Islam: Consigli a un discepolo

La fede è affermazione della lingua, accettazione del cuore, operare se¬condo i principi.
E le prove dell’im¬portanza delle opere sono innumere¬voli.
Certo, l’uomo ottiene il Paradiso dalla grazia dell’Altissimo e dalla sua generosità, senonché lo ottiene dopo esservisi preparato mediante l’obbedienza e la devozione, perché «la mi¬sericordia di Dio è vicina a quelli che fanno il bene».
E se qualcuno dicesse: «Il Paradiso si ottiene unicamente con la fede», risponderemmo: «Sì, ma quando si ottiene? E quanti duri osta¬coli bisogna superare per arrivarci? La prima di tali difficoltà viene appunto dalla fede: il credente scamperà alla perdita della fede o no? E quando ar¬riva in Paradiso, non vi giungerà forse spoglio e sprovvisto?».
Dice al-Hasan di Bàssora: «L’Altissimo dirà ai suoi servi, nel Giorno del Giudizio: “Servi miei, entrate in Paradiso, per mia mi¬sericordia, e spartitevelo secondo le vostre opere”».
O giovane, finché non operi, non tro¬verai premio.
Si racconta di un certo israelita che aveva adorato l’Altissimo per lo spazio di settant’anni; Dio volle farlo conoscere agli angeli, e mandò un angelo a portargli la notizia che, malgrado quella sua adorazione, non meritava di entrare in Paradiso.
A que¬sto annuncio il devoto esclamò: «Sia¬mo stati creati per l’adorazione e biso¬gna che Lo adoriamo!».
L’angelo tornò indietro e disse: «Mio Dio, tu sai bene che cosa ha risposto».
Dichiarò allora Iddio: «Se lui non cessa di ado¬rarci, noi, con la nostra generosità, non lo abbandoneremo.
Siate testi¬moni, o angeli, che gli ho perdonato».
E ha detto l’Inviato di Dio: «Fate i con¬ti con la vostra coscienza, prima che al¬tri vi chiami alla resa dei conti, e pesa¬te le vostre condizioni prima che altri ve le pesi».
E diceva Ali: «Chi crede di arrivare in Paradiso senza sforzo è un illuso, e chi crede di arrivarci soltanto con lo sforzo è un presuntuoso».
E di¬ceva al-Hasan di Bàssora: «Ricercare il Paradiso senza opere è un peccato», e diceva: «Contrassegno della verità: prescindere dalla ricompensa delle opere, ma non rinunciare alle opere».
Sappi che chi segue la strada di Dio ha bisogno di uno sheikh, educatore e guida, che con la sua disciplina espella da lui le cattive inclinazioni, ponendo al loro posto quelle buone.
L’educa¬zione è simile al lavoro del contadino, che sradica le spine e toglie le erbe estranee dal seminato, perché vegeti bene e raggiunga uno sviluppo perfet¬to.
E chi segue la strada di Dio non può fare a meno di uno slteikh che lo edu¬chi e lo guidi su quella strada, perché Dio mandò ai suoi servi un Inviato, per guidarli sulla sua via, e costui morendo lasciò i califfi al suo posto, perché gui¬dassero (i musulmani) a Dio.
O giovane, l’essenziale della scienza è che tu conosca che cosa sono l’obbe¬dienza e la devozione.
Sappi che obbe¬dienza e devozione consistono nel se¬guire il Legislatore, nei comandamen¬ti e nei divieti, con le parole e con le azioni.
Vale a dire: tutto quel che fai, e dici, e ometti, sia conforme alla legge.
Così, se tu digiuni il giorno della Festa o i tre giorni successivi, sei un ribelle.
O se tu eseguissi la preghiera indossan¬do un vestito rubato, peccheresti pur avendo l’apparenza della devozione.
O giovane, bisogna che le tue parole e i tuoi atti siano conformi alla legge, perché la scienza e le opere, senza la guida della legge, sono un errore.
Ed è necessario che tu non ti lasci inganna¬re dagli aspetti emotivi dell’ascetico-¬mistica.
La via mistica è quella del com¬battimento spirituale; è necessario troncare le passioni dell’anima carna¬le, uccidere le sue brame con la spada dell’ascesi, non con le frenesie e le fu¬tilità.
Sappi anche che alcune delle do¬mande che mi hai rivolto non comportano risposta, né scritta né a parole: chi raggiunge gli stati mistici sa che cosa sono, non è possibile conoscerli altri¬menti, perché sono dati di esperienza immediata, e queste esperienze tutte sono indescrivibili, come la dolcezza del dolce e l’amarezza dell’amaro, che puoi conoscere soltanto sperimentan¬dole…
Si racconta che ash-Shibli, dopo aver studiato con quaranta maestri, di¬ceva: – Ho letto quattromila hadìth, poi ne ho prescelto uno solo e l’ho messo in pratica, ad esclusione di tutti gli altri, perché meditandolo vi ho tro¬vato la mia liberazione e la mia salvez¬za.
La scienza degli antichi e dei mo¬derni c’è dentro tutta, e mi è stato suf¬ficiente.
Eccolo: «Un giorno l’Inviato di Dio disse ad uno dei suoi compagni: Opera per la tua vita mondana nella misura del tempo che dimorerai in questo mondo, opera per la tua vita fu¬tura nella misura della sua durata.
Opera per Dio nella misura del bisogno che hai di Lui, ed opera per il Fuo¬co nella misura in cui sarai capace di sopportarlo».
Famoso insegnante di scienze religiose a Naysàbu re o Baghdad prima di praticare una sorta di vita monastica in accordo con la tradizione sufica, il persiano Abu-Hamid Muhammad al-Ghazàli (1058 ca.- 1111), considerato il maggior teologo islamico, ha lasciato un gran numero di opere.
I passi che riportiamo di seguito sono tratti da: O giovane!, un breve scritto in cui al-Ghazali ha sin¬tetizzato le sue convinzioni religiose, morali e mi¬stiche per consegnarle a un suo discepolo che ne aveva fatto richiesta (trad.
da Le più belle pagine della letteratura araba, Milano 1957, pp.
235¬-38).

Homo religiosus nella storia/6

Bibliografia: R.
Otto, Das Heilige, Gotha, 1917 (tr.
it.
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Soderblom, Le Dieu vivant dans l’histoire, Paris 1937; C.
van der Leeuw, La religion dans son essence et dans ses manifèstations, Paris 1948, 1970; M.
Eliade, Le sa­cré et le profane, Paris 1955 (tr.
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Boringhieri, Torino 1973); Id., Trattato di storia delle religioni, Borin­ghieri Torino 19763; Id., Storia delle credenze e delle idee religiose, 3 voiL, Sansoni, Firenze 1978-1983; J.
Ries, Le sacré et l’Histoire des religions, in L’expres­sion du sacré dans les grandes religions, I , Louvain­ la Neuve 1978, pp.
35-102; Homo religiosus, Sacré, Sainteté, in ibid., III , 1986, pp.
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Pastor, L’uomo e la ricerca di Dio, in Aa.Vv., Vaticano II.
Bilancio e prospettive (a cura di R.
Latourelle), Citta­della, Assisi 1987, pp.
923-938.
 L’uomo religioso assume nel mondo un modo specifico di esistenza, che si esprime nelle numerose forme religiose, che la storia ci mostra.
Egli si riconosce dal suo stile di vita; «crede sempre all’esistenza di una realtà assoluta, il sacro, che trascende questo mondo ma che in esso si manifesta e che quindi lo santifica e lo rende reale» (Eliade, Le sacré et le profane, 171).
L’uomo religioso vive un’esperienza religiosa; si trova in una serie di situazioni esistenziali che lo mettono il rapporto con il Trascendente.
Attraverso le diverse situazioni che egli assume, riu­sciamo a penetrare nel suo universo spiri­tuale.
Queste situazioni hanno lasciato delle tracce.
In definitiva, la storia delle religioni è la storia dell’homo religiosus colto nella realtà esistenziale delle sue credenze, delle sue esperienze e del suo comportamento.
Quest’uomo crede all’origine sacra della vita e al senso dell’esi­stenza umana come partecipazione a una Realtà che va al di là di questa esistenza.
Così, l’homo religiosus è l’uomo che «prende coscienza del sacro, perché que­sto si mostra, si manifesta come qualcosa di totalmente differente dal profano» (Le sacré…, 14).
Il sacro si manifesta come una potenza di un ordine completamente diverso da quello delle forze naturali.
Per designare questa manifestazione del sacro percepita dall’homo religiosus, Eliade usa un termine: ierofania.
Dal punto di vista della struttura, l’atto di manifestazione del sacro è sempre identico: un atto miste­rioso, la manifestazione di qualcosa «totalmente altra».
Questa manifestazione è l’elemento misterioso che costituisce la natura sui generis di ogni ierofania.
La storia delle religioni ci mostra che la strut­tura e la dialettica della ierofania sono sempre identiche.
Ciò è di importanza fondamentale: nella vita religiosa non ci sono rotture, l’esperienza religiosa ha la stessa specificità in tempi e luoghi diversi.
Essa è l’esperienza esistenziale dell’homo religiosus.
Anche se tutte le ierofanie hanno la stessa struttura e si presentano, quindi, come omogenee, esse sono, tuttavia, eterogenee dal punto di vista della forma: riti, miti, forme divine, oggetti, simboli, animali, piante, uomini.
Il sacro si manifesta, dun­que, per l’homo religiosus a livelli diversi, il che spiega la grande varietà dell’espe­rienza religiosa, da una ierofania che ha luogo in una pietra fino alla teofania su­prema, l’Incarnazione di Dio in Gesù Cristo.
L’homo religiosus è insieme.
testi­mone e messaggero.
Il fenomenologo vede il testimone, l’ermeneuta cerca di comprendere il messaggero e il suo mes­saggio.
Si può affermare che attraverso lo studio dell’homo religiosus la storia delle religioni identifica il trascendente nell’e­sperienza religiosa.
Nella vita dell’uomo religioso il linguag­gio delle ierofanie è costituito dal sim­bolo, attraverso il quale il mondo parla e rivela le modalità del reale che non sono evidenti di per sé stesse.
I simboli religiosi che toccano le strutture della vita mettono in rilievo una dimensione che trascende la dimensione umana, e rendono possibile una comprensione diretta della Realtà ul­tima.
II pensiero simbolico precede il lin­guaggio e costituisce la sostanza della vita religiosa.
L’homo religiosus è un homo symbolicus.
L’esperienza del mito è an­ch’essa un’esperienza del sacro poiché mette l’uomo in contatto con il mondo soprannaturale.
Il mito si presenta come una storia vera, sacra ed esemplare, che fornisce all’uomo religioso dei modelli di condotta.
I miti cosmogonici, i miti d’ori­gine, i miti di rinnovamento, i miti escato­logici orientano l’attività dell’homo reli­giosus dandogli un messaggio normativo.
II mito, andando a sfociare nell’imita­zione di un modello trascendente, sulla ripetizione di una storia esemplare, man­tiene nell’uomo la coscienza del divino: grazie al mito il mondo diviene traspa­rente.
Nel mito è presente il riferimento a un archetipo che conferisce potenza ed efficacia all’azione umana.
L’archetipo si presenta come un modello primordiale che ha origine nel mondo soprannaturale.
L’uomo religioso realizza questo modello sulla terra.
Per far questo egli ha bisogno di un rituale che dia forza ed efficacia alla sua realizzazione, mettendola in perfetto accordo con l’archetipo.
L’effetto del ri­tuale consiste nel conferire una dimen­sione di realtà all’azione dell’uomo religioso.
I riti di passaggio rappresentano il passaggio dalla condizione profana a un’esistenza nuova segnata dal sacro.
L’ i­niziazione equivale a una mutazione onto­logica del regime esistenziale.
È dunque per mezzo dei simboli, dei miti e dei riti che il sacro esercita la sua funzione di Mediazione nella vita dell’homo religio­so, al quale dà la possibilità di entrare in contatto con la fonte stessa del sacro, cioè sacro in quanto Realtà trascendente.
homo religiosus è in definitiva un lettore e un messaggero del sacro.
Se l’uomo religioso appare nello specchio della storia delle religioni come homo in­sieme storico e transtorico, in quanto uomo nella totalità delle sue dimensioni, cosa significa quell’altro tipo umano che è l’uomo areligioso? Per Eliade è l’uomo che «rifiuta la trascendenza, accetta la re­latività della “realtà” e arriva fino a dubi­tare del senso dell’esistenza» (Le sacré et le profane, 172).
Questo tipo d’uomo è andato fiorendo soprattutto nelle società moderne occidentali.
Costruisce se stesso desacralizzando il mondo.
«Il sacro è l’o­stacolo per eccellenza alla sua libertà» (op.
cit., 172).
Egli discende dall’homo religiosus per via di un processo di desa­cralizzazione, ma conserva numerose tracce del comportamento dell’uomo reli­gioso di cui è l’erede.
È portatore di una mitologia camuffata e di ritualismi dete­riorati.
Il processo di desacralizzazione ha portato inoltre alla nascita delle ideolo­gie, delle mistiche politiche, di certi mo­vimenti laici che fanno gran caso al sog­getto iniziatico e alla nostalgia delle origini.­     Julien Ries

Dio diviene uomo per rendere Adamo Dio

La festa dell’Annunciazione della santissima Madre di Dio e sempre vergine Maria è una delle poche feste che troviamo in quaresima nella tradizione bizantina.
Della festa abbiamo testimonianze precise a Costantinopoli attorno al 530, e anche Romano il Melode le dedica nel vi secolo un kontàkion.
Allo sviluppo della festa contribuirono le omelie antiariane che sottolineano, accanto all’umanità di Cristo, anche la sua divinità eternamente sussistente in Dio, e l’omiletica siriana, che sottolinea con forza il parallelo tra Eva e Maria.
A Roma la festa fu introdotta da Papa Sergio i (687-701), di origine siriaca, con una celebrazione liturgica a Santa Maria Maggiore e una processione.
Sin dall’inizio la festa fu celebrata il 25 marzo, sempre nel periodo quaresimale, un tempo dunque che esclude qualsiasi solennità.
Nel 692 il quarto concilio di Costantinopoli prescrisse però di celebrare con tutta solennità la festa, e così nelle Chiese bizantine si sviluppò un sistema di rubriche liturgiche che cercano di combinare l’Annunciazione con le ufficiature quaresimali e con quelle della Settimana santa.
La festa del 25 marzo ha una vigilia il 24 e un dopo-festa il 26, giorno in cui si celebra la memoria dell’arcangelo Gabriele.
Infatti, molto spesso le grandi feste nella tradizione bizantina hanno, il giorno successivo alla festa, la celebrazione del personaggio di cui Dio si serve per portare a termine il suo mistero di salvezza.
La festa ha come tema portante l’annuncio dell’Incarnazione del Verbo di Dio e la gioia che ne scaturisce.
In molti dei tropari ricorre quasi come un ritornello l’esortazione “gioisci”: si tratta di una gioia che non ha niente di superficiale, bensì nasce dalla consapevolezza della salvezza che ci viene data in Cristo, in una festa che cerca di coinvolgere tutta la creazione nella lode e nella contemplazione del mistero celebrato.
I tropari sono un intreccio di citazioni bibliche, soprattutto veterotestamentarie, profezie che annunciano il Cristo e che la tradizione patristica ha letto sempre in chiave cristologica.
Questa stessa accentuazione cristologica è già in tutti i titoli dati a Maria, legati al mistero dell’Incarnazione del Verbo di Dio e della divina maternità di Maria: “Gioisci, terra non seminata; gioisci, roveto incombusto; gioisci abisso imperscrutabile; gioisci, ponte che fa passare ai cieli e scala elevata contemplata da Giacobbe; gioisci, divina urna della manna; gioisci, liberazione dalla maledizione; gioisci, ritorno di Adamo dall’esilio: il Signore è con te”.
Un altro tema che torna nei testi liturgici è l’accostamento di meraviglia e dubbio in Maria; meraviglia di fronte a quello che le viene annunciato, dubbio non tanto di fronte a quello che dovrà avverarsi, bensì di non essere di nuovo ingannata come Eva da qualcuno che annuncia grandi cose (“sarete come Dio”).
Un altro accostamento di meraviglia e stupore è applicato dalla liturgia anche all’arcangelo di fronte al contenuto dell’annuncio, con una serie di affermazioni cristologicamente contrastanti, molto simili ai temi degli Inni di sant’Efrem il Siro: “L’inafferrabile che è nel più alto dei cieli, nasce da una vergine! Colui che ha il cielo per trono e la terra come sgabello si rinchiude nel grembo di una donna! Colui che i serafini dalle sei ali non possono fissare, si compiace di incarnarsi da lei.
Colui che qui è presente è il Verbo di Dio”.
Le letture del vespro sono prese dall’Antico Testamento, pericopi che già tutta la tradizione patristica di oriente e occidente legge in chiave cristologica: la scala di Giacobbe (Genesi, 28, 10-17); la porta chiusa da dove passa soltanto il Signore (Ezechiele, 43, 27 – 44, 4); la casa costruita dalla sapienza di Dio (Proverbi, 9, 1-11).
Il tropario della festa riassume in modo breve e chiaro il tema di fondo della celebrazione: “Oggi è il principio della nostra salvezza e la manifestazione del mistero nascosto da secoli: il Figlio di Dio diviene Figlio della Vergine, e Gabriele porta la buona novella della grazia.
Con lui dunque acclamiamo alla Vergine: Gioisci, piena di grazia, il Signore è con te”.
Nell’ufficiatura del mattutino uno dei suoi testi è di un autore bizantino, Teodoro Graptos (778-845), vissuto in piena controversia iconoclasta.
L’opera è un acrostico, e si svolge servendosi di un genere letterario che già Efrem usa spesso, cioè quello del dialogo o disputa tra due personaggi – qui tra l’arcangelo e la Madre di Dio – a strofe alterne.
L’autore riprende il tema accennato già al vespro, la meraviglia dello stesso arcangelo per quello che deve annunciare, e lo stupore e la paura della Vergine, paura di essere ingannata di nuovo come Eva.
L’ultimo dei tropari del mattutino riassume il mistero della nostra salvezza, già manifestato nei vangeli e nella tradizione patristica: “Il mistero che è dall’eternità è oggi rivelato, e il Figlio di Dio diviene figlio dell’uomo, affinché, assumendo ciò che è inferiore, possa comunicarmi ciò che è superiore; Dio diviene uomo per rendere Adamo Dio”.
Nella Divina liturgia del giorno 25 si leggono due brani, dalla lettera agli Ebrei (2, 11-18) e dal vangelo di Luca (1, 24-38).
“E l’angelo andò via da lei”.
Questo versetto che chiude la pericope dell’Annunciazione mi fa sempre impressione.
Il Signore ci annuncia la sua buona novella e poi ci lascia? No, non è l’abbandono né la solitudine che dobbiamo leggere nel vangelo di Luca, ma il fatto che nella nostra vita cristiana siamo chiamati a dare una risposta, con la nostra responsabilità e maturità, umana e cristiana.
(©L’Osservatore Romano – 25 marzo 2009)

«Una religione sana rifiuta la violenza»

Cari amici, lieto dell’occasione che mi è data di incontrare rappresentanti della comunità musulmana in Camerun, esprimo il mio cordiale ringraziamento al Signor Amadou Bello per le gentili parole rivoltemi in vostro nome.
Il nostro incontro è un segno eloquente del desiderio che condividiamo con tutti gli uomini di buona volontà – in Camerun, nell’intera Africa e in tutto il mondo – di cercare occasioni per scambiare idee su come la religione rechi un contributo essenziale alla nostra comprensione della cultura e del mondo ed alla coesistenza pacifica di tutti i membri della famiglia umana.
Iniziative in Camerun come l’Association Camerounaise pour le Dialogue Interreligieux mostrano come tale dialogo accresca la comprensione vicendevole e sostenga la formazione di un ordine politico stabile e giusto.
Il Camerun è la Patria di migliaia di cristiani e di musulmani, che spesso vivono, lavorano e praticano la loro fede nello stesso ambiente.
I seguaci tanto dell’una quanto dell’altra religione credono in un Dio unico e misericordioso, che nell’ultimo giorno giudicherà l’umanità (cfr.
Lumen gentium, 16).
Insieme essi offrono testimonianza dei valori fondamentali della famiglia, della responsabilità sociale, dell’obbedienza alla legge di Dio e dell’amore verso i malati e i sofferenti.
Plasmando la loro vita secondo queste virtù e insegnandole ai giovani, cristiani e musulmani non solo mostrano come favoriscono il pieno sviluppo della persona umana, ma anche come stringono legami di solidarietà con i loro vicini e promuovono il bene comune.
Amici, io credo che oggi un compito particolarmente urgente della religione è di rendere manifesto il vasto potenziale della ragione umana, che è essa stessa un dono di Dio ed è elevata mediante la rivelazione e la fede.
Credere in Dio, lungi dal pregiudicare la nostra capacità di comprendere noi stessi e il mondo, la dilata.
Lungi dal metterci contro il mondo, ci impegna per esso.
Siamo chiamati ad aiutare gli altri nello scoprire le tracce discrete e la presenza misteriosa di Dio nel mondo, che Egli ha creato in modo meraviglioso e sostiene con il suo ineffabile amore che abbraccia tutto.
Anche se la sua gloria infinita non può mai essere direttamente afferrata in questa vita dalla nostra mente finita, possiamo tuttavia raccoglierne barlumi nella bellezza che ci circonda.
Se gli uomini e le donne consentono all’ordine magnifico del mondo e allo splendore della dignità umana di illuminare la loro mente, essi possono scoprire che ciò che è “ragionevole” va ben oltre ciò che la matematica può calcolare, la logica può dedurre e gli esperimenti scientifici possono dimostrare; il “ragionevole” include anche la bontà e l’intrinseca attrattiva di un vivere onesto e secondo l’etica, manifestato a noi mediante lo stesso linguaggio della creazione.
Questa visione ci induce a cercare tutto ciò che è retto e giusto, ad uscire dall’ambito ristretto del nostro interesse egoistico e ad agire per il bene degli altri.
In questo modo una religione genuina allarga l’orizzonte della comprensione umana e sta alla base di ogni autentica cultura umana.
Essa rifiuta tutte le forme di violenza e di totalitarismo: non solo per principi di fede, ma anche in base alla retta ragione.
In realtà, religione e ragione si sostengono a vicenda, dal momento che la religione è purificata e strutturata dalla ragione e il pieno potenziale della ragione viene liberato mediante la rivelazione e la fede.
Per questo vi incoraggio, cari amici musulmani, a penetrare la società con i valori che emergono da questa prospettiva ed accrescono la cultura umana, così come insieme lavoriamo per edificare una civiltà dell’amore.
Che l’entusiastica cooperazione tra musulmani, cattolici ed altri cristiani in Camerun sia per le altre nazioni africane un faro luminoso sul potenziale enorme di un impegno interreligioso per la pace, la giustizia e il bene comune! Con questi sentimenti esprimo ancora una volta la mia gratitudine per questa promettente opportunità di incontrarvi durante la mia visita in Camerun.
Ringrazio Dio onnipotente per le benedizioni che Egli ha concesso a voi e ai vostri concittadini e prego affinché i legami che uniscono cristiani e musulmani nella loro profonda venerazione dell’unico Dio continuino a rafforzarsi così che essi diventino un riflesso più chiaro della saggezza dell’Onnipotente che illumina i cuori dell’intera umanità.
(©L’Osservatore Romano – 20-21 marzo 2009) Una religione genuina «rifiuta tutte le forme di violenza e di totalitarismo, non solo per principi di fede, ma anche in base alla retta ragione».
Lo ha detto PapaBenedetto XVI alla nunziatura di Yaoundé, in Camerun, dove ha incontrato i rappresentanti dei musulmani del Paese africano.
Il colloquio si è svolto a porte chiuse.
All’indomani delle polemiche scaturite dalle parole dello stesso pontefice, che aveva giudicato inutile l’uso dei preservativi nella lotta all’Aids, Ratzinger affronta dunque il tema dell’ecumenismo.
CONVIVENZA POSSIBILE In Camerun l’Islam rappresenta circa il 22% di una popolazione di 17 milioni di persone e intrattiene buoni rapporti con le altre componenti religiose, a partire dai cattolici (il 27%).
Benedetto XVI ha lodato questo esempio di convivenza sottolineando che in questa nazione cristiani e musulmani «offrono testimonianza dei valori fondamentali della famiglia, della responsabilità sociale, dell’obbedienza alla legge di Dio, e dell’amore verso i malati e i sofferenti».
FEDE E RAGIONE Il Papa ha ripreso però anche il discorso sulla ragionevolezza delle religioni, un tema che aveva affrontato nel suo controverso discorso a Ratisbona.
«Oggi – ha detto ai musulmani – un compito particolarmente urgente della religione è di rendere manifesto il vasto potenziale della ragione umana, che è essa stessa un dono di Dio ed è elevata mediante la rivelazione e la fede».
Benedetto XVI ha rimarcato che «in realtà religione e ragione si sostengono a vicenda, dal momento che la religione è purificata e strutturata dalla ragione e il pieno potenziale della ragione viene liberato mediante la rivelazione e la fede».
«In questo modo – ha concluso – una religione genuina allarga l’orizzonte della comprensione umana e sta alla base di ogni autentica cultura umana.
Essa rifiuta tutte le forme di violenza e di totalitarismo».
Corriere, 19 marzo ’09

Federica

Il rettore Guido Trombetti parla di “rivoluzione nel panorama didattico italiano”.
Renato Mannheimer, presidente dell’Istituto per gli studi sulla pubblica opinione, preferisce definirla “liberazione della conoscenza”.
È “Federica”, il portale di web learning dell’università Federico II di Napoli.
Che dopo un anno di sperimentazione è stato presentato a Napoli dall’esperto di sondaggi e dai professori responsabili di “Federica”, Giuseppe Marrucci, presidente del Centro di ateneo per i servizi informativi, e Mauro Calise, responsabile scientifico dell’e-learning d’ateneo.
Un portale il cui accesso è libero e gratuito per tutti.
Lezioni on line, firmate dai docenti di tutte e tredici le facoltà della Federico II.
“La nostra mission di università pubblica – spiega il rettore Guido Trombetti – ci ha guidati nel rimuovere qualsiasi password e limitazione all’accesso al sapere.
Tutti possono accedere liberamente ai contenuti didattici e scientifici di Federica.unina.it per studiare, per approfondire le proprie conoscenze o temi di interesse professionale”.
Il progetto “Federica” (il femminile del nome dell’ateneo) conta, tra l’altro, oltre 100 corsi, con tanto di sintesi delle lezioni, materiali per l’approfondimento, link a fonti scientifiche selezionate dai docenti, immagini e video.
Tutto scaricabile su iPod: l’offerta di “Federica” è disponibile, infatti, anche in podcast, dunque fruibile attraverso i lettori multimediali di ultima generazione, “per portare con sé i materiali di studio – spiegano i responsabili – consultare e leggere le lezioni in qualunque momento e luogo”.
“Con la diffusione delle nuove tecnologie il tempo è più mio – ha commentato Mannheimer – Posso decidere io quando vedere, mostrare, ascoltare.
Posso “usufruire” del professore e delle lezioni dove voglio io.
L’ elemento fondamentale è quello della mia libertà.
I giovani, e tutti gli utenti della rete, possono decidere quando e dove usufruire delle lezioni e di fonti autorevoli ed affidabili.
È la liberazione della conoscenza scientifica”.
I numeri di “Federica” valgono, da soli, a raccontare l’intento di rivoluzionare il panorama didattico di casa nostra: 2.000 lezioni, 20.000 immagini, 3.000 links, 1.600 documenti, 300 video, 600 podcast.
Poi la Living Library, con 600 siti web selezionati tra le più accreditate fonti di conoscenza da un’équipe di esperti multidisciplinare e Federica 3D, ovvero la ricostruzione virtuale dell’ateneo con tutte le facoltà riunite in un’unica piazza.
“Federica” – aggiungono gli organizzatori dell’impresa – viene incontro alle diverse domande del pubblico studentesco: dai non frequentanti, che hanno così a disposizione gli elementi base di ogni lezione, a coloro che, dopo aver seguito il corso in aula, vogliono ripassarlo a casa o in treno; ai molti studenti che cercano di andare oltre la lezione approfondendone i temi grazie alle risorse web selezionate dai docenti.
“Federica” si rivolge anche alla vasta platea di coloro che, senza essere iscritti, vogliono cogliere l’ opportunità di seguire a distanza un corso universitario offerto da uno dei più prestigiosi atenei italiani”.
(13 marzo 2009)

Date a Darwin quel che è di Darwin. Ma la creazione è di Dio

La rivista su cui è uscito il saggio: > La Civiltà Cattolica__________ Il sito web del convegno, in italiano e in inglese: > Biological Evolution: Facts and Theories__________ Benedetto XVI dedicò a “creazione ed evoluzione” il seminario a porte chiuse che tenne con i suoi ex allievi a Castel Gandolfo nel settembre del 2006.
In quell’occasione www.chiesa pubblicò il seguente servizio: > Creazione od evoluzione? La Chiesa di Roma risponde così (11.8.2006) Nel servizio sono riprodotti il discusso articolo che il cardinale Christoph Schönborn dedicò al tema sul “New York Times” del 7 luglio 2005, una nota del professor Fiorenzo Facchini (uno dei relatori al convegno dei giorni scorsi su Darwin) e un indice ragionato dei testi del magistero della Chiesa sull’evoluzione.
Dopo di allora, Benedetto XVI è tornato sul tema, in particolare nel discorso programmatico alla curia romana del 22 dicembre 2008, in un passo evidenziato in quest’altro servizio di www.chiesa: > Tutti i numeri della fede.
Quando Ratzinger veste i panni di Galileo
(9.1.2009) Inoltre, sono usciti in un libro gli atti del seminario di Castel Gandolfo del settembre 2006, con saggi di Christoph Schönborn, Peter Schuster, Robert Spaemann, Paul Erlich, Sigfried Wiedenhofer.
Il libro, intitolato “Creazione ed evoluzione”, è stato pubblicato in Italia dalle Edizioni Dehoniane di Bologna e in Germania da Sankt Ulrich Verlag, di Augsburg.
__________ 9.3.2009 Da Darwin in poi, poche teorie scientifiche sono state così aspramente discusse come l’evoluzione e hanno determinato un tale cambiamento di paradigma nella comune interpretazione dell’intera realtà, uomo compreso.
Sia nel campo scientifico, sia nella visione della Chiesa cattolica, creazione ed evoluzione di per sé non si escludono.
Nell’uno e nell’altro campo vi sono però tendenze ad erigere delle costruzioni teoriche che sono sì tra loro escludenti.
Nel presentare ufficialmente il convegno, in Vaticano, il gesuita Marc Leclerc, professore di filosofia della natura alla Gregoriana, ha così sintetizzato le due opposte derive ideologiche: “La novità del paradigma ha spinto parecchi seguaci di Darwin ad oltrepassare i confini della scienza per erigere qualche elemento della sua teoria, o della sintesi moderna realizzata nel corso del XX secolo, a ‘Philosophia universalis’, secondo la giusta espressione dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, a chiave d’interpretazione universale di una realtà in perpetuo divenire.
“Ma lungo questa scia si sono diretti troppo spesso anche gli avversari del darwinismo, confondendo la teoria scientifica dell’evoluzione con l’ideologia onnicomprensiva che la snaturava, per rigettarlo del tutto in quanto totalmente incompatibile con una visione religiosa della realtà.
Tale situazione potrebbe spiegare il ritorno odierno di concezioni ‘creazioniste’ o di ciò che si presenta a volte come una teoria alternativa, il così detto ‘intelligent design’.
A questo livello siamo lontani dalle discussioni scientifiche”.
In effetti nessun relatore, al convegno, ha difeso l’una o l’altra di queste costruzioni ideologiche.
Tutte sono state discusse e valutate criticamente.
L’intento comune era di esercitare le singole discipline – scientifiche, filosofiche, teologiche – con le specificità e le ricchezze di ciascuna, a beneficio di tutte.
Dopo cinque giorni intensissimi, con trentacinque relazioni tenute da altrettanti specialisti, si può dire che l’obiettivo sia stato raggiunto.
La pace tra creazione ed evoluzione appare oggi più solida.
Una prova luminosa di come le due visioni del mondo possano convivere e integrarsi è nel saggio che segue, pubblicato alla vigilia del convegno da “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma stampata con il preventivo controllo della segreteria di stato vaticana.
L’autore insegna nella Pontificia Università Gregoriana, la stessa che ha ospitato il convegno su Darwin.
Nel suo saggio egli mostra come il racconto biblico della creazione non solo non è incompatibile con la razionalità moderna, ma ha segnato “una emancipazione del sapere scientifico”, consegnando il creato alla responsabilità dell’uomo.
Del saggio, uscito sul numero 3807 della “Civiltà Cattolica” con la data del 7 febbraio 2009, è qui riprodotto un estratto: “L’origine delle specie”.
Genesi 1 e la vocazione scientifica dell’uomo di Jean-Pierre Sonnet Quando si parla delle origini, per i cristiani del nostro tempo la sfida è vivere una doppia cittadinanza: una fedeltà intelligente all’insegnamento di Genesi 1 e un’apertura attenta alle proposte della ricerca scientifica.
[…] Oggi tuttavia essi devono affinare tale duplice lealtà, in un tempo in cui alcuni si divertono a porre l’una contro l’altra le nozioni di creazione e di evoluzione, sotto forma di ideologie – creazionismo ed evoluzionismo – reciprocamente esclusive.
Per i sostenitori dell’evoluzionismo, rifarsi al poema iniziale della Genesi significa regredire in una forma di oscurantismo incompatibile con la razionalità dell’età moderna.
In questo saggio cercheremo di dimostrare che il riferimento ai primi capitoli della Genesi non implica affatto una resa dell’intelligenza.
[…] Una razionalità luminosa attraversa questi testi, capaci di parlare a ogni uomo ragionevole, e in particolare all’uomo di scienza contemporaneo.
[…] *** Genesi 1 potrebbe avere come sottotitolo “Process and Reality”: l’atto creatore vi è distribuito in momenti successivi, nella sequenza di una settimana.
[…] Lungi dall’essere un’esplosione di potenza cieca, la creazione – secondo il poema narrativo di Genesi 1 – è un’azione che si svolge progressivamente, in una sequenza ordinata, in cui si enuncia un disegno.
La progressione – come ha mostrato Paul Beauchamp nel saggio “Création et séparation” – è anzitutto quella di separazioni successive, espresse dapprima mediante la radice verbale “badal”: “E Dio separò la luce dalle tenebre” (1,4; cfr.
anche 1,6.7.14.18).
A partire dal terzo giorno, una volta costituiti i macroelementi del cosmo, non compare più il verbo della separazione (tranne in 1,14.18, a proposito delle “grandi luci”), sostituito da un’altra espressione: “secondo la propria specie”.
Tale formula, ripetuta dieci volte, si riferisce prima alle specie vegetali (1,11-12) e poi a quelle animali (1,21.24-25).
Fin dall’origine, Dio salva dall’informe e dall’indeterminato, costituendo progressivamente un mondo differenziato.
Nella loro sequenza, i giorni della creazione amplificano la successione già legata alla parola.
Fin dal primo giorno gli atti divini, per quanto immediati, si manifestano in modo discorsivo.
[…] La successione è senza dubbio una legge del linguaggio e, in particolare, del discorso narrativo, che può dire le cose soltanto l’una dopo l’altra.
In un riflesso di “realismo” teologico, il racconto di Genesi 1 si preoccupa di far risalire tale successione alla stessa libertà divina.
[…] Seguendo passo dopo passo le iniziative divine, il narratore si preoccupa di accentuare ciò che il disegno divino ha di costruito e di finalizzato.
L’atto creatore, nella sua sequenza, non è un processo aleatorio o una stravagante dispersione di energia.
Il gesto divino – afferma il narratore – si dispiega tra “principio” (1,1) e “compimento” (vedi il verbo “portare a compimento” in 2,1), e in una serie (“primo giorno”, “secondo giorno” ecc.) che appare progressivamente nella sua compiutezza, quella dei sei giorni più uno.
Infine, al termine del racconto scopriamo che Dio porta a compimento proprio ciò che aveva iniziato a creare all’origine, “il cielo e la terra” (2,1; cfr.
1,1).
In altri termini, il processo si inserisce nell’intelligenza di un disegno, che presiede a ciascuno dei suoi momenti.
Il dominio divino in Genesi 1 ha paradossalmente la sua più bella dimostrazione nelle pause che ritmano la sequenza creatrice.
Infatti Dio unisce alle sue iniziative creatrici un cenno di pausa e di meraviglia: “Dio vide che la luce era cosa buona” (1,4).
[…] In ognuna di queste pause Dio rivela che non è affatto schiavo della propria potenza; questa invece è, fino in fondo, l’espressione della sua libertà, come si scopre il settimo giorno, quando Dio “cessa da ogni suo lavoro” (“wayysbot”, dalla radice “sabat”) e consacra un giorno intero a questa sosta (2,2).
Anziché occupare il settimo giorno della serie a “esaurire” la propria potenza creatrice e a riempire il tutto del mondo, il Dio biblico è colui che pone un limite al gesto creatore, “dominando il suo dominio”, per parlare come Salomone: “Tu, padrone della forza, giudichi con mitezza” (Sapienza 12,18).
In questa sosta Dio fissa il suo rifiuto di riempire tutto e, correlativamente, la sua volontà di aprire uno spazio di autonomia all’universo, in particolare all’umanità.
[…] Infine questo processo, con la sua disposizione, rivela la finalizzazione che lo sottende: gli elementi progressivamente costituiti disegnano una curva, che va dal “buono” del v.
4 al “molto buono” del v.
31.
L’asse della parola è quello che meglio rivela tale curva dello spazio creato.
Se fin dalla creazione della luce Dio parla, e se parla di tutti gli elementi che crea – “Sia la luce…
Si raccolgano le acque… Ci siano luci nel firmamento…” –, egli parla in seconda persona soltanto ai viventi, a partire dal quinto giorno: “Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari…” (v.
22).
Fino ad allora le creature non erano interpellate, ma erano al massimo destinatarie di ordini in terza persona.
Da questo momento Dio parla a creature viventi, capaci di capirlo.
Ma è nel sesto giorno, con la creazione dell’uomo, che la persona grammaticale mancante – la prima persona – fa la sua apparizione sulla bocca di Dio.
Prima al plurale: “Facciamo l’uomo ” (v.
26), poi al singolare: “Io vi dò ogni pianta come vostro cibo ” (v.
29).
Ed è con l’apparizione della coppia umana che la parola divina si dà un interlocutore esplicito: “Dio disse loro” (v.
28).
Dio si rivolge – e in prima persona – all’essere che sarà lui pure essere di linguaggio, “l’essere a immagine”, destinato al dominio dolce della parola.
La sequenza era dunque, in ogni sua parte, ordinata al proprio fine.
E la forma narrativa, in particolare nel suo modo di rappresentare le variazioni nella parola divina, è stata il veicolo efficace di tale finalizzazione.
*** Genesi 1 potrebbe avere anche come sottotitolo “L’origine delle specie”, tanto il disegno divino è legato alla diversità delle specie.
Certamente, qui non si tratta del processo di evoluzione delle specie.
Se Genesi 1 evoca un processo, questo si deve cercare nella sequenza dei giorni, nel corso dei quali Dio fa sorgere le specie vegetali, le specie animali dell’acqua e dell’aria e quelle della terraferma.
I diversi biotipi sono rispettati (acqua, firmamento, terra), però l’intervento divino non è rivolto a “classi” di animali, ma va dritto alle specie particolari: i vegetali e gli animali appaiono tutti “secondo la propria specie” (vv.
11-12, 21.24-25).
E queste specie appaiono “tali quali”, cioè nello stato in cui le incontra dal v.
28 lo sguardo dell’uomo.
La flora e la fauna consacrate da Dio nella loro bontà sono quelle che accompagnano la famiglia umana nel suo destino.
[…] Se le specie sono portate ognuna all’esistenza con un intervento immediato di Dio, sono pure create nella loro autonomia.
Le specie vegetali sorgono provviste del loro principio di riproduzione: “La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie” (1,11).
Quanto ai rappresentanti delle specie animali, questi si sentono dire: “Siate fecondi e moltiplicatevi” (1,22).
Se l’eteronomia è presente in ogni istante del poema narrativo di Genesi 1 – poiché le creature hanno il loro segreto in questo Altro che le fa sorgere –, l’autonomia delle specie nella durata vi è pure manifesta: Dio crea i viventi affidandoli alla loro autonomia riproduttiva, a ciò che li renderà “uguali” di età in età.
C’è un altro testo del Pentateuco, il capitolo 11 del Levitico, in cui diventa pienamente evidente l’argomento del “discorso sulle specie” di Genesi 1.
[…] Il trattato sugli animali mondi e immondi che si legge in Levitico 11 costituisce infatti una messa in atto sofisticata dei dati e delle distinzioni introdotti in Genesi 1.
Una nuova luce è stata portata su Levitico 11 con i lavori di Mary Douglas, antropologa inglese, che ha pubblicato nel 1966 “Purity and Danger”.
Già nel 1962 Claude Lévi-Strauss nel suo “La Pensée sauvage” aveva […] dimostrato attraverso l’analisi di vari miti e della loro struttura che il pensiero primitivo detto “selvaggio” era invece guidato da una logica rigorosa, classificatrice.
In “Purity and Danger” Douglas dimostra che Levitico 11 illustra perfettamente tale logica.
[…] Di tutte le creature animali, inclusi i mostri marini, Dio ha dichiarato la bontà, consacrando la loro divisione per specie (Genesi 1,21- 25).
Perché allora Levitico 11 introduce distinzioni supplementari tra animali mondi e immondi? Le differenze introdotte in Levitico 11 valgono unicamente per il popolo che è stato “distinto”: sono di ordine pratico e si riferiscono al regime alimentare degli israeliti e alla loro pratica sacrificale; riguardano un popolo chiamato a entrare nella santità di Dio – e dunque nella sua “differenza” – entrando in un mondo più ricco di differenze.
Un passaggio del Levitico riassume tale vocazione singolare: “Io, vostro Dio, vi ho separati dagli altri popoli.
Farete dunque separazione tra animali mondi e immondi, fra uccelli immondi e mondi, e non vi renderete abominevoli mangiando animali, uccelli o esseri che strisciano sulla terra e che io vi ho fatto separare come immondi.
Sarete santi per me, perché io, vostro Dio, sono santo e vi ho separati dagli altri popoli, perché siate miei” (20,24-26).
[…] Unita alle altre distinzioni introdotte dal Levitico, la distinzione degli animali mondi e immondi è tra quelle che pongono i figli di Israele dal lato di […] un rispetto più attento, negli altri e in se stessi, del primo dono di Dio che è questa vita.
Ancora una volta, la visione biblica non sostiene affatto una religiosità irrazionale, ma si rivela legata a una saggia articolazione del mondo, rispettosa delle distinzioni interne al reale e della finalità da esse indicate.
*** Genesi 1 potrebbe infine avere il sottotitolo dato da Karl Popper alla sua ultima opera: “Questioni intorno alla conoscenza della natura”.
Adamo prolunga l’opera creatrice della separazione delle specie.
Così facendo, esercita, a immagine di Dio, il “dominio dolce” del mondo che gli è affidato (1,28).
Un testo del libro dei Re afferma inoltre che egli esercita in questo una funzione reale e, per così dire, “scientifica”.
L’elogio della sapienza di Salomone termina con questi versetti: “La sapienza di Salomone superò quella di tutti gli orientali e tutta la sapienza dell’Egitto.
[…] Pronunziò tremila proverbi; i suoi canti furono millecinque.
Parlò di piante, dal cedro del Libano all’issopo che sbuca dal muro; parlò di quadrupedi, di uccelli, di rettili e di pesci” (1 Re 5,10-13).
Nello stato-giardino che sono Giuda e Israele (cfr.
1 Re 5,5), Salomone, ripieno della saggezza che ha ricevuto, prolunga il gesto di Adamo che “impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche” (Genesi 2,20) e avvia anche il governo del mondo con il linguaggio.
Dopo Herder e Heidegger, non sono mancate le interpretazioni che hanno visto nei nomi dati da Adamo agli animali la nascita della vocazione poetica dell’uomo, quella di “abitare poeticamente questa terra” (Hölderlin).
A dire il vero, il sottofondo culturale della doppia scena (in Genesi 2 e in 1 Re 5) invita a vedere Adamo e Salomone rappresentati sia come poeti sia come uomini di scienza.
La saggezza enciclopedica di Salomone nel citato ritratto di 1 Re 5,12-13 è vicina infatti al sapere classificatore e alla “scienza delle liste” degli abitanti della Mesopotamia, da cui derivano pure gli inventari del libro dei Proverbi e dei codici di leggi bibliche.
Di tale “scienza delle liste” elaborata fra il Tigri e l’Eufrate, René Labat scrive: “Anche se non era rivolta all’universalità, essa si trova in pratica estesa a tutti gli ordini della conoscenza: scienze della natura nelle liste di minerali, di piante e di animali; scienza delle tecniche nelle liste di utensili, di vesti, di costruzioni, di cibi e bevande; scienza dell’universo nelle liste degli dei, di stelle, di paesi o contrade, di fiumi e di montagne; infine scienze dell’uomo nelle liste dei particolari fisici, delle parti del corpo, dei mestieri e delle classi sociali”.
Tale classificazione dei fenomeni del reale si organizza in particolare a partire dai loro nomi.
Nella Bibbia c’è un’eco dell’attività creatrice di Dio che crea le cose dando loro un nome.
“La cerchia delle conoscenze di Salomone, zoologica e botanica, è un altro giardino di Adamo”, scrive Paul Beauchamp.
Adamo e Salomone attestano entrambi – uno alle origini e l’altro nella “modernità” della storia – la vocazione dell’uomo ad abitare “scientificamente” la terra che Dio ha loro affidato.
Labat nella sua nomenclatura menziona l’elaborazione delle “liste degli dei”.
Ma questo è un compito che non spetta più all’uomo biblico, il cui Dio unico si rivela irriducibile ai fenomeni del mondo.
Bisogna infatti rilevare come il monoteismo biblico ha trasformato il rapporto del “sapere” dell’uomo con il mondo che lo circonda: nel mondo biblico la “scienza delle liste” ha un nuovo senso.
I politeismi dell’antico Vicino Oriente, egiziani, mesopotamici e cananei […] erano strettamente legati ad ambienti cosmici: il cielo, la pioggia, le costellazioni, l’aria, il vento, le acque dolci.
Questo non è più pensabile nel contesto biblico: se Dio penetra con il suo sguardo e la sua cura il mondo che ha creato, fin nei punti più inaccessibili (cfr.
Giobbe 38-39), è però “separato” nella sua assoluta trascendenza (cfr.
Isaia 40,25; 46,5; 66,1-2).
Le società religiose dell’antico Vicino Oriente si caratterizzano inoltre per un fondo oscuro in cui regnano dèmoni e forze malefiche.
Il pensiero biblico ha notevolmente riorientato questo dato.
[…] Liberata dalle immanenze divine e demoniache, la terra dell’uomo biblico gli è interamente consegnata: “I cieli sono i cieli di Dio, ma egli ha dato la terra ai figli dell’uomo” (Salmo 115,16).
Essa gli è affidata in tutta la sua estensione, cielo, mare e terra, come canta il Salmo 8, con il dovere di ricerca che ne segue: “È gloria dei re investigare le cose” (Proverbi 25,2).
Tale compito reale dell’uomo biblico riceve la forma più “moderna”, quasi secolarizzata, nella ricerca di Salomone, come è presentata nel libro del Qoelet: “Mi sono proposto di ricercare e investigare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo” (1,13).
Certamente tale impresa è distante dalle scienze moderne: per diventare operative, queste dovranno varcare altre soglie di razionalità, a cominciare da quella della concettualità greca.
È vero tuttavia che il pensiero biblico della consegna del creato al sapere e al potere dell’uomo costituisce una delle condizioni dell’emancipazione del sapere scientifico.
*** Genesi 1 è dunque, a modo suo, un manifesto dell’intelligibilità del mondo.
[…] Questo capitolo e quelli che seguono nella Genesi non affermano affatto una forma di concorrenza tra la scienza divina e quella dell’uomo.
L’accesso dell’uomo al sapere del linguaggio non è una prerogativa sottratta alla divinità, come un fuoco prometeico, nonostante le false promesse del serpente in Genesi 3,1-5.
La vocazione “scientifica” dell’uomo è invece enunciata nei momenti di presenza di Dio all’uomo, sia che si tratti di un discorso rivolto da Dio ad Adamo in Genesi 1, o della vicinanza di Dio all’uomo nel giardino in Genesi 2, o dell’esperienza mistica in 1 Re 3, dove Salomone chiede a Dio la saggezza, che in particolare prenderà la forma del suo governo del mondo attraverso la parola.
Questo sapere non è al riparo da deviazioni, ma procede anzitutto dall’”essere a immagine”, come il compito reale affidato da Dio a Adamo.
Il Salmo 8 pone le cose nella giusta prospettiva, quando celebra la signoria di Dio celebrando quella dell’uomo: “Tu l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato; gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi”.
__________ A duecento anni dalla nascita di Charles Darwin e a centocinquanta dalla sua opera più famosa, il pontificio consiglio della cultura presieduto dall’arcivescovo Gianfranco Ravasi ha patrocinato un sontuoso convegno internazionale dal titolo: “L’evoluzione biologica: i fatti e le teorie.
Una valutazione critica 150 anni dopo ‘L’origine delle specie'”.
Il convegno si è tenuto dal 3 al 7 marzo a Roma, alla Pontificia Università Gregoriana.
Ed è stato promosso da questa università assieme all’americana University of Notre Dame.
Vi hanno preso la parola i maggiori specialisti mondiali nelle diverse discipline, dalla biologia alla paleontologia, dall’antropologia alla filosofia alla teologia.
Molto varie anche le posizioni messe a confronto.
C’erano studiosi cattolici, protestanti, ebrei, agnostici, atei.

Classe seconda – Marzo

1) Per Bartolomeo Una ragazza energica e generosa Lia Varesio nasce a Torino nel 1945 da una famiglia in cui la fede è il valore fondamentale.
Un suo ricordo d’infanzia sempre vivo è quello della macchina da cucire con cui la mamma confezionava semplici sacchetti di stoffa, da riempire con il riso acquistato dal papà in grandi quantità; li avrebbero portati alle famiglie poverissime che abitavano nelle soffitte del centro storico…
Lia cresce di età, ma rimane piccola e minuta: a 9 anni, una malattia le ha bloccato la crescita e le ha causato una malformazione ossea e difficoltà di respirazione.
I problemi di salute, tuttavia, non hanno mai ostacolato la sua voglia di vivere, il suo ottimismo, la sua energia, il suo desiderio di comunicare con gli altri e di offrire solidarietà.
Già da ragazza, in Parrocchia, si era data un gran da fare seguendo persone malate e anziani soli, collaborando con una missione di Capoverde; in FIAT, era impiegata nell’assistenza sociale e si occupava delle persone indigenti che scrivevano alla Fondazione Agnelli.
Una mattina, proprio andando al lavoro, Lia fa un incontro particolare, che le rivoluzionerà la vita.
Ha 33 anni.
«Mentre camminavo per strada mi sono imbattuta in una donna scalza, scarmigliata, con mani e piedi laccati di rosso, che urlava.
Sono rimasta sconvolta, non tanto perché lei urlava ma perché la gente scappava via terrorizzata.
Mi sono chiesta “Scappi anche tu?” e mi sono data la risposta.
Mi sono avvicinata e le ho chiesto “Perché gridi così?”.
La risposta è stata “Grido al mondo la mia disperazione ma nessuno si ferma”.
La salutai: “Sono Lia”; mi disse che si chiamava Ester, era uscita dal manicomio e nessuno si era preso cura di lei; erano tre giorni che non mangiava.
Vicino c’era un bar che conoscevo perché ci andavo ogni tanto, invece di andare al lavoro ho telefonato in FIAT e mi sono presa un giorno di ferie.
Quando ci siamo sedute al tavolo del bar la donna ha cominciato a mangiare cornetti e cappuccini; intanto mi ha raccontato la sua storia.
Era stata in manicomio, adesso era per strada, andava a mangiare al Cottolengo e dormiva alla stazione.
Io l’accompagnai al Cottolengo e poi a Porta Nuova dove mi fece incontrare gli altri, i suoi amici, gli abitanti della stazione”.
Da quel giorno nasce ancora più forte in Lia il desiderio di conoscere queste persone, di parlare con loro, di aiutare.
Ne parla al fratello e a un gruppo di amici e con loro prende l’abitudine di andare a trovare questa gente, portando bevande calde, cibo, coperte, all’inizio solo a Porta Nuova, poi anche nelle altre stazioni, infine le “ronde” in giro per la città.
Una sera d’inverno del 1980 manca all’appello uno dei soliti, Bartolomeo, lo cercano nei posti consueti, non lo trovano.
Decidono di andare a vedere nel centro storico, fra i ruderi di una vecchia casa.
Non lo trovano neanche lì, stanno per andarsene quando Lia inciampa in un mucchio di stracci; quando si rialza si accorge che da quel mucchio di stracci spuntano un piede e una gamba.
È Bartolomeo, morto di freddo e di stenti nel cuore della città.
Si fortifica quella sera la necessità di continuare il cammino intrapreso e viene così fondata dopo breve tempo l’associazione “Bartolomeo & C”.
In quegli anni sindaco della città è Diego Novelli.
Lia lo convince ad accompagnarla nei suoi giri notturni; lui, conquistato da tanta determinazione, la chiama a lavorare in comune, all’ufficio dei senza fissa dimora.
Dal 1986 al 1990 lavora anche nelle carceri di Corso Vittorio e delle Vallette come assistente volontaria penitenziaria.
In quegli anni frequenta la Scuola di Cultura religiosa diocesana; è anche componente della Commissione diocesana per la sanità e l’assistenza.
«Sono laica ma credente, il mio impegno è un atto di fede in Dio in favore degli uomini».
Nel 1994 va in pensione e inizia a dedicarsi a tempo pieno alle attività della Bartolomeo & C.
Negli anni viene aperto un dormitorio, la sede si allarga, il numero degli utenti cresce.
Nelle vie della grande città, Lia cerca i vicoli e gli angoli della disperazione e incontra tossicodipendenti e alcolizzati totalmente abbandonati, malati psichici, ex carcerati…
Li conosce, li ascolta, si dà da fare per procurare una doccia, abiti, qualche soldo…
Per molti, grazie a lei, è l’inizio di una vita nuova, con una casa, un lavoro.
2) Lia scrive…
Ma niente paura per chi crede, c’è un bel dono che il Signore fa a chi ha ancora voglia di vivere la fede.
Fede semplice ma concreta che ha nutrito i nostri antenati, fede fatta di poche cose essenziali, ma che dà speranza quando ti senti in crisi, ti dà forza quando ti senti spento.
Non lasciamola morire, Amici, è il perno della nostra vita, è la sorgente delle nostre aspirazioni, è il movimento della nostra anima e delle nostre azioni.
È tutto per chi crede, perché è un dono che il Signore fa …fede non è sapere che l’altro esiste, è vivere dentro di lui, calarsi nella pelle dell’amico che passa, che ti interpella come un pugno nello stomaco, non ti lascia tregua, ti ricorda che esisti… E ti fa chiedere: perché vivi? Per chi vivi, dove stai andando?» (da Giornalino Bartolomeo & C, anno 2005) L’associazione «Ne abbiamo sistemati 250», ricorda Lia con fierezza.
All’inizio dell’avventura dell’Associazione, trova subito l’appoggio e la collaborazione dei suoi famigliari.
Fra i primi ad accorrere alla stazione per passare le notti insieme ai barboni ci fu anche il fratello di Lia.
Molta più sorpresa creò questa “conversione” fra i vicini di casa, che da quel giorno cominciarono a vedere bussare alla porta dei Varesio personaggi come Zeus, 39 anni, perito elettrotecnico, afflitto da delirio mistico (ha tappezzato tutta la città di scritte «Zeus ti vede» e si arrabbia un sacco perché non riesce a fare miracoli); come Angelo, che distrutto da un trattamento sbagliato, ha vissuto i suoi anni come un animale in perenne fuga.
La Bartolomeo & C ha cominciato la sua attività di “ronde notturne” alla ricerca dei disperati nel 1979.
Nel 1984 si è costituita in associazione.
Nel frattempo il Comune ha offerto a Lia Varesio la possibilità di occuparsi a tempo pieno dei “senza fissa dimora” come assistente sociale.
Dopo qualche esitazione ha accettato.
«Ma non ho smesso», ci tiene a precisare, «di rompere le scatole ai responsabili perché si rendano conto dei loro doveri».
Adesso le “ronde notturne” si sono un po’ ridotte di numero e di… pericolosità.
«I primi anni eravamo proprio degli incoscienti», ricorda Lia.
«Per fortuna, però, fra minacce, coltelli e sparatorie ci è sempre andata bene».
Ora i volontari del gruppo si limitano quasi esclusivamente ad andare a trovare le persone “sistemate” in alloggi, offrendo loro tutto il supporto necessario dal punto di vista psicologico e pratico (assistenza per documenti o certificati, piccoli lavori, ma anche feste, cene, gite).
Poi c’è l’ufficio aperto tutti i pomeriggi e tutte le sere (fino alle 23) alla stazione di Porta Nuova.
È qui, nel crocevia della disperazione, che la Bartolomeo & C.
è nata ed è qui che continua ad essere presente.
Nel 1990 quella soglia di speranza è stata varcata per 5193 volte; 229 persone sono entrate per la prima volta al centro.
Oltre la sede di Porta Nuova da qualche tempo la Bartolomeo & C.
ne ha anche un’altra, in via Fiocchetto 13, proprio dietro Porta Palazzo.
Un altro crocevia di disperazione per un’altra casa della speranza.
Qui si ritrovano gli alcolisti in trattamento, i volontari per i corsi di formazione, tutti coloro che hanno bisogno dell’ambulatorio per le cure mediche o della cappella per un momento di preghiera.
La Bartolomeo & C.
si finanzia attraverso l’autotassazione dei soci, qualche contributo pubblico e le offerte donate dalla generosità della gente.
«Le sovvenzioni che ci sono più care, anche se sono le più misere», dice Lia Varesio, «sono quelle degli ex-barboni, la gente che noi abbiamo aiutato e che adesso ha una casa, un lavoro, una vita sociale.
Ci vengono a trovare e per quanto possibile ci danno il loro contributo perché altri possano tornare a vivere, come è successo a loro».
«Non mi spavento, sai? Sono abituata a lottare, se avessi avuto paura mi sarei fermata molto tempo fa».
Lia continua, anno dopo anno: ogni inverno vede ancora “amici” che muoiono di freddo, nel centro caotico e indifferente della città.
Negli ultimi anni, nonostante i problemi di salute e i frequenti ricoveri, la sua attenzione resta sempre rivolta agli altri.
Dei momenti passati in ospedale ricorda: «Soprattutto la sera, quando tutto era in silenzio, le mie emozioni erano tutte rivolte all’ascolto dei malati che telefonavano ai loro cari, a qualche persona amica: quanto bisogno di contatti umani! Si raccontavano, ed è proprio questo che a volte manca.
Non siamo più capaci di raccontarci, abbiamo troppa fretta e non riusciamo a sentire i gemiti di chi soffre.
Passiamo accanto alla gente e non ci accorgiamo di loro, dei loro bisogni.
Devo dire che ho trovato tanta solidarietà attorno a me, ma ho scoperto anche tanta solitudine e disperazione.
A volte è sufficiente una parola, un gesto, un sorriso e le persone possono guarire psicologicamente e uscire dal loro autismo.
Ed è proprio questo che mi stimola ad andare avanti e continuare a lavorare per uomini e donne della città che non hanno ancora trovato spazio, cure, dignità, attenzione, giustizia e solidarietà».
L’11 marzo 2008, circondata dall’affetto del fratello e degli amici, Lia muore, all’Ospedale Mauriziano, mentre risuonano nelle orecchie di tutti le parole che tante volte aveva pronunciato: «Non dobbiamo fare da spettatori ma chiederci che cosa stiamo facendo concretamente per gli altri.
Se il nostro fratello non ce la fa da solo a portare la croce, noi abbiamo il dovere di aiutarlo.
È ora di smetterla di essere spettatori.
Occorre diventare protagonisti attraverso il nostro impegno concreto e quotidiano».
Prima fase dell’attività L’insegnante presenta l’esperienza di Lia Varesio e degli amici dell’associazione “Bartolomeo & C”.
Al termine della lettura, gli allievi potranno: – sottolineare in rosso le “azioni importanti” di Lia, dall’infanzia alla morte; – sottolineare in blu le affermazioni e i comportamenti che ne rivelano il carattere e le qualità umane; – sottolineare in verde le affermazioni e i comportamenti che ne rivelano la fede.
Seconda fase dell’attività L’insegnante propone il ripasso di alcuni concetti generali studiati con gli allievi.
– La Chiesa è la comunità dei battezzati credenti in Cristo risorto; vive e testimonia il Vangelo.
– La Chiesa si esprime tramite:  • l’evangelizzazione, che comprende iniziative di annuncio, diffusione di conoscenze e testimonianze di vita che presentino il messaggio evangelico a chi non lo conosce o lo conosce in modo superficiale;  • la catechesi, percorso educativo dei Cristiani che vogliono approfondire le verità di fede;  • le azioni liturgiche, con tutti i momenti di preghiera comunitaria, le celebrazioni eucaristiche e i Sacramenti con cui le comunità cercano l’unione con il Padre attraverso il Figlio e per opera dello Spirito Santo;  • la promozione umana, che è azione della Chiesa in favore dell’intera umanità, amore che si traduce, imitando Cristo, in una lotta contro le ingiustizie e contro tutte le violazioni della dignità della persona.
L’affamato, l’emarginato devono trovare nella Chiesa la loro difesa; la Chiesa ha denunciato le ingiustizie planetarie, dallo sfruttamento del Terzo Mondo alla corsa agli armamenti, attraverso le parole e le encicliche dei Papi e tutti i documenti del magistero; attraverso il sostegno dei cristiani a iniziative in favore dell’integrazione di ogni uomo nella società; attraverso l’azione di Cristiani presenti in politica, in favore di leggi in difesa della famiglia e della vita…  • I ministeri, compiti diversi e specifici, sono quelli del Papa, successore di Pietro e guida della Chiesa universale; dei Vescovi, successori degli Apostoli, responsabili delle comunità cristiane locali (diocesi) e con il potere di consacrare altri vescovi, sacerdoti e diaconi; dei sacerdoti, che hanno il compito di predicare il Vangelo, celebrare la Messa e i Sacramenti; dei diaconi, che collaborano con i sacerdoti nella liturgia, nelle opere di carità e nella catechesi tramite un impegno costante; dei religiosi, frati e suore che vivono in povertà, castità e obbedienza alla Chiesa mettendo in pratica un Vangelo profetico ed estremo; dei laici, battezzati che fanno parte del “popolo di Dio” (da “laòs”, popolo) e sono chiamati a vivere il Vangelo nell’esistenza quotidiana, attraverso la famiglia, il lavoro…
L’insegnante propone gli allievi un approfondimento sul ministero dei laici, seguito da dibattito, analizzando l’esperienza di Lia Varesio; sarà opportuno tenere sott’occhio le sottolineature in vari colori.
– «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10,27).
Il “Comandamento Nuovo” di Gesù è l’anima dell’azione del Cristiano nel mondo: in quali modi Lia ne mette in pratica i tre aspetti? – Lia agisce “all’interno” della Chiesa e “nel mondo fuori”, migliorandolo.
Distingui e completa la descrizione del suo modo di essere Cristiana “laica”.
All’interno della Chiesa…
– Lia coinvolge amici e familiari che condividono l’ideale evangelico nella sua attività a favore degli ultimi, diffonde uno “stile di vita”, il più coerente possibile con il Vangelo.
Nel mondo…
– Lia agisce nell’immediato facendo il “poco” che può (esempio di Ester), senza delegare la soluzione dei problemi alle istituzioni; tuttavia, richiama le istituzioni alle loro responsabilità.
Continua tu! – In quali campi e modi i laici, secondo te, possono contribuire alla promozione umana? E all’evangelizzazione e alla catechesi? In particolare, che cosa possono fare i giovani? E le famiglie in quanto tali? – La fede può fornire una forza e delle motivazioni particolari in un percorso di solidarietà? Se sì, quali? La sintesi delle osservazioni, preparata con l’aiuto dell’insegnante, potrà essere riportata sui quaderni.
A casa.
Racconta per scritto una vicenda di laicato cristiano “ben riuscito”, pensando a qualcuno che conosci (anche a un’associazione, a un gruppo particolare…) o facendo una ricerca tra gli articoli di giornale.
Potrai presentare alla classe i risultati; i testi potranno essere esposti su cartelloni.
Unità di Lavoro di approfondimento sull’apostolato dei laici nella Chiesa cattolica, tramite l’analisi di un’esperienza, in seguito allo studio sulla missione e l’identità della Chiesa stessa.
OSA di riferimento Conoscenze – La missione della Chiesa nel mondo e la testimonianza della carità.
Abilità – Documentare come le parole e le opere di Gesù abbiano ispirato scelte di vita fraterna, di carità.
– Individuare caratteristiche e responsabilità di ministeri e stati di vita.
Obiettivi Formativi ipotizzabili – Nell’ambito della descrizione dei compiti della Chiesa (evangelizzazione, catechesi e promozione umana), conoscere e saper spiegare in particolare il concetto di “promozione umana”, anche tramite esempi concreti.
– Conoscere e saper descrivere i diversi ministeri nell’ambito ecclesiale; in particolare, saper descrivere il ruolo del laico.
– Saper analizzare l’esperienza presentata cogliendo i valori umani e religiosi della protagonista (sentimenti, convinzioni, obiettivi).
– Saper esprimere opinioni personali riguardanti l’urgenza dell’accoglienza e della solidarietà nella società attuale.
Competenze di riferimento dell’allievo in prospettiva triennale: – Saper prendere in considerazione il progetto di vita cristiano e la visione cristiana dell’esistenza come ipotesi di interpretazione della realtà sociale e individuale.
– Sul piano della crescita umano-relazionale, sviluppare capacità di dialogo, ascolto, conoscenza e rispetto dell’altro, condivisione e accoglienza.
– Possedere essenziali conoscenze inerenti il Cristianesimo (in particolare, l’identità e la storia della Chiesa cattolica).

Classe prima – Marzo

Seconda fase dell’attività a) La classe si divide in gruppetti di quattro o cinque persone, con portavoce.
In ciascun gruppo, tutti saranno dotati di un testo dei Vangeli.
Alcuni gruppi leggeranno, in Luca e Matteo, i “Vangeli dell’infanzia”; gli altri, dai racconti della Passione e Resurrezione alla conclusione, nell’ambito di uno dei quattro Vangeli.
I gruppi riassumeranno per scritto gli “interventi angelici” ritrovati nei testi, annotando poi: – la missione dell’Angelo o degli Angeli; – il modo di interagire con gli esseri umani e il tipo di rapporto instaurato con loro; – eventuali rapporti instaurati tra gli Angeli e Gesù.
I testi elaborati verranno presentati dai portavoce, confrontando le risposte dei gruppi in relazione agli stessi passi esaminati.
L’insegnante aiuterà poi la classe a sintetizzare per scritto, in breve, le giuste osservazioni.
b) L’insegnante propone agli allievi un questionario scritto; seguirà un confronto conclusivo delle risposte, in dibattito.
– Rispondi in breve: chi sono gli Angeli, secondo l’Antico e il Nuovo Testamento? Qual è il loro ruolo nella “Storia della Salvezza”? – Quale importanza può avere la loro esistenza, nell’ambito della storia umana e della storia di ogni singola persona, secondo i credenti? – Ci sono valori, vissuti o insegnati dagli Angeli, che qualsiasi essere umano, anche non credente, potrebbe condividere?  Per l’inserimento dell’argomento in Unità di Apprendimento articolate, vedere Tiziana Chiamberlando, Sentinelle del Mattino, SEI, Volume per il biennio e Guida 2) Nella Bibbia: Antico Testamento Nella Torah e nei Profeti l’angelo è soprattutto una “figura teologica” che indica una manifestazione di Dio, una personificazione della Sua Parola che salva e giudica.
Nel roveto ardente, Mosè vede “l’angelo del Signore”, ma subito dopo la narrazione continua così: «Il Signore vide che Mosè si era avvicinato e lo chiamò dal roveto» (Es 3,2-4).
L’identificazione Angelo-Dio si ritrova in molti altri passi biblici, per esempio in quello del sacrificio di Isacco (Gn 22,11-17).
In questo ruolo, l’angelo può assumere l’aspetto umano per rendersi visibile: Dio è “Altro” dall’uomo, ma anche a lui vicino, simile.
Nel capitolo 18 della Genesi, ripreso nella celebre icona del pittore A.
Rublev, quasi simboleggiando la Trinità tre Angeli si presentano davanti alla tenda di Abramo come viandanti, per annunciargli la nascita di Isacco; come un uomo misterioso un angelo lotta di notte con il patriarca Giacobbe, convinto tuttavia di “aver visto Dio faccia a faccia”.
L’Angelo è Parola che benedice, ma anche Parola che giudica: pensiamo all’essere che toglie la vita ai primogeniti degli Egiziani nell’Esodo…
Nella visione della “scala di Giacobbe” (Gn 28,12), gli Angeli che salgono e scendono indicano una Parola che rivela il collegamento tra cielo e terra, finito e infinito, Dio e uomo.
In moltissimi altri testi, gli Angeli si presentano non come simboli ma come entità reali, con identità proprie, soprattutto a partire dai testi successivi all’esilio babilonese degli Ebrei (dal VI secolo a.C.
in poi).
Diviene indiscutibile la presenza di un “angelo custode” a tutela del giusto.
L’idea di un angelo che non lascia solo il povero ritorna nei Salmi: «L’angelo del Signore si accampa attorno a quelli che lo temono e li salva…
Il Signore darà ordine ai suoi Angeli di custodirti in tutti i tuoi passi; sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede» (Sal 34, 91,11-12).
Nei Libro di Giobbe appare anche l’angelo che intercede per l’uomo presso il Signore.
Oltre a vegliare sugli individui, nella Bibbia miriadi di Angeli presiedono al destino delle nazioni (Dn 10,13-21); in una sorta di gerarchia angelica, spiccano Angeli con nomi che rivelano la loro missione, come Michele (“Chi è come Dio?”), protettore di Israele, grande combattente contro il male; Gabriele (“Dio è mia forza”), interprete incaricato di rendere comprensibili all’uomo i misteri della Rivelazione e Raffaele (“Dio guarisce”), incaricato delle guarigioni.
I “Cori angelici” esprimono la melodia e l’armonia perfetta dell’Amore di Dio; le loro gerarchie corrispondono a compiti d’immensa importanza.
Nella Gerarchia suprema, che loda e contempla Dio, i Serafini rappresentano il perfetto Amore, i Cherubini la conoscenza e la sapienza, i Troni la giustizia…
Nella seconda Gerarchia gli Angeli portano al mondo giusto ordine e bellezza e contrastano il male; nella Gerarchia inferiore, gli Angeli hanno incarichi di grande importanza presso gli uomini, sono ambasciatori della volontà di Dio.
Afferma S.
Agostino: «Dio li investe della Sua sapienza e della Sua gloria, e il loro sguardo sull’umanità è tenerezza infinita, innocenza di bambino…»  1) Chi sono? Il palcoscenico è avvolto nel buio.
Si accende un cono di luce che va a inquadrare un angelo, avvolto in una veste bianca.
È il prologo di un dramma di Santucci, uno dei più noti scrittori contemporanei, dal titolo L’angelo di Caino.
«Battezzati – esclama l’angelo rivolgendosi agli spettatori – porgetemi orecchio.
Nel dramma che ascolterete io sono l’angelo.
Chi sono gli angeli? C’è qualcuno tra voi che lo ricorda?».
Sulla platea scende un fitto silenzio.
L’angelo guarda negli occhi i suoi spettatori.
La pausa è densa di interrogativi.
«Ho udito i vostri pensieri.
No, non tutte queste cose soltanto».
Stende la mano e punta l’indice sulla platea immersa nel buio.
«Tu hai pensato a tua madre.
E tu al tuo piccino morto.
E voi altri a una musica, ad una immagine appesa in capo al letto.
Ma è giusto che voi sappiate.
Forse non potrete sopportare la nostra presenza, se ci pensate come siamo davvero, vicini a voi, in ogni istante!…
Ci pensiate o no, noi siamo con voi, o battezzati, nel modo preciso e perentorio che Dio ha voluto, sempre, sempre.
Senza distrazioni, senza vacanze».
                                                                           (C.
Fiore, I temi male detti, p.
29, Elledici) Afferma ancora lo scrittore Santucci: «Tanto rozzi siamo diventati che agli angeli più nessuno pensa.
Non vedendoli sul metrò o negli snack-bar o ai caselli dell’autostrada con gomito sporgente dal finestrino, li abbiamo aboliti.
Ne facciamo qualche accenno ai bambini.
Neppure più diremmo alla donna del cuore: sei il mio angelo.
Rideremmo entrambi…
Eppure gli angeli ci strappano come nessun’altra cosa dal puzzo di benzina, dal gracchiare del telegiornale…» In tutte le culture antiche compaiono esseri superiori agli uomini ma inferiori a Dio, “esseri-tramite”: li ritroviamo nelle primitive religioni animiste, in quelle dell’area mesopotamica, nei miti greco-romani; oggi nell’Induismo, nel Buddhismo, nell’Islam…
Soprattutto, sono chiaramente presenti nella Bibbia, nell’Antico e nel Nuovo Testamento; per i credenti, la “prova” dell’esistenza degli angeli risiede nella Parola di Dio.
Il termine greco “anghelos”, “messaggero”, traduce l’ebraico “mal ’akh”; esso ricorre nella Bibbia 215 volte.
Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica, «gli angeli sono creature spirituali che incessantemente glorificano Dio e servono i Suoi disegni salvifici nei confronti delle altre creature»; sono creature libere di scegliere, interamente spirituali, incaricate di sostenere gli uomini, di illuminarli, di aiutarli a compiere la volontà di Dio.
Secondo il teologo G.
Gozzelino, «hanno un misterioso potere sul cosmo e sulla storia.
Contribuiscono con Gesù, con la Chiesa e i Cristiani alla lotta contro le forze del male.
Annunciano agli uomini gli interventi divini e li aiutano a comprenderne il senso.
In breve: sono adoratori di fronte a Dio, governatori del cosmo e della storia di fronte al mondo, annunciatori e guide di fronte agli uomini».
3) Nel Nuovo Testamento L’angelo “interprete” del Nuovo Testamento aiuta e spiega l’azione di Dio (vedi Apocalisse), soprattutto il significato dell’Incarnazione di Cristo.
Le gerarchie angeliche hanno grandi poteri, ma è chiaro come siano semplicemente incaricate di un ministero: Gesù è l’unico Mediatore di una Nuova Alleanza tra Dio e uomo; l’angelo “spiega” e invita all’adesione della fede.
Nei Vangeli, gli Angeli compaiono soprattutto in quelli “dell’infanzia” (Mt 1-2 e Lc 1-2) e nei racconti di resurrezione (Mc 15 e paralleli).
Gabriele annuncia a Zaccaria la nascita di Giovanni Battista (Lc 1,11-20) e a Maria la nascita di Gesù (Lc 1,26-28); un angelo guida Giuseppe alla scoperta della sua missione nei confronti di Gesù, cori angelici annunciano la Natività…
Angeli annunciano la resurrezione, presentati anche come “un giovane” (Mc 16,5), due uomini (Lc 24,4)…
Si ritrovano inoltre nei momenti in cui Gesù prega (Mt 4,11; Mc 1,13), specialmente nel Getsemani (Lc 22,43).
Gli Angeli proteggono gli uomini (Mt 18,10) e faranno da corona quando il Cristo tornerà per il giudizio finale e la vittoria definitiva sul male e sulla morte, alla fine dei tempi (Mt 16,27, Lc 12,8)…
Nel Nuovo Testamento Michele, l’Angelo del popolo ebraico, sembra divenire protettore della Chiesa universale (Ap 12,7).
La certezza della presenza dell’angelo custode (Mt 12,15) è ratificata dal Salvatore (Mt 18,10); gli Angeli sono anche accompagnatori delle anime nell’altra vita (Lc 16,22).
Essi, come noi, sono stati voluti dal Creatore di “tutte le cose visibili e invisibili”.
Il diavolo, dal greco “diabolos”, “colui che divide”, in ebraico “satan”, “avversario”, indica uno degli Angeli – potentissimo – che hanno usato male la loro libertà contrapponendosi a Dio in un sogno folle di potere; Satana sceglie il male, tenta di contrastare il Disegno di Dio soprattutto agendo come tentatore nei confronti dell’uomo.
Il Nuovo Testamento mette in risalto la vittoria di Cristo su ogni forma di male e sul diavolo.
Ci sono dunque esseri, secondo la Bibbia, che riempiono l’universo con la pienezza della Verità e dell’Amore; esseri capaci di lodare Dio e di servirlo con incessante fermezza (essi sono ciò che noi non siamo…
ma che possiamo diventare), potenti perché uniti a Lui e per amore Suo capaci di amare immensamente noi esseri umani, aiutandoci a elevarci; proteggendoci dai pericoli e da noi stessi, suscitando in noi il desiderio del bene; divenendo portatori della Parola, nella Scrittura e nei cuori.
Gli Angeli ci insegnano la dedizione assoluta a una missione di bene, l’amore-donazione gratuito e illimitato.
Unità di Lavoro biblica, per l’approfondimento e l’attualizzazione OSA di riferimento  Conoscenze   – Ricerca umana e Rivelazione di Dio nella storia.
– Il libro della Bibbia, documento storico-culturale e Parola di Dio.   Abilità  – Individuare il messaggio centrale di alcuni testi biblici, utilizzando informazioni storico-letterarie e seguendo metodi diversi di lettura.
Obiettivi Formativi ipotizzabili Conoscenze e abilità – Conoscere e descrivere le caratteristiche degli angeli e il loro ruolo nella “Storia della Salvezza”.
– Comprendere e saper spiegare il significato essenziale di alcuni brani biblici inerenti gli angeli.
– Elaborare ed esprimere opinioni personali in merito ai valori espressi dal messaggio biblico sugli angeli.   Competenze di riferimento dell’allievo in prospettiva triennale  – Possedere essenziali conoscenze bibliche, storiche e dottrinali inerenti il Cristianesimo e riconoscere il contributo del pensiero cristiano al progresso culturale, artistico e sociale dell’intera umanità.
– Sapersi esprimere in modo personale oralmente e per scritto nell’ambito del linguaggio specifico, tramite testi di riflessione ed esperimenti di analisi e sintesi.
Prima fase dell’attività L’insegnante presenta agli allievi i testi-guida motivando il percorso.
Nella tradizione cristiana, gli angeli occupano un ruolo discreto, ma di primo piano; creature più evolute nella vicinanza a Dio, possono rappresentare il meglio di ciò che è “invisibile”, ma che può essere reale e che può spalancare nuovi, meravigliosi orizzonti all’esperienza umana.
Essi trasmettono valori degni di attenzione per chiunque voglia provare a migliorare il mondo.

Classe terza – Marzo

Marta e Maria (Lc 10,38-42) 38Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
39Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola.
40Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti».
41Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42ma di una cosa sola c’è bisogno.
Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
«Oggi noi assistiamo nel nostro mondo occidentale a questo darsi da fare, a questo correre, a questa superficialità, a questa premura di cui siamo tutti un po’ vittime.
Non c’è tempo per scrivere una lettera, per leggere un libro, per fare una visita.
Non c’è tempo.
Il brano di Marta e Maria cade a proposito: intendiamo bene che il Signore non rimprovera a Marta il servizio; Gesù stesso ha detto “Sono venuto per servire”.
Egli rimprovera a Marta l’agitazione, l’affanno e la preoccupazione: nella nostra vita, che è tesa, piena di cose da fare, come si situa l’ascolto del Maestro che abbiamo scelto di seguire? La preghiera è dialogo autentico, non monologo con noi stessi; è uscire da noi stessi per ascoltare prima di tutto Lui» (P.
Francesco Peyron) (Nella seconda parte: le varie forme di preghiera possibili oggi; i giovani e la preghiera – testimonianze –; l’effetto trasformante della preghiera; le attività per valutare il raggiungimento degli Obiettivi Formativi).  Per l’inserimento dell’argomento in Unità di Apprendimento articolate, vedere Tiziana Chiamberlando, Sentinelle del Mattino, SEI, Volume per il biennio e Guida Parabola della “vedova importuna” (Lc 18,2-8) 2«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno.
3In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
4Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi».
6E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto.
7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente.
Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
4) Regole essenziali Gesù insegna a chiedere con perseveranza, certi della risposta (vedi “parabola dell’amico importuno”, Lc 11,5-13; Lc 18,1-8), con fede assoluta nella bontà del Padre (Mt 7,11); occorre essere umili e autentici, presentarsi a Lui senza barriere, senza maschere né giustificazioni, riconoscendo limiti ed errori per lasciarsi “guarire” (vedi “il fariseo e il pubblicano”, Lc 18,9-14).
Occorre chiedere il dono del Suo Spirito per essere illuminati, per ricevere forza e saggezza; occorre comprendere come il fine della preghiera sia fare la volontà del Padre, non indurre Lui a fare la nostra (Mt 6,10; Lc 22,42).
Non si può raggiungere Dio-Amore senza sforzarsi contemporaneamente di amare i fratelli, di promuovere la riconciliazione e di perdonare (Mt 5,23-24; 6,12).
La “scuola di preghiera” di Gesù culmina nel “Padre Nostro”, come abbiamo visto nel secondo anno (Mt 6,9-13; Lc 11,2-4).
È «il programma di una relazione in cui immettersi» (E.
Bianchi) ed è anche una promessa di impegno, essenziale nella preghiera.
Ci si impegna a costruire e diffondere il Suo Regno, il mondo nuovo basato sull’amore, con energia e creatività; a testimoniare la grandezza del Signore facendolo conoscere e insegnando ad amarlo; ci si impegna ad accogliere la Sua volontà anche quando “capire” e “accettare” sembrano due verbi impossibili; a lottare contro le tentazioni di egoismo, a lavorare su di sé per riuscire a perdonare…
Nella gerarchia dei valori di un Cristiano convinto, il rapporto con Dio occupa il primo posto, è modello di ogni altro rapporto e diviene il motore e l’obiettivo finale di tutte le esperienze.
Se credente, sono certo che i rapporti che coltivo, gli sforzi che faccio per contribuire a “fare giustizia” mi condurranno a conoscere Lui che è Amore e Verità e a incontrarlo nel profondo del cuore, sempre meglio.
1) Tutti gli uomini pregano? Afferma C.M.
Martini, già Arcivescovo di Milano: «Anche chi si dice lontano dalla pratica religiosa ha non di rado moti interiori e aspirazioni che si possono definire preghiera.
Vi sono esempi di preghiera di non credenti, per quanto paradossale possa sembrare la cosa».
Poche, commoventi parole, da un muro di Roma, sono arrivate a un giornale: «In questa città ho paura, nessuno mi conosce, solo Dio».
Molti psicanalisti confermano: anche colui che è certo di non credere in Dio, talvolta, prega; per un po’, segretamente, spera di essersi sbagliato, di vedere smentite tutte le sue convinzioni razionali di ateo e di incontrare la Fonte della vita e del suo significato, una potente Forza amorosa e “riordinatrice”.
È innegabile: nel cuore della persona umana esiste un’“area di solitudine”, incolmabile dagli effetti umani, abitata dalle paure più grandi e dalle domande senza risposta…
Chi prega tenacemente apre le porte interiori a una Presenza che riempia la solitudine, a una Parola di Verità che gli venga rivolta personalmente.
IN DIRETTA DAI VANGELI Parabola dell’“amico importuno” (Lc 11,5-13)  5Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, 6perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, 7e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, 8vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
9Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto.
10Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
11Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? 12O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? 13Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».
3) La preghiera di Gesù «Nessuno viene al Padre se non attraverso di me»…
(Gv 14,6) Gesù è la Parola definitiva del Padre; attraverso di Lui, mentre agisce e mentre insegna, si manifesta il Volto amoroso di Dio: è come il pastore che cerca ansiosamente la pecorella smarrita, come il padre del figlio spendaccione e ingrato della parabola, che ritorna da lui senza sperare nel perdono, e che pure lo riceve…
Sempre per amore, il Padre è giusto, può essere severo…
mai indifferente.
Il Cristiano raggiunge il Padre attraverso il Figlio; il rapporto con Lui è prioritario, Egli è il Maestro da cui farsi istruire in tutto, il Dio-Uomo vicinissimo a noi per Sua scelta, anche con le esperienze vissute tramite la Sua umanità; attraverso di Lui riceviamo lo Spirito Santo, Forza di Dio che agisce in noi anche perché impariamo a pregare nel modo giusto…
Il Figlio è della stessa natura divina del Padre, eppure Gesù-uomo Gli è totalmente sottomesso («Non come voglio io, ma come vuoi Tu…», dice nel Getsemani, prima dell’arresto); Gli si rivolge con il termine aramaico “Abbà” (“papà”, “babbo”), usato dai bambini, è cosciente di un legame di totale intimità con Lui che Lo ha generato “da sempre”.
Gesù pregava nei momenti delle feste religiose ebraiche comunitarie, in sinagoga e al Tempio…
spesso si ritirava in luoghi solitari per dialogare con il Padre (Mt 14,23, Mc 1,35; 6,46…).
Egli pregò con particolare intensità in momenti cruciali della Sua esperienza terrena: in occasione del Battesimo, prima di chiamare gli Apostoli, prima di far risorgere l’amico Lazzaro, durante l’ultima drammatica notte prima dell’arresto e al momento della morte…
Tuttavia, ogni istante della Sua giornata era vissuta alla presenza di Dio: il dialogo era in realtà costante, ininterrotto.
Prima fase dell’attività L’insegnante presenta alla classe i primi testi-guida, che propongono la visione biblica della preghiera approfondendo temi già avviati nel secondo anno.
In tutte le religioni è fondamentale la preghiera, la ricerca umana di comunicazione con Dio in molte forme; la preghiera autentica conduce al dialogo e poi al rapporto profondo, un rapporto che può “plasmare” la persona, trasformarla e permetterle di vedere ogni cosa in un’ottica particolare…
dal punto di vista di Dio stesso.
Parabola “il fariseo e il pubblicano” (Lc 18,9-14) 9Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano.
12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Unità di Lavoro-Riflessione sull’esperienza, con approfondimenti biblici e teologici Prima parte OSA di riferimento Conoscenze – La fede, alleanza tra Dio e l’uomo, vocazione e progetto di vita.
– Gesù, via, verità e vita per l’umanità.
Abilità – Riconoscere le dimensioni fondamentali dell’esperienza di fede.
– Individuare l’originalità della speranza cristiana.
Obiettivi Formativi ipotizzabili Conoscenze e abilità – Conoscere e saper descrivere aspetti vari della preghiera cristiana.
– Conoscere e saper descrivere l’azione trasformante della preghiera secondo i credenti.
– Conoscere e saper spiegare il significato essenziale di alcuni passi biblici riguardanti la preghiera.
– Elaborare e saper esprimere opinioni personali motivate inerenti l’importanza della preghiera nell’esperienza umana.
Competenze di riferimento dell’allievo in prospettiva triennale – Consolidare o almeno avviare percorsi di introspezione, in vista di una sempre più approfondita conoscenza di sé e dello sviluppo di opinioni personali.
– Prendere in considerazione il progetto di vita cristiano e la visione cristiana dell’esistenza.
– Possedere essenziali conoscenze bibliche e dottrinali inerenti il Cristianesimo.
2) Preghiera biblica: Antico Testamento Nella Bibbia il “Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe” (Es 3,6.15) si rivela nella storia, prende l’iniziativa di una relazione e rivolge all’uomo una Parola, tramite profeti ed eventi, che richiede ascolto; manifesta la Sua Volontà in essa e chiama per amore a un rapporto profondo, l’Alleanza.
L’uomo “può” rispondere: è «libertà dialogante con Dio» (E.
Bianchi), con il suo volergli rispondere diviene persona umana nella pienezza di tutto il suo essere.
La preghiera biblica è ascolto della Parola e risposta nella fede, tramite lode e supplica.
Nei Salmi le due dimensioni sono evidenti come benedizione e ringraziamenti e anche come invocazioni, richieste e intercessioni (suppliche per altri).
Nell’Antico Testamento le grandi figure profetiche trovano nella preghiera la forza di obbedire a Dio senza temere gli uomini o gli ostacoli: pensiamo ad Abramo, Mosè, Geremia…
La risposta alla Parola, nella preghiera, può e deve essere personale come comunitaria, espressione della fede e della speranza che unisce il “Popolo di Dio” – ieri il popolo ebraico, oggi la Chiesa –, dell’unione di anime che insieme lodano o chiedono.

Il papa si confessa.

L’impressionante lettera che Benedetto XVI ha scritto sei giorni fa ai vescovi di tutto il mondo è molto più che un’occasionale risposta alla “valanga di proteste” contro la sua decisione di revocare la scomunica ai lefebvriani.
È una lettera che ricorda quelle di Paolo e dei Padri apostolici.
Non a caso il papa vi ha citato la lettera ai Galati (nell’illustrazione, il suo inizio in un papiro egiziano dell’anno 200).
Erano testi rivolti a comunità cristiane concrete, di cui prendevano di petto le debolezze e le lacerazioni.
Ma anche andavano dritti ai fondamenti della fede, dicevano ciò per cui la Chiesa sta o cade.
Benedetto XVI ha fatto lo stesso.
Nella sua lettera non ha taciuto nulla delle contestazioni che l’hanno colpito.
Ma ha anche scritto ciò che per lui vale più di ogni cosa, in queste poche righe fulminanti: “Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del successore di Pietro in questo tempo.
Da qui deriva come logica conseguenza che dobbiamo avere a cuore l’unità dei credenti”.
La lettera del 10 marzo 2009 è quindi un testo capitale per capire il pontificato di Joseph Ratzinger.
Segna la strada che egli sta percorrendo deciso, senza deflettere in nulla sotto i colpi della contestazione.
Proprio nei giorni in cui Benedetto XVI stava scrivendo la sua lettera, c’è stato un cardinale che ha provato, di sua iniziativa, a decifrare il senso profondo di questo pontificato, a individuarne le “priorità” e a spiegarle a una platea di ascoltatori, in una conferenza pubblica.
“La prima e maggiore priorità è Dio stesso”, ha esordito, quasi con le stesse parole di Benedetto XVI nella sua lettera.
La stupefacente sintonia tra l’analisi del cardinale e la confessione che il papa ha fatto di sé, nella lettera, induce a leggere per esteso il testo della conferenza.
Il cardinale è Camillo Ruini, che fino a un anno fa è stato il vicario di Benedetto XVI nel reggere la diocesi di Roma.
Ha tenuto la conferenza il 1 marzo 2009 a Vicenza, nella scuola di cultura cattolica “Mariano Rumor”.
Le priorità del pontificato di Benedetto XVI di Camillo Ruini Nell’omelia di inizio del pontificato, Benedetto XVI affermava di non avere un proprio programma, se non quello che ci viene dal Signore Gesù Cristo.
Era questo un chiaro richiamo a ciò che è essenziale nel cristianesimo.
Il nuovo pontificato si poneva inoltre nella continuità sostanziale con quello di Giovanni Paolo II, di cui Joseph Ratzinger era stato, per i contenuti decisivi, il primo collaboratore.
In questo quadro non è difficile individuare alcune priorità del pontificato di Benedetto XVI.
La prima e maggiore priorità è Dio stesso, quel Dio che troppo facilmente viene messo al margine della nostra vita, protesa al “fare”, soprattutto mediante la “tecno-scienza”, e al godere-consumare.
Quel Dio, anzi, che è espressamente negato da una “metafisica” evoluzionistica che riduce tutto alla natura, cioè alla materia-energia, al caso (le mutazioni casuali) e alla necessità (la selezione naturale), o più frequentemente è dichiarato non conoscibile in base al principio che “latet omne verum”, ogni verità è nascosta, in conseguenza della restrizione degli orizzonti della nostra ragione a ciò che è sperimentabile e calcolabile, secondo la linea oggi prevalente.
Quel Dio, infine, di cui è stata proclamata la “morte”, con l’affermarsi del nichilismo e con la conseguente caduta di tutte le certezze.
Il primo impegno del pontificato è dunque riaprire la strada a Dio: non però facendosi dettare l’agenda da coloro che in Dio non credono e contano soltanto su se stessi.
Al contrario, l’iniziativa appartiene a Dio e questa iniziativa ha un nome, Gesù Cristo: Dio si rivela in qualche modo a noi nella natura e nella coscienza, ma in maniera diretta e personale si è rivelato ad Abramo, a Mosè, ai profeti dell’Antico Testamento, e in maniera inaudita si è rivelato nel Figlio, nell’incarnazione, croce e risurrezione di Cristo.
Vi sono dunque due vie, quella della nostra ricerca di Dio e quella di Dio che viene alla ricerca di noi, ma soltanto quest’ultima ci permette di conoscere il volto di Dio, il suo mistero intimo, il suo atteggiamento verso di noi.
Giungiamo così alla seconda priorità del pontificato: la preghiera.
Non soltanto quella personale ma anche e soprattutto quella “nel” e “del” popolo di Dio e corpo di Cristo, ossia la preghiera liturgica della Chiesa.
Nella prefazione al primo volume delle sue “Opera omnia”, uscito da poco in lingua tedesca, Benedetto XVI scrive: “La liturgia della Chiesa è stata per me, fin dalla mia infanzia, l’attività centrale della mia vita ed è diventata anche il centro del mio lavoro teologico”.
Possiamo aggiungere che oggi è il centro del suo pontificato.
Arriviamo così a un punto controverso, specialmente dopo il motu proprio che consente l’uso della liturgia preconciliare e ancor più dopo la remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani.
Già in precedenza però Joseph Ratzinger aveva chiarito questo punto molto bene.
Egli è stato uno dei grandi sostenitori del movimento liturgico che ha preparato il Concilio e uno dei protagonisti del Vaticano II, e tale è sempre rimasto.
Fin dall’attuazione della riforma liturgica nei primi anni del dopo-Concilio, egli aveva contestato però la proibizione dell’uso del messale di San Pio V, vedendovi una causa di sofferenza non necessaria per tante persone amanti di quella liturgia, oltre che una rottura rispetto alla prassi precedente della Chiesa che, in occasione delle riforme della liturgia succedutesi nella storia, non aveva proibito l’uso delle liturgie fino allora in uso.
Da pontefice ha pertanto ritenuto di dover rimediare a questo inconveniente consentendo più facilmente l’uso del rito romano nella sua forma preconciliare.
Lo spingeva a questo anche il suo dovere fondamentale di promotore dell’unità della Chiesa.
Si muoveva inoltre nella linea già iniziata da Giovanni Paolo II.
In questo spirito la remissione della scomunica è stata concessa per facilitare il ritorno dei lefebvriani, ma non certamente per rinunciare alla condizione decisiva di questo ritorno, che è la piena accettazione del Concilio Vaticano II, compresa la validità della messa celebrata secondo il messale di Paolo VI.
In positivo Benedetto XVI ha precisato l’interpretazione del Vaticano II nel discorso alla curia romana del 22 dicembre 2005, prendendo le distanze da una “ermeneutica della rottura”, che ha due forme: una prevalente, in base alla quale il Concilio costituirebbe una novità radicale e sarebbe importante “lo spirito del Concilio” ben più della lettera dei suoi testi; l’altra, contrapposta, per la quale conterebbe soltanto la tradizione precedente al Concilio, rispetto a cui il Concilio avrebbe rappresentato una rottura densa di conseguenze funeste, come sostengono appunto i lefebvriani.
Benedetto XVI propone invece l'”ermeneutica della riforma”, ossia della novità nella continuità, sostenuta già da Paolo VI e Giovanni Paolo II: il Concilio costituisce cioè una grande novità ma nella continuità dell’unica tradizione cattolica.
Soltanto questo tipo di ermeneutica è teologicamente sostenibile e pastoralmente fruttuoso.
Abbiamo messo a fuoco così un’ulteriore priorità del pontificato: promuovere l’attuazione del Concilio, sulla base di questa ermeneutica.
Nella medesima prospettiva, possiamo parlare di una “priorità cristologica” o “cristocentrica” del pontificato.
Essa si esprime in particolare nel libro “Gesù di Nazaret”, impegno non consueto per un papa, al quale Benedetto XVI dedica “tutti i momenti liberi”.
Gesù Cristo infatti è la via a Dio Padre, è la sostanza del cristianesimo, è il nostro unico Salvatore.
Perciò è terribilmente pericoloso il distacco tra il Gesù della storia e il Cristo della fede, distacco che è frutto di un’assolutizzazione unilaterale del metodo storico-critico e più precisamente di un impiego di questo metodo sulla base del presupposto che Dio non agisca nella storia.
Un tale presupposto, già da solo, rappresenta infatti la negazione dei Vangeli e del cristianesimo.
Anche in questo caso si tratta di allargare gli spazi della razionalità, dando credito a una ragione aperta, e non chiusa, alla presenza di Dio nella storia.
Questo libro ci mette in contatto con Gesù e così ci introduce nella sostanza, nella profondità e novità del cristianesimo: leggerlo è un impegno che costa un po’ di fatica ma che ripaga abbondantemente.
*** A questo punto possiamo ritornare alla prima priorità, Dio, per prendere in considerazione l’impegno anche razionale e culturale di Benedetto XVI al fine di allargare a Dio la ragione contemporanea e di fare spazio a Dio nei comportamenti e nella vita personale e sociale, pubblica e privata: sono particolarmente importanti qui il discorso di Ratisbona, quello più recente di Parigi e anche quello di Verona del 2006.
Quanto alla ragione contemporanea, Benedetto XVI sviluppa una “critica dall’interno” della razionalità scientifico-tecnologica, che oggi esercita una leadership culturale.
La critica non riguarda questa razionalità in se stessa, che ha anzi grande valore e grandi meriti, dato che ci fa conoscere la natura e noi stessi come mai era stato possibile prima e ci permette di migliorare enormemente le condizioni pratiche della nostra vita.
Riguarda invece la sua assolutizzazione, come se questa razionalità costituisse l’unica conoscenza valida della realtà.
Tale assolutizzazione non proviene dalla scienza come tale, né dai grandi uomini di scienza, che ben conoscono i limiti della scienza stessa, bensì da una “vulgata” oggi molto diffusa e influente, che però non è la scienza ma una sua interpretazione filosofica, piuttosto vecchia e superficiale.
La scienza infatti deve i suoi successi alla sua rigorosa limitazione metodologica a ciò che è sperimentabile e calcolabile.
Se però questa limitazione viene universalizzata, applicandola non solo alla ricerca scientifica ma alla ragione e alla conoscenza umana come tali, essa diventa insostenibile e disumana, dato che ci impedirebbe di interrogarci razionalmente sulle domande decisive della nostra vita, che riguardano il senso e lo scopo per cui esistiamo, l’orientamento da dare alla nostra esistenza, e ci costringerebbe ad affidare la risposta a queste domande soltanto ai nostri sentimenti o a scelte arbitrarie, distaccate dalla ragione.
È questo, forse il problema più profondo e anche il dramma della nostra attuale civiltà.
Joseph Ratzinger-Benedetto XVI fa un passo in più, mostrando che la riflessione sulla struttura stessa della conoscenza scientifica apre la strada verso Dio.
Una caratteristica fondamentale di tale conoscenza è infatti la sinergia tra matematica ed esperienza, tra le ipotesi formulate matematicamente e la loro verifica sperimentale: si ottengono così i risultati giganteschi e sempre crescenti che la scienza mette a nostra disposizione.
La matematica è però un frutto puro e “astratto” della nostra razionalità, che si spinge al di là di tutto ciò che noi possiamo immaginare e rappresentare sensibilmente: così avviene in particolare nella fisica quantistica – dove una medesima formulazione matematica corrisponde all’immagine di un’onda e al tempo stesso di un corpuscolo – e nella teoria della relatività, che implica l’immagine della “curvatura” dello spazio.
La corrispondenza tra matematica e strutture reali dell’universo, senza la quale le nostre previsioni scientifiche non si avvererebbero e le tecnologie non funzionerebbero, implica dunque che l’universo stesso sia strutturato in maniera razionale, così che esista una corrispondenza profonda tra la ragione che è in noi e la ragione “oggettivata” nella natura, ossia intrinseca alla natura stessa.
Dobbiamo chiederci però come questa corrispondenza sia possibile: emerge così l’ipotesi di un’Intelligenza creatrice, che sia l’origine comune della natura e della nostra razionalità.
L’analisi, non scientifica ma filosofica, delle condizioni che rendono possibile la scienza ci riporta dunque verso il “Logos”, il Verbo di cui parla san Giovanni all’inizio del suo Vangelo.
Benedetto XVI non è però un razionalista, conosce bene gli ostacoli che oscurano la nostra ragione, la “strana penombra” in cui viviamo.
Perciò, anche a livello filosofico, non propone il ragionamento che abbiamo visto come una dimostrazione apodittica, ma come “l’ipotesi migliore”, che richiede da parte nostra “di rinunciare a una posizione di dominio e di rischiare quella dell’ascolto umile”: il contrario dunque di quell’atteggiamento oggi diffuso che viene chiamato “scientismo”.
Allo stesso modo non può essere presentata come “scientifica” la riduzione dell’uomo a un prodotto della natura, in ultima analisi omogeneo agli altri, negando quella differenza qualitativa che caratterizza la nostra intelligenza e la nostra libertà.
Una simile riduzione costituisce in realtà il capovolgimento totale del punto di partenza della cultura moderna, che consisteva nella rivendicazione del soggetto umano, della sua ragione e della sua libertà.
Perciò, come Benedetto XVI ha detto a Verona, la fede cristiana proprio oggi si pone come il “grande sì” all’uomo, alla sua ragione e alla sua libertà, in un contesto socio-culturale nel quale la libertà individuale viene enfatizzata sul piano sociale facendone il criterio supremo di ogni scelta etica e giuridica, in particolare nell'”etica pubblica”, salvo però negare la libertà stessa come realtà a noi intrinseca, cioè come nostra capacità personale di scegliere e di decidere, al di là dei condizionamenti ed automatismi biologici, psicologici, ambientali, esistenziali.
Proprio il ristabilimento di un genuino concetto di libertà è un’altra priorità del pontificato, l’ultima di cui parlerò.
Essa riguarda la vita personale e sociale, le strutture pubbliche come i comportamenti personali.
Benedetto XVI contesta cioè quell’etica e quella concezione del ruolo dello Stato e della sua laicità che egli stesso ha definito “dittatura del relativismo”, per la quale non esisterebbe più qualcosa che sia bene o male in se stesso, oggettivamente, ma tutto dovrebbe subordinarsi alle nostre scelte personali, che diventano automaticamente “diritti di libertà”.
Vengono escluse così, almeno a livello pubblico, non solo le norme etiche del cristianesimo e di ogni altra tradizione religiosa, ma anche le indicazioni etiche che si fondano sulla natura dell’uomo, cioè sulla realtà profonda del nostro essere.
È questa una cesura radicale, un autentico taglio, rispetto alla storia dell’umanità: una cesura che isola l’Occidente secolarizzato dal resto del mondo.
In realtà la libertà personale è intrinsecamente relativa alle altre persone e alla realtà, è libertà non solo “da” ma “con” e “per”, è libertà condivisa che si realizza soltanto unitamente alla responsabilità.
In concreto, Benedetto XVI è talvolta accusato di insistere unilateralmente sui temi antropologici e bioetici, come la famiglia e la vita umana, ma in realtà egli insiste analogamente sui temi sociali ed ecologici (certamente senza indulgere ad “inquinamenti ideologici”).
Proprio ai temi sociali sarà dedicata la sua terza enciclica ormai imminente.
La radice comune di questa duplice insistenza è il “sì” di Dio all’uomo in Gesù Cristo, e in concreto è l’etica cristiana dell’amore del prossimo, a cominciare dai più deboli.
Concludo tornando all’inizio.
Parlando a Subiaco il giorno prima della morte di Giovanni Paolo II, il cardinale Ratzinger invitava tutti, anche quegli uomini di buona volontà che non riescono a credere, a vivere “veluti si Deus daretur”, come se Dio esistesse.
Ma al tempo stesso affermava la necessità di uomini che tengano lo sguardo fisso verso Dio e in base a questo sguardo si comportino nella vita.
Soltanto così infatti Dio potrà tornare nel mondo.
È questo il senso e lo scopo dell’attuale pontificato.
__________ __________ 16.3.2009 La lettera del 10 marzo 2009 di Benedetto XVI ai vescovi di tutto il mondo: > “Se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi gli uni gli altri” __________ Gli altri grandi testi del pontificato di Benedetto XVI citati dal cardinale Ruini: > Alla curia romana, 22 dicembre 2005 > A Ratisbona, 12 settembre 2006 > A Verona, 19 ottobre 2006 > A Parigi, 12 settembre 2008__________ Il commento del cardinale Ruini alla lettera di Benedetto XVI del 10 marzo 2009, pubblicato su “L’Osservatore Romano” del 14 marzo: > Il senso della Chiesa In esso tra l’altro Ruini scrive: “Di fronte all’inclinazione a ‘mordersi e divorarsi a vicenda’, purtroppo oggi presente tra noi come fu presente tra i Galati a cui scriveva san Paolo, tocchiamo un nervo scoperto del cattolicesimo degli ultimi secoli, un punto di fragilità e di sofferenza di cui dobbiamo diventare più e meglio consapevoli.
Mi riferisco all’indebolirsi, e a volte praticamente all’estinguersi, del senso di appartenenza ecclesiale, della gioia cioè e della gratitudine di far parte della Chiesa cattolica”.