Numeri e fede/9: I domatori di stelle

L’ntervista al professor Massimo Buscema Che cosa serve per fare un’eccellente matematica? «Immaginazione e rigore analitico.
L’immaginazione è la componente creativa della matematica.
È un portento del cervello, che non conosciamo.
È l’attività tramite la quale si avanzano ipotesi insolite sulla struttura invisibile del mondo, che genera quella visibile.
La capacità analitica consiste nel dimostrare logicamente e sperimentalmente tali ipotesi.
Il rigore analitico permette di raggiungere la verità ma anche di ottenere una ‘democrazia della scienza’, per cui ogni altro ricercatore può ripercorrere i tuoi passi e andare oltre.
Il matematico è come uno che salta su una stella sconosciuta e poi deve verificare se è in grado di costruire – da quella stella, fino al punto della Terra da cui è saltato – una scala che qualunque essere umano (anche non particolarmente dotato) possa percorrere».
La matematica applicata può commettere errori? «Quella che facciamo al ‘Semeion’, nel campo dell’imaging medico, si è dimostrata capace di trasformare nell’informazione-chiave ciò che da altri ricercatori era stato scartato come ‘rumore’ o inutile disturbo.
Ma la scienza non esiste se non fa errori.
Di fronte alla complessità della natura, i pensieri di un uomo di scienza non possono che essere sfumati, flessibili, spesso contraddittori.
Oggi purtroppo alcuni scienziati hanno invece pensieri categorici (e comportamenti ambigui)».
Esistono anche limiti oggettivi.
«La matematica sa individuarli.
Prima di tutto: limiti di computabilità.
Siamo in grado di calcolare l’angolo con cui rimbalza la palla sul bordo rettilineo di un biliardo.
Ma, se il biliardo ha il bordo a cresta di montagna, cioè irregolare, la traiettoria della palla è diversa.
Dopo ‘n’ rimbalzi, la differenza diventa esponenziale e la posizione della palla è sempre più imprevedibile.
Il secondo limite è l’incertezza della misurazione: quando misuro entità molto piccole, interferisco con l’entità stessa.
Un elettrone, prima che io ne verifichi la posizione, è rappresentato come una nube di probabilità, cioè potrebbe essere dovunque in un certo ‘intorno’.
Ma quando lo misuro, lo trovo in un punto specifico.
Qui nasce l’arcano: è come se chi osserva determinasse la posizione dell’elettrone.
È il sistema osservatore-osservato che fa passare un oggetto da pura informazione a materia.
Alcuni teorici hanno immaginato che lo stesso Big Bang sia un collasso della pura informazione in massa-energia.
Allora si può porre la domanda: in quella circostanza chi era l’osservatore? A livello di congettura non dimostrabile, questa domanda è ragionevole».
Che rapporto c’è tra matematica e fede? «È come se mi chiedesse: ‘In casa preferisce una finestra o un televisore?’ La finestra è essenziale per vedere ciò che succede fuori casa.
Il televisore mi serve per sapere che cosa succede nel mondo che non posso vedere dalla finestra.
Nessun architetto obbligherebbe un futuro padrone di casa a scegliere tra finestra e televisore.
Perciò non ha senso sostenere che, se sei credente, non puoi essere un bravo scienziato.
È come dire: ‘poiché hai una casa con finestre, non puoi comprare anche il televisore’.
Per quanto mi riguarda, penso che credere in un Dio-persona, come quello cristiano, mi dia il coraggio di guardare da ogni finestra e di accendere ogni televisore».
Ma allora com’è nata la contrapposizione tra scienza e fede? «La risposta è: a chi giova questa contrapposizione? Non agli scienziati, semmai a quelli che tramite la scienza acquisiscono soldi, fama e potere.
Da una ricerca risulta che credono in un Dio trascendente il 4% dei biologi, il 7% dei fisici e il 14% dei matematici.
Queste percentuali corrispondono, grosso modo, ai rispettivi flussi di finanziamento industriale che arrivano ai vari rami della ricerca.
Le multinazionali che producono tecnologia possono influenzare in maniera crescente il campo biologico e un po’ anche la fisica.
Ma molto meno i matematici.
Chi sforna prodotti ci vuole consumatori, ha interesse a far credere a ogni persona sul globo che l’imperativo è il consumo perché ‘tutto è qui, adesso’, e ‘del doman non v’è certezza’».
È nelle informazioni-chiave dell’universo e del mondo che va cercata la risposta agli interrogativi fondamentali? «Sì, e anche nelle informazioni che riguardano la singola persona.
Dobbiamo pensare all’identità di ognuno come a un’incredibile quantità organizzata di atomi.
Ma durante la sua vita, ogni individuo non fa che cedere vecchi atomi e prenderne nuovi.
È credibile che all’età di 50 anni, io non abbia più neanche un atomo di quelli che avevo a cinque anni.
Ma allora perché mi sento la stessa identità e mi ricordo anche di quando avevo cinque anni, se tutta la materia di cui ero fatto è cambiata? Dove sono stato registrato? Dov’è il disco rigido su cui è stato fatto il backup di me stesso? Non c’è.
E allora perché ho memoria? E’ più probabile che la mia identità non sia fornita dalla mia struttura bio-materiale (che cambia continuamente) ma dalla funzione matematica che connette tutte le traiettorie di qualsiasi mio atomo.
In altri termini: la mia identità è solo un’organizzazione di informazioni, un pensiero.
Ora, se tutta la complessità che esploriamo nasconde un pensiero, e se è così ben congegnato da permetterci di esistere e di formulare una domanda sensata sull’origine del cosmo, è più che ragionevole credere che l’informazione iniziale non sia stata buttata lì a casaccio.
‘Penso quindi esisto’ oppure ‘Esisto perché sono pensato’? Luigi Dell’Aglio «La matematica è l’arte di immaginare e di dimostrare, cogliendo le invarianti più astratte della realtà.
Procedendo solo con un pensiero astratto e con le sue conseguenze logiche, ci si allontana infinitamente dalla realtà ma per trovarsi, alla fine, nel cuore stesso della realtà.
Ecco il prodigio della matematica, arte di trasformare, in maniera analitica, l’impossibile nel possibile».
Questa è oggi la scienza di Euclide e Leibniz, secondo il professor Massimo Buscema, computer scientist di grande successo, che ha conseguito fama internazionale con nuovi modelli e algoritmi di intelligenza artificiale, alcuni dei quali confluiti in 14 brevetti internazionali.
È fondatore e direttore del centro di ricerche «Semeion» ed è il secondo tra gli autori più prolifici, a livello mondiale, nel campo delle reti neurali artificiali (fonte: GoPubMed 2008).
Consulente di New Scotland Yard, con il Progetto Central Drug Trafficking Database ha fornito alla più famosa polizia del mondo il know how per scoprire le rotte del traffico internazionale di droga dal momento dell’entrata e della capillare distribuzione sul territorio britannico.

Un mito contro i vecchi miti: Easy Rider

I ragazzi di Easy Rider oggi hanno quarant’anni in più.
Uno è diventato una star dello show-biz, un altro, componente della più famosa famiglia d’attori americana, si è perso per strada dopo un pugno di pellicole troppo figlie del loro tempo per poter sperare di valicarne i confini, il terzo, all’epoca anche improvvisato benché non sprovveduto regista, ricompare saltuariamente, ma regolarmente in linea col suo personaggio di outsider un po’ studiato a tavolino.
Era il 1969 quando con le loro Harley Davidson erravano per un’America insolitamente ostile alla ricerca di risposte a domande divenute tutto d’un tratto mastodontiche.
Promuovendo un nuovo mito di libertà che nascondeva la crisi d’identità di tutta una generazione.
E salvando il cinema del loro Paese ingrato grazie anche ad un pizzico d’opportunismo.
Come capita spesso alle opere che possono fregiarsi del titolo di pietre miliari, infatti, anche il paradigma del road-movie, più che un evento realmente rivoluzionario, è stato il risultato di correnti e influenze pregresse giunte a piena maturazione: ciò che ne fa un mito pressoché intramontabile, più del ribellismo dalla facile presa o di meriti strettamente artistici che oggi appaiono un po’ sbiaditi, è il fatto che non si tratta solo di un film, ma del punto d’approdo di un processo storico, sociale, cinematografico decisivo per la cultura americana.
La strada che porta alle sue interstatali sconfinate e allucinate, a ben vedere, parte da molto lontano.
Almeno da quella seconda metà degli anni Cinquanta in cui tutto sembrava congiurare contro le majors del cinema mainstream e del loro studiosystem dalla struttura piramidale, attaccato su più fronti da fattori correlati e inesorabilmente convergenti ancorché di natura diversa: leggi antitrust, diffusione massiccia della televisione, graduale deurbanizzazione della società dell’immediato dopoguerra con conseguente perdita del rito cittadino dello spettacolo del grande schermo, affermarsi di cinematografie – le nouvelles vagues europee ma anche la scena east-side del New American Cinema – che prendevano di mira i moduli espressivi pedissequamente narrativi del prodotto medio hollywoodiano.
Con una sincronicità casuale quanto si vuole, ma che non manca di ribadire l’importanza del cinema nella società americana, poi, questa crisi della fabbrica dei sogni andava a prendere forma proprio alle porte del decennio che più avrebbe fatto traballare i valori nazionali e sconvolto l’opinione pubblica.
Vietnam e attentato a Kennedy avrebbero rappresentato solo l’inizio di un processo autodistruttivo destinato a durare a lungo, ma era già abbastanza per una generazione cresciuta con il mito dell’America come nazione eletta a guidare l’occidente verso lidi di pace e prosperità.
È da questo fertile humus costituito dalla simbiotica crisi hollywoodiana e nazionale, che trae linfa vitale il nuovo cinema indipendente.
Un movimento ancora disgregato, ma già insospettabilmente vitale che intravede, nel moderno gusto europeo del primato del significato e dello stile sulla tecnica, la legittimazione a operare anche con scarsa disponibilità di mezzi; nella perdita di un tessuto di valori comuni – nonché nel contemporaneo declino del codice di autocensura Hays, caduto sotto i colpi di una realtà che lo ha reso oltremodo ipocrita e anacronistico – più d’uno spiraglio per cominciare a imbastire un discorso di revisionismo storico parallelo a quello che, di lì a poco, promuoverà “in superficie” il contro-western di stampo liberal alla Soldato blu e Piccolo grande uomo.
Ma che qui, ossia nel sottobosco delle produzioni low-budget divenute improvvisamente spavalde e aggressive, assumerà piuttosto i toni di una nuova forma di horror-movie, debitrice a sua volta dell’iconografia western di cui però esibirà generosamente un uso improprio e straniante, spogliandola così di quella vecchia mitopoietica che ora si vuole combattere a ogni costo.
Anche se pochi sul momento se ne accorgono, infatti, è in questi primi anni Sessanta che viene precocemente alla luce, grazie a un manipolo di registi destinati a rimanere per lo più nell’anonimato, quell’immagine di una provincia rurale orribilmente retrograda e violenta che avrebbe fatto la fortuna dell’horror del decennio successivo, e di pellicole destinate a divenire cult imprescindibili per generazioni di cinefili – se è vero che sopravvivono ancora oggi in una serie impressionante di varianti e remake – come Non aprite quella porta di Tobe Hooper o Le colline hanno gli occhi di Wes Craven, pietre miliari, anche in questo caso, che si sono avvalse almeno in parte di intuizioni altrui.
È l’epoca in cui comincia a serpeggiare – anche grazie all’avallo ancora scevro da ideologie di Hitchcock e del suo Psyco – un tòpos che avrebbe fatto scuola: quello che vede un gruppo di giovani forestieri abbandonare per motivi contingenti la strada maestra per inoltrarsi lungo percorsi secondari e perigliosi, dove regolarmente scopriranno un’America allergica al nuovo, e adagiata sui simboli ormai putrescenti della storia nazionale.
Da qui in avanti si moltiplicheranno case dallo stile gotico o coloniale, ancor meglio se costruite su cimiteri indiani, fregi animali che rimandano all’addomesticamento spesso brutale della wilderness e alla conquista della frontiera, vessilli di una guerra di secessione mai del tutto risolta, in virtù di lacerazioni sociali ancora imbevute di razzismo e intolleranza.
Nell’ottica della controcultura cinematografica, insomma, gli eventi fondanti della nazione smetteranno di rappresentare motivo d’orgoglio come accadeva nel vecchio cinema western per divenire simboli del rimosso della coscienza collettiva, e di un peccato originale alla luce del quale ora si vuole inquadrare tutta la storia del Paese per arrivare a comprendere quelle pericolose forze centripete di cui è diventato preda.
Quando il film del trentatreenne Dennis Hopper – attore proveniente non a caso proprio dal fulcro dello studiosystem – finalmente approda su questo terreno figurativo e tematico già in gran parte spianato, allora, il suo merito sarà semmai quello di incanalarne i caotici fermenti in un contesto più organico e persino accattivante, conciliando le istanze metaforiche della critica sociale e politica – anche qui non mancherà il martirio dei “figli” per mano dei “padri” sullo sfondo di un’America profonda e arretrata – con quelle di un nuovo vitalismo un po’ modaiolo, condito sapientemente da un uso deflagrante della colonna sonora e strizzatine d’occhio agli eccessi libertari dell’epoca.
Finendo così per rappresentare, paradossalmente, tanto il riepilogo e la celebrazione del cinema indipendente del decennio che va a concludersi, quanto già uno dei più fulgidi prodromi di quella che sarà la New Hollywood, ovvero di un nuovo cinema americano che, memore della severa lezione ricevuta da oltreoceano e dalla traumatica crisi interna, cercherà di conciliare le ragioni dello spettacolo con quelle della cosiddetta politica degli autori.
Punto cruciale di questo lunghissimo e all’epoca non ancora terminato processo di distruzione e ricostruzione, Easy Rider lungo tale direzione anticiperà, in particolare, pur con accorgimenti ruffiani che in seguito saranno meglio assorbiti dai nuovi mezzi espressivi, quella epica della contro-epica che farà grande la generazione dei cineasti degli anni Settanta – Scorsese, Coppola, Cimino – e i loro losers dalla statura tragica, capace di accogliere le contraddizioni ormai conclamate della società di cui sono espressione.
Quarant’anni fa, insomma, mentre la sua patria d’appartenenza era ancora in pieno subbuglio, il cinema americano non solo ne registrava la crisi con uno sguardo impietoso, ma ritrovava inaspettatamente se stesso tornando a fare ciò che gli era sempre riuscito meglio, ovvero nutrirsi di leggende, poco importa se moralmente irrisolte o destinate alla sconfitta.
Come quei bikers pronti a farsi inghiottire dalle fauci di un Paese cui non appartengono più.
(©L’Osservatore Romano – 3 aprile 2009)

Videoclip

A differenza del cinema o della televisione dove la musica è sottofondo o commento all’azione, nel clip essa diventa invece il nodo centrale per iniziare a raccontare una storia anche e soprattutto a livello tecnico-espressivo: ad esempio, uno degli elementi fondanti dell’immagine cinetelevisiva, il montaggio, è nel video positivamente limitato dalla presenza musicale, in quanto i suoi stacchi sono sempre scanditi dalla sezione ritmica e non viceversa.
Tutto ciò è determinato dal fatto che la canzone preesiste al filmato in quanto si tratta di un prodotto dell’industria discografica.
Cosa succede quando l’immagine è bella, ma la canzone è brutta? O viceversa quando una musica valida non è ben supportata dall’impianto figurativo? Questi interrogativi arrivano al nocciolo centrale della questione, che dunque riguarda i criteri con cui giudicare oggettivamente il valore e la qualità di un video.
La domanda però va impostata diversamente, nel senso che per una critica esaustiva su forme e contenuti del video-clip, fino a individuare il suo «specifico», non basta analizzare la compresenza dei codici musicali e figurativi ulteriormente ripartiti in sottocodici.Il fatto è che nella riuscita del clip intervengono altre componenti più psicologiche, le quali si fondano a loro volta sull’intreccio di codici espressivi quali look e telegenia.: • con look si intende tutto quanto attiene alla cura e al comportamento della persona fisica, dalla bellezza al sex-appeal, dal trucco agli abiti, dalla petti­natura agli accessori, dal modo di parlare, gesticolare, camminare fino agli hobbies preferiti e alle manie più bislacche • con telegenia si intende invece la capacità di trasferire tutte queste doti, più o meno positive, sul piccolo schermo, non solo in virtù delle capacità personali, ma anche grazie a opportuni accorgimenti intrinseci al lavoro col mezzo televisivo 
 Alla base del video-clip c’è il codice televisivo, poiché il clip è anzitutto televisione per il semplice fatto che passa e vive attraverso il monitor e poi perché molte delle immagini sono costruite con una regia e una tecnica televisive.
( immagini semoventi) Anche i clip più tradizionali, riescono a produrre effetti di irrealtà, come se il pubblico assistesse a uno spettacolo distaccato.
La maniera originale con cui è impostata, rispetto ad altri testi televisivi, la parte visiva del video-clip, è definibile, come un cinema-cinema, si tratta insomma di metalinguaggio con grande ostentazione della tecnica, dai movimenti di macchina all’alternanza di campi e piani, dai flashback alle dissolvenze, senza risparmiare le varie tipologie di montaggio.
In rapporto alla visione individuale e privata del clip da parte dei ragazzi, i consigli da fornire sono essenzialmente di tre tipi in ordine crescente 
 Il primo è non limitarsi alla fruizione esclusiva dei video o di qualsiasi altro genere televisivo (cartoons, telefilm, soap-operas, sport, ecc.), ma di impiegare il tempo libero in maniera differenziata, alternando le ore passate davanti al monitor con altre attività ricreative sia intellettuali sia motorie: oltre le solite raccomandazioni sul piacere della lettura di libri e giornali, può anche essere utile vivere in altri modi la musica stessa; dal piccolo schermo al disco o alla videocassetta, dalla riviste specializzate alla pratica esecutiva, insomma la musica deve diventare non solo un fatto visivo, ma qualcosa di assai più coinvolgente, poiché può essere guardata, ascoltata, letta, cantata, eseguita, ballata, composta, ecc.
 Il secondo è predisporsi di fronte al video-clip nella maniera meno passiva, cercando non soltanto di godersi meccanicamente uno spettacolo piacevole, ma di usare la propria intelligenza nei suoi confronti; in questo senso anche a casa, da soli o con amici, si possono improvvisare alcuni giochi col clip: ad esempio a ogni serie di video, tra uno spot e l’altro, ogni ragazzo può sceglierne uno e osservarlo con attenzione, riguardarlo con calma grazie alla videoregistrazione; e successivamente riflettere su una serie di questioni: a livello formale la scelta delle immagini, i riferimenti culturali e le associazioni psichiche che sorgono spontaneamente; a livello contenutistico l’argomento della trama, i modi in cui viene raccontata, la morale che se ne deve trarre; a un livello più profondo l’analisi del protagonista del clip, in riferimento a look e telegenia con l’impatto emotivo e il grado di piacevolezza e identificazione.
 Il terzo è verificare con amici e compagni di classe le proprie scelte, discutere con loro i propri gusti, spiegare il più chiaramente possibile i motivi delle preferenze; verificare gli interessi comuni e le cause di unanimità o divergenze su certi video, cercando di formulare un giudizio personale e critico; passare infine dalla teoria alla prassi, nel senso di provare a inventare uno storyboard o una sceneggiatura per tante occasioni: nuove immagini per quelle già note, o aggiunta della parte visiva su canzoni vecchie molto famose che non hanno mai avuto una veste iconica (magari su generi particolari come la classica o il jazz), o ancora tentare una vera e propria operazione multimediale costruendo canzone e immagine, giocando a suddividersi i ruoli con tutti.



Adolescenza

1.
Studi sull’a.
Nell’ultimo sec.
l’a.
è stata studiata da diverse scienze; le scienze psicologiche (nell’ambito delle quali ci situiamo) hanno affrontato il tema da molti punti di vista.
Ci sembra che le varie prospettive possano essere organizzate intorno a tre gruppi di studi.
In un primo gruppo di lavori, che tiene presente una preoccupazione speculativa, è possibile scorgere un tentativo di far aderire la realtà alla teoria (e non viceversa); in altri termini, la preoccupazione è quella di applicare e «imporre» alla realtà adolescenziale le caratteristiche definite aprioristicamente.
La concezione psicoanalitica, che in questo gruppo si situa, offre un’ipotesi interpretativa secondo la quale il periodo di crisi e di grande disagio proprio dell’a.
va attribuito all’emergere degli istinti e delle forze pulsionali, che provoca uno squilibrio psichico che si manifesta con quei comportamenti disadattivi, a diversi livelli di «patologia», tipici degli adolescenti; si tratta, evidentemente, di una interpretazione di tipo biologico che presenta l’a.
come una realtà con caratteristiche legate e condizionate dalla fisiologia dei soggetti.
Un secondo gruppo di studi, con preoccupazione sociologica, prende in considerazione i dati reali che emergono da incontri psicologici di tipo clinico con soggetti «atipici» o «diversi» e da osservazioni di tipo sociologico su soggetti «emarginati» o «disadattati».
Si tratta di interpretazioni di tipo socio-culturale secondo le quali l’a.
sarebbe un «prodotto» della realtà sociale delle diverse strutture nazionali ed internazionali.
A questa prospettiva interpretativa si richiama la teoria sociologica secondo la quale le difficoltà adolescenziali, ed i relativi comportamenti disadattivi, sono frutto dell’influsso della società e sono correlati al processo di socializzazione ed alla diversità di ruoli attribuiti all’adolescente.
Interpretazioni sempre di tipo sociologico, ma più complete e meno rigide, propongono categorie che consentono una più ampia e realistica visione della condizione giovanile: «marginalità», «frammentarietà», «cambio culturale», «eccedenza delle opportunità» e «lotta per l’identità».
Queste due note ipotesi interpretative della psicologia dell’a., biologica e sociale, pongono l’accento solo su uno dei due fattori di sviluppo (endogeno ed esogeno) e non tengono presente, in modo adeguato, il contributo di ciascuno e la possibilità che entrambi hanno di integrarsi.
Inoltre, vogliamo evidenziare l’insufficienza di queste posizioni poiché non vi è alcuna corrispondenza tra le caratteristiche adolescenziali da esse indicate, i conseguenti tentativi interpretativi offerti, ed i numerosi dati empirici ormai acquisiti sugli adolescenti.
Diversamente, la preoccupazione empirica è ciò che caratterizza il terzo gruppo di studi.
La realtà adolescenziale, nell’orizzonte di una definita prospettiva teorica, viene avvicinata sperimentalmente.
In altre parole, alla luce di una teoria di riferimento, una ipotesi interpretativa viene confrontata con i dati ottenuti tramite ricerche condotte su adolescenti «normali».
Se queste tre categorie di studi prese isolatamente mostrano limiti e carenze, integrandosi possono diventare una chiave di lettura molto utile per approssimarsi nel modo più adeguato e completo alla ricca realtà adolescenziale.
  2.
Pista di lettura dell’a.
Senza pretendere di essere completi e senza voler schematizzare la ricchezza della persona, proponiamo la nostra lettura della realtà adolescenziale.
Nella riflessione sull’adolescente, per avere una visione il più completa possibile, è necessario tener presente gli aspetti comportamentali, cognitivi e tendenziali della persona in sviluppo e avvicinarli alla luce di una pluralità di teorie psicologiche.
a) Capacità dell’adolescente.
L’adolescente è in grado di vedersi dall’esterno, di percepirsi oggettivamente, distaccandosi dalle prime impressioni soggettive; nello stesso tempo, si trova a dover fare i conti con l’ambiente sociale e con la sensibilità che ancora lo rende vulnerabile al giudizio altrui e che, spesso in misura notevole, condiziona e ridimensiona la sua oggettiva capacità di autorealizzazione.
Sempre in riferimento allo sviluppo cognitivo, una seconda osservazione vuole evidenziare tanto la capacità dell’adolescente di creare realtà ipotetiche e di immaginare, quanto le sue esigenze di giustizia, uguaglianza e amore universali, che appaiono come una ricerca del senso della vita, di rifiuto della realtà concreta e, alle volte, di sublimazione dei suoi desideri, pensieri e sentimenti.
La ricerca della trascendenza attraverso la modalità intellettuale è uno degli aspetti che più caratterizza l’adolescente (riconoscere questo bisogno profondo è un modo stupendo per avvicinarsi a lui).
L’adolescente ha difficoltà ad accettare i propri sentimenti; per convivere con tali sentimenti non integrati nella personalità, li «iperdifferenzia».
L’iperdifferenziazione dell’esperienza profonda lo rende «unico», lo caratterizza con una diversità tale da fargli pensare che la sua sia una realtà incomunicabile e che nessuno sia in grado di capirlo.
Il rapporto interpersonale diventa, quindi, difficile e, alle volte, impossibile; ma, poiché è doloroso vivere incompreso, può nascere in lui la ricerca di un essere così grande, così distante, e persino così diverso, da avere la capacità di capirlo e di comprenderlo.
Proprio perché emergente da questo bisogno, da questa ricerca di comprensione, definiamo il rapporto dell’adolescente con la realtà trascendente di falso ascetismo (in quanto derivante, appunto, dalla sublimazione di alcuni bisogni ai quali non si trova una risposta corrispondente).
L’adolescente si caratterizza anche per una grande apertura agli altri.
Il desiderio della socialità, generalmente, trova soddisfazione nell’incontro con il gruppo dei pari.
In esso, il giovane ha la possibilità di confrontarsi, di realizzare attività, progetti o, semplicemente, di «stare con» gli altri; inoltre, visto che il gruppo si propone come referente normativo e affettivo, progressivamente va ad affiancare e sostituire i ruoli parentali consentendo un distacco sempre maggiore dalla famiglia; infine, l’esperienza della relazione con i coetanei, costituisce un valido aiuto alla formazione del senso di identità, poiché permette all’adolescente di conoscersi e di stimarsi di più in quanto, nel gruppo, viene accettato per ciò che è e per ciò che realizza.
La capacità cognitiva di cui l’adolescente è dotato e l’importanza dell’ambiente sociale vengono ad interagire con il suo mondo profondo che comprende il passato (a volte pesante da sopportare), i sentimenti autentici, la difficoltà dell’integrazione armonica delle diverse componenti della personalità, le ambivalenze, i bisogni ed altro ancora.
In sintesi, possiamo dire che l’adolescente viene visto come una persona capace di mettersi in rapporto proattivo con il mondo circostante e di rispondere ai compiti di sviluppo che gli si presentano e che, progressivamente e armonicamente, lo portano verso la maturità.
b) Difficoltà dell’adolescente.
Anziché parlare di «problemi», parola che fa pensare a qualcosa da sopportare od a disturbi propri dell’età per cui non si può far altro che aspettare il superamento della fase, useremo le espressioni «aspetti problematici» e «punti focali» che, ci sembra, consentono di cogliere le peculiarità dell’a.
e i possibili conflitti intra ed interpersonali senza stigmatizzarli, ma leggendoli in termini processuali di impegno verso una maturità più grande.
Un primo, e generale, aspetto problematico consiste, allora, nella difficoltà che l’adolescente incontra nel compiere un’integrazione transazionale delle tre componenti (cognitiva, affettiva, relazionale) della sua personalità; soprattutto, l’adolescente trova difficoltà ad integrare l’aspetto cognitivo e quello tendenziale: malgrado abbia la capacità di auto-vedersi oggettivamente, non riesce a cogliere la positività delle sue esperienze e non riesce a dare una spiegazione soddisfacente delle proprie tendenze, dei sentimenti o di ciò che prova nelle diverse situazioni.
Un secondo, e più «banale», aspetto problematico è legato all’immagine corporea.
Non è facile per l’adolescente integrare i mutamenti corporei che, spesso, sfuggono al controllo razionale e che non sempre è possibile armonizzare in modo da sentirsi a proprio agio sia con se stessi che nel gruppo dei pari.
La conoscenza, l’accettazione e la rielaborazione dell’immagine corporea e la formazione di una adeguata identità psicosessuale, sono compiti molto impegnativi che richiedono la presenza e la mediazione di un educatore.
Un terzo punto focale è costituito dalla conquistata capacità di pensare in termini ipotetici, che porta l’adolescente a vivere in un mondo fantastico, nel quale è possibile costruire sia eventi che persone ideali.
Due conseguenze di questa conquista possono creare difficoltà all’adolescente.
In primo luogo, il cambio della relazione «reale-possibile», che conduce l’adolescente a relazionarsi con il «possibile» come se fosse «realtà», ostacola la capacità di ragionare e di comportarsi in base ai fatti concreti ed all’esperienza vissuta e riflessa.
D’altra parte, e arriviamo alla seconda conseguenza, la capacità di vedere come possibili tante risposte e tanti modi di combinare gli eventi e le risorse in suo possesso, porta l’adolescente all’incertezza, all’indecisione e, quindi, blocca la sua azione; non potendo accettare tale immobilità, nel suo disorientamento, chiede aiuto.
I problemi emergono allorché l’adolescente confronta la scelta che gli è stata consigliata, e che lui ha messo in pratica, con tutte le altre che la sua capacità di pensiero gli presenta (realizzabili o ipoteticamente possibili che siano) e constata che l’alternativa attuata è più povera di quelle che avrebbe potuto attuare.
Questa scoperta può portare l’adolescente ad un sentimento ambivalente: colpevolizza le persone da cui ha ricevuto l’orientamento (ribellione) e, successivamente, nel momento in cui riesce a vedere sia gli aspetti positivi del consiglio ricevuto sia l’interessamento delle persone adulte a cui si è rivolto in cerca di consiglio, si sente colpevole.
Un quarto aspetto problematico riguarda la vita relazionale dell’adolescente; la tendenza ad aprirsi agli altri può trasformarsi in tendenza all’isolamento per due ordini di difficoltà.
In primo luogo, la non accettazione del proprio mondo personale può portare l’adolescente a costruirsi delle «maschere sociali» che hanno lo scopo di difenderlo dai pregiudizi e dalle etichette sociali e, soprattutto, dal pericolo di venir scoperto negli aspetti negativi che crede di avere o negli aspetti che realmente ha e non gli piacciono.
In secondo luogo, la tendenza all’isolamento dell’adolescente è favorita dall’impossibilità di manifestare chiaramente e apertamente nel mondo sociale la sua ricchezza intrapsichica.
  3.
Suggerimenti educativi.
Da un punto di vista educativo è necessario partire da una concezione dell’uomo che permetta di coglierne tutta la ricchezza e che, di conseguenza, offra una visione dell’adolescente come persona che realizza in modo proprio, non solo in funzione dell’adulto che diventerà o del fanciullo che non è più, il compito di essere uomo.
Da un punto di vista psicologico in generale e della psicologia dell’a.
in particolare, è bene tener presente che un processo educativo si realizza seguendo alcuni passi.
Per prima cosa, è necessario «stare con» il soggetto in modo da conoscere la sua struttura cognitiva, il suo modo di ragionare, le sue risorse.
L’adolescente si sviluppa continuamente; le sue risposte non sono mai definitive.
È necessario saper decodificare e proporre le risposte considerandole parte di un processo, di un dinamismo in continuo sviluppo e mai come entità chiuse e definite.
Indichiamo alcune mete che, se comunicate in modo chiaro, possono essere raggiunte favorendo così la crescita dell’adolescente: accettare le opinioni per il loro valore, differire la soddisfazione dei bisogni, operare un equilibrio tra dipendenza e indipendenza, richiedere secondo le esigenze e non solo secondo le apparenze.
L’educatore deve essere in grado di capire e di accettare le risposte e le sollecitazioni che gli vengono dal mondo adolescenziale in qualsiasi modo gli arrivino; nello stesso tempo, deve essere capace di dar ragione esplicita delle sue proposte in modo tale che l’adolescente le possa accettare per il loro valore intrinseco (senza dimenticare l’importanza che la persona dell’educatore ha per l’adolescente).
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Palmonari, Nuovi adolescenti: dalla conoscenza all’incontro, Roma, EDB, 2006. A.
Arto Classicamente, l’adolescenza è considerata come il periodo della vita situato tra 1’infanzia e l’età adulta.
In termini biologici, l’inizio viene segnalato dalla pubertà e la durata, in genere, viene attribuita ad un arco di tempo che va dai 12 ai 18 anni d’età (le differenze sessuali e delle condizioni ambientali, sociali e razziali fanno oscillare questi limiti temporali).
In base ad un criterio di tipo cognitivo-sociale, l’a.
va dal momento in cui il ragazzo comincia ad essere capace di utilizzare con una certa autonomia il pensiero logico, fino a quando giunge alla piena integrazione delle sue capacità logico-cognitive ed ha la possibilità di vivere una vita indipendente a livello affettivo, economico e relazionale.

Niente storia, si studia Internet

Il nuovo programma di studi afferma che i bambini devono uscire dalle elementari in possesso di una familiarità sufficiente con le nuove forme di comunicazione digitale: dunque devono saper usare un computer e navigare su Internet, sapere cosa sono un blog e un podcast, conoscere Facebook, Twitter e Wikipedia.
La fluidità nell’uso scritto e parlato della lingua inglese deve avanzare di pari passo con quella dell’uso del web.
Per esempio, i bambini dovranno sapere come utilizzare i programmi automatici di correzione di errori di “spelling” che esistono online, così come dovranno imparare a fare lo “spelling” da soli.
Lo studio della storia, viceversa, sarà ridotto, nell’arco di tutta la scuola elementare, a due periodi del passato britannico, a scelta dell’insegnante.
Si potrà così decidere di studiare o l’era vittoriana o quella della seconda guerra mondiale, o al limite nessuna delle due, optando per altri periodi.
La ragione è che la storia patria, e quella mondiale, vengono poi ripetute alla scuola media inferiore e di nuovo in quella superiore, e gli ispettori ministeriali ritengono che non sia necessaria una duplicazione di tale studio.
Più in generale, il piano riduce dalle attuali 13 a soltanto sei le materie di studio, raggruppandole in aree di interesse: comprensione dell’inglese, delle comunicazioni e dei linguaggi; comprensione della matematica; comprensione scientifica e tecnologica; comprensione umana, sociale e ambientale; comprensione della salute fisica e dell’esercizio; comprensione delle arti e del disegno.
L’obiettivo di fondo è aumentare la flessibilità, dare agli insegnanti più libertà di scelta su cosa insegnare e su come farlo.
Coordinatore del nuovo curriculum è sir Jim Rose, ex direttore degli ispettori del ministero dell’Istruzione, nominato dal governo come esperto qualificato per la più radicale riforma della scuola elementare britannica in due generazioni.
I primi commenti sono tuttavia piuttosto critici.
Dice John Bangs, capo del dipartimento istruzione della National Union of Teachers: “E’ una riforma che sembra preoccupata di saltare sul treno degli ultimi trend alla moda, come Twitter e Wikipedia.
La capacità di usare il computer e navigare su Internet è certamente importante nel mondo di oggi, ma non mi pare una buona idea puntare su di questo a scapito della capacità di leggere e scrivere secondo i metodi tradizionali”.
Concorda Teresa Cremin, presidente della United Kingdom Literacy Association: “Siamo preoccupati dall’assenza nel nuovo programma di un impegno per una maggiore alfabetizzazione”.
E Mary Bousted, segretario generale della Association of Teachers and Lecturers, lamenta che i sindacati degli insegnanti non siano stati sufficientemente consultati: “Sono i nostri membri che dovranno insegnare questo curriculum, è inaccettabile che non venga ascoltato il nostro punto di vista”, afferma, pur lodando l’intenzione di dare agli insegnanti più flessibilità, con programmi meno rigidi e più vari.
Repubblica (25 marzo 2009) Basta con lo studio dell’era vittoriana o della seconda guerra mondiale: nelle scuole elementari britanniche, d’ora in avanti, verranno studiati piuttosto i blog, Facebook, Twitter e Wikipedia, insomma l’abc di Internet.
Il cambiamento fa parte di una rivoluzionaria riforma della scuola di primo grado, contenuta in un piano che sarà presentato formalmente il mese prossimo dal ministero dell’Istruzione.
Il nuovo curriculm di studi per le elementari, preparato da una commissione di specialisti incaricati dal ministero, è stato però anticipato da una “talpa” ministeriale al quotidiano Guardian di Londra, che stamane lo pubblica con ampio rilievo in prima pagina.
E già fioccano le reazioni, non tutte positive.

Narrare la fede… coi gialli /1

Stravaganti, irriverenti, sarcastici, con la battuta sempre pronta, occhi a palla e pelle gialla: sono i Simpson! Diciamo la verità: alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di Homer, Marge, Bart, Lisa e della piccola Maggie (se qualcuno alza la mano, ecco pronto un bel “d’oh!” da parte dell’autore).
“I Simpson” è la serie animata televisiva più famosa e seguita da quindici anni ad oggi: incollano davanti allo schermo un pubblico abbastanza eterogeneo, che va dagli adolescenti sino agli adulti.
Cosa c’è di tanto ammaliante in questa famiglia di esseri gialli da riuscire a catturare l’attenzione di giovani e non? Ma soprattutto: che c’azzecca questa tipica famiglia della classe media americana e le sue sgangherate avventure con il percorso sulla narrazione della fede di quest’anno? Forse che un cartone animato possa esserci d’aiuto per affrontare qualche riflessione in parrocchia? Breve identikit di una famiglia-tipo all’occidentale Non è escluso che chi ora sta leggendo sappia poco o nulla della sitcom animata in questione…
Ecco quindi una breve descrizione della storia e dei personaggi.
I Simpson vivono nella città di Springfield, negli Stati Uniti: assieme alla loro eterogenea comunità, questa famiglia rappresenta in maniera umoristica e per lo più sarcastica uno spaccato della società e dello stile di vita statunitense (ma, data la sempre più diffusa “americanizzazione” che anche il nostro tessuto sociale sta conoscendo, possiamo dire che molto spesso ritrae vizi e virtù non solo degli States, ma del mondo occidentale in generis).
I personaggi Narrare la fede…
coi gialli
i Simpson Come ogni serial, anche questo comincia con la sigla che, nei modi più bizzarri e rocamboleschi, rappresenta la frenetica corsa dei componenti della famiglia per prender posto sul divano di casa e accendere la tv che trasmette proprio…
i Simpson! L’irruenza del tubo catodico nella vita moderna è la deduzione forse più banale cui si può giungere guardando la sigla in questione, ma a questa riflessione si può aggiungere una altrettanto semplice ed onesta intuizione: tutti i ragazzi hanno familiarità con i linguaggi della tv e, considerazione ancor più importante, molti di loro conoscono e seguono i Simpson.
Certo, non è questo il motivo principale per cui si è scelta la strada di tentare un approccio alla discussione sulla fede mediante questo cartone animato, ma è bene tenerlo presente, specie se ad un primo impatto questo vivace quintetto ci trasmette sensazioni contrastanti, capaci di mettere in subbuglio la nostra coscienza circa l’opportunità o meno di proporre qualche spezzone di questo serial in parrocchia.
I giovani vedono i Simpson e ridono alle loro provocatorie battute: che tutto questo possa rivelarsi utile per parlare di fede nei nostri oratori? Consapevoli del fatto che i “Simpson” sono una serie televisiva nel complesso discutibile e non adatta ai più piccoli, ma anche molto famosa e largamente seguita dai giovani, proponiamo una selezione di puntate (con relativa guida) per tentare un nuovo approccio al dialogo sulla fede nei gruppi parrocchiali.
Un altro aspetto importante di questa sitcom è che nelle svariate sfumature dei personaggi, nei loro comportamenti e caratteri non è poi così difficile intravedere delle somiglianze con i modi di pensare e di agire nostri o di persone a noi vicine.
I Simpson dunque siamo noi (anche se preferiremmo non esserlo)? In un certo modo è così.
Chiaramente non all’estremo: lungi Homer Simpson dall’essere il padre medio italiano (per fortuna non siamo ancora arrivati a questo punto!), però a ben vedere in questo cartone animato ci sono numerosi richiami ai luoghi comuni (il politico corrotto, l’imprenditore tirchio e senza scrupoli, la madre che farebbe qualunque cosa per i figli, il sacerdote dalla predica lunga e noiosa,…) e alle dinamiche classiche della nostra società (a scuola: i bulli e i secchioni, gli scontri di personalità tra l’alunno ed il professore…
e tra professore e bidello…).
Sotto questo aspetto i Simpson pongono il riflettore su diversi contesti del nostro vivere quotidiano, con il rispettivo mix di stati d’animo e con quella punta di ironia e sarcasmo che ci permette di ridere anche sui nostri difetti.

Accompagnamento

1.
Il concetto esprime la natura relazionale dell’essere umano, e più in particolare la qualità del vincolo che lega tra loro le persone, l’una responsabile e capace di prendersi cura dell’altra, ma pure bisognosa del suo aiuto e della sua presenza.
Al tempo stesso questo concetto rimanda all’idea classica della vita come viaggio e della relazione umana come com-pagnia tra pellegrini che condividono tra loro le fatiche e il «pane del viaggio».
Infine, la prassi dell’a.
ritrova i suoi parametri interpretativi nelle teorie psicopedagogiche che privilegiano l’approccio non direttivo nella relazione di aiuto.
  2.
Il termine è usato nella pedagogia moderna per sottolineare esigenze e caratteristiche della relazione educativa, oltre quanto una tradizione antica (la pedagogia cristiana) e una più recente (la moderna scienza psicologica) già hanno detto sull’argomento.
La teoria dell’a., inoltre, amplia e specifica il senso sia della direzione spirituale che della terapia psicologica: a) da un lato l’a.
indica le varie forme di aiuto attraverso le quali la persona è aiutata a crescere non solo sul piano spirituale o clinico-mentale, ma anche su quello più globalmente e integralmente umano; con un intervento non esclusivamente sul singolo, ma anche sul gruppo e attraverso il gruppo; non legato a un’unica modalità operativa, ma a diverse possibilità di cammini di crescita; rivolti a qualsiasi persona, non solo a chi si trova in una particolare situazione di necessità spirituale o di disordine di personalità; b) d’altro lato elemento centrale-peculiare dell’a.
non è tanto la «direzione» da imprimere alla vita dell’altro, o l’«analisi» del suo inconscio, quanto la «compagnia», o quella vicinanza intelligente e significativa che porta a un certo coinvolgimento da parte della guida, alla condivisione di ciò che è vitale ed essenziale («il pane del cammino»), alla confessione della fede e della propria esperienza di Dio, nel caso del credente.
3.
Si tratta allora d’accompagnare l’altro verso un duplice obiettivo: verso la conoscenza dell’io, anzitutto, della sua realtà interiore, passata e presente, attuale e ideale, positiva e negativa, conscia e inconscia, verso la radice di desideri e motivazioni.
Ma è necessario pure accompagnarlo verso la realizzazione dell’io, in un processo d’apertura nei confronti dell’altro e dell’Altro, del presente e del futuro, nella tensione salutare verso il massimo delle proprie potenzialità e nell’assunzione piena della propria libertà e responsabilità.
L’a.
è dunque un aiuto necessario per la crescita e la maturazione di chiunque; ma vi sono particolari momenti della vita in cui tale servizio è indispensabile: nel periodo dell’adolescenza e della giovinezza e in genere nella formazione iniziale, prima di discernimenti importanti, in situazioni specifiche della vita (momenti di crisi, di sofferenza, di cambiamenti imprevisti, di richieste nuove…), e come strumento di formazione permanente.
Particolarmente importante è stato da sempre considerato l’a.
nella pastorale giovanile e vocazionale, oltreché nella formazione iniziale e permanente delle vocazioni di speciale consacrazione.
  A.
Cencini   L’accompagnamento (dal lat.
medievale, ove com-panio è «colui che ha il pane in comune» [Devoto-Oli, 1988, 679]), in generale, è un aiuto temporaneo e sistematico che un adulto nell’esperienza e maturità dell’esistenza dà a un minore, condividendo con lui un tratto di strada e di vita perché questi possa meglio conoscersi e decidere di sé e del suo futuro in libertà e responsabilità.
 Bibliografia Cencini A., Direzione spirituale e accompagnamento vocazionale, Milano, Ancora, 1996; Baldissera D.
P., Acompanhamento personalizado.
Guia para formadores, S.
Paulo, Paulinas, 2002; Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna, A.
spirituale, affettività e sessualità, Bologna, EDB, 2004; Meloni E., Accompagnare la formazione.
Il sé, gli altri, l’Altro, Ibid., 2005; Goya B., L’aiuto fraterno.
La pratica della direzione spirituale, Ibid., 2006.

Mine vaganti nella Chiesa.

A proposito dell’AIDS, l’accusa che è stata lanciata per l’ennesima volta contro la Chiesa è stata quella di favorirne la diffusione, vietando il preservativo.
I fatti dicono però che in Africa quasi un terzo delle iniziative di contrasto al dilagare dell’AIDS sono opera di cattolici.
I preservativi sono oggetto di diffusione massiccia da parte di governi, enti internazionali ed ONG, e non risulta che i cattolici ne ostacolino la distribuzione e l’uso, specie tra coniugi uno dei quali sia portatore di contagio.
Ma ogni operatore avveduto sa che essi non bastano, come prova la diffusione dell’AIDS nei paesi ricchi del nord dove i preservativi sono a disposizione di tutti.
Il giudizio della Chiesa, confermato dall’esperienza sul campo, è che da soli i preservativi non frenano la promiscuità sessuale, vera causa del dilagare del flagello, anzi talora la incoraggiano accendendo una ingannevole sicurezza.
Di conseguenza la Chiesa cattolica, sul fronte dell’AIDS, si prodiga soprattutto in due modi, che Benedetto XVI ha ricordato nella risposta che ha dato esca alla polemica: con una “umanizzazione della sessualità”, incoraggiandone l’esercizio solo entro l’amore coniugale fedele, e con la cura dei malati.
Le indagini provano che dove all’uso del preservativo si antepongono una guida al controllo della sessualità e cure adeguate e gratuite, i risultati sono confortanti.
Nell’incontrare a Yaoundé degli operatori contro l’AIDS e poi dei malati sottoposti a cura, Benedetto XVI ha paragonato l’azione della Chiesa a quella del Cireneo, il contadino africano che aiutò Gesù a portare la croce.
Questa immagine di prossimità al sofferente porta dritto al secondo conflitto scoppiato nei giorni scorsi, sull’aborto di una fanciulla.
*** “Dalla parte della bambina brasiliana”: così ha titolato “L’Osservatore Romano” del 15 marzo una nota di prima pagina firmata dall’arcivescovo Rino Fisichella, presidente della pontificia accademia per la vita, oltre che rettore della Pontificia Università Lateranense.
Per il ruolo dell’autore, per la collocazione e più ancora per i contenuti, sicuramente l’articolo era tra quelli controllati e autorizzati dalla segreteria di stato vaticana.
L’articolo partiva dal caso di una bambina brasiliana in età fertile già a nove anni, violentata più volte dal giovane patrigno, rimasta incinta di due gemelli e poi fatta abortire al quarto mese di gestazione.
Il suo caso, scriveva Fisichella, “ha guadagnato le pagine dei giornali solo perché l’arcivescovo di Olinda e Recife si è affrettato a dichiarare la scomunica per i medici che l’hanno aiutata a interrompere la gravidanza”.
Quando invece, “prima di pensare alla scomunica”, la fanciulla “doveva essere in primo luogo difesa, abbracciata, accarezzata” con quella “umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere esperti annunciatori e maestri”.
Ma “così non è stato”.
L’attacco all’arcivescovo di Olinda e Recife – la diocesi che fu di Helder Camara – non poteva essere più duro.
In effetti, le dichiarazioni dell’arcivescovo sulla scomunica degli operatori del duplice aborto avevano occasionato l’inasprirsi del conflitto già in corso da tempo in Brasile tra la Chiesa e il governo, la prima impegnata in una grande campagna in difesa della vita nascente, il secondo orientato a liberalizzare l’aborto più di quanto già sia.
Da Roma, il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della congregazione vaticana per i vescovi, in un’intervista a “La Stampa” aveva preso le difese dell’arcivescovo di Olinda e Recife.
Altrettanto aveva fatto, in Brasile, la conferenza episcopale, con una nota diffusa il 13 marzo e con dichiarazioni del suo presidente, l’arcivescovo Geraldo Lyrio Rocha, e del suo segretario, Dimas Lara.
Anche il nuovo arcivescovo di Rio de Janeiro, Orani João Tempesta, si era espresso nello stesso senso, rimarcando tra l’altro che la madre della fanciulla aveva testimoniato che “l’unico luogo in cui non si era sentita maltrattata ma rispettata era stato l’ufficio della Caritas”.
Persino dalla Francia era giunto un autorevole sostegno all’operato della Chiesa brasiliana.
Il vescovo di Tolone, Dominique Rey, in visita in quel paese, aveva dichiarato d’aver visto con i suoi occhi “le molteplici testimonianze di misericordia vissute dalle comunità cristiane che avevano avvicinato e accompagnato la fanciulla e sua madre”.
La Santa Sede si è però mossa diversamente.
Pubblicando l’articolo di Fisichella su “L’Osservatore Romano” ha mostrato di anteporre alla difesa della Chiesa brasiliana e della sua campagna “pro vita” l’obiettivo di appianare il dissidio con l’opinione laica, il presidente Luiz Inácio Lula da Silva e il suo governo.
Col risultato di portare il conflitto tutto all’interno della gerarchia.
Per di più aprendo una controversia sul giudizio da dare all’aborto in casi come quello in oggetto.
L’articolo di Fisichella, infatti, così proseguiva: “A causa della giovanissima età e delle condizioni di salute precarie, la vita [della fanciulla] era in serio pericolo per la gravidanza in atto.
Come agire in questi casi? Decisione ardua per il medico e per la stessa legge morale.
Scelte come questa […] si ripetono quotidianamente […] e la coscienza del medico si ritrova sola con se stessa nell’atto di dovere decidere cosa sia meglio fare”.
Nel finale dell’articolo Fisichella plaudiva a coloro che alla fanciulla “hanno permesso di vivere”.
È vero che, in un altro passaggio, il presidente della pontifica accademia per la vita ribadiva che “l’aborto provocato è sempre stato condannato dalla legge morale come un atto intrinsecamente cattivo e questo insegnamento permane immutato ai nostri giorni”.
Ma i dubbi prima affacciati restavano.
E davano l’impronta all’intero articolo.
Dubbi visibilmente in contrasto con la solidità granitica di questo passaggio del paragrafo 62 dell’enciclica di Giovanni Paolo II “Evangelium vitae”: “Nessuna circostanza, nessuna finalità, nessuna legge al mondo potrà mai rendere lecito un atto che è intrinsecamente illecito, perché contrario alla legge di Dio, scritta nel cuore di ogni uomo, riconoscibile dalla ragione stessa, e proclamata dalla Chiesa”.
*** All’articolo di Fisichella su “L’Osservatore Romano” l’arcidiocesi di Olinda e Recife ha replicato il 16 marzo con delle “Chiarificazioni” ufficiali, pubblicate con grande evidenza sulla home page del suo sito web.
Da parte di Roma nessun cenno di ricevuta.
Neppure quando, il 21 marzo, è intervenuto nuovamente sulla vicenda il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi.
Padre Lombardi era quel giorno a Luanda, al seguito del viaggio di Benedetto XVI in Camerun e in Angola.
Il giorno precedente, parlando al corpo diplomatico e facendo riferimento all’articolo 14 del Protocollo di Maputo sulla “salute materna e riproduttiva”, il papa aveva polemicamente esclamato: “Quanto amara è l’ironia di coloro che promuovono l’aborto tra le cure della salute materna! Quanto sconcertante la tesi di coloro secondo i quali la soppressione della vita sarebbe una questione di salute riproduttiva!”.
Padre Lombardi, incontrando i giornalisti, ha escluso qualsiasi collegamento tra le parole del papa e la vicenda della fanciulla brasiliana.
E ha così proseguito: “In proposito valgono le considerazioni di monsignor Rino Fisichella, che su ‘L’Osservatore Romano’ ha lamentato la scomunica dichiarata con troppa fretta dall’arcivescovo di Recife.
Nessun caso limite deve oscurare il vero senso del discorso del Santo Padre, che si riferiva a una cosa estremamente diversa.
[…] Il papa non ha parlato assolutamente di aborto terapeutico e non ha detto che deve essere sempre rifiutato”.
Ha sorpreso che, a distanza di quasi una settimana dalla diffusione delle “Chiarificazioni” dell’arcidiocesi brasiliana, il portavoce ufficiale della Santa Sede abbia mostrato di ignorarle del tutto, sia nella opposta ricostruzione dei fatti, sia nelle obiezioni di carattere dottrinale e morale.
Il sito web del giornale della Santa Sede: > L’Osservatore Romano __________ Il testo originale, in portoghese, della dichiarazione dell’arcidiocesi di Olinda e Recife: > Esclaricimentos sobre o artigo publicado no “L’Osservatore Romano”… __________ Il commento del vescovo di Frejus-Tolone, Dominique Rey: > À propos de l’affaire de la petite fille brésilienne __________ Per una valutazione sul rischio di vita di bambine gravide e sulla liceità morale dell’aborto in questi casi, una nota di Renzo Puccetti, medico e segretario dell’associazione “Scienza & Vita” di Pisa e Livorno, in “Zenit” del 22 marzo 2009: > Valutazione bioetica del caso della bambina brasiliana __________ Tutti i discorsi e le omelie del viaggio in Africa di Benedetto XVI, nel sito del Vaticano: > Viaggio apostolico in Camerun e Angola, 17-23 marzo 2009 __________ Sull’Africa, l’AIDS e altri nodi polemici, una nota di Pietro De Marco ne “l’Occidentale”: > Il piacere di aggredire il papa senza capirne il messaggio __________ Sulla Chiesa cattolica e l’AIDS, in www.chiesa: > Preservativo sì o no: “La Civiltà Cattolica” sbarra la strada (22.5.2006) __________ Per altre notizie e commenti vedi il blog SETTIMO CIELO che Sandro Magister cura per i lettori italiani.
Ultimi titoli: Bagnasco su Eluana: “Più la gente è sembrata farsi cauta, pensosa…” Sacro romano disordine.
Un’istantanea della curia vaticana In Camerun Benedetto XVI dialoga con l’islam.
A modo suo L’articolo uscito su “L’Osservatore Romano” del 15 marzo 2009, oggetto della dichiarazione dell’arcidiocesi di Olinda e Recife: Dalla parte della bambina brasiliana di Rino Fisichella Il dibattito su alcune questioni si fa spesso serrato e le differenti prospettive non sempre permettono di considerare quanto la posta in gioco sia veramente grande.
È questo il momento in cui si deve guardare all’essenziale e, per un attimo, lasciare in disparte ciò che non tocca direttamente il problema.
Il caso nella sua drammaticità è semplice.
C’è una bambina di soli nove anni – la chiameremo Carmen – che dobbiamo guardare fisso negli occhi senza distrarre lo sguardo neppure un attimo, per farle capire quanto le si vuole bene.
Carmen, a Recife, in Brasile, viene violentata ripetutamente dal giovane patrigno, rimane incinta di due gemellini e non avrà più una vita facile.
La ferita è profonda perché la violenza del tutto gratuita l’ha distrutta dentro e difficilmente le permetterà in futuro di guardare agli altri con amore.
Carmen rappresenta una storia di quotidiana violenza e ha guadagnato le pagine dei giornali solo perché l’arcivescovo di Olinda e Recife si è affrettato a dichiarare la scomunica per i medici che l’hanno aiutata a interrompere la gravidanza.
Una storia di violenza che, purtroppo, sarebbe passata inosservata, tanto si è abituati a subire ogni giorno fatti di una gravità ineguagliabile, se non fosse stato per lo scalpore e le reazioni suscitate dall’intervento del vescovo.
La violenza su una donna, già grave di per sé, assume una valenza ancora più deprecabile quando a subirla è una bambina, con l’aggravante della povertà e del degrado sociale in cui vive.
Non c’è linguaggio corrispondente per condannare tali episodi, e i sentimenti che ne derivano sono spesso una miscela di rabbia e di rancore che si assopiscono solo quando viene fatta realmente giustizia e la pena inflitta al delinquente di turno ha certezza di essere scontata.
Carmen doveva essere in primo luogo difesa, abbracciata, accarezzata con dolcezza per farle sentire che eravamo tutti con lei; tutti, senza distinzione alcuna.
Prima di pensare alla scomunica era necessario e urgente salvaguardare la sua vita innocente e riportarla a un livello di umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere esperti annunciatori e maestri.
Così non è stato e, purtroppo, ne risente la credibilità del nostro insegnamento che appare agli occhi di tanti come insensibile, incomprensibile e privo di misericordia.
È vero, Carmen portava dentro di sé altre vite innocenti come la sua, anche se frutto della violenza, e sono state soppresse; ciò, tuttavia, non basta per dare un giudizio che pesa come una mannaia.
Nel caso di Carmen si sono scontrate la vita e la morte.
A causa della giovanissima età e delle condizioni di salute precarie la sua vita era in serio pericolo per la gravidanza in atto.
Come agire in questi casi? Decisione ardua per il medico e per la stessa legge morale.
Scelte come questa, anche se con una casistica differente, si ripetono quotidianamente nelle sale di rianimazione e la coscienza del medico si ritrova sola con se stessa nell’atto di dovere decidere cosa sia meglio fare.
Nessuno, comunque, arriva a una decisione di questo genere con disinvoltura; è ingiusto e offensivo il solo pensarlo.
Il rispetto dovuto alla professionalità del medico è una regola che deve coinvolgere tutti e non può consentire di giungere a un giudizio negativo senza prima aver considerato il conflitto che si è creato nel suo intimo.
Il medico porta con sé la sua storia e la sua esperienza; una scelta come quella di dover salvare una vita, sapendo che ne mette a serio rischio una seconda, non viene mai vissuta con facilità.
Certo, alcuni si abituano alle situazioni così da non provare più neppure l’emozione; in questi casi, però, la scelta di essere medico viene degradata a solo mestiere vissuto senza entusiasmo e subito passivamente.
Fare di tutta un’erba un fascio, tuttavia, oltre che scorretto sarebbe ingiusto.
Carmen ha riproposto un caso morale tra i più delicati; trattarlo sbrigativamente non renderebbe giustizia né alla sua fragile persona né a quanti sono coinvolti a diverso titolo nella vicenda.
Come ogni caso singolo e concreto, comunque, merita di essere analizzato nella sua peculiarità, senza generalizzazioni.
La morale cattolica ha principi da cui non può prescindere, anche se lo volesse.
La difesa della vita umana fin dal suo concepimento appartiene a uno di questi e si giustifica per la sacralità dell’esistenza.
Ogni essere umano, infatti, fin dal primo istante porta impressa in sé l’immagine del Creatore, e per questo siamo convinti che debbano essergli riconosciuti la dignità e i diritti di ogni persona, primo fra tutti quello della sua intangibilità e inviolabilità.
L’aborto provocato è sempre stato condannato dalla legge morale come un atto intrinsecamente cattivo e questo insegnamento permane immutato ai nostri giorni fin dai primordi della Chiesa.
Il concilio Vaticano II nella “Gaudium et spes” – documento di grande apertura e accortezza in riferimento al mondo contemporaneo – usa in maniera inaspettata parole inequivocabili e durissime contro l’aborto diretto.
La stessa collaborazione formale costituisce una colpa grave che, quando è realizzata, porta automaticamente al di fuori della comunità cristiana.
Tecnicamente, il codice di diritto canonico usa l’espressione “latae sententiae” per indicare che la scomunica si attua appunto nel momento stesso in cui il fatto avviene.
Non c’era bisogno, riteniamo, di tanta urgenza e pubblicità nel dichiarare un fatto che si attua in maniera automatica.
Ciò di cui si sente maggiormente il bisogno in questo momento è il segno di una testimonianza di vicinanza con chi soffre, un atto di misericordia che, pur mantenendo fermo il principio, è capace di guardare oltre la sfera giuridica per raggiungere ciò che il diritto stesso prevede come scopo della sua esistenza: il bene e la salvezza di quanti credono nell’amore del Padre e di quanti accolgono il vangelo di Cristo come i bambini, che Gesù chiamava accanto a sé e stringeva tra le sue braccia dicendo che il regno dei cieli appartiene a chi è come loro.
Carmen, stiamo dalla tua parte.
Condividiamo con te la sofferenza che hai provato, vorremmo fare di tutto per restituirti la dignità di cui sei stata privata e l’amore di cui avrai ancora più bisogno.
Sono altri che meritano la scomunica e il nostro perdono, non quanti ti hanno permesso di vivere e ti aiuteranno a recuperare la speranza e la fiducia.
Nonostante la presenza del male e la cattiveria di molti.
__________ Sui media d’Europa e d’America, il viaggio di Benedetto XVI in Camerun e in Angola, che si conclude oggi, è stato largamente oscurato dalle polemiche scoppiate per una frase da lui detta in partenza, sull’aereo che lo portava a Yaoundé, in risposta alla domanda di un giornalista: “Non si può risolvere il flagello dell’AIDS con la distribuzione di preservativi: al contrario, il rischio è di aumentare il problema”.
Contemporaneamente, una seconda polemica è deflagrata a partire da un altro paese del sud del mondo, il Brasile, a motivo dell’aborto di una giovanissima.
Contraccettivi ed aborto sono due questioni tra le più controverse nel rapporto tra Chiesa e modernità.
Sui contraccettivi la Chiesa cattolica si è pronunciata in particolare con l’enciclica “Humanae vitae” di Paolo VI.
Sull’aborto con l’enciclica “Evangelium vitae” di Giovanni Paolo II.
Sulla prima questione, la polemica dei giorni scorsi è stata ingigantita soprattutto dalle stizzite reazioni alle parole del papa dei governi di Francia, Germania, Belgio, Spagna, della Commissione Europea, di dirigenti dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e del Fondo Monetario Internazionale.
Nel caso dell’aborto della fanciulla brasiliana, invece, alla polemica tra stato e Chiesa si è sovrapposto un conflitto dentro la stessa gerarchia cattolica, ai livelli più alti.
*** A proposito dell’AIDS, l’accusa che è stata lanciata per l’ennesima volta contro la Chiesa è stata quella di favorirne la diffusione, vietando il preservativo.
I fatti dicono però che in Africa quasi un terzo delle iniziative di contrasto al dilagare dell’AIDS sono opera di cattolici.
I preservativi sono oggetto di diffusione massiccia da parte di governi, enti internazionali ed ONG, e non risulta che i cattolici ne ostacolino la distribuzione e l’uso, specie tra coniugi uno dei quali sia portatore di contagio.
Ma ogni operatore avveduto sa che essi non bastano, come prova la diffusione dell’AIDS nei paesi ricchi del nord dove i preservativi sono a disposizione di tutti.
Il giudizio della Chiesa, confermato dall’esperienza sul campo, è che da soli i preservativi non frenano la promiscuità sessuale, vera causa del dilagare del flagello, anzi talora la incoraggiano accendendo una ingannevole sicurezza.
Di conseguenza la Chiesa cattolica, sul fronte dell’AIDS, si prodiga soprattutto in due modi, che Benedetto XVI ha ricordato nella risposta che ha dato esca alla polemica: con una “umanizzazione della sessualità”, incoraggiandone l’esercizio solo entro l’amore coniugale fedele, e con la cura dei malati.
Le indagini provano che dove all’uso del preservativo si antepongono una guida al controllo della sessualità e cure adeguate e gratuite, i risultati sono confortanti.
Nell’incontrare a Yaoundé degli operatori contro l’AIDS e poi dei malati sottoposti a cura, Benedetto XVI ha paragonato l’azione della Chiesa a quella del Cireneo, il contadino africano che aiutò Gesù a portare la croce.
Questa immagine di prossimità al sofferente porta dritto al secondo conflitto scoppiato nei giorni scorsi, sull’aborto di una fanciulla.
*** “Dalla parte della bambina brasiliana”: così ha titolato “L’Osservatore Romano” del 15 marzo una nota di prima pagina firmata dall’arcivescovo Rino Fisichella, presidente della pontificia accademia per la vita, oltre che rettore della Pontificia Università Lateranense.
Per il ruolo dell’autore, per la collocazione e più ancora per i contenuti, sicuramente l’articolo era tra quelli controllati e autorizzati dalla segreteria di stato vaticana.
L’articolo partiva dal caso di una bambina brasiliana in età fertile già a nove anni, violentata più volte dal giovane patrigno, rimasta incinta di due gemelli e poi fatta abortire al quarto mese di gestazione.
Il suo caso, scriveva Fisichella, “ha guadagnato le pagine dei giornali solo perché l’arcivescovo di Olinda e Recife si è affrettato a dichiarare la scomunica per i medici che l’hanno aiutata a interrompere la gravidanza”.
Quando invece, “prima di pensare alla scomunica”, la fanciulla “doveva essere in primo luogo difesa, abbracciata, accarezzata” con quella “umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere esperti annunciatori e maestri”.
Ma “così non è stato”.
L’attacco all’arcivescovo di Olinda e Recife – la diocesi che fu di Helder Camara – non poteva essere più duro.
In effetti, le dichiarazioni dell’arcivescovo sulla scomunica degli operatori del duplice aborto avevano occasionato l’inasprirsi del conflitto già in corso da tempo in Brasile tra la Chiesa e il governo, la prima impegnata in una grande campagna in difesa della vita nascente, il secondo orientato a liberalizzare l’aborto più di quanto già sia.
Da Roma, il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della congregazione vaticana per i vescovi, in un’intervista a “La Stampa” aveva preso le difese dell’arcivescovo di Olinda e Recife.
Altrettanto aveva fatto, in Brasile, la conferenza episcopale, con una nota diffusa il 13 marzo e con dichiarazioni del suo presidente, l’arcivescovo Geraldo Lyrio Rocha, e del suo segretario, Dimas Lara.
Anche il nuovo arcivescovo di Rio de Janeiro, Orani João Tempesta, si era espresso nello stesso senso, rimarcando tra l’altro che la madre della fanciulla aveva testimoniato che “l’unico luogo in cui non si era sentita maltrattata ma rispettata era stato l’ufficio della Caritas”.
Persino dalla Francia era giunto un autorevole sostegno all’operato della Chiesa brasiliana.
Il vescovo di Tolone, Dominique Rey, in visita in quel paese, aveva dichiarato d’aver visto con i suoi occhi “le molteplici testimonianze di misericordia vissute dalle comunità cristiane che avevano avvicinato e accompagnato la fanciulla e sua madre”.
La Santa Sede si è però mossa diversamente.
Pubblicando l’articolo di Fisichella su “L’Osservatore Romano” ha mostrato di anteporre alla difesa della Chiesa brasiliana e della sua campagna “pro vita” l’obiettivo di appianare il dissidio con l’opinione laica, il presidente Luiz Inácio Lula da Silva e il suo governo.
Col risultato di portare il conflitto tutto all’interno della gerarchia.
Per di più aprendo una controversia sul giudizio da dare all’aborto in casi come quello in oggetto.
L’articolo di Fisichella, infatti, così proseguiva: “A causa della giovanissima età e delle condizioni di salute precarie, la vita [della fanciulla] era in serio pericolo per la gravidanza in atto.
Come agire in questi casi? Decisione ardua per il medico e per la stessa legge morale.
Scelte come questa […] si ripetono quotidianamente […] e la coscienza del medico si ritrova sola con se stessa nell’atto di dovere decidere cosa sia meglio fare”.
Nel finale dell’articolo Fisichella plaudiva a coloro che alla fanciulla “hanno permesso di vivere”.
È vero che, in un altro passaggio, il presidente della pontifica accademia per la vita ribadiva che “l’aborto provocato è sempre stato condannato dalla legge morale come un atto intrinsecamente cattivo e questo insegnamento permane immutato ai nostri giorni”.
Ma i dubbi prima affacciati restavano.
E davano l’impronta all’intero articolo.
Dubbi visibilmente in contrasto con la solidità granitica di questo passaggio del paragrafo 62 dell’enciclica di Giovanni Paolo II “Evangelium vitae”: “Nessuna circostanza, nessuna finalità, nessuna legge al mondo potrà mai rendere lecito un atto che è intrinsecamente illecito, perché contrario alla legge di Dio, scritta nel cuore di ogni uomo, riconoscibile dalla ragione stessa, e proclamata dalla Chiesa”.
*** All’articolo di Fisichella su “L’Osservatore Romano” l’arcidiocesi di Olinda e Recife ha replicato il 16 marzo con delle “Chiarificazioni” ufficiali, pubblicate con grande evidenza sulla home page del suo sito web.
Da parte di Roma nessun cenno di ricevuta.
Neppure quando, il 21 marzo, è intervenuto nuovamente sulla vicenda il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi.
Padre Lombardi era quel giorno a Luanda, al seguito del viaggio di Benedetto XVI in Camerun e in Angola.
Il giorno precedente, parlando al corpo diplomatico e facendo riferimento all’articolo 14 del Protocollo di Maputo sulla “salute materna e riproduttiva”, il papa aveva polemicamente esclamato: “Quanto amara è l’ironia di coloro che promuovono l’aborto tra le cure della salute materna! Quanto sconcertante la tesi di coloro secondo i quali la soppressione della vita sarebbe una questione di salute riproduttiva!”.
Padre Lombardi, incontrando i giornalisti, ha escluso qualsiasi collegamento tra le parole del papa e la vicenda della fanciulla brasiliana.
E ha così proseguito: “In proposito valgono le considerazioni di monsignor Rino Fisichella, che su ‘L’Osservatore Romano’ ha lamentato la scomunica dichiarata con troppa fretta dall’arcivescovo di Recife.
Nessun caso limite deve oscurare il vero senso del discorso del Santo Padre, che si riferiva a una cosa estremamente diversa.
[…] Il papa non ha parlato assolutamente di aborto terapeutico e non ha detto che deve essere sempre rifiutato”.
Ha sorpreso che, a distanza di quasi una settimana dalla diffusione delle “Chiarificazioni” dell’arcidiocesi brasiliana, il portavoce ufficiale della Santa Sede abbia mostrato di ignorarle del tutto, sia nella opposta ricostruzione dei fatti, sia nelle obiezioni di carattere dottrinale e morale.
Ecco qui di seguito, integrale, il documento dell’arcidiocesi brasiliana: Chiarificazioni dell’arcidiocesi di Olinda e Recife Riguardo all’articolo “Dalla parte della bambina brasiliana”, pubblicato su “L’Osservatore Romano” il giorno 15 marzo, noi sottoscritti dichiariamo: 1.
Il fatto dello stupro non è avvenuto a Recife, come dice l’articolo, ma nella città di Alagoinha, diocesi di Pesqueira.
Mentre l’aborto è stato praticato a Recife.
2.
Tutti noi – a cominciare dal parroco di Alagoinha, che è tra i firmatari – siamo stati vicini alla fanciulla incinta e alla sua famiglia con grande carità e affetto.
Il parroco, mettendo in opera la sua sollecitudine pastorale, raggiunto dalla notizia quand’era a casa, si recò immediatamente a casa della famiglia, dove incontrò la fanciulla per darle sostegno e accompagnamento, posta la grave e difficile situazione nella quale la fanciulla si era trovata.
Questa attitudine è stata mantenuta in tutti i giorni successivi, ad Alagoinha come a Recife, dove si è avuto il triste finale dell’aborto di due innocenti.
Pertanto, fu evidente e inequivocabile che nessuno pensò in primo luogo alla “scomunica”.
Abbiamo fatto ricorso a tutti i mezzi a nostra disposizione per evitare l’aborto e salvare le tre vite.
Il parroco affiancò di persona il Consiglio tutelare della città in tutte le iniziative finalizzate al bene della fanciulla e dei suoi figli.
Sia nell’ospedale che nelle visite quotidiane diede prova di un affetto e di un’attenzione che fecero capire, tanto alla fanciulla come a sua madre, che entrambe non erano sole, ma che la Chiesa, lì rappresentata dal parroco del luogo, assicurava loro l’assistenza necessaria e la certezza che tutto si sarebbe fatto per il bene della fanciulla e per salvare i suoi due figli.
3.
Dopo che la fanciulla fu trasferita in un ospedale della città di Recife, abbiamo fatto ricorso a tutti i mezzi legali per evitare l’aborto.
In nessun momento la Chiesa fu assente dall’ospedale.
Il parroco della fanciulla si recava in ospedale ogni giorno, partendo dalla sua città che dista 230 chilometri da Recife, senza risparmiare alcuno sforzo, affinché tanto la fanciulla come sua madre sentissero la presenza di Gesù, il Buon Pastore che va incontro alle pecorelle che hanno più bisogno del suo aiuto.
In questo modo la vicenda fu trattata con tutta l’attenzione dovuta da parte della Chiesa e non “sbrigativamente” come dice l’articolo.
4.
Non siamo d’accordo con l’affermazione che “la decisione è ardua…
per la stessa legge morale”.
La nostra santa Chiesa non cessa di proclamare che la legge morale è chiarissima: mai è lecito sopprimere la vita di un innocente per salvare un’altra vita.
I fatti oggettivi sono questi: vi sono medici che dichiarano esplicitamente di aver praticato e voler continuare a praticare aborti, mentre ve ne sono altri che dichiarano con altrettanta fermezza che un aborto non lo praticheranno mai.
Questa è la dichiarazione scritta e firmata di un medico cattolico brasiliano: “Come medico ostetrico da 50 anni, formato alla facoltà nazionale di medicina della Università del Brasile, e come ex primario della clinica ostetrica dell’ospedale di Andarai, nel quale ho operato per 35 anni fino al mio pensionamento, per dedicarmi al diaconato, e avendo praticato 4524 parti, molti in età minorile, mai ho avuto la necessità di ricorrere all’aborto per ‘salvare vite’, al pari di tutti i miei colleghi retti ed onesti nella loro professione, fedeli al giuramento di Ippocrate”.
5.
È falsa l’affermazione che il fatto fu divulgato nei giornali solo perché l’arcivescovo di Olinda e Recife si affrettò a dichiarare la scomunica.
Basta osservare che il caso divenne di dominio pubblico ad Alagoinha mercoledì 25 febbraio, l’arcivescovo fece le sue dichiarazioni alla stampa il 3 marzo e l’aborto fu effettuato il 4 marzo.
Era impensabile che la stampa brasiliana, di fronte a un fatto di tale gravità, lo tenesse sotto silenzio per sei giorni.
La realtà dei fatti è che la notizia della fanciulla – “Carmen” – incinta fu divulgata nei giorni precedenti l’attuazione dell’aborto.
Solo allora, martedì 3 marzo, interrogato dai giornalisti, l’arcivescovo menzionò il canone 1398 [del codice di diritto canonico].
Siamo convinti che la divulgazione di questa pena medicinale, la scomunica, faccia bene a molti cattolici, per indurli ad evitare questo peccato gravissimo.
Il silenzio della Chiesa sarebbe molto equivocato, soprattutto di fronte alla constatazione che nel mondo si compiono cinquanta milioni di aborti ogni anno e solo nel Brasile si sopprimono un milione di vite innocenti.
Il silenzio può essere interpretato come connivenza o complicità.
Se qualche medico avesse una “coscienza dubbiosa” prima di praticare un aborto (cosa che ci sembra estremamente improbabile), egli, se cattolico e tenuto ad osservare la legge di Dio, dovrebbe consultare un direttore spirituale.
6.
In altre parole, l’articolo è un affronto diretto alla difesa della vita delle tre creature, fatta col massimo della forza dall’arcivescovo José Cardoso Sobrinho, e mostra che l’autore non possiede le basi e le informazioni necessarie per parlare della vicenda, a motivo della sua totale ignoranza dei particolari del fatto.
L’ospedale che ha effettuato l’aborto sulla fanciulla è uno di quelli che compiono sistematicamente questa pratica nel nostro Stato, sotto il manto della “legalità”.
I medici che hanno praticato l’aborto dei due gemelli hanno dichiarato e continuano a dichiarare sui media nazionali d’aver compiuto un atto che sono soliti compiere “con molto orgoglio”.
Uno di essi ha aggiunto: “Già sono stato in passato scomunicato più volte”.
7.
L’autore si è arrogato il diritto di parlare di ciò che non conosceva, senza fare lo sforzo di conversare previamente in modo fraterno ed evangelico con l’arcivescovo, e per questo atto imprudente sta causando una grande confusione tra i fedeli cattolici del Brasile.
Invece di consultare il suo fratello nell’episcopato, ha preferito dar credito alla nostra stampa molto spesso anticlericale.
Recife, 16 marzo 2009 Edvaldo Bezerra da Silva Vicario generale dell’arcidiocesi di Olinda e Recife Cicero Ferreira de Paula Cancelliere dell’arcidiocesi di Olinda e Recife Moisés Ferreira de Lima Rettore del seminario arcidiocesano Márcio Miranda Avvocato dell’arcidiocesi di Olinda e Recife Edson Rodrigues Parroco di Alagoinha, diocesi di Pesqueira __________ L’articolo uscito su “L’Osservatore Romano” del 15 marzo 2009, oggetto della dichiarazione dell’arcidiocesi di Olinda e Recife: Dalla parte della bambina brasiliana di Rino Fisichella Il dibattito su alcune questioni si fa spesso serrato e le differenti prospettive non sempre permettono di considerare quanto la posta in gioco sia veramente grande.
È questo il momento in cui si deve guardare all’essenziale e, per un attimo, lasciare in disparte ciò che non tocca direttamente il problema.
Il caso nella sua drammaticità è semplice.
C’è una bambina di soli nove anni – la chiameremo Carmen – che dobbiamo guardare fisso negli occhi senza distrarre lo sguardo neppure un attimo, per farle capire quanto le si vuole bene.
Carmen, a Recife, in Brasile, viene violentata ripetutamente dal giovane patrigno, rimane incinta di due gemellini e non avrà più una vita facile.
La ferita è profonda perché la violenza del tutto gratuita l’ha distrutta dentro e difficilmente le permetterà in futuro di guardare agli altri con amore.
Carmen rappresenta una storia di quotidiana violenza e ha guadagnato le pagine dei giornali solo perché l’arcivescovo di Olinda e Recife si è affrettato a dichiarare la scomunica per i medici che l’hanno aiutata a interrompere la gravidanza.
Una storia di violenza che, purtroppo, sarebbe passata inosservata, tanto si è abituati a subire ogni giorno fatti di una gravità ineguagliabile, se non fosse stato per lo scalpore e le reazioni suscitate dall’intervento del vescovo.
La violenza su una donna, già grave di per sé, assume una valenza ancora più deprecabile quando a subirla è una bambina, con l’aggravante della povertà e del degrado sociale in cui vive.
Non c’è linguaggio corrispondente per condannare tali episodi, e i sentimenti che ne derivano sono spesso una miscela di rabbia e di rancore che si assopiscono solo quando viene fatta realmente giustizia e la pena inflitta al delinquente di turno ha certezza di essere scontata.
Carmen doveva essere in primo luogo difesa, abbracciata, accarezzata con dolcezza per farle sentire che eravamo tutti con lei; tutti, senza distinzione alcuna.
Prima di pensare alla scomunica era necessario e urgente salvaguardare la sua vita innocente e riportarla a un livello di umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere esperti annunciatori e maestri.
Così non è stato e, purtroppo, ne risente la credibilità del nostro insegnamento che appare agli occhi di tanti come insensibile, incomprensibile e privo di misericordia.
È vero, Carmen portava dentro di sé altre vite innocenti come la sua, anche se frutto della violenza, e sono state soppresse; ciò, tuttavia, non basta per dare un giudizio che pesa come una mannaia.
Nel caso di Carmen si sono scontrate la vita e la morte.
A causa della giovanissima età e delle condizioni di salute precarie la sua vita era in serio pericolo per la gravidanza in atto.
Come agire in questi casi? Decisione ardua per il medico e per la stessa legge morale.
Scelte come questa, anche se con una casistica differente, si ripetono quotidianamente nelle sale di rianimazione e la coscienza del medico si ritrova sola con se stessa nell’atto di dovere decidere cosa sia meglio fare.
Nessuno, comunque, arriva a una decisione di questo genere con disinvoltura; è ingiusto e offensivo il solo pensarlo.
Il rispetto dovuto alla professionalità del medico è una regola che deve coinvolgere tutti e non può consentire di giungere a un giudizio negativo senza prima aver considerato il conflitto che si è creato nel suo intimo.
Il medico porta con sé la sua storia e la sua esperienza; una scelta come quella di dover salvare una vita, sapendo che ne mette a serio rischio una seconda, non viene mai vissuta con facilità.
Certo, alcuni si abituano alle situazioni così da non provare più neppure l’emozione; in questi casi, però, la scelta di essere medico viene degradata a solo mestiere vissuto senza entusiasmo e subito passivamente.
Fare di tutta un’erba un fascio, tuttavia, oltre che scorretto sarebbe ingiusto.
Carmen ha riproposto un caso morale tra i più delicati; trattarlo sbrigativamente non renderebbe giustizia né alla sua fragile persona né a quanti sono coinvolti a diverso titolo nella vicenda.
Come ogni caso singolo e concreto, comunque, merita di essere analizzato nella sua peculiarità, senza generalizzazioni.
La morale cattolica ha principi da cui non può prescindere, anche se lo volesse.
La difesa della vita umana fin dal suo concepimento appartiene a uno di questi e si giustifica per la sacralità dell’esistenza.
Ogni essere umano, infatti, fin dal primo istante porta impressa in sé l’immagine del Creatore, e per questo siamo convinti che debbano essergli riconosciuti la dignità e i diritti di ogni persona, primo fra tutti quello della sua intangibilità e inviolabilità.
L’aborto provocato è sempre stato condannato dalla legge morale come un atto intrinsecamente cattivo e questo insegnamento permane immutato ai nostri giorni fin dai primordi della Chiesa.
Il concilio Vaticano II nella “Gaudium et spes” – documento di grande apertura e accortezza in riferimento al mondo contemporaneo – usa in maniera inaspettata parole inequivocabili e durissime contro l’aborto diretto.
La stessa collaborazione formale costituisce una colpa grave che, quando è realizzata, porta automaticamente al di fuori della comunità cristiana.
Tecnicamente, il codice di diritto canonico usa l’espressione “latae sententiae” per indicare che la scomunica si attua appunto nel momento stesso in cui il fatto avviene.
Non c’era bisogno, riteniamo, di tanta urgenza e pubblicità nel dichiarare un fatto che si attua in maniera automatica.
Ciò di cui si sente maggiormente il bisogno in questo momento è il segno di una testimonianza di vicinanza con chi soffre, un atto di misericordia che, pur mantenendo fermo il principio, è capace di guardare oltre la sfera giuridica per raggiungere ciò che il diritto stesso prevede come scopo della sua esistenza: il bene e la salvezza di quanti credono nell’amore del Padre e di quanti accolgono il vangelo di Cristo come i bambini, che Gesù chiamava accanto a sé e stringeva tra le sue braccia dicendo che il regno dei cieli appartiene a chi è come loro.
Carmen, stiamo dalla tua parte.
Condividiamo con te la sofferenza che hai provato, vorremmo fare di tutto per restituirti la dignità di cui sei stata privata e l’amore di cui avrai ancora più bisogno.
Sono altri che meritano la scomunica e il nostro perdono, non quanti ti hanno permesso di vivere e ti aiuteranno a recuperare la speranza e la fiducia.
Nonostante la presenza del male e la cattiveria di molti.
Chiarificazioni dell’arcidiocesi di Olinda e Recife Riguardo all’articolo “Dalla parte della bambina brasiliana”, pubblicato su “L’Osservatore Romano” il giorno 15 marzo, noi sottoscritti dichiariamo: 1.
Il fatto dello stupro non è avvenuto a Recife, come dice l’articolo, ma nella città di Alagoinha, diocesi di Pesqueira.
Mentre l’aborto è stato praticato a Recife.
2.
Tutti noi – a cominciare dal parroco di Alagoinha, che è tra i firmatari – siamo stati vicini alla fanciulla incinta e alla sua famiglia con grande carità e affetto.
Il parroco, mettendo in opera la sua sollecitudine pastorale, raggiunto dalla notizia quand’era a casa, si recò immediatamente a casa della famiglia, dove incontrò la fanciulla per darle sostegno e accompagnamento, posta la grave e difficile situazione nella quale la fanciulla si era trovata.
Questa attitudine è stata mantenuta in tutti i giorni successivi, ad Alagoinha come a Recife, dove si è avuto il triste finale dell’aborto di due innocenti.
Pertanto, fu evidente e inequivocabile che nessuno pensò in primo luogo alla “scomunica”.
Abbiamo fatto ricorso a tutti i mezzi a nostra disposizione per evitare l’aborto e salvare le tre vite.
Il parroco affiancò di persona il Consiglio tutelare della città in tutte le iniziative finalizzate al bene della fanciulla e dei suoi figli.
Sia nell’ospedale che nelle visite quotidiane diede prova di un affetto e di un’attenzione che fecero capire, tanto alla fanciulla come a sua madre, che entrambe non erano sole, ma che la Chiesa, lì rappresentata dal parroco del luogo, assicurava loro l’assistenza necessaria e la certezza che tutto si sarebbe fatto per il bene della fanciulla e per salvare i suoi due figli.
3.
Dopo che la fanciulla fu trasferita in un ospedale della città di Recife, abbiamo fatto ricorso a tutti i mezzi legali per evitare l’aborto.
In nessun momento la Chiesa fu assente dall’ospedale.
Il parroco della fanciulla si recava in ospedale ogni giorno, partendo dalla sua città che dista 230 chilometri da Recife, senza risparmiare alcuno sforzo, affinché tanto la fanciulla come sua madre sentissero la presenza di Gesù, il Buon Pastore che va incontro alle pecorelle che hanno più bisogno del suo aiuto.
In questo modo la vicenda fu trattata con tutta l’attenzione dovuta da parte della Chiesa e non “sbrigativamente” come dice l’articolo.
4.
Non siamo d’accordo con l’affermazione che “la decisione è ardua…
per la stessa legge morale”.
La nostra santa Chiesa non cessa di proclamare che la legge morale è chiarissima: mai è lecito sopprimere la vita di un innocente per salvare un’altra vita.
I fatti oggettivi sono questi: vi sono medici che dichiarano esplicitamente di aver praticato e voler continuare a praticare aborti, mentre ve ne sono altri che dichiarano con altrettanta fermezza che un aborto non lo praticheranno mai.
Questa è la dichiarazione scritta e firmata di un medico cattolico brasiliano: “Come medico ostetrico da 50 anni, formato alla facoltà nazionale di medicina della Università del Brasile, e come ex primario della clinica ostetrica dell’ospedale di Andarai, nel quale ho operato per 35 anni fino al mio pensionamento, per dedicarmi al diaconato, e avendo praticato 4524 parti, molti in età minorile, mai ho avuto la necessità di ricorrere all’aborto per ‘salvare vite’, al pari di tutti i miei colleghi retti ed onesti nella loro professione, fedeli al giuramento di Ippocrate”.
5.
È falsa l’affermazione che il fatto fu divulgato nei giornali solo perché l’arcivescovo di Olinda e Recife si affrettò a dichiarare la scomunica.
Basta osservare che il caso divenne di dominio pubblico ad Alagoinha mercoledì 25 febbraio, l’arcivescovo fece le sue dichiarazioni alla stampa il 3 marzo e l’aborto fu effettuato il 4 marzo.
Era impensabile che la stampa brasiliana, di fronte a un fatto di tale gravità, lo tenesse sotto silenzio per sei giorni.
La realtà dei fatti è che la notizia della fanciulla – “Carmen” – incinta fu divulgata nei giorni precedenti l’attuazione dell’aborto.
Solo allora, martedì 3 marzo, interrogato dai giornalisti, l’arcivescovo menzionò il canone 1398 [del codice di diritto canonico].
Siamo convinti che la divulgazione di questa pena medicinale, la scomunica, faccia bene a molti cattolici, per indurli ad evitare questo peccato gravissimo.
Il silenzio della Chiesa sarebbe molto equivocato, soprattutto di fronte alla constatazione che nel mondo si compiono cinquanta milioni di aborti ogni anno e solo nel Brasile si sopprimono un milione di vite innocenti.
Il silenzio può essere interpretato come connivenza o complicità.
Se qualche medico avesse una “coscienza dubbiosa” prima di praticare un aborto (cosa che ci sembra estremamente improbabile), egli, se cattolico e tenuto ad osservare la legge di Dio, dovrebbe consultare un direttore spirituale.
6.
In altre parole, l’articolo è un affronto diretto alla difesa della vita delle tre creature, fatta col massimo della forza dall’arcivescovo José Cardoso Sobrinho, e mostra che l’autore non possiede le basi e le informazioni necessarie per parlare della vicenda, a motivo della sua totale ignoranza dei particolari del fatto.
L’ospedale che ha effettuato l’aborto sulla fanciulla è uno di quelli che compiono sistematicamente questa pratica nel nostro Stato, sotto il manto della “legalità”.
I medici che hanno praticato l’aborto dei due gemelli hanno dichiarato e continuano a dichiarare sui media nazionali d’aver compiuto un atto che sono soliti compiere “con molto orgoglio”.
Uno di essi ha aggiunto: “Già sono stato in passato scomunicato più volte”.
7.
L’autore si è arrogato il diritto di parlare di ciò che non conosceva, senza fare lo sforzo di conversare previamente in modo fraterno ed evangelico con l’arcivescovo, e per questo atto imprudente sta causando una grande confusione tra i fedeli cattolici del Brasile.
Invece di consultare il suo fratello nell’episcopato, ha preferito dar credito alla nostra stampa molto spesso anticlericale.
Recife, 16 marzo 2009 Edvaldo Bezerra da Silva Vicario generale dell’arcidiocesi di Olinda e Recife Cicero Ferreira de Paula Cancelliere dell’arcidiocesi di Olinda e Recife Moisés Ferreira de Lima Rettore del seminario arcidiocesano Márcio Miranda Avvocato dell’arcidiocesi di Olinda e Recife Edson Rodrigues Parroco di Alagoinha, diocesi di Pesqueira

La mobilità degli Insegnanti di Religione

Pubblichiamo in approfondimento il testo dell’O.M.
sulla mobilità per i docenti di religione per a.s.
2009/10, pubblicata oggi.
 Ordinanza Ministeriale n.36 Prot.
n.3812 Roma, 23 marzo 2009 MOBILITA’ DEL PERSONALE DOCENTE DI RELIGIONE CATTOLICA ANNO SCOLASTICO 2009/2010 IL MINISTRO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA Vista la legge 25-3-1985, n.
121, Visto il DPR 16-12-1985, n.
751, Visto il DPR 23-6-1990, n.
202, Vista la legge 23-10-1992, n.
421, Visto il DL 27-8-1993, n.
321, convertito dalla legge 27-10-1993, n.
423, Vista la legge 14-1-1994, n.
20, Visto il DLgs 16-4-1994, n.
297, e successive modificazioni e integrazioni, Vista la legge 23-12-1996, n.
662, Vista la legge 31-12-1996, n.
675 e successive modificazioni e integrazioni, Vista la legge 15-3-1997, n.
59, Vista la legge 15-5-1997, n.
127, e successive modificazioni, Visto il Dpr 18-6-1998, n.
233, Visto il Dpr 8-3-1999, n.
275, Vista la legge 3-5-1999, n.
124, Visto il Dpr 28-12-2000, n.
445, Visto DLgs 30-3-2001, n.
165, e successive modificazioni e integrazioni, Visto il DL 3-7-2001, n.
255, convertito, con modificazioni, dalla legge 20-8-2001, n.
333, Visto il DLgs 30-6-2003, n.
196, Vista la legge 18-7-2003, n.
186, Visto il Dpr 21-12-2007, n.
260, Visto il DM 24-3-2005, n.
42, Visto il DM 13-4-2006, n.
37, Visto il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del Comparto Scuola per il quadriennio giuridico 2006-09 e per il biennio economico 2006-07 sottoscritto il 29-11-2007, Visto il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro relativo al personale del Comparto Scuola per il biennio economico 2008-2009 sottoscritto il 23-1-2009, Visto il Contratto Collettivo Nazionale Integrativo concernente la mobilità del personale docente, educativo ed a.t.a.
per l’anno scolastico 2009-10, sottoscritto il 12-2-2009, Vista l’Ordinanza Ministeriale 13-2-2009, n.
18, sulla mobilità del personale della scuola, Vista l’Ordinanza Ministeriale 21-2-2008, n.
27, sulla mobilità del personale docente di religione cattolica per l’anno scolastico 2008-09, Considerato che gli insegnanti di religione cattolica, ancorché assunti nei ruoli dello Stato, sono vincolati da specifiche norme di natura concordataria e sono assegnati, ed ivi incardinati, a circoscrizioni territoriali diocesane che non coincidono con le circoscrizioni amministrative che regolano la titolarità del restante personale della scuola, Ritenuto di non poter trattare in maniera meccanizzata la mobilità degli insegnanti di religione cat-tolica, ma di dover ricorrere, anche per quest’anno, ad una gestione manuale di detto perso-nale, Sentite le Organizzazioni Sindacali del Comparto Scuola che hanno sottoscritto il Contratto Collet-tivo Nazionale Integrativo sulla mobilità del personale della scuola per l’anno scolastico 2009-10, ORDINA Articolo 1 – Campo di applicazione dell’ordinanza e principi generali 1.
La presente Ordinanza disciplina la mobilità per l’anno scolastico 2009-10 degli insegnan-ti di religione cattolica assunti nei ruoli di cui alla legge 186/03.
Le disposizioni contenute nella presente Ordinanza determinano le modalità di applicazione delle disposizioni dell’art.
37bis del Contratto Collettivo Nazionale Integrativo sottoscritto il 12-2-2009, concernente la mobilità del per-sonale della scuola.
2.
Nel rispetto della normativa concordataria vigente, in tutte le operazioni di mobilità che li riguardano gli insegnanti di religione cattolica devono essere in possesso del riconoscimento di ido-neità rilasciato dall’ordinario della diocesi di destinazione e deve essere raggiunta una intesa sulla utilizzazione tra il medesimo ordinario diocesano e il Direttore Generale dell’Ufficio scolastico re-gionale o un suo delegato relativamente alla sede o alle sedi di servizio.
Nell’individuare un posto di insegnamento le autorità scolastica ed ecclesiastica citate possono eccezionalmente configurare cat-tedre o posti misti, articolati contemporaneamente su scuola dell’infanzia e scuola primaria o su scuola secondaria di primo e secondo grado.
3.
Gli insegnanti di religione cattolica hanno titolarità in un organico regionale articolato per diocesi e sono utilizzati nelle singole sedi scolastiche sulla base di un’intesa raggiunta, al momento della prima assunzione, tra il Direttore Generale dell’Ufficio scolastico regionale e l’ordinario dioce-sano competente.
Detta assegnazione di sede si intende confermata automaticamente di anno in an-no qualora permangano le condizioni e i requisiti prescritti dalle vigenti disposizioni di legge.
4.
Possono partecipare alle operazioni di mobilità territoriale a domanda per transitare nel contingente di diocesi diversa da quella di appartenenza, ubicata nella stessa regione di titolarità, gli insegnanti di religione cattolica che con l’anno scolastico 2008-09 abbiano almeno due anni di an-zianità giuridica di servizio in ruolo.
5.
Possono partecipare alle operazioni di mobilità territoriale a domanda per acquisire la tito-larità in altra regione, con conseguente assegnazione al contingente di altra diocesi, gli insegnanti di religione cattolica che con l’anno scolastico 2008-09 abbiano almeno tre anni di anzianità giuridica di servizio in ruolo.
6.
La mobilità professionale degli insegnanti di religione cattolica, ai sensi dell’art.
4, c.
1, della legge 186/03, è limitata al passaggio dal settore formativo corrispondente al ruolo per l’inse-gnamento della religione cattolica nella scuola dell’infanzia e primaria al settore formativo corri-spondente al ruolo per l’insegnamento della religione cattolica nella scuola secondaria di primo e secondo grado, o viceversa.
Possono partecipare a detta mobilità professionale gli insegnanti che, avendo superato il periodo di prova, siano in possesso dell’idoneità concorsuale anche per il settore formativo richiesto e dell’idoneità ecclesiastica rilasciata, per l’ordine e grado di scuola richiesto, dall’ordinario diocesano competente.
7.
Gli insegnanti di religione cattolica assunti nel ruolo della scuola dell’infanzia e primaria ma assegnati alla scuola dell’infanzia in quanto in possesso dei soli titoli di qualificazione per l’inse-gnamento nella scuola dell’infanzia possono partecipare alle operazioni di mobilità territoriale uni-camente per essere utilizzati in scuole dell’infanzia.
Ove abbiano conseguito nel frattempo una qua-lificazione che li abiliti ad insegnare anche nella scuola primaria, e siano in possesso della specifica idoneità all’insegnamento della religione cattolica anche nella scuola primaria, possono partecipare alle operazioni di mobilità, sempre d’intesa con l’autorità ecclesiastica competente, su una sede di scuola primaria o su un posto misto di scuola primaria e dell’infanzia.
8.
Le tabelle allegate al Contratto Collettivo Nazionale Integrativo concernente la mobilità del personale della scuola, sottoscritto il 12-2-2009, sono valide, con le precisazioni di cui al suc-cessivo articolo 4, anche per la mobilità degli insegnanti di religione cattolica.
9.
La presente Ordinanza è diramata a mezzo della rete Intranet e Internet ed affissa agli albi degli Uffici scolastici regionali, degli Uffici scolastici provinciali e delle Istituzioni scolastiche.
Articolo 2 – Termini per le operazioni di mobilità 1.
Le domande di mobilità devono essere presentate da tutto il personale di cui al precedente articolo dal 30 marzo al 28 aprile 2009.
Le domande sono elaborate manualmente dagli uffici indi-cati negli articoli successivi.
2.
Il termine per la pubblicazione di tutti i movimenti di detto personale, come definiti dal-l’articolo 37bis del CCNI sottoscritto il 12 febbraio 2009, è fissato al 30 giugno 2009.
3.
Il termine ultimo per la presentazione della richiesta di revoca delle domande è fissato al 15 giugno 2009.
Articolo 3 – Presentazione delle domande 1.
Gli insegnanti di religione cattolica di cui all’art.
1 devono indirizzare le domande di tra-sferimento e di passaggio, redatte in conformità agli appositi modelli riportati negli allegati alla pre-sente Ordinanza e corredate dalla relativa documentazione, all’Ufficio scolastico regionale della Regione di titolarità e presentarle al dirigente dell’Istituzione scolastica presso la quale prestano ser-vizio.
2.
Nel caso di diocesi che insistono sul territorio di più Regioni, gli insegnanti di religione cattolica, a prescindere dall’ubicazione della sede diocesana, devono indirizzare le domande di tra-sferimento e di passaggio, sempre redatte in conformità ai modelli allegati e corredate della relativa documentazione, all’Ufficio scolastico regionale della Regione in cui si trova l’Istituzione scolastica presso la quale prestano servizio e presentarla al dirigente scolastico della medesima Istituzione scolastica.
3.
Le domande dei docenti appartenenti ai ruoli della Val d’Aosta, intese ad ottenere il trasfe-rimento o il passaggio nelle scuole del rimanente territorio nazionale, devono essere inviate all’Uffi-cio scolastico regionale per il Piemonte.
4.
Le domande devono contenere le seguenti indicazioni: generalità dell’interessato , regione di titolarità, diocesi e scuola presso la quale l’insegnante presta servizio per utilizzazione nel corren-te anno scolastico.
5.
I docenti devono redigere le domande, sia di trasferimento che di passaggio, in conformità ai seguenti allegati e secondo le istruzioni riferite agli allegati medesimi: – scuole dell’infanzia e primarie Allegato TR1 (trasferimenti) e Allegato PR1 (passaggi) – scuole secondarie di I e II grado Allegato TR2 (trasferimenti) e Allegato PR2 (passaggi) 6.
I docenti che intendono chiedere contemporaneamente il trasferimento ed il passaggio de-vono presentare distintamente una domanda per il trasferimento e una domanda per il passaggio, precisando nella domanda di passaggio a quale delle due intendano dare la precedenza.
In mancanza di indicazioni chiare viene data precedenza al trasferimento.
7.
In caso di richiesta contemporanea di trasferimento e di passaggio è consentito documen-tare una sola delle domande, essendo sufficiente per l’altra il riferimento alla documentazione alle-gata alla prima.
8.
Le domande devono essere corredate dalla documentazione attestante il possesso dei titoli per l’attribuzione dei punteggi previsti dalle tabelle di valutazione allegate al Contratto Collettivo Nazionale Integrativo sottoscritto il 12-2-2009, con le specificazioni previste dal successivo articolo 4.
Le domande di trasferimento devono contenere il certificato di riconoscimento dell’idoneità ec-clesiastica rilasciato dall’ordinario della diocesi di destinazione.
Le domande di passaggio devono contenere l’indicazione relativa al possesso della specifica idoneità concorsuale, oltre all’idoneità ecclesiastica rilasciata, per l’ordine e grado di scuola richiesto, dall’ordinario diocesano competente.
Non saranno prese in considerazione le domande prive della dichiarazione di idoneità dell’ordinario diocesano competente.
9.
I titoli di servizio valutabili ai sensi della relativa tabella devono essere attestati dall’inte-ressato sotto la propria responsabilità con dichiarazione personale in carta semplice e riportati nel-l’apposita casella del modulo domanda.
10.
I titoli valutabili per esigenze di famiglia devono essere documentati secondo quanto in-dicato nell’articolo 9 del Contratto Collettivo Nazionale Integrativo sottoscritto il 12-2-2009, con-cernente la mobilità del personale della scuola.
11.
Le dichiarazioni mendaci, le falsità negli atti e l’uso di atti falsi sono puniti a norma delle disposizioni vigenti.
Articolo 4 – Documentazione delle domande 1.
Le domande sono prese in esame solo se redatte utilizzando l’apposito modulo allegato al-la presente Ordinanza, disponibile nella rete Intranet ed Internet.
Il mancato utilizzo dell’apposito modulo comporta l’annullamento delle domande.
2.
Le domande vanno corredate dalla certificazione di idoneità rilasciata dall’Ordinario Dio-cesano di destinazione, nonché dalle dichiarazioni, in carta semplice, dei servizi prestati, redatte in conformità al modello D allegato alla presente Ordinanza, ovvero dal certificato di servizio.
3.
La valutazione delle esigenze di famiglia e dei titoli deve avvenire ai sensi della tabella al-legata al Contratto Collettivo Nazionale Integrativo sottoscritto il 12-2-2009 e va effettuata esclusi-vamente in base alla documentazione, in carta semplice, da produrre da parte degli interessati uni-tamente alla domanda, nei termini previsti .
4.
In relazione alle Tabelle A) e B) per la valutazione dei titoli ai fini dei trasferimenti a do-manda e d’ufficio e ai fini della mobilità professionale si noti che nei confronti degli insegnanti di religione cattolica non trovano di fatto applicazione i punteggi previsti alle lettere B3) e C1).
Per-tanto non andranno compilate le caselle corrispondenti nel modulo domanda.
In relazione ai titoli generali (punto III), non trova inoltre applicazione il punteggio previsto alla lettera A) e quindi non sono da compilare le corrispondenti caselle dei moduli domanda.
Va invece riconosciuto il punteg-gio relativo alla lettera B), superamento di un pubblico concorso ordinario, data la natura particolare del concorso riservato cui tutti gli insegnanti di religione cattolica hanno partecipato.
Tra i titoli previsti nel medesimo punto alla lettera C) deve essere compreso anche ogni diploma di specializ-zazione di durata almeno biennale riconducibile ad una delle discipline di cui all’allegato A del DM 15-7-1987, conseguito dopo la laurea o la licenza presso facoltà teologiche o istituzioni accademi-che di diritto pontificio comprese negli elenchi forniti dalla Conferenza Episcopale Italiana.
Tra i titoli previsti alla successiva lettera D) deve essere compreso anche ogni diploma di scienze religio-se, magistero in scienze religiose ed ogni titolo di baccalaureato o equivalente, conseguito in una delle discipline di cui all’allegato A del DM 15-7-1987 presso facoltà teologiche o istituzioni acca-demiche di diritto pontificio comprese negli elenchi forniti dalla Conferenza Episcopale Italiana, in aggiunta al titolo che ha consentito l’accesso al ruolo.
Tra i titoli previsti alla lettera E) deve essere compreso anche ogni corso di perfezionamento di durata non inferiore ad un anno ed ogni master di primo o secondo livello attivati da facoltà teologiche o istituzioni accademiche di diritto pontificio comprese negli elenchi forniti dalla Conferenza Episcopale Italiana in materie riconducibili alle di-scipline di cui all’allegato A del DM 15-7-1987.
Tra i titoli previsti alla lettera F) deve essere com-preso anche ogni titolo di licenza o equivalente conseguito in una delle discipline di cui all’allegato A del DM 15-7-1987 presso facoltà teologiche o istituzioni accademiche di diritto pontificio com-prese negli elenchi forniti dalla Conferenza Episcopale Italiana, in aggiunta al titolo che ha consen-tito l’accesso al ruolo.
Tra i titoli previsti alla lettera G) deve essere compreso anche il consegui-mento del dottorato in una delle discipline di cui all’allegato A del DM 15-7-1987 presso facoltà te-ologiche o istituzioni accademiche di diritto pontificio comprese negli elenchi forniti dalla Confe-renza Episcopale Italiana, in aggiunta al titolo che ha consentito l’accesso al ruolo.
Non trova infine applicazione il punteggio previsto alla lettera I).
Pertanto non vanno compilate le corrispondenti ca-selle dei moduli domanda.
5.
Il servizio prestato, per almeno 180 giorni o alle condizioni previste dalla nota 4 dell’allegato D del Contratto Collettivo Nazionale Integrativo sottoscritto il 12-2-2009, in insegna-mento diverso da quello di religione cattolica è da valutare con lo stesso punteggio previsto per il servizio non di ruolo.
Non è riconoscibile il servizio prestato nell’insegnamento della religione cat-tolica, successivamente al 1 settembre 1990, senza il possesso del prescritto titolo di qualificazione.
Nel caso di titolo conseguito in costanza di servizio, il servizio medesimo è riconoscibile a partire dalla data di conseguimento.
6.
A tutti gli insegnanti di religione cattolica è consentito far valere come titolo di accesso al ruolo quello più conveniente tra quelli eventualmente posseduti e, di conseguenza, far valere gli al-tri come titoli aggiuntivi, a prescindere da quelli effettivamente utilizzati e valutati in occasione del concorso per l’accesso al ruolo.
Come previsto al punto 4.6.2.
del DPR 751/1985, sono in ogni caso da ritenere dotati della qualificazione necessaria per il loro insegnamento «gli insegnanti di religio-ne cattolica delle scuole secondarie e quelli incaricati di sostituire nell’insegnamento della religione cattolica l’insegnante di classe nelle scuole elementari, che con l’anno scolastico 1985-86 abbiano cinque anni di servizio».
Pertanto, i servizi prestati dai soggetti in possesso dei requisiti sopra citati sono da valutare ai fini della mobilità, ivi incluso il quinquennio utilizzato come titolo di qualifica-zione.
7.
Ai fini della validità di tale documentazione si richiamano le disposizioni contenute nelle predette tabelle di valutazione, che valgono per gli insegnanti di entrambi i ruoli.
8.
Relativamente alla lettera C) del punto II – esigenze di famiglia – della tabella di valuta-zione (Allegato D), lo stato di figlio maggiorenne che, a causa di infermità o difetto fisico o menta-le, si trovi nell’assoluta o permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro, deve essere documentato con certificazione o copia autenticata della stessa rilasciata dalla A.S.L.
o dalle preesi-stenti commissioni sanitarie provinciali.
Relativamente alla lettera D) del punto II – esigenze di fa-miglia – della medesima tabella, il ricovero permanente del figlio, del coniuge o del genitore deve essere documentato con certificato rilasciato dall’istituto di cura.
Il bisogno, da parte dei medesimi, di cure continuative tali da comportare di necessità la residenza nella sede dell’istituto di cura, deve essere, invece, documentato con certificato rilasciato da ente pubblico ospedaliero o dall’azienda sanitaria locale o dall’ufficiale sanitario o da un medico militare.
L’interessato deve, altresì, comprovare con dichiarazione personale, redatta a norma delle di-sposizioni contenute nel DPR 28 dicembre 2000, n.
445, così come modificato e integrato dall’art.
15 della legge 16 gennaio 2003, n.
3, che il figlio, il coniuge, il genitore può essere assistito soltanto in un comune sito nel territorio della diocesi richiesta per trasferimento, in quanto nel territorio della diocesi di attuale titolarità non esiste un istituto di cura presso il quale il medesimo può essere assi-stito.
Per i figli tossicodipendenti l’attuazione di un programma terapeutico e socio-riabilitativo deve essere documentata con certificazione rilasciata dalla struttura pubblica o privata in cui avviene la riabilitazione stessa (artt.
114, 118 e 122 del DPR 9-10-1990, n.
309).
L’interessato deve comprovare, sempre con dichiarazione personale, che il figlio tossicodi-pendente può essere assistito soltanto nel comune sito nel territorio della diocesi richiesta per trasfe-rimento in quanto nella diocesi di attuale titolarità non esiste una struttura pubblica o privata presso la quale il medesimo può essere sottoposto a programma terapeutico e socio-riabilitativo, ovvero perché in tale comune – residenza abituale – il figlio tossicodipendente viene sottoposto a pro-gramma terapeutico con l’assistenza di un medico di fiducia come previsto dall’art.
122, c.
3, del ci-tato DPR n.
309/90.
In mancanza di detta dichiarazione, la documentazione esibita non viene presa in considerazione.
9 .
Nel caso dei trasferimenti per i quali si intendano far valere le precedenze di cui all’art.
7 del CCNI sulla mobilità sottoscritto il 12-2-2009, il comune di residenza dei familiari deve apparte-nere al territorio della diocesi per la quale si chiede il trasferimento.
L’effettiva assegnazione dell’in-segnante di religione cattolica ad una scuola situata nel comune di residenza dei familiari è tuttavia regolata dall’intesa che l’Ufficio scolastico regionale raggiunge con l’ordinario diocesano per l’uti-lizzazione dell’insegnante.
10.
A norma delle disposizioni contenute nel DPR 28 dicembre 2000, n.
445, così come mo-dificato e integrato dall’art.
15 della legge 16 gennaio 2003, n.
3, l’interessato può attestare con di-chiarazioni personali l’esistenza di figli minorenni (precisando in tal caso la data di nascita), lo stato di celibe, nubile, coniugato, vedovo o divorziato, il rapporto di parentela con le persone con cui chiede di ricongiungersi, la residenza delle medesime , l’inclusione nella graduatoria di merito in pubblico concorso per esami , i diplomi di specializzazione, i diplomi universitari, i corsi di perfe-zionamento, i diplomi di laurea, il dottorato di ricerca.
Ai fini dell’attribuzione del punteggio previ-sto dalla lettera E) del punto III – titoli generali – della tabella, nella relativa certificazione deve es-sere indicata la durata, almeno annuale, del corso con il superamento della prova finale.
Per gli in-segnanti della scuola secondaria, nel caso in cui il titolo di accesso al ruolo sia costituito da un di-ploma di laurea valido nell’ordinamento italiano, unitamente a un diploma rilasciato da un istituto di scienze religiose riconosciuto dalla Conferenza Episcopale Italiana, i titoli devono essere valutati congiuntamente e uno dei due non può essere valutato separatamente come titolo aggiuntivo.
11.
Il personale che chiede il passaggio deve dichiarare di possedere l’idoneità concorsuale relativa al ruolo richiesto e deve allegare il riconoscimento di idoneità ecclesiastica relativa all’inse-gnamento della religione cattolica nell’ordine e grado richiesto, rilasciato dall’ordinario diocesano competente per territorio.
12.
In attuazione dell’art.
7, c.
1, punto VIII) del Contratto Collettivo Nazionale Integrativo sottoscritto il 12-2-2009, concernente la mobilità del personale della scuola, il personale che a se-guito della riduzione del numero delle aspettative sindacali retribuite intenda avvalersi della prece-denza nei trasferimenti interregionali a domanda deve dichiarare di aver svolto attività sindacale e di aver avuto il domicilio negli ultimi tre anni nel territorio della diocesi richiesta; tale diritto può essere esercitato solo nell’anno successivo al venire meno del distacco sindacale.
13.
I responsabili dell’Ufficio scolastico regionale potranno procedere, ove ne ravvisino l’opportunità, ad una verifica d’ufficio della veridicità delle dichiarazioni personali rilasciate .
14.
Le dichiarazioni mendaci, la falsità negli atti e l’uso di atti falsi, nei casi previsti dal DPR 28 dicembre 2000, n.
445, così come modificato e integrato dall’art.
15 della legge 16 gennaio 2003, n.
3, sono puniti a norma delle disposizioni vigenti in materia.
Articolo 5 – Rettifiche, revoche e rinunce 1.
Successivamente alla scadenza dei termini per la presentazione delle domande di trasfe-rimento e di passaggio non è più consentito integrare o modificare (anche per quanto riguarda l’or-dine) le preferenze già espresse, né la documentazione allegata.
2.
È consentita la revoca delle domande di movimento presentate.
La richiesta di revoca de-ve essere inviata tramite la scuola di servizio o presentata all’Ufficio scolastico regionale della Re-gione di titolarità dell’interessato ed è presa in considerazione soltanto se pervenuta entro il 15 giu-gno 2009.
3.
L’aspirante, qualora abbia presentato più domande di movimento, sia di trasferimento che di passaggio, deve dichiarare esplicitamente se intende revocare tutte le domande o solo una.
In tale ultimo caso deve chiaramente indicare la domanda per la quale chiede la revoca.
In mancanza di ta-le precisazione la revoca si intende riferita a tutte le domande di movimento.
4.
Non è ammessa la rinuncia, a domanda, del trasferimento concesso, salvo che tale rinun-cia non venga richiesta per gravi sopravvenuti motivi, debitamente comprovati, e a condizione, al-tresì, che il posto di provenienza sia rimasto vacante e che la rinuncia non incida negativamente sul-le operazioni relative alla gestione dell’organico di fatto.
Il posto reso disponibile dal rinunciatario non influisce sui trasferimenti già effettuati e non comporta, quindi, il rifacimento degli stessi.
5.
Il procedimento di accettazione o diniego della richiesta di rinuncia o di revoca deve, a norma dell’art.
2 della legge 241/90, essere concluso con un provvedimento espresso.
Articolo 6 – Organi competenti a disporre i trasferimenti ed i passaggi.
Pubblicazione del movimento e adempimenti successivi 1.
I trasferimenti ed i passaggi degli insegnanti di religione cattolica sono disposti dal Diret-tore Generale dell’Ufficio scolastico regionale o da un suo delegato per ciascuna delle diocesi di competenza entro le date stabilite dal precedente articolo 2.
L’elenco graduato di coloro che hanno ottenuto il trasferimento o il passaggio viene affisso all’albo dell’Ufficio scolastico regionale, con l’indicazione, a fianco di ogni nominativo, della diocesi di destinazione, del punteggio complessivo e delle eventuali precedenze, nel rispetto delle norme di cui alla legge 675/96 e al DLgs 196/03.
2.
Agli insegnanti che hanno ottenuto il trasferimento o il passaggio viene data comunica-zione del provvedimento presso la scuola di servizio.
3.
Contemporaneamente alla pubblicazione degli elenchi e alla comunicazione del provve-dimento alle Istituzioni scolastiche, gli Uffici scolastici regionali provvedono alle relative comuni-cazioni: alla Istituzione scolastica di provenienza, alla diocesi di provenienza, alla diocesi di desti-nazione, al locale dipartimento provinciale del Tesoro.
4.
L’elenco di coloro che hanno ottenuto il trasferimento o il passaggio viene trasmesso dal-l’Ufficio scolastico regionale all’ordinario diocesano competente.
Contestualmente a detta trasmis-sione il Direttore Generale dell’Ufficio scolastico regionale o un suo delegato stabilisce gli opportu-ni contatti con le diocesi di competenza per definire l’intesa relativa alla sede di utilizzazione degli insegnanti oggetto di detti movimenti.
5.
L’intesa sulla sede di utilizzazione di ciascun insegnante deve essere raggiunta entro il 31 luglio 2009 e di essa deve essere data comunicazione ai dirigenti scolastici delle scuole di prove-nienza e di destinazione degli insegnanti interessati.
Il dirigente scolastico della scuola di destina-zione deve comunicare l’avvenuta assunzione di servizio con l’inizio del nuovo anno scolastico al-l’Ufficio scolastico regionale, alla diocesi e al competente dipartimento provinciale del Tesoro.
Articolo 7 – Fascicolo personale 1.
I dati personali dei soggetti interessati alla mobilità devono essere utilizzati solo per fini di carattere istituzionale e per l’espletamento delle procedure legate alla stessa mobilità; i dati in questione possono essere comunicati o diffusi ai soggetti pubblici alle condizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’art.
19 del DLgs 30 giugno 2003, n.
196, “Codice in materia di protezione dei dati persona-li”.
Per quanto attiene al trattamento dei dati sensibili personali si fa riferimento ai principi generali richiamati dal citato DLgs 30-6-2003, n.
196, che ha sostituito il DLgs 11-5-1999, n.
135, recante disposizioni integrative della legge 31-12-1996, n.
675, in materia di trattamento dei dati sensibili da parte di soggetti pubblici.
2.
I fascicoli personali di coloro che risultano trasferiti sono trasmessi, a cura dell’Istituzione scolastica di provenienza all’Istituzione scolastica di destinazione con l’inizio del nuovo anno scola-stico.
Articolo 8 – Domanda di trasferimento e di passaggio 1.
Gli insegnanti di religione cattolica possono chiedere l’utilizzazione in altra sede della stessa diocesi in occasione dei movimenti di assegnazione provvisoria e utilizzazione regolati da apposito Contratto Collettivo Nazionale Integrativo.
In quella stessa occasione gli insegnanti in ser-vizio in diocesi che insistono sul territorio di più regioni possono presentare domanda di utilizza-zione in una sede scolastica appartenente alla stessa diocesi ma ad una regione diversa.
In questo caso i Direttori Generali degli Uffici scolastici regionali coinvolti stabiliscono i necessari accordi per le opportune compensazioni di organico.
2.
Le sedi assegnate per utilizzazione agli insegnanti di religione cattolica si intendono con-fermate automaticamente di anno in anno qualora permangano le condizioni e i requisiti prescritti dalle vigenti disposizioni di legge, cioè finché permanga la disponibilità oraria nell’Istituzione sco-lastica e finché non sia revocata l’idoneità rilasciata dall’ordinario diocesano competente.
In caso di utilizzazione con completamento orario esterno la conferma automatica riguarda la sede in cui l’in-segnante ha il maggior numero di ore ovvero quella che figura per prima nel decreto di utilizzazio-ne; ferma restando tale sede, in caso di variazione oraria in una delle sedi deve essere comunque raggiunta una specifica intesa con l’ordinario diocesano competente.
3.
Gli insegnanti di religione cattolica, con una stessa domanda, possono chiedere il trasfe-rimento in altre diocesi della medesima regione o in altre diocesi di diversa regione, o congiunta-mente per le une e per le altre.
4.
In materia di mobilità professionale gli insegnanti di religione cattolica, ai sensi dell’arti-colo 4, c.
1, della legge 186/03, possono chiedere solo il passaggio al ruolo del medesimo insegna-mento di religione cattolica in diverso settore formativo, qualora siano in possesso dell’idoneità concorsuale relativa all’altro settore formativo e dell’idoneità ecclesiastica rilasciata dall’ordinario diocesano competente per l’ordine e grado scolastico richiesto.
Gli insegnanti di religione cattolica, pertanto, non possono chiedere il passaggio ad altro tipo di insegnamento anche se in possesso dei titoli di qualificazione previsti per tale servizio.
5.
Gli insegnanti che intendono chiedere contemporaneamente trasferimento e passaggio de-vono precisare, nell’apposita sezione del modulo domanda di passaggio, a quale movimento (trasfe-rimento o passaggio) intendono dare precedenza.
In mancanza di indicazioni chiare viene data pre-cedenza al trasferimento.
6.
È consentito il passaggio alle scuole con lingua d’insegnamento slovena (o viceversa) a condizione che l’aspirante sia in possesso dei titoli di accesso specificamente richiesti e che sul mo-vimento si raggiunga l’intesa con l’ordinario diocesano competente.
Articolo 9 – Indicazione delle preferenze 1.
Le preferenze devono essere indicate nell’apposita sezione del modulo-domanda e sono relative agli ambiti territoriali della regione e della diocesi.
2.
Gli insegnanti di religione cattolica possono chiedere il trasferimento o il passaggio in al-tra diocesi della stessa o di diversa regione a condizione di essere in possesso di idoneità riconosciu-ta dall’ordinario della diocesi richiesta.
A tale scopo, l’attestato di riconoscimento di idoneità deve essere allegato alla domanda, con la specificazione dell’ordine e grado di scuola per il quale l’inse-gnante è riconosciuto idoneo.
In mancanza di tale ultima specificazione l’insegnante è considerato idoneo per tutti gli ordini e gradi scolastici, fermo restando che la sua destinazione su una sede spe-cifica deve essere oggetto di intesa tra il Direttore Generale dell’Ufficio scolastico regionale e l’or-dinario diocesano competente per territorio.
3.
Con una stessa domanda è possibile chiedere il trasferimento in più di una diocesi.
Per ciascuna delle diocesi richieste deve essere allegato l’attestato di riconoscimento dell’idoneità rila-sciato dall’ordinario della diocesi richiesta.
4.
Nell’assegnazione di nuova titolarità si segue l’ordine delle operazioni fissato dall’art.
37bis, c.
4, del vigente CCNI sulla mobilità.
5.
È possibile esprimere preferenze fino a un massimo di cinque diocesi situate oltre che nel-la regione di appartenenza anche in un’altra regione per entrambi i ruoli di provenienza degli aspi-ranti.
6.
Qualora una diocesi insista sul territorio di più regioni, l’insegnante deve precisare nella porzione del territorio diocesano corrispondente a quale regione intende chiedere il trasferimento.
Ciascuna porzione è trattata come se fosse una distinta diocesi.
7.
Qualsiasi richiesta formulata in difformità alle disposizioni contenute nel presente articolo è da ritenere nulla e non produttiva di effetti.
Articolo 10 – Adempimenti dei dirigenti scolastici e degli uffici amministrativi 1.
Il dirigente scolastico, dopo l’accertamento della esatta corrispondenza fra la documenta-zione allegata alla domanda e quella elencata, procede all’acquisizione della domanda.
Effettuate ta-li operazioni, il dirigente scolastico deve inviare all’Ufficio scolastico regionale competente le do-mande originali di trasferimento e di passaggio corredate della documentazione entro l’8 maggio 2009.
2.
L’Ufficio scolastico regionale, a mano a mano che riceve le domande, procede alla valuta-zione delle stesse ed all’assegnazione dei punti sulla base delle apposite tabelle allegate al Contratto sulla mobilità, nonché al riconoscimento di eventuali diritti di precedenza, comunicando entro il 4 giugno 2009 alla scuola di servizio dell’insegnante, per l’immediata notifica, il punteggio assegnato e gli eventuali diritti riconosciuti.
L’insegnante ha facoltà di far pervenire all’Ufficio scolastico re-gionale, entro 5 giorni dalla ricezione, motivato reclamo, secondo le indicazioni contenute nell’art.
12 del Contratto Collettivo Nazionale Integrativo sottoscritto il 12-2-2009, concernente la mobilità del personale della scuola.
In tale sede ed entro il termine suddetto il docente può anche richiedere, in modo esplicito, le opportune rettifiche a preferenze già espresse nel modulo domanda in modo errato, indicando l’esatta preferenza da apporre nella domanda.
L’Ufficio competente, esaminati i reclami, apporta le eventuali rettifiche.
3.
Per gli insegnanti di religione cattolica non si dà luogo alla compilazione e pubblicazione di graduatorie d’istituto, ma si procede ugualmente all’attribuzione di un punteggio sulla base delle tabelle allegate al Contratto Collettivo Nazionale Integrativo sottoscritto il 12-2-2009.
Detta docu-mentazione è inviata dalle scuole all’Ufficio scolastico regionale entro l’8 maggio 2009.
4.
L’Ufficio scolastico regionale, una volta ricevuta la documentazione di cui al comma 3, predispone, entro il 22 giugno 2009, per ciascun ruolo, una graduatoria unica regionale degli inse-gnanti di religione cattolica, suddivisa per diocesi, al solo scopo di individuare il personale even-tualmente in esubero.
Articolo 11 – Disposizioni generali sui passaggi di ruolo 1.
Gli insegnanti di religione cattolica possono chiedere unicamente il passaggio di ruolo per transitare dal ruolo per l’insegnamento della religione cattolica nella scuola dell’infanzia e primaria al ruolo per l’insegnamento della religione cattolica nella scuola secondaria di primo e secondo gra-do, o viceversa.
2.
La domanda di passaggio di ruolo è subordinata al possesso della specifica idoneità rico-nosciuta dall’ordinario diocesano competente per l’ordine e grado di scuola richiesto.
Tale certifica-zione deve essere allegata alla domanda.
Ove il certificato di idoneità ecclesiastica non specifichi l’ordine e grado di scuola per il quale l’insegnante è riconosciuto idoneo, l’insegnante medesimo è considerato idoneo per tutti gli ordini e gradi scolastici.
3.
Il passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria (o viceversa) ed il passaggio dalla scuola secondaria di primo grado alla scuola secondaria di secondo grado (o viceversa) non si configurano come passaggi di ruolo in quanto si tratta di movimenti effettuati all’interno del mede-simo ruolo di appartenenza e vanno quindi trattati in sede di utilizzazione, secondo le procedure stabilite nella relativa ordinanza.
4.
Con una stessa domanda è possibile chiedere il passaggio in più di una diocesi.
Per cia-scuna delle diocesi richieste deve essere allegato l’attestato di riconoscimento dell’idoneità rilasciato dall’ordinario della diocesi richiesta.
5.
Nell’assegnazione di nuova titolarità si segue l’ordine delle operazioni fissato dall’art.
37bis, c.
4, del vigente CCNI sulla mobilità.
6.
È possibile esprimere preferenze fino a un massimo di cinque diocesi situate oltre che nel-la regione di appartenenza anche in un’altra regione per entrambi i ruoli di provenienza degli aspi-ranti.
Articolo 12 – Modalità di presentazione delle domande di passaggio di ruolo 1.
Le domande, redatte in conformità agli appositi moduli, devono contenere tutte le indica-zioni ivi richieste e devono essere presentate nei termini stabiliti dall’art.
2 e secondo le disposizioni previste dal precedente articolo 11.
2.
Le domande prodotte fuori termine o in difformità a quanto stabilito nel precedente com-ma non vengono prese in considerazione.
3.
Per eventuali rettifiche, revoche o rinunce si applicano le precedenti disposizioni relative alle domande di trasferimento.
Allegati Allegato TR1 – Domanda di trasferimento per insegnanti di religione cattolica delle scuole dell’in-fanzia e primaria Allegato PR1 – Domanda di passaggio di ruolo per le scuole dell’infanzia e primaria Allegato TR2 – Domanda di trasferimento per insegnanti di religione cattolica delle scuole secon-darie di primo e secondo grado Allegato PR2 – Domanda di passaggio di ruolo per le scuole secondarie di primo e secondo grado.
Allegato C – Elenco ufficiale delle diocesi italiane.
Allegato D – Modello di dichiarazione dell’anzianità di servizio.
IL MINISTRO F.to Gelmini

«La Chiesa sta dalla parte delle persone reali»

«La Chiesa sta con le persone reali» Angelo Card.
Bagnasco Venerati e cari Confratelli, ci ritroviamo come Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale italiana a distanza di due mesi appena dal precedente incontro, mentre perdura la maggior parte delle grandi questioni già allora aperte.
Così questa prolusione, avvio del consueto discernimento comunitario che sappiamo fecondo in ordine al lavoro apostolico, ha quasi la fisionomia di uno sviluppo, o meglio di un aggiornamento, della riflessione allora effettuata.
1.
Di certo si è prolungato, oltre ogni buon senso, un pesante lavorio di critica − dall’Italia e soprattutto dall’estero − nei riguardi del nostro amatissimo Papa, a proposito dapprima della remissione della scomunica ai quattro Vescovi consacrati da Monsignor Lefebvre nel 1988, e al caso Williamson che imponderabilmente vi si è come sovrapposto.
Sul merito di queste due vicende, quello che di importante c’era da dire l’abbiamo sollecitamente detto appunto in occasione della precedente prolusione.
Nessuno tuttavia poteva aspettarsi che le polemiche sarebbero proseguite, e in maniera tanto pretestuosa, fino a configurare un vero e proprio disagio, cui ha inteso porre un punto fermo lo stesso Pontefice con l’ammirevole Lettera del 10 marzo 2009, indirizzata ai Vescovi della Chiesa Cattolica.
Di proposito non vogliamo tornare sulle accuse maldestre rivolte con troppa noncuranza al Santo Padre.
Merita molto di più invece concentrarci sulla citata Lettera che, come atto autenticamente nuovo, ha subito attirato un vasto consenso.
La grande impressione che essa ha suscitato è per buona parte dovuta alla forza interiore che emerge dall’intero testo e da ciascuna delle sue parole, anche le più amare.
La sua disamina, per certi versi conturbante, degli ultimi episodi − ma, per analogia, anche di certe discutibili e ricorrenti prassi ecclesiali − ha fatto emergere come per contrasto il candore di chi non ha nulla da nascondere circa le proprie reali intenzioni, le motivazioni concrete delle proprie scelte, la coerenza di una vita vissuta unicamente all’insegna del servizio più trasparente alla Chiesa di Cristo.
Per questo non stentiamo affatto a riconoscere nell’iniziativa papale l’azione di quello Spirito di Dio che svela i disegni dei cuori e sa trarre il massimo bene anche dalle situazioni più irte e penose.
Il che non significa naturalmente attenuare la severità di un giudizio che nella carità va pur dato circa atteggiamenti e parole che hanno portato a una situazione cui non si sarebbe dovuti arrivare, alimentando interpretazioni sistematicamente allarmistiche e comportamenti diffidenti nei riguardi della Gerarchia.
Con ferma e concreta convinzione facciamo nostro l’appello alla riconciliazione più genuina e disarmata cui la Lettera papale sollecita l’intera Chiesa.
E questo naturalmente esclude che si perpetuino letture volte a far dire al Papa ciò che egli con tutta evidenza non dice.
Che è un modo discutibilissimo, persino un po’ insolente, per costruirsi una posizione distinta dal corretto agire ecclesiale.
Molto meglio identificarsi in quella che è la migliore tradizione del nostro cattolicesimo: stare con il Papa, sempre e incondizionatamente.
Il che da una parte comporta il nostro sintonizzarci sulle ancor più evidenti priorità del suo ministero: «Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia» e «avere a cuore l’unità dei credenti», priorità che coinvolgono tutti, ciascuno per la propria responsabilità.
E, dall’altra, esige di pregare intensamente per lui e con lui, ossia con le sue stesse intenzioni: e questo aiuta a purificare il nostro sguardo sulla Chiesa, mistero di salvezza per il mondo.
2.
In queste ore peraltro il Santo Padre sta portando a termine un’importante visita apostolica nel Camerun e in Angola.
Nelle sue intenzioni essa aveva «per orizzonte» l’intero continente africano (cfr Benedetto XVI, Saluto all’arrivo a Luanda, 20 marzo 2009).
Si è trattato di un viaggio impegnativo e ad un tempo ricco di speranza.
Ciò che lì è avvenuto e il magistero che vi si è esplicato hanno avuto localmente una grande eco, come in noi hanno suscitato un profondo coinvolgimento e una viva commozione: per questo non mancheremo di ritornare sul significato di codesto pellegrinaggio, che fin dall’inizio è stato sovrastato nell’attenzione degli occidentali da una polemica – sui preservativi − che francamente non aveva ragione d’essere.
Non a caso, sui media africani non si è riscontrato alcun autonomo interesse, se non fosse stato per l’insistenza pregiudiziale delle agenzie internazionali, e per le dichiarazioni di alcuni esponenti politici europei o di organismi sovranazionali, cioè di quella classe che per ruolo e responsabilità non dovrebbe essere superficiale nelle analisi né precipitosa nei giudizi.
Si è avuta come la sensazione che si intendesse non lasciarsi disturbare dalle problematiche concrete che un simile viaggio avrebbe suscitato, specie in una fase di acutissima crisi economica che richiede ai rappresentanti delle istituzioni più influenti una mentalità aperta e una visione inclusiva.
Non ci sfugge tuttavia che nella circostanza non ci si è limitati ad un libero dissenso, ma si è arrivati ad un ostracismo che esula dagli stessi canoni laici.
L’irrisione e la volgarità tuttavia non potranno far mai parte del linguaggio civile, e fatalmente ricadono su chi li pratica.
Infatti, la conferma più significativa circa la pertinenza delle parole del Papa sull’argomento è venuta da quanti – professionisti, politici e volontari – operano nel campo della salute e dell’istruzione.
C’è da promuovere un’opera di educazione ad ampio raggio, che va inquadrata nella mentalità degli africani e si concretizza in particolare nella promozione effettiva della donna; soprattutto bisogna alimentare le esperienze di cura e di assistenza, finanziando la distribuzione di medicinali accessibili a tutti.
Com’è noto la Chiesa, compresa quella italiana, è coinvolta con persone e mezzi in questa linea di sviluppo.
Ma chiediamo anche ai governi di mantenere i propri impegni, al di là della demagogia e di logiche di controllo neo-colonialista.
E mentre invitiamo i diversi interlocutori a non abbandonare mai il linguaggio di quel rispetto che è indice di civiltà, vorremmo anche dire – sommessamente ma con energia − che non accetteremo che il Papa, sui media o altrove, venga irriso o offeso.
Per tutti egli rappresenta un’autorità morale che questo viaggio ha semmai fatto ancor più apprezzare.
Per i cattolici è Pietro che, con le reti del pescatore e nel nome del Signore Gesù, continua a raggiungere i lidi del mondo.
Noi, che con trepidazione e preghiera l’abbiamo accompagnato in questo pellegrinaggio, ci apprestiamo ora a salutare con affetto il suo felice ritorno.
3.
La dinamica contestativa di cui dicevamo, per le forme subdole che talora assume ma anche per gli appoggi clamorosi di cui gode, è una delle tracce che ci portano a identificare la cifra più marcata del nostro tempo qual è il secolarismo.
È su questo che vorrei dire oggi una parola.
Sembra a me infatti che vari segnali ci rendano vieppiù avvertiti che il trapasso culturale dentro al quale ci troviamo vada assumendo il carattere di un vero e proprio spartiacque.
Chi, tempo addietro, paventava uno scontro di civiltà, facendolo magari derivare in parte da divaricanti matrici religiose, oggi si trova dinanzi agli occhi una situazione alquanto diversa, e non necessariamente più complessa da descrivere: si fronteggiano sostanzialmente due culture riferibili all’uso della ragione.
Al centro di entrambe c’è – come sempre – una specifica risposta alla domanda sull’uomo.
Da cui discendono due diverse, per molti aspetti antitetiche, visioni antropologiche.
Su un versante c’è la cultura che considera l’uomo come una realtà che si differenzia dal resto della natura in forza di qualcosa di irriducibile rispetto alla materia.
Qualcosa che è qualitativamente diverso e che costituisce la radice del suo valore e il fondamento della sua dignità.
In altri termini, l’uomo − prima di metter mano a se stesso – si accoglie come dono che ha un’identità e una consistenza iscritte nella struttura del suo essere.
Dono che non dipende da lui, che precede ogni sua autodeterminazione, e che ne fa quello che egli è: persona, appunto.
È a partire da questo dato ontologico, e tenendolo fermo quale fatto oggettivo, che il soggetto cresce e si compie nello sviluppo della vita.
In questa prospettiva, la natura umana, dentro lo scorrere della storia, è un perno fermo e insieme bussola per l’esercizio della libertà personale.
Nel gioco stesso dell’uomo, la libertà trova così i riferimenti oggettivi per le scelte e i comportamenti coerenti alla sua autentica umanità.
Nell’altro versante, invece, si esplica una cultura per la quale il soggetto umano è un mero prodotto dell’evoluzione del cosmo, ivi inclusa la sua autocoscienza.
In quanto risultato di un processo evolutivo mai concluso, l’uomo sarebbe solamente un segmento di storia, sganciato cioè da qualunque fondamento ontologico permanente e comune a tutti gli uomini, privo quindi di riferimenti etici certi e universali.
Essendo semplicemente uno sghiribizzo culturale fluttuante nella storia, l’individuo si trova sostanzialmente prigioniero di sé ma anche solo con se stesso.
E se è ovvio che non sia questa la sede per richiamare, neppure nelle sue coordinate generali, la questione dell’evoluzionismo, di cui s’è infatti parlato recentemente in sedi autorevoli (cfr la Conferenza internazionale svoltasi alla Pontificia Università Gregoriana su «Evoluzione biologica: fatti e teorie», Roma 3-7 marzo 2009), dobbiamo tuttavia segnalare come si annidi, proprio nella posizione che prima evocavamo, un’interpretazione esasperata e unilaterale del paradigma evoluzionistico.
Nel contempo, collegata alle due citate visioni antropologiche, e alla dialettica che le contrassegna, c’è una diversa concezione della libertà.
Da una parte si ritiene – in base ad una riflessione millenaria e all’esperienza universale – che la libertà umana sia uno dei valori più grandi (per i cristiani essa è addirittura dono di Dio creatore), non però un valore assoluto né solitario.
La libertà infatti deve fare i conti con altri valori − come la vita, la pace, la giustizia, la solidarietà… − che in qualche modo vengono prima e le danno come sostanza, anzi la rendono vera in quanto sono per il bene dell’uomo, e lo realizzano secondo quella linea di appartenenza che si identifica nella natura umana e con i vettori che dall’interno le danno sviluppo pieno.
Il tipo di società che ne deriva è chiaramente aperto e solidale: in essa il farsi carico degli altri – specialmente dei più deboli, dei meno dotati ed efficienti – è congenito e vitale.
Dall’altra parte, invece, si afferma una libertà individuale non solo come valore, ma come valore assolutamente primo, sciolto da qualsiasi altro vincolo che lo possa misurare, con il pretesto che la libertà non può negare se stessa, andando con ciò − se occorre − anche contro la persona.
In questa prospettiva, la libertà sembra priva di relazione, è legge a se stessa, al di fuori di ogni contesto relazionale.
L’individuo, paradossalmente, finisce schiacciato dalla propria libertà, e ritenendo di essere pieno e assoluto padrone di se stesso arriva a disporre di sé a prescindere da ciò che egli è fin dal principio del suo esistere.
E concepisce ogni suo desiderio, magari confuso in qualche caso anche con l’istinto, quale diritto che la società dovrebbe riconoscere come elemento costitutivo di se stessa.
In questa direzione, si scivola inevitabilmente verso un nichilismo di senso e di valori che induce alla disgregazione dell’uomo e ad una società individualista fino all’ingiustizia ed alla violenza.
Anzi, verso un nichilismo gaio e trionfante, in quanto illuso di aver liberato la libertà, mentre semplicemente la inganna rispetto ad una necessaria e impegnativa educazione della stessa.
La divina Provvidenza ci dona quest’ora da amare con fede e intelligenza: e quest’ora vogliamo servire con tutto noi stessi.
La comunità cristiana deve però lasciar da parte improvvisazione e autoreferenzialità, ingenuità ed empirismo – lo dico anche alle nostre associazioni, e ai nostri movimenti e gruppi – per investirci tutti della responsabilità credente, dell’«esserci» con simpatia e competenza, e con larga capacità di dialogo e di sensata interlocuzione rispetto alle più diverse situazioni di vita.
Tra l’altro, ci sono alcuni nostri strumenti culturali e mediatici che proprio a questo mirano: a servircene saremmo semplicemente utili a noi stessi.
4.
E siamo al caso che più ha colpito il nostro Paese nell’ultimo periodo, quello di Eluana Englaro, la ragazza lecchese che per 17 anni è vissuta in stato vegetativo persistente e che è stata fatta morire a Udine il 9 febbraio scorso.
Benché non fosse attaccata ad alcuna macchina – dato che l’opinione pubblica ha scoperto solo con grande fatica – e benché sia da tempo invalso nei vari ambiti della nostra vita sociale quel saggio «principio di precauzione» per il quale nulla di irripristinabile va compiuto se i dati scientifici non consentono una valutazione obiettiva del rischio, s’è voluto decretare che a certe condizioni poteva morire.
Un procedimento che, in un solo atto, avrebbe voluto ribaltare tutta una cultura giuridica minuziosamente costruita sul favor vitae, contraddicendo un’intera civiltà basata sul rispetto incondizionato della vita umana, e smentendo un lungo processo storico che ci aveva portato ad affermare l’indisponibilità di qualunque esistenza, non solo a fronte di soprusi o violenze, ma anche di condanne penali quale la pena di morte.
Tutto, per certe intenzioni, messo a repentaglio, attraverso una operazione tesa ad affermare un «diritto» di libertà inedito quanto raccapricciante, il diritto a morire, cioè a darsi e a dare la morte in talune situazioni da definire.
Come se la vita potesse, in alcuni frangenti − i più critici −, cessare di essere un «bene relazionale».
E come se la vita a ciascuno di noi così cara, e così salvaguardata ed educata a caro prezzo anche dalla collettività, di colpo divenisse un bene «inerme», anzi un non-bene.
E non fosse vero piuttosto che, proprio quando è più fragile, l’esistenza di ciascuno di noi diventa allora più moralmente preziosa, nel senso che è più direttamente protesa a cementare il bene comune suscitando in ciascuno e nella società ulteriori energie di altruismo e di dedizione.
L’ammanto di pietà attraverso cui, con grande sforzo, si cerca di far passare questo ulteriore improbabile «diritto», non può non indurre la persona equipaggiata di intelligenza a porsi una serie di interrogativi consequenziali, il primo dei quali è: non stiamo attribuendo al «sistema» un diritto all’eliminazione dei soggetti inabili, quasi che costoro possano configurarsi come cittadini di serie B? E questo «diritto», che per ora si affaccia appena, una volta immesso nel corpus giuridico e nel costume pubblico, non è forse destinato a diventare col tempo più incalzante e spietato? E tale meccanismo non riguarderà anzitutto coloro che sono più deboli, bisognosi di assistenza e di premura da parte della collettività, perché segnati dalla vecchiaia o dalla malattia o dalla fragilità mentale? E se la “qualità della vita” è fatta dipendere principalmente dalle relazioni consapevoli, quanti altri sono i soggetti che di tali relazioni non hanno coscienza, pur non vivendo in stato di coma vegetativo persistente? Che cosa ci autorizza ad escludere che, al di là delle nostre più ravvicinate determinazioni, potremmo un giorno restarne in un modo o nell’altro coinvolti? E un’autorizzazione legalizzata di questo segno, cosa potrà produrre in termini di cultura, e dunque di gestione delle cure, nelle più diverse strutture sanitarie come nell’intero sistema socio-assistenziale, fino alle compatibilità ultime di budget? Qualunque deriva eutanasica, per quanto tecnicamente circoscritta o concettualmente edulcorata, è in realtà per gli uomini d’oggi, se ci si pensa bene, «una falsa soluzione» (cfr.
Benedetto XVI, Discorso all’Angelus, 1° febbraio 2009).
Falsa soluzione rispetto agli stessi disagi personali gravi, che richiedono non la soppressione della vita ma la vicinanza e l’accompagnamento delle persone.
La prima cura, per qualsiasi forma di malattia, è non far sentire solo il malato, solo con il suo male, e abbandonato a se stesso.
Garantirgli una presenza competente, amorevole e quotidiana, è per la società una responsabilità più ardua e impegnativa rispetto ad altre “scorciatoie” apparentemente pietose.
Ma è qui, non nei proclami astratti e ripetuti, che una società getta come la maschera e rivela il suo vero volto, manifestando il proprio livello di umanità o, al contrario, di inciviltà.
Nelle moderne democrazie, la vita va difesa perché è indispensabile limitare il potere «biopolitico» sia della scienza sia dello Stato, il che trova sostanza nel fermo «sì» alla tutela dei diritti umani di tutti, di chi economicamente è in grado di difendersi come di chi non può farlo, e in un altrettanto netto «no» alla pena di morte, al commercio degli organi, alle mutilazioni sessuali, alle alterazioni fecondative, a qualsiasi manipolazione non terapeutica del corpo umano, pur se liberamente volute da persone adulte, informate e consenzienti.
5.
Ha peraltro qualche componente grottesca il fatto che si sia tentato di far passare la tribolata vicenda − con profili in realtà civilmente tanto rilevanti e potenzialmente tanto intrusivi rispetto al vissuto di ciascuno − come mera conseguenza di un altolà della Chiesa, ossia come un’iniziativa di polemica ideologica, quando di ideologia qui non c’era nulla, ma solo concretezza palpitante di vita e pertinenza all’umano dell’uomo.
Allorché un cuore batte in autonomia, il corpo è caldo, i polmoni respirano, gli occhi si aprono alla luce del giorno e poi si chiudono, come si può parlare di morte? E cosa c’entrano i guelfi e i ghibellini? Qui c’entra anzitutto il vero, c’entra il reale-concreto, non perché sia alienante il riferimento al progetto di Dio sulle proprie creature, anzi, ma perché nessuno può darsi impunemente degli alibi allorché si tratta di constatare che si va verso l’alterazione del principio di eguaglianza tra tutti i cittadini.
Per questo motivo ci ha causato una grande tristezza la storia dolorosa eppure umanissima di Eluana, con l’obnubilamento in cui si è caduti circa i limiti che sono intrinseci all’esistenza terrena, quasi che essa potesse esistere solo nei termini in cui la desideriamo noi, priva di imperfezioni e asperità, di imprevisti o evenienze, che comunque fanno parte del suo impasto.
Non essere all’altezza dello standard vigente non può equivalere a una squalifica.
Il rifiuto anche solo dell’idea di malattia, di vecchiaia, di sofferenza fisica e morale è qualcosa che merita una riflessione rigorosa su se stessi, e ha a che fare con un’autocoscienza bonificata dal risentimento verso un destino percepito amaro o ingiusto.
So bene che qui si entra nel sacrario dei pensieri e dei sentimenti che ogni persona custodisce gelosamente dentro di sé.
Ma in una cultura in cui giustamente si vuol far valere il criterio della ragione e della ragionevolezza, questo non può avvenire solo fino ad un certo punto.
Bisogna piuttosto vigilare sui meccanismi nascosti dell’auto-indulgenza, ed essere moralmente forti, ossia interiormente attrezzati, nell’accettare la vita per quello che è, e partendo da questo dato operare per migliorarne le condizioni.
Con tutti gli avanzamenti, i progressi, le innovazioni che essa offre, ma anche con le sue sospensioni, le sue incompletezze, le sue incongruità, le sue aporie.
Alla fine è sulla nostra maturità che siamo sfidati, e sull’effettiva disponibilità a solidarizzare con il più debole: non a parole o a tratti, ma con la vita vissuta, che non per questo cesserà di rivelare panorami di bellezza indicibile.
Quando il dolore bussa, e non può essere neutralizzato del tutto, quando chiede ascolto, quando ci domanda di essere introdotto come un nuovo parametro di ordinarietà e dedizione, non bisogna fuggire.
E serve a poco imprecare, fino a isterilirsi.
Domanda: come pensiamo di cavarcela con i nostri giovani rispetto a quella innegabile componente della vita che, in un modo o nell’altro, si presenta ed è rappresentata dal dolore, dalla sofferenza, dalla fatica magari ingrata, dalla possibilità di far fronte all’insuccesso e all’ineluttabile? Non stiamo qui, per caso e involontariamente, ponendo le basi verso un’infelicità strutturale delle nuove generazioni, con i presupposti di una loro fatale inadeguatezza e i criteri non dichiarati, eppure meschini, di un nuovo tipo di selezione alla vita? 6.
Un fatto tuttavia ci ha confortato, e cioè che più si palesava l’azione mossa nei confronti della vita di Eluana, più la gente è sembrata farsi cauta, quasi pensosa, come intuisse in maniera un po’ più nitida l’effettiva posta in gioco.
Al momento della morte – evento che avremmo voluto scongiurare – si è percepito un sentimento di diffuso dolore, come di una sorella comune che non si era riusciti a salvare.
Ebbene, è opportuno ora che questa tensione non evapori dentro il turbinio mediatico.
Oltre a pregare per la sua anima, per i suoi parenti e i suoi amici, oltre a pregare per quanti si trovano nelle sue condizioni, dobbiamo immaginare una reazione morale e culturale capace di trasformare lo sgomento in un riscatto: se è possibile, in una crescita di consapevolezza e di iniziativa.
Su un versante molto importante spetta alla politica agire nell’approntare e varare, senza lungaggini o strumentali tentennamenti, un inequivoco dispositivo di legge che – in seguito al pronunciamento della Cassazione − preservi il Paese da altre analoghe avventure, ponendo attenzione a coordinarlo con l’altro sospirato provvedimento relativo alla cure palliative, e mettendo mano insieme alle Regioni ad un sistema efficace di hospice, che le famiglie attendono non per sgravarsi di un peso ma per essere aiutate a portarlo.
Sull’altro versante tocca alla società civile mobilitarsi per acquisire in prima persona una coscienza più matura della posta in gioco in termini antropologici e culturali, così da evitare nel futuro ingorghi concettuali e tentazioni di delega.
In questo ambito, c’è in campo l’iniziativa appena annunciata dai tre organismi di collegamento laicale − Scienza & Vita, il Forum delle Associazioni familiari e RetinOpera – che, nel tessuto vivo delle parrocchie, delle aggregazioni laicali, come degli ambienti e dei mezzi di comunicazione, merita di essere da noi incoraggiata e sostenuta.
Come Vescovi non possiamo non avere a cuore il superamento di qualunque rassegnazione culturale, mentre occorre portare conforto e far sentire una concreta vicinanza a tutte quelle famiglie che fanno fronte con sacrifici e dignità alle prove della vita.
Ma c’è un grazie speciale che noi Vescovi vogliamo oggi dire, ed è alla Suore Misericordine della clinica Beato Talamone di Lecco e alla loro splendida, ineffabile testimonianza.
Sappiamo che a loro non piace stare in alcun modo sulla ribalta, che rifuggono da quella notorietà che fare il bene talora procura, che sono disposte a subire anche l’ingiustizia piuttosto che protestare dinanzi a ingiurie e falsità.
Ma questo non significa che la comunità cristiana non sappia riconoscere in loro delle autentiche campionesse della carità secondo l’inno di san Paolo: «[…] La carità è paziente, è benigna […], non è invidiosa […], non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità.
Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta […]».
(1Cor 13,1-13).
Quell’invocazione mansueta e quasi dolente che loro hanno rivolto − «Se c’è chi considera Eluana morta, lasciatela a noi che la sentiamo viva» − è stata per l’opinione pubblica un’autentica scossa, è stata finalmente uno scandalo buono.
In quel «sentire viva» c’era certo l’abilità professionale ma c’era, ad informare l’abilità, l’allenamento del cuore che rende capaci di riconoscere la vita e, nei limiti del possibile, farla palpitare anche nell’immobilità e nell’incoscienza.
«Lasciateci – concludevano le stesse Suore – la libertà di amare e di donarci a chi è debole».
Certo che gli uomini d’oggi ve la lasciano, Sorelle care, questa libertà benedetta, antica e nuova, mite e benefica, che al di là di ogni clamore è garanzia vera per i non garantiti di questa società.
Anzi, proprio questa vostra libertà additiamo alle giovani e ai ragazzi come il destino di una vocazione felice.
Vi ringraziamo, come ha già fatto il vostro Arcivescovo Cardinale Tettamanzi, per ogni giorno del vostro dono, e per il vostro donarvi, come ad Eluana, ad ogni altra creatura che vi è affidata.
Insieme a Voi, ringraziamo quanti Religiose e Religiosi sono sulla vostra stessa filiera di servizio, quanti si chinano ogni giorno con naturalezza e affidamento sui fratelli più piccoli e indifesi, e consumano i loro giorni e se stessi per gli altri.
La loro testimonianza commuove la Chiesa e misteriosamente la edifica nel cuore del mondo.
Ma edifica anche l’umanità intera nella sua autentica e intrinseca vocazione a non abbandonare nessuno, ma a farsi prossimo e solidale con tutti e con ciascuno nell’ora della maggiore debolezza.
7.
Mi pare giusto richiamare a questo punto il Convegno – «Chiesa nel Sud, Chiese del Sud: nel futuro da credenti responsabili» – che si è tenuto a Napoli il 12 e 13 febbraio scorso, e al quale ho avuto la gioia di partecipare almeno per la Concelebrazione eucaristica che si è svolta nella cattedrale partenopea, su invito amabile del confratello Cardinale Crescenzio Sepe.
Il loro riunirsi a vent’anni dallo storico incontro che produsse, tra l’altro, il documento Cei – «Chiesa italiana e Mezzogiorno» – è stata l’occasione per identificare le novità ma anche la persistenza di talune condizioni economiche e sociali del nostro Meridione.
Dalla ricognizione dei drammi e delle risorse di questa parte stupenda e martoriata del nostro Paese, è venuta una rinforzata consapevolezza su una serie di sfide che vanno affrontate con le armi del Vangelo, e forti della compagnia di Gesù Cristo.
In particolare su alcune denunce: un senso di abbandono da parte della collettività nazionale, un tasso di disoccupazione sproporzionato rispetto al resto del Paese, la presa tentacolare della malavita, che peraltro non si autolimita al Meridione essendo ormai presente su varie piazze del Nord come del Centro.
Tutti dobbiamo interrogarci con profonda onestà intellettuale, superando qualunque tentazione divisoria.
Dal canto loro, le Chiese del Sud, diverse ma unite, si sono dette pronte a mettere in rete energie e competenze, con l’obiettivo comune di far lievitare la vitalità ecclesiale.
Devo dire che noi tutti Vescovi d’Italia avvertiamo l’impeto che ci proviene da queste comunità radicate per storia e tradizioni, e che più di quanto forse non avvenga altrove sanno mantenere il profilo di una identità rigogliosa e popolare che è un patrimonio prezioso dell’intera Chiesa italiana.
Non mancheranno le occasioni per riprendere adeguatamente le fila dei discorsi avviati a Napoli, per tesserli in una circolarità di verifiche e di scambio, avendo a cuore il bene reciproco e la forza intrinseca della comunione che è la vera testimonianza da offrire a tutto il Paese.
Guardando più al largo, troviamo sempre qui gli elementi per uscire dalle «sabbie mobili» di una condizione di mediocrità spirituale, e per lasciarci ogni volta «prendere per mano» − che è come un’irruzione che ci cambia il cuore − lungo un cammino di conversione che è meta perenne dei discepoli di Cristo (cfr Benedetto XVI, Saluto all’Angelus, 25 gennaio 2009).
È ciò che ci siamo proposti per il tempo forte della Quaresima che è in atto nelle nostre Chiese e che amiamo considerare alla luce dei fondamentali della vita cristiana.
Il tema del digiuno su cui il Santo Padre ha inteso soffermarsi nel Messaggio di quest’anno ci pare particolarmente adatto per ricomprendere il senso di un impegno che è attuale nella misura in cui riesce ad incidere sul serio sulla nostra vita, inducendoci a prendere le distanze dalle voracità che la zavorrano, e liberarla in considerazione anche dei bisogni dei fratelli.
8.
Questo ci porta a dire una parola ancora sulla gravissima crisi economica che sta attanagliando il mondo intero, con esiti rovinosi in tutta una serie di Paesi, non esclusi alcuni europei.
L’impressione è che purtroppo non si sia ancora toccato il fondo, o quanto meno che non ci sia nessuno in grado di dire con certezza a che punto si è della perigliosa attraversata.
Ci sostiene ancora una volta la parola lucida del Santo Padre che se da una parte scorge il bisogno di «competenza» per parlare con credibilità e fuori da facili moralismi, dall’altra avverte necessaria «una grande consapevolezza etica» informata da una coscienza illuminata dal Vangelo (cfr Discorso all’Incontro con il Clero di Roma, 26 febbraio 2009).
Come già si disse nella precedente prolusione, si rivela sempre più urgente e necessario affermare in modo chiaro e forte e riscoprire a livello concreto l’anima etica della finanza e dell’economia.
Ma l’attuale congiuntura diverrà l’occasione, si chiede il Santo Padre, per capire che «esiste realmente il peccato originale?».
Diversamente non comprenderemo come, nonostante i grandi discorsi e le acute analisi, la ragione è come «oscurata da false promesse» e la «volontà curvata» sul proprio tornaconto: infatti si incappa in una «idolatria che sta contro il vero Dio» falsificandone l’immagine con quella di mammona.
Bisogna risalire alla «radice dell’avarizia», a quell’egoismo che «sta nel volere il mondo per me», quando occorre invece trovare «la strada della ragione, e della ragione vera» (ib).
Il compito che Benedetto XVI intravvede per la Chiesa è quello «di essere vigilante», così da «cercare essa stessa con le migliori forze che ha […] di farsi sentire, anche ai diversi livelli nazionali e internazionali, per aiutare e correggere», ostacolando «la dominazione dell’egoismo, che si presenta sotto pretesti di scienza e di economia».
Il Papa ci invita ad «essere realisti.
[…] La giustizia si realizza solo se ci sono i giusti».
Questo è il punto, avverte, in cui la macroeconomia coincide con la microeconomia: ma «i giusti non ci sono se non c’è il lavoro umile, quotidiano, di convertire i cuori.
[…] Perciò il lavoro dei parroci è così fondamentale, e non solo per la parrocchia, ma per l’umanità.
Perché se non ci sono i giusti, la giustizia rimane astratta.
E le strutture buone non si realizzano se si oppone l’egoismo fosse pure delle persone competenti» (ib).
Nello stesso discorso al clero di Roma, il Santo Padre aveva posto una domanda interessante: «Chi conosce gli uomini di oggi meglio del parroco?».
E aggiungeva: «Dal parroco gli uomini normalmente vanno senza maschera […].
Nessun’altra professione, mi sembra, dà questa possibilità di conoscere l’uomo com’è nella sua umanità» (ib).
Questa affermazione ci suona tra l’altro particolarmente efficace dinanzi all’iniziativa dell’«Anno sacerdotale», appena indetto dal Papa in occasione del 150° anniversario della morte del Santo Curato d’Ars, e che prenderà avvio il prossimo 19 giugno (Benedetto XVI, Discorso alla Plenaria della Congregazione per il Clero, 16.3.2009).
I sacerdoti, insieme ai religiosi e alle religiose, ma anche a moltissimi laici che partecipano direttamente alla pastorale, sono il volto quotidiano e immediato di una Chiesa tutt’altro che «rigida e fredda»; sono il volto amico di una Chiesa che cammina con la gente.
Il fatto ha una serie di applicazioni importanti e aiuta a individuare la collocazione della Chiesa anche nell’ambito di questa drammatica crisi: stare dalla parte delle persone reali, delle famiglie, dei lavoratori, degli indigenti, senza tuttavia tralasciare il quadro generale, ma essendo capace dentro a questo quadro di esprimere una preferenza ragionata, sulla quale sollecitare anche i pubblici poteri, in particolare quando sono a rischio i posti di lavoro (cfr Benedetto XVI, Saluto all’Angelus, 1 marzo 2009).
E molti sono già persi! È vero che oggi sembra di cogliere una maggiore consapevolezza circa le dimensioni reali di quel che ci attende e la necessità di fare della crisi l’occasione per riassorbire gli squilibri maggiori, ma proprio per questo va intensificata un’azione di supporto concreto e subito efficace verso i soggetti più deboli, e le famiglie che si trovano più scoperte.
A livello pastorale, è noto il fiorire in tantissime diocesi di iniziative di solidarietà concreta, cui si unisce l’importante impegno ai vari livelli della Caritas, come degli Istituti di vita consacrata.
Già è stata annunciata, in seguito all’ultimo Consiglio Permanente, l’istituzione di un fondo di garanzia per le famiglie in difficoltà, che nascerà da una colletta comune da farsi nei modi che decideremo.
La nostra gente sappia che i Vescovi le sono decisamente vicini e che la nostra Chiesa non ha altra ambizione che curvarsi sui più bisognosi, e interpretare in prima persona e senza risparmio nella situazione data la parabola del buon Samaritano (cfr Lc 10,30-37).
Vi ringrazio, venerati Confratelli, per l’attenzione che avete voluto prestare alle mie parole introduttive, ad un tempo, al dibattito che ora segue sugli stessi temi e quindi agli argomenti che sono all’ordine del giorno.
Ci aiuti il pensiero delle nostre Chiese, e la solidarietà che esse puntualmente esprimono a noi pastori.
Ci aiuti soprattutto lo Spirito a cercare e a fare la volontà del Signore Gesù.
Lo chiediamo per intercessione di Maria, che venereremo mercoledì nel mistero gaudioso dell’Annunciazione, e per intercessione di san Giuseppe e dei Santi nostri protettori.
Angelo Card.
Bagnasco Presidente Con il Papa, sempre e incondizionatamente.
“Stare con il Papa, sempre e incondizionatamente”: riferendosi a quella “che è la migliore tradizione del nostro cattolicesimo”, il card.
Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha scelto tale pensiero di solidarietà con Benedetto XVI per sintetizzare l’argomento posto in apertura della prolusione al Consiglio episcopale permanente che ha preso il via questo pomeriggio a Roma.
Dopo aver richiamato la “remissione della scomunica ai quattro vescovi consacrati da monsignor Lefebvre nel 1988”, e il “caso Williamson che imponderabilmente vi si è come sovrapposto”, Bagnasco ha precisato che lo stesso Pontefice ha messo “un punto fermo con l’ammirevole Lettera del 10 marzo 2009, indirizzata ai vescovi della Chiesa cattolica”.
“La sua disanima, per certi versi conturbante, degli ultimi episodi…
ha fatto emergere come per contrasto – ha aggiunto Bagnasco – il candore di chi non ha nulla da nascondere circa le proprie reali intenzioni, le motivazioni concrete delle proprie scelte, la coerenza di una vita vissuta unicamente all’insegna del servizio più trasparente alla Chiesa di Cristo”.
Pensieri analoghi sono stati poi espressi sul viaggio in Africa di Benedetto XVI e sui temi affrontati, per i quali – ha notato – “si è arrivati ad un ostracismo che esula dagli stessi canoni laici”.
Illusione di un nichilismo gaio e trionfante.
Soffermandosi sulle difficoltà vissute da vari Paesi africani, Bagnasco ha richiamato le polemiche sorte sulle dichiarazioni del Papa circa i sistemi di controllo delle nascite e ha espresso l’esigenza di continuare gli aiuti specie in campo sanitario “finanziando la distribuzione di medicinali accessibili a tutti”.
Si è occupato poi del tema del “secolarismo”, parlando del confronto in atto nella nostra società “tra due diverse, per molti aspetti antitetiche visioni antropologiche”.
Nel confronto tra la concezione trascendente e quella immanente della natura umana, Bagnasco ha evidenziato che emerge “una diversa concezione di libertà…
per i cristiani essa è addirittura dono di Dio creatore”.
Sull’altro versante, invece, “l’individuo finisce schiacciato dalla propria libertà, e ritenendo di essere pieno e assoluto padrone di se stesso, arriva a disporre di sé a prescindere da ciò che egli è fin dal principio del suo esistere”.
Il rischio insito in questa visione è di “scivolare inevitabilmente verso un nichilismo di senso e di valori che induce alla disgregazione dell’uomo e ad una società individualista fino all’ingiustizia ed alla violenza.
Anzi – ha aggiunto – verso un nichilismo gaio e trionfante, in quanto illuso di aver liberato la libertà”.
Il caso Englaro è l’eliminazione dei soggetti deboli.
Nella parte centrale della sua prolusione, il card.
Bagnasco ha poi parlato ampiamente di Eluana Englaro, “la ragazza lecchese che per 17 anni è vissuta in stato vegetativo persistente e che è stata fatta morire a Udine il 9 febbraio scorso”.
Ha così descritto il suo caso come “un’operazione tesa ad affermare un «diritto» di libertà inedito quanto raccapricciante, il diritto a morire, cioè a darsi e a dare la morte in talune situazioni da definire”.
Ha poi posto la domanda che deriva dal caso-Englaro: “Non stiamo attribuendo al «sistema» un diritto all’eliminazione dei soggetti inabili, quasi che costoro possano configurarsi come cittadini di serie B? E questo «diritto», che per ora si affaccia appena, una volta immesso nel corpus giuridico e nel costume pubblico, non è forse destinato a diventare col tempo più incalzante e spietato? E tale meccanismo non riguarderà anzitutto coloro che sono più deboli, bisognosi di assistenza e di premura da parte della collettività, perché segnati dalla vecchiaia o dalla malattia o dalla fragilità mentale?”.
Il presidente della Cei ha invece affermato che “nelle moderne democrazie la vita va difesa perché è indispensabile limitare il potere biopolitico sia della scienza sia dello Stato” difendendo “i diritti umani di tutti”.
Deriva eutanasica e compatibilità di budget.
Ancora rifacendosi al caso-Englaro e al rischio che divenga uno standard di comportamento, Bagnasco ha aggiunto: “Un’autorizzazione legalizzata di questo segno, cosa potrà produrre in termini di cultura, e dunque di gestione delle cure, nelle più diverse strutture sanitarie come nell’intero sistema socio-assistenziale, fino alle compatibilità ultime di budget?”.
Ha quindi parlato di “deriva eutanasica, (che) per quanto tecnicamente circoscritta o concettualmente edulcorata, è in realtà per gli uomini d’oggi, se ci si pensa bene, «una falsa soluzione», come ha affermato il Papa il 1 febbraio scorso”.
Di Eluana il card.
Bagnasco ha poi parlato in termini affettuosi e partecipi, rimarcando che “più si palesava l’azione mossa nei suoi confronti…
più la gente è sembrata farsi cauta, quasi pensosa, come intuisse in maniera un po’ più nitida l’effettiva posta in gioco”.
“Al momento della morte – ha poi detto – si è percepito un sentimento di diffuso dolore, come di una sorella comune che non si era riusciti a salvare”.
Insieme al ringraziamento alle Suore Misericordine della clinica lecchese che ha accolto Eluana per tanti anni, Bagnasco ha richiamato l’iniziativa di Scienza & Vita, Forum delle associazioni familiari e Retinopera, col manifesto “Liberi per Vivere.
Amare la Vita, fino alla fine”, assicurando il sostegno ideale dei vescovi italiani.
Crisi del sud e crisi economico-finanziaria.
Avviandosi verso la conclusione della prolusione, il presidente della Cei si è poi occupato del convegno “Chiesa nel Sud, Chiese del Sud: nel futuro da credenti responsabili”, svolto nel febbraio scorso.
Parlando di “questa parte stupenda e martoriata del nostro Paese – ha detto – è venuta una rinforzata consapevolezza su una serie di sfide che vanno affrontate con le armi del Vangelo”.
Ha così citato i temi della disoccupazione “sproporzionata rispetto al resto del Paese”, della malavita “che peraltro non si autolimita al Meridione, di un “senso di abbandono da parte della collettività nazionale”.
Passando poi al tema della crisi economica e finanziaria in corso, ha affermato che “l’impressione è che purtroppo non si sia ancora toccato il fondo, o quanto meno che non ci sia nessuno in grado di dire con certezza a che punto si è della perigliosa traversata”.
Ha quindi esortato, citando recenti interventi del Papa, “a riscoprire l’anima etica della finanza e dell’economia”, rinunciando “all’idolatria che sta contro il vero Dio” e invitando alla giustizia in campo economico e finanziario, che “si realizza solo se ci sono i giusti”.
Il volto amico della Chiesa.
L’ultimo argomento affrontato dal card.
Bagnasco nella prolusione è stato quello dell’“Anno Sacerdotale”, indetto dal Papa in occasione del 150° anniversario della morte del Santo Curato d’Ars, che prenderà avvio il 19 giugno.
“I sacerdoti, insieme ai religiosi e alle religiose, ma anche a moltissimi laici che partecipano direttamente alla pastorale – ha detto a questo proposito – sono il volto quotidiano e immediato di una Chiesa tutt’altro che «rigida e fredda»; sono il volto amico di una Chiesa che cammina con la gente.
Il fatto ha una serie di applicazioni importanti e aiuta a individuare la collocazione della Chiesa anche nell’ambito di questa drammatica crisi: stare dalla parte delle persone reali, delle famiglie, dei lavoratori, degli indigenti, senza tuttavia tralasciare il quadro generale, ma essendo capace dentro a questo quadro di esprimere una preferenza ragionata, sulla quale sollecitare anche i pubblici poteri, in particolare quando sono a rischio i posti di lavoro (cfr Benedetto XVI, Saluto all’Angelus, 1 marzo 2009).
E molti sono già persi!”, ha concluso.
Riferendosi a questa sensibilità e vicinanza ai problemi della gente, ha qui richiamato le tante iniziative di solidarietà avviate nelle diocesi italiane.
Avvenire, 23 Marzo 2009 La Chiesa sta «dalla parte delle persone reali, delle famiglie, dei lavoratori, degli indigenti».
Lo ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, concludendo la sua prolusione al Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana (Cei), rivendicando una peculiarità della Chiesa, «volto amico che cammina con la gente».
Il presidente della Cei ha insistito su questo aspetto, quasi a contrapporre la realtà della vita quotidiana del popolo italiano con la visione distorta che ne danno i media, come dimostrano i casi – che il cardinal Bagnasco ha analizzato – degli attacchi al Papa, del caso Englaro e della deriva eutanasica, e della crisi economica.
Ma ecco in sintesi i principali passaggi della prolusione.
Il profluvio di critiche contro il Papa «si è prolungato oltre ogni buon senso» e «non accetteremo che il Papa, sui media o altrove, venga irriso o offeso».
Lo ha affermato il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, nel suo discorso di apertura del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana, invitando i vescovi a stringersi attorno al pontefice.
LE POLEMICHE – Una accorata difesa del Pontefice dalle critiche, spostatesi negli ultimi giorni dal fronte dei lefebvriani a quello dei preservativi, ha occupato tutta la prima parte del discorso del cardinale.
«Di certo si è prolungato, oltre ogni buon senso – ha detto – un pesante lavorio di critica, dall’Italia e soprattutto dall’estero, nei riguardi del nostro amatissimo Papa», sulla revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani e sul caso Williamson «che imponderabilmente vi si è come sovrapposto».
«Nessuno tuttavia – aggiunge il porporato – poteva aspettarsi che le polemiche sarebbero proseguite, e in maniera tanto pretestuosa, fino a configurare un vero e proprio disagio» sfociato poi nella lettera del Papa ai vescovi.
IL VIAGGIO IN AFRICA – Peggio ancora è andata con il «pellegrinaggio in Africa», un «viaggio impegnativo ed a un tempo ricco di speranza sovrastato nell’attenzione degli occidentali da una polemica, sui preservativi, che francamente non aveva ragion d’essere».
E in questa occasione «non ci si è limitati ad un libero dissenso – ha affermato con forza Bagnasco – ma si è arrivati ad un ostracismo che esula dagli stessi canoni laici».
Il presidente dei vescovi italiani parla di «irrisione» e «volgarità» giunta non solo dai media, ma anche da «alcuni esponenti politici europei» e «organismi sovranazionali».
«E mentre invitiamo i diversi interlocutori a non abbandonare mai il linguaggio di quel rispetto che è indice di civiltà, vorremmo dire, sommessamente ma con energia – ha concluso – che non accetteremo che il Papa, sui media o altrove, venga irriso o offeso».
ELUANA – Poi il cardinale ha parlato del caso di Eluana Englaro che ha rappresentato «un’operazione tesa ad affermare un diritto di libertà inedito quanto raccapricciante: il diritto a morire, darsi e dare la morte in talune situazioni da definire».
Quindi la richiesta: «Spetta alla politica agire nell’approntare e varare, senza lungaggini o strumentali tentennamenti, un inequivoco dispositivo di legge che – in seguito al pronunciamento della Cassazione – preservi il Paese da altre analoghe avventure, ponendo attenzione a coordinarlo con l’altro sospirato provvedimento relativo alla cure palliative, e mettendo mano insieme alle Regioni ad un sistema efficace di hospice, che le famiglie attendono non per sgravarsi di un peso ma per essere aiutate a portarlo».
DERIVA EUTANASICA – «Qualunque deriva eutanasica, per quanto circoscritta o edulcorata, è una falsa soluzione.
Nelle moderne democrazie, la vita va difesa perché è indispensabile limitare il potere «biopolitico» sia della scienza sia dello Stato.
Come vescovi», afferma il cardinale, «non possiamo non avere a cuore il superamento di qualunque rassegnazione culturale, che trova sostanza nel fermo sì alla tutela dei diritti umani di tutti e in un altrettanto netto no alla pena di morte, al commercio degli organi, alle mutilazioni sessuali, alle alterazioni fecondative, a qualsiasi manipolazione non terapeutica del corpo umano, pur se liberamente volute da persone adulte, informate e consenzienti».
Poi ha proseguito l’arcivescovo di Genova: «Ci ha causato una grande tristezza la storia dolorosa eppure umanissima di Eluana, quasi che essa potesse esistere solo nei termini in cui la desideriamo noi, priva di imperfezioni o asperità».
SCONTRO TRA CHI CREDE E CHI NO – Secondo Bagnasco, quindi, il vero scontro di civiltà è quello fra credenti e non credenti.
Non quindi un conflitto fra culture religiose diverse, ma tra chi fa discendere l’uomo da Dio, e da chi lo colloca nel mezzo di un’evoluzione ancora in corso «nell’esasperato paradigma evoluzionista» Corriere, 24 marzo ’09 NOTIZIE CORRELATE ·               La Ue al Papa: «Preservativi essenziali nella lotta all’Aids» ·               Lefebvriani, il Papa ai vescovi: «Colpito dalle ostilità» ·               Il Papa: dignità per la vita umana, anche quando è debole e sofferente