L’autore della testimonianza: si tratta dell’avvocato bavarese Josef Müller (1898-1979), esponente del cattolicesimo politico tedesco durante la repubblica di Weimar e dopo la seconda guerra mondiale tra i fondatori della Csu.
Durante il regime nazista, fu tra gli esponenti più attivi dell’opposizione ed è noto soprattutto per i contatti assidui che ebbe col Vaticano tra il 1939 e il 1940.
Müller faceva parte dei servizi segreti tedeschi (Abwehr) dell’ammiraglio Canaris, uno dei centri occulti dell’opposizione anti-hitleriana.
Fu inviato a Roma con una scusa, in realtà per prendere contatto con l’entourage del Pontefice (in cui erano presenti molti prelati tedeschi) e mettere a conoscenza lo stesso Pio XII dei progetti dell’opposizione tedesca e dei suoi piani per rovesciare Hitler e costruire una Germania democratica.
Soprattutto chiese che il Papa se ne facesse tramite e garante con il governo inglese, ruolo che Pio XII, con notevolissimi rischi, accettò di svolgere per mezzo dell’ambasciatore inglese presso la Santa Sede, Osborne.
Si trattò, come ha scritto Renato Moro, di un “fatto assolutamente sbalorditivo nella storia del papato”, ma le vittorie di Hitler in Norvegia e poi in Francia fecero abortire l’operazione.
Müller venne arrestato nel 1943 e tradotto nel campo di concentramento di Flossenbürg, ma – a differenza di altri detenuti illustri di quel campo (e suoi compagni di cospirazione) come Canaris e il pastore Dietrich Bonhoeffer, che furono uccisi nell’aprile del 1945 – egli fu trasferito in Alto Adige, nel paese di Niederdorf (Villabassa) con altri 138 prigionieri “speciali” (fra cui Léon Blum e la moglie), per essere usati dalle SS come eventuali pedine di scambio.
I prigionieri furono liberati il 5 maggio 1945 dalla v armata americana e, neanche un mese dopo, ritroviamo Müller in Vaticano.
Il 2 giugno, nel tradizionale incontro col Sacro Collegio che gli faceva gli auguri per la ricorrenza onomastica di sant’Eugenio, Pio XII affrontò per la prima volta in pubblico il problema dei rapporti fra la Chiesa e il nazismo: “Voi vedete – affermò tra l’altro – ciò che lascia dietro di sé una concezione e un’attività dello Stato, che non tiene in nessun conto i sentimenti più sacri dell’umanità, che calpesta gli inviolabili principi della fede cristiana.
Il mondo intero, stupito, contempla oggi la rovina che ne è derivata”.
“Questa rovina – aggiungeva – Noi l’avevamo veduta venir di lontano, e ben pochi, crediamo, hanno seguito con maggior tensione dell’animo l’evolversi e il precipitarsi della inevitabile caduta”.
Pio XII ricordava gli anni della sua nunziatura in Germania, il sorgere del nazismo, le vicende che avevano condotto al Concordato del 1933, la condanna di Pio xi nel 1937 con l’enciclica Mit brennender Sorge, che “svelò agli sguardi del mondo quel che il nazionalsocialismo era in realtà: l’apostasia orgogliosa da Gesù Cristo, la negazione della sua dottrina e della sua opera redentrice, il culto della forza, l’idolatria della razza e del sangue, l’oppressione della libertà e della dignità umana”.
Poi ricordava i suoi messaggi durante la guerra (specialmente il radiomessaggio del Natale 1942) e le persecuzioni che preti e laici avevano subite in quegli anni terribili: “Con una insistenza sempre crescente il nazionalsocialismo ha voluto denunziare la Chiesa come nemica del popolo germanico.
L’ingiustizia manifesta dell’accusa avrebbe ferito nel più vivo i sentimenti dei cattolici tedeschi e i Nostri propri, se fosse uscita da altre labbra; ma su quelle di tali accusatori, lungi dall’essere un aggravio, è la testimonianza più fulgida e più onorevole dell’opposizione ferma, costante sostenuta dalla Chiesa contro dottrine e metodi così deleteri, per il bene della vera civiltà e dello stesso popolo tedesco, cui auguriamo che, liberato dall’errore che l’ha precipitato nell’abisso, possa ritrovare la sua salvezza alle pure sorgenti della vera pace e della vera felicità, alle sorgenti della verità, della umiltà, della carità, sgorgate con la Chiesa dal Cuore di Cristo”.
Ad alcuni questo discorso dispiacque: si rilevò che una così schietta franchezza si udiva solo allora, quando il nazismo era ormai stato vinto, ma che negli anni precedenti il parlare del Pontefice era risultato spesso meno diretto e più diplomatico.
Molti poi lo collegarono alla presenza in Vaticano proprio di Müller, che – si diceva – avrebbe avuto un ruolo nella sua stesura.
Di tutto questo l’avvocato bavarese parlò, la sera del 3 giugno, con Harold H.
Tittmann, il giovane incaricato d’affari statunitense presso la Santa Sede, che dal 1940 viveva a Roma e, dopo Pearl Harbor, in Vaticano.
Del colloquio Tittmann inviò, il giorno dopo, un preciso resoconto al suo superiore Myron Taylor, il rappresentante personale del presidente degli Stati Uniti presso il Pontefice.
Müller innanzitutto smentiva di avere avuto parte “nella preparazione di alcun passaggio del discorso del Papa”, ma ammetteva di avergli fornito “le informazioni sulle quali alcuni passaggi erano basati”.
Al diplomatico americano che gli riferiva di “aver udito critiche piuttosto diffuse verso il Papa (…), poiché egli aveva aspettato finché la Germania era stata sconfitta prima di attaccare i nazisti in pubblico”, Müller rispose a lungo, rievocando le precise richieste che proprio la resistenza tedesca di orientamento aristocratico-militare (che fu poi quella che avrebbe organizzato l’attentato del 20 luglio 1944) aveva fatto ripetutamente al Pontefice: “Il dottor Müller – scriveva Tittmann – ha detto che durante la guerra la sua organizzazione anti nazista in Germania aveva sempre molto insistito che il Papa si trattenesse dal fare qualsiasi dichiarazione pubblica specificamente diretta come condanna contro i nazisti, e aveva raccomandato che le osservazioni del Papa si mantenessero entro i limiti delle sole considerazioni generali.
Il dottor Müller ha detto di essere stato obbligato a dare questo consiglio, poiché se il Papa fosse stato specifico, i tedeschi lo avrebbero accusato di cedere alle pressioni di potenze straniere e ciò avrebbe reso ancor più sospetti di quanto non fossero i cattolici tedeschi e avrebbe grandemente ristretto la loro libertà d’azione nella loro opera di resistenza al nazismo.
Il dottor Müller ha detto che la politica della resistenza cattolica in Germania era che il Papa dovesse tenersi in disparte, mentre la gerarchia tedesca portava avanti la lotta contro il nazismo all’interno della Germania, senza che influenze esterne si manifestassero.
Il dottor Müller ha detto che il Papa ha seguito questo consiglio per tutta la durata della guerra.
(…) Egli immagina che il Papa abbia deciso di scendere ora in campo aperto contro i nazisti poiché le implicazioni delle sue denunce sono attualmente assai importanti e sembrano al Papa soverchiare altre considerazioni”.
Anche la testimonianza di Müller conferma, dunque, che sarebbero state una serie di specifiche richieste provenienti dalla Germania ad avere svolto un ruolo non secondario nel più generale atteggiamento di Pio XII di quei tragici anni.
Si potrà discutere – come scriveva nel 1969 Maritain – se abbia avuto torto o ragione a seguire questi pareri ed eventualmente allargare il discorso anche ai limiti politico-culturali che segnarono l’opposizione aristocratico-militare (che tuttavia pagò spesso con una morte eroica la sua scelta anti-nazista), ma nel quadro complesso di cui prima si ragionava, bisogna far posto anche a quei suggerimenti.
Di particolare rilievo pare, come detto, la precocità della testimonianza, proprio a ridosso dei fatti, quando le critiche a Pio XII non andavano oltre qualche mormorio diplomatico e, invece, era generalmente riconosciuto e lodato il ruolo umanitario svolto dal Vaticano durante la guerra.
Lo storico ipercritico potrebbe liquidare tutto, sostenendo che il cattolico Müller altro non voleva che “coprire” il Papa di fronte a quelle prime riserve.
Ma l’ipercritica rischia troppo spesso di fare piazza pulita di ogni testimonianza, se non di quelle che le convengono.
(©L’Osservatore Romano – 6 febbraio 2010) Nel dibattito in corso sull’operato di Pio XII e in particolare sul problema dei “silenzi” del Pontefice sulla tragedia della Shoah è utile riconsiderare una testimonianza riguardante più in generale la politica vaticana verso Hitler e i suoi rapporti con l’opposizione anti-nazista in Germania.
Mi pare una testimonianza non trascurabile, sia per l’autore, sia per la precocità: è, come vedremo subito, del giugno 1945, a ridosso quindi della fine della guerra.
È compresa in un documento (n.
242) pubblicato nella straordinaria raccolta curata da Ennio Di Nolfo nel 1978 e dedicata a Vaticano e Stati Uniti 1939-1952 (Milano, Franco Angeli, 1978): non è ignota – fra gli altri ne fece cenno, qualche anno fa, Piero Melograni – ma non è sembrata sempre presente a quanti in questi ultimi tempi hanno ripercorso queste complesse vicende.
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Svolta epocale: cambiano le superiori
”Italiano, matematica e lingua straniera materie chiave della riforma” Italiano, matematica e la lingua straniera, sono le materie chiave della riforma delle superiori, secondo il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini: “Abbiamo individuato tre materie chiave, che sono matematica, italiano e la lingua straniera.
In tutti i licei – ha spiegato il ministro, nel corso della trasmissione Nove in punto di Radio 24 – si dovrà studiare almeno una lingua straniera per tutti e cinque gli anni e all’ultimo anno vi è la possibilità di fare una materia curricolare in lingua”.
Ripercorrendo, poi, gli elementi fondanti della sua riforma il ministro ha spiegato che per i licei è stato “confermato l’impianto generale tentando un collegamento tra tradizione e alcuni elementi innovativi come l’introduzione del liceo delle scienze umane e del liceo musicale e coreutico”.
Mentre l’istruzione tecnica è stata maggiormente rivisitata anche perché, ha chiarito la Gelmini, “rappresenta una delle risposte più importanti alla crisi.
Oggi le aziende chiedono almeno 150mila profili tecnici che la scuola non riesce a sfornare.
E’ un dato su cui lavorare – ha proseguito – se vogliamo concretamente affermare che al centro mettiamo i giovani.
Con la riforma vogliamo creare un matching, una collaborazione più forte tra scuola e mondo del lavoro.
Anche per questo alla stesura del regolamento per l’istruzione tecnica ha partecipato anche il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi”.
Il ministro ha poi difeso la scuola paritaria, che “non va demonizzata”, perché grazie ad essa lo Stato “risparmia 5 miliardi e 600 milioni di euro”.
Il ministro in particolare si è scagliata contro “questa conflittualità ideologica (tra scuola privata e pubblica, NdR) che per molti anni ha bloccato il dibattito sulla riforma della scuola”: “Dobbiamo solo pensare a garantire ai ragazzi, indipendentemente dal ceto sociale, dal luogo di residenza, una buona scuola.
E dobbiamo ragionare meno di curricula e ore di insegnamento e pensare ad un progetto che parta dalla centralità della persona”.
L’aggettivo “epocale” con il quale il ministro Gelmini ha qualificato la riforma dell’istruzione secondaria varata questa mattina dal Consiglio dei ministri ha “sbalordito” la capogruppo del Pd Anna Finocchiaro, a cui giudizio “spacciare per riforma epocale della scuola superiore quella che altro non è che una serie di misure dettate da necessità di cassa ci sembra davvero una enormità”.
Inoltre, aggiunge la Finocchiaro, per fare questa riforma “il governo ha scelto la strada più veloce e meno democratica, privando il Parlamento e il Paese di un confronto serio e doveroso”.
Non è affatto d’accordo la presidente della commissione Istruzione della Camera Valentina Aprea, Pdl, a cui avviso “i regolamenti approvati oggi sono il frutto di un travagliato ma felice dibattito politico-istituzionale.
Dopo tanti anni di sperimentazioni per la prima volta la politica, il governo e il Parlamento, riformano la scuola secondo criteri di modernità ed europei”.
Anche l’ex titolare di viale Trastevere Giuseppe Fioroni, Pd, insiste sui vincoli di finanza pubblica che hanno gravato sulla riforma: “Fare della scuola il bancomat del governo”, ha detto, “approvando tagli di ore e di personale per fare cassa e camuffando tutto sotto la parola ‘riforma’ e’ solo un altro modo per umiliarla.
Per fare riforme serie servono risorse vere: il tornio non diventa un laboratorio di elettronica con la bacchetta magica”.
Su questo punto il ministro Gelmini ha replicato puntigliosamente durante la conferenza stampa svoltasi dopo la seduta del Consiglio dei ministri: “Qualcuno sostiene che riforma è stata fatta per fare cassa.
Nulla di più falso, anzi è il frutto di un lavoro approfondito, necessario e urgente”.
E poi, ha aggiunto polemicamente, proprio questa settimana “l’Ocse ha bastonato l’Italia perchè rea di avere un numero di ore eccessivo per l’apprendimento.
Abbiamo abbandonato l’approccio quantitativo per far prevalere la qualità, non è aumentando le ore che si migliora la didattica”.
Tuttoscuola Via libera del Consiglio dei ministri alla riforma che riordina l’istruzione secondaria superiore.
Il riordino che riguarda licei, istituti tecnici e professionali sarà attuato dal prossimo anno scolastico (2010-2011), a partire dalle sole prime classi.
La riforma prevede uno sfoltimento degli indirizzi di studio: i licei diventeranno 6 (dagli attuali 450 indirizzi tra sperimentazioni e progetti assistiti), gli istituti tecnici da 10 con 39 indirizzi scenderanno a 2 con 11 indirizzi, i professionali da 5 corsi e 27 indirizzi saranno snelliti a 2 corsi e 6 indirizzi.
“Ci hanno accusato di aver cambiato per fare cassa.Niente di più falso: era un atto atteso da 50 anni”.
Così la riforma è stata introdotta dalla Gelmini in una conferenza stampa insieme a Silvio Berlusconi.
Il premier ha parlato di un alegge “che ci mette in linea con l’Europa”, non resistendo a due battute: sulla musica (“La mia e di Apicella sarà materia di studio”) e sul ministro (“Ha fatto la riforma invece del viaggio di nozze”).
Ecco dunque come si presenterà la nuova scuola superiore.
LICEI – Si passa a sei licei: classico, scientifico, linguistico, artistico (articolato in sei indirizzi per facilitare la confluenza degli attuali istituti d’arte e garantire continuità ad alcuni percorsi di eccellenza), musicale e delle scienze umane (questi due ultimi licei sono vere new entry).
Nel classico verrà introdotto l’insegnamento di una lingua straniera per l’intero quinquennio, potenziando anche l’area scientifica e matematica.
Nello scientifico tradizionale è aumentato il peso della matematica e delle discipline scientifiche; è prevista una nuova opzione delle “scienze applicate” che raccoglie l’eredità della sperimentazione scientifico-tecnologica.
Il linguistico prevederà sin dal primo anno l’insegnamento di tre lingue straniere, dal terzo anno una materia sarà impartita in lingua straniera (dal quarto anno le discipline insegnate in lingua straniera diventeranno due).
Nel liceo musicale saranno istituite 40 sezioni musicali e 10 coreutiche; potranno essere attivate in convenzione con conservatori e accademie di danza.
Il liceo delle scienze umane sostituisce il liceo sociopsicopedagogico ed è prevista la possibilità di attivare una sezione economico-sociale.
Tutti i licei prevederanno 27 ore settimanali nel primo biennio e 30 negli anni successivi con alcune eccezioni (nel liceo classico negli ultimi 3 anni sono previste 31 ore per rafforzare la lingua straniera; nell’artistico fino a 35 ore e nel musicale fino a 32 ore).
ISTITUTI TECNICI – Si passa a 2 settori – economico e tecnologico – e 11 indirizzi.
Tutti gli attuali corsi e le relative sperimentazioni confluiranno gradualmente nel nuovo ordinamento.
L’orario settimanale sarà di 32 ore di 60 minuti (ora sono 36 ore di 50 minuti).
Sono previsti più laboratori: negli indirizzi del settore tecnologico 264 ore nel biennio e 891 nel triennio.
Ulteriori risorse di personale saranno assegnate alle scuole per potenziare le attività didattiche di laboratorio. Sono state incrementate le ore di inglese (con la possibilità di studiare altre lingue) e favorita la diffusione di stage, tirocini e l’alternanza scuola-lavoro.
ISTITUTI PROFESSIONALI – Si passa a 2 macro-settori – servizi e industria/artigianato – e 6 indirizzi.
I professionali avranno un orario settimanale corrispondente a 32 ore di lezione (ora 36).
Avranno maggiore flessibilità rispetto agli istituti tecnici (25% in prima e seconda classe, 35% in terza e quarta, 40% in quinta, in aggiunta al già previsto 20% di autonomia).
Il percorso è articolato in due bienni e un quinto anno.
Gli istituti professionali potranno utilizzare le quote di flessibilità per organizzare percorsi per il conseguimento di qualifiche di durata triennale e di diplomi professionali di durata quadriennale.
Anche in questo comparto di istruzione sono previsti più laboratori, stage, tirocini e alternanza scuola-lavoro per apprendere, soprattutto nel secondo biennio e nel quinto anno, attraverso l’esperienza diretta.
(Repubblica 04 febbraio 2010) Il Consiglio dei Ministri ha definitivamente approvato i tre decreti presidenziali che, dal prossimo anno scolastico (2010-2011), riformano l’istruzione superiore con il riordino di licei, istituti tecnici e istituti professionali.
La riforma delle scuole superiori (licei, istituti tecnici e professionali) partirà solo dalle classi prime, come hanno chiesto le commissioni parlamentari, i sindacati e il Consiglio nazionale della pubblica istruzione.
Ma per conseguire i risparmi previsti dalla legge 133 del 2008,all’articolo 64, in tutti gli indirizzi fin dal prossimo anno, ci sarà un taglio delle ore che riguarderà seconde, terze e quarte classi.
Le ore si ridurranno a 32 al massimo in tecnici e professionali e a 30 nei licei per terze e quarte, 27 per le seconde.
I criteri per la decurtazione sono già stati stabiliti: saranno toccate le materie che hanno 99 o più ore annue, quindi quelle fondanti.
Comunque ciascuna di esse non potrà essere tagliata per più del 20%.
Si tratta, spiega in una nota il ministero dell’Istruzione, di una “riforma epocale” che partirà dal 2010 e che “segna un passo fondamentale verso la modernizzazione del sistema scolastico italiano”.
L’impianto complessivo dei licei, infatti, risale alla legge Gentile del 1923.
Con questa riforma, aggiunge il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, si vuole: “Fornire maggiore sistematicità e rigore e coniugare tradizione e innovazione; razionalizzare i piani di studio, privilegiando la qualità e l’approfondimento delle materie; caratterizzare accuratamente ciascun percorso liceale e articolare il primo biennio in alcune discipline comuni, anche al fine di facilitare l`adempimento dell`obbligo di istruzione e il passaggio tra i vari percorsi; riconoscere ampio spazio all`autonomia delle istituzioni scolastiche e infine consentire una più ampia personalizzazione, grazie a quadri orari ridotti che danno allo studente la possibilità di approfondire e recuperare le carenze”.
Alla riforma dei licei si accompagna quella dell’istruzione tecnica e professionale che, evidenzia il Ministero, “era attesa da quasi 80 anni”.
Le norme introdotte con i nuovi Regolamenti riorganizzano e potenziano questi istituti a partire dall’anno scolastico 2010-2011 come scuole dell’innovazione.
Intervista a Walter Kasper : “Vian e Bertone estranei al caso Boffo-Feltri”
Intervista a Walter Kasper a cura di Giacomo Galeazzi «In Vaticano nessuno crede al coinvolgimento del cardinale Bertone e di Giovanni Maria Vian nel caso Boffo.
Un certo anticlericalismo attacca la Chiesa inventando inesistenti guerre per bande all’interno della Santa Sede, però non è il caso di dargli peso.
Ciò che non ha fondamento termina presto di fare danni».
Il cardinale tedesco Walter Kasper, ministro vaticano per l’Unità dei cristiani e per l’ebraismo, assicura che la Curia «non ha mai preso in considerazione la ridicola teoria di un complotto della Segreteria di Stato e dell’Osservatore Romano per far dimettere il direttore di “Avvenire”.
Le responsabilità vanno ricercate altrove, sono solo assurdi veleni e polemiche strumentali».
Le carte contro Boffo sono state fornite dal Vaticano come sostiene il direttore del «Giornale» Feltri? «Assolutamente no.
Ci sono già state smentite ufficiali mesi fa.
Insistendo con le voci infondate non si racconta la Chiesa per quello che è veramente.
Si fornisce una lettura tutta politica, si ipotizzano conflitti, si nega ogni armonia.
E’ una prospettiva completamente diversa da quella reale, perciò in Vaticano nessuno pensa che le carte contro Dino Boffo abbiano una provenienza interna e che alcun tipo di responsabilità sia in qualche modo ricollegabile all’Osservatore Romano o addirittura alla Segreteria di Stato.
E’ una costruzione non solo inverosimile ma anche priva di senso».
Perché? «Non esisteva alcun motivo per una macchinazione del genere.
Quando la Segreteria di Stato vaticana vuole intervenire per modificare una situazione, correggere una rotta o favorire la sostituzione di una persona, è in grado di farlo alla luce del sole, direttamente.
Non solo non verrebbe mai fatta una cosa simile, ma non ce ne sarebbe neppure bisogno.
Per questo le voci sulla provenienza interna della vicenda Boffo qui non vengono prese sul serio.
E’ impensabile che c’entrino Bertone e Vian.
Circolano sui mass media versioni totalmente inventate.
Io non ci ho mai creduto perché non sono né logiche né meritevoli di attenzione» Da cosa nasce tutto questo? «Se si racconta la Chiesa solo in termini politici è per una crescente tendenza anticlericale e antiecclesiastica.
C’è un’ostilità alla Chiesa che spinge a ricercare e gonfiare conflitti e spaccature.
Quando non ci sono, si inventa.
Ai nemici e ai critici interessa questo della Chiesa, non la dimensione spirituale Ma la Chiesa deve aspettarsi questi attacchi, Gesù lo ha predetto.
Anche lui è stato attaccato e la Chiesa ha il suo stesso destino.
Il messaggio evangelico è diverso dal mondo e perciò cercano punti di conflitto per danneggiare la Chiesa».
Soprattutto Vian è nel mirino…
«Senza motivo.
Inoltre da quando lui è direttore, l’Osservatore è molto migliorato, molto più leggibile, interessante, attuale, proprio come lo voleva Benedetto XVI.
Prima era un giornale troppo italiano, adesso ha un taglio culturale internazionale, è più attento all’ecumenismo, al dialogo interreligioso, dà spazio anche ad autori non cattolici.
E’ prova di una Chiesa viva che per la sua presenza nella vita pubblica infastidisce alcuni, però l’attacco dei nemici è il riconoscimento della vitalità».
Come finirà il caso Boffo? «Quello che si gonfia o si inventa non dura.
Io ho esperienza sia di diocesi sia di Curia.
In Vaticano ci sono visioni diverse ma non spaccature o lotte di potere.
Anzi l’uniformità totale sarebbe la morte.
Leggere di congiure da corte dei Borgia o scenari “fantasy” alla Dan Brown mi fa pensare che il Vangelo fino alla fine del mondo sarà sempre contestato.
Lo è stato Cristo e lo sarà sempre la sua Chiesa che non piacerà mai a tutti, ma dobbiamo avere il coraggio di dare testimonianza.
Martedì nella presentazione di Cristo, è stato definito segno di contraddizione.
Vale anche per la Chiesa».
E’ solo un problema di immagine? «Per i mass media l’armonia è noiosa.
Tra le Chiese cristiane quella cattolica è la più unita.
Le Chiese protestanti sono ultraliberali e senza un chiaro profilo non hanno più forza, mentre quella cattolica è considerata potente e perciò disturba la sua presenza, il suo peso nella società secolarizzata.
Ma questi attacchi a lungo termine diventano un boomerang per chi cerca di screditarla dipingendola come una centrale di intrighi».
A settembre partirà la Riforma della secondaria
Con i pareri favorevoli del Senato sugli schemi di regolamento per la riforma delle superiori, espressi ieri con il voto contrario del Pd e dell’IdV, si chiude la fase consultiva, rimettendo ora la parola definitiva al Governo che dovrà varare i testi definitivi (forse la prossima settimana).
I tre relatori di maggioranza (Franco Asciutti per il ramo licei, Mario Pittoni per l’istruzione professionale, e Cristiano De Eccher per i tecnici) si sono dichiarati soddisfatti e in vario modo hanno previsto miglioramenti dei testi iniziali dei regolamenti.
Se si esclude la modifica di avvio della riforma che dovrebbe riguardare solo il primo anno (voluta da tutti e dallo stesso ministro), di certo, però, ancora non c’è proprio nulla, nemmeno su geografia, la disciplina in pericolo di estinzione per la quale gli stessi relatori hanno cercato, però, di buttare acqua sul fuoco della polemica.
Gli esperti del Miur sono ora impegnati ad apportare le modifiche richieste, se possibili e coerenti con l’impianto di razionalizzazione voluto dall’articolo 64 della legge 133/2009.
Si tratta di una vera e propria quadratura del cerchio che, però non mette in discussione l’avvio della riforma dal prossimo settembre.
Con tutta probabilità l’assestamento avverrà in corso d’opera.
La senatrice Finocchiaro per il Pd ha confermato il giudizio severo già espresso dalla collega Garavaglia che ha bollato la riforma come effetto di una manovra finanziaria.
“Sarà fondamentale anche l’alternanza scuola-lavoro – ha affermato il senatore di maggioranza Giuseppe Valditara – e, per quello che mi riguarda, il raccordo tra scuola e università, riprendendo il meglio della riforma Moratti.
Ho suggerito che per chi proviene dall’istruzione professionale ci sia un corso integrativo prima dell’esame di maturità e quindi dell’iscrizione all’università”.
iPad, la “terza via”
A lungo chiacchierato, da molti anche sognato, l’iPad è finalmente una realtà.
Una realtà che non ha deluso, il rischio c’era, le molte aspettative.
Steve Jobs dal palco dello Yerba Buena di San Francisco ride sotto la barba volutamente incolta: dopo la vittoria sul tumore al pancreas, il visionario (e milionario) di Cupertino era tornato proprio per questo, per lanciare un prodotto sostanzialmente nuovo.
Un oggetto multifunzionale a cui sono in molti a guardare con attenzione, nel campo dell’editoria, a seguito degli accordi con giornali – come il New York Times – ed editori – Penguin e Hachette tra gli altri -, ma anche in quello dei videogiochi, della musica e di cinema e televisione.
Si parla già infatti di «iPad economy» e di un rilancio dei consumi che passa anche attraverso questo gadget.
«È un prodotto magico e rivoluzionario», ha esordito così il ceo di Apple, presentando il tablet pc che vuole definire una nuova categoria hi-tech, una via di mezzo tra uno smartphone e un computer portatile.
L’aspetto della «tavoletta» con schermo multitouch da 9,7 pollici è quello di un grande iPhone, con cui condivide lo stesso sistema operativo.
Sottile — 1,3 centimetri di spessore — e maneggevole, l’iPad viene proposto dall’azienda californiana come la nostra finestra (quasi) portatile sul mondo digitale.
Navigazione in Internet ed email, video e film in alta risoluzione emusica, album fotografico, mappe interattive, videogiochi, lettore digitale per libri e giornali: l’idea è quella di un solo oggetto capace di fare tutto.
E anche in grado di far vendere di tutto, tramite il negozio online iTunes preinstallato.
Dopo i primi accordi «americani» presentati — dal New York Times alla Disney alla casa editrice di videogiochi Electronic Arts —, arriveranno nei prossimi mesi anche quelli internazionali che, per esempio, porteranno nella nuova libreria digitale iBooks libri e riviste anche in lingua italiana.
Dopo oltre due anni di «rumors», l’attenzione di mezzo mondo era rivolta a San Francisco: i siti che seguivano in diretta l’evento sono stati letteralmente presi d’assalto, spesso andando in tilt (è il caso di Twitter).
Nessuna delusione, come detto, neanche per gli oltre 75 milioni di possessori di iPhone e iPod Touch: su iPad possono «girare» gli oltre 3 miliardi di applicazioni già scaricate dall’AppStore.
Che presto inizierà a popolarsi anche di software realizzati appositamente per il nuovo tablet pc.
Un lungo applauso, uno dei tanti della mattinata californiana, ha quindi accompagnato Jobs quando ha sciolto quello che forse era il più grande dubbio dei fan vecchi e nuovi: il costo, spesso non indifferente per i prodotti della Mela.
Secondo quanto annunciato, la «tavoletta» multimediale arriverà nei negozi di tutto il mondo entro marzo a un prezzo inferiore a quanto pronosticato: 499 dollari per il modello base, quello con 16 Gb di memoria interna e connettività wi-fi.
Da aprile quindi è atteso l’arrivo anche degli iPad dotati di schede Sim per la navigazione 3G, e qui il prezzo lievita fino ad arrivare a 829 dollari per la versione di punta.
Un trionfo annunciato, dunque, della multinazionale della Mela morsicata che però ha lasciato un grande interrogativo.
Una domanda che a fine presentazione si è fatto lo stesso Jobs, lasciandola significativamente senza risposta: «C’è posto sul mercato per un oggetto ibrido come un tablet?».
Secondo gli analisti di settore questo potrebbe essere il vero punto debole per il neonato iPad.
E non è un caso che pochi minuti dopo l’inizio della presentazione, il titolo Apple sia subito calato in Borsa.
(La diretta dell’evento – Le foto – Video)
Che cosa vuol dire morire
Chi dovesse leggere le sei interviste curate da Daniela Monti con il titolo Che cosa vuol dire morire (Einaudi Stile Libero, pagg.
120, euro 14) in prossimità di un telegiornale di questi ultimi giorni potrebbe essere colto da un leggero senso di vertigine.
Apprendere che la morte è sempre personale, che nel giro di un paio di generazioni sarà autogestita dall´uomo o che, addirittura, non è mai esistita, come sostengono alcuni dei filosofi intervistati, davanti alle immagini dei mucchi di morti in putrefazione nelle strade di Port-au-Prince non è boccone facile da ingoiare anche per palati molto sofisticati.
Ma ciò non vuol dire si tratti di discorsi inutili o astratti.
Al contrario, le riflessioni di Aldo Schiavone, Giovanni Reale, Remo Bodei, Roberta de Monticelli, Vito Mancuso ed Emanuele Severino, sollecitate dalle intelligenti domande della curatrice, rispondono ad un´esigenza fortemente sentita.
Che è quella di liberare la discussione sulla morte dai limiti specialistici del lessico medico o giuridico, situandola in un più ampio orizzonte di pensiero.
Vero è che fin dalla sua origine la filosofia, anche quando si è orientata sui problemi della vita, non ha mai smesso di riflettere su quella morte che ne costituisce non solo la pagina finale, ma anche la cornice inevitabile.
E tuttavia neanche questo ricchissimo patrimonio può bastare nel momento in cui il fenomeno della morte – come del resto quello della nascita – sperimenta una radicale mutazione dovuta alla straordinaria capacità della tecnica a penetrarne i confini prima ermeticamente sigillati.
Naturalmente tutto ciò, piuttosto che chiudere il problema, lo apre a una serie di domande e di conflitti di cui anche la cronaca recente, con i casi Welby ed Englaro, ha recato tragica testimonianza.
Come prima Nietzsche e poi Foucault avevano precocemente intuito, l ´oggetto centrale dello scontro, etico e politico, del nostro tempo è, e sempre più sarà, costituito precisamente dal corpo vivente, e morente, degli uomini.
Qual è la frontiera tra la vita e la morte e chi è deputato a fissarla? Come si incrociano, su di essa, libertà individuale e interesse collettivo, diritto e medicina, teologia e politica? La filosofia non poteva mancare di dire la sua – senza pretendere di risolvere questioni costitutivamente irresolubili, ma almeno cercando di fare chiarezza su di esse.
Naturalmente, come sempre avviene in questi casi, provocando altri interrogativi ed aprendo nuove contraddizioni.
Proverei a raggrupparle all´interno di tre bipolarità concettuali, seguendo il filo dei ragionamenti svolti nel libro.
La prima è costituita dal rapporto tra storia e destino, al centro degli interventi di Schiavone e Bodei.
Dire – come fanno entrambi – che il prodigioso sviluppo tecnologico spinge la vita, e dunque la morte, in un´orbita non più naturale, ma intensamente storica, perché aperta all ´intervento umano, vuol dire che una lunghissima epoca, iniziata con la comparsa dell´uomo sulla terra, si va concludendo.
Senza poter sapere cosa ci riserva il futuro, e senza sottovalutare i rischi che tale trasformazione comporta, per i due autori il percorso verso la liberazione della specie umana dai vincoli della natura è ormai segnato.
Nonostante il suo fascino, il problema di fondo che vedo in simile prospettiva non sta tanto nella perdita della dimensione naturale a favore di quella storica, quanto, piuttosto, in una concezione troppo fluida della stessa storia – e cioè in una possibile sottovalutazione dei traumi, o delle fughe di senso, che troppe volte l´hanno trascinata indietro quando si è illusa di fuggire verso il futuro, dimenticando la propria origine opaca.
Il secondo binomio che emerge dal libro è quello della relazione, altrettanto problematica, tra tecnica e fede.
Certo, i processi di secolarizzazione che caratterizzano il mondo occidentale tendono a spostare il loro confronto a favore della prima.
Le religioni perdono terreno, o si attestano sulla difensiva, davanti all´incalzare della conoscenza scientifica.
Dopo aver perso sia la battaglia con Galileo sia quella con Darwin, la Chiesa cattolica rischia di perdere la guerra.
La intangibilità della vita costituisce per essa l´ultima frontiera su cui attestarsi.
Proprio qui, tuttavia, si determina un singolare rovesciamento di campo.
Come osserva anche Reale, nell´uso di terapie sempre più aggressive volte a trattenere in vita corpi cerebralmente morti, è proprio la Chiesa a sostenere le ragioni della tecnica rispetto alla spontaneità dei processi naturali.
Ma, all´altro capo del binomio, come da tempo insegna Severino, la tecnica a sua volta è diventata una fede, nel senso che ha sostituito la credenza in Dio come argine nei confronti del nulla che ci circonda.
L´ultima coppia bipolare – al centro delle risposte della de Monticelli e di Mancuso – è la relazione tra persona e corpo.
Entrambi vedono nell´idea di persona ciò che riconduce il fenomeno della vita, nel suo rapporto con la morte, dal piano di una falda biologica indifferenziata a quello, individuale, del singolo essere vivente.
Che solo nell´esperienza irripetibile di ciascun uomo e di ciascuna donna la vita sperimenti il suo valore irrinunciabile è una verità indubitabile.
Così come il riferimento alla pari dignità di ogni essere umano.
Meno certo, mi pare, che ad affermarla possa essere proprio quel dispositivo, filosofico e giuridico, della persona che, dalla sua origine romana e cristiana, è sempre servito a dividere il genere umano, e lo stesso corpo vivente, in categorie fornite di diverso valore.
Come che sia, si tratta di sollecitazioni e di dubbi che attestano di per sé tutto l´interesse e il rilievo del libro.
di Roberto Esposito in “la Repubblica” del 26 gennaio 2010 DANIELA MONTI, Che cosa vuol dire morire, Einaudi Torino 2010, pp.
120, Euro 14 Finalmente, in questo libro, a parlare di morte non sono medici, politici, cardinali: ma filosofi.
La morte moderna, ospedalizzata e tecnologica, ci è stata sottratta.
L’esperienza della morte non appartiene più, come la percepivamo una volta, agli eventi naturali della vita.
E abbiamo bisogno allora di fermarci a pensare.
Nelle sei interviste di questo libro, la filosofia riprende la parola.
Aldo Schiavone descrive un futuro in cui si sceglierà come, quando e se morire, Giovanni Reale invoca la giusta misura dei Greci, Remo Bodei giunge ad ammettere eutanasia ed eugenetica, Roberta De Monticelli intreccia morte e libertà, Vito Mancuso traccia una terza via tra indisponibilità della vita e autodeterminazione dell’individuo, Emanuele Severino giunge alla vertigine di negare la negazione e ad affermare l’eternità dell’uomo.
Se non ritorneremo a concepire la morte, finiremo per dimenticarci di essere vivi.
Il Miur rettifica sulle iscrizioni
Il Miur rettifica sulle iscrizioni di Sergio Cicatelli Come avevamo segnalato nel nostro precedente intervento, la CM 4/10 sulle iscrizioni conteneva alcune inesattezze relativamente alle procedure per la scelta delle attività alternative, prevedendo per essa la medesima scadenza della scelta dell’Irc e dando indicazioni contraddittorie sul numero delle opzioni possibili ai non avvalentisi.
Con nota del 21 gennaio 2010, prot.
AOODGOS 427, il Miur ha precisato la prassi da seguire, fornendo le seguenti indicazioni: «In relazione a quesiti pervenuti, si conferma che, come negli scorsi anni, l’Allegato D della CM n.
4 del 15 gennaio 2010 sulle iscrizioni per l’anno scolastico 2010-11, relativo alla scelta di avvalersi o di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, va compilato al momento dell’iscrizione alla classe iniziale.
L’Allegato E della medesima circolare, relativo alla scelta tra le attività alternative all’insegnamento della religione cattolica, va compilato entro l’avvio delle attività didattiche in relazione alla programmazione di inizio d’anno da parte degli organi collegiali.
Si precisa inoltre che le scelte alternative all’insegnamento della religione cattolica, previste dall’Allegato E, costituiscono il numero minimo di opzioni che la scuola offre agli alunni».
La procedura viene quindi ricondotta a quella sempre in uso, anche se con qualche significativa innovazione.
Va infatti ricordato che la scelta delle attività alternative deve essere compiuta solo all’inizio del nuovo anno scolastico, cioè a settembre, mentre la scelta dell’Irc va effettuata entro la scadenza prevista per le iscrizioni, cioè 27 febbraio per l’iscrizione al primo ciclo e 26 marzo per l’iscrizione al secondo ciclo.
È inoltre il caso di rammentare anche che il modulo per avvalersi o non avvalersi dell’Irc (Allegato D) deve essere distribuito dalla scuola solo a coloro che si iscrivono al primo anno, essendo la scelta iniziale confermata negli anni successivi per via dell’iscrizione d’ufficio.
Sulla discordanza tra il testo della circolare (che indicava tre alternative per i non avvalentisi) e quello dell’Allegato E (che prevedeva due sole opzioni), il Miur precisa che la modulistica è da considerare solo indicativa in quanto ogni scuola può personalizzarla come meglio crede, fermo restando che le due alternative contenute nell’Allegato E sono il numero minimo da offrire all’utenza.
In altre parole, la scuola non può negare la facoltà di uscire da scuola (pudicamente descritta come «non frequenza della scuola nelle ore di insegnamento della religione cattolica») né, all’opposto, evitare di offrire qualsiasi opportunità formativa.
Peraltro, nella nuova dizione adottata nell’Allegato E («Attività didattiche individuali o di gruppo con assistenza di personale docente») è da ritenere che possano essere ricomprese sia le tradizionali attività didattiche e formative, sia la libera attività di studio assistito.
È da ritenere che il Miur, evitando di proporre tra le alternative lo studio individuale senza assistenza di personale docente, abbia voluto sfruttare l’occasione delle istruzioni dirette solo alle scuole del primo ciclo per richiamarle a un giusto senso di responsabilità educativa, ritenendo che l’età degli alunni non possa giustificare un’attività priva di assistenza del personale docente.
Per la loro età gli alunni del primo ciclo non dovrebbero essere abbandonati a se stessi (come pure spesso accade), senza offrire loro qualcosa in più di una mera vigilanza.
Potrebbe essere questa l’occasione per riprendere una riflessione interrotta da anni sulla natura e la funzione delle attività alternative all’Irc, allo scopo di rimediare a quel vuoto educativo in cui si vengono a trovare i non avvalentisi.
L’uscita da scuola o, più genericamente, l’ora del nulla non possono più soddisfare un mondo della scuola che ha dovuto prendere atto della vitalità dell’Irc, nonostante le sue difficili condizioni di esercizio.
Se gli avvalentisi non sembrano avviati ad estinguersi, la scuola non può fare a meno di interrogarsi sulla condizione di quei pochi che, avendo scelto di non partecipare all’Irc, si trovano ad usufruire di un servizio scolastico oggettivamente ridotto rispetto agli altri.
La giurisprudenza costituzionale ci ha rassicurato che non siamo in presenza di discriminazione, ma non si può negare il disagio di fronte a una scelta, quella del nulla, che nei fatti si qualifica solo per vacuità e disimpegno.
Ci piacerebbe che si potesse rilanciare costruttivamente la discussione sulle attività alternative per uscire dal vicolo cieco in cui la scuola sembra essersi cacciata.
Il pasticcio delle iscrizioni
Il pasticcio delle iscrizioni di Sergio Cicatelli Il 15 gennaio 2010 il Miur ha pubblicato le CCMM 3 e 4 con cui si forniscono istruzioni per le iscrizioni al prossimo anno scolastico.
Le circolari sulle iscrizioni sono documenti di routine che si ripetono ogni anno, ma questa volta ci sono diverse novità, sia nelle procedure generali che per quanto riguarda l’Irc.
Come è noto, già con una nota del 26 ottobre 2009 il Ministero aveva annunciato che, per via del protrarsi delle operazioni di approvazione dei regolamenti del secondo ciclo, le iscrizioni al prossimo anno scolastico sarebbero slittate dalla scadenza ordinaria di fine gennaio al 27 febbraio.
La CM 3/10 ufficializza quanto si andava dicendo da qualche settimana, e cioè che – sempre per il ritardo dei regolamenti di licei, tecnici e professionali – le scadenze saranno separate: per il primo ciclo è confermato il 27 febbraio, per il secondo ciclo vale invece un’ulteriore proroga al 26 marzo.
La CM 4/10, quindi, regolamenta le iscrizioni solo alle scuole dell’infanzia e del primo ciclo, presentandosi con dimensioni ridotte rispetto al solito per via della materia circoscritta.
Lasciando da parte le istruzioni generali, ci soffermiamo solo su quanto riguarda la scelta di avvalersi o non avvalersi dell’Irc che, come previsto dal Concordato del 1984, va effettuata «all’atto dell’iscrizione».
In proposito, purtroppo, il Ministero incorre in diversi errori e contraddizioni, fornendo indicazioni diverse rispetto al passato, con il concreto rischio di aumentare la confusione che ha sempre accompagnato queste operazioni.
Anziché ribadire le istruzioni dell’anno precedente (che descrivevano correttamente operazioni e scadenze), la CM 4/10 introduce erroneamente almeno due novità in relazione alle attività alternative: 1) riduce da quattro a tre le opzioni per i non avvalentisi; 2) sposta al momento dell’iscrizione la scelta delle attività alternative.
Da un punto di vista formale si può osservare che la gestione delle attività alternative è stata sempre regolata con atti amministrativi e quindi può essere modificata con una semplice circolare, ma sembra piuttosto imprudente innovare in un settore così delicato senza aver prima ascoltato il mondo della scuola o avviato una discussione sul tema.
La decisione del Ministero risulta perciò del tutto affrettata e segnata da sviste grossolane.
Sul primo aspetto, la riduzione delle opzioni offerte ai non avvalentisi può discendere dal fatto che ci si rivolge stavolta alle sole scuole del primo ciclo, dove verosimilmente la scelta di attività individuali senza l’assistenza di personale docente può essere poco praticata.
Tuttavia, i dati raccolti dalla Cei relativamente alla sola scuola secondaria di I grado ci dicono che nello scorso anno scolastico il 13,2% dei non avvalentisi ha chiesto di partecipare ad attività di studio individuale non assistito; quindi la valutazione ministeriale (se questa è stata la motivazione) risulta poco fondata.
Inoltre, mentre nel testo della circolare vengono indicate tre opzioni (peraltro con dizioni rinnovate rispetto al passato), nell’allegato E in cui si riproduce il modulo da sottoporre ai non avvalentisi, le opzioni sono incomprensibilmente ridotte a due sole, «attività didattiche individuali o di gruppo con assistenza di personale docente» e «non frequenza della scuola nelle ore di Irc», cancellando di conseguenza anche la possibilità di frequentare le «attività didattiche e formative» che nello scorso anno, stando ai già citati dati della Cei, sono state richieste e frequentate da uno studente su quattro nella secondaria di I grado.
Probabilmente la discordanza tra testo della circolare e allegato è dovuta a un mero errore materiale, ma nel dubbio occorre almeno capire fin dove si siano spinti i tagli del Ministero, cioè se le opzioni siano ridotte a tre o due.
A nostro parere, non sussistono motivi per non riproporre le quattro alternative che da oltre vent’anni hanno soddisfatto le scelte del non avvalentisi.
A meno di dover attribuire il taglio sulle alternative ai diversi ma concomitanti tagli di personale che quest’anno hanno messo in gravi difficoltà le scuole nel soddisfare le richieste dei non avvalentisi: più comodo quindi sopprimere queste opportunità e dirottare le scelte su generiche attività non programmate o sull’uscita da scuola.
In secondo luogo, ancora più grave è lo spostamento della scelta delle attività alternative dall’inizio delle lezioni al momento delle iscrizioni, contro il disposto della Corte Costituzionale, che nel 1989 (sentenza n.
203) aveva invitato ad evitare «lo schema logico dell’obbligazione alternativa, quando dinanzi all’insegnamento di religione cattolica si è chiamati ad esercitare un diritto di libertà costituzionale non degradabile, nella sua serietà e impegnatività di coscienza, ad opzione tra equivalenti discipline scolastiche», e che nel 1991 (sentenza n.
13) aveva ribadito la necessità di «separare il momento dell’interrogazione di coscienza sulla scelta di libertà di religione o dalla religione, da quello delle libere richieste individuali alla organizzazione scolastica».
Fino ad oggi le istruzioni ministeriali avevano tenuto correttamente separata la scelta sull’Irc (da effettuare al momento dell’iscrizione) dalla scelta sulle attività alternative (da effettuare all’inizio dell’anno scolastico).
Proporre oggi una stessa scadenza per entrambe le scelte significa suggerire di fatto un’equivalenza tra due opzioni assolutamente incomparabili, con il rischio di dar luogo a quella confusione che la Corte Costituzionale chiede di evitare accuratamente.
E dato che per la medesima Corte la facoltatività dell’Irc, cioè le sue concrete modalità di scelta, sono condizione per la legittimità costituzionale dello stesso Concordato, una modifica a questo delicatissimo aspetto induce non solo sospetti di incostituzionalità ma addirittura di violazione del Concordato.
Con tutto ciò che ne potrebbe seguire sul piano giudiziario e diplomatico.
C’è da augurarsi che l’imperizia manifestata in questa occasione dal Ministero sia al più presto corretta dalle necessarie rettifiche e che almeno il testo della circolare che dovrà regolamentare le iscrizioni al secondo ciclo non contenga gli stessi errori.
Il rabbino Riccardo Di Segni
Una visita che «ha valore in sé».
«Come segno di continuità», dice il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, che domenica prossima riceverà Benedetto XVI, quasi 24 anni dopo la storica prima volta di Giovanni Paolo II.
A pochi giorni dal nuovo evento Di Segni ci riceve nel suo studio privato e in questa intervista ad Avvenire affronta con la consueta franchezza tutti i punti più importanti dell’agenda comune ebraico-cattolica.
A cominciare dal cambiamento di clima che nel giro di 12 mesi ha ribaltato una situazione di forte tensione.
Perciò l’esponente ebraico afferma convinto: «Indietro non si torna».
Grazie al dialogo sono stati realizzati «sostanziali passi avanti».
Rabbino, giusto un anno fa la giornata dell’amicizia tra ebrei e cattolici non fu celebrata.
Domenica prossima invece il Papa si recherà nella Sinagoga di Roma.
Che cosa ha determinato questo netto miglioramento? La sospensione della celebrazione della giornata era dovuta alle turbolenze in merito alla preghiera del venerdì santo «pro Judaeis» che toccava un nervo scoperto della sensibilità ebraica.
Se, infatti, il dialogo serve alla conversione degli ebrei, noi lo rifiutiamo per principio.
Il dialogo serve invece per conoscerci e per rispettarci, cioè per farci più forti nelle nostre fedi, conoscendo meglio l’altro.
Se invece ha altri scopi, per noi non ha senso.
Su questo erano necessari dei chiarimenti che grazie al dialogo sono arrivati e questo ha reso possibile rasserenare il clima.
E quest’anno la celebrazione assume un aspetto assolutamente eccezionale.
Qual è il significato di questa visita? La visita ha valore di per sé come gesto di continuità, poiché si colloca sulla scia di un grande gesto compiuto da Giovanni Paolo II.
Il fatto che il gesto venga ripetuto significa che non resta isolato, che questa linea è tracciata e che Benedetto XVI non ha intenzione di tornare indietro.
Perciò si crea un modo di rapportarsi ed una tradizione da seguire.
Papa Ratzinger è già alla sua terza visita in una Sinagoga, è stato al Muro del Pianto e allo Yad Vashem, ha reso omaggio alla Shoah recandosi ad Auschwitz.
E tutto questo in meno di cinque anni di pontificato.
Chi è oggi per il mondo ebraico Benedetto XVI? È un Papa che ha una forte sensibilità per il nostro mondo, ma anche un pensiero complesso.
E infatti, accanto ad aspetti di grande simpatia per la realtà ebraica ha anche dei momenti di pensiero ben fermo, di posizioni che non incontrano ovviamente il nostro favore.
Tuttavia non è certamente un Papa che interrompe il dialogo o che dice: «Bisogna tornare indietro», anzi va avanti con la sua precisa formazione.
D’altra parte se fossimo d’accordo su tutto, non ci sarebbe neppure motivo di dialogare.
Quali sono i punti più urgenti di questo dialogo? In primo luogo c’è una questione di clima sereno.
Certo, ogni tanto possono esserci incidenti e inciampi, ma quello che deve essere forte è la volontà di risolverli.
L’altro punto fondamentale è che dobbiamo chiederci: che senso ha che i nostri due mondi si confrontino? E lei che risposta dà a questa domanda? La nostra amicizia deve servire a dimostrare che si può testimoniare la propria fede in un modo non offensivo, non aggressivo e non violento nei confronti degli altri credenti e degli altri esseri umani.
Ed è un messaggio importantissimo nella fase attuale.
Vorremmo anzi che il messaggio di questa visita si allarghi e coinvolga altre comunità.
Recentemente la pubblicazione del decreto sulle virtù eroiche di Pio XII ha suscitato nuove reazioni da parte ebraica.
Qual è la sua opinione al riguardo? Ecco, questa è una questione che divide, è un problema di interpretazione storica, sul quale bisognerà tener presente che la sensibilità ebraica è completamente diversa.
Noi vorremmo che si andasse avanti con estrema cautela e non con gesti avventati.
Il problema, infatti, dal nostro punto di vista è ben lontano dalla sua soluzione.
Che cosa intende per «estrema cautela» e quali sarebbero invece i «gesti avventati»? Estrema cautela significa che esistono tantissimi documenti ancora da studiare, mentre i gesti avventati sono quelli di chi dice: «La situazione è perfettamente chiara, abbiamo chiuso il discorso e basta».
Tutto chiarito invece sulla questione della preghiera del venerdì santo alla quale lei accennava prima? Sull’argomento direi che è stato raggiunto un armistizio “politico”, più che una pace vera.
Nel senso che è stato chiarito dalle più alte autorità della Chiesa che la conversione non si riferisce all’immediato, ma è trasferita alla fine dei tempi.
Non crede che dalla visita verrà anche l’ennesimo fortissimo no all’antisemitismo? Francamente penso che oggi il problema sia l’antigiudaismo, che è una cosa differente, ma non meno pericolosa.
L’antisemitismo è un odio su base razziale e la Chiesa non può essere razzista.
Ma l’ostilità antiebraica può esistere anche a prescindere dall’odio razziale ed è su quello che dobbiamo fare chiarezza, anche se devo riconoscere che sono stati fatti dei progressi sostanziali in questi ultimi anni.
Mimmo Muolo
Al via la riforma della secondaria
È stato confermato ufficialmente lo slittamento delle iscrizioni alle prime classi della scuola secondaria di II grado per il prossimo anno scolastico.
Il Ministero, con un comunicato stampa, ha specificato che “per la scuola secondaria di II grado le iscrizioni si svolgeranno dal 26 febbraio al 26 marzo, per consentire una adeguata informazione alle famiglie sulla riforma delle superiori.
” Il rinvio di un mese delle iscrizioni per le superiori conferma la volontà del ministero di avviare la riforma dal prossimo settembre.
Il comunicato, infatti, precisa che “dall’anno 2010-2011 entrerà in vigore la riforma dei licei e dell’istruzione tecnica e professionale.” Quest’anno le iscrizioni scolastiche registrano la novità di due circolari: una per il primo ciclo e un’altra per il secondo, preannunciate da una ulteriore circolare che ne indica i termini.
La circolare per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo è stata pubblicata oggi ed è la numero 4/2010, disponibile sul sito del MIUR (www.istruzione.it).
La circolare non contiene sostanziali novità rispetto a quella dell’anno scorso, fatta salva la parte riservata alle superiori che, invece, verrà definita con la seconda circolare per le iscrizioni.
Alla circolare sono allegati i consueti modelli per le iscrizioni e per le opzioni relative all’insegnamento della religione cattolica.
Termine ultimo, come è noto, per la presentazione delle domande di iscrizione, il 27 febbraio.
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