La via stretta dell’evangelizzazione: Sinodo e Catechesi

È il titolo della conferenza tenuta dal prof. Rinaldo Paganelli nel contesto del pomeriggio di studio per i docenti e gli studenti del Curricolo di Catechetica dell’Università Pontificia Salesiana (Roma) realizzatosi nei giorni scorsi.

Quali i temi più avvertiti tra gli esperti e nell’opinione pubblica? Quali le provocazioni e gli orientamenti provengono dalla prima parte del Sinodo appena concluso? Quali indicazioni riguardano la catechesi? Come questa può mettersi a servizio della conversione pastorale auspicata nel documento?

È disponibile qui l’intervento del prof. Paganelli, che ringraziamo per aver accettato la collaborazione.

 

La via stretta dell’evangelizzazione: Sinodo e Catechesi

Il tono generale, dei commentatori sui vari quotidiani, non è stato duramente critico, ma pressoché tutti hanno osservato la timidezza nelle proposte di soluzione di problemi che esigerebbero audacia nell’affrontarli.

Difficile fare sintesi

I redattori dell’Instrumentum Laboris, giustamente, si sono preoccupati di non abbandonare alcuno dei molti interrogativi che erano stati avanzati. È così che i sinodali, all’inizio dei lavori, si sono trovati con in mano un Foglio di Lavoro, 50 pagine, dotato di una batteria di schede fitte di domande. Troppa carne al fuoco per un’assemblea di 350 persone in un mese, anche se per 46 ore settimanali.

I gruppi di 10-12 persone (Circuli minores) lavoravano ciascuno, ogni giorno su un sottotema di un tema e, quindi, si riusciva abbastanza a mettere a fuoco l’argomento, mentre le Congregazioni generali sono state appesantite da interventi generici e non di rado fuori tema. I moderatori erano troppo benevoli: solo in un caso è stata tolta la parola di un intervento che si annunciava non pertinente.

Nella serata del 28 ottobre stata votata La Relazione di sintesi.  Si presenta con un testo ampio, ma agileAmpio perché affronta un ventaglio di questioni estremamente ricco, agile perché i temi sono organizzati con chiarezza in venti paragrafi, ciascuno dei quali inizia precisando le convergenze raggiunte, prosegue illustrando le questioni da approfondire e termina avanzando alcune proposte.

Si stende in venti paragrafi, a loro volta, sono organizzati in tre parti, tra loro strettamente consequenziali. La prima parte (“Il volto della Chiesa sinodale”) presenta i principi teologici che illuminano e fondano la sinodalità. La seconda parte (“Tutti discepoli, tutti missionari”) si occupa dei soggetti che, ai diversi livelli, formano il Popolo di Dio e che sono chiamati, ciascuno per la sua parte, ad assumere la sinodalità come concreto stile ecclesiale. La terza parte (“Tessere legami, generare comunità”) si concentra sui processi e organismi che, in una logica sinodale, consentono lo scambio tra le Chiese e il dialogo con il mondo.

La Relazione si distende su troppi argomenti, senza approfondirli in maniera adeguata, ripropone domande e accumula rinvii a uno studio ulteriore, più che avanzare proposte di soluzione. Se soffre di una certa genericità lo si deve all’ampiezza delle questioni emerse nella consultazione del popolo di Dio di questi due ultimi anni e allo scopo relativamente modesto cui giungere, visto che in questa sessione ci si doveva fermare a metà strada, consegnando il compito conclusivo ai lavori della Seconda sessione del 2024. A dire il vero, bisogna anche notare che il livello della riflessione teologica e della profondità di analisi delle situazioni concrete di alcuni interventi non erano molto brillanti. Per questo la Relazione di sintesi contempla tra le proposte quella di «promuovere, in sede opportuna, il lavoro di teologi e canonisti per l’approfondimento terminologico e concettuale».

Un evento storico

Il Sinodo dei vescovi non è un concilio ecumenico. Non ha potere deliberativo. È un organo consultivo del papa, cui spetta prendere le ultime decisioni. Non sarebbe stato realista attendersi decisioni dirompenti, soprattutto da questa prima assemblea sinodale. L’atmosfera di questo Sinodo è stata del tutto pacifica, pur nella diversità delle prese di posizione, quella del Concilio era quasi sempre agitata. La conflittualità fra le diverse posizioni dei Padri è stata però feconda e ha rivelato nei fatti che lo Spirito Santo guida la Chiesa: alla fine, infatti, i Padri conciliari sono approdati a decisioni molto audaci e, dopo molto battagliare, hanno raggiunto il consenso quasi unanime su tutti i documenti.

La Sintesi del Sinodo è stata approvata quasi all’unanimità (343 sì e un solo voto contrario). Tutti i singoli punti del testo sono stati approvati con la maggioranza qualificata richiesta di almeno due terzi. E il paragrafo conclusivo “programmatico” in vista della prossima sessione dell’ottobre 2024 ha avuto in particolare 336 voti favorevoli e 10 contrari.

Comunque ci sono stati alcuni paragrafi che hanno ottenuti meno di 300 voti. In particolare tre punti che toccano la problematica del diaconato femminile, un paragrafo che riguarda l’opportunità di inserire i presbiteri che hanno lasciato il ministero in un servizio pastorale che valorizzi la loro formazione e la loro esperienza e un altro paragrafo in cui si parla del celibato sacerdotale laddove si riferisce che alcuni chiedono se la sua convenienza teologica debba necessariamente tradursi nella Chiesa latina in un obbligo disciplinare.

Poco più di 300 voti hanno invece preso altre questioni. Quella di esaminare se alla luce del Concilio Vaticano II è opportuno ordinare i prelati della Curia Romana vescovi. Quella che incoraggia i vescovi africani a promuovere un discernimento teologico e pastorale sul tema della poligamia. E poi il punto in cui si fa riferimento ad alcune questioni, come quelle relative all’identità di genere e all’orientamento sessuale (nella Sintesi non si trova citato l’acronimo “Lgbtq+” che pure era apparso nell’Instrumentum laboris), al fine vita, alle situazioni matrimoniali difficili, che risultano controverse non solo nella società, ma anche nella Chiesa.

Una volta preso atto delle debolezze, sarebbe ingiusto non misurare la reale dimensione dell’evento, la cui importanza merita, senza temere l’uso inflazionato del termine, di essere definita storica. È la prima volta nella storia della Chiesa che si sono visti sedere allo stesso tavolo vescovi e cardinali, fedeli laici uomini e donne, suore, preti, diaconi e frati, con lo stesso diritto di voto a determinare le decisioni da prendere.

Non è sorprendente ma, è di fondamentale importanza il ricorrente riconoscimento che i fedeli laici sono veri soggetti della missione nelle loro attività sociali, che le loro esperienze e competenze sono l’attuazione, per ciascuno, di una sua vocazione specifica, per cui non è la frequentazione assidua di spazi ecclesiali a fondare la loro rilevanza nel partecipare ai processi decisionali della Chiesa, bensì la loro «genuina testimonianza evangelica nelle realtà più ordinarie della vita».

Ascoltare lo Spirito fino in fondo

Il lavoro del Sinodo è stato vissuto nell’ascolto dello Spirito e nel tentativo di discernere gli spiriti. Questa «conversazione nello Spirito» ha dato luogo a esperienze preziose: si è imparato ad ascoltare, a rispettare la diversità delle opinioni, a sopportare il dissenso. Naturalmente, non si doveva nemmeno fare opera di persuasione.

Tuttavia, questo metodo di «conversazione nello Spirito» ha mostrato anche i suoi limiti. La spiritualizzazione ha provocato una sorta di evitamento improduttivo del conflitto; vi erano più domande che risposte. Le questioni di riforma in sospeso da tempo non sono state portate avanti; e, rispetto al Concilio Vaticano II, gli esperti di teologia non si sono seduti ai tavoli dell’assemblea sinodale. Questo si evince anche dalla relazione finale. Per questo motivo, è proprio per «approfondire» le questioni rimaste aperte che viene richiesto ora il lavoro dei teologi e degli altri saperi.

L’alto gradimento del presente testo è stato reso possibile dal fatto che molte questioni non sono state risolte, ma indicate come ancora aperte: il che, da solo, deve essere considerato un grande successo. Questo significa molto lavoro per l’anno prossimo. (Il diaconato delle donne, la questione del celibato, la cultura sessuale, la questione di genere, la benedizione delle coppie omosessuali − sono tutte rimaste aperte).

Da un lato, questo può deludere chi si aspettava già ora delle decisioni. Ma preoccupa anche chi voleva che questi temi fossero rimossi dal tavolo sinodale. Secondo le cifre del voto sulle questioni sensibili, questi ultimi non sono poi così pochi− circa un terzo.

Per il tempo compreso tra le due Sessioni, il compito delle Chiese locali è così già definito: a partire dalle convergenze raggiunte, le Comunità saranno chiamate ad approfondire le questioni e le proposte, combinando discernimento spirituale, approfondimento teologico ed esercizio pastorale.

 

La sfida del sinodo per restare dentro al mondo

Il sinodo, che ha visto rappresentato ogni angolo della terra in modo quantitativamente meno sproporzionato che in passato, ci offre la possibilità di delineare tre attenzioni che un evento di tale portata suscita.

  1. Il confronto con il Vaticano II (1963-1965) è inevitabile e persino salutare, ma va svolto con attenzione. Questo sinodo è partito con uno svantaggio enorme rispetto al Vaticano II. Il Concilio aveva alle spalle centocinquanta anni di ricerca teologica straordinaria di risveglio spirituale e liturgico impetuoso. Aveva alle spalle le esperienze e la cultura di un cattolicesimo politico finalmente non confessionale. La fede e la chiesa furono chiamate a scegliere la strada difficile di una fedeltà in tempi nuovi e diversi, senza rancori e senza timidezze. Questo sinodo non ha alle spalle nulla del genere. In questo periodo la teologia ha vissuto una stagione più povera, la vita ecclesiale è stata ferita non solo dalle prove dei tempi, ma anche dall’aver tentato strade movimentiste, neoclericali o di managerializzazione della pastorale vecchie e già ampiamente fallite. Alla disciplina della libertà troppo spesso sono stati sostituiti spesso narcisismo ecclesiastico e carrierismo.
  2. Il problema del cattolicesimo era e resta quello del confronto con la modernità. Il radicalizzarsi di questa ha reso tale compito molto più difficile e molto più urgente. Il vaticano II lo aveva compreso ed aveva detto no tanto alla demonizzazione della modernità, quanto alla sua adulazione. Come disse Paolo VI (8 dicembre 1965) dentro la stessa modernità da una parte c’è la religione del Dio che si fa uomo, dall’altra quella dell’uomo che si fa Dio. Un tale confronto non comporta affatto la necessità di uno scontro assoluto, al contrario esige dialogo fecondo ed amicizia e il coraggio di una ricerca comune. Credenti e non credenti hanno anzitutto il dovere di essere pensanti-
  3. Tornare a percorrere di nuovo la via stretta dello stare dentro la modernità guidati da un Vangelo che non piglia tutto né rifiuta tutto, che discerne e anche inventa cose nuove, non lo si fa limitandosi a dichiarazioni di principio. Ma ciò che è realisticamente da chiedere al sinodo non sono le decisioni, ma la definizione di una agenda: pochi nodi, cruciali e urgenti. Tale agenda può dare ordine al confronto futuro per rendere poi più costoso evitare di decidere. È importante recuperare e aggiornare la visione della via stretta, collegata a una agenda fatta di pochi problemi urgenti. La via stretta era e resta dura, ma le scorciatoie erano e restano effimere e nefaste.

La relazione di sintesi attenzioni catechistiche

Per entrare di più nell’ambito della catechesi richiamo la vostra attenzione sul fatto che nella Relazione di Sintesi trova spazio il tema dell’iniziazione cristiana, come sorgente sacramentale della sinodalità: la comunione, la partecipazione e la missione dei cristiani nascono dal fonte battesimale, si accrescono con la Confermazione e si alimentano continuamente alla mensa dell’Eucaristia, la cui celebrazione manifesta l’unità e insieme la diversità della Chiesa.

 

“L’iniziazione cristiana è l’itinerario attraverso cui il Signore, mediante il ministero della Chiesa, ci introduce nella fede pasquale e ci inserisce nella comunione trinitaria ed ecclesiale. Tale itinerario conosce una significativa varietà di forme a seconda dell’età in cui viene intrapreso e delle diverse accentuazioni proprie delle tradizioni orientali e di quella occidentale. Tuttavia vi si intrecciano sempre l’ascolto della Parola e la conversione della vita, la celebrazione liturgica e l’inserimento nella comunità e nella sua missione. Proprio per questo il percorso catecumenale, con la gradualità delle sue tappe e dei suoi passaggi, è il paradigma di ogni camminare insieme ecclesiale” (Parte 1 Il volto della Chiesa sinodale §3).

Queste attenzioni hanno a che fare con un cristianesimo con un piede nella cristianità e con l’altro nella postmodernità. La parrocchia e la sua azione catechistica vivono di conseguenza una situazione di “transizione”. Si può anche usare la parola “smaltimento”, parola forte, ma che esprime bene quello che sta accadendo. Tutto l’impegno pastorale che viene richiesto è proprio quello di prendere per mano le persone che vengono dal cristianesimo di tradizione e di accompagnarle verso una situazione nuova: da una fede di convenzione a una fede di convinzione. Le proposte pastorali, le omelie, le iniziative parrocchiali devono avere tutte questa finalità. In questo lavoro avvengono delle inevitabili perdite: avviene cioè lo ‘smaltimento’ progressivo di chi è cattolico solo per anagrafe.

“Il sacramento del Battesimo non può essere compreso in modo isolato, al di fuori della logica dell’iniziazione cristiana, né tanto meno in modo individualistico. Occorre dunque approfondire ulteriormente l’apporto alla comprensione della sinodalità che può provenire da una visione più unitaria dell’iniziazione cristiana”.

Non siamo chiamati solamente a cambiare paradigma catechistico: siamo invitati a rivedere la figura di fede che persiste e che in modo inconsapevole comunichiamo agli altri nella proposta catechistica. Il sinodo sollecita ad andare alla ricerca, per noi e per gli altri, di una figura di fede “culturalmente abitabile, vivibile, sensata e desiderabile” nei nostri contesti di missione pastorale, segnati ormai ovunque dalla pluralità.

“Dall’Eucaristia impariamo ad articolare unità e diversità: unità della Chiesa e molteplicità delle comunità cristiane; unità del mistero sacramentale e varietà delle tradizioni liturgiche; unità della celebrazione e diversità delle vocazioni, dei carismi e dei ministeri. Nulla più dell’Eucaristia mostra che l’armonia creata dallo Spirito non è uniformità e che ogni dono ecclesiale è destinato all’edificazione comune”.

Per “figura di fede” intendiamo il modo con cui noi interpretiamo il cristianesimo, stabiliamo il nostro rapporto con Dio, lo traduciamo in atteggiamenti e orientamenti di vita. La sfida della catechesi non è solo questione di cambiamento di strategie, ma verificare se la figura di fede che si propone è oggi culturalmente comprensibile e vivibile, per noi e per coloro a cui è diretta la nostra missione. La proposta sinodale è ancora troppo schiacciata sull’iniziazione cristiana, quando ci si rende conto che è un nuovo annuncio quello che si chiede alle chiese.

  1. a) Piuttosto che dire che la Chiesa ha una missione, affermiamo che la Chiesa è missione. «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21).
  2. b) I sacramenti dell’iniziazione cristiana conferiscono a tutti i discepoli di Gesù la responsabilità della missione della Chiesa. Laici e laiche, consacrate e consacrati, e ministri ordinati hanno pari dignità. Hanno ricevuto carismi e vocazioni diversi ed esercitano ruoli e funzioni differenti, tutti chiamati e nutriti dallo Spirito Santo per formare un solo corpo in Cristo. Tutti discepoli, tutti missionari, nella vitalità fraterna di comunità locali che sperimentano la dolce e confortante gioia di evangelizzare. L’esercizio della corresponsabilità è essenziale per la sinodalità ed è necessario a tutti i livelli della Chiesa. Ogni cristiano è una missione in questo mondo (Parte 2: Tutti discepoli, tutti missionari §8).

Il Sinodo da valore a un cristianesimo della grazia. La fede nel segno della grazia si basa sull’esperienza di un amore incondizionato. Tutto è donato. Questa esperienza connota la missione della Chiesa. È dunque la fede nella possibilità di vivere con speranza, perché siamo preceduti e custoditi. Questo non per le nostre forze, ma per grazia.

La fede identificata con il dovere e persino quella solo identificata con l’impegno non hanno futuro e non parlano più alle persone di oggi. Né la prima né la seconda sono una figura di fede “missionaria”, cioè in grado di sorprendere, di interrogare, di convertire. Qualsiasi rinnovamento della pastorale non avrà esito se non avremo operato questa conversione e non saremo entrati in un orizzonte di grazia, quella grazia che ci rende responsabili e impegnati. In noi le persone hanno bisogno di vedere riflessa la gioia di una fede che ci porta alla testimonianza gratuita e all’impegno. Non una fede legata ai doveri e al volontarismo delle nostre forze. Ciò che non è da perdere è la presenza della chiesa in mezzo alla gente. L’accento va più su “comunità ecclesiali presenza in un dato territorio” che su “parrocchia come insieme di strutture”, anche se di qualche struttura avremo sempre bisogno.  A livello di organizzazione. Siamo chiamati a vivere comunità cristiane che abbiano la forma di rete, in grado di mettere a disposizione le risorse umane, economiche, organizzative disponibili. Tra le proposte: Si invitano le Chiese locali a individuare forme e occasioni in cui dare visibilità e riconoscimento comunitario ai carismi e ministeri che arricchiscono la comunità”.

I confini di una comunità diventano luoghi di scambio, ponti comunicativi. Ciascuna è un punto della rete che fa correre la comunicazione, facilita l’accesso alle risorse e contribuisce a metterle a disposizione. Confini più porosi permettono di concentrare le energie sull’essenziale, lasciando progressivamente perdere ciò che non lo è. La logica dello scambio e della messa in comune concentrando le energie su aspetti essenziali alla missione.  Di conseguenza si è sollecitati a coltivare una ministerialità diffusa, che sappia dire il senso delle cose di tutti i giorni, con capacità di ascolto, aiuto, solidarietà, rottura della tentazione dell’indifferenza. La prossimità nel quotidiano è figura di una chiesa missionaria.

A livello di proposte pastorali e catechistiche segnalo che ad intra deve tornare al centro l’ascolto condiviso della Parola di Dio e il suo condurre verso l’assemblea eucaristica domenicale. Ad extra vanno messi al centro gli adulti le famiglie e i giovani perché possano trovare spazi per sperimentarsi e mettere alla prova i sogni della loro vita.

È stato riaffermato l’imperativo del cristiano di non mancare di rispetto per la dignità di nessuna persona e il dovere della Chiesa di corrispondere alle «persone che sono o si sentono ferite o trascurate dalla Chiesa, che desiderano un luogo in cui tornare “a casa” e in cui sentirsi al sicuro, essere ascoltate e rispettate, senza temere di sentirsi giudicate».

Rinaldo Paganelli

 

Alcune foto dell’evento:

“Fare Catechesi in Italia” attraverso la voce degli autori

7° video: don Rinaldo Paganelli S.C.I.
– docente invitato di  catechetica presso la facoltà di Scienze dell’Educazione dell’UPS di Roma

Visualizza i video precedenti:

 

 

“Laudate Deum”, il grido del Papa per una risposta alla crisi climatica

Pubblicata l’esortazione apostolica di Francesco che specifica e completa l’enciclica del 2015.

 

«“Lodate Dio” è il nome di questa lettera. Perché un essere umano che pretende di sostituirsi a Dio diventa il peggior pericolo per sé stesso». Con queste parole si conclude la nuova esortazione apostolica di Papa Francesco, pubblicata il 4 ottobre, festa del Santo di Assisi. Un testo in continuità con la più ampia enciclica Laudato si’ del 2015. In 6 capitoli e 73 paragrafi il Successore di Pietro intende specificare e completare quanto già affermato nel precedente testo sull’ecologia integrale, e al tempo stesso lanciare un allarme e una chiamata alla corresponsabilità di fronte all’emergenza del cambiamento climatico, prima che sia troppo tardi. L’esortazione guarda in particolare alla COP28 che si terrà a Dubai tra fine novembre e inizi di dicembre. Il Pontefice scrive: «Con il passare del tempo, mi rendo conto che non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura» e «non c’è dubbio che l’impatto del cambiamento climatico danneggerà sempre più la vita di molte persone e famiglie» (2). È una «delle principali sfide che la società e la comunità globale devono affrontare» e «gli effetti del cambiamento climatico sono subiti dalle persone più vulnerabili, sia in patria che nel mondo»

I segni del cambio climatico sempre più evidenti

Il primo capitolo è dedicato alla crisi climatica globale. «Per quanto si cerchi di negarli, nasconderli, dissimularli o relativizzarli, i segni del cambiamento climatico sono lì, sempre più evidenti» spiega il Papa. Che osserva come «negli ultimi anni abbiamo assistito a fenomeni estremi, frequenti periodi di caldo anomalo, siccità e altri lamenti della terra», una «malattia silenziosa che colpisce tutti noi». Inoltre Francesco afferma: «è verificabile che alcuni cambiamenti climatici indotti dall’uomo aumentano significativamente la probabilità di eventi estremi più frequenti e più intensi». Il Pontefice, dopo aver ricordato che se si superano i 2 gradi di aumento della temperatura «le calotte glaciali della Groenlandia e di gran parte dell’Antartide si scioglieranno completamente, con conseguenze enormi e molto gravi per tutti» (5), a proposito di chi minimizza il cambiamento climatico, risponde: «quello a cui stiamo assistendo ora è un’insolita accelerazione del riscaldamento, con una velocità tale che basta una sola generazione – non secoli o millenni – per accorgersene». «Probabilmente tra pochi anni molte popolazioni dovranno spostare le loro case a causa di questi eventi» (6). Anche i freddi estremi sono «espressioni alternative della stessa causa» (7).

La colpa non è dei poveri

«Nel tentativo di semplificare la realtà – scrive Francesco – non mancano coloro che incolpano i poveri di avere troppi figli e cercano di risolvere il problema mutilando le donne dei Paesi meno sviluppati. Come al solito, sembrerebbe che la colpa sia dei poveri. Ma la realtà è che una bassa percentuale più ricca della popolazione mondiale inquina di più rispetto al 50% di quella più povera e che le emissioni pro capite dei Paesi più ricchi sono di molto superiori a quelle dei più poveri. Come dimenticare che l’Africa, che ospita più della metà delle persone più povere del mondo, è responsabile solo di una minima parte delle emissioni storiche?» (9).

Il Papa mette a tema anche la posizione di chi dice che gli sforzi per mitigare il cambiamento climatico riducendo l’uso di combustibili fossili «porteranno a una riduzione dei posti di lavoro». Ciò che sta accadendo, in realtà «è che milioni di persone perdono il lavoro a causa delle varie conseguenze del cambiamento climatico: l’innalzamento del livello del mare, la siccità e molti altri fenomeni che colpiscono il pianeta hanno lasciato parecchia gente alla deriva». Mentre «la transizione verso forme di energia rinnovabile, ben gestita» è in grado «di generare innumerevoli posti di lavoro in diversi settori. Per questo è necessario che i politici e gli imprenditori se ne occupino subito» (10).

Indubitabile origine umana

«L’origine umana – “antropica” – del cambiamento climatico non può più essere messa in dubbio» afferma Francesco. «La concentrazione dei gas serra nell’atmosfera… è rimasta stabile fino al XIX secolo… Negli ultimi cinquant’anni l’aumento ha subito una forte accelerazione» (11). Allo stesso tempo la temperatura «è aumentata a una velocità inedita, senza precedenti negli ultimi duemila anni. In questo periodo la tendenza è stata di un riscaldamento di 0,15 gradi centigradi per decennio, il doppio rispetto agli ultimi 150 anni… A questo ritmo, solo tra dieci anni raggiungeremo il limite massimo globale auspicabile di 1,5 gradi centigradi» (12). Con conseguente acidificazione dei mari e scioglimento dei ghiacci. La coincidenza fra questi eventi e la crescita di emissioni di gas serra «non può essere nascosta. La stragrande maggioranza degli studiosi del clima sostiene questa correlazione e solo una minima percentuale di essi tenta di negare tale evidenza». Purtroppo, osserva amaramente il Pontefice, «la crisi climatica non è propriamente una questione che interessi alle grandi potenze economiche, che si preoccupano di ottenere il massimo profitto al minor costo e nel minor tempo possibili» (13).

Siamo appena in tempo per evitare danni più drammatici

«Sono costretto – continua Francesco – a fare queste precisazioni, che possono sembrare ovvie, a causa di certe opinioni sprezzanti e irragionevoli che trovo anche all’interno della Chiesa cattolica. Ma non possiamo più dubitare che la ragione dell’insolita velocità di così pericolosi cambiamenti sia un fatto innegabile: gli enormi sviluppi connessi allo sfrenato intervento umano sulla natura» (14). Purtroppo alcune manifestazioni di questa crisi climatica sono già irreversibili per almeno centinaia di anni, mentre «lo scioglimento dei poli non può essere invertito per centinaia o migliaia di anni» (16). Siamo dunque appena in tempo per evitare danni ancora più drammatici. Il Papa scrive che «alcune diagnosi apocalittiche sembrano spesso irragionevoli o non sufficientemente fondate», ma «non possiamo dire con certezza» ciò che accadrà (17).  È quindi «urgente una visione più ampia… Non ci viene chiesto nulla di più che una certa responsabilità per l’eredità che lasceremo dietro di noi dopo il nostro passaggio in questo mondo» (18). Ricordando l’esperienza della pandemia di Covid-19 Francesco ripete «Tutto è collegato e nessuno si salva da solo» (19).

Il paradigma tecnocratico: l’idea di un essere umano senza limiti

Nel secondo capitolo Francesco parla del paradigma tecnocratico che «consiste nel pensare come se la realtà, il bene e la verità sbocciassero spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e dell’economia» (20) e «si nutre mostruosamente di sé stesso» (21) basandosi sull’idea di un essere umano senza limiti. «Mai l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene, soprattutto se si considera il modo in cui se ne sta servendo… È terribilmente rischioso che esso risieda in una piccola parte dell’umanità» (23). Purtroppo, come insegna anche la bomba atomica, «l’immensa crescita tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza» (24). Il Papa ribadisce che «il mondo che ci circonda non è un oggetto di sfruttamento, di uso sfrenato, di ambizione illimitata» (25). Ricorda pure che noi siamo inclusi nella natura, e «ciò esclude l’idea che l’essere umano sia un estraneo, un fattore esterno capace solo di danneggiare l’ambiente. Dev’essere considerato come parte della natura» (26); «i gruppi umani hanno spesso “creato” l’ambiente» (27).

Decadenza etica del potere: marketing e falsa informazione

Abbiamo compiuto «progressi tecnologici impressionanti e sorprendenti, e non ci rendiamo conto che allo stesso tempo siamo diventati altamente pericolosi, capaci di mettere a repentaglio la vita di molti esseri e la nostra stessa sopravvivenza» (28). «La decadenza etica del potere reale è mascherata dal marketing e dalla falsa informazione, meccanismi utili nelle mani di chi ha maggiori risorse per influenzare l’opinione pubblica attraverso di essi». Grazie a questi meccanismi si convincono gli abitanti delle zone dove si vogliono realizzare progetti inquinanti illudendoli che si potranno generare delle opportunità economiche e occupazionali ma «non viene detto loro chiaramente che in seguito a tale progetto» resterà «una terra devastata» (29) e condizioni di vita molto più sfavorevoli. «La logica del massimo profitto al minimo costo, mascherata da razionalità, progresso e promesse illusorie, rende impossibile qualsiasi sincera preoccupazione per la casa comune e qualsiasi attenzione per la promozione degli scartati della società… Estasiati davanti alle promesse di tanti falsi profeti, i poveri stessi a volte cadono nell’inganno di un mondo che non viene costruito per loro» (31). Esiste «un dominio di coloro che sono nati con migliori condizioni di sviluppo» (32). Francesco li invita a chiedersi, «di fronte ai figli che pagheranno per i danni delle loro azioni», quale sia il senso della loro vita (33).

Politica internazionale debole

Nel capitolo successivo dell’esortazione il Papa affronta il tema della debolezza della politica internazionale, insistendo sulla necessità di favorire «gli accordi multilaterali tra gli Stati» (34). Spiega che «quando si parla della possibilità di qualche forma di autorità mondiale regolata dal diritto, non necessariamente si deve pensare a un’autorità personale» ma di «organizzazioni mondiali più efficaci, dotate di autorità per assicurare il bene comune mondiale, lo sradicamento della fame e della miseria e la difesa certa dei diritti umani fondamentali». Che «devono essere dotate di una reale autorità per “assicurare” la realizzazione di alcuni obiettivi irrinunciabili» (35). Francesco deplora che «le crisi globali vengano sprecate quando sarebbero l’occasione per apportare cambiamenti salutari. È quello che è successo nella crisi finanziaria del 2007-2008 e che si è ripetuto nella crisi del Covid-19», che hanno portato «maggiore individualismo, minore integrazione, maggiore libertà per i veri potenti, che trovano sempre il modo di uscire indenni» (36). «Più che salvare il vecchio multilateralismo, sembra che oggi la sfida sia quella di riconfigurarlo e ricrearlo alla luce della nuova situazione globale» (37) riconoscendo che tante aggregazioni e organizzazioni della società civile aiutano a compensare le debolezze della Comunità internazionale. Il Papa cita il processo di Ottawa sulle mine antiuomo che mostra come la società civile crea dinamiche efficienti che l’ONU non raggiunge.

Inutili le istituzioni che preservano i più forti

Quello proposto da Francesco è «un multilateralismo “dal basso” e non semplicemente deciso dalle élite del potere… È auspicabile che ciò accada per quanto riguarda la crisi climatica. Perciò ribadisco che se i cittadini non controllano il potere politico – nazionale, regionale e municipale – neppure è possibile un contrasto dei danni ambientali» (38). Dopo aver riaffermato il primato della persona umana e sulla difesa della sua dignità al di là di ogni circostanza, Francesco spiega che «non si tratta di sostituire la politica, perché… le potenze emergenti stanno diventando sempre più rilevanti». «Proprio il fatto che le risposte ai problemi possano venire da qualsiasi Paese, per quanto piccolo, conduce a riconoscere il multilateralismo come una strada inevitabile» (40). È necessario dunque «quadro diverso per una cooperazione efficace. Non basta pensare agli equilibri di potere, ma anche alla necessità di rispondere alle nuove sfide e di reagire con meccanismi globali». Servono «regole universali ed efficienti» (42). «Tutto ciò presuppone che si attui una nuova procedura per il processo decisionale»; servono «spazi di conversazione, consultazione, arbitrato, risoluzione dei conflitti, supervisione e, in sintesi, una sorta di maggiore “democratizzazione” nella sfera globale, per esprimere e includere le diverse situazioni. Non sarà più utile sostenere istituzioni che preservino i diritti dei più forti senza occuparsi dei diritti di tutti» (43).

Le conferenze sul clima

Nel capitolo seguente Francesco descrive le diverse conferenze sul clima tenutesi fino ad oggi. Ricorda quella di Parigi, il cui accordo è entrato in vigore nel novembre 2016, ma «pur essendo vincolante, non tutti i requisiti sono obblighi in senso stretto e alcuni di essi lasciano spazio a un’ampia discrezionalità» (47), non sono previste sanzioni per gli obblighi non rispettati e mancano strumenti efficaci per farla osservare, non prevede sanzioni vere e proprie e non ci sono strumenti efficaci per garantirne l’osservanza. E «si sta ancora lavorando per stabilire procedure concrete di monitoraggio e fornire criteri generali per confrontare gli obiettivi dei diversi Paesi» (48). Il Papa accenna alla delusione per la COP di Madrid e ricorda che quella di Glasgow ha rilanciato gli obiettivi di Parigi, con molte “esortazioni”, ma «le proposte volte a garantire una transizione rapida ed efficace verso forme di energia alternativa e meno inquinante non sono riuscite a fare progressi» (49). La COP27 in Egitto del 2022 «è stata un ulteriore esempio della difficoltà dei negoziati» e anche se ha prodotto «almeno un progresso nel consolidamento del sistema di finanziamento per le “perdite e i danni” nei Paesi più colpiti dai disastri climatici» (51) anche su questo molti punti sono rimasti “imprecisi”. I negoziati internazionali «non possono avanzare in maniera significativa a causa delle posizioni dei Paesi che privilegiano i propri interessi nazionali rispetto al bene comune globale. Quanti subiranno le conseguenze che noi tentiamo di dissimulare, ricorderanno questa mancanza di coscienza e di responsabilità» (52).

Cosa ci si aspetta dalla COP di Dubai?

Guardando alla COP28 Francesco scrive che «dire che non bisogna aspettarsi nulla sarebbe autolesionistico, perché significherebbe esporre tutta l’umanità, specialmente i più poveri, ai peggiori impatti del cambiamento climatico» (53). «Non possiamo rinunciare a sognare che la COP28 porti a una decisa accelerazione della transizione energetica, con impegni efficaci che possano essere monitorati in modo permanente. Questa Conferenza può essere un punto di svolta» (54). Il Papa osserva che «la necessaria transizione verso energie pulite… abbandonando i combustibili fossili, non sta procedendo abbastanza velocemente. Di conseguenza, ciò che si sta facendo rischia di essere interpretato solo come un gioco per distrarre» (55). Non si può cercare soltanto un rimedio tecnico ai problemi, «corriamo il rischio di rimanere bloccati nella logica di rattoppare… mentre sotto sotto va avanti un processo di deterioramento che continuiamo ad alimentare» (57).

Basta ridicolizzare la questione ambientale

Francesco chiede di porre fine «all’irresponsabile presa in giro che presenta la questione come solo ambientale, “verde”, romantica, spesso ridicolizzata per interessi economici. Ammettiamo finalmente che si tratta di un problema umano e sociale in senso ampio e a vari livelli. Per questo si richiede un coinvolgimento di tutti». A proposito delle proteste dei gruppi radicalizzati, il Papa afferma che «essi occupano un vuoto della società nel suo complesso, che dovrebbe esercitare una sana pressione, perché spetta a ogni famiglia pensare che è in gioco il futuro dei propri figli» (58). Il Pontefice auspica che dalla COP28 emergano «forme vincolanti di transizione energetica» che siano efficienti, «vincolanti e facilmente monitorabili» (59). «Speriamo che quanti interverranno siano strateghi capaci di pensare al bene comune e al futuro dei loro figli, piuttosto che agli interessi di circostanza di qualche Paese o azienda. Possano così mostrare la nobiltà della politica e non la sua vergogna… Ai potenti oso ripetere questa domanda: “Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario farlo?”» (60).

Un impegno che scaturisce dalla fede cristiana

Infine il Papa ricorda che le motivazioni di questo impegno scaturiscono dalla fede cristiana, incoraggiando «i fratelli e le sorelle di altre religioni a fare lo stesso» (61). «La visione giudaico-cristiana del mondo sostiene il valore peculiare e centrale dell’essere umano in mezzo al meraviglioso concerto di tutti gli esseri». «Noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile» (67). «Questo non è un prodotto della nostra volontà, ha un’altra origine che si trova alla radice del nostro essere, perché Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci circonda» (68). Ciò che conta, scrive Francesco è ricordare che «non ci sono cambiamenti duraturi senza cambiamenti culturali, senza una maturazione del modo di vivere e delle convinzioni sociali, e non ci sono cambiamenti culturali senza cambiamenti nelle persone» (70). «Gli sforzi delle famiglie per inquinare meno, ridurre gli sprechi, consumare in modo oculato, stanno creando una nuova cultura. Il semplice fatto di cambiare le abitudini personali, familiari e comunitarie» contribuisce «a realizzare grandi processi di trasformazione che operano dal profondo della società» (71). Il Pontefice conclude la sua esortazione ricordando che «le emissioni pro capite negli Stati Uniti sono circa il doppio di quelle di un abitante della Cina e circa sette volte maggiori rispetto alla media dei Paesi più poveri». E afferma che «un cambiamento diffuso dello stile di vita irresponsabile legato al modello occidentale avrebbe un impatto significativo a lungo termine. Così, con le indispensabili decisioni politiche, saremmo sulla strada della cura reciproca» (72).