene degradata a solo mestiere vissuto senza entusiasmo e subito passivamente.
Fare di tutta un’erba un fascio, tuttavia, oltre che scorretto sarebbe ingiusto.
Carmen ha riproposto un caso morale tra i più delicati; trattarlo sbrigativamente non renderebbe giustizia né alla sua fragile persona né a quanti sono coinvolti a diverso titolo nella vicenda.
Come ogni caso singolo e concreto, comunque, merita di essere analizzato nella sua peculiarità, senza generalizzazioni.
La morale cattolica ha principi da cui non può prescindere, anche se lo volesse.
La difesa della vita umana fin dal suo concepimento appartiene a uno di questi e si giustifica per la sacralità dell’esistenza.
Ogni essere umano, infatti, fin dal primo istante porta impressa in sé l’immagine del Creatore, e per questo siamo convinti che debbano essergli riconosciuti la dignità e i diritti di ogni persona, primo fra tutti quello della sua intangibilità e inviolabilità.
L’aborto provocato è sempre stato condannato dalla legge morale come un atto intrinsecamente cattivo e questo insegnamento permane immutato ai nostri giorni fin dai primordi della Chiesa.
Il concilio Vaticano II nella “Gaudium et spes” – documento di grande apertura e accortezza in riferimento al mondo contemporaneo – usa in maniera inaspettata parole inequivocabili e durissime contro l’aborto diretto.
La stessa collaborazione formale costituisce una colpa grave che, quando è realizzata, porta automaticamente al di fuori della comunità cristiana.
Tecnicamente, il codice di diritto canonico usa l’espressione “latae sententiae” per indicare che la scomunica si attua appunto nel momento stesso in cui il fatto avviene.
Non c’era bisogno, riteniamo, di tanta urgenza e pubblicità nel dichiarare un fatto che si attua in maniera automatica.
Ciò di cui si sente maggiormente il bisogno in questo momento è il segno di una testimonianza di vicinanza con chi soffre, un atto di misericordia che, pur mantenendo fermo il principio, è capace di guardare oltre la sfera giuridica per raggiungere ciò che il diritto stesso prevede come scopo della sua esistenza: il bene e la salvezza di quanti credono nell’amore del Padre e di quanti accolgono il vangelo di Cristo come i bambini, che Gesù chiamava accanto a sé e stringeva tra le sue braccia dicendo che il regno dei cieli appartiene a chi è come loro.
Carmen, stiamo dalla tua parte.
Condividiamo con te la sofferenza che hai provato, vorremmo fare di tutto per restituirti la dignità di cui sei stata privata e l’amore di cui avrai ancora più bisogno.
Sono altri che meritano la scomunica e il nostro perdono, non quanti ti hanno permesso di vivere e ti aiuteranno a recuperare la speranza e la fiducia.
Nonostante la presenza del male e la cattiveria di molti.
__________ Sui media d’Europa e d’America, il viaggio di Benedetto XVI in Camerun e in Angola, che si conclude oggi, è stato largamente oscurato dalle polemiche scoppiate per una frase da lui detta in partenza, sull’aereo che lo portava a Yaoundé, in risposta alla domanda di un giornalista: “Non si può risolvere il flagello dell’AIDS con la distribuzione di preservativi: al contrario, il rischio è di aumentare il problema”.
Contemporaneamente, una seconda polemica è deflagrata a partire da un altro paese del sud del mondo, il Brasile, a motivo dell’aborto di una giovanissima.
Contraccettivi ed aborto sono due questioni tra le più controverse nel rapporto tra Chiesa e modernità.
Sui contraccettivi la Chiesa cattolica si è pronunciata in particolare con l’enciclica “Humanae vitae” di Paolo VI.
Sull’aborto con l’enciclica “Evangelium vitae” di Giovanni Paolo II.
Sulla prima questione, la polemica dei giorni scorsi è stata ingigantita soprattutto dalle stizzite reazioni alle parole del papa dei governi di Francia, Germania, Belgio, Spagna, della Commissione Europea, di dirigenti dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e del Fondo Monetario Internazionale.
Nel caso dell’aborto della fanciulla brasiliana, invece, alla polemica tra stato e Chiesa si è sovrapposto un conflitto dentro la stessa gerarchia cattolica, ai livelli più alti.
*** A proposito dell’AIDS, l’accusa che è stata lanciata per l’ennesima volta contro la Chiesa è stata quella di favorirne la diffusione, vietando il preservativo.
I fatti dicono però che in Africa quasi un terzo delle iniziative di contrasto al dilagare dell’AIDS sono opera di cattolici.
I preservativi sono oggetto di diffusione massiccia da parte di governi, enti internazionali ed ONG, e non risulta che i cattolici ne ostacolino la distribuzione e l’uso, specie tra coniugi uno dei quali sia portatore di contagio.
Ma ogni operatore avveduto sa che essi non bastano, come prova la diffusione dell’AIDS nei paesi ricchi del nord dove i preservativi sono a disposizione di tutti.
Il giudizio della Chiesa, confermato dall’esperienza sul campo, è che da soli i preservativi non frenano la promiscuità sessuale, vera causa del dilagare del flagello, anzi talora la incoraggiano accendendo una ingannevole sicurezza.
Di conseguenza la Chiesa cattolica, sul fronte dell’AIDS, si prodiga soprattutto in due modi, che Benedetto XVI ha ricordato nella risposta che ha dato esca alla polemica: con una “umanizzazione della sessualità”, incoraggiandone l’esercizio solo entro l’amore coniugale fedele, e con la cura dei malati.
Le indagini provano che dove all’uso del preservativo si antepongono una guida al controllo della sessualità e cure adeguate e gratuite, i risultati sono confortanti.
Nell’incontrare a Yaoundé degli operatori contro l’AIDS e poi dei malati sottoposti a cura, Benedetto XVI ha paragonato l’azione della Chiesa a quella del Cireneo, il contadino africano che aiutò Gesù a portare la croce.
Questa immagine di prossimità al sofferente porta dritto al secondo conflitto scoppiato nei giorni scorsi, sull’aborto di una fanciulla.
*** “Dalla parte della bambina brasiliana”: così ha titolato “L’Osservatore Romano” del 15 marzo una nota di prima pagina firmata dall’arcivescovo Rino Fisichella, presidente della pontificia accademia per la vita, oltre che rettore della Pontificia Università Lateranense.
Per il ruolo dell’autore, per la collocazione e più ancora per i contenuti, sicuramente l’articolo era tra quelli controllati e autorizzati dalla segreteria di stato vaticana.
L’articolo partiva dal caso di una bambina brasiliana in età fertile già a nove anni, violentata più volte dal giovane patrigno, rimasta incinta di due gemelli e poi fatta abortire al quarto mese di gestazione.
Il suo caso, scriveva Fisichella, “ha guadagnato le pagine dei giornali solo perché l’arcivescovo di Olinda e Recife si è affrettato a dichiarare la scomunica per i medici che l’hanno aiutata a interrompere la gravidanza”.
Quando invece, “prima di pensare alla scomunica”, la fanciulla “doveva essere in primo luogo difesa, abbracciata, accarezzata” con quella “umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere esperti annunciatori e maestri”.
Ma “così non è stato”.
L’attacco all’arcivescovo di Olinda e Recife – la diocesi che fu di Helder Camara – non poteva essere più duro.
In effetti, le dichiarazioni dell’arcivescovo sulla scomunica degli operatori del duplice aborto avevano occasionato l’inasprirsi del conflitto già in corso da tempo in Brasile tra la Chiesa e il governo, la prima impegnata in una grande campagna in difesa della vita nascente, il secondo orientato a liberalizzare l’aborto più di quanto già sia.
Da Roma, il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della congregazione vaticana per i vescovi, in un’intervista a “La Stampa” aveva preso le difese dell’arcivescovo di Olinda e Recife.
Altrettanto aveva fatto, in Brasile, la conferenza episcopale, con una nota diffusa il 13 marzo e con dichiarazioni del suo presidente, l’arcivescovo Geraldo Lyrio Rocha, e del suo segretario, Dimas Lara.
Anche il nuovo arcivescovo di Rio de Janeiro, Orani João Tempesta, si era espresso nello stesso senso, rimarcando tra l’altro che la madre della fanciulla aveva testimoniato che “l’unico luogo in cui non si era sentita maltrattata ma rispettata era stato l’ufficio della Caritas”.
Persino dalla Francia era giunto un autorevole sostegno all’operato della Chiesa brasiliana.
Il vescovo di Tolone, Dominique Rey, in visita in quel paese, aveva dichiarato d’aver visto con i suoi occhi “le molteplici testimonianze di misericordia vissute dalle comunità cristiane che avevano avvicinato e accompagnato la fanciulla e sua madre”.
La Santa Sede si è però mossa diversamente.
Pubblicando l’articolo di Fisichella su “L’Osservatore Romano” ha mostrato di anteporre alla difesa della Chiesa brasiliana e della sua campagna “pro vita” l’obiettivo di appianare il dissidio con l’opinione laica, il presidente Luiz Inácio Lula da Silva e il suo governo.
Col risultato di portare il conflitto tutto all’interno della gerarchia.
Per di più aprendo una controversia sul giudizio da dare all’aborto in casi come quello in oggetto.
L’articolo di Fisichella, infatti, così proseguiva: “A causa della giovanissima età e delle condizioni di salute precarie, la vita [della fanciulla] era in serio pericolo per la gravidanza in atto.
Come agire in questi casi? Decisione ardua per il medico e per la stessa legge morale.
Scelte come questa […] si ripetono quotidianamente […] e la coscienza del medico si ritrova sola con se stessa nell’atto di dovere decidere cosa sia meglio fare”.
Nel finale dell’articolo Fisichella plaudiva a coloro che alla fanciulla “hanno permesso di vivere”.
È vero che, in un altro passaggio, il presidente della pontifica accademia per la vita ribadiva che “l’aborto provocato è sempre stato condannato dalla legge morale come un atto intrinsecamente cattivo e questo insegnamento permane immutato ai nostri giorni”.
Ma i dubbi prima affacciati restavano.
E davano l’impronta all’intero articolo.
Dubbi visibilmente in contrasto con la solidità granitica di questo passaggio del paragrafo 62 dell’enciclica di Giovanni Paolo II “Evangelium vitae”: “Nessuna circostanza, nessuna finalità, nessuna legge al mondo potrà mai rendere lecito un atto che è intrinsecamente illecito, perché contrario alla legge di Dio, scritta nel cuore di ogni uomo, riconoscibile dalla ragione stessa, e proclamata dalla Chiesa”.
*** All’articolo di Fisichella su “L’Osservatore Romano” l’arcidiocesi di Olinda e Recife ha replicato il 16 marzo con delle “Chiarificazioni” ufficiali, pubblicate con grande evidenza sulla home page del suo sito web.
Da parte di Roma nessun cenno di ricevuta.
Neppure quando, il 21 marzo, è intervenuto nuovamente sulla vicenda il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi.
Padre Lombardi era quel giorno a Luanda, al seguito del viaggio di Benedetto XVI in Camerun e in Angola.
Il giorno precedente, parlando al corpo diplomatico e facendo riferimento all’articolo 14 del Protocollo di Maputo sulla “salute materna e riproduttiva”, il papa aveva polemicamente esclamato: “Quanto amara è l’ironia di coloro che promuovono l’aborto tra le cure della salute materna! Quanto sconcertante la tesi di coloro secondo i quali la soppressione della vita sarebbe una questione di salute riproduttiva!”.
Padre Lombardi, incontrando i giornalisti, ha escluso qualsiasi collegamento tra le parole del papa e la vicenda della fanciulla brasiliana.
E ha così proseguito: “In proposito valgono le considerazioni di monsignor Rino Fisichella, che su ‘L’Osservatore Romano’ ha lamentato la scomunica dichiarata con troppa fretta dall’arcivescovo di Recife.
Nessun caso limite deve oscurare il vero senso del discorso del Santo Padre, che si riferiva a una cosa estremamente diversa.
[…] Il papa non ha parlato assolutamente di aborto terapeutico e non ha detto che deve essere sempre rifiutato”.
Ha sorpreso che, a distanza di quasi una settimana dalla diffusione delle “Chiarificazioni” dell’arcidiocesi brasiliana, il portavoce ufficiale della Santa Sede abbia mostrato di ignorarle del tutto, sia nella opposta ricostruzione dei fatti, sia nelle obiezioni di carattere dottrinale e morale.
Ecco qui di seguito, integrale, il documento dell’arcidiocesi brasiliana: Chiarificazioni dell’arcidiocesi di Olinda e Recife Riguardo all’articolo “Dalla parte della bambina brasiliana”, pubblicato su “L’Osservatore Romano” il giorno 15 marzo, noi sottoscritti dichiariamo: 1.
Il fatto dello stupro non è avvenuto a Recife, come dice l’articolo, ma nella città di Alagoinha, diocesi di Pesqueira.
Mentre l’aborto è stato praticato a Recife.
2.
Tutti noi – a cominciare dal parroco di Alagoinha, che è tra i firmatari – siamo stati vicini alla fanciulla incinta e alla sua famiglia con grande carità e affetto.
Il parroco, mettendo in opera la sua sollecitudine pastorale, raggiunto dalla notizia quand’era a casa, si recò immediatamente a casa della famiglia, dove incontrò la fanciulla per darle sostegno e accompagnamento, posta la grave e difficile situazione nella quale la fanciulla si era trovata.
Questa attitudine è stata mantenuta in tutti i giorni successivi, ad Alagoinha come a Recife, dove si è avuto il triste finale dell’aborto di due innocenti.
Pertanto, fu evidente e inequivocabile che nessuno pensò in primo luogo alla “scomunica”.
Abbiamo fatto ricorso a tutti i mezzi a nostra disposizione per evitare l’aborto e salvare le tre vite.
Il parroco affiancò di persona il Consiglio tutelare della città in tutte le iniziative finalizzate al bene della fanciulla e dei suoi figli.
Sia nell’ospedale che nelle visite quotidiane diede prova di un affetto e di un’attenzione che fecero capire, tanto alla fanciulla come a sua madre, che entrambe non erano sole, ma che la Chiesa, lì rappresentata dal parroco del luogo, assicurava loro l’assistenza necessaria e la certezza che tutto si sarebbe fatto per il bene della fanciulla e per salvare i suoi due figli.
3.
Dopo che la fanciulla fu trasferita in un ospedale della città di Recife, abbiamo fatto ricorso a tutti i mezzi legali per evitare l’aborto.
In nessun momento la Chiesa fu assente dall’ospedale.
Il parroco della fanciulla si recava in ospedale ogni giorno, partendo dalla sua città che dista 230 chilometri da Recife, senza risparmiare alcuno sforzo, affinché tanto la fanciulla come sua madre sentissero la presenza di Gesù, il Buon Pastore che va incontro alle pecorelle che hanno più bisogno del suo aiuto.
In questo modo la vicenda fu trattata con tutta l’attenzione dovuta da parte della Chiesa e non “sbrigativamente” come dice l’articolo.
4.
Non siamo d’accordo con l’affermazione che “la decisione è ardua…
per la stessa legge morale”.
La nostra santa Chiesa non cessa di proclamare che la legge morale è chiarissima: mai è lecito sopprimere la vita di un innocente per salvare un’altra vita.
I fatti oggettivi sono questi: vi sono medici che dichiarano esplicitamente di aver praticato e voler continuare a praticare aborti, mentre ve ne sono altri che dichiarano con altrettanta fermezza che un aborto non lo praticheranno mai.
Questa è la dichiarazione scritta e firmata di un medico cattolico brasiliano: “Come medico ostetrico da 50 anni, formato alla facoltà nazionale di medicina della Università del Brasile, e come ex primario della clinica ostetrica dell’ospedale di Andarai, nel quale ho operato per 35 anni fino al mio pensionamento, per dedicarmi al diaconato, e avendo praticato 4524 parti, molti in età minorile, mai ho avuto la necessità di ricorrere all’aborto per ‘salvare vite’, al pari di tutti i miei colleghi retti ed onesti nella loro professione, fedeli al giuramento di Ippocrate”.
5.
È falsa l’affermazione che il fatto fu divulgato nei giornali solo perché l’arcivescovo di Olinda e Recife si affrettò a dichiarare la scomunica.
Basta osservare che il caso divenne di dominio pubblico ad Alagoinha mercoledì 25 febbraio, l’arcivescovo fece le sue dichiarazioni alla stampa il 3 marzo e l’aborto fu effettuato il 4 marzo.
Era impensabile che la stampa brasiliana, di fronte a un fatto di tale gravità, lo tenesse sotto silenzio per sei giorni.
La realtà dei fatti è che la notizia della fanciulla – “Carmen” – incinta fu divulgata nei giorni precedenti l’attuazione dell’aborto.
Solo allora, martedì 3 marzo, interrogato dai giornalisti, l’arcivescovo menzionò il canone 1398 [del codice di diritto canonico].
Siamo convinti che la divulgazione di questa pena medicinale, la scomunica, faccia bene a molti cattolici, per indurli ad evitare questo peccato gravissimo.
Il silenzio della Chiesa sarebbe molto equivocato, soprattutto di fronte alla constatazione che nel mondo si compiono cinquanta milioni di aborti ogni anno e solo nel Brasile si sopprimono un milione di vite innocenti.
Il silenzio può essere interpretato come connivenza o complicità.
Se qualche medico avesse una “coscienza dubbiosa” prima di praticare un aborto (cosa che ci sembra estremamente improbabile), egli, se cattolico e tenuto ad osservare la legge di Dio, dovrebbe consultare un direttore spirituale.
6.
In altre parole, l’articolo è un affronto diretto alla difesa della vita delle tre creature, fatta col massimo della forza dall’arcivescovo José Cardoso Sobrinho, e mostra che l’autore non possiede le basi e le informazioni necessarie per parlare della vicenda, a motivo della sua totale ignoranza dei particolari del fatto.
L’ospedale che ha effettuato l’aborto sulla fanciulla è uno di quelli che compiono sistematicamente questa pratica nel nostro Stato, sotto il manto della “legalità”.
I medici che hanno praticato l’aborto dei due gemelli hanno dichiarato e continuano a dichiarare sui media nazionali d’aver compiuto un atto che sono soliti compiere “con molto orgoglio”.
Uno di essi ha aggiunto: “Già sono stato in passato scomunicato più volte”.
7.
L’autore si è arrogato il diritto di parlare di ciò che non conosceva, senza fare lo sforzo di conversare previamente in modo fraterno ed evangelico con l’arcivescovo, e per questo atto imprudente sta causando una grande confusione tra i fedeli cattolici del Brasile.
Invece di consultare il suo fratello nell’episcopato, ha preferito dar credito alla nostra stampa molto spesso anticlericale.
Recife, 16 marzo 2009 Edvaldo Bezerra da Silva Vicario generale dell’arcidiocesi di Olinda e Recife Cicero Ferreira de Paula Cancelliere dell’arcidiocesi di Olinda e Recife Moisés Ferreira de Lima Rettore del seminario arcidiocesano Márcio Miranda Avvocato dell’arcidiocesi di Olinda e Recife Edson Rodrigues Parroco di Alagoinha, diocesi di Pesqueira __________ L’articolo uscito su “L’Osservatore Romano” del 15 marzo 2009, oggetto della dichiarazione dell’arcidiocesi di Olinda e Recife: Dalla parte della bambina brasiliana di Rino Fisichella Il dibattito su alcune questioni si fa spesso serrato e le differenti prospettive non sempre permettono di considerare quanto la posta in gioco sia veramente grande.
È questo il momento in cui si deve guardare all’essenziale e, per un attimo, lasciare in disparte ciò che non tocca direttamente il problema.
Il caso nella sua drammaticità è semplice.
C’è una bambina di soli nove anni – la chiameremo Carmen – che dobbiamo guardare fisso negli occhi senza distrarre lo sguardo neppure un attimo, per farle capire quanto le si vuole bene.
Carmen, a Recife, in Brasile, viene violentata ripetutamente dal giovane patrigno, rimane incinta di due gemellini e non avrà più una vita facile.
La ferita è profonda perché la violenza del tutto gratuita l’ha distrutta dentro e difficilmente le permetterà in futuro di guardare agli altri con amore.
Carmen rappresenta una storia di quotidiana violenza e ha guadagnato le pagine dei giornali solo perché l’arcivescovo di Olinda e Recife si è affrettato a dichiarare la scomunica per i medici che l’hanno aiutata a interrompere la gravidanza.
Una storia di violenza che, purtroppo, sarebbe passata inosservata, tanto si è abituati a subire ogni giorno fatti di una gravità ineguagliabile, se non fosse stato per lo scalpore e le reazioni suscitate dall’intervento del vescovo.
La violenza su una donna, già grave di per sé, assume una valenza ancora più deprecabile quando a subirla è una bambina, con l’aggravante della povertà e del degrado sociale in cui vive.
Non c’è linguaggio corrispondente per condannare tali episodi, e i sentimenti che ne derivano sono spesso una miscela di rabbia e di rancore che si assopiscono solo quando viene fatta realmente giustizia e la pena inflitta al delinquente di turno ha certezza di essere scontata.
Carmen doveva essere in primo luogo difesa, abbracciata, accarezzata con dolcezza per farle sentire che eravamo tutti con lei; tutti, senza distinzione alcuna.
Prima di pensare alla scomunica era necessario e urgente salvaguardare la sua vita innocente e riportarla a un livello di umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere esperti annunciatori e maestri.
Così non è stato e, purtroppo, ne risente la credibilità del nostro insegnamento che appare agli occhi di tanti come insensibile, incomprensibile e privo di misericordia.
È vero, Carmen portava dentro di sé altre vite innocenti come la sua, anche se frutto della violenza, e sono state soppresse; ciò, tuttavia, non basta per dare un giudizio che pesa come una mannaia.
Nel caso di Carmen si sono scontrate la vita e la morte.
A causa della giovanissima età e delle condizioni di salute precarie la sua vita era in serio pericolo per la gravidanza in atto.
Come agire in questi casi? Decisione ardua per il medico e per la stessa legge morale.
Scelte come questa, anche se con una casistica differente, si ripetono quotidianamente nelle sale di rianimazione e la coscienza del medico si ritrova sola con se stessa nell’atto di dovere decidere cosa sia meglio fare.
Nessuno, comunque, arriva a una decisione di questo genere con disinvoltura; è ingiusto e offensivo il solo pensarlo.
Il rispetto dovuto alla professionalità del medico è una regola che deve coinvolgere tutti e non può consentire di giungere a un giudizio negativo senza prima aver considerato il conflitto che si è creato nel suo intimo.
Il medico porta con sé la sua storia e la sua esperienza; una scelta come quella di dover salvare una vita, sapendo che ne mette a serio rischio una seconda, non viene mai vissuta con facilità.
Certo, alcuni si abituano alle situazioni così da non provare più neppure l’emozione; in questi casi, però, la scelta di essere medico viene degradata a solo mestiere vissuto senza entusiasmo e subito passivamente.
Fare di tutta un’erba un fascio, tuttavia, oltre che scorretto sarebbe ingiusto.
Carmen ha riproposto un caso morale tra i più delicati; trattarlo sbrigativamente non renderebbe giustizia né alla sua fragile persona né a quanti sono coinvolti a diverso titolo nella vicenda.
Come ogni caso singolo e concreto, comunque, merita di essere analizzato nella sua peculiarità, senza generalizzazioni.
La morale cattolica ha principi da cui non può prescindere, anche se lo volesse.
La difesa della vita umana fin dal suo concepimento appartiene a uno di questi e si giustifica per la sacralità dell’esistenza.
Ogni essere umano, infatti, fin dal primo istante porta impressa in sé l’immagine del Creatore, e per questo siamo convinti che debbano essergli riconosciuti la dignità e i diritti di ogni persona, primo fra tutti quello della sua intangibilità e inviolabilità.
L’aborto provocato è sempre stato condannato dalla legge morale come un atto intrinsecamente cattivo e questo insegnamento permane immutato ai nostri giorni fin dai primordi della Chiesa.
Il concilio Vaticano II nella “Gaudium et spes” – documento di grande apertura e accortezza in riferimento al mondo contemporaneo – usa in maniera inaspettata parole inequivocabili e durissime contro l’aborto diretto.
La stessa collaborazione formale costituisce una colpa grave che, quando è realizzata, porta automaticamente al di fuori della comunità cristiana.
Tecnicamente, il codice di diritto canonico usa l’espressione “latae sententiae” per indicare che la scomunica si attua appunto nel momento stesso in cui il fatto avviene.
Non c’era bisogno, riteniamo, di tanta urgenza e pubblicità nel dichiarare un fatto che si attua in maniera automatica.
Ciò di cui si sente maggiormente il bisogno in questo momento è il segno di una testimonianza di vicinanza con chi soffre, un atto di misericordia che, pur mantenendo fermo il principio, è capace di guardare oltre la sfera giuridica per raggiungere ciò che il diritto stesso prevede come scopo della sua esistenza: il bene e la salvezza di quanti credono nell’amore del Padre e di quanti accolgono il vangelo di Cristo come i bambini, che Gesù chiamava accanto a sé e stringeva tra le sue braccia dicendo che il regno dei cieli appartiene a chi è come loro.
Carmen, stiamo dalla tua parte.
Condividiamo con te la sofferenza che hai provato, vorremmo fare di tutto per restituirti la dignità di cui sei stata privata e l’amore di cui avrai ancora più bisogno.
Sono altri che meritano la scomunica e il nostro perdono, non quanti ti hanno permesso di vivere e ti aiuteranno a recuperare la speranza e la fiducia.
Nonostante la presenza del male e la cattiveria di molti.
Chiarificazioni dell’arcidiocesi di Olinda e Recife Riguardo all’articolo “Dalla parte della bambina brasiliana”, pubblicato su “L’Osservatore Romano” il giorno 15 marzo, noi sottoscritti dichiariamo: 1.
Il fatto dello stupro non è avvenuto a Recife, come dice l’articolo, ma nella città di Alagoinha, diocesi di Pesqueira.
Mentre l’aborto è stato praticato a Recife.
2.
Tutti noi – a cominciare dal parroco di Alagoinha, che è tra i firmatari – siamo stati vicini alla fanciulla incinta e alla sua famiglia con grande carità e affetto.
Il parroco, mettendo in opera la sua sollecitudine pastorale, raggiunto dalla notizia quand’era a casa, si recò immediatamente a casa della famiglia, dove incontrò la fanciulla per darle sostegno e accompagnamento, posta la grave e difficile situazione nella quale la fanciulla si era trovata.
Questa attitudine è stata mantenuta in tutti i giorni successivi, ad Alagoinha come a Recife, dove si è avuto il triste finale dell’aborto di due innocenti.
Pertanto, fu evidente e inequivocabile che nessuno pensò in primo luogo alla “scomunica”.
Abbiamo fatto ricorso a tutti i mezzi a nostra disposizione per evitare l’aborto e salvare le tre vite.
Il parroco affiancò di persona il Consiglio tutelare della città in tutte le iniziative finalizzate al bene della fanciulla e dei suoi figli.
Sia nell’ospedale che nelle visite quotidiane diede prova di un affetto e di un’attenzione che fecero capire, tanto alla fanciulla come a sua madre, che entrambe non erano sole, ma che la Chiesa, lì rappresentata dal parroco del luogo, assicurava loro l’assistenza necessaria e la certezza che tutto si sarebbe fatto per il bene della fanciulla e per salvare i suoi due figli.
3.
Dopo che la fanciulla fu trasferita in un ospedale della città di Recife, abbiamo fatto ricorso a tutti i mezzi legali per evitare l’aborto.
In nessun momento la Chiesa fu assente dall’ospedale.
Il parroco della fanciulla si recava in ospedale ogni giorno, partendo dalla sua città che dista 230 chilometri da Recife, senza risparmiare alcuno sforzo, affinché tanto la fanciulla come sua madre sentissero la presenza di Gesù, il Buon Pastore che va incontro alle pecorelle che hanno più bisogno del suo aiuto.
In questo modo la vicenda fu trattata con tutta l’attenzione dovuta da parte della Chiesa e non “sbrigativamente” come dice l’articolo.
4.
Non siamo d’accordo con l’affermazione che “la decisione è ardua…
per la stessa legge morale”.
La nostra santa Chiesa non cessa di proclamare che la legge morale è chiarissima: mai è lecito sopprimere la vita di un innocente per salvare un’altra vita.
I fatti oggettivi sono questi: vi sono medici che dichiarano esplicitamente di aver praticato e voler continuare a praticare aborti, mentre ve ne sono altri che dichiarano con altrettanta fermezza che un aborto non lo praticheranno mai.
Questa è la dichiarazione scritta e firmata di un medico cattolico brasiliano: “Come medico ostetrico da 50 anni, formato alla facoltà nazionale di medicina della Università del Brasile, e come ex primario della clinica ostetrica dell’ospedale di Andarai, nel quale ho operato per 35 anni fino al mio pensionamento, per dedicarmi al diaconato, e avendo praticato 4524 parti, molti in età minorile, mai ho avuto la necessità di ricorrere all’aborto per ‘salvare vite’, al pari di tutti i miei colleghi retti ed onesti nella loro professione, fedeli al giuramento di Ippocrate”.
5.
È falsa l’affermazione che il fatto fu divulgato nei giornali solo perché l’arcivescovo di Olinda e Recife si affrettò a dichiarare la scomunica.
Basta osservare che il caso divenne di dominio pubblico ad Alagoinha mercoledì 25 febbraio, l’arcivescovo fece le sue dichiarazioni alla stampa il 3 marzo e l’aborto fu effettuato il 4 marzo.
Era impensabile che la stampa brasiliana, di fronte a un fatto di tale gravità, lo tenesse sotto silenzio per sei giorni.
La realtà dei fatti è che la notizia della fanciulla – “Carmen” – incinta fu divulgata nei giorni precedenti l’attuazione dell’aborto.
Solo allora, martedì 3 marzo, interrogato dai giornalisti, l’arcivescovo menzionò il canone 1398 [del codice di diritto canonico].
Siamo convinti che la divulgazione di questa pena medicinale, la scomunica, faccia bene a molti cattolici, per indurli ad evitare questo peccato gravissimo.
Il silenzio della Chiesa sarebbe molto equivocato, soprattutto di fronte alla constatazione che nel mondo si compiono cinquanta milioni di aborti ogni anno e solo nel Brasile si sopprimono un milione di vite innocenti.
Il silenzio può essere interpretato come connivenza o complicità.
Se qualche medico avesse una “coscienza dubbiosa” prima di praticare un aborto (cosa che ci sembra estremamente improbabile), egli, se cattolico e tenuto ad osservare la legge di Dio, dovrebbe consultare un direttore spirituale.
6.
In altre parole, l’articolo è un affronto diretto alla difesa della vita delle tre creature, fatta col massimo della forza dall’arcivescovo José Cardoso Sobrinho, e mostra che l’autore non possiede le basi e le informazioni necessarie per parlare della vicenda, a motivo della sua totale ignoranza dei particolari del fatto.
L’ospedale che ha effettuato l’aborto sulla fanciulla è uno di quelli che compiono sistematicamente questa pratica nel nostro Stato, sotto il manto della “legalità”.
I medici che hanno praticato l’aborto dei due gemelli hanno dichiarato e continuano a dichiarare sui media nazionali d’aver compiuto un atto che sono soliti compiere “con molto orgoglio”.
Uno di essi ha aggiunto: “Già sono stato in passato scomunicato più volte”.
7.
L’autore si è arrogato il diritto di parlare di ciò che non conosceva, senza fare lo sforzo di conversare previamente in modo fraterno ed evangelico con l’arcivescovo, e per questo atto imprudente sta causando una grande confusione tra i fedeli cattolici del Brasile.
Invece di consultare il suo fratello nell’episcopato, ha preferito dar credito alla nostra stampa molto spesso anticlericale.
Recife, 16 marzo 2009 Edvaldo Bezerra da Silva Vicario generale dell’arcidiocesi di Olinda e Recife Cicero Ferreira de Paula Cancelliere dell’arcidiocesi di Olinda e Recife Moisés Ferreira de Lima Rettore del seminario arcidiocesano Márcio Miranda Avvocato dell’arcidiocesi di Olinda e Recife Edson Rodrigues Parroco di Alagoinha, diocesi di Pesqueira
L’ordinanza sulla mobilità degli insegnanti di religione
È stata appena pubblicata l’OM 36 del 23 marzo 2009 sulla mobilità degli Idr di ruolo (vedi il pdf allegato) che regola trasferimenti e passaggi di ruolo per il prossimo anno scolastico 2009-10.
L’ordinanza relativa alla mobilità degli altri insegnanti era uscita il 13 febbraio scorso, dopo che il relativo Contratto Nazionale Integrativo era stato sottoscritto il giorno prima, in sensibile ritardo rispetto all’anno precedente, come era peraltro prevedibile per le novità organizzative e ordinamentali introdotte dal ministro Gelmini che hanno determinato lo slittamento di molte altre operazioni, a cominciare dalle iscrizioni degli alunni.
Rispetto al testo dell’anno scorso, che costituiva il primo esperimento di una procedura di mobilità applicata agli Idr, le novità sono minime, segno che la prima esperienza è andata bene e si sono potute confermare le istruzioni precedenti, integrando nel testo dell’OM solo alcuni chiarimenti che lo scorso anno erano stati forniti in successive note.
Si può quindi sperare che stavolta tutto possa procedere con maggiore tranquillità, visto che si tratta di procedure che vanno a stabilizzarsi.
Ricordiamo che l’OM 36/09 riguarda solo la mobilità interdiocesana e quella professionale, dato che i trasferimenti all’interno della stessa diocesi (che sono certamente la maggior parte) sono regolati dalla distinta ordinanza sulle utilizzazioni e assegnazioni provvisorie che esce di solito nel mese di giugno.
Coloro che intendono spostarsi in un’altra diocesi devono ovviamente possedere il riconoscimento di idoneità da parte del vescovo della/e diocesi di destinazione e possono solo indicare sinteticamente la/le diocesi desiderata/e, poiché l’assegnazione alla singola scuola o ad un comune del territorio diocesano è oggetto della specifica intesa che gli ordinari diocesani dovranno raggiungere con il direttore dell’Ufficio scolastico regionale al termine di tutta la procedura.
Anche gli Idr che intendono far valere i titoli derivanti dall’applicazione della legge 104/92 per la tutela e l’assistenza di invalidi e disabili possono solo scegliere la diocesi e rimettersi poi alla discrezionalità del vescovo per ottenere una sistemazione adeguata alle loro necessità, confidando nella sensibilità e nel discernimento degli ordinari diocesani.
Questo aspetto suscita probabilmente il malumore di qualche Idr, che si attendeva dalla conquista del ruolo maggiore oggettività e automatismo nella gestione del personale, ma non si può dimenticare che la “nomina d’intesa” è requisito concordatario che deve presiedere alla gestione degli Idr per tutta la durata della loro attività scolastica, quindi deve accompagnare anche tutte le operazioni di mobilità oltre all’assunzione iniziale.
Diversamente l’autorità ecclesiastica perderebbe con l’andare del tempo una delle sue specifiche prerogative.
Il caso della mobilità professionale, cioè il passaggio da un ruolo all’altro dell’Irc (dalla primaria alla secondaria o viceversa), è piuttosto limitato poiché gli aspiranti devono: 1) essere in possesso dei titoli per insegnare religione anche nel settore formativo richiesto, 2) essere in possesso dell’idoneità ecclesiastica anche per il settore formativo richiesto, 3) aver superato a suo tempo entrambi i concorsi.
Soprattutto quest’ultima condizione (limitata a pochi casi in Italia) dovrebbe ridurre di molto le richieste di mobilità professionale.
Le principali scadenze delle operazioni di mobilità, nonostante la recente emanazione della legge 14/09 (decreto milleproroghe) che ha spostato al 31 agosto la nomina del personale di ruolo e supplente annuale, ricalcano quelle dello scorso anno e sono riassumibili come segue: – presentazione delle domande dal 30 marzo al 28 aprile – invio delle domande all’USR entro l’8 maggio – attribuzione e notifica del punteggio entro il 4 giugno – revoca delle domande entro il 15 giugno – pubblicazione della graduatoria entro il 22 giugno – pubblicazione dei movimenti entro il 30 giugno – intesa per l’utilizzazione entro il 31 luglio Le scadenze sono diverse da quelle del restante personale docente in quanto le domande degli Idr non partecipano ai movimenti ordinari degli altri insegnanti e sono gestite manualmente dalle singole scuole e dagli Uffici scolastici regionali; il loro numero è infatti piuttosto ridotto e consente una gestione separata in tempi ragionevolmente brevi.
Il tempo a disposizione per la presentazione delle domande è sempre di trenta giorni, ma la decorrenza non coincide con la pubblicazione dell’ordinanza.
Lo scorso anno l’ordinanza era stata pubblicata molto prima dell’inizio dei termini di presentazione per concedere un po’ di tempo in più agli Idr che devono procurarsi l’idoneità presso una diocesi diversa da quella in cui prestano servizio.
Quest’anno l’OM 36 è stata pubblicata quasi a ridosso delle scadenze previste, ma si presume che le procedure si vadano stabilizzando e quindi gli interessati dovrebbero aver avviato con anticipo le operazioni connesse al proprio trasferimento.
Vedremo se nei prossimi anni sarà possibile superare il trattamento separato degli Idr in una distinta ordinanza sulla loro mobilità e si riuscirà ad integrare la loro gestione in un’unica ordinanza comune, così come comune è il Contratto Integrativo che prevede solo un articolo specifico per gli Idr.
Ma le peculiarità di cui tenere conto sono forse troppe.
Dio diviene uomo per rendere Adamo Dio
La festa dell’Annunciazione della santissima Madre di Dio e sempre vergine Maria è una delle poche feste che troviamo in quaresima nella tradizione bizantina.
Della festa abbiamo testimonianze precise a Costantinopoli attorno al 530, e anche Romano il Melode le dedica nel vi secolo un kontàkion.
Allo sviluppo della festa contribuirono le omelie antiariane che sottolineano, accanto all’umanità di Cristo, anche la sua divinità eternamente sussistente in Dio, e l’omiletica siriana, che sottolinea con forza il parallelo tra Eva e Maria.
A Roma la festa fu introdotta da Papa Sergio i (687-701), di origine siriaca, con una celebrazione liturgica a Santa Maria Maggiore e una processione.
Sin dall’inizio la festa fu celebrata il 25 marzo, sempre nel periodo quaresimale, un tempo dunque che esclude qualsiasi solennità.
Nel 692 il quarto concilio di Costantinopoli prescrisse però di celebrare con tutta solennità la festa, e così nelle Chiese bizantine si sviluppò un sistema di rubriche liturgiche che cercano di combinare l’Annunciazione con le ufficiature quaresimali e con quelle della Settimana santa.
La festa del 25 marzo ha una vigilia il 24 e un dopo-festa il 26, giorno in cui si celebra la memoria dell’arcangelo Gabriele.
Infatti, molto spesso le grandi feste nella tradizione bizantina hanno, il giorno successivo alla festa, la celebrazione del personaggio di cui Dio si serve per portare a termine il suo mistero di salvezza.
La festa ha come tema portante l’annuncio dell’Incarnazione del Verbo di Dio e la gioia che ne scaturisce.
In molti dei tropari ricorre quasi come un ritornello l’esortazione “gioisci”: si tratta di una gioia che non ha niente di superficiale, bensì nasce dalla consapevolezza della salvezza che ci viene data in Cristo, in una festa che cerca di coinvolgere tutta la creazione nella lode e nella contemplazione del mistero celebrato.
I tropari sono un intreccio di citazioni bibliche, soprattutto veterotestamentarie, profezie che annunciano il Cristo e che la tradizione patristica ha letto sempre in chiave cristologica.
Questa stessa accentuazione cristologica è già in tutti i titoli dati a Maria, legati al mistero dell’Incarnazione del Verbo di Dio e della divina maternità di Maria: “Gioisci, terra non seminata; gioisci, roveto incombusto; gioisci abisso imperscrutabile; gioisci, ponte che fa passare ai cieli e scala elevata contemplata da Giacobbe; gioisci, divina urna della manna; gioisci, liberazione dalla maledizione; gioisci, ritorno di Adamo dall’esilio: il Signore è con te”.
Un altro tema che torna nei testi liturgici è l’accostamento di meraviglia e dubbio in Maria; meraviglia di fronte a quello che le viene annunciato, dubbio non tanto di fronte a quello che dovrà avverarsi, bensì di non essere di nuovo ingannata come Eva da qualcuno che annuncia grandi cose (“sarete come Dio”).
Un altro accostamento di meraviglia e stupore è applicato dalla liturgia anche all’arcangelo di fronte al contenuto dell’annuncio, con una serie di affermazioni cristologicamente contrastanti, molto simili ai temi degli Inni di sant’Efrem il Siro: “L’inafferrabile che è nel più alto dei cieli, nasce da una vergine! Colui che ha il cielo per trono e la terra come sgabello si rinchiude nel grembo di una donna! Colui che i serafini dalle sei ali non possono fissare, si compiace di incarnarsi da lei.
Colui che qui è presente è il Verbo di Dio”.
Le letture del vespro sono prese dall’Antico Testamento, pericopi che già tutta la tradizione patristica di oriente e occidente legge in chiave cristologica: la scala di Giacobbe (Genesi, 28, 10-17); la porta chiusa da dove passa soltanto il Signore (Ezechiele, 43, 27 – 44, 4); la casa costruita dalla sapienza di Dio (Proverbi, 9, 1-11).
Il tropario della festa riassume in modo breve e chiaro il tema di fondo della celebrazione: “Oggi è il principio della nostra salvezza e la manifestazione del mistero nascosto da secoli: il Figlio di Dio diviene Figlio della Vergine, e Gabriele porta la buona novella della grazia.
Con lui dunque acclamiamo alla Vergine: Gioisci, piena di grazia, il Signore è con te”.
Nell’ufficiatura del mattutino uno dei suoi testi è di un autore bizantino, Teodoro Graptos (778-845), vissuto in piena controversia iconoclasta.
L’opera è un acrostico, e si svolge servendosi di un genere letterario che già Efrem usa spesso, cioè quello del dialogo o disputa tra due personaggi – qui tra l’arcangelo e la Madre di Dio – a strofe alterne.
L’autore riprende il tema accennato già al vespro, la meraviglia dello stesso arcangelo per quello che deve annunciare, e lo stupore e la paura della Vergine, paura di essere ingannata di nuovo come Eva.
L’ultimo dei tropari del mattutino riassume il mistero della nostra salvezza, già manifestato nei vangeli e nella tradizione patristica: “Il mistero che è dall’eternità è oggi rivelato, e il Figlio di Dio diviene figlio dell’uomo, affinché, assumendo ciò che è inferiore, possa comunicarmi ciò che è superiore; Dio diviene uomo per rendere Adamo Dio”.
Nella Divina liturgia del giorno 25 si leggono due brani, dalla lettera agli Ebrei (2, 11-18) e dal vangelo di Luca (1, 24-38).
“E l’angelo andò via da lei”.
Questo versetto che chiude la pericope dell’Annunciazione mi fa sempre impressione.
Il Signore ci annuncia la sua buona novella e poi ci lascia? No, non è l’abbandono né la solitudine che dobbiamo leggere nel vangelo di Luca, ma il fatto che nella nostra vita cristiana siamo chiamati a dare una risposta, con la nostra responsabilità e maturità, umana e cristiana.
(©L’Osservatore Romano – 25 marzo 2009)
«Una religione sana rifiuta la violenza»
Cari amici, lieto dell’occasione che mi è data di incontrare rappresentanti della comunità musulmana in Camerun, esprimo il mio cordiale ringraziamento al Signor Amadou Bello per le gentili parole rivoltemi in vostro nome.
Il nostro incontro è un segno eloquente del desiderio che condividiamo con tutti gli uomini di buona volontà – in Camerun, nell’intera Africa e in tutto il mondo – di cercare occasioni per scambiare idee su come la religione rechi un contributo essenziale alla nostra comprensione della cultura e del mondo ed alla coesistenza pacifica di tutti i membri della famiglia umana.
Iniziative in Camerun come l’Association Camerounaise pour le Dialogue Interreligieux mostrano come tale dialogo accresca la comprensione vicendevole e sostenga la formazione di un ordine politico stabile e giusto.
Il Camerun è la Patria di migliaia di cristiani e di musulmani, che spesso vivono, lavorano e praticano la loro fede nello stesso ambiente.
I seguaci tanto dell’una quanto dell’altra religione credono in un Dio unico e misericordioso, che nell’ultimo giorno giudicherà l’umanità (cfr.
Lumen gentium, 16).
Insieme essi offrono testimonianza dei valori fondamentali della famiglia, della responsabilità sociale, dell’obbedienza alla legge di Dio e dell’amore verso i malati e i sofferenti.
Plasmando la loro vita secondo queste virtù e insegnandole ai giovani, cristiani e musulmani non solo mostrano come favoriscono il pieno sviluppo della persona umana, ma anche come stringono legami di solidarietà con i loro vicini e promuovono il bene comune.
Amici, io credo che oggi un compito particolarmente urgente della religione è di rendere manifesto il vasto potenziale della ragione umana, che è essa stessa un dono di Dio ed è elevata mediante la rivelazione e la fede.
Credere in Dio, lungi dal pregiudicare la nostra capacità di comprendere noi stessi e il mondo, la dilata.
Lungi dal metterci contro il mondo, ci impegna per esso.
Siamo chiamati ad aiutare gli altri nello scoprire le tracce discrete e la presenza misteriosa di Dio nel mondo, che Egli ha creato in modo meraviglioso e sostiene con il suo ineffabile amore che abbraccia tutto.
Anche se la sua gloria infinita non può mai essere direttamente afferrata in questa vita dalla nostra mente finita, possiamo tuttavia raccoglierne barlumi nella bellezza che ci circonda.
Se gli uomini e le donne consentono all’ordine magnifico del mondo e allo splendore della dignità umana di illuminare la loro mente, essi possono scoprire che ciò che è “ragionevole” va ben oltre ciò che la matematica può calcolare, la logica può dedurre e gli esperimenti scientifici possono dimostrare; il “ragionevole” include anche la bontà e l’intrinseca attrattiva di un vivere onesto e secondo l’etica, manifestato a noi mediante lo stesso linguaggio della creazione.
Questa visione ci induce a cercare tutto ciò che è retto e giusto, ad uscire dall’ambito ristretto del nostro interesse egoistico e ad agire per il bene degli altri.
In questo modo una religione genuina allarga l’orizzonte della comprensione umana e sta alla base di ogni autentica cultura umana.
Essa rifiuta tutte le forme di violenza e di totalitarismo: non solo per principi di fede, ma anche in base alla retta ragione.
In realtà, religione e ragione si sostengono a vicenda, dal momento che la religione è purificata e strutturata dalla ragione e il pieno potenziale della ragione viene liberato mediante la rivelazione e la fede.
Per questo vi incoraggio, cari amici musulmani, a penetrare la società con i valori che emergono da questa prospettiva ed accrescono la cultura umana, così come insieme lavoriamo per edificare una civiltà dell’amore.
Che l’entusiastica cooperazione tra musulmani, cattolici ed altri cristiani in Camerun sia per le altre nazioni africane un faro luminoso sul potenziale enorme di un impegno interreligioso per la pace, la giustizia e il bene comune! Con questi sentimenti esprimo ancora una volta la mia gratitudine per questa promettente opportunità di incontrarvi durante la mia visita in Camerun.
Ringrazio Dio onnipotente per le benedizioni che Egli ha concesso a voi e ai vostri concittadini e prego affinché i legami che uniscono cristiani e musulmani nella loro profonda venerazione dell’unico Dio continuino a rafforzarsi così che essi diventino un riflesso più chiaro della saggezza dell’Onnipotente che illumina i cuori dell’intera umanità.
(©L’Osservatore Romano – 20-21 marzo 2009) Una religione genuina «rifiuta tutte le forme di violenza e di totalitarismo, non solo per principi di fede, ma anche in base alla retta ragione».
Lo ha detto PapaBenedetto XVI alla nunziatura di Yaoundé, in Camerun, dove ha incontrato i rappresentanti dei musulmani del Paese africano.
Il colloquio si è svolto a porte chiuse.
All’indomani delle polemiche scaturite dalle parole dello stesso pontefice, che aveva giudicato inutile l’uso dei preservativi nella lotta all’Aids, Ratzinger affronta dunque il tema dell’ecumenismo.
CONVIVENZA POSSIBILE In Camerun l’Islam rappresenta circa il 22% di una popolazione di 17 milioni di persone e intrattiene buoni rapporti con le altre componenti religiose, a partire dai cattolici (il 27%).
Benedetto XVI ha lodato questo esempio di convivenza sottolineando che in questa nazione cristiani e musulmani «offrono testimonianza dei valori fondamentali della famiglia, della responsabilità sociale, dell’obbedienza alla legge di Dio, e dell’amore verso i malati e i sofferenti».
FEDE E RAGIONE Il Papa ha ripreso però anche il discorso sulla ragionevolezza delle religioni, un tema che aveva affrontato nel suo controverso discorso a Ratisbona.
«Oggi – ha detto ai musulmani – un compito particolarmente urgente della religione è di rendere manifesto il vasto potenziale della ragione umana, che è essa stessa un dono di Dio ed è elevata mediante la rivelazione e la fede».
Benedetto XVI ha rimarcato che «in realtà religione e ragione si sostengono a vicenda, dal momento che la religione è purificata e strutturata dalla ragione e il pieno potenziale della ragione viene liberato mediante la rivelazione e la fede».
«In questo modo – ha concluso – una religione genuina allarga l’orizzonte della comprensione umana e sta alla base di ogni autentica cultura umana.
Essa rifiuta tutte le forme di violenza e di totalitarismo».
Corriere, 19 marzo ’09