“Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”

INDICE 
Introduzione

I Parte
L’ascolto: il contesto e le sfide sulla famiglia
Il contesto socio-culturale
La rilevanza della vita affettiva
La sfida per la pastorale

II Parte
Lo sguardo su Cristo: il Vangelo della famiglia
Lo sguardo su Gesù e la pedagogia divina nella storia della salvezza
La famiglia nel disegno salvifico di Dio
La famiglia nei documenti della Chiesa
L’indissolubilità del matrimonio e la gioia del vivere insieme
Verità e bellezza della famiglia e misericordia verso le famiglie ferite e fragili

III Parte

Il confronto: prospettive pastorali
Annunciare il Vangelo della famiglia oggi, nei vari contesti
Guidare i nubendi nel cammino di preparazione al matrimonio
Accompagnare i primi anni della vita matrimoniale
Cura pastorale di coloro che vivono nel matrimonio civile o in convivenze
Curare le famiglie ferite (separati, divorziati non risposati, divorziati risposati, famiglie monoparentali)
L’attenzione pastorale verso le persone con orientamento omosessuale
La trasmissione della vita e la sfida della denatalità
La sfida dell’educazione e il ruolo della famiglia nell’evangelizzazione

Conclusione

Introduzione
1. Il Sinodo dei Vescovi riunito intorno al Papa rivolge il suo pensiero a tutte le famiglie del mondo con le loro gioie, le loro fatiche, le loro speranze. In particolare sente il dovere di ringraziare il Signore per la generosa fedeltà con cui tante famiglie cristiane rispondono alla loro vocazione e missione. Lo fanno con gioia e con fede anche quando il cammino familiare le pone dinanzi a ostacoli, incomprensioni e sofferenze. A queste famiglie va l’apprezzamento, il ringraziamento e l’incoraggiamento di tutta la Chiesa e di questo Sinodo. Nella veglia di preghiera celebrata in Piazza San Pietro sabato 4 ottobre 2014 in preparazione al Sinodo sulla famiglia Papa Francesco ha evocato in maniera semplice e concreta la centralità dell’esperienza familiare nella vita di tutti, esprimendosi così: «Scende ormai la sera sulla nostra assemblea. È l’ora in cui si fa volentieri ritorno a casa per ritrovarsi alla stessa mensa, nello spessore degli affetti, del bene compiuto e ricevuto, degli incontri che scaldano il cuore e lo fanno crescere, vino buono che anticipa nei giorni dell’uomo la festa senza tramonto. È anche l’ora più pesante per chi si ritrova a tu per tu con la propria solitudine, nel crepuscolo amaro di sogni e di progetti infranti: quante persone trascinano le giornate nel vicolo cieco della rassegnazione, dell’abbandono, se non del rancore; in quante case è venuto meno il vino della gioia e, quindi, il sapore – la sapienza stessa – della vita […] Degli uni e degli altri questa sera ci facciamo voce con la nostra preghiera, una preghiera per tutti».

2. Grembo di gioie e di prove, di affetti profondi e di relazioni a volte ferite, la famiglia è veramente “scuola di umanità” (cf. Gaudium et Spes, 52), di cui si avverte fortemente il bisogno. Nonostante i tanti segnali di crisi dell’istituto familiare nei vari contesti del “villaggio globale”, il desiderio di famiglia resta vivo, in specie fra i giovani, e motiva la Chiesa, esperta in umanità e fedele alla sua missione, ad annunciare senza sosta e con convinzione profonda il “Vangelo della famiglia” che le è stato affidato con la rivelazione dell’amore di Dio in Gesù Cristo e ininterrottamente insegnato dai Padri, dai Maestri della spiritualità e dal Magistero della Chiesa. La famiglia assume per la Chiesa un’importanza del tutto particolare e nel momento in cui tutti i credenti sono invitati a uscire da se stessi è necessario che la famiglia si riscopra come soggetto imprescindibile per l’evangelizzazione. Il pensiero va alla testimonianza missionaria di tante famiglie.

3. Sulla realtà della famiglia, decisiva e preziosa, il Vescovo di Roma ha chiamato a riflettere il Sinodo dei Vescovi nella sua Assemblea Generale Straordinaria dell’ottobre 2014, per approfondire poi la riflessione nell’Assemblea Generale Ordinaria che si terrà nell’ottobre 2015, oltre che nell’intero anno che intercorre fra i due eventi sinodali. «Già il convenire in unum attorno al Vescovo di Roma è evento di grazia, nel quale la collegialità episcopale si manifesta in un cammino di discernimento spirituale e pastorale»: così Papa Francesco ha descritto l’esperienza sinodale, indicandone i compiti nel duplice ascolto dei segni di Dio e della storia degli uomini e nella duplice e unica fedeltà che ne consegue.

4. Alla luce dello stesso discorso abbiamo raccolto i risultati delle nostre riflessioni e dei nostri dialoghi nelle seguenti tre parti: l’ascolto, per guardare alla realtà della famiglia oggi, nella complessità delle sue luci e delle sue ombre; lo sguardo fisso sul Cristo per ripensare con rinnovata freschezza ed entusiasmo quanto la rivelazione, trasmessa nella fede della Chiesa, ci dice sulla bellezza, sul ruolo e sulla dignità della famiglia; il confronto alla luce del Signore Gesù per discernere le vie con cui rinnovare la Chiesa e la società nel loro impegno per la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna.

PRIMA PARTE
L’ascolto: il contesto e le sfide sulla famiglia
Il contesto socio-culturale

5. Fedeli all’insegnamento di Cristo guardiamo alla realtà della famiglia oggi in tutta la sua complessità, nelle sue luci e nelle sue ombre. Pensiamo ai genitori, ai nonni, ai fratelli e alle sorelle, ai parenti prossimi e lontani, e al legame tra due famiglie che tesse ogni matrimonio. Il cambiamento antropologico-culturale influenza oggi tutti gli aspetti della vita e richiede un approccio analitico e diversificato. Vanno sottolineati prima di tutto gli aspetti positivi: la più grande libertà di espressione e il migliore riconoscimento dei diritti della donna e dei bambini, almeno in alcune regioni. Ma, d’altra parte, bisogna egualmente considerare il crescente pericolo rappresentato da un individualismo esasperato che snatura i legami familiari e finisce per considerare ogni componente della famiglia come un’isola, facendo prevalere, in certi casi, l’idea di un soggetto che si costruisce secondo i propri desideri assunti come un assoluto. A ciò si aggiunge anche la crisi della fede che ha toccato tanti cattolici e che spesso è all’origine delle crisi del matrimonio e della famiglia.

6. Una delle più grandi povertà della cultura attuale è la solitudine, frutto dell’assenza di Dio nella vita delle persone e della fragilità delle relazioni. C’è anche una sensazione generale di impotenza nei confronti della realtà socio-economica che spesso finisce per schiacciare le famiglie. Così è per la crescente povertà e precarietà lavorativa che è vissuta talvolta come un vero incubo, o a motivo di una fiscalità troppo pesante che certo non incoraggia i giovani al matrimonio. Spesso le famiglie si sentono abbandonate per il disinteresse e la poca attenzione da parte delle istituzioni. Le conseguenze negative dal punto di vista dell’organizzazione sociale sono evidenti: dalla crisi demografica alle difficoltà educative, dalla fatica nell’accogliere la vita nascente all’avvertire la presenza degli anziani come un peso, fino al diffondersi di un disagio affettivo che arriva talvolta alla violenza. È responsabilità dello Stato creare le condizioni legislative e di lavoro per garantire l’avvenire dei giovani e aiutarli a realizzare il loro progetto di fondare una famiglia.

7. Ci sono contesti culturali e religiosi che pongono sfide particolari. In alcune società vige ancora la pratica della poligamia e in alcuni contesti tradizionali la consuetudine del “matrimonio per tappe”. In altri contesti permane la pratica dei matrimoni combinati. Nei Paesi in cui la presenza della Chiesa cattolica è minoritaria sono numerosi i matrimoni misti e di disparità di culto con tutte le difficoltà che essi comportano riguardo alla configurazione giuridica, al battesimo e all’educazione dei figli e al reciproco rispetto dal punto di vista della diversità della fede. In questi matrimoni può esistere il pericolo del relativismo o dell’indifferenza, ma vi può essere anche la possibilità di favorire lo spirito ecumenico e il dialogo interreligioso in un’armoniosa convivenza di comunità che vivono nello stesso luogo. In molti contesti, e non solo occidentali, si va diffondendo ampiamente la prassi della convivenza che precede il matrimonio o anche di convivenze non orientate ad assumere la forma di un vincolo istituzionale. A questo si aggiunge spesso una legislazione civile che compromette il matrimonio e la famiglia. A causa della secolarizzazione in molte parti del mondo il riferimento a Dio è fortemente diminuito e la fede non è più socialmente condivisa.

8. Molti sono i bambini che nascono fuori dal matrimonio, specie in alcuni Paesi, e molti quelli che poi crescono con uno solo dei genitori o in un contesto familiare allargato o ricostituito. Il numero dei divorzi è crescente e non è raro il caso di scelte determinate unicamente da fattori di ordine economico. I bambini spesso sono oggetto di contesa tra i genitori e i figli sono le vere vittime delle lacerazioni familiari. I padri sono spesso assenti non solo per cause economiche laddove invece si avverte il bisogno che essi assumano più chiaramente la responsabilità per i figli e per la famiglia. La dignità della donna ha ancora bisogno di essere difesa e promossa. Oggi infatti, in molti contesti, l’essere donna è oggetto di discriminazione e anche il dono della maternità viene spesso penalizzato piuttosto che essere presentato come valore. Non vanno neppure dimenticati i crescenti fenomeni di violenza di cui le donne sono vittime, talvolta purtroppo anche all’interno delle famiglie e la grave e diffusa mutilazione genitale della donna in alcune culture. Lo sfruttamento sessuale dell’infanzia costituisce poi una delle realtà più scandalose e perverse della società attuale. Anche le società attraversate dalla violenza a causa della guerra, del terrorismo o della presenza della criminalità organizzata, vedono situazioni familiari deterioratee soprattutto nelle grandi metropoli e nelle loro periferie cresce il cosiddetto fenomeno dei bambini di strada. Le migrazioni inoltre rappresentano un altro segno dei tempi da affrontare e comprendere con tutto il carico di conseguenze sulla vita familiare.

La rilevanza della vita affettiva
9. A fronte del quadro sociale delineato si riscontra in molte parti del mondo, nei singoli un maggiore bisogno di prendersi cura della propria persona, di conoscersi interiormente, di vivere meglio in sintonia con le proprie emozioni e i propri sentimenti, di cercare relazioni affettive di qualità; tale giusta aspirazione può aprire al desiderio di impegnarsi nel costruire relazioni di donazione e reciprocità creative, responsabilizzanti e solidali come quelle familiari. Il pericolo individualista e il rischio di vivere in chiave egoistica sono rilevanti. La sfida per la Chiesa è di aiutare le coppie nella maturazione della dimensione emozionale e nello sviluppo affettivo attraverso la promozione del dialogo, della virtù e della fiducia nell’amore misericordioso di Dio. Il pieno impegno richiesto nel matrimonio cristiano può essere un forte antidoto alla tentazione di un individualismo egoistico.

10. Nel mondo attuale non mancano tendenze culturali che sembrano imporre una affettività senza limiti di cui si vogliono esplorare tutti i versanti, anche quelli più complessi. Di fatto, la questione della fragilità affettiva è di grande attualità: una affettività narcisistica, instabile e mutevole che non aiuta sempre i soggetti a raggiungere una maggiore maturità. Preoccupa una certa diffusione della pornografia e della commercializzazione del corpo, favorita anche da un uso distorto di internet e va denunciata la situazione di quelle persone che sono obbligate a praticare la prostituzione. In questo contesto, le coppie sono talvolta incerte, esitanti e faticano a trovare i modi per crescere. Molti sono quelli che tendono a restare negli stadi primari della vita emozionale e sessuale. La crisi della coppia destabilizza la famiglia e può arrivare attraverso le separazioni e i divorzi a produrre serie conseguenze sugli adulti, i figli e la società, indebolendo l’individuo e i legami sociali. Anche il calo demografico, dovuto ad una mentalità antinatalista e promosso dalle politiche mondiali di salute riproduttiva, non solo determina una situazione in cui l’avvicendarsi delle generazioni non è più assicurato, ma rischia di condurre nel tempo a un impoverimento economico e a una perdita di speranza nell’avvenire. Lo sviluppo delle biotecnologie ha avuto anch’esso un forte impatto sulla natalità.

La sfida per la pastorale
11. In questo contesto la Chiesa avverte la necessità di dire una parola di verità e di speranza. Occorre muovere dalla convinzione che l’uomo viene da Dio e che, pertanto, una riflessione capace di riproporre le grandi domande sul significato dell’essere uomini, possa trovare un terreno fertile nelle attese più profonde dell’umanità. I grandi valori del matrimonio e della famiglia cristiana corrispondono alla ricerca che attraversa l’esistenza umana anche in un tempo segnato dall’individualismo e dall’edonismo. Occorre accogliere le persone con la loro esistenza concreta, saperne sostenere la ricerca, incoraggiare il desiderio di Dio e la volontà di sentirsi pienamente parte della Chiesa anche in chi ha sperimentato il fallimento o si trova nelle situazioni più disparate. Il messaggio cristiano ha sempre in sé la realtà e la dinamica della misericordia e della verità, che in Cristo convergono.

II PARTE
Lo sguardo su Cristo: il Vangelo della famiglia
Lo sguardo su Gesù e la pedagogia divina nella storia della salvezza

12. Al fine di «verificare il nostro passo sul terreno delle sfide contemporanee, la condizione decisiva è mantenere fisso lo sguardo su Gesù Cristo, sostare nella contemplazione e nell’adorazione del suo volto […]. Infatti, ogni volta che torniamo alla fonte dell’esperienza cristiana si aprono strade nuove e possibilità impensate» (Papa Francesco, Discorso del 4 ottobre 2014). Gesù ha guardato alle donne e agli uomini che ha incontrato con amore e tenerezza, accompagnando i loro passi con verità, pazienza e misericordia, nell’annunciare le esigenze del Regno di Dio.

13. Dato che l’ordine della creazione è determinato dall’orientamento a Cristo, occorre distinguere senza separare i diversi gradi mediante i quali Dio comunica all’umanità la grazia dell’alleanza. In ragione della pedagogia divina, secondo cui l’ordine della creazione evolve in quello della redenzione attraverso tappe successive, occorre comprendere la novità del sacramento nuziale cristiano in continuità con il matrimonio naturale delle origini. Così qui s’intende il modo di agire salvifico di Dio, sia nella creazione sia nella vita cristiana. Nella creazione: poiché tutto è stato fatto per mezzo di Cristo ed in vista di Lui (cf. Col 1,16), i cristiani sono «lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo che vi si trovano nascosti; debbono seguire attentamente la trasformazione profonda che si verifica in mezzo ai popoli» (Ad Gentes, 11). Nella vita cristiana: in quanto con il battesimo il credente è inserito nella Chiesa mediante quella Chiesa domestica che è la sua famiglia, egli intraprende quel «processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio» (Familiaris Consortio, 11), mediante la conversione continua all’amore che salva dal peccato e dona pienezza di vita.

14. Gesù stesso, riferendosi al disegno primigenio sulla coppia umana, riafferma l’unione indissolubile tra l’uomo e la donna, pur dicendo che «per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così» (Mt 19,8). L’indissolubilità del matrimonio (“Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” Mt 19,6), non è innanzitutto da intendere come “giogo” imposto agli uomini bensì come un “dono” fatto alle persone unite in matrimonio. In tal modo, Gesù mostra come la condiscendenza divina accompagni sempre il cammino umano, guarisca e trasformi il cuore indurito con la sua grazia, orientandolo verso il suo principio, attraverso la via della croce. Dai Vangeli emerge chiaramente l’esempio di Gesù che è paradigmatico per la Chiesa. Gesù infatti ha assunto una famiglia, ha dato inizio ai segni nella festa nuziale a Cana, ha annunciato il messaggio concernente il significato del matrimonio come pienezza della rivelazione che recupera il progetto originario di Dio (Mt 19,3). Ma nello stesso tempo ha messo in pratica la dottrina insegnata manifestando così il vero significato della misericordia. Ciò appare chiaramente negli incontri con la samaritana (Gv 4,1-30) e con l’adultera (Gv 8,1-11) in cui Gesù, con un atteggiamento di amore verso la persona peccatrice, porta al pentimento e alla conversione (“va’ e non peccare più”), condizione per il perdono.

La famiglia nel disegno salvifico di Dio
15. Le parole di vita eterna che Gesù ha lasciato ai suoi discepoli comprendevano l’insegnamento sul matrimonio e la famiglia. Tale insegnamento di Gesù ci permette di distinguere in tre tappe fondamentali il progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia. All’inizio, c’è la famiglia delle origini, quando Dio creatore istituì il matrimonio primordiale tra Adamo ed Eva, come solido fondamento della famiglia. Dio non solo ha creato l’essere umano maschio e femmina (Gen 1,27), ma li ha anche benedetti perché fossero fecondi e si moltiplicassero (Gen 1,28). Per questo, «l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gen 2,24). Questa unione è stata danneggiata dal peccato ed è diventata la forma storica di matrimonio nel Popolo di Dio, per il quale Mosè concesse la possibilità di rilasciare un attestato di divorzio (cf. Dt 24, 1ss). Tale forma era prevalente ai tempi di Gesù. Con il Suo avvento e la riconciliazione del mondo caduto grazie alla redenzione da Lui operata, terminò l’era inaugurata con Mosé.

16. Gesù, che ha riconciliato ogni cosa in sé, ha riportato il matrimonio e la famiglia alla loro forma originale (cf. Mc 10,1-12). La famiglia e il matrimonio sono stati redenti da Cristo (cf. Ef 5,21-32), restaurati a immagine della Santissima Trinità, mistero da cui scaturisce ogni vero amore. L’alleanza sponsale, inaugurata nella creazione e rivelata nella storia della salvezza, riceve la piena rivelazione del suo significato in Cristo e nella sua Chiesa. Da Cristo attraverso la Chiesa, il matrimonio e la famiglia ricevono la grazia necessaria per testimoniare l’amore di Dio e vivere la vita di comunione. Il Vangelo della famiglia attraversa la storia del mondo sin dalla creazione dell’uomo ad immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1, 26-27) fino al compimento del mistero dell’Alleanza in Cristo alla fine dei secoli con le nozze dell’Agnello (cf. Ap 19,9; Giovanni Paolo II, Catechesi sull’amore umano).

La famiglia nei documenti della Chiesa
17. «Nel corso dei secoli, la Chiesa non ha fatto mancare il suo costante insegnamento sul matrimonio e la famiglia. Una delle espressioni più alte di questo Magistero è stata proposta dal Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes, che dedica un intero capitolo alla promozione della dignità del matrimonio e della famiglia (cf. Gaudium et Spes, 47-52). Esso ha definito il matrimonio come comunità di vita e di amore (cf. Gaudium et Spes, 48), mettendo l’amore al centro della famiglia, mostrando, allo stesso tempo, la verità di questo amore davanti alle diverse forme di riduzionismo presenti nella cultura contemporanea. Il “vero amore tra marito e moglie” (Gaudium et Spes, 49) implica la mutua donazione di sé, include e integra la dimensione sessuale e l’affettività, corrispondendo al disegno divino (cf. Gaudium et Spes, 48-49). Inoltre, Gaudium et Spes 48 sottolinea il radicamento in Cristo degli sposi: Cristo Signore “viene incontro ai coniugi cristiani nel sacramento del matrimonio”, e con loro rimane. Nell’incarnazione, Egli assume l’amore umano, lo purifica, lo porta a pienezza, e dona agli sposi, con il suo Spirito, la capacità di viverlo, pervadendo tutta la loro vita di fede, speranza e carità. In questo modo gli sposi sono come consacrati e, mediante una grazia propria, edificano il Corpo di Cristo e costituiscono una Chiesa domestica (cf. Lumen Gentium, 11), così che la Chiesa, per comprendere pienamente il suo mistero, guarda alla famiglia cristiana, che lo manifesta in modo genuino» (Instrumentum Laboris, 4).

18. «Sulla scia del Concilio Vaticano II, il Magistero pontificio ha approfondito la dottrina sul matrimonio e sulla famiglia. In particolare, Paolo VI, con la Enciclica Humanae Vitae, ha messo in luce l’intimo legame tra amore coniugale e generazione della vita. San Giovanni Paolo II ha dedicato alla famiglia una particolare attenzione attraverso le sue catechesi sull’amore umano, la Lettera alle famiglie (Gratissimam Sane) e soprattutto con l’Esortazione Apostolica Familiaris Consortio. In tali documenti, il Pontefice ha definito la famiglia “via della Chiesa”; ha offerto una visione d’insieme sulla vocazione all’amore dell’uomo e della donna; ha proposto le linee fondamentali per la pastorale della famiglia e per la presenza della famiglia nella società. In particolare, trattando della carità coniugale (cf. Familiaris Consortio, 13), ha descritto il modo in cui i coniugi, nel loro mutuo amore, ricevono il dono dello Spirito di Cristo e vivono la loro chiamata alla santità» (Instrumentum Laboris, 5).

19. «Benedetto XVI, nell’Enciclica Deus Caritas Est, ha ripreso il tema della verità dell’amore tra uomo e donna, che s’illumina pienamente solo alla luce dell’amore di Cristo crocifisso (cf. Deus Caritas Est, 2). Egli ribadisce come: “Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano” (Deus Caritas Est, 11). Inoltre, nella Enciclica Caritas in Veritate, evidenzia l’importanza dell’amore come principio di vita nella società (cf. Caritas in Veritate, 44), luogo in cui s’impara l’esperienza del bene comune» (Instrumentum Laboris, 6).

20. «Papa Francesco, nell’Enciclica Lumen Fidei affrontando il legame tra la famiglia e la fede, scrive: “L’incontro con Cristo, il lasciarsi afferrare e guidare dal suo amore allarga l’orizzonte dell’esistenza, le dona una speranza solida che non delude. La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicura che quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità” (Lumen Fidei, 53)» (Instrumentum Laboris, 7).

L’indissolubilità del matrimonio e la gioia del vivere insieme
21. Il dono reciproco costitutivo del matrimonio sacramentale è radicato nella grazia del battesimo che stabilisce l’alleanza fondamentale di ogni persona con Cristo nella Chiesa. Nella reciproca accoglienza e con la grazia di Cristo i nubendi si promettono dono totale, fedeltà e apertura alla vita, essi riconoscono come elementi costitutivi del matrimonio i doni che Dio offre loro, prendendo sul serio il loro vicendevole impegno, in suo nome e di fronte alla Chiesa. Ora, nella fede è possibile assumere i beni del matrimonio come impegni meglio sostenibili mediante l’aiuto della grazia del sacramento. Dio consacra l’amore degli sposi e ne conferma l’indissolubilità, offrendo loro l’aiuto per vivere la fedeltà, l’integrazione reciproca e l’apertura alla vita. Pertanto, lo sguardo della Chiesa si volge agli sposi come al cuore della famiglia intera che volge anch’essa lo sguardo verso Gesù.

22. Nella stessa prospettiva, facendo nostro l’insegnamento dell’Apostolo secondo cui tutta la creazione è stata pensata in Cristo e in vista di lui (cf. Col 1,16), il Concilio Vaticano II ha voluto esprimere apprezzamento per il matrimonio naturale e per gli elementi validi presenti nelle altre religioni (cf. Nostra Aetate, 2) e nelle culture nonostante i limiti e le insufficienze (cf. Redemptoris Missio, 55). La presenza dei semina Verbi nelle culture (cf. Ad Gentes, 11) potrebbe essere applicata, per alcuni versi, anche alla realtà matrimoniale e familiare di tante culture e di persone non cristiane. Ci sono quindi elementi validi anche in alcune forme fuori del matrimonio cristiano –comunque fondato sulla relazione stabile e vera di un uomo e una donna –, che in ogni caso riteniamo siano ad esso orientate. Con lo sguardo rivolto alla saggezza umana dei popoli e delle culture, la Chiesa riconosce anche questa famiglia come la cellula basilare necessaria e feconda della convivenza umana.

Verità e bellezza della famiglia e misericordia verso le famiglie ferite e fragili
23. Con intima gioia e profonda consolazione, la Chiesa guarda alle famiglie che restano fedeli agli insegnamenti del Vangelo, ringraziandole e incoraggiandole per la testimonianza che offrono. Grazie ad esse, infatti, è resa credibile la bellezza del matrimonio indissolubile e fedele per sempre. Nella famiglia,«che si potrebbe chiamare Chiesa domestica» (Lumen Gentium, 11), matura la prima esperienza ecclesiale della comunione tra persone, in cui si riflette, per grazia, il mistero della Santa Trinità. «È qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, il perdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l’offerta della propria vita» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1657). La Santa Famiglia di Nazaret ne è il modello mirabile, alla cui scuola noi «comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo» (Paolo VI, Discorso a Nazaret, 5 gennaio 1964). Il Vangelo della famiglia, nutre pure quei semi che ancora attendono di maturare, e deve curare quegli alberi che si sono inariditi e necessitano di non essere trascurati.

24. La Chiesa, in quanto maestra sicura e madre premurosa, pur riconoscendo che per i battezzati non vi è altro vincolo nuziale che quello sacramentale, e che ogni rottura di esso è contro la volontà di Dio, è anche consapevole della fragilità di molti suoi figli che faticano nel cammino della fede. «Pertanto, senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno. […] Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà. A tutti deve giungere la consolazione e lo stimolo dell’amore salvifico di Dio, che opera misteriosamente in ogni persona, al di là dei suoi difetti e delle sue cadute» (Evangelii Gaudium, 44).

25. In ordine ad un approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziati e risposati, o che semplicemente convivono, compete alla Chiesa rivelare loro la divina pedagogia della grazia nelle loro vite e aiutarle a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro. Seguendo lo sguardo di Cristo, la cui luce rischiara ogni uomo (cf. Gv 1,9; Gaudium et Spes, 22) la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto, riconoscendo che la grazia di Dio opera anche nelle loro vite dando loro il coraggio per compiere il bene, per prendersi cura con amore l’uno dell’altro ed essere a servizio della comunità nella quale vivono e lavorano.

26. La Chiesa guarda con apprensione alla sfiducia di tanti giovani verso l’impegno coniugale, soffre per la precipitazione con cui tanti fedeli decidono di porre fine al vincolo assunto, instaurandone un altro. Questi fedeli, che fanno parte della Chiesa hanno bisogno di un’attenzione pastorale misericordiosa e incoraggiante, distinguendo adeguatamente le situazioni. I giovani battezzati vanno incoraggiati a non esitare dinanzi alla ricchezza che ai loro progetti di amore procura il sacramento del matrimonio, forti del sostegno che ricevono dalla grazia di Cristo e dalla possibilità di partecipare pienamente alla vita della Chiesa.

27. In tal senso, una dimensione nuova della pastorale familiare odierna consiste nel prestare attenzione alla realtà dei matrimoni civili tra uomo e donna, ai matrimoni tradizionali e, fatte le debite differenze, anche alle convivenze. Quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove, può essere vista come un’occasione da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio. Molto spesso invece la convivenza si stabilisce non in vista di un possibile futuro matrimonio, ma senza alcuna intenzione di stabilire un rapporto istituzionale. 28. Conforme allo sguardo misericordioso di Gesù, la Chiesa deve accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto o di una fiaccola portata in mezzo alla gente per illuminare coloro che hanno smarrito la rotta o si trovano in mezzo alla tempesta. Consapevoli che la misericordia più grande è dire la verità con amore, andiamo aldilà della compassione. L’amore misericordioso, come attrae e unisce, così trasforma ed eleva. Invita alla conversione. Così nello stesso modo intendiamo l’atteggiamento del Signore, che non condanna la donna adultera, ma le chiede di non peccare più (cf. Gv 8,1-11).

III PARTE
Il confronto: prospettive pastorali
Annunciare il Vangelo della famiglia oggi, nei vari contesti
29. Il dialogo sinodale si è soffermato su alcune istanze pastorali più urgenti da affidare alla concretizzazione nelle singole Chiese locali, nella comunione “cum Petro et sub Petro”. L’annunzio del Vangelo della famiglia costituisce un’urgenza per la nuova evangelizzazione. La Chiesa è chiamata ad attuarlo con tenerezza di madre e chiarezza di maestra (cf. Ef 4,15), in fedeltà alla kenosi misericordiosa del Cristo. La verità si incarna nella fragilità umana non per condannarla, ma per salvarla (cf. Gv 3,16 -17). 30. Evangelizzare è responsabilità di tutto il popolo di Dio, ognuno secondo il proprio ministero e carisma. Senza la testimonianza gioiosa dei coniugi e delle famiglie, chiese domestiche, l’annunzio, anche se corretto, rischia di essere incompreso o di affogare nel mare di parole che caratterizza la nostra società (cf. Novo Millennio Ineunte, 50). I Padri sinodali hanno più volte sottolineato che le famiglie cattoliche in forza della grazia del sacramento nuziale sono chiamate ad essere esse stesse soggetti attivi della pastorale familiare.

31. Decisivo sarà porre in risalto il primato della grazia, e quindi le possibilità che lo Spirito dona nel sacramento. Si tratta di far sperimentare che il Vangelo della famiglia è gioia che «riempie il cuore e la vita intera», perché in Cristo siamo «liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento» (Evangelii Gaudium, 1). Alla luce della parabola del seminatore (cf. Mt 13,3), il nostro compito è di cooperare nella semina: il resto è opera di Dio. Non bisogna neppure dimenticare che la Chiesa che predica sulla famiglia è segno di contraddizione.

32. Per questo si richiede a tutta la Chiesa una conversione missionaria: è necessario non fermarsi ad un annuncio meramente teorico e sganciato dai problemi reali delle persone. Non va mai dimenticato che la crisi della fede ha comportato una crisi del matrimonio e della famiglia e, come conseguenza, si è interrotta spesso la trasmissione della stessa fede dai genitori ai figli. Dinanzi ad una fede forte l’imposizione di alcune prospettive culturali che indeboliscono la famiglia e il matrimonio non ha incidenza.

33. La conversione è anche quella del linguaggio perché esso risulti effettivamente significativo. L’annunzio deve far sperimentare che il Vangelo della famiglia è risposta alle attese più profonde della persona umana: alla sua dignità e alla realizzazione piena nella reciprocità, nella comunione e nella fecondità. Non si tratta soltanto di presentare una normativa ma di proporre valori, rispondendo al bisogno di essi che si constata oggi anche nei Paesi più secolarizzati.

34. La Parola di Dio è fonte di vita e spiritualità per la famiglia. Tutta la pastorale familiare dovrà lasciarsi modellare interiormente e formare i membri della Chiesa domestica mediante la lettura orante e ecclesiale della Sacra Scrittura. La Parola di Dio non solo è una buona novella per la vita privata delle persone, ma anche un criterio di giudizio e una luce per il discernimento delle diverse sfide con cui si confrontano i coniugi e le famiglie.

35. Allo stesso tempo molti Padri sinodali hanno insistito su un approccio più positivo alle ricchezze delle diverse esperienze religiose, senza tacere sulle difficoltà. In queste diverse realtà religiose e nella grande diversità culturale che caratterizza le Nazioni è opportuno apprezzare prima le possibilità positive e alla luce di esse valutare limiti e carenze.

36. Il matrimonio cristiano è una vocazione che si accoglie con un’adeguata preparazione in un itinerario di fede, con un discernimento maturo, e non va considerato solo come una tradizione culturale o un’esigenza sociale o giuridica. Pertanto occorre realizzare percorsi che accompagnino la persona e la coppia in modo che alla comunicazione dei contenuti della fede si unisca l’esperienza di vita offerta dall’intera comunità ecclesiale.

37. È stata ripetutamente richiamata la necessità di un radicale rinnovamento della prassi pastorale alla luce del Vangelo della famiglia, superando le ottiche individualistiche che ancora la caratterizzano. Per questo si è più volte insistito sul rinnovamento della formazione dei presbiteri, dei diaconi, dei catechisti e degli altri operatori pastorali, mediante un maggiore coinvolgimento delle stesse famiglie.

38. Si è parimenti sottolineata la necessità di una evangelizzazione che denunzi con franchezza i condizionamenti culturali, sociali, politici ed economici, come l’eccessivo spazio dato alla logica del mercato, che impediscono un’autentica vita familiare, determinando discriminazioni, povertà, esclusioni, violenza. Per questo va sviluppato un dialogo e una cooperazione con le strutture sociali, e vanno incoraggiati e sostenuti i laici che si impegnano, come cristiani, in ambito culturale e socio-politico.

Guidare i nubendi nel cammino di preparazione al matrimonio
39. La complessa realtà sociale e le sfide che la famiglia oggi è chiamata ad affrontare richiedono un impegno maggiore di tutta la comunità cristiana per la preparazione dei nubendi al matrimonio. È necessario ricordare l’importanza delle virtù. Tra esse la castità risulta condizione preziosa per la crescita genuina dell’amore interpersonale. Riguardo a questa necessità i Padri sinodali sono stati concordi nel sottolineare l’esigenza di un maggiore coinvolgimento dell’intera comunità privilegiando la testimonianza delle stesse famiglie, oltre che di un radicamento della preparazione al matrimonio nel cammino di iniziazione cristiana, sottolineando il nesso del matrimonio con il battesimo e gli altri sacramenti. Si è parimenti evidenziata la necessità di programmi specifici per la preparazione prossima al matrimonio che siano vera esperienza di partecipazione alla vita ecclesiale e approfondiscano i diversi aspetti della vita familiare.

Accompagnare i primi anni della vita matrimoniale
40. I primi anni di matrimonio sono un periodo vitale e delicato durante il quale le coppie crescono nella consapevolezza delle sfide e del significato del matrimonio. Di qui l’esigenza di un accompagnamento pastorale che continui dopo la celebrazione del sacramento (cf. Familiaris Consortio, parte III). Risulta di grande importanza in questa pastorale la presenza di coppie di sposi con esperienza. La parrocchia è considerata come il luogo dove coppie esperte possono essere messe a disposizione di quelle più giovani, con l’eventuale concorso di associazioni, movimenti ecclesiali e nuove comunità. Occorre incoraggiare gli sposi a un atteggiamento fondamentale di accoglienza del grande dono dei figli. Va sottolineata l’importanza della spiritualità familiare, della preghiera e della partecipazione all’Eucaristia domenicale, incoraggiando le coppie a riunirsi regolarmente per promuovere la crescita della vita spirituale e la solidarietà nelle esigenze concrete della vita. Liturgie, pratiche devozionali e Eucaristie celebrate per le famiglie, soprattutto nell’anniversario del matrimonio, sono state menzionate come vitali per favorire l’evangelizzazione attraverso la famiglia.

Cura pastorale di coloro che vivono nel matrimonio civile o in convivenze
41. Mentre continua ad annunciare e promuovere il matrimonio cristiano, il Sinodo incoraggia anche il discernimento pastorale delle situazioni di tanti che non vivono più questa realtà. È importante entrare in dialogo pastorale con tali persone al fine di evidenziare gli elementi della loro vita che possono condurre a una maggiore apertura al Vangelo del matrimonio nella sua pienezza. I pastori devono identificare elementi che possono favorire l’evangelizzazione e la crescita umana e spirituale. Una sensibilità nuova della pastorale odierna, consiste nel cogliere gli elementi positivi presenti nei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, nelle convivenze. Occorre che nella proposta ecclesiale, pur affermando con chiarezza il messaggio cristiano, indichiamo anche elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più ad esso.

42. È stato anche notato che in molti Paesi un «crescente numero di coppie convivono ad experimentum, senza alcun matrimonio né canonico, né civile» (Instrumentum Laboris, 81). In alcuni Paesi questo avviene specialmente nel matrimonio tradizionale, concertato tra famiglie e spesso celebrato in diverse tappe. In altri Paesi invece è in continua crescita il numero di coloro dopo aver vissuto insieme per lungo tempo chiedono la celebrazione del matrimonio in chiesa. La semplice convivenza è spesso scelta a causa della mentalità generale contraria alle istituzioni e agli impegni definitivi, ma anche per l’attesa di una sicurezza esistenziale (lavoro e salario fisso). In altri Paesi, infine, le unioni di fatto sono molto numerose, non solo per il rigetto dei valori della famiglia e del matrimonio, ma soprattutto per il fatto che sposarsi è percepito come un lusso, per le condizioni sociali, così che la miseria materiale spinge a vivere unioni di fatto.

43. Tutte queste situazioni vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo. Si tratta di accoglierle e accompagnarle con pazienza e delicatezza. A questo scopo è importante la testimonianza attraente di autentiche famiglie cristiane, come soggetti dell’evangelizzazione della famiglia. Curare le famiglie ferite (separati, divorziati non risposati, divorziati risposati, famiglie monoparentali)

44. Quando gli sposi sperimentano problemi nelle loro relazioni, devono poter contare sull’aiuto e l’accompagnamento della Chiesa. La pastorale della carità e la misericordia tendono al recupero delle persone e delle relazioni. L’esperienza mostra che con un aiuto adeguato e con l’azione di riconciliazione della grazia una grande percentuale di crisi matrimoniali si superano in maniera soddisfacente. Saper perdonare e sentirsi perdonati è un’esperienza fondamentale nella vita familiare. Il perdono tra gli sposi permette di sperimentare un amore che è per sempre e non passa mai (cf. 1 Cor 13,8). A volte risulta difficile, però, per chi ha ricevuto il perdono di Dio avere la forza per offrire un perdono autentico che rigeneri la persona.

45. Nel Sinodo è risuonata chiara la necessità di scelte pastorali coraggiose. Riconfermando con forza la fedeltà al Vangelo della famiglia e riconoscendo che separazione e divorzio sono sempre una ferita che provoca profonde sofferenze ai coniugi che li vivono e ai figli, i Padri sinodali hanno avvertito l’urgenza di cammini pastorali nuovi, che partano dall’effettiva realtà delle fragilità familiari, sapendo che esse, spesso, sono più “subite” con sofferenza che scelte in piena libertà. Si tratta di situazioni diverse per fattori sia personali che culturali e socio-economici. Occorre uno sguardo differenziato come San Giovanni Paolo II suggeriva (cf. Familiaris Consortio, 84).

46. Ogni famiglia va innanzitutto ascoltata con rispetto e amore facendosi compagni di cammino come il Cristo con i discepoli sulla strada di Emmaus. Valgono in maniera particolare per queste situazioni le parole di Papa Francesco: «La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cf. Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana» (Evangelii Gaudium, 169).

47. Un particolare discernimento è indispensabile per accompagnare pastoralmente i separati, i divorziati, gli abbandonati. Va accolta e valorizzata soprattutto la sofferenza di coloro che hanno subito ingiustamente la separazione, il divorzio o l’abbandono, oppure sono stati costretti dai maltrattamenti del coniuge a rompere la convivenza. Il perdono per l’ingiustizia subita non è facile, ma è un cammino che la grazia rende possibile. Di qui la necessità di una pastorale della riconciliazione e della mediazione attraverso anche centri di ascolto specializzati da stabilire nelle diocesi. Parimenti va sempre sottolineato che è indispensabile farsi carico in maniera leale e costruttiva delle conseguenze della separazione o del divorzio sui figli, in ogni caso vittime innocenti della situazione. Essi non possono essere un “oggetto” da contendersi e vanno cercate le forme migliori perché possano superare il trauma della scissione familiare e crescere in maniera il più possibile serena. In ogni caso la Chiesa dovrà sempre mettere in rilievo l’ingiustizia che deriva molto spesso dalla situazione di divorzio. Speciale attenzione va data all’accompagnamento delle famiglie monoparentali, in maniera particolare vanno aiutate le donne che devono portare da sole la responsabilità della casa e l’educazione dei figli.

48. Un grande numero dei Padri ha sottolineato la necessità di rendere più accessibili ed agili, possibilmente del tutto gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità. Tra le proposte sono stati indicati: il superamento della necessità della doppia sentenza conforme; la possibilità di determinare una via amministrativa sotto la responsabilità del vescovo diocesano; un processo sommario da avviare nei casi di nullità notoria. Alcuni Padri tuttavia si dicono contrari a queste proposte perché non garantirebbero un giudizio affidabile. Va ribadito che in tutti questi casi si tratta dell’accertamento della verità sulla validità del vincolo. Secondo altre proposte, andrebbe poi considerata la possibilità di dare rilevanza al ruolo della fede dei nubendi in ordine alla validità del sacramento del matrimonio, tenendo fermo che tra battezzati tutti i matrimoni validi sono sacramento.

49. Circa le cause matrimoniali lo snellimento della procedura, richiesto da molti, oltre alla preparazione di sufficienti operatori, chierici e laici con dedizione prioritaria, esige di sottolineare la responsabilità del vescovo diocesano, il quale nella sua diocesi potrebbe incaricare dei consulenti debitamente preparati che possano gratuitamente consigliare le parti sulla validità del loro matrimonio. Tale funzione può essere svolta da un ufficio o persone qualificate (cf. Dignitas Connubii, art. 113, 1).

50. Le persone divorziate ma non risposate, che spesso sono testimoni della fedeltà matrimoniale, vanno incoraggiate a trovare nell’Eucaristia il cibo che le sostenga nel loro stato. La comunità locale e i Pastori devono accompagnare queste persone con sollecitudine, soprattutto quando vi sono figli o è grave la loro situazione di povertà.

51. Anche le situazioni dei divorziati risposati esigono un attento discernimento e un accompagnamento di grande rispetto, evitando ogni linguaggio e atteggiamento che li faccia sentire discriminati e promovendo la loro partecipazione alla vita della comunità. Prendersi cura di loro non è per la comunità cristiana un indebolimento della sua fede e della sua testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale, anzi essa esprime proprio in questa cura la sua carità.

52. Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Diversi Padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la partecipazione all’Eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile. Altri si sono espressi per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste. L’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del Vescovo diocesano. Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» da diversi «fattori psichici oppure sociali» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735).

53. Alcuni Padri hanno sostenuto che le persone divorziate e risposate o conviventi possono ricorrere fruttuosamente alla comunione spirituale. Altri Padri si sono domandati perché allora non possano accedere a quella sacramentale. Viene quindi sollecitato un approfondimento della tematica in grado di far emergere la peculiarità delle due forme e la loro connessione con la teologia del matrimonio.

54. Le problematiche relative ai matrimoni misti sono ritornate sovente negli interventi dei Padri sinodali. La diversità della disciplina matrimoniale delle Chiese ortodosse pone in alcuni contesti problemi sui quali è necessario riflettere in ambito ecumenico. Analogamente per i matrimoni interreligiosi sarà importante il contributo del dialogo con le religioni.

L’attenzione pastorale verso le persone con orientamento omosessuale
55. Alcune famiglie vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con orientamento omosessuale. Al riguardo ci si è interrogati su quale attenzione pastorale sia opportuna di fronte a questa situazione riferendosi a quanto insegna la Chiesa: «Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia». Nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto e delicatezza. «A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4).

56. È del tutto inaccettabile che i Pastori della Chiesa subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso.

La trasmissione della vita e la sfida della denatalità
57. Non è difficile constatare il diffondersi di una mentalità che riduce la generazione della vita a una variabile della progettazione individuale o di coppia. I fattori di ordine economico esercitano un peso talvolta determinante contribuendo al forte calo della natalità che indebolisce il tessuto sociale, compromette il rapporto tra le generazioni e rende più incerto lo sguardo sul futuro. L’apertura alla vita è esigenza intrinseca dell’amore coniugale. In questa luce, la Chiesa sostiene le famiglie che accolgono, educano e circondano del loro affetto i figli diversamente abili.

58. Anche in questo ambito occorre partire dall’ascolto delle persone e dar ragione della bellezza e della verità di una apertura incondizionata alla vita come ciò di cui l’amore umano ha bisogno per essere vissuto in pienezza. È su questa base che può poggiare un adeguato insegnamento circa i metodi naturali per la procreazione responsabile. Esso aiuta a vivere in maniera armoniosa e consapevole la comunione tra i coniugi, in tutte le sue dimensioni, insieme alla responsabilità generativa. Va riscoperto il messaggio dell’Enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, che sottolinea il bisogno di rispettare la dignità della persona nella valutazione morale dei metodi di regolazione della natalità. L’adozione di bambini, orfani e abbandonati, accolti come propri figli, è una forma specifica di apostolato familiare (cf. Apostolicam Actuositatem, III,11), più volte richiamata e incoraggiata dal magistero (cf. Familiaris Consortio, III,II; Evangelium Vitae, IV,93). La scelta dell’adozione e dell’affido esprime una particolare fecondità dell’esperienza coniugale, non solo quando questa è segnata dalla sterilità. Tale scelta è segno eloquente dell’amore familiare, occasione per testimoniare la propria fede e restituire dignità filiale a che ne è stato privato.

59. Occorre aiutare a vivere l’affettività, anche nel legame coniugale, come un cammino di maturazione, nella sempre più profonda accoglienza dell’altro e in una donazione sempre più piena. Va ribadita in tal senso la necessità di offrire cammini formativi che alimentino la vita coniugale e l’importanza di un laicato che offra un accompagnamento fatto di testimonianza viva. È di grande aiuto l’esempio di un amore fedele e profondo fatto di tenerezza, di rispetto, capace di crescere nel tempo e che nel suo concreto aprirsi alla generazione della vita fa l’esperienza di un mistero che ci trascende.

La sfida dell’educazione e il ruolo della famiglia nell’evangelizzazione
60. Una delle sfide fondamentali di fronte a cui si trovano le famiglie oggi è sicuramente quella educativa, resa più impegnativa e complessa dalla realtà culturale attuale e della grande influenza dei media. Vanno tenute in debito conto le esigenze e le attese di famiglie capaci di essere nella vita quotidiana, luoghi di crescita, di concreta ed essenziale trasmissione delle virtù che danno forma all’esistenza. Ciò indica che i genitori possano scegliere liberalmente il tipo dell’educazione da dare ai figli secondo le loro convinzioni.

61. La Chiesa svolge un ruolo prezioso di sostegno alle famiglie, partendo dall’iniziazione cristiana, attraverso comunità accoglienti. Ad essa è chiesto, oggi ancor più di ieri, nelle situazioni complesse come in quelle ordinarie, di sostenere i genitori nel loro impegno educativo, accompagnando bambini, ragazzi e giovani nella loro crescita attraverso cammini personalizzati capaci di introdurre al senso pieno della vita e di suscitare scelte e responsabilità, vissute alla luce del Vangelo. Maria, nella sua tenerezza, misericordia, sensibilità materna può nutrire la fame di umanità e vita, per cui viene invocata dalle famiglie e dal popolo cristiano. La pastorale e una devozione mariana sono un punto di partenza opportuno per annunciare il Vangelo della famiglia.

Conclusione
62. Le riflessioni proposte, frutto del lavoro sinodale svoltosi in grande libertà e in uno stile di reciproco ascolto, intendono porre questioni e indicare prospettive che dovranno essere maturate e precisate dalla riflessione delle Chiese locali nell’anno che ci separa dall’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi prevista per l’ottobre 2015, dedicata alla vocazione e missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo. Non si tratta di decisioni prese né di prospettive facili. Tuttavia il cammino collegiale dei vescovi e il coinvolgimento dell’intero popolo di Dio sotto l’azione dello Spirito Santo, guardando al modello della Santa Famiglia, potranno guidarci a trovare vie di verità e di misericordia per tutti. È l’auspicio che sin dall’inizio dei nostri lavori Papa Francesco ci ha rivolto invitandoci al coraggio della fede e all’accoglienza umile e onesta della verità nella carità.

Votazioni dei singoli numeri della “Relatio Synodi”

Totale dei presenti: 183
Non sono indicate le astensioni.
placet / non placet

1. 175   1
2. 179   0
3. 178   1
4. 180   2
5. 177   3
6. 175   5
7. 170   9
8. 179    1
9. 171    8
10. 174  8
11. 173  6
12. 176  3
13. 174  7
14. 164  18
15. 167  13
16. 171  8
17. 174  6
18. 175  5
19. 176  5
20. 178  3
21. 181  1
22. 160  22
23. 169  10
24. 170  11
25. 140  39
26. 166  14
27. 147  34
28. 152  27
29. 176  7
30. 178  2
31. 175  4
32. 176  5
33. 175  7
34. 180  1
35. 164  17
36. 177  1
37. 175  2
38. 178  1
39. 176  4
40. 179  1
41. 125  54
42. 143  37
43. 162  14
44. 171  7
45. 165  15
46. 171  8
47. 164  12
48. 143  35
49. 154  23
50. 169  8
51. 155  19
52. 104  74
53. 112  64
54. 145  29
55. 118  62
56. 159  21
57. 169  5
58. 167  9
59. 172  5
60. 174  4
61. 178  1
62. 169  8
 
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Ripetere non serve e costa troppo

Settembre. Un nuovo anno scolastico è iniziato e l’attenzione di politici e dell’opinione pubblica si è concentrata sulla scuola. Un po’ per gli annunci di riforma, ma anche perché siamo tutti genitori, figli, zii, nonni o nonne e quindi il mondo della scuola fa parte, nel bene e nel male, del nostro vivere quotidiano o di quello dei nostri cari. Quello che è certo, al di la delle proposte di rivoluzionare la scuola è che molti studenti italiani sentiranno sia sui banchi di scuola che a casa la minaccia “Studia! Altrimenti sarai bocciato”. In teoria la bocciatura dovrebbe servire a permettere a uno studente che è rimasto indietro nel programma di “mettersi in pari” per riuscire poi a proseguire gli studi con profitto. Tuttavia lo studio OCSE PISA che confronta i dati sulle bocciature e sulle competenze scolastiche degli studenti 15-enni in più di 65 paesi nel mondo mostra che far ripetere anni scolastici non è di aiuto per gli studenti che ripetono un anno, comporta costi elevati per il sistema paese e non solo non aiuta a promuovere maggiore equità nel sistema, ma rinforza le differenze tra studenti con un diverso background socio-economico. In Italia ci sono ancora troppi bocciati: il 17% degli studenti quindicenni ha dichiarato di aver ripetuto almeno un anno scolastico, rispetto a una media OCSE del 12%.

Gli studenti persi e il mancato recupero

Inoltre, mentre in molti paesi dei Paesi con livelli molto alti di ripetenti il numero di studenti che ha ripetuto una classe è diminuito, in Italia il numero degli studenti ripetenti è aumentato. In Italia tra il 2003 e il 2012, la percentuale di studenti che ha dichiarato di aver ripetuto almeno un anno scolastico è aumentata di 2 punti percentuali, mentre in Francia che nel 2003 registrava il 39% di ripetenti nel 2012 questo era sceso al 28%. Lo studio PISA mostra che purtroppo in Italia, come in molti altri paesi, tra gli studenti che ottengono gli stessi risultati in matematica, comprensione di testi e scienze, gli studenti socialmente svantaggiati hanno più probabilità di ripetere un anno rispetto agli studenti più favoriti. Gli studenti socio-economicamente svantaggiati hanno meno possibilità di ricevere aiuto durante l’anno scolastico grazie a corsi di recupero e lezioni private. Gli studenti svantaggiati spesso hanno maggiori problemi comportamentali, arrivano in ritardo e saltano lezioni o giorni di scuola. Invece che intervenire sui problemi che determinano un allontanamento progressivo di troppi ragazzi dalle classi, il mondo scuola in Italia si basa ancora sull’uso della bocciatura come strumento per punire. Uno dei possibili risultati e’ la scarsa motivazione dei ragazzi e gli alti livelli di dispersione scolastica. L’esigenza di fare ripetere una classe implica costi elevati: alla spesa di un anno aggiuntivo d’istruzione bisogna infatti aggiungere il mancato introito per la società quando si differisce di almeno un anno l’ingresso dello studente bocciato sul mercato del lavoro. In Italia, il costo delle bocciature rappresenta il 6,7% della spesa annua nazionale per l’istruzione primaria e secondaria – ovvero 47.174 dollari (circa 36 mila euro) per studente che ripete l’anno. Prevenire è meglio che curare. Vale nel mondo della sanità pubblica, ma vale anche, e soprattutto, nel mondo della scuola. Prevenire è meglio che curare e le bocciature sono costose e non curano il problema dello scarso profitto e motivazione degli studenti italiani. Ridurre le bocciature potrebbe aiutare a risparmiare risorse da investire nella prevenzione: per aiutare i ragazzi in modo personalizzato durante l’anno affinché’ non si creino lacune nel processo di apprendimento e per affiancare ragazzi demotivati e con scarso attaccamento alla scuola.

di Francesca Borgonovi, analista Ocse

Serra International Italia

Da 11 anni il Serra Italia bandisce un concorso scolastico a livello nazionale come attività di servizio alla Chiesa cattolica per invogliare i giovani a discutere sui valori religiosi ed etici. Le prove in oggetto costituiscono uno spaccato interessante per comprendere le dinamiche relazionali dei giovani, la loro affettività, la nuova accettazione dei modelli educativi, lo status della famiglia contemporanea e le difficoltà dipendenti da questo momento storico.
Il Concorso è finalizzato a promuovere la cultura cattolica, ovvero la formazione integrale dei  giovani da accompagnare con l’ascolto dei loro bisogni  nell’età adolescenziale per la definizione delle scelte della vita in senso cristiano.  In una società in cui i giovani soffrono la mancanza di chiamanti autentici e coerenti, il progetto educativo del concorso  si propone di declinare ad ampio raggio il valore della Bellezza della vita nel rispetto della dignità umana.
 

A confronto con il mistero.

L’esperienza ermeneutica nella ricerca religiosa

Il linguaggio su Dio è segnato naturalmente dalla sensibilità  culturale del tempo. Molti sono i modi di dire Dio privilegiati nella tradizione. In ambito occidentale e cattolico è prevalso l’aspetto razionale. Specialmente il riferimento alla constatazione immediata della realtà sensibile – sensuconstat – è stato alla base di una rigorosa argomentazione – la prova – dell’esistenza di Dio.

           L’orizzonte ermeneutico, che questi interventi privilegiano, sposta l’attenzione dalla dimostrazione razionale  alla significatività esistenziale. A fondamento si questa impostazione sta un concetto di verità fortemente innovativo; tende a ripensare l’accesso stesso alla verità; a interpretarla in dimensione ermeneutica, come emergenza e manifestazione del reale.

            In ambito religioso la stessa impostazione impone un’esplorazione attenta del vissuto credente. La riflessione tende cioè ad esplorare il rapporto con Dio in tutta la provocazione esistenziale che comporta: è meno preoccupata della fondazione razionale, del resto indispensabile, mostrandosi invece più sollecitata a misurare la novità appassionante di un rapporto che affiora nell’esistenza, la celebra e ne risulta a sua volta celebrato.

1.1. Il processo interpretativo nell’esperienza[1]

–           Ho l’impressione che il mio orologio vada a rilento.

–           Attendo che il campanile batta le ore e verifico.

–           Sì, ritarda di alcuni minuti…

–           Dovrò farlo regolare!

Ho constatato un piccolo disguido; ho preso coscienza che il mio orologio non funziona regolarmente. Ho deciso di farlo controllare. Un fatto semplicissimo, un’esperienza consueta che già consente di interpretare un processo normale in atto.

I casi sono di solito più complessi e coinvolgenti, magari rivelativi di situazioni drammatiche che incombono. Ancor più frequentemente si danno atteggiamenti esistenziali, banalizzati dalla consuetudine quotidiana. Prendiamo il caso della moglie che pensa al marito in termini di sicurezza economica: è colui che dispone di una somma notevole in banca o che al 27 del mese porta la busta… Può darsi che riflettendo con calma si renda conto di averlo ridotto ad una pura funzione materiale e sappia prendere coscienza che la sua presenza è fonte di sicurezza, ragione di dialogo, di comunicazione. Può anche darsi che la moglie  arrivi finalmente a ricuperare il significato esistenziale pieno di lui come persona, scelta a compagno di vita, partecipe di un progetto magari ambizioso, che orienta l’esistenza reciproca. Questa donna va man mano scoprendo il significato autentico di una presenza che la routine rischia di semplificare eccessivamente. Può ricuperare la dimensione esistenzialmente appassionante di un rapporto umano restituito alla sua verità.

Questa ed altre possibili esemplificazioni tratte dalla consuetudine quotidiana lasciano affiorare l’impegno ad interpretare la vita concreta, le situazioni reali per quello che sottendono; orientano ad esplorare l’esperienza in tutto lo spessore che l’attraversa; consentono di avvertirne la risonanza esistenziale. Sollecitano una ricerca che tende a dare rilevanza autentica alla verità delle cose per tutto l’impatto che hanno sulla persona.

Rispetto alla riflessione tradizionale si è operato un cambiamento importante: la verità non è tanto adeguazione fra la cosa e la rappresentazione che la persona se ne fa; è piuttosto manifestazione, emergenza dello spessore che la situazione reale comporta, per tutto l’impatto che sottende all’esistenza.

L’esperienza si è rivelata portatrice di uno spessore singolare che le  ricerche, soprattutto recenti sul linguaggio, hanno consentito di sondare.

 

1.2.  La trascendenza presagita nel mistero 

La singolare pienezza e novità in cui è percepita ed esplorata l’esistenza nella riflessione recente s’affaccia sull’orizzonte alternativo; evoca una presenza nascosta e fondante; fa appello alla trascendenza.

Un appello che tuttavia non è obbligante. Ciò che forse caratterizza l’incontro della riflessione recente – specialmente esistenziale e fenomenologica – con la trascendenza è una marcata connotazione di libertà. Non nel senso che risulti arbitrario affermarla o negarla; piuttosto perché il progetto stesso esistenziale è segnato dalla libertà: su questa base interpreta e si interpreta; si orienta e decide.

L’affermazione del fondamento non è logica conclusione di un ragionamento astratto: è esistenziale consapevolezza d’una presenza presagita e riconosciuta.  L’uomo può sentirsi “gettato” nel mondo o “chiamato” all’esistenza.  La trascendenza dell’essere è percepita in tutta la sua alterità: l’orma che di sé  ha impresso nel mondo è ambivalente: lo rivela e lo nasconde. La ragione può trovarsi sconcertata dal nascondimento o sollecitata dalla rivelazione: denunciare l’assurdità e l’inconsistenza del progetto umano, dove non ne vede lo sbocco e ne misura lo scacco –  essere per la morte – ; o presagirne il senso e la pienezza dove avverte di poterlo ancorare ad una presenza ultima e appagante – esistere per l’incontro –.

La prima condizione del linguaggio religioso è l’opzione per la trascendenza, come misteriosa presenza su cui il progetto dell’uomo può dispiegarsi in una vitalità che attinge a risorse inesauribili. Un’opzione tuttavia che non è mai affermazione astratta, ma percezione vissuta: garanzia di stabilità e di approdo.

Il linguaggio religioso esplora e comprende la realtà – anche quella materiale – animata e fermentata da una trascendenza che l’attraversa e la vivifica. “La natura è piena di dei”; il “logos” anima la realtà materiale già nell’originaria riflessione occidentale.  «I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento» nella più consapevole e perentoria attestazione biblica (Sal 19).

L’uomo può sentirsi “spaesato” in questa immensa dimora che lo accoglie; ma può anche sentirsi “ospitato” in una casa fatta sulla sua misura e che tuttavia non è opera delle sue mani. Perciò l’intera realtà è invito suadente a riconoscervi una presenza misteriosa e ad invocarla.

Il linguaggio religioso instaura dunque un rapporto nuovo con il mondo: l’uomo vi abita in attesa di un incontro, per prepararlo. Secondo l’immagine suggestiva che la Bibbia ci ha tramandato, l’uomo considera l’universo come un immenso giardino che gli è stato affidato, su cui ha piena signoria, per quanto la fatica di dissodarlo e di asservirlo non riempia la sua attesa, né le sue aspirazioni.

 

2.  DIRE DIO NEL CONTESTO ATTUALE

 

2.1. Molteplicità delle manifestazioni di Dio

L’affermazione è data a partire da una doppia considerazione, che richiamiamo:

–           la realtà, creata da Dio, ne porta il segno, è costitutivamente relazionata a Lui; cosicché la ricerca può legittimamente tentare di decifrare un rapporto già in atto;

–           l’uomo è dotato di una risorsa capace di leggere in profondità le cose e svelarne la relazione  con il creatore che le costituisce.

Dunque, presupposto fondamentale è l’atto creatore; l’intervento di Dio all’origine, di cui la realtà porta il segno. 

Il presagio da cui muove la ricerca umana suppone quella traccia lasciata dal creatore sulla creatura al momento in cui l’ha costituita e continua ad alimentarne l’esistenza. Dire-Dio comporta quindi:

–           che i segni della presenza creatrice siano impressi nella bellezza e nella maestà della natura, tanto da renderla potente e suggestivo richiamo ad una maestà definitiva;

–           che la straordinaria forza evocativa di cui l’uomo dispone sia in grado di presagire e di chiamare per nome, insomma di rivelare la verità costitutiva della creazione.

La fede è depositaria di questo sguardo penetrante e rivelativo della verità delle cose: passa dai segni alla presenza; legge la verità della creazione nella misteriosa risorsa che la costituisce. 

Il volto di Dio non corrisponde al volto dell’essere, ma è vero che il volto autentico dell’essere lo testimonia, lo lascia presagire. Cosicché la realtà anche materiale può segnalarlo ad una coscienza avvertita, capace di darvi risonanza.

Il ritorno all’interiorità, la chiara presa di coscienza del presagio che le cose sottendono, diventa traccia privilegiata all’incontro con Dio. Anche se va mantenuta la differenza  fra ricerca filosofica e religiosa, in quanto l’una tende a darsi ragione e l’altra tende a vivere la pienezza dell’incontro. Anche se, e soprattutto, va salvaguardata la differenza fra essere e Dio.

La trascendenza di Dio – il suo essere totalmente altro dalla creazione – è la premessa per salvare la religione da ogni rischio di indebita identificazione di Dio con la realtà.

 

2.2. Presupposti dell’elaborazione esistenziale

–           Il problema non è la prova ma l’incontro”.

Per dire-Dio non è tanto questione di affermarne o dimostrarne l’esistenza, quanto di esplorare il rapporto sotteso, che vivifica e rende straordinario l’incontro.

La pista della razionalità rigorosa a base dell’affermazione dell’esistenza di Dio, per lunga tradizione perseguita con piena credibilità, lascia oggi margini di perplessità.

L’ambiguità sta nel termine stesso di “oggettività”. Sotteso, rischia di affiorare il sospetto di oggettività sensibile–verificabile. Il pregiudizio scientista di riportare ogni affermazione sensata alla verifica empirica o alla falsificabilità compromette radicalmente il discorso su Dio.

Assai più fidata e credibile, si è venuta impostando la ricerca esistenziale che ha saputo ancorarsi alla realtà e, di conseguenza, garantirsi la verità delle proprie conclusioni. 

–           Il pensiero e la realtà.

Il pensiero è di sua natura orientato alla realtà.[2] Che tuttavia non è affatto riducibile al dato sensibile, per quanto il dato sensibile stesso venga riconosciuto fondamentale per l’elaborazione del pensiero, nella sua prerogativa di spaziare su tutte  le dimensioni della realtà, fino ad attingere il suo fondamento.

–           L’esperienza del singolo a  perno della riflessione.

Inoltre, nell’impostazione esistenziale l’esperienza del singolo assurge a perno della riflessione. Ma l’esperienza del singolo è iscritta in una storia di cui egli fa parte, che quindi l’individuo non può presumere di analizzare “oggettivamente”, con il distacco dello spettatore. Tanto più che nella considerazione dell’esperienza la storia risulta la “mia” storia, della quale faccio parte integrante, in cui sono coinvolto.

Allora ogni ricerca cessa di essere un problema che mi è estraneo; sono costretto a considerarlo un fatto che mi tocca da vicino, che non posso mai considerare oggettivo; cammina con me, si modifica man mano che mutano i miei punti di vista. 

La realtà, che pure sono in grado di conoscere, assume uno spessore su cui il procedimento razionale anche rigoroso non ha presa: dovunque sono coinvolto, il problema si apre al mistero che fascia l’intera realtà. Di questo mi rendo conto proprio prendendo atto di me stesso.

–           Il ridimensionamento dell’aspetto razionale.

Tanto più che, dovunque sono coinvolto, l’aspetto razionale risulta ridimensionato. Infatti, oltre lo sfondo della razionalità si impone la risonanza emotiva, si staglia netta e risolutiva l’esigenza della libertà. A livello esistenziale l’ultima parola sembra rivendicata non dalla chiarezza della comprensione ma dalla imprevedibilità della decisione.

Nel caso di Dio, la ragione conserva tutta la sua forza, ma non è risolutiva. L’argomentazione è importante, ma non obbligante. L’affermazione di Dio, con il peso enorme che sottende sulla vita del singolo, si gioca su un retroterra esistenziale di uno spessore straordinario. La responsabilità di ciascuno conserva margini di libertà decisivi.

 

2.3. Un volto alla trascendenza    

Il tema della trascendenza resta da impostare in maniera esistenziale, cioè:

–           come dato connaturale e costitutivo del vivere umano,

–           insito nell’esistenza ed da questa emergente come presagio.

S’impone l’analisi di ciò che sono e dei richiami interiori da cui sono attraversato e che sono da esplorare e identificare.

Dentro questi potrò cogliere un richiamo che mi supera e che può trasfigurasi in appello e quindi in affermazione implicita di una presenza più intima a me di me stesso, cui sono sollecitato a rispondere.

Su questa pista l’affermazione di Dio assume un’altra logica.

Non è la ragione – il cosmo e l’argomentazione sul cosmo privilegiata dalle “vie” tradizionali – ma è la coscienza di quanto si vive, l’analisi dell’intuizione esistenziale che porta il richiamo di Dio e consente di affermarlo. Non il fatto di provarlo ma di “constatarlo” diventa decisivo; s’impone la correttezza dell’analisi soprattutto interiore, con i suoi apporti e i suoi limiti da evidenziare. 

Dunque non è in gioco tanto una prova dell’esistenza di Dio, ma l’orma, il presagio della sua presenza da sondare, al cuore stesso della percezione del mistero.

È all’interno dell’analisi del mistero che la sua presenza può imporsi, nella libertà di accoglierlo o di negarlo. Si tratta dunque di una “prova” piuttosto singolare: si tratta di riconoscere il mistero nel quale sono immerso; di rendermi disponibile all’analisi delle condizioni reali di possibilità che vi danno consistenza.

Se l’uomo è immerso nel mistero ha ancora senso parlare di autonomia? Ha senso parlare di libertà: di accogliere o di rifiutate il mistero e colui che lo abita?

Emerge una libertà situata ed ancorata all’essere nel mistero. E tuttavia chiamata a deciderne il riconoscimento o il rifiuto; un atto che richiede la decisione di accogliere o di rifiutare e vi conferisce il suo significato esistenziale.

Non è la ragione che cerca Dio; è l’esistenza che anela all’incontro con Dio.

Donde la saggezza nel maestro dell’apologo orientale, dove si parla di un discepolo alla ricerca di Dio che domanda: «Come posso incontrare Dio?». Il maestro tace, nonostante la comprensibile insistenza del discepolo. «Andiamo al fiume», riprende finalmente il maestro. Si tuffano e mentre nuotano uno accanto all’altro, il maestro preme vigorosamente la testa del discepolo sott’acqua, vincendone la disperata resistenza. Tornati finalmente a riva il discepolo chiede sconcertato il significato del gesto. «Cosa cercavi disperatamente sott’acqua?», chiede il maestro. «L’aria», risponde pronto il discepolo. «Bene, così dovrai cercare Dio, se vuoi incontrarlo!», suona laconica ma perentoria la risposta del maestro.

 

3. UN LINGUAGGIO PER SONDARE IL MISTERO

 

3.1. Un volto al presagio

Al cuore della ricerca sta dunque l’esistenza, espressa in una molteplicità di situazioni, consapevole dello spessore che l’attraversa. In particolare segnata dal rapporto con la trascendenza, che la riflessione dichiara oscura e che la fede privilegia. Si impone la domanda: quale linguaggio interpreta la trascendenza stessa e la esprime; come accedervi?

 

3.2. Lo spessore dell’esperienza 

Il singolo ha fame, cerca un’abitazione, desidera essere accolto… Il vissuto immediato ha uno spessore straordinario, che precede ogni riflessione: è esperito prima di essere capito e decifrato. E prima di venire decifrato ha già un senso esaustivo, nella gioia di vivere, di partecipare, di trovare soddisfazione ai bisogni più elementari e continui; tanto più se l’esperienza dischiude un rapporto di persone che si cercano e si amano.

Non è mai misurabile l’attesa e la speranza con cui due persone si aspettano e si incontrano. Com’è difficile descrivere il margine di delusione e di amarezza che segna un incontro, anche riuscito! Torna la verità di un’aspirazione interiore che la vita costantemente delude. Che può assurgere a grande allusione, a presagio di trascendenza, radice esistenziale ultima della ricerca religiosa.

Sfumature e spessore che si ribellano alla razionalizzazione disegnano uno spazio che il linguaggio tenta di interpretare; che comunque resta sempre insondabile.

La ricerca scientifica può facilmente definire il proprio ambito e identificare la propria demarcazione.[3] La chiave e il segreto della scienza, sta proprio nel definire con chiarezza un aspetto specifico da verificare, che risulti falsificabile.

La riflessione esistenziale, invece, si apre sull’intero orizzonte della vita. La sua demarcazione raccoglie e organizza aspetti molteplici, di cui la puntualizzazione razionale è solo l’iceberg; soggiacenti ci sono diramazioni e componenti illimitate e perciò indecifrabili. La ricerca scientifica può essere rigorosa; la riflessione esistenziale – che non prescinda dal vissuto – si rifiuta al rigore della razionalizzazione. L’esperienza empirica è verificabile; l’esperienza esistenziale è inverificabile.[4]

La scienza procede nell’ignoto; la filosofia, la religione, l’arte… si addentrano nel mistero. Esplorano ambiti diversi, si avvalgono di un linguaggio specifico, per lo più reciprocamente incomparabile.

Si tratta allora di mettere in atto un procedimento coerente e integrale: esplorare l’esperienza per sondarne tutti i richiami; anche quello specificamente religioso, dove emerge e si impone alla considerazione.

È un procedimento che potremmo definire “esistenziale”, senza volerlo ancorare obbligatoriamente a qualcuna delle scuole che hanno segnato recentemente questa riflessione. Il nodo della ricerca sta in un’esigenza di analisi aperta dell’esperienza, senza prevenzioni o strettoie, per raccogliere tutte le sollecitazioni che vi affiorano.

La prima sollecitazione riguarda la condizione stessa da cui la ricerca prende l’avvio. L’analisi dell’esperienza tiene conto che vi siamo coinvolti in prima persona: non può costituire una ricerca distaccata e  oggettiva.

Inoltre, a sua volta, l’esperienza comporta una gamma innumerevole di rimandi, che le conferiscono uno spessore pressoché impenetrabile. Risalendo man mano i rimandi, di cui è intessuta, ci si affaccia ad un mondo che sconfina nel mistero.

Si può dire che ne portiamo l’intuizione profonda e suggestiva ad un tempo: riportata al suo asse si concentra sulla domanda: chi sono? Precisamente questo interrogativo induce a riconoscere che la mia esistenza resta avvolta di mistero: alla sua origine e soprattutto, in forma più conturbante, nel suo destino.

 

3.3. Il rifiuto della finitudine 

La riflessione attorno a qualunque esperienza umana profonda avverte  richiami penetranti e non eludibili. E questo, a partire dalle sensazioni più consuete:

–           la salute che oggi si gode non è esente da una sottile trepidazione per il futuro immediato e lontano;

–           l’amore come disponibilità e attesa non è mai garantito del tutto: l’indifferenza o il tradimento lo insidiano;

–           le realizzazioni più ambiziose nell’ambito dell’essere come dell’avere lasciano sempre un margine inappagato.

Anche più profonda e tenace è l’insoddisfazione per la statura conseguita, per la sincerità e la trasparenza con cui si vive. Lo scarto fra la vita e la speranza, fra il desiderio e l’attuazione, fra l’attesa e la risposta sembrano dilatarsi man mano che l’esistenza avanza.

Buber l’ha rilevato con chiarezza:  l’ha soprattutto attribuito alla situazione contemporanea – alla sensibilità tipica di un’epoca storica –, in cui l’uomo risulta privo di una “casa” che gli consenta stabilità. E certo ha colto nel segno dove ha voluto sottolineare che la nostra è epoca di transizione, che vede scompaginati i riferimenti tradizionali e  sconcertate le prospettive.

E tuttavia la sua annotazione non si riduce al dato esteriore. Una casa, per quanto grande e spaziosa non è la risposta; anzi non è neppure la domanda: è solo un simbolo. Già il saggio antico ha visto bene, dove ha misurato l’irraggiungibilità di una condizione interiore finalmente placata e paga (Marco Aurelio).

Questa serenità definitiva è aspirazione che il saggio non  sa tacitare. Attraversa l’esistenza e, forse più veramente, la fermenta. Rileva quel margine di inquietudine, di insoddisfazione che si apre sulla dignità dell’uomo: mai pago, più grande di qualunque statura conseguita, proprio perché non c’è statura che esaurisca la sua misura.

Nell’apologo  così semplice e suggestivo posto a perno dell’interpretazione che Pico della Mirandola propone nel suo celebre discorso sull’uomo, resta adombrata la ragione definitiva dell’anelito inappagato.

Affidato dal Creatore alla propria completa  responsabilità non gli è stato assegnato nessun limite come invalicabile: piuttosto gli è stata data una consegna di perfezione illimitata.[5] Il Vangelo lo ribadisce con perentoria chiarezza: «siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,48).

Un compito esigente e una consegna ambiziosa: segnano l’esistenza così profondamente che l’ultimo ritocco non è mai dato; perciò ogni realizzazione  risulta parziale e insoddisfacente: lascia sempre un margine non raggiunto, eppure proposto e perciò ambito. 

La riflessione credente ne ha fatto  da sempre – non solo nel cristianesimo – il riferimento decisivo. Le parole di Agostino – «il nostro cuore è inquieto finché non si placa in Te» – hanno trasferito in linguaggio lucido e consapevole la sensazione che in termini indefiniti e vaghi  attraversa l’esperienza di tutti.

 

4. UN MISTERO DA ESPLORARE 

Il procedimento che si innesta è allora un percorso induttivo che prende sul serio l’esperienza umana e vi presagisce dimensioni molteplici; alcune delle quali si portano sul versante del mistero e della trascendenza.

Tale procedimento, affidato alla riflessione, può concludere legittimamente ad una presenza trascendente insita nell’esistenza. Il credente è colui che vi ha dato la propria adesione con un gesto gratuito e libero; che tuttavia potrebbe anche essere ripercorso con rigore e trovare piena legittimità razionale.

Per il credente c’è chi accoglie la sua invocazione: lo sa; anche se non sarà mai in grado di verificare scientificamente o di dimostrare razionalmente che il suo appello è stato recepito. Su questa consapevolezza poggia l’atteggiamento di fede: fonda un rapporto singolarissimo che legittima il dialogo religioso oltre i limiti della scienza e oltre le strettoie della filosofia.

Tutte le indagini che l’uomo fa sulla natura non s’imbatteranno mai nella constatazione di una presenza che per definizione è trascendente e quindi altra da ogni rilevamento empirico possibile.  Così, tutte le ragioni che si adducono possono solo legittimare l’affermazione della trascendenza. Caso mai, quando questa venga postulata come orizzonte alternativo, le analisi scientifiche e le considerazioni razionali potranno darvi ulteriore conferma e comprensione. Come è chiaro che precisamente l’orizzonte di fede popola la natura e investe la ragione di un riferimento altrimenti inavvertito.[6] 

 

4.1.  Quale linguaggio per sondare il mistero?

Anche in queste annotazioni, il linguaggio si è progressivamente portato su aspetti specifici.

Si è innanzitutto trasferito dal confronto con la realtà esteriore, constatata nella sensazione, all’interiorità della persona, esplorata nelle intuizioni che la segnano e non trovano legittima spiegazione nella persona stessa; donde il passaggio razionalmente richiesto di portarsi su un versante alternativo, postulato più che constatato.

Dio non risulta tanto garantito dalla dimostrazione razionale; è richiesto piuttosto dall’esplorazione esistenziale. La trascendenza è chiamata in causa perché l’esistenza non si giustifica, né è in grado di spiegare se stessa.

E tuttavia è vero che questa realtà, cui sembra indispensabile fare appello non si può constatare, non si avverte direttamente. Appare avvolta di “mistero”. E impone la domanda se sia possibile identificarla, chiamarla per nome…

Comunque è chiaro che i nomi di cui disponiamo non le si addicono.

Il linguaggio è dunque sfidato su una dimensione specifica, sulla quale falliscono i procedimenti propri dell’indagine scientifica e dell’argomentazione razionale. 

Il linguaggio religioso punta al… mistero e presume di poterne parlare  in termini che abbiano senso.

Negativamente è chiamato in causa perché gli altri linguaggi risultano spuntati; l’esistenza è assillata da spiegazioni che i vari versanti della ricerca umana non sono in grado di  soddisfare.

Più profondamente l’uomo è sollecitato da una presenza che resta avvolta di mistero; gli parla in maniera profonda e suadente, ma non lo costringe; gli si rivela in un richiamo ineludibile, proposto tuttavia alla sua vita; suscettibile di adesione e di rifiuto. L’orizzonte della ricerca religiosa si colloca così sul fronte del mistero; il suo compito  resta quello di darvi volto e nome.

Le indicazioni forse più pertinenti ci vengono dalla riflessione religiosa recente.[7] Si tratta di chiamare per nome, di conferire volto ad una presenza che si impone come mistero in cui la vita è immersa.

La dimensione religiosa sembra affiorare dove l’uomo prende coscienza di una presenza arcana con cui è in una relazione radicale e ultima. Dove tale intuizione viene decifrata e si tenta di chiamarla per nome sembra potervi conferire volto personale e appagante; rappresentare il riferimento e custodire la risposta.

L’esperienza concreta che viviamo può essere ripercorsa sull’onda del richiamo interiore, come sulla traccia delle acquisizioni culturali di cui disponiamo.

 

4.2. La traccia privilegiata

L’atto religioso analizzato nella sua più profonda istanza è aspirazione al rapporto personale: è attesa di risposta definitiva.[8] Per lo più, esso soggiace all’esperienza consueta di incontro: anzi, dove il rapporto a tu per tu viene analizzato nelle sue sottese aspirazioni lì è presagita e invocata una presenza trascendente, una capacità di interpretazione e di risposta che nessun tu finito è in grado di dare. Di più: dove l’analisi si fa radicale e interpreta l’esistenza nella sua origine e nel suo destino ogni riferimento finito denuncia la propria insufficienza.

La riflessione si porta obbligatoriamente sul versante trascendente e ultimo. L’invocazione non trova risposta che in un Tu assoluto.

Cosicché l’esplorazione del rapporto religioso non può che percorrere la pista obbligata del rapporto interpersonale. Solo nell’esplorazione del rapporto corretto con un tu – e nel caso con un Tu assoluto – la religione parla in termini singolarmente nuovi e persuasivi.

Viene così identificato l’orientamento attuale della ricerca concentrata sull’analisi del rapporto interiore con una trascendenza personale, dialogante.

Il che apre anche la riflessione al problema della rivelazione. Dove la trascendenza assume carattere personale la possibilità di una rivelazione diretta e positiva è legittimata.

Si tratterà, allora, di evidenziare quali siano i connotati di un linguaggio relazionale e interpersonale, di caratterizzarli correttamente dove il rapporto è con il Tu assoluto. Il linguaggio dovrà quindi cercare l’impostazione corretta.

Rimane inoltre fondata anche la legittimità di una ricerca che avverta nella cultura la manifestazione esplicita del richiamo religioso, che potrebbe o addirittura dovrebbe essere anche segnato di impronta personale. La presenza del dato cristiano non è solo questione che tocca il credente. È un problema che la ricerca si pone e che è suo compito esplorare, come avremo modo di rilevare nei prossimi interventi.

 


[1] Il termine esperienza è generico; lo assumiamo in tutto lo spessore che comporta e che analisi puntuali e attente, anche recentemente, hanno rilevato. Richiamo in particolare le pp. di Gadamer dedicate a Il concetto di esperienza e l’essenza dell’esperienza ermeneutica, in G. Gadamer, Verità e metodo, Milano, Bompiani 1995, pp. 401ss.

[2] È la rivendicazione costante anche della riflessione esistenziale; cf, ad es. uno dei suoi pensatori più accreditati, G. Marcel, Giornale metafisico, Roma, Abete, 1976, p. 248.

[3] Popper ha identificato un criterio oggi sostanzialmente accettato: «Queste considerazioni suggeriscono che, come criterio di demarcazione, non si deve prendere la verificabilità, ma la falsificabilità di un sistema… un sistema empirico deve poter essere confutato dall’esperienza: K. Popper, Logica della scoperta scientifica, Torino, Einaudi 1970, p. 22.

[4] Prini ha giustamente definito la ricerca di Marcel metodologia dell’inverificabile: P. Prini, Gabriel Marcel e la metodologia dell’inverificabile, Roma, Studium 1968; ne ha con questo identificato l’aspetto qualificante, ma ha anche indicato un aspetto qualificante della stessa riflessione filosofica.

[5] “La natura illimitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte.

     Tu non costretto da nessuna barriera, la determinerai secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà di consegnai. Ti posi nel mezzo del mondo perché di là meglio tu scorgessi ciò che è nel mondo. Non Ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice, ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti, tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine.” G. PICO DELLA MIRANDOLA, Discorso sulla dignità dell’uomo, Brescia, La Scuola, 1987, pp. 5-7:

[6] Sulla traccia di annotazioni come queste trovo irrilevanti talune discussioni sul rapporto fede-ragione. Mi sembrano perfettamente pertinenti le riflessioni di K. Popper, Dopo la società aperta, Roma, Armando 2009, p. 117.

 

[7] Sono stati valorizzati in questa ricerca proprio quegli Autori che hanno esplorato con singolare originalità l’esperienza religiosa.

[8] Cf M. Scheler, Vom Ewigen im Menschen, Bern, Franke 1968, pp. 364ss.

Un progetto che rende migliore la scuola

“Se è utile a tutti è proprio un progetto di classe”. È questo lo slogan che promuove in tutte le scuole secondarie di secondo grado cattoliche o di ispirazione cristiana il concorso I feel CUD, giunto alla sua terza edizione, cui sono invitati a partecipare gli alunni e i loro professori a partire dal 1 marzo 2013.
In palio contributi economici per realizzare un progetto, ideato dai giovani stessi, per migliorare il proprio istituto e che abbia anche un impatto sociale positivo per gli abitanti del territorio di pertinenza della scuola.
 
Concorso
Per partecipare bisogna studiare, solo il regolamento.
 
Chi può partecipare ?
Tutti gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado cattoliche o di ispirazione cristiana. Ogni classe costituisce una squadra. Ogni scuola può partecipare con una o più classi. Sul sito ifeelCUD.it ogni squadra iscritta ha una bacheca virtuale in modo da avere uno spazio di lavoro e comunicazione online sempre a disposizione.
 
Come partecipare ? 
  1. Con i membri della tua classe create una squadra.
  2. Leggete con attenzione il regolamento e l’allegato che definisce i criteri di valutazione del progetto.
  3. Scegliete un docente responsabile della squadra e chiedetegli di iscrivere la classe al concorso (ciascun responsabile compilerà l’apposito modulo inserendo tutti i dati richiesti).
  4. Raccogliete le schede allegate ai CUD. Maggiore sarà il numero di schede CUD raccolte, più punti potrete conquistare e salire così in classifica.
  5. Compilate il Project Plan e caricatelo sul sito entro la mezzanotte del giorno 31/05/2013.

Per aumentare il punteggio della vostra squadra e concorrere al Premio del Pubblico, create un VIDEO che illustri le idee del vostro progetto e caricatelo sul sito prima della chiusura del concorso. Coinvolgete tutti i vostri amici nella votazione del video preferito. Possono esprimere il loro voto fino a mezzanotte del 30/06/2013!

Terminata l’iscrizione, troverete tutti i documenti che vi servono (liberatorie, autorizzazioni, schema di ricevuta per il Caf, lettera di presentazione per i giovani registrati a firma del Servizio, etc.) da scaricare nella sezione del profilo. I progetti saranno valutati da una giuria in base agli obiettivi e ai criteri fissati nel bando.

 
Quando partecipare ?
Il concorso si svolge dal 01/03/2013 al 31/05/2013. I materiali devono essere caricati sul sito entro la mezzanotte del 31/05/2013. La votazione del video da parte degli amici invece è aperta fino alla mezzanotte del 30/06/2013. I vincitori saranno proclamati sul sito il 1/07/2013.
 
Il Project Plan
Il Project Plan è una descrizione dettagliata del tuo progetto. Compilare il Project Plan non solo aiuta la squadra a capire meglio lo scopo del proprio progetto, gli obiettivi da realizzare, i tempi e i costi necessari, ma soprattutto favorisce una migliore organizzazione.
Lo scopo del Project Plan è quello di dimostrare l’impatto sociale del progetto sulla scuola e gli abitanti del quartiere dove sorge la scuola.
Rispondere con accuratezza alle domande del Project Plan può aumentare il punteggio della squadra fino a 100 punti. Il Project Plan deve essere accompagnato dai moduli B e C.
 
Il video
Girate un video che illustri l’idea del progetto e sottolinei la sua utilità; la squadra potrebbe vincere il Premio del Pubblico: un viaggio di 2 giorni a Roma!

I contenuti del video che suggeriamo sono:

  • presentazione del progetto;
  • descrizione del valore sociale del progetto (basato sui bisogni della scuola/territorio);
  • presentazione della squadra e degli obiettivi da raggiungere.
Ricordati, il video non è obbligatorio, ma permette di guadagnare 30 punti in più.
Il Premio del Pubblico è cumulabile con gli altri premi.
Il video deve essere accompagnato dai moduli B e C.

Nel caso in cui le scuole vincitrici del premio del pubblico siano di Roma, il premio può essere convertito in un viaggio in un’altra città italiana da concordare con il Servizio Promozione.

La nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana

L’Istituto di Catechetica, fedele alla tradizione, organizza anche quest’anno una giornata di studio per docenti e dottorandi, su un tema catechetico particolarmente rilevante.

Questa giornata si realizza nel 50° Anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II, nell’anno della fede, alcuni mesi dopo la celebrazione del Sinodo dei Vescovi su: La nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana.

Per questo motivo è stato scelto come tema: Il primo annuncio nel contesto della nuova evangelizzazione. Alla luce del recente Sinodo dei vescovi.

La giornata di studio si realizzerà il sabato 2 marzo 2013 presso l’Università Pontificia Salesiana, dalle 9.00 alle 17.00.

Abbiamo invitato per questa circostanza un esperto di fama internazionale, il Prof. Xavier Morlans i Molina, docente della Facoltà di Teologia di Catalunya (Barcellona), consultore del Pontificio Consiglio per la Nuova evangelizzazione.

Contenuto delle relazioni:

– Approssimazione pastorale, biblica e teologica al primo annuncio. Perché oggi la preoccupazione per il primo annuncio? Origine del primo annuncio: il kerygma apostolico.

– L’esperienza pastorale “Tornar a creure” (Ritornare a credere) nelle diocesi di Barcellona, Salsona e S. Feliu di Llobregat (2012-2013).

–  Proposta di un piano di nuova evangelizzazione in base all’articolazione di primo annuncio, itinerari di (re-)iniziazione cristiana e scuole diocesane di evangelizzazione. (Cf. Proposte del Sinodo dei vescovi, specialmente le Propositiones: 9, 10, 40, 45 e 47).

Ad ogni relazione farà seguito un tempo di dialogo con il relatore.

Naturalmente saremo onorati della sua presenza e del contributo che potrà offrire alla riflessione su un tema così importante.

Le adesioni vanno comunicate via E-Mail, entro e non oltre il 15 febbraio 2013 a: pastore@unisal.it

Siamo lieti di offrirvi il pranzo. Se qualcuno dovesse arrivare la sera del 1° di marzo è pregato di segnalarlo per tempo, per garantire l’ospitalità nella struttura della Università.

SCARICA IL PROGRAMMA:

Giornata ICA 2013 – Programma

QUALCHE INFORMAZIONE SU:

Morlans Xavier

 

Con viva cordialità e amicizia.

Corrado Pastore                                                         

Direttore dell’Istituto di Catechetica                        

Percorsi didattici alternativi: “I bambini sono spugne!”

Crescente complessità della vita alla quale concorre anche la tecnologia? Sempre più ampie e trasversali competenze richieste per entrare nel mondo del lavoro? Anche l’universo scuola non può rimanere incolume a tutto questo. Così le classiche ore divise per materie stanno cadendo nel dimenticatoio, i programmi finiscono necessariamente per integrarsi fra loro e l’interdisciplinarietà diventa la nuova parola d’ordine. Ma tutto questo, evidentemente, nel passaggio dal teorico al pratico non è per nulla semplice. Lo sforzo richiesto agli insegnanti è cresciuto e cresce in modo esponenziale. Alcuni, alquanto pioneristicamente, propongono idee nuove e risposte concrete: per un vero e proprio nitido segnale di aggiornamento. Fra questi il Prof. Nicola Rosetti propone un percorso a dir poco particolare: “la catechesi della bellezza”. Se è vero che sin dall’albore dei tempi l’arte e la bellezza hanno tradotto in immagini l’idea della fede, in una qualche forma di trascendenza divina, questo connubio può tentare di spiegare la religione o quantomeno renderla un po’ più accessibile ai nostri ragazzi. Lo abbiamo intervistato.

Prof. Nicola Rosetti, quanto è difficile insegnare religione ai ragazzi? Quale è la sfida/reticenza più grande che questo insegnamento incontra nelle nostre scuole oggi?

Io non parlerei di una difficoltà specifica dell’insegnamento della religione, perché il discorso religioso, la curiosità tipica di ogni uomo e in particolare dei più giovani e non ultimo il fascino proprio della figura di Gesù continua ad attrarre gli alunni. L’insegnamento religioso patisce gli stessi problemi delle altre discipline su un doppio versante: dalla parte di chi insegna e dalla parte di chi riceve l’insegnamento. Per  i primi, cioè per gli insegnanti, il grande problema è quello della riduzione a piccoli burocrati del sapere. Una burocrazia sempre più opprimente li impegna e li distoglie, ovviamente contro la loro volontà, da quello che dovrebbero e vorrebbero fare e cioè formare i ragazzi. Dall’altra parte, gli alunni ricevono molti stimoli e per loro la scuola è diventato sempre più un impegno fra i tanti e non quello principale. Contrariamente a quello che comunemente si pensa, la crisi non è di risorse (che comunque sicuramente potrebbero essere maggiori!) ma culturale. Questa dunque è a mio avviso la vera sfida del momento: far tornare la scuola alla sua vocazione originaria.

Ci può spiegare come organizza una “catechesi della bellezza” in teoria e in pratica?

Il termine “catechesi” non deve trarre in errore i lettori! Il compito dell’insegnante di religione nella scuola non è quello di iniziare alla fede, questo è compito appunto della catechesi. Ho voluto tuttavia chiamare questo modo di impostare le lezioni “catechesi della bellezza” perché sono convinto che solo attraverso la conoscenza dei contenuti della fede si può apprezzare fino in fondo un’opera d’arte di carattere religioso. Allo stesso tempo, un quadro che rappresenta una scena sacra, attraverso l’immagine, riesce a spiegare la fede meglio di un discorso: temi come quelli della grazia e del libero arbitrio sarebbero pesanti e di difficile comprensione anche per un adulto, ma ecco che se magari si mostra ai bambini “La vocazione di San Matteo” di Caravaggio, tutto è più semplice! La luce che proviene dal Cristo rappresenta il suo amore per ogni uomo (grazia) e infatti tutti i personaggi seduti al tavolo sono illuminati, ma solo uno, Matteo, risponde attivamente alla chiamata (libero arbitrio). Una volta osservata l’immagine e spiegato il significato, si può chiedere ai bambini di disporsi nello stesso modo in cui sono disposti i personaggi nel dipinto, oppure si può chiedere loro di adattare il quadro secondo un’altra visione religiosa, come ad esempio quella luterana.

Da dove arriva o deriva la sua idea di utilizzare il connubio tra bello artistico e fede?

Lavorando con i bambini della scuola primaria, comunemente detta elementare, ho sempre dovuto ricercare un linguaggio semplice, accessibile e diretto e nulla è così comunicativo come un’immagine. Direi che quindi tutto è nato per praticità. Durante la mia esperienza lavorativa a Roma, mi sono accorto che i bambini non conoscono per nulla la città in cui vivono. Pertanto nelle mie lezioni cerco di usare il più possibile opere d’arte che poi posso fare ammirare ai miei alunni dal vivo. Si tratta di fare un raccordo fra fede, arte e le ricchezze che il territorio offre. Nel mio lavoro cerco di ispirarmi ad un dipinto di El Greco che nella sua semplicità mi ha sempre affascinato. Si tratta di un “ritratto” dell’evangelista Luca che mostra all’osservatore il vangelo aperto; sulla pagina di sinistra si vede un passo del vangelo, mentre su quella di destra è dipinta una Madonna che regge in braccio Gesù Bambino. Ho scelto questa immagine come sintesi del mio lavoro perché non faccio altro che abbinare a ogni passo biblico che propongo ai miei alunni un’immagine artistica che lo visualizzi e lo spieghi. In tutta onestà posso dire che di mio c’è ben poco! Il mio è soprattutto un lavoro di “collage”!

Che tipi di riscontri (commenti, pensieri, idee … ) incontra presso i ragazzi e/o presso i loro genitori usando questo suo metodo? Ci racconti un episodio che le è rimasto impresso.

Non bisogna sottovalutare l’intelligenza, la curiosità e il desiderio di conoscere dei bambini, anzi forse noi adulti, spesso stanchi e annoiati da tutto, dovremmo prendere esempio da loro! Non bisogna avere paura di proporre agli alunni molti contenuti perché i bambini sono “spugne”! Io per esempio non mi faccio nessun problema a portare classi di alunni di terza elementare in visita ai Musei Vaticani! Propongo questa attività didattica al termine dell’anno scolastico, come coronamento di un percorso che abbiamo svolto durante tutto l’anno. I bambini sono sempre molto entusiasti perché finalmente, dopo un anno di intenso lavoro, possono vedere dal vivo quello che hanno studiato in classe! Quando ci troviamo ai Musei Vaticani non prendiamo una guida, ma ogni bambino fa da guida agli altri! Diciamo che è una vera e propria interrogazione sul posto: io faccio le domande sui dipinti che vediamo e un bambino alla volta risponde, in modo tale che tutti  siano coinvolti. A questo tipo di uscite partecipano anche i genitori che si possono rendere conto del tipo di attività che abbiamo svolto in classe durante l’anno. I genitori partecipano sempre molto volentieri, anche perché per molti di loro è la prima occasione per ammirare le meraviglie di Roma. Quest’anno mi ha colpito la visita a Santa Maria Maggiore. Il custode mi ha chiesto se i bambini potessero essere interessati a vedere dei paramenti liturgici cinquecenteschi. Ero molto scettico sulla cosa perché la ritenevo più adatta per un gruppo di sacerdoti o di religiosi piuttosto che per dei bambini, e più per non rispondere con un  “no” che per altro ho acconsentito. Con mio grande stupore, quando il custode ha aperto gli armadi dove erano contenuti i paramenti, dai bambini si è levato un grosso “OHHH” di meraviglia. Quegli abiti finemente decorati, insoliti, di foggia preconciliare li ha enormemente colpiti. Questo per dire che non bisogna avere paura nel proporre contenuti che a prima vista potrebbero sembrare “pesanti”.

Chiudiamo con una domanda personale. Cos’è quindi “la bellezza” secondo la sua esperienza? È più un modo, per noi uomini, per avvicinarci a capire un poco Dio o più un modo di Dio per scendere al nostro livello, parlando una lingua che noi conosciamo, e farsi capire?

Credo che si possa parlare di due vie complementari. Dio è bellezza, l’uomo è bellezza, l’arte è il ponte che li lega. È impressionante come l’uomo, volendo catturare in immagini la gloria di Dio finisce anche per glorificare se stesso attraverso il talento artistico. Mi permetta di terminare con le parole del grande scrittore inglese G.K. Chesterton che, in polemica con la bruttezza di certe produzioni artistiche moderne ha descritto a mio avviso in modo magistrale cosa deve essere una vera opera d’arte: “Non basta che un monumento popolare sia artistico, come uno schizzo a carboncino. Deve sorprendere, deve essere sensazionale nel senso più alto della parola, deve rappresentare l’umanità, deve parlare per noi alle stelle, deve proclamare al cospetto del cielo che, una volta stilato il catalogo più lungo e più nero di tutti i nostri crimini e di tutte le nostre follie, restano ancora alcune cose di cui gli uomini non devono vergognarsi”.

(Intervista tratta dal sito Mediapolitika)

La settima parola: “non commettere adulterio”

Nel cammino di fraterno dialogo e stima tra la Chiesa in Italia e il Popolo ebraico, l’incontro tra il Papa e la Comunità ebraica di Roma nel Tempio Maggiore, il 17 gennaio 2010, ha suggellato positivamente le tappe fin qui percorse, indicando nuovi obiettivi, mostrando di voler andare oltre turbolenze e incertezze che hanno talora suscitato dubbi sull’effettiva consistenza del dialogo cristiano-ebraico odierno.
Nella sua visita alla Sinagoga di Roma Benedetto XVI, ha voluto sottolineare in maniera ancora più chiara quanto aveva già affermato nella sinagoga di Colonia sulla comune responsabilità che gli ebrei e i cristiani hanno di fronte alle “Dieci parole”: «In particolare il Decalogo – le “Dieci Parole” o Dieci Comandamenti (cfr Es 20,1-17; Dt 5,1-21) – che proviene dalla Torah di Mosè, costituisce la fiaccola dell’etica, della speranza e del dialogo, stella polare della fede e della morale del popolo di Dio, e illumina e guida anche il cammino dei Cristiani. Esso costituisce un faro e una norma di vita nella giustizia e nell’amore, un “grande codice” etico per tutta l’umanità. Le “Dieci Parole” gettano luce sul bene e il male, sul vero e il falso, sul giusto e l’ingiusto, anche secondo i criteri della coscienza retta di ogni persona umana. Gesù stesso lo ha ripetuto più volte, sottolineando che è necessario un impegno operoso sulla via dei Comandamenti: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i Comandamenti” (Mt 19,17)».
In questa prospettiva, sono vari i campi di collaborazione e di testimonianza che si aprono davanti a ebrei e cristiani, uniti da comuni aspirazioni.
Vorremmo ricordarne tre particolarmente importanti per il nostro tempo.
 

“Buoni cristiani e onesti cittadini” Scuola di Formazione SocioPolitica

Vi proponiamo la III edizione della Scuola di Formazione SocioPolitica organizzata con il patrocinio dell’Università Pontificia Salesiana, della Facoltà di Filosofia della stessa e dalla Federazione dei Servizi Civili e Sociali CNOS, che si svolgerà tutti i venerdì di quaresima presso la Parrocchia di Santa Maria della Speranza in via F. Cocco Ortu, 19 in Roma.

La scuola di formazione socio – politica intende proporre, sempre nel prezioso Tempo Quaresimale, un momento di riflessione condiviso per leggere, alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa, le sfide che la crisi ci impone e le cui prospettive di soluzio- ne dipendono da una corretta comprensione dei ruoli fondamentali della famiglia, del lavoro, della giustizia, dell’economia e della finanza pubblica.

DESTINATARI:

La scuola è gratuita e aperta a tutti ed è destinata ai giovani, insegnanti, educatori, catechesti e a coloro che sono impegnati in attività civili, politiche ed economiche

Per informazioni rivolgersi alla segreteria della Parrocchia Santa Maria della Speranza o presso il sito: http://speranza.donbosco.it – 345.3402412

Scarica: Depliant

Giornate formative USPI

l’USPI ha organizzato una serie di “Giornate Formative” riservate ai suoi associati, che potranno parteciparvi a titolo completamente gratuito previa prenotazione della partecipazione medesima.
 
La prima di queste “Giornate” si terrà mercoledì 23 gennaio 2013, alle ore 10.30, presso la Sala 1 della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, in Viale Castro Pretorio 105, Roma.
 
Il tema che verrà affrontato sarà:  “Interventi negli stati di crisi e diversi tipi di ammortizzatori sociali che la normativa rende disponibili nei rapporti di lavoro tipici dell’editoria periodica”.
 
L’USPI metterà a disposizione dei propri associati un consulente che, dopo una prima esposizione teorica della normativa vigente e delle possibili soluzioni, sarà a disposizione per rispondere a quesiti su singoli casi posti dai partecipanti.
 
Data la limitata disponibilità della sala (circa 80 posti), si invitano gli associati interessati a prenotare la propria partecipazione inviando una mail a uspi@uspi.it entro il 14 gennaio p.v. cui seguirà una risposta della Segreteria USPI per accettazione.
 
Certi che questo nuovo servizio sarà gradito, cogliamo l’occasione per porgere cordiali saluti a tutti gli iscritti.
 
LA SEGRETERIA GENERALE
 
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