62ma Assemblea generale dei vescovi italiani

La 62ª Assemblea Generale della CEI si è aperta nel pomeriggio dell’8 novembre 2010, ad Assisi, con la prolusione del Card.
Angelo Bagnasco, Presidente della CEI.
Subito dopo il Nunzio Apostolico in Italia, S.E.
Mons.
Giuseppe Bertello, ha letto ai Vescovi il saluto del Papa.
Il giorno seguente, dopo la Celebrazione Eucaristica nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, si è passati all’esame della prima parte dei materiali della terza edizione italiana del Messale Romano.
Il 10 novembre il Presidente della CEI presiederà la celebrazione eucaristica nella Basilica Inferiore di Assisi.
La riflessione dei Vescovi si porterà poi sul ruolo e i rapporti fra le Chiese e l’Unione Europea.
Sarà presentata una proposta di rilancio delle erogazioni liberali per il sostentamento del clero e il Libro bianco informatico delle opere realizzate grazie all’otto per mille.
Saranno fornite informazioni circa lo stato di avanzamento della rilevazione delle opere sanitarie e sociali ecclesiali in Italia, la XXVI Giornata mondiale della gioventù (Madrid, 16-21 agosto 2011), il XXV Congresso Eucaristico Nazionale (Ancona, 3-11 settembre 2011), il VII Incontro mondiale delle famiglie (Milano, 30 maggio – 3 giugno 2012).
Suddivisi in piccoli gruppi, i Vescovi si confronteranno sulle proposte di attuazione pratica degli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, recentemente pubblicati.
   Comunicato Stampa 62a Assemblea Generale CEI.doc    Prolusione card.
Bagnasco
   Messaggio Benedetto XVI    Omelia Card.
Bagnasco
 Crociata: «Vescovi vicini al sentire della gente» Crociata: attenzione maggiore per la famiglia I vescovi italiani reclamano «un’attenzione maggiore e una cura più grande» nei confronti delle famiglia in una situazione economica nella quale «rischiano di essere quelle più dimenticate».
E ricordano che le scelte elettorali dei cattolici debbono basarsi su una attenta vautazione «delle prese di posizione e delle iniziative» dei partiti, nella quale il criterio suggerito dalla Chiesa è quello «culturale e valoriale, più e prima che direttamente politico».
Lo afferma il segretario della Cei,mons.
Mariano Crociata,  che nella prima conferenza stampa ad Assisi per fare il punto sui lavoro dell’assemblea della Conferenza episcopale, ha ricordato che la Cei è preoccupata per «i problemi concreti, quelli del lavoro, della disoccupazione, un dramma di cui le famiglie si fanno carico in tanti modi non trovando sostegno altrove».
Crociata ha sottolineato anche che  «chi è più in evidenza, chi sta più in primo piano ha un’incidenza maggiore, sul piano della comunicazione, per lo stile di vita e i valori».
Ma ha tenuto a prendere le distanze dalla ricerca di «capri espiatori» nell’uno o nell’altro dei partiti: «ad avere una rilevanza pubblica, a proiettare un’immagine pubblica siamo in tanti, a diversi livelli.
Anche noi vescovi, voi giornalisti, i vostri direttori».
«Solo così – ha scandito – il nostro discorso non è moralismo ma richiamo alle gravi responsabilità che tutti abbiamo nei confronti della collettività».
No allo scaricabarile delle responsabilità «Potrà apparire troppo generico, spero non qualunquistico – ha aggiunto il vescovo – ma ritengo che il senso della democrazia sia proprio questo sentirci tutti corresponsabili, anche se non nella stessa misura e modo».
«Se tante cose non funzionano – ha aggiunto – è perchè continuiamo a fare questo gioco di scarico delle responsabilità, la ricerca di un solo responsabile, di un capro espiatorio.
La prospettiva di un’antropologia negativa, di un cambiamento costume degli italiani è una cosa che tocca profondamente noi vescovi, una cosa che ci diciamo tra preti.
Ma dobbiamo anche dirci – ha detto ancora Crociata – che tutto questo non è il prodotto di una sola causa, per quanto le cause non sono tutte uguali.
Dobbiamo essere onesti nel guardare a tutte le cause nella loro articolazione, perchè solo così riusciremo ad affrontare i problemi».
Quanto alla nuova leva di politici cattolici richiesta da Benedetto XVI, Crociata ha confermato l’impegno della Chiesa per la formazione dei cattolici impegnati in politica che, ha detto, «deve essere rivisitato e riformulato nel nostro tempo che chiede risposte sempre nuove», mentre fin da subito «ci sono persone che hanno responsabilità pubblica ed hanno bisogno di essere accompagnati come credenti impegnati in politica.
Una presenza che – ha assicurato il presule – non vogliamo trascurare insieme all’accompagnamento di chi va avanti».
Vescovi vicini al sentire della gente I vescovi riuniti ad Assisi per la loro Assemblea straordinaria «si ritrovano – dunque – nell’orizzonte tracciato dal card.
Angelo Bagnasco nella sua prolusione di ieri con varietà e vivacità di voci ma con intento unitario e costante che trova nel magistero del Santo Padre un punto sentito di unità e di accordo».
Anche se è emersa, e non poteva essere altrimenti, una «varietà di sensibilità nell’unitarietà della premura» in quanto come è noto anche all’interno dell’Episcopato italiano oggi «lo spettro di sensibilità è abbastanza variegato».
Tutti i vescovi, comunque, «sono preoccupati di trovare nella radice pastorale del loro ministero la motivazione da cui partire e da tenere sempre presente per guardare ai problemi sociali, economici e culturali che il paese vive e che tutti stiamo attraversando».
Essi, del resto, «vivono un rapporto diretto con il territorio e la gente.
I loro interventi sono il riflesso della riflessione su quanto hanno ascoltato dal cardinale presidente Bagnasco e sui problemi di carattere nazionale, ma, nello stesso tempo, sono espressione di un’esperienza che raccoglie le domande, le attese, i problemi che la gente delle tante diocesi d’Italia si trova a vivere in una sintesi che permette di cogliere una nazione reale, un popolo cristiano molto unitario ma anche con molta complessità e varietà dei mille territori e comuni in cui si articola il Paese».
Ieri la prolusione del cardinale Bagnasco «La politica deve interessare i cattolici, e deve entrare nella loro mentalità un’attitudine a ragionare delle questioni politiche senza spaventarsi dei problemi seri che oggi, non troppo diversamente da ieri, sono sul tappeto».
È questo uno dei passi salienti della prolusione tenuta del card.
Angelo Bagnasco, presidente della Cei, alla 62ma Assemblea generale dei vescovi italiani, che si è aperta ieri, lunedì, ad Assisi, fino all’11 novembre.
Nel testo, il cardinale esorta i cattolici ad adottare in politica «un giudizio morale che non sia esclusivamente declamatorio, ma punti ai processi interni delle varie articolazioni e responsabilità sociali e istituzionali».
«Famiglie in difficoltà, adulti che sono estromessi dal sistema, giovani in cerca di occupazione stabile anche in vista di formare una propria famiglia»: queste, per il card.
Bagnasco, le «situazioni che continuano a farsi sentire», in tempo di crisi.
Di qui la richiesta che «le riforme in agenda siano istruite nelle maniere utili», in modo da assicurare «maggiore stabilità per il Paese intero».
Per quanto riguarda la «scena politica», il presidente della Cei parla di «caduta di qualità, che va soppesata con obiettività, senza sconti e senza strumentalizzazioni, se davvero si hanno a cuore le sorti del Paese, e non solamente quelle della propria parte».
  «Se la gente perde fiducia nella classe politica, fatalmente si ritira in se stessa», l’ammonimento della Cei, che in politica raccomanda una «tensione necessaria tra ideali personali, valori oggettivi e la vita vissuta, tra loro profondamente intrecciati».
Per i vescovi italiani, «non è più tempo di galleggiare», perché il rischio «è che il Paese si divida non tanto per questa o quella iniziativa di partito, quanto per i trend profondi che attraversano l’Italia e che, ancorandone una parte all’Europa, potrebbero lasciare indietro l’altra parte.
Il che sarebbe un esito infausto per l’Italia, proprio nel momento in cui essa vuole ricordare – a 150 anni dalla sua unità – i traguardi e i vantaggi di una matura coscienza nazionale».
Il presidente della Cei chiede quindi un «esame di coscienza» e propone di «convocare ad uno stesso tavolo governo, forze politiche, sindacati e parti sociali e, rispettando ciascuno il proprio ruolo ma lasciando da parte ciò che divide, approntare un piano emergenziale sull’occupazione».
«Grande vicinanza», poi, nei confronti delle «popolazioni che di recente sono state colpite da esondazioni e allagamenti».
«Calamità naturali», ma anche «incuria e imperizia troppo spesso riservate all’habitat umano» dimostrano che l’Italia ha bisogno «di un piano puntuale di messa in sicurezza del territorio», cui va data priorità.
Aspettarci che i cattolici circoscrivano il loro apporto nell’ambito sempre importante della carità – ha ribadito il presidente della Cei – significa scadere in una visione utilitaristica, quando non anche autoritaria.
I cattolici non possono consegnarsi all’afasia, ideologica o tattica: se lo facessero tradirebbero le consegne di Gesù ma anche le attese specifiche di ogni democrazia partecipata.
«Dobbiamo muoverci senza complessi di inferiorità», questa l’esortazione del card.
Bagnasco: «Siamo, e come, interessati alla vita della società; in essa ci si coinvolge con stile congruo, ma a determinarci non solo l’istinto di far da padroni né le logiche di mera contrapposizione».
Di qui l’invito a reagire al «conformismo»: «Se i credenti conoscono solo le parole del mondo, e non dispongono all’occorrenza di parole diverse e coerenti, verranno omologati alla cultura dominante o creduta tale, e finiranno per essere anche culturalmente irrilevanti».
«La mitezza non è scambiabile con la mimetizzazione, l’opportunismo, la facile dimissione dal compito», ha proseguito il cardinale, che ha esortato a salvare «l’autonomia della coscienza credente rispetto alle pressioni pubblicitarie, ai ragionamenti di corto respiro, ai qualunquismi, alle lusinghe».
Cattolici «scomodi»? Talvolta forse sì, ma «non per posa o per pregiudizio, quanto per sofferta, umile, serena coerenza».
Infine Bagnasco chiede un «piano emergenziale sull’occupazione» messo a punto da governo, forze politiche, sindacati e parti sociali in spirito di collaborazione.
«È possibile – chiediamo rispettosi – convocare ad uno stesso tavolo governo, forze politiche, sindacati e parti sociali e, rispettando ciascuno il proprio ruolo ma lasciando da parte ciò che divide, approntare un piano emergenziale sull’occupazione? Sarebbe un segno – osserva Bagnasco – che il Paese non potrebbe non apprezzare».
Il messaggio del Papa: nella famiglia si plasma il volto di un popolo È all’interno della famiglia «che si plasma il volto di un popolo».
Per questo «è quanto mai opportuna» la scelta dei vescovi italiani di «chiamare a raccolta intorno alla responsabilità educativa tutti coloro che hanno a cuore la città degli uomini e il bene delle nuove generazioni».
E di porre questa «alleanza» accanto alla famiglia, al fine di riconoscerne e sostenerne «il primato educativo».
Lo scrive il Papa nel messaggio inviato ieri all’Assemblea dei vescovi italiani riuniti ad Assisi e letto in aula dal nunzio in Italia, monsignor Giuseppe Bertello.

La sfida della Spagna dai due volti

Il viaggio di Benedetto XVI in Spagna sembrava una combinazione occasionale tra due inviti.
Invece è stato un messaggio unitario: la visita alle due Spagne (quella cattolica e quella moderna e laica).
Santiago rappresenta la prima.
Barcellona, città europea in sviluppo e di grande turismo, esprime la Spagna laica.
Le due Spagne si fronteggiano sulla visione del futuro, sulla famiglia, sulla religione.
Dietro di loro sta la memoria della guerra civile.
Nel sistema politico spagnolo o vince l’una o l’altra.
La sfida è irriducibile e più profonda della politica.
In aereo, il Papa ha definito la Spagna come «Paese originario del cristianesimo».
Ma ha aggiunto correttamente: «In Spagna è nata anche una laicità, un secolarismo, forte e aggressivo, come abbiamo visto negli anni Trenta».
Il  Papa non si è gettato nel conflitto.
Non ha nemmeno adattato irenicamente il suo messaggio.
Ha confermato però il passo lieve, non incerto, con cui venne a Valencia nel 2006, quando Zapatero era quasi agli inizi.
Si è presentato con ingenuità sapiente.
Sa che «questo scontro tra fede e modernità, ambedue molto vivaci, si realizza anche oggi di nuovo in Spagna».
Eppure gli europei — come diceva Benedetto Croce — non possono non dirsi cristiani; ma sono anche figli di una storia «laica».
Per Benedetto XVI la tragedia europea è «la convinzione che Dio è l’antagonista dell’uomo e il nemico della libertà», ha detto.
Di questo antagonismo il Papa misura tutta la profondità culturale, antropologica e politica.
Con ingenuità, non da antagonista, ha parlato della bellezza del cristianesimo.
Lo ha fatto con un modo che sfugge all’ autoreferenzialità di tanti discorsi ecclesiastici in Europa, incapaci di superare le soglie delle chiese.
Proprio nella moderna Barcellona, la città spagnola più lanciatasi dopo il franchismo nella sfida della crescita, è venuto in aiuto al Papa il genio laico e credente di Antoni Gaudí.
Il grande architetto catalano ha gettato le basi del più importante monumento religioso dell’Europa contemporanea, la Sagrada Familia.
Morto nel 1926, ha lasciato alle generazioni successive l’impegno di completare una chiesa che, a un pensiero utilitaristico, appariva interminabile e grandiosa.
Fortunatamente la passione catalana ha perseverato nella costruzione.
Benedetto XVI ha individuato nell’opera «carismatica» di Gaudí il superamento della «scissione tra coscienza umana e coscienza cristiana… tra la bellezza delle cose e Dio come Bellezza».
La basilica parla della Sacra Famiglia, tema caro ai cattolici per la difesa della famiglia, ma anche emblematico per esprimere i legami nella comunità nazionale e tra i popoli.
Benedetto XVI ha invitato a difendere famiglia, vita, natalità.
Ha chiesto «che in questa terra catalana si moltiplichino e consolidino nuovi testimoni di santità».
Anche all’autonoma Catalogna ha additato un futuro cristiano.
Benedetto XVI non vuole adattare la Chiesa all’agenda della modernità.
Ma non ci si può solo combattere.
In qualche modo bisogna varcare le frontiere e compenetrarsi.
Non è storia di un giorno o un accordo politico.
Il «grande disegno» di papa Ratzinger sembra come la Sagrada Familia, iniziata nel 1883: non solo per i tempi lunghi della costruzione, ma per la convinzione che la bellezza sia decisiva nel cristianesimo.
L’idea di bellezza parla di una Chiesa non minimalista e alla rincorsa dei tempi, ma nemmeno arcigna e antagonista.
Nel quadro solenne della consacrazione della chiesa, Benedetto XVI è stato chiaro: «Questo è il grande compito, mostrare a tutti che Dio è Dio di pace e non di violenza, di libertà e non di costrizione, di concordia e non di discordia».
La Chiesa dev’essere bella, come la Sagrada Familia, «in un’epoca in cui — ha detto — l’uomo pretende di edificare la sua vita alle spalle di Dio, come se non avesse più niente da dirgli».
C’è un messaggio al mondo, ma ce n’è un altro esigente per la Chiesa: che sia «icona della bellezza divina».
Sono due sfide in una Spagna divisa in due, per un Papa tenace.
in “Corriere della Sera” dell’8 novembre 2010

La “rivoluzione demografica”

Per il professor Ettore Gotti Tedeschi, economista e banchiere, presidente dell’Istituto per le Opere di Religione, la banca del Vaticano, la causa prima della crisi economica dell’Occidente è il crollo della natalità.
Gotti Tedeschi sostiene questa tesi da tempo, con molto vigore.
E la argomenta in frequenti conferenze ed articoli su “L’Osservatore Romano”.
Alcuni continuano però a pensare che a bloccare lo sviluppo economico non sia la diminuzione ma l’aumento incontrollato delle nascite.
Uno dei più accesi propagandisti di questa tesi neomalthusiana è un celebre professore di scienza della politica, con cattedra per molti anni a New York, il professor Giovanni Sartori, editorialista di spicco del maggior quotidiano italiano, il “Corriere della Sera”, dalle cui colonne attacca ripetutamente la Chiesa cattolica in quanto paladina di “una crescita demografica dissennata”, foriera solo di disastri.
Le due tesi sono opposte e del tutto inconciliabili.
A parere di Gotti Tedeschi, non è sufficiente a risolvere la crisi economica nei paesi occidentali neppure una compensazione del crollo della natalità tramite gli immigrati.
Su questo punto, però, non tutti sono d’accordo in tutto con lui.
Non solo tra i demografi, ma neppure in quel “think tank” della Santa Sede che è “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma le cui bozze, per statuto, sono lette e controllate prima della stampa dalla segreteria di stato vaticana.
Su “La Civiltà Cattolica” del 2 ottobre il direttore dell’autorevole rivista, il gesuita GianPaolo Salvini (nella foto), ha dedicato undici pagine a presentare un libro di due demografi i quali sostengono, cifre alla mano, che in Italia la popolazione non è affatto in declino, ma vive anzi una nuova “rivoluzione demografica”, nella quale le forti immigrazioni, l’aumento della durata della vita, la ripresa della natalità, la tenuta dei legami fra genitori e figli interagiscono tra loro in modo positivo.
Gli autori del libro sono Francesco C.
Billari, dell’Università Bocconi di Milano, e Gianpiero Dalla Zuanna, dell’Università di Padova.
Di quest’ultimo, www.chiesa ha recensito lo scorso settembre un saggio sul controllo delle nascite nella pratica pastorale della Chiesa.
Il libro recensito con evidente favore da padre Salvini è il seguente: F.C.
Billari, G.
Dalla Zuanna, “La rivoluzione nella culla.
Il declino che non c’è”, Università Bocconi Editore, Milano, 2009.
L’Italia è un caso di studio di prima importanza, tra i paesi occidentali, riguardo agli andamenti demografici e ai flussi migratori.
Il 27 ottobre, commentando sul “Corriere della Sera” l’ultimo rapporto annuale della Caritas-Migrantes sull’immigrazione, diffuso il giorno precedente, il professor Dalla Zuanna ha scritto: “Oggi vivono in Italia cinque milioni e mezzo di stranieri, undici volte di più rispetto al 1990.
Questa crescita ha conseguenze profonde su demografia, economia, società e cultura.
L’invecchiamento è rallentato, perché gli stranieri hanno in media 30 anni, contro i 45 degli italiani.
Oggi i giovani stranieri sostituiscono i figli che i genitori italiani non hanno voluto o potuto avere”.
Ma subito dopo ha aggiunto, prudentemente: “È difficile dire in che misura gli stranieri influenzano lo sviluppo economico”.
Quanto a padre Salvini, a riprova della sua competenza in materia, è uscito la scorsa primavera un libro a tre voci da lui scritto assieme a un economista dell’Università di Chicago e al direttore editoriale del Gruppo Il Sole 24 Ore: GianPaolo Salvini, Luigi Zingales, Salvatore Carrubba, “Il buono dell’economia.
Etica e mercato oltre i luoghi comuni”, Università Bocconi Editore, Milano, 2010.
Verso la fine della sua recensione al saggio di Billari e Dalla Zuanna, il direttore della “Civiltà Cattolica” sostiene che per far progredire l’economia la crescita demografica dovrebbe essere comunque “moderata”, col ricorso alla “procreazione responsabile” raccomandata dal magistero della Chiesa e da ultimo dall’enciclica “Caritas in veritate”.
Ecco qui di seguito un estratto della recensione di padre Salvini, uscita sul quaderno 3847 della “Civiltà Cattolica”, con la data del 2 ottobre 2010.
__________ DECLINO DEMOGRAFICO E IMMIGRAZIONE IN ITALIA di GianPaolo Salvini La tesi di fondo [dei demografi Francesco C.
Billari e Gianpiero Dalla Zuanna] è che la popolazione italiana, nel suo complesso, non è affatto in declino, neppure statisticamente, grazie alla massiccia immigrazione dall’estero.
[…] Nel giugno 2008 in Italia (calcolando anche gli stranieri in attesa di regolarizzazione) vivevano 60 milioni e 300.000 persone, cioè quasi tre milioni in più rispetto a dieci anni prima.
In alcune città, come Milano, Torino e Firenze, la fecondità è del 40-50 per cento più alta che a metà degli anni Novanta.
“Nell’ultimo decennio, la rapidità dell’invecchiamento è diminuita, malgrado il continuo aumento della sopravvivenza degli anziani, grazie all’ingresso di tre milioni di nuovi giovani cittadini, provenienti spesso da paesi lontani.
[…] Ciò che sta accadendo oggi e le tendenze per l’immediato futuro suggeriscono che è nata, e cresce oggi nella culla, una vera e propria rivoluzione demografica.
Proprio così: rivoluzione, non declino.
Almeno per i prossimi venti o trent’anni saranno attivi potenti meccanismi che permetteranno alla popolazione italiana di rinnovarsi, senza invecchiare in maniera socialmente insostenibile.
[…] Come mai invece la maggioranza degli osservatori continua a parlare di declino demografico e a sottolineare l’inevitabile squilibrio che si va producendo tra persone in età lavorativa e i pensionati? Anzitutto perché ci si basa su previsioni sbagliate, cominciando da quelle della divisione dell’ONU per la popolazione.
[…] Secondo i due demografi le proiezioni indicate non sono attendibili, in primo luogo perché la popolazione di partenza è largamente sottostimata, poiché non si tiene conto degli stranieri irregolari ma stabilmente presenti in Italia.
Questi, si voglia o no, saranno prima o poi quasi tutti regolarizzati, come è sempre avvenuto negli ultimi 15 anni.
Ma inoltre l’ONU suppone che nei prossimi 20 anni entreranno in Italia 140.000 immigrati ogni anno, mentre nel periodo tra il 1999 e il 2004 gli ingressi in Italia sono stati di circa 300.000 all’anno, e si sono mantenuti su questa cifra anche nel triennio successivo.
Se la tendenza continuasse, non diminuirebbero né i lavoratori né i minori di 20 anni, anche se gli anziani continuerebbero ad aumentare a causa del progressivo allungamento della vita media, e del fatto che arriveranno alla pensione i molti figli del baby boom, nati tra il 1950 e il 1970.
[…] Per molti perciò l’immigrazione è un freno allo sviluppo economico o, al massimo, un rimedio, insufficiente, per compensare l’incepparsi dei normali meccanismi di ricambio della popolazione, cioè natalità e mortalità, che in molte lingue sono tuttora considerate le sole due componenti “naturali” dell’evoluzione demografica.
Ma quando gli studiosi “parlano di ricambio naturale o di ricambio migratorio, più o meno consapevolmente formulano un giudizio di valore (‘per la demografia un nato è meglio di un immigrato’), scherzando con il fuoco del pregiudizio razzista e nazionalista”.
[…] È bene rievocare anche la storia passata dell’Italia, che ha sempre conosciuto profondi rimescolamenti di popolazione sia da una regione all’altra, sia provenienti dall’estero: tedeschi in varie valli delle Alpi, greci e albanesi al sud ecc.
Tesi del libro che presentiamo è che “una popolazione chiusa ai modelli migratori, con meno di due figli per donna, è destinata inevitabilmente a invecchiare e – alla lunga – a scomparire, anche quando la mortalità è molto bassa”.
A quanto detto si può aggiungere che in Italia il fenomeno dell’immigrazione dai paesi poveri non solo si è verificato più tardi che in altri paesi europei (alcuni già abituati, fra l’altro, a reclutare manodopera non qualificata nelle loro colonie), ma è avvenuto con una velocità del tutto imprevista, il che costituisce un vero primato.
Nell’ottobre 1981 erano stati censiti 210.000 stranieri residenti in Italia, dei quali solo 60.000 nati in paesi più poveri dell’Italia.
A metà del 2008 vivevano stabilmente in Italia più di 4 milioni di stranieri, quasi tutti provenienti dai paesi poveri.
[…] Le zone con forte flusso di immigrati sono spesso quelle [economicamente] più dinamiche, ed è un dinamismo destinato a protrarsi.
Un terzo dei nuovi assunti nel Veneto nel 2007 era straniero.
Non occorre molto per capire che nelle aree dove ci sono molti benestanti viene richiesta una manodopera che si occupi delle attività che il benessere acquisito consente di evitare, ma che sono indispensabili per vivere bene: pulire le case, fare da mangiare, lavare i vestiti ecc.
Anche se il fenomeno può essere deplorato sotto molti aspetti, è probabile che gli italiani continuino a fare pochi figli, cioè meno di 1,5 per ogni donna.
[…] Il rinnovo della popolazione italiana, lo si voglia o meno, sarà perciò assicurato dagli immigrati stranieri.
[…] Il problema che si pone è di sapere se questo flusso continuerà anche nel prossimo ventennio.
Non manca chi pensa a soluzioni alternative alle immigrazioni, o almeno complementari ad esse.
Ad esempio, innalzando di vari anni l’età della pensione, oppure agevolando il rientro nel mercato del lavoro delle donne anche dopo la nascita dei figli, oppure aumentando drasticamente la produttività (cioè la quantità di prodotto per ogni lavoratore), in modo da diminuire il fabbisogno di manodopera da parte delle imprese.
Ma, secondo i demografi, queste tre ipotesi, tutte da non trascurare, non saranno sufficienti a supplire alla mancanza di lavoratori.
Oltre al fabbisogno delle imprese c’è il problema sociale del pagamento delle pensioni in un sistema dove esse vengono pagate dagli attuali lavoratori.
I pensionati aumenteranno certamente e in modo rilevante, e questo renderà indispensabile allargare la base dei lavoratori attivi, poiché non è ragionevole ipotizzare un drastico abbassamento del livello delle pensioni.
A invecchiare infatti è il corpo elettorale, che reagirebbe energicamente a una decurtazione sostanziosa delle proprie pensioni.
Naturalmente si può sempre sperare in una ripresa della natalità a breve scadenza, ma questo incremento non modificherebbe il quadro dei prossimi anni, caratterizzato da una drammatica riduzione della popolazione italiana in età lavorativa.
I nuovi nati infatti arriverebbero in ogni caso sul mercato del lavoro dopo il 2030 e, nel frattempo, potrebbero anzi essere necessari nuovi lavoratori stranieri se la ripresa delle nascite distogliesse un numero rilevante di donne dal lavoro, o facesse aumentare la richiesta di lavoro domestico.
Da quanto abbiamo detto, sembra inevitabile che per i prossimi due decenni l’Italia dovrà accogliere ogni anno quasi 300.000 immigrati in età tra i 20 e i 59 anni, cioè quanti ne sono entrati annualmente nell’ultimo decennio.
[…] Se l’arrivo di lavoratori stranieri è inevitabile – a parte le considerazioni umanitarie e cristiane a cui il papa e molti vescovi hanno più volte accennato – sarà quindi bene essere previdenti.
Per questo abbiamo cercato qui di fare un discorso “laico”.
Certo non si tratta di accogliere tutti coloro che vogliono arrivare, o di consentire che si formino ghetti all’interno del nostro paese.
Tanto meno che si accolgano o si sia tolleranti verso persone che non si adeguano al nostro ordinamento, che non osservano le leggi civili e penali del paese o non ne vogliono parlare la lingua.
Ma, se intendono restare, è bene che vengano aiutati a integrarsi nel modo migliore possibile.
[…] C’è certamente il problema umano e sociale della riduzione del numero di figli, a cui, ad esempio, il prof.
Ettore Gotti Tedeschi ha fatto molte volte allusione.
Si tratta certamente di una componente che ha modificato profondamente la struttura umana e produttiva della nostra società.
Nel clima di una polemica con l’economista, il prof.
Giovanni Sartori ha negato, un po’ troppo drasticamente, ogni correlazione tra crescita demografica e crescita economica.
Sembra invece esistere, anche in base all’esperienza storica passata e attuale, un certo consenso tra i demografi e gli economisti nell’affermare una correlazione fra la crescita economica e una costante, ma moderata, crescita demografica.
Non per nulla l’enciclica “Caritas in veritate”, certamente a favore della vita, parla della necessità di “prestare la debita attenzione a una procreazione responsabile ” (n.
44), cioè non fatta a casaccio.
Un drastico e inarrestabile calo demografico ha sempre accompagnato le epoche di declino delle varie civiltà.
A meno che – qualora un grande paese non riesca a trovare in se stesso la speranza nel futuro e le condizioni che portano a fare più figli, almeno per conservare l’equilibrio demografico – non si apra in modo umano e corretto alle immigrazioni da altri popoli, come sta avvenendo in Italia in modo per ora alquanto contraddittorio e spontaneo.
Ma anche questa soluzione non è indolore, come abbiamo cercato di dimostrare, e richiede lungimiranza e coraggio, che sinora in Italia non sembra siamo stati capaci di trovare.
__________ La rivista dei gesuiti di Roma su cui è uscita la recensione: > La Civiltà Cattolica E il testo integrale della stessa, riprodotto per gentile concessione della rivista: > Declino demografico e immigrazione in Italia

Così la fede rinasce nella notte

Queste parole mi fanno sempre molta impressione, perché non mi è mai capitato di dire: «La mia anima è triste fino alla morte»; ci sono stati momenti di tristezza, ma proprio di essere schiacciato, di essere stritolato non mi è mai successo.
Penso quindi che a Gesù sia accaduto qualcosa di terribile.
Che cosa sarà stato? Probabilmente la previsione imminente della passione; forse Gesù non sapeva tutti i particolari, ma sapeva che gli uomini ce l’avevano con lui, volevano eliminarlo nella maniera più crudele possibile.
Sapeva di essere in mano a uomini cattivi: questo è già un motivo di paura e di angoscia.
Ma poi probabilmente sentiva su di sé tutta l’ingiustizia del mondo e questo è qualcosa che non si può sopportare; l’ingiustizia del mondo che si esprime nelle guerre, nelle carestie, nelle oppressioni, nelle forme di schiavitù, che è immensa e percorre tutta la storia.
E quando noi ci fermiamo a considerare questa ingiustizia, siamo come senza fiato, siamo schiacciati.
Però Gesù ha voluto essere quasi schiacciato da queste cose per poterle prendere su di sé.
Quindi dobbiamo dire che da una parte le ingiustizie del mondo, della storia, della storia della Chiesa ci fanno soffrire, ma che insieme siamo certi che Gesù le ha accolte in sé, e quindi le ha riscattate.
Non sappiamo come, ma questa è una certezza che ci deve accompagnare, e ci deve accompagnare in tutte le notti della sofferenza, del dolore, quando uno si trova di fronte a una notizia che lo riguarda e che è infausta.
Per esempio un tumore, pochi mesi di vita.
Allora succede come una sorta di ribellione, di non accettazione.
C’è una lotta interiore.
Notte della sofferenza, notte della fede in cui non si sente più la presenza di Dio.
Questo è molto duro, soprattutto quando si è impegnati.
Notte della fede per cui sono passati san Giovanni della Croce e, recentemente, Madre Teresa di Calcutta, la quale diceva che fino a verso i cinquant’anni le pareva che Dio le fosse vicino, poi più niente.
Avendola conosciuta, vedevo questo suo rigore, questa sua fedeltà, questa sua tensione, ma non immaginavo che dietro ci fosse il buio completo sull’esistenza di Dio, del Dio rimuneratore.
Anche santa Teresa di Gesù Bambino è passata per questa notte.
Possiamo dire che tutte queste notti sono riassunte nella notte del Getsèmani e in essa Gesù riceve tutte le nostre ingiustizie e le fa sue, le accoglie per poterle offrire e purificarle.
Questa è una prima immagine che vi lascio.
Una seconda immagine è quella della tomba.
Che cosa sia avvenuto il giorno di Pasqua, noi non lo sappiamo.
La liturgia romana dice: «Beata notte, che non hai saputo il giorno e l’ora»; e noi non sappiamo niente, nessuno è stato presente, nessuno ce l’ha raccontato; però possiamo immaginarne le conseguenze.
Lo descriverei così: un grande scoppio di luce, di pace e di gioia nella notte della tomba.
Scoppio di luce, di pace e di gioia che è potenza dello Spirito, che prende prima di tutto il corpo di Gesù e lo vivifica, lo rende capace di essere intercessione per il mondo.
Ma poi continua in ciascuno dei viventi suscitando in lui le disposizioni di Gesù.
Mi pare quindi che sia troppo riduttivo dire: lo Spirito Santo è il segno dell’amore di Dio per me.
Lo Spirito Santo è segno delle scelte di Gesù fatte mie.
È quella forza, quel dinamismo, quella capacità di amare il povero, di amare il sofferente, di amare colui che si trova in situazione di ingiustizia perché così lo Spirito compie la sua opera.
E noi possiamo dire che quest’opera si compie sempre quando Gesù dice: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,26).
Vuol dire la sua presenza anche con il suo Spirito, con la sua capacità di vedere le cose, di reagire alle cose, di giudicare le cose.
Certo, occorre per questo un grande spirito di fede, perché molta gente dirà: «Io non vedo niente, io vedo le cose andare di male in peggio».
Occorre l’occhio della fede per leggere negli eventi miei e intorno a me questa presenza dello Spirito Santo che costruisce il mondo nuovo, la Gerusalemme celeste, che non è una città nel cielo separata da qui, ma una città che viene dal cielo, cioè dalla forza di Dio e trasforma tutti i rapporti di questa terra.
Nessuno meglio di Teilhard de Chardin ha descritto questa Gerusalemme celeste in cui vedeva appunto il termine finale, il punto omega della redenzione nel Cristo, dove tutta l’umanità era riunita e salvata, una e trasparente gli uni agli altri, e tutti noi verso Dio.
Occorre tenere presente questo fine della storia, perché altrimenti siamo banalizzati dalle vicende quotidiane, oppure siamo sofferenti quando ci sono grandi calamità e non abbiamo nessuna chiave per interpretarle.
E questa che vi ho detto non è una chiave logica, è una chiave mistica spirituale data dallo Spirito Santo: cercare di vedere in tutto l’azione dello Spirito che opera incessantemente in “Avvenire” del 6 novembre 2010

Intervista a Dionigi Tettamanzi: L´immoralità è dilagante, a tutti i livelli della società.

L’intervista «L´Italia di oggi è malata, come lo era Milano ai tempi di San Carlo e della peste.
Ogni giorno leggendo i giornali si è portati a pensare che si stia sprofondando sempre più in basso.
L´immoralità è dilagante, a tutti i livelli della società.
Purtroppo, è diffusa l´idea che la vita debba essere per forza spensierata e allegra e talvolta si finisce per stordirsi sino all´ebbrezza.
L´opinione pubblica sembra distratta da frivolezze, non avvertendo la gravità del momento.
Ho però la speranza che prima o poi la nostra società trovi la forza di reagire e di rinnovarsi».
Non si preoccupa di celare l´amarezza, il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, alla vigilia della messa in Duomo nella solennità di San Carlo Borromeo, in occasione della quale leggerà una lettera di papa Benedetto XVI.
Ed è proprio pensando a quelle che definisce le «miserie dell´attualità» che il porporato decide di sottolineare l´attualità dell´esempio di San Carlo, il grande teorico del rigore nella società e moralizzatore dei costumi.
Eminenza, che cosa pensa di quel che si legge in questi giorni sulle vicende private del presidente del Consiglio? «Il problema non è quello che provo io, in questo clima di insipienza diffusa.
Il problema più grave lo vivono i genitori che devono spiegare che cosa sta succedendo ai propri figli, alle figlie che hanno la stessa età di quelle che si vedono in foto sui quotidiani in questi giorni.
Di fronte a questo scadimento dei costumi bisognerebbe occuparsi di quel che filtra nel quotidiano delle persone, bisognerebbe dare voce al grave disagio che vive una società bombardata da messaggi distraenti e edonistici, in cui tutto si misura solo sulla base del divertimento, dello scherzo greve.
Panem et circenses, si diceva ai tempi dei Romani».
Che cosa pensa che recepisca la gente? «Si parla tanto di valori, si brandisce questa parola come un programma e uno scudo.
Ma poi ci si comporta ispirandosi a principi molto diversi, si contribuisce a diffondere modelli educativi vuoti e pericolosi, soprattutto per le nuove generazioni».
Allude a chi in pubblico parla del valore della famiglia e poi in privato ha altre priorità? «Non si deve scindere mai l´aspetto privato da quello pubblico.
Soprattutto quando si hanno particolari responsabilità, in ogni ambito, il privato e il pubblico coincidono.
E bisogna comportarsi in modo coerente con quel che si dice.
Spesso alcuni mi dicono che mi dovrei interessare solo delle anime, ma sono convinto che devo occuparmi della persona nella sua integralità: anima e corpo insieme.
E che quando si parla di valori, bisogna anche impegnarsi a creare le condizioni necessarie per realizzarli, altrimenti il discorso è inutile se non controproducente».
In questa situazione lei pubblica un libro dedicato a San Carlo («Dalla tua mano», Rizzoli).
Non le sembra una figura “inattuale” da proporre alla società di oggi? «Me lo sono chiesto anch´io.
Penso però che San Carlo sia quanto mai attuale, non solo perché proponeva uno stile di vita fortemente evangelico e umanizzante, ma perché la sua figura oggi ci inquieta, ci chiede di non accontentarci di quel che appare di facile conquista, di quel che viene comunemente accettato dalla società.
Lui ci sprona ad essere presi dall´ansia del bene e del vero, per contagiare anche gli altri».
Lei ha parlato «dell´immoralità e disonestà che lacera la vicenda umana».
«La convivenza civile è minata dalla ricerca del successo a tutti i costi, è manipolata per strapparne il consenso, è tradita quando non è aiutata a cercare il bene comune.
Bisogna amare instancabilmente, perdonando, donando tutto di sé, preferendo i poveri e gli ultimi.
Il Borromeo attraversava la città ferita dalla peste, stava in mezzo alla gente, specie se povera e provata, non per essere populista, per guadagnare consenso e plauso, ma per vivere relazioni autentiche».
La Chiesa dà voce al disagio per la situazione politica italiana.
Ma il vostro allarme non viene recepito.
Lei stesso è stato spesso attaccato per le sue posizioni.
Non si sente isolato? «L´unico criterio per me è il Vangelo e la fedeltà ad esso.
Anche quando è scomodo, anche quando impone un prezzo da pagare, anche quando la fedeltà relega a posizioni di minoranza o porta ad incomprensioni o irrisioni.
Anche San Carlo diceva cose “inattuali” al suo tempo.
Oggi viviamo una frazione di storia nella quale ci pare di essere al colmo del male, dove il bene non si vede e non riesce a crescere, a contagiare, a rinnovare.
Ma penso che avere uno sguardo più ampio e profondo possa esserci di grande aiuto.
Quel che ora non fruttifica domani può germogliare».
in “la Repubblica” del 4 novembre 2010

Intervista a Mons. Shlemon Warduni: “E ora come facciamo a fermare l’esodo dalla Mesopotamia?”

L’intervista Monsignor Shlemon Warduni è vescovo cattolico di Baghdad, guida spirituale dei Caldei e membro in Vaticano del Consiglio Speciale per il Medio Oriente.
Si sarebbe mai aspettato un bagno di sangue in una chiesa? «Una tragedia del genere era impensabile persino in un Paese senza sicurezza né stabilità come l’Iraq.
Ma ormai purtroppo nessuno può prevedere dove possa arrivare una violenza che non risparmia più niente e nessuno.
Come minoranza siamo un bersaglio costante e conviviamo con un logorante senso di precarietà e di timore costante.
Il sacrificio di questi nostri fratelli dimostra a che punto di follia si è arrivati.
Neppure quando si prega in una chiesa si è al riparo dalla persecuzione del terrorismo.
Questo martirio è rivolto al mondo intero perché è tutta l’umanità a precipitare nell’abisso se si muore per essere andati a una messa.
Ormai uscire equivale già a mettere a repentaglio la propria vita, nessuno è certo di tornare a casa la sera.
In qualche modo mi sento in colpa anch’io per i miei fedeli».
Perché? «Noi vescovi cerchiamo sempre di tranquillizzare i cristiani e di spingerli a rimanere in Iraq.
Li esortiamo di continuo a non emigrare.
Poi succedono fatti come questi, aberrazioni che cancellano ogni argine di civiltà e ciò che diciamo perde attendibilità, anzi sembra controproducente.
I fedeli mi domandano cosa devono fare, sono terrorizzati, mi interrogano su quale sia il disegno di Dio per loro.
Non capiscono perché debbano subire un male così crudele.
La gente è sconcertata e ci chiede come sia possibile rimanere in una situazione del genere.
Il massacro a Nostra Signora del perpetuo soccorso costituisce l’angosciante dimostrazione che in Iraq non c’è più la minima certezza.
Dov’è la coscienza quando si calpesta la religione?».
E lei cosa risponde? «Viene lo sconforto anche a me davanti ai lenzuoli bianchi di persone miti, uccise in chiesa.
C’è anche il corpicino senza vita di una bambina.
Per non cadere nella disperazione quaggiù le persone devono avere una fede talmente forte da essere addirittura pronte come cristiani alla testimonianza estrema, alla morte.
Ma non si può pretendere da tutti una fede eroica, perciò anche in Occidente ci si deve fare carico di questa condizione di terrore costante.
Nessuno ci spiega da dove arrivano le armi delle bande che si muovono indisturbate dentro e fuori i nostri confini».
Nell’anarchia irachena vede la mano dell’Iran o di Bin Laden? «Io non sospetto nessuno, è la corte internazionale a dover stabilire chi ci sta massacrando.
Noi ci aspettiamo l’aiuto di Dio che ci ha creato e fatti vivere qui e delle persone di buona volontà che possono sensibilizzare i governi e l’Onu a non abbandonarci al nostro destino.
Come pastore posso solo pregare per le vittime e per la conversione del cuore indurito dei terroristi» in “La Stampa” del 1° novembre 2010

Reinventare il sacro.

STUART KAUFFMAN, Reinventare il sacro.
Scienza, ragione e religione: un nuovo approccio, Codice, Roma 2010, pp.
334, Euro 28 Per affermarsi, l’Illuminismo deve innanzi tutto aver ragione di se stesso.
Luoghi comuni come l’antitesi storica tra i lumi promossi dalla scienza e le tenebre occultamente protette dalla fede sostituiscono una seria considerazione con un’immagine agonistica molto vieta.
Non solo la scienza classica approfitta spesso dell’insegnamento biblico.
È quanto avvenne per esempio con Newton il quale attinse dalle Scritture l’idea di uno spazio assoluto, da intendersi come un grande contenitore, per proporlo come fondamenta della propria fisica.
La scienza di oggi talora va decisamente oltre.
Può accadere addirittura che scopra entro di sé pensieri e verità che inducono a una meditazione religiosa.
È quanto suggerisce Reinventare il sacro.
Una nuova concezione della scienza, della ragione e della religione, il bellissimo libro recentemente edito da Codice di uno dei grandi biologi teorici contemporanei, Stuart Kauffman.
Secondo Kaufman la complessità del vivente fa pensare al sacro.
L’idea che le forme dell’universo non si spieghino soltanto sulla base degli elementi che le compongono ispira idee religiose.
La molteplicità immane di forme che questo universo è in grado di produrre induce a riflettere sul principio creatore e a proporre una nuova religiosità laica.
Ed è di qui che è necessario riprendere a pensare, secondo quanto Kaufmann ci insegna.
Si tratta di guardare oltre la divisione delle «due culture», quella scientifica e quella umanistica, per creare un quadro nel quale l’arte, la scienza e la vita stessa si ritrovino congiunte.
È questo per altro anche il principio autentico di un nuovo sapere certamente articolato ma uantomeno idealmente globale al quale sempre più spesso ci si richiama come avviene per esempio nei due volumi curati da Giuseppe Cacciatore e Giuseppe D’Anna, e dallo stesso Cacciatore e da Rosario Diana dedicati all’Interculturalità editi rispettivamente da Carocci e da Guida.
Sono libri che intendono cogliere, rispettivamente sotto il profilo etico-politico e teologicopolitico, il significato di una cultura sempre più innervata e percorsa da intersezioni.
Su questa via si annuncia un’unità profonda che induce a pensare eticamente e culturalmente in grande in “La Stampa” del 1° novembre 2010 Il contenuto I progressi della scienza degli ultimi quattro secoli hanno preteso un prezzo elevato: un divario sempre più ampio tra fede e ragione.
Nella sua forma più estrema, il riduzionismo sostiene che tutta la realtà, dagli organismi a una coppia di innamorati a passeggio, sia fatta di sole particelle: le società devono essere spiegate da leggi sulle persone, che sono spiegate da leggi sugli organi, sulle cellule, dalla chimica e infine dalla fisica delle particelle.
Per Kauffman il solo riduzionismo è inadeguato sia a praticare la scienza sia a comprendere la realtà: viviamo infatti in una biosfera e in una cultura che, oltre ad essere emergenti, sono radicalmente creative; un universo di creatività esplosiva di cui spesso non possiamo prevedere gli sviluppi.
La proposta di Kauffman è quindi quella di porci come co-creatori di una biosfera che letteralmente costruisce se stessa e si evolve, e di una cultura nuova e infinita.
Un Dio pienamente naturale identificato con la creatività stessa dell’universo, e una sua concezione che può essere uno spazio spirituale condiviso da tutti, credenti o non credenti.

EDUCARE ALLA VITA BUONA DEL VANGELO

PRESENTAZIONE       Gli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 intendono offrire alcune linee di fondo per una crescita concorde delle Chiese in Italia nell’arte delicata e sublime dell’educazione.
In essa noi Vescovi riconosciamo una sfida culturale e un segno dei tempi, ma prima ancora una dimensione costitutiva e permanente della nostra missione di rendere Dio presente in questo mondo e di far sì che ogni uomo possa incontrarlo, scoprendo la forza trasformante del suo amore e della sua verità, in una vita nuova caratterizzata da tutto ciò che è bello, buono e vero.
È questo un tema a cui più volte ci ha richiamato Papa Benedetto XVI, il cui magistero costituisce il riferimento sicuro per il nostro cammino ecclesiale e una fonte di ispirazione per la nostra proposta pastorale.
La scelta di dedicare un’attenzione specifica al campo educativo affonda le radici nel IV Convegno ecclesiale nazionale, celebrato a Verona nell’ottobre 2006, con il suo messaggio di speranza fondato sul “sì” di Dio all’uomo attraverso suo Figlio, morto e risorto perché noi avessimo la vita.
Educare alla vita buona del Vangelo significa, infatti, in primo luogo farci discepoli del Signore Gesù, il Maestro che non cessa di educare a una umanità nuova e piena.
Egli parla sempre all’intelligenza e scalda il cuore di coloro che si aprono a lui e accolgono la compagnia dei fratelli per fare esperienza della bellezza del Vangelo.
La Chiesa continua nel tempo la sua opera: la sua storia bimillenaria è un intreccio fecondo di evangelizzazione e di educazione.
Annunciare Cristo, vero Dio e vero uomo, significa portare a pienezza l’umanità e quindi seminare cultura e civiltà.
Non c’è nulla, nella nostra azione, che non abbia una significativa valenza educativa.
La scelta dell’Episcopato italiano per questo decennio è segno di una premura che nasce dalla paternità spirituale di cui siamo rivestiti per grazia e che condividiamo in primo luogo con i sacerdoti.
Siamo ben consapevoli, inoltre, delle energie profuse con tanta generosità nel campo dell’educazione da consacrati e laici, che testimoniano la passione educativa di Dio in ogni campo dell’esistenza umana.
A ciascuno consegniamo con fiducia questi orientamenti, con l’auspicio che le nostre comunità, parte viva del tessuto sociale del Paese, divengano sempre più luoghi fecondi di educazione integrale.
Maria, che accompagnò la crescita di Gesù in sapienza, età e grazia, ci aiuti a testimoniare la vicinanza amorosa della Chiesa a ogni persona, grazie al Vangelo, fermento di crescita e seme di felicità vera.
  Roma, 4 ottobre 2010 Festa di San Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia                                                                                                      Angelo Card.
Bagnasco                                                                                  Presidente della Conferenza Episcopale Italiana CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA   Orientamenti pastorali 2010.pdf;

Islam e cristiani un dialogo è possibile

Dalle folcloristiche provocazioni del colonnello Gheddafi riguardo all'”ineludibile” conversione dell’Europa all’Islam, alle continue, deliranti dichiarazioni di al-Qaeda, fino agli eventi legati alle commemorazioni dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, si è parlato molto di Islam e Cristianesimo in queste settimane.
Il Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente, che si è concluso ieri in Vaticano, ne ha fatto oggetto di una necessaria riflessione, focalizzando l’attenzione piuttosto sul rapporto concreto fra le due fedi e i credenti che vi si riconoscono.
Il dibattito sulle politiche di integrazione, accesosi dopo le dichiarazioni della cancelliera Merkel, ha poi mostrato come non si tratti di discussioni accademiche, ma di problemi che ci riguardano tutti.
C’è chi fa previsioni apocalittiche di prossimi e sempre più duri “scontri di civiltà”, c’è chi sembra rassegnato a un preteso, inevitabile “declino” della cultura segnata dal Cristianesimo di fronte all’avanzata numerica del mondo musulmano, che non conosce la denatalità propria delle società economicamente avanzate.
E c’è chi, come i padri sinodali, fa riferimento al laboratorio vivente dei luoghi in cui – spesso da quattordici secoli – cristiani e musulmani convivono, fra amicizia e intolleranza, convivenza pacifica e sfida dell’integralismo.
La molteplicità degli approcci alla questione mostra da sé come essa non sia né semplice, né scontata nei risultati.
Ciò che soprattutto differenzia le società islamiche dalla cultura europea è il forte senso dell’appartenenza, aspetto qualificante dell’Islam: la “umma” – comunità, nazione, etnia – è il grembo materno della vita di chi riconosce in Maometto il profeta del Dio unico (non a caso la radice del termine è la stessa della parola “umm”, madre).
Alla ritualità della “umma” il musulmano partecipa con naturalezza, dai momenti di preghiera quotidiana pubblica alla celebrazione del “ramadan”, il mese del digiuno diurno, al pellegrinaggio alla Mecca.
Il senso di massificazione” che alcuni di questi rituali danno a una sensibilità plasmata dalla cultura occidentale del soggetto, è del tutto estraneo alle culture dei paesi musulmani.
Al di là della facile critica dell’illuminista di turno, che vede in queste forme una semplice abdicazione alla libertà e all’originalità della coscienza individuale, c’è un fascino dell’appartenenza forte che non va banalizzato (si pensi solo ai fenomeni di massa così determinanti nella storia del nostro Novecento e alla geniale analisi ad essi dedicata da Elias Canetti in Massa e potere).
Proprio alla luce di questa complessità, l’approccio dei padri sinodali mi appare illuminante: in primo luogo, esso si rifà alle indicazioni del Concilio vaticano II, secondo cui «la Chiesa guarda con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini.
Essi cercano anche di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti nascosti di Dio, come si è sottomesso Abramo, al quale la fede islamica volentieri si riferisce…
Così pure essi hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno» (dichiarazione Nostra Aetate, n.
3).
Diverse voci al Sinodo non hanno, tuttavia, nascosto le difficoltà reali che incontra la minoranza cristiana nei paesi islamici: costrizioni, limiti alla libertà di coscienza e di esercizio della propria fede in Cristo, atti di violenza e di intimidazione.
«A partire dagli anni Settanta, constatiamo l’avanzata dell’Islam politico, che comprende diverse correnti religiose.
Esso colpisce la situazione dei cristiani, soprattutto nel mondo arabo.
Vuole imporre un modello di vita islamico a tutti i cittadini, a volte con la violenza.
Costituisce  dunque una minaccia per tutti, e noi dobbiamo, insieme, affrontare queste correnti estremiste» (patriarca copto di Alessandria d’Egitto, Antonios Naguib, Relatio post disceptationem al Sinodo).
Innegabili sono le distanze fra alcune conquiste della civiltà europea e l’esistenza quotidiana nelle società a maggioranza islamica: esse riguardano l’identità dell’uomo, la condizione femminile, la giustizia, i valori della vita sociale dignitosa e la reciprocità, concetto tanto centrale, quanto complesso nelle applicazioni.
Di fronte a queste sfide la linea d’azione proposta al Sinodo è anzitutto quella del dialogo della vita, «che offre l’esempio di una testimonianza silenziosa eloquente e che è talvolta l’unico mezzo per proclamare il Regno di Dio…
Nel dialogo sono importanti l’incontro, l’accoglienza della differenza altrui, la gratuità, la fiducia, la comprensione reciproca, la riconciliazione, la pace e l’amore…
Il dialogo è la strada della non violenza.
L’amore è più necessario ed efficace delle discussioni.
Non bisogna discutere con i musulmani, ma amarli, sperando di suscitare nel loro cuore la reciprocità.
Prima di scontrarci su ciò che ci separa troviamoci su ciò che ci unisce soprattutto per quanto riguarda la dignità umana e la costruzione di un mondo migliore» (ib.).
Trasponendo queste indicazioni nel contesto della cultura occidentale, e in particolare europea, non si può far a meno di osservare come esse siano in sintonia con le sue grandi radici: da una parte i valori della democrazia, con l’attenzione fondante ad ascoltare le ragioni dell’altro, come mostra il ruolo del teatro e della tragedia nell’antica Atene, dall’altra le conquiste rappresentate dal diritto romano e dall’incommensurabil e patrimonio di civiltà connesso all’idea di persona e della sua dignità assoluta, maturata all’interno dell’eredità ebraico-cristiana.
Proprio questa sintonia fra scelta della via del dialogo e anima profonda della identità europea – nonostante tutte le smentite della storia – mostra come non sarà facile integrare l’idea islamica di appartenenza con la nostra civiltà.
E poiché l’apporto dato all’Europa  dalla radice ebraica è innegabile, inseparabile com’è dall’influenza del “grande Codice” che è la Bibbia, si comprende come sia proprio il Medio Oriente la cartina da tornasole del futuro destino dell’incontro.
Costruire lì una giusta pace attraverso la via del dialogo, della giustizia e della riconciliazione, specie nel conflitto israelo-palestinese, vuol dire porre le basi per una convivenza pacifica per tutti nell’epoca del villaggio globale.
Anche così il nostro domani si costruisce nella città «dove tutti siamo nati» (Salmo 87): Gerusalemme.
in “Il Sole 24 Ore” del 24 ottobre 2010

Il messaggio del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente,

Il messaggio del Sinodo Pubblichiamo il testo italiano del messaggio del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente, approvato durante la tredicesima congregazione generale di venerdì pomeriggio, 22 ottobre.
“La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola” (At 4, 32) Ai nostri fratelli presbiteri, diaconi, religiosi, religiose, alle persone consacrate e a tutti i nostri amatissimi fedeli laici e a ogni persona di buona volontà.
Introduzione 1.
La grazia di Gesù nostro Signore, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con voi.
Il Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente è stato per noi una novella Pentecoste.
“La Pentecoste è l’avvenimento originario, ma anche un dinamismo permanente.
Il Sinodo dei Vescovi è un momento privilegiato nel quale può rinnovarsi il cammino della Chiesa e la grazia della Pentecoste” (Benedetto XVI, Omelia della Messa d’apertura del Sinodo, 10.10.2010).
Siamo venuti a Roma, noi Patriarchi e vescovi delle Chiese cattoliche in Oriente con tutti i nostri patrimoni spirituali, liturgici, culturali e canonici, portando nei nostri cuori le preoccupazioni dei nostri popoli e le loro attese.
Per la prima volta ci siamo riuniti in Sinodo intorno a Sua Santità il Papa Benedetto XVI con i cardinali e gli arcivescovi responsabili dei Dicasteri romani, i presidenti delle Conferenze episcopali del mondo toccate dalle questioni del Medio Oriente, e con rappresentanti delle Chiese ortodosse e comunità evangeliche, e con invitati ebrei e musulmani.
 A Sua Santità Benedetto XVI esprimiamo la nostra gratitudine per la sollecitudine e per gli insegnamenti che illuminano il cammino della Chiesa in generale e quello delle nostre Chiese orientali in particolare, soprattutto per la questione della giustizia e della pace.
Ringraziamo le Conferenze episcopali per la loro solidarietà, la presenza tra noi durante i pellegrinaggi ai Luoghi santi e la loro visita alle nostre comunità.
Li ringraziamo per l’accompagnamento delle nostre Chiese nei differenti aspetti della nostra vita.
Ringraziamo le organizzazioni ecclesiali che ci sostengono con il loro aiuto efficace.
Abbiamo riflettuto insieme, alla luce della Sacra Scrittura e della viva Tradizione, sul presente e l’avvenire dei cristiani e dei popoli del Medio Oriente.
Abbiamo meditato sulle questioni di questa parte del mondo che Dio, nel mistero del suo amore, ha voluto fosse la culla del suo piano universale di salvezza.
Da là, di fatto, è partita la vocazione di Abramo.
Là, la Parola di Dio si è incarnata nella Vergine Maria per l’azione dello Spirito Santo.
Là, Gesù ha proclamato il Vangelo della vita e del regno.
Là, egli è morto per riscattare il genere umano e liberarlo dal peccato.
Là è risuscitato dai morti per donare la vita nuova a ogni uomo.
Là, è nata la Chiesa che da là è partita per proclamare il Vangelo fino alle estremità della terra.
Il primo scopo del Sinodo è di ordine pastorale.
È per questo che abbiamo portato nei cuori la vita, le sofferenze e le speranze dei nostri popoli e le sfide che si devono affrontare ogni giorno, convinti che “la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5, 5).
È per questo che vi rivolgiamo questo messaggio, amatissimi fratelli e sorelle, e vogliamo che sia un appello alla fermezza della fede, fondata sulla Parola di Dio, alla collaborazione nell’unità e alla comunione nella testimonianza dell’amore in tutti gli ambiti della vita.
i.
La Chiesa nel Medio Oriente:  comunione e testimonianza attraverso la storia Cammino della fede in Oriente 2.
In Oriente è nata la prima comunità cristiana.
Dall’Oriente partirono gli Apostoli dopo la Pentecoste per evangelizzare il mondo intero.
Là è vissuta la prima comunità cristiana in mezzo a tensioni e persecuzioni, “perseverante nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (At 2, 42).
Là i primi martiri hanno irrorato con il loro sangue le fondamenta della Chiesa nascente.
Alla loro sequela gli anacoreti hanno riempito i deserti col profumo della loro santità e della loro fede.
Là vissero i Padri della Chiesa orientale che continuano a nutrire con i loro insegnamenti la Chiesa d’Oriente e d’Occidente.
Dalle nostre Chiese partirono, nei primi secoli e nei secoli seguenti, i missionari verso l’estremo Oriente e verso l’Occidente portando la luce di Cristo.
Noi ne siamo gli eredi e dobbiamo continuare a trasmettere il loro messaggio alle generazioni future.
Le nostre Chiese non hanno smesso di donare santi, preti, consacrati e di servire in maniera efficace in numerose istituzioni che contribuiscono alla costruzione delle nostre società e dei nostri paesi, sacrificandosi per l’uomo creato all’immagine di Dio e portatore della sua immagine.
Alcune delle nostre Chiese non cessano ancora oggi di mandare missionari, portatori della Parola di Cristo nei differenti angoli del mondo.
Il lavoro pastorale, apostolico e missionario ci domanda oggi di pensare una pastorale per promuovere le vocazioni sacerdotali e religiose e assicurare la Chiesa di domani.
Ci troviamo oggi davanti a una svolta storica:  Dio che ci ha donato la fede nel nostro Oriente da 2000 anni, ci chiama a perseverare con coraggio, assiduità e forza, a portare il messaggio di Cristo e la testimonianza al suo Vangelo che è un Vangelo di amore e di pace.
Sfide e attese 3.1.
Oggi siamo di fronte a numerose sfide.
La prima viene da noi stessi e dalle nostre Chiese.
Ciò che Cristo ci domanda è di accettare la nostra fede e di viverla in ogni ambito della vita.
Ciò che egli domanda alle nostre Chiese è di rafforzare la comunione all’interno di ciascuna Chiesa sui iuris e tra le Chiese cattoliche di diversa tradizione, inoltre di fare tutto il possibile nella preghiera e nella carità per raggiungere l’unità di tutti i cristiani e realizzare così la preghiera di Cristo:  “perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21).
3.2.
La seconda sfida viene dall’esterno, dalle condizioni politiche e dalla sicurezza nei nostri paesi e dal pluralismo religioso.
Abbiamo analizzato quanto concerne la situazione sociale e la sicurezza nei nostri paesi del Medio Oriente.
Abbiamo avuto coscienza dell’impatto del conflitto israelo-palestinese su tutta la regione, soprattutto sul popolo palestinese che soffre le conseguenze dell’occupazione israeliana:  la mancanza di libertà di movimento, il muro di separazione e le barriere militari, i prigionieri politici, la demolizione delle case, la perturbazione della vita economica e sociale e le migliaia di rifugiati.
Abbiamo riflettuto sulla sofferenza e l’insicurezza nelle quali vivono gli Israeliani.
Abbiamo meditato sulla situazione di Gerusalemme, la Città Santa.
Siamo preoccupati delle iniziative unilaterali che rischiano di mutare la sua demografia e il suo statuto.
Di fronte a tutto questo, vediamo che una pace giusta e definitiva è l’unico mezzo di salvezza per tutti, per il bene della regione e dei suoi popoli.
3.3.
Nelle nostre riunioni e nelle nostre preghiere abbiamo riflettuto sulle sofferenze cruente del popolo iracheno.
Abbiamo fatto memoria dei cristiani assassinati in Iraq, delle sofferenze permanenti della Chiesa in Iraq, dei suoi figli espulsi e dispersi per il mondo, portando noi insieme con loro le preoccupazioni della loro terra e della loro patria.
I padri sinodali hanno espresso la loro solidarietà con il popolo e le Chiese in Iraq e hanno espresso il voto che gli emigrati, forzati a lasciare i loro paesi, possano trovare i soccorsi necessari là dove arrivano, affinché possano tornare nei loro paesi e vivervi in sicurezza.
3.4.
Abbiamo riflettuto sulle relazioni tra concittadini, cristiani e musulmani.
Vorremmo qui affermare, nella nostra visione cristiana delle cose, un principio primordiale che dovrebbe governare queste relazioni:  Dio vuole che noi siamo cristiani nel e per le nostre società del Medio Oriente.
Il fatto di vivere insieme cristiani e musulmani è il piano di Dio su di noi ed è la nostra missione e la nostra vocazione.
In questo ambito ci comporteremo con la guida del comandamento dell’amore e con la forza dello Spirito in noi.
Il secondo principio che governa queste relazioni è il fatto che noi siamo parte integrale delle nostre società.
La nostra missione basata sulla nostra fede e il nostro dovere verso le nostre patrie ci obbligano a contribuire alla costruzione dei nostri paesi insieme con tutti i cittadini musulmani, ebrei e cristiani.
ii.
Comunione e testimonianza all’interno delle Chiese cattoliche del Medio Oriente Ai fedeli delle nostre Chiese 4.1.
Gesù ci dice:  “Voi siete il sale della terra, la luce del mondo” (Mt 5, 13.14).
La vostra missione, amatissimi fedeli, è di essere per mezzo della fede, della speranza e dell’amore nelle vostre società, come il “sale” che dona sapore e senso alla vita, come la “luce” che illumina le tenebre e come il “lievito” che trasforma i cuori e le intelligenze.
I primi cristiani a Gerusalemme erano poco numerosi.
Nonostante ciò, essi hanno potuto portare il Vangelo fino alle estremità della terra, con la grazia del “Signore che agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano ” (Mc 16, 20).
4.2.
Vi salutiamo, cristiani del Medio Oriente, e vi ringraziamo per tutto ciò che voi avete realizzato nelle vostre famiglie e nelle vostre società, nelle vostre Chiese e nelle vostre nazioni.
Salutiamo la vostra perseveranza nelle difficoltà, pene e angosce.
4.3.
Cari sacerdoti, nostri collaboratori nella missione catechetica, liturgica e pastorale, vi rinnoviamo la nostra amicizia e la nostra fiducia.
Continuate a trasmettere ai vostri fedeli con zelo e perseveranza il Vangelo della vita e la Tradizione della Chiesa attraverso la predicazione, la catechesi, la direzione spirituale e il buon esempio.
Consolidate la fede del popolo di Dio perché essa si trasformi in una civiltà dell’amore.
Dategli i sacramenti della Chiesa perché aspiri al rinnovamento della vita.
Radunatelo nell’unità e nella carità con il dono dello Spirito Santo.
Cari religiosi, religiose e consacrati nel mondo, vi esprimiamo la nostra gratitudine e ringraziamo Dio insieme con voi per il dono dei consigli evangelici – della castità consacrata, della povertà e dell’obbedienza – con i quali avete fatto dono di voi stessi, al seguito del Cristo cui desiderate testimoniare il vostro amore e predilezione.
Grazie alle vostre iniziative apostoliche diversificate, siete il vero tesoro e la ricchezza delle nostre Chiese e un’oasi spirituale nelle nostre parrocchie, diocesi e missioni.
Ci uniamo in spirito agli eremiti, ai monaci e alle monache che hanno consacrato la loro vita alla preghiera nei monasteri contemplativi, santificando le ore del giorno e della notte, portando nella loro preghiera le preoccupazioni e i bisogni della Chiesa.
Con la testimonianza della vostra vita voi offrite al mondo un segno di speranza.
4.4.
Fedeli laici, noi vi esprimiamo la nostra stima e la nostra amicizia.
Apprezziamo quanto fate per le vostre famiglie e le vostre società, le vostre Chiese e le vostre patrie.
State saldi in mezzo alle prove e alle difficoltà.
Siamo pieni di gratitudine verso il Signore per i carismi e i talenti di cui vi ha colmato e con i quali voi partecipate per la forza del Battesimo e della Cresima al lavoro apostolico e alla missione della Chiesa, impregnando l’ambito delle cose temporali con lo spirito e i valori del Vangelo.
Vi invitiamo alla testimonianza di una vita cristiana autentica, a una pratica religiosa cosciente e ai buoni costumi.
Abbiate il coraggio di dire la verità con obbiettività.
Portiamo nelle nostre preghiere voi, sofferenti nel corpo, nell’anima e nello spirito, voi oppressi, espatriati, perseguitati, prigionieri e detenuti.
Unite le vostre sofferenze a quelle di Cristo Redentore e cercate nella sua croce la pazienza e la forza.
Con il merito delle vostre sofferenze, voi ottenete per il mondo l’amore misericordioso di Dio.
Salutiamo ciascuna delle nostre famiglie cristiane e guardiamo con stima la vocazione e la missione della famiglia, in quanto cellula viva della società, scuola naturale delle virtù e dei valori etici e umani, e chiesa domestica che educa alla preghiera e alla fede di generazione in generazione.
Ringraziamo i genitori e i nonni per l’educazione dei loro figli e dei loro nipoti, sull’esempio del fanciullo Gesù che “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2, 52).
Ci impegniamo a proteggere la famiglia con una pastorale familiare grazie ai corsi di preparazione al matrimonio e ai centri d’accoglienza e di consultazione aperti a tutti e soprattutto alle coppie in difficoltà e con le nostre rivendicazioni dei diritti fondamentali della famiglia.
Ci rivolgiamo ora in modo speciale alle donne.
Esprimiamo la nostra stima per quanto voi siete nei diversi stati di vita:  come ragazze, educatrici, madri, consacrate e operatrici nella vita pubblica.
Vi elogiamo perché proteggete la vita umana fin dall’inizio, offrendole cura e affetto.
Dio vi ha donato una sensibilità particolare per tutto ciò che riguarda l’educazione, il lavoro umanitario e la vita apostolica.
Rendiamo grazie a Dio per le vostre attività e auspichiamo che voi esercitiate una più grande  responsabilità  nella  vita  pubblica.
Guardiamo a voi con amicizia, ragazzi e ragazze, come ha fatto Cristo con il giovane del Vangelo (cfr.
Mc 10, 21).
Voi siete l’avvenire delle nostre Chiese, delle nostre comunità, dei nostri paesi, il loro potenziale e la loro forza rinnovatrice.
Progettate la vostra vita sotto lo sguardo amorevole di Cristo.
Siate cittadini responsabili e credenti sinceri.
La Chiesa si unisce a voi nelle vostre preoccupazioni di trovare un lavoro in funzione delle vostre competenze; ciò contribuirà a stimolare la vostra creatività e ad assicurare l’avvenire e la formazione di una famiglia credente.
Superate la tentazione del materialismo e del consumismo.
Siate saldi nei vostri valori cristiani.
Salutiamo i capi delle istituzioni educative cattoliche.
Nell’insegnamento e nell’educazione ricercate l’eccellenza e lo spirito cristiano.
Abbiate come scopo il consolidamento della cultura della convivialità, la preoccupazione dei poveri e dei portatori di handicap.
Malgrado le sfide e le difficoltà di cui soffrono le vostre istituzioni, vi invitiamo a mantenerle vive per assicurare la missione educatrice della Chiesa e promuovere lo sviluppo e il bene delle nostre società.
Ci rivolgiamo con grande stima a quanti lavorano nel settore sociale.
Nelle vostre istituzioni siate al servizio della carità.
Noi vi incoraggiamo e sosteniamo in questa missione di sviluppo, che è guidata dal ricco insegnamento sociale della Chiesa.
Attraverso il vostro lavoro, voi rafforzate i legami di fraternità tra gli uomini, servendo senza discriminazione i poveri, i marginalizzati, i malati, i rifugiati e i prigionieri.
Voi siete guidati dalla parola del Signore Gesù:  “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40).
Guardiamo con speranza i gruppi di preghiera e i movimenti apostolici.
Sono scuole di approfondimento della fede per viverla nella famiglia e nella società.
Apprezziamo le loro attività nelle parrocchie e nelle diocesi e il loro sostegno ai pastori in conformità con le direttive della Chiesa.
Ringraziamo Dio per questi gruppi e questi movimenti, cellule attive della parrocchia e vivai per le vocazioni sacerdotali e religiose.
Apprezziamo il ruolo dei mezzi di comunicazione scritta e audio-visiva.
Ringraziamo voi, giornalisti, per la vostra collaborazione con la Chiesa per la diffusione dei suoi insegnamenti e delle sue attività, e in questi giorni per aver diffuso le notizie dell’Assemblea del Sinodo sul Medio Oriente in tutte le parti del mondo.
Ci felicitiamo del contributo dei media internazionali e cattolici.
Per il Medio Oriente merita una menzione particolare il canale Télé Lumière-Noursat.
Speriamo che possa continuare il suo servizio di informazione e di formazione alla fede, il suo lavoro per l’unità dei cristiani, il consolidamento della presenza cristiana in Oriente, il rafforzamento del dialogo inter-religioso e la comunione tra gli orientali sparsi in tutti i continenti.
Ai nostri fedeli nella diaspora 5.
L’emigrazione è divenuta un fenomeno generale.
Il cristiano, il musulmano e l’ebreo emigrano e per le stesse cause derivate dall’instabilità politica ed economica.
Il cristiano, inoltre, comincia a sentire l’insicurezza, benché a diversi gradi, nei paesi del Medio Oriente.
I cristiani abbiano fiducia nell’avvenire e continuino a vivere nei loro cari paesi.
Vi salutiamo amatissimi fedeli nei vostri differenti paesi della diaspora.
Chiediamo a Dio di benedirvi.
Noi vi domandiamo di conservare vivo nei vostri cuori e nelle vostre preoccupazioni il ricordo delle vostre patrie e delle vostre Chiese.
Voi potete contribuire alla loro evoluzione e alla loro crescita con le vostre preghiere, i vostri pensieri, le vostre visite e con diversi mezzi, anche se ne siete lontani.
Conservate i beni e le terre che avete in patria; non affrettatevi ad abbandonarli e a venderli.
Custodite tali proprietà come un patrimonio per voi e una porzione di quella patria alla quale rimanete attaccati e che voi amate e sostenete.
La terra fa parte dell’identità della persona e della sua missione; essa è uno spazio vitale per quelli che vi restano e per quelli che, un giorno, vi ritorneranno.
La terra è un bene pubblico, un bene della comunità, un patrimonio comune.
Non può essere ridotta a interessi individuali da parte di chi la possiede e che da solo decide a proprio piacimento di tenerla o di abbandonarla.
Vi accompagniamo con le nostre preghiere, voi figli delle nostre Chiese e dei nostri Paesi, forzati a emigrare.
Portate con voi la vostra fede, la vostra cultura e il vostro patrimonio per arricchire le vostre nuove patrie che vi procurano pace, libertà e lavoro.
Guardate all’avvenire con fiducia e gioia, restate sempre attaccati ai vostri valori spirituali, alle vostre tradizioni culturali e al vostro patrimonio nazionale per offrire ai paesi che vi hanno accolto il meglio di voi stessi e il meglio di ciò che avete.
Ringraziamo le Chiese dei paesi della diaspora che hanno accolto i nostri fedeli e che non cessano di collaborare con noi per assicurare loro il servizio pastorale necessario.
Ai migranti nei nostri paesi e nelle nostre Chiese 6.
Salutiamo tutti gli immigrati delle diverse nazionalità, venuti nei nostri paesi per ragioni di lavoro.  Noi vi accogliamo, amatissimi fedeli, e vediamo nella vostra fede un arricchimento e un sostegno per la fede dei nostri fedeli.
È con gioia che vi forniremo ogni aiuto spirituale di cui voi avete bisogno.
Noi domandiamo alle nostre Chiese di prestare un’attenzione speciale a questi fratelli e sorelle e alle loro difficoltà, qualunque sia la loro religione, soprattutto quando sono esposti ad attentati ai loro diritti e alla loro dignità.
Essi vengono da noi non soltanto per trovare mezzi per vivere, ma per procurare dei servizi di cui i nostri paesi hanno bisogno.
Essi ricevono da Dio la loro dignità e, come ogni persona umana, hanno dei diritti che è necessario rispettare.
Non è permesso a nessuno di attentare a tali dignità e diritti.
È per questo che invitiamo i governi dei paesi di accoglienza a rispettare e difendere i loro diritti.
iii.
Comunione e testimonianza con le Chiese ortodosse e le Comunità evangeliche nel Medio Oriente 7.
Salutiamo le Chiese ortodosse e le Comunità evangeliche nei nostri paesi.
Lavoriamo insieme per il bene dei cristiani, perché essi restino, crescano e prosperino.
Siamo sulla stessa strada.
Le nostre sfide sono le stesse e il nostro avvenire è lo stesso.
Vogliamo portare insieme la testimonianza di discepoli di Cristo.
Soltanto con la nostra unità possiamo compiere la missione che Dio ha affidato a tutti, malgrado la diversità delle nostre Chiese.
La preghiera di Cristo è il nostro sostegno, ed è il comandamento dell’amore che ci unisce, anche se la strada verso la piena comunione è ancora lunga davanti a noi.
Abbiamo camminato insieme nel Consiglio delle Chiese del Medio Oriente e vogliamo continuare questo cammino con la grazia di Dio e promuovere la sua azione, avendo come scopo ultimo la testimonianza comune alla nostra fede, il servizio dei nostri fedeli e di tutti i nostri paesi.
Salutiamo e incoraggiamo tutte le istanze di dialogo ecumenico in ciascuno dei nostri paesi.
Esprimiamo la nostra gratitudine al Consiglio Mondiale delle Chiese e alle diverse organizzazioni ecumeniche, che lavorano per l’unità della Chiesa, per il loro sostegno.
iv.
Cooperazione e dialogo con i nostri concittadini ebrei 8.
La stessa Scrittura santa ci unisce, l’Antico Testamento che è la Parola di Dio per voi e per noi.
Noi crediamo in tutto quanto Dio ha rivelato, da quando ha chiamato Abramo, nostro padre comune nella fede, padre degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani.
Crediamo nelle promesse e nell’alleanza che Dio ha affidato a lui.
Noi crediamo che la Parola di Dio è eterna.
Il Concilio Vaticano ii ha pubblicato il documento Nostra aetate, riguardante il dialogo con le religioni, con l’ebraismo, l’islam e le altre religioni.
Altri documenti hanno precisato e sviluppato in seguito le relazioni con l’ebraismo.
C’è inoltre un dialogo continuo tra la Chiesa e i rappresentanti dell’ebraismo.
Noi speriamo che questo dialogo possa condurci ad agire presso i responsabili per mettere fine al conflitto politico che non cessa di separarci e di perturbare la vita dei nostri paesi.
È tempo di impegnarci insieme per una pace sincera, giusta e definitiva.
Tutti noi siamo interpellati dalla Parola di Dio.
Essa ci invita ad ascoltare la voce di Dio “che parla di pace”:  “ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:  egli annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il cuore” (Sal 85, 9).
Non è permesso di ricorrere a posizioni teologiche bibliche per farne uno strumento a giustificazione delle ingiustizie.
Al contrario, il ricorso alla religione deve portare ogni persona a vedere il volto di Dio nell’altro e a trattarlo secondo gli attributi di Dio e i suoi comandamenti, vale a dire secondo la bontà di Dio, la sua giustizia, la sua misericordia e il suo amore per noi.
v.
Cooperazione e dialogo con i nostri concittadini musulmani 9.
Siamo uniti dalla fede in un Dio unico e dal comandamento che dice:  fa’ il bene ed evita il male.
Le parole del Concilio Vaticano ii sul rapporto con le religioni pongono le basi delle relazioni tra la Chiesa Cattolica e i musulmani:  “La Chiesa guarda con stima i musulmani che adorano il Dio uno, vivente […] misericordioso e onnipotente, che ha parlato agli uomini” (Nostra aetate, 3).
Diciamo ai nostri concittadini musulmani:  siamo fratelli e Dio ci vuole insieme, uniti nella fede in Dio e nel duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo.
Insieme noi costruiremo le nostre società civili sulla cittadinanza, sulla libertà religiosa e sulla libertà di coscienza.
Insieme noi lavoreremo per promuovere la giustizia, la pace, i diritti dell’uomo, i valori della vita e della famiglia.
La nostra responsabilità è comune nella costruzione delle nostre patrie.
Noi vogliamo offrire all’Oriente e all’Occidente un modello di convivenza tra le differenti religioni e di collaborazione positiva tra diverse civiltà, per il bene delle nostre patrie e quello di tutta l’umanità.
Dalla comparsa dell’islam nel vii secolo fino ad oggi, abbiamo vissuto insieme e abbiamo collaborato alla creazione della nostra civiltà comune.
È capitato nel passato, come capita ancor’oggi, qualche squilibrio nei nostri rapporti.
Attraverso il dialogo noi dobbiamo eliminare ogni squilibrio o malinteso.
Il Papa Benedetto XVI ci dice che il nostro dialogo non può essere una realtà passeggera.
È piuttosto una necessità vitale da cui dipende il nostro avvenire (cfr.
Discorso ai rappresentanti delle comunità musulmane a Colonia, 20.08.2005).
È nostro dovere, dunque, educare i credenti al dialogo inter-religioso, all’accettazione del pluralismo, al rispetto e alla stima reciproca.
vi.
La nostra partecipazione alla vita pubblica:  appelli ai governi e ai responsabili pubblici dei nostri paesi  10.
Apprezziamo gli sforzi che dispiegate per il bene comune e il servizio delle nostre società.
Vi accompagniamo con le nostre preghiere e domandiamo a Dio di guidare i vostri passi.
Ci rivolgiamo a voi a riguardo dell’importanza dell’uguaglianza tra i cittadini.
I cristiani sono cittadini originali e autentici, leali alla loro patria e fedeli a tutti i loro doveri nazionali.
È naturale che essi possano godere di tutti i diritti di cittadinanza, di libertà di coscienza e di culto, di libertà nel campo dell’insegnamento e dell’educazione e nell’uso dei mezzi di comunicazione.
Vi chiediamo di raddoppiare gli sforzi che dispiegate per stabilire una pace giusta e duratura in tutta la regione e per arrestare la corsa agli armamenti.
È questo che condurrà alla sicurezza e alla prosperità economica, arresterà l’emorragia dell’emigrazione che svuota i nostri paesi delle loro forze vive.
La pace è un dono prezioso che Dio ha affidato agli uomini e sono gli “operatori di pace [che] saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5, 9).
vii.
Appello alla comunità internazionale 11.
I cittadini dei paesi del Medio Oriente interpellano la comunità internazionale, in particolare l’Onu, perché essa lavori sinceramente ad una soluzione di pace giusta e definitiva nella regione, e questo attraverso l’applicazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, e attraverso l’adozione delle misure giuridiche necessarie per mettere fine all’Occupazione dei differenti territori arabi.
Il popolo palestinese potrà così avere una patria indipendente e sovrana e vivervi nella dignità e nella stabilità.
Lo Stato d’Israele potrà godere della pace e della sicurezza all’interno delle frontiere internazionalmente riconosciute.
La Città Santa di Gerusalemme potrà trovare lo statuto giusto che rispetterà il suo carattere particolare, la sua santità, il suo patrimonio religioso per ciascuna delle tre religioni ebraica, cristiana e musulmana.
Noi speriamo che la soluzione dei due Stati diventi realtà e non resti un semplice sogno.
L’Iraq potrà mettere fine alle conseguenze della guerra assassina e ristabilire la sicurezza che proteggerà tutti i suoi cittadini con tutte le loro componenti sociali, religiose e nazionali.
Il Libano potrà godere della sua sovranità su tutto il territorio, fortificare l’unità nazionale e continuare la vocazione a essere il modello della convivenza tra cristiani e musulmani, attraverso il dialogo delle culture e delle religioni e la promozione delle libertà pubbliche.
Noi condanniamo la violenza e il terrorismo, di qualunque origine, e qualsiasi estremismo religioso.
Condanniamo ogni forma di razzismo, l’antisemitismo, l’anticristianesimo e l’islamofobia e chiamiamo le religioni ad assumere le loro responsabilità nella promozione del dialogo delle culture e delle civiltà nella nostra regione e nel mondo intero.
Conclusione:  continuare a testimoniare la vita divina che ci è apparsa nella persona di Gesù 12.
In conclusione, fratelli e sorelle, noi vi diciamo con l’apostolo san Giovanni nella sua prima lettera:  “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi.
E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo” (1Gv 1, 1-3).
Questa Vita divina che è apparsa agli apostoli 2000 anni fa nella persona del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, della quale la Chiesa è vissuta e alla quale essa ha dato testimonianza in tutto il corso della sua storia, rimarrà sempre la vita delle nostre Chiese nel Medio Oriente e l’oggetto della nostra testimonianza.
Sostenuti dalla promessa del Signore:  “ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20), proseguiamo insieme il nostro cammino nella speranza, e “la speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5, 5).
Confessiamo che non abbiamo fatto fino ad ora tutto ciò che era in nostra possibilità per vivere meglio la comunione tra le nostre comunità.
Non abbiamo operato a sufficienza per confermarvi nella fede e darvi il nutrimento spirituale di cui avete bisogno nelle vostre difficoltà.
Il Signore ci invita ad una conversione personale e collettiva.
Oggi torniamo a voi pieni di speranza, di forza e di risolutezza, portando con noi il messaggio del Sinodo e le sue raccomandazioni per studiarle insieme e metterci ad applicarle nelle nostre Chiese, ciascuno secondo il suo stato.
Speriamo anche che questo sforzo nuovo sia ecumenico.
Noi vi rivolgiamo questo umile e sincero appello perché insieme condividiamo un cammino di conversione per lasciarci rinnovare dalla grazia dello Spirito Santo e ritornare a Dio.
Alla Santissima Vergine Maria, Madre della Chiesa e Regina della pace, sotto la cui protezione abbiamo messo i lavori sinodali, affidiamo il nostro cammino verso nuovi orizzonti cristiani e umani, nella fede in Cristo e con la forza della sua parola:  “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21, 5).
(©L’Osservatore Romano – 24 ottobre 2010)