Paradiso e libertà

RANIERO LA VALLE, Paradiso e libertà, Ponte alle Grazie, Milano 2010 Il nuovo libro di Raniero La Valle «Paradiso e libertà» riassume e sviluppa in modo articolato due ideali fondamentali della sua esperienza di credente e di uomo pubblico: il coinvolgimento attivo nella politica come impegno per la libertà, distintivo essenziale della persona umana, e la tensione consapevole verso il traguardo del cammino comune: la divinizzazione dell’uomo o l’assunzione del «nome scritto nei cieli» (cfr.
Lc.
10,20), il nome di figli di Dio.
I due aspetti sono collegati perché l’identità di figli di Dio è scritta nel cielo ma lo si costruisce solo sulla terra camminando insieme ai fratelli e vivendo consapevolmente la responsabilità per gli altri.
«Non si salva l’anima se non si grida per gli oppressi».
Ora «la politica altro non è che il consapevole vivere degli uomini insieme» (p.
164).
Il titolo «Paradiso e libertà» rievoca una curiosa terminologia della Bologna medioevale.
Un decreto del 1257, che riscattava le 5856 persone ancora soggette a qualche forma di schiavitù venne chiamato «Libro Paradiso», «perché la conquista della libertà era percepita come un ritorno al Paradiso; il Paradiso è la libertà; data da Dio a lei si ritorna» (p.
116).
Il termine ‘Paradiso’, come è noto, può designare sia la condizione originaria dell’uomo secondo il mito della perfezione iniziale (Paradiso terrestre), sia il traguardo al quale ogni uomo è chiamato: «l’identità definitiva dei figli di Dio», secondo le parole di Gesù sulla croce «Oggi sarai con me in Paradiso» (Lc.
23, 43).
Tra i due poli dell’inizio e della fine si intreccia l’esistenza storica dell’uomo che può svolgersi in un paradiso anticipato.
Perché «ogni volta che sono stati liberati dei prigionieri, che è stata abolita la schiavitù, che sono state chiuse le Inquisizioni, che sono stati cacciati gli invasori, che sono stati arrestati gli usurai, che sono stati sconfitti i mafiosi, che hanno acquistato diritti gli operai, che sono uscite le donne dalle mani di padri e padroni, che si sono poste garanzie per i delitti e per le pene, e ogni volta che si sono scritte le Costituzioni, e si è dato mano ad attuarle, e le si sono difese contro i loro eversori, e quando il costituzionalismo ha fatto concepire anche altre, ulteriori conquiste, allora si è stabilito un pezzo di paradiso in terra; e ogni volta che questo accade, si accorciano le distanze tra i due paradisi» (p.
29).
L’ideale quando è vissuto inserisce una tensione nella storia e affida molte responsabilità agli uomini.
«Forse un giorno questo paradiso, senza manicomi, senza carceri, senza ghetti, senza esclusioni, sarà possibile, qui in questo mondo.
Forse le istituzioni, tutte le istituzioni, potranno assicurare la libertà, invece che toglierla…
per costruire piuttosto un nuovo ordine di rapporti umani e vivere in un libero Paradiso in libera terra» (p.
120).
Il sottotitolo, «L’uomo quel Dio peccatore», riassume l’antropologia soggiacente alle scelte storiche e alle riflessioni proposte.
L’uomo è l’unica creatura fatta «a immagine e a somiglianza di Dio» (cfr.
Gen.
1,26 s) e lo è in virtù della libertà.
La libertà dell’uomo, tuttavia, implica la possibilità di peccare, a differenza della libertà di Dio «che non può dissociarsi dalla propria immagine, non può non somigliare a se stesso, non può sdivinizzarsi» (p.
121).
«Come la divinità è ciò che distingue l’uomo dagli animali, così il peccato è ciò che distingue l’uomo dagli animali e da Dio; e se Dio è l’essere divino che non pecca, l’uomo è l’essere divino che, peccando, viene meno alla sua divinità» (p.
121).
È possibile però uscire dal peccato per entrare nell’ambito della grazia riconciliatrice.
Questo è un aspetto essenziale del «buon annuncio» che è il Vangelo di Gesù: il peccato può essere redento, l’amore di Dio si esprime come misericordia per i peccatori.
Dio entra nella terra sterminata del peccato, «vi entra per farsi uomo, l’uomo ne esce per farsi Dio» (p.
122).
Tutto ciò è possibile non in virtù della buona volontà dell’uomo o delle sue attuali capacità, bensì perché «nell’ uomo c’è una misteriosa energia divina; misteriosa non perché sia magica, ma perché è divina.
E se Dio è amore…
questa energia è l’amore.
Come la libertà è nell’uomo l’immagine di Dio, così l’amore è Dio che ama attraverso l’uomo; di questo amore l’uomo è il vaso e il ministro, ne è la trasparenza e il filtro» (p.
175).
D’altra parte lo stesso Concilio nel «Decreto sulle religioni non cristiane» aveva parlato «di quella forza arcana che è presente al corso delle cose e agli avvenimenti della vita umana» (Nostra Aetate n.
2).
Questa forza creatrice nell’uomo è giunta a fiorire come amore e conduce avanti la storia.
Per questo: «l’antidoto al male e al peccato non è mai il Dio degli eserciti, del giudizio, della condanna, del potere, ma solo e sempre» (p.
186) il Dio dell’Amore misericordioso rivelato da Gesù.
È la forza che consente di portare il male, di attraversare la sofferenza espressioni provvisorie della condizione imperfetta delle creature, per il momento ineliminabile.
«C’è troppo dolore nel mondo, per pensare che esso non trovi né  consolazione né fine» (p.
200).
Questa stessa forza dell’amore spinge il mondo verso il compimento, perché il Bene che la suscita e la muove è già esistente in forma piena e può far fiorire modalità inedite di fraternità e di giustizia.
Questa tensione verso il Bene è essenziale alla prospettiva cristiana, ma è anche una leva di sconvolgimenti storici per cui «il cristianesimo che perda l’escatologia perde la sua anima, ma il mondo perde la rivoluzione» (p.
200).
La missione della Chiesa in questa prospettiva è proclamare e difendere l’eccelsa dignità della persona umana; diffondere dinamiche di attesa, suscitare la tensione verso il compimento attraverso le sue  anticipazioni.
La Chiesa, in quanto struttura, non è l’unico ambito di salvezza nel mondo, ma è lo strumento perché tutta l’umanità diventi popolo di Dio.
«Questo popolo di Dio, che sta nella Chiesa visibile ma non finisce nella Chiesa visibile, che sta in tutti i luoghi e in tutti i punti della storia, che è il soggetto in cui si gioca la salvezza, esistenzialmente, sociologicamente, politicamente è l’umanità tutta intera.
E lei il corpo di cui Cristo è il capo: come dice la Mystici corporis, Cristo morendo in croce offrì al Padre se stesso quale capo di tutto il genere umano (p.
217).
Ciò che importa, in ogni caso, è mantenere alta la tensione verso il compimento, alimentare la speranza, perché solo questa consente di camminare anche quando tutto intorno è tenebroso.
La città degli uomini può acquisire caratteristiche che anticipano e fanno presagire la città di Dio «e l’uomo, se è divino può trovarsi a suo agio in ambedue le città» (p.
29).
Questi messaggi riassumono la intensa e ampia riflessione di Raniero La Valle, che ha indicato i criteri con cui riconoscere nella storia umana la sottile trama della salvezza offerta da Dio a tutti gli uomini.
La conclusione è molto chiara: «il mondo non è da buttare.
È il mondo di Dio, abitato da creature chiamate ad essere come Dei.
E i demoni sempre infesti e sconfitti» (p.
220).
Carlo Molari in “Rocca” n.
1 del 1 gennaio 2011

Per riformare la Chiesa

Giuseppe Casale, Per riformare la Chiesa, La Meridiana, Molfetta 2010 Un libro, questo di Giuseppe Casale, di poche pagine, ma che ne vale molte, tanto vibra speranza e, intriso di ardimento evangelico e visione ampia delle urgenze pastorali dell’oggi, affronta senza esitazione anche problemi di solito tabù per l’establishment ecclesiastico.
Classe 1923, vescovo di Vallo della Lucania nel 1974 e, dall’88 al ’99, di Foggia, il prelato ormai vive come «emerito»; ma non solo non si è estraniato dall’agorà ecclesiale, ma su di essa riflette a voce alta, e coraggiosamente parla di quello che molti suoi confratelli sembrano non vedere, o che altri pur vedono, ma non osano nominare: e cioè delle riforme che la Chiesa romana dovrebbe attuare per essere più fedele al messaggio di Gesù e per non seppellire il Vaticano II.
«Appunti per una stagione conciliare» è, infatti, il sottotitolo del libro, le cui considerazioni sono tese tra l’ultimo Concilio e la nuova stagione che Casale si augura per attuare quelle riforme che il Vaticano II non poté fare, o solo prospettò in germe, o la cui esigenza, emersa solamente in questi ultimi anni, oggi reclama di essere valutata con ponderazione, fiducia e disponibilità all’ascolto dello Spirito e al cambiamento.
Spiega, infatti, l’autore nella premessa: «I tempi del Concilio! Quante speranze e quanta gioia nell’attuarne gli insegnamenti.
Soprattutto nel sentirsi popolo di Dio in cammino nella storia per farvi penetrare il lievito evangelico.
Da vescovo ho cercato di camminare insieme con la mia gente del Sud, condividendo la loro vita e animando un impegno di riscossa contro antiche e nuove oppressioni.
Non ho pensato che tutto potesse filar liscio come l’olio.
Non credo che il Vangelo possa prescindere dalla logica della Croce e ridursi a passeggero entusiasmo.
Però non bisogna eludere le domande che la società ci pone.
Il Concilio ha avviato un confronto che va continuato.
Non chiudiamoci in difesa inventandoci complotti contro la Chiesa.
O riducendo a chiacchiericcio le voci che denunziano le nostre mancanze di fedeltà al Vangelo» (pagine 7-8).
Il primo argomento che Casale tocca è quello del dialogo nella Chiesa, riferendosi a quanto, in proposito, auspicava Paolo VI nell’enciclica Ecclesiam suam (1964).
Nota Casale: «Quanto lontane sembrano queste parole [del papa] e quanta tristezza per l’attuale incomunicabilità nella Chiesa.
Bisogna essere intimamente convinti che la vitalità della Chiesa cresce quando c’è dialogo nell’obbedienza.
Le inquietudini del post-Concilio hanno condotto a sopire, a mettere il silenziatore sulle voci del dissenso, sulle richieste di una più fedele attuazione degli orientamenti conciliari.
L’unità è stata intesa come piatto conformismo, mancanza di creatività, adesione a programmi studiati a tavolino e non rispondenti alle urgenze dell’ora presente.
Nella Chiesa è prevalsa la parola del ritorno all’ordine, frenando i tentativi di nuove esperienze che meglio interpretassero e pienamente attuassero lo spirito del Concilio.
Messe a tacere le voci che invocavano riflessione attenta, confronto sereno, verifica del rapporto Chiesa-società, si sono fatte forti e insistenti le voci dei cattolici plaudenti.
Cattolici che vivono tranquilli nelle loro posizioni di comodo, all’ombra dell’autorità…
Si è fatto un gran parlare del progetto culturale [particolarmente voluto dal cardinale Camillo Ruini, per tre lustri presidente della Conferenza episcopale italiana].
Ma, che cosa rappresenta un colloquio tra cosiddetti intellettuali che vogliono continuare a tenere legata la Chiesa ad un occidente che ha ormai eliminato il vangelo dalla vita quotidiana? Come rompere la ragnatela di compromissioni, omertà, paure, connivenze che stringe in una morsa velenosa e avvilente non solo alcune regioni dell’Italia meridionale, ma ormai l’intero paese?» (pagine 13- 14).
Casale elenca quindi la necessità di riforme, ma che siano «vere», e non come quelle apportate ad esempio nella Curia romana, che «hanno abbellito l’aspetto esterno dell’istituzione ecclesiastica, hanno creato nuovi organismi, ma non hanno eliminato o modificato mentalità e atteggiamenti del passato.
Il clericalismo rimane dominante» (pagine 17-18).
Ampio è poi il ventaglio dei ponderosi temi che egli propone di affrontare: una reale attuazione della collegialità episcopale e perciò il cambiamento (già auspicato, ma non attuato, da papa Wojtyla) del modo di esercizio del ministero petrino; l’ammissione dei viri probati (uomini di età matura, già sposati, ordinati presbiteri); la ridiscussione del divieto ai divorziati risposati di accostarsi all’Eucaristia; una più ponderata riflessione sul testamento biologico (il prelato dissente dalla rigida posizione delle gerarchie ecclesiastiche nel caso di Eluana Englaro); la scelta della povertà come norma costitutiva anche per l’istituzione ecclesiastica; un vero riconoscimento dell’autonomia del laicato…
Per fare questo, egli conclude, urge aprire una nuova «stagione conciliare», un tempo di aperto dibattito sui problemi emergenti per infine approdare, chissà, ad un nuovo Concilio di riforma.
Proposte analoghe sono state indicate spesso da vescovi africani o latinoamericani; che si odano anche in Italia è davvero un segno di speranza.
Malgrado molte gelate, il Vaticano II non è passato invano.
Il tranquillo coraggio di un italiano vescovo di David Gabrielli in “Confronti” n.
1 del gennaio 2011

Il Concilio Vaticano II

LA SFIDA DI INTERPRETAZIONI CONTRASTANTI di Athanasius Schneider […] Per un’interpretazione corretta del Concilio Vaticano II è necessario tenere conto dell’intenzione manifestata negli stessi documenti conciliari e nelle parole specifiche dei papi che l’hanno indetto e presieduto, Giovanni XXIII e Paolo VI.
Inoltre è necessario scoprire il filo conduttore di tutta l’opera del Concilio, cioè la sua intenzione pastorale, che è la “salus animarum”, la salvezza delle anime.
Questa, a sua volta, dipende ed è subordinata alla promozione del culto divino e della gloria di Dio, cioè dipende dal primato di Dio.
Questo primato di Dio nella vita ed in tutta l’attività della Chiesa è manifestato inequivocabilmente dal fatto che la costituzione sulla liturgia occupa intenzionalmente e cronologicamente il primo posto nella vasta opera del Concilio.
[…] * La caratteristica della rottura nell’interpretazione dei testi conciliari si manifesta in modo più stereotipato e diffuso nella tesi di una svolta antropocentrica, secolarizzante o naturalistica del Concilio Vaticano II riguardo alla tradizione ecclesiale precedente.
Una delle manifestazioni più note di una tale interpretazione sbagliata è stata, per esempio, la cosiddetta teologia della liberazione e la sua susseguente devastante prassi pastorale.
Quale contrasto vi sia tra questa teologia della liberazione e la sua prassi ed il Concilio, appare evidente dal seguente insegnamento conciliare: “La missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è d’ordine politico, economico o sociale: il fine, infatti, che le ha prefisso è d’ordine religioso” (cfr.
“Gaudium et Spes”, 42).
[…] Un’interpretazione di rottura di peso dottrinalmente più leggero si è manifestata nel campo pastorale-liturgico.
Si può menzionare a tal proposito il calo del carattere sacro e sublime della liturgia e l’introduzione di elementi gestuali più antropocentrici.
Questo fenomeno si evidenzia in tre pratiche liturgiche assai note e diffuse nella quasi totalità delle parrocchie dell’orbe cattolico: la scomparsa quasi totale dell’uso della lingua latina, la ricezione del corpo eucaristico di Cristo direttamente sulla mano e in piedi e la celebrazione del sacrificio eucaristico nella modalità di un cerchio chiuso in cui sacerdote e popolo continuamente si guardano vicendevolmente in faccia.
Questo modo di pregare – cioè il non essere rivolti tutti nella medesima direzione, che è un’espressione corporale e simbolica più naturale rispetto alla verità di essere tutti spiritualmente rivolti a Dio nel culto pubblico – contraddice la pratica che Gesù stesso e suoi apostoli hanno osservano nella preghiera pubblica sia nel tempio sia nella sinagoga.
Contraddice inoltre la testimonianza unanime dei Padri e di tutta la tradizione posteriore della Chiesa orientale ed occidentale.
Queste tre pratiche pastorali e liturgiche di clamorosa rottura con la legge della preghiera mantenuta dalle generazioni dei fedeli cattolici durante almeno un millennio, non trovano nessun appoggio nei testi conciliari, anzi piuttosto contraddicono sia un testo specifico del Concilio (sulla lingua latina: cfr.
“Sacrosanctum Concilium”, 36 e 54), sia la “mens”, la vera intenzione dei Padri conciliari, come si può verificare negli atti del Concilio.
* Nel chiasso ermeneutico delle interpretazioni contrastanti e nella confusione d’applicazioni pastorali e liturgiche, appare come unico interprete autentico dei testi conciliari il Concilio stesso, unitamente al papa.
Si potrebbe porre un’analogia con il clima ermeneutico confuso dei primi secoli della Chiesa, provocato da interpretazioni bibliche e dottrinali arbitrarie da parte di gruppi eteredossi.
Nella sua famosa opera “De praescriptione haereticorum” Tertulliano poteva contrapporre agli eretici di diverso orientamento il fatto che solamente la Chiesa possiede la “praescriptio”, cioè soltanto la Chiesa è la proprietaria legittima della fede, della parola di Dio e della tradizione.
Con questo nelle dispute sulla vera interpretazione la Chiesa può respingere gli eretici.
Soltanto la Chiesa può dire, secondo Tertuliano: “Ego sum heres Apostolorum”, io sono l’erede degli apostoli.
Parlando analogicamente, soltanto il magistero supremo del papa o di un possibile futuro concilio ecumenico potrà dire: “Ego sum heres Concilii Vaticani II”.
Nei decenni scorsi esistevano, e tuttora esistono, raggruppamenti all’interno della Chiesa che operano un enorme abuso del carattere pastorale del Concilio e dei suoi testi, scritti secondo questa intenzione pastorale, giacché il Concilio non voleva presentare propri insegnamenti definitivi o irreformabili.
Dalla stessa natura pastorale dei testi del Concilio s’evidenzia che i suoi testi sono di principio aperti a completamenti e ad ulteriori precisazioni dottrinali.
Tenendo conto dell’ormai pluridecennale esperienza delle interpretazioni dottrinalmente e pastoralmente sbagliate e contrarie alla continuità bimillenaria della dottrina e della preghiera della fede, sorge quindi la necessità e l’urgenza di un intervento specifico ed autorevole del magistero pontificio per un’interpretazione autentica dei testi conciliari, con completamenti e precisazioni dottrinali; una specie di “Syllabus” degli errori circa l’interpretazione del Concilio Vaticano II.
C’è bisogno di un nuovo Sillabo, questa volta diretto non tanto contro gli errori provenienti al di fuori dalla Chiesa, ma contro gli errori diffusi dentro della Chiesa da parte dei sostenitori della tesi della discontinuità e della rottura, con sua applicazione dottrinale, liturgica e pastorale.
Un tale Sillabo dovrebbe constare di due parti: la parte che segnala gli errori e la parte positiva con delle proposizioni di chiarimento, completamento e precisazione dottrinale.
* Si evidenziano due raggruppamenti che sostengono la teoria della rottura.
Uno di questi raggruppamento tenta di “protestantizzare” dottrinalmente, liturgicamente e pastoralmente la vita della Chiesa.
Dal lato opposto ci sono quei gruppi tradizionalisti che, a nome della tradizione, rigettano il Concilio e si sottraggono alla sottomissione al supremo vivente magistero della Chiesa, al visibile capo della Chiesa, il vicario di Cristo sulla terra, sottomettendosi intanto solo al capo invisibile della Chiesa, aspettando dei tempi migliori.
[…] Ci sono stati in sostanza due impedimenti perché la vera intenzione del Concilio e il suo magistero potessero portare abbondanti e durevoli frutti.
L’uno si trovava fuori della Chiesa, nel violento processo di rivoluzione culturale e sociale degli anni ’60, che come ogni forte fenomeno sociale penetrava dentro la Chiesa contagiando con il suo spirito di rottura vasti ambiti di persone e d’istituzioni.
L’altro impedimento si manifestava nella mancanza di sapienti e allo stesso tempo intrepidi pastori della Chiesa che fossero pronti a difendere la purezza e l’integrità della fede e della vita liturgica e pastorale, non lasciandosi influenzare né dalla lode né dal timore.
Già il Concilio di Trento affermava in uno dei suoi ultimi decreti sulla riforma generale della Chiesa: “Il santo sinodo, scosso dai tanti gravissimi mali che travagliano la Chiesa, non può non ricordare che la cosa più necessaria alla Chiesa di Dio è scegliere pastori ottimi e idonei; a maggior ragione, in quanto il signore nostro Gesù Cristo chiederà conto del sangue di quelle pecore che dovessero perire a causa del cattivo governo di pastori negligenti e immemori del loro dovere” (Sessione XXIV, Decreto “de reformatione”, can.
1).
Il Concilio proseguiva: “Quanto a tutti coloro che per qualunque ragione hanno da parte della Santa Sede qualche diritto per intervenire nella promozione dei futuri prelati o a quelli che vi prendono parte in altro modo il santo Concilio li esorta e li ammonisce perché si ricordino anzitutto che essi non possono fare nulla di più utile per la gloria di Dio e la salvezza dei popoli che impegnarsi a scegliere pastori buoni e idonei a governare la Chiesa”.
C’è dunque davvero bisogno di un Sillabo conciliare con valore dottrinale ed inoltre c’è il bisogno dell’aumento del numero di pastori santi, coraggiosi e profondamente radicati nella tradizione della Chiesa, privi di ogni specie di mentalità di rottura sia in campo dottrinale, sia in campo liturgico.
Questi due elementi costituiscono l’indispensabile condizione affinché la confusione dottrinale, liturgica e pastorale diminuisca notevolmente e l’opera pastorale del Concilio Vaticano II possa portare molti e durevoli frutti nello spirito della tradizione, che ci collega con lo spirito che ha regnato in ogni tempo, dappertutto e in tutti veri figli della Chiesa cattolica, che è l’unica e la vera Chiesa di Dio sulla terra.
__________ Il testo integrale della conferenza del vescovo Athanasius Schneider, tenuta a Roma il 17 dicembre 2010: > Il primato del culto di Dio come fondamento di ogni vera teologia pastorale.
Proposte per una corretta lettura del Concilio Vaticano II
__________ L’appello dell’11 gennaio scorso a Benedetto XVI contro i pericoli dottrinali di un nuovo incontro interreligioso ad Assisi: > “Santo Padre Benedetto XVI, siamo alcuni cattolici gratissimi dell’opera da Lei compiuta…” __________ Quanto alla retta interpretazione del Vaticano II, Benedetto XVI ha chiarito il suo pensiero nel memorabile discorso alla curia del 22 dicembre 2005, escludendo che nei documenti del Concilio vi siano errori dottrinali e punti di rottura con la tradizione della Chiesa: > “Signori cardinali…”

“Lo spirito di Assisi”

L’annuncio, fatto da Benedetto XVI dopo l’Angelus di Capodanno, di un suo viaggio ad Assisi, il prossimo ottobre, per un nuovo incontro tra le religioni per la pace, ha rinfocolato le controversie non solo sul cosiddetto “spirito di Assisi”, ma anche sul Concilio Vaticano II e il postconcilio.
Il professor Roberto de Mattei – fresco autore di una riscrittura della storia del Concilio che culmina nella richiesta a Benedetto XVI di promuovere “un nuovo esame” dei documenti conciliari per dissipare il sospetto che abbiano rotto con la dottrina tradizionale della Chiesa – ha firmato assieme ad altre personalità cattoliche un appello al papa affinchè il nuovo incontro ad Assisi “non riaccenda le confusioni sincretiste” del primo, quello convocato il 27 ottobre 1986 da Giovanni Paolo II nella città di san Francesco.
In effetti, nel 1986, l’allora cardinale Joseph Ratzinger non si recò a quel primo incontro, contro il quale era critico.
Partecipò invece a una sua replica tenuta sempre ad Assisi il 24 gennaio 2002, alla quale aderì “in extremis” dopo essersi assicurato che gli equivoci dell’incontro precedente non si ripetessero.
L’equivoco principale alimentato dall’incontro di Assisi del 1986 è stato quello di equiparare le religioni come sorgenti di salvezza per l’umanità.
Contro questo equivoco la congregazione per la dottrina della fede emanò nel 2000 la dichiarazione “Dominus Iesus”, per riaffermare che ogni uomo non ha altro salvatore che Gesù.
Ma anche da papa, Ratzinger è tornato a mettere in guardia dalle confusioni.
In un messaggio al vescovo di Assisi del 2 settembre 2006 ha scritto: “Per non equivocare sul senso di quanto, nel 1986, Giovanni Paolo II volle realizzare, e che, con una sua stessa espressione, si suole qualificare come ‘spirito di Assisi’, è importante non dimenticare l’attenzione che allora fu posta perché l’incontro interreligioso di preghiera non si prestasse ad interpretazioni sincretistiche, fondate su una concezione relativistica.
[…] Perciò, anche quando ci si ritrova insieme a pregare per la pace, occorre che la preghiera si svolga secondo quei cammini distinti che sono propri delle varie religioni.
Fu questa la scelta del 1986, e tale scelta non può non restare valida anche oggi.
La convergenza dei diversi non deve dare l’impressione di un cedimento a quel relativismo che nega il senso stesso della verità e la possibilità di attingerla”.
E in visita ad Assisi il 17 giugno 2007, ha detto nell’omelia: “La scelta di celebrare quell’incontro ad Assisi era suggerita proprio dalla testimonianza di Francesco come uomo di pace, al quale tanti guardano con simpatia anche da altre posizioni culturali e religiose.
Al tempo stesso, la luce del Poverello su quell’iniziativa era una garanzia di autenticità cristiana, giacché la sua vita e il suo messaggio poggiano così visibilmente sulla scelta di Cristo, da respingere a priori qualunque tentazione di indifferentismo religioso, che nulla avrebbe a che vedere con l’autentico dialogo interreligioso.
[…] Non potrebbe essere atteggiamento evangelico, né francescano, il non riuscire a coniugare l’accoglienza, il dialogo e il rispetto per tutti con la certezza di fede che ogni cristiano, al pari del santo di Assisi, è tenuto a coltivare, annunciando Cristo come via, verità e vita dell’uomo, unico Salvatore del mondo”.
Tornando alla controversia sul Concilio Vaticano II, va segnalato un importante convegno tenuto il 16-18 dicembre scorso a Roma, a pochi passi dalla basilica di San Pietro, “per una giusta ermeneutica del Concilio alla luce della Tradizione della Chiesa”.
È finita sotto il giudizio critico dei relatori soprattutto la natura “pastorale” del Vaticano II, con gli abusi avvenuti in suo nome.
Tra i relatori c’erano il professor de Mattei e il teologo Brunero Gherardini, 85 anni, canonico della basilica di San Pietro, professore emerito della Pontificia Università Lateranense e direttore della rivista di teologia tomista “Divinitas”.
Gherardini è autore di un volume sul Concilio Vaticano II che si conclude con una “Supplica al Santo Padre”.
Al quale viene chiesto di sottoporre a riesame i documenti del Concilio, per chiarire “se, in che senso e fino a che punto” il Vaticano II sia o no in continuità con il precedente magistero della Chiesa.
Il libro di Gherardini ha la prefazione di Albert Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo ed ex segretario della congregazione vaticana per il culto divino, fatto cardinale nel concistoro dello scorso novembre.
Ranjith è uno dei due vescovi ai quali www.chiesa ha dedicato recentemente un servizio con questo titolo: > I più bravi allievi di Ratzinger sono in Sri Lanka e Kazakhstan E il secondo di questi vescovi, l’ausiliare di Karaganda, Athanasius Schneider, era presente al convegno romano del 16-18 dicembre, come relatore.
Qui sotto è riportata la parte finale della sua conferenza.
Che si conclude con la proposta di due rimedi agli abusi del postconcilio.
Il primo è l’emanazione di un “Syllabus” contro gli errori dottrinali di interpretazione del Vaticano II.
Il secondo è la nomina di vescovi “santi, coraggiosi e profondamente radicati nella tradizione della Chiesa”.
Ad ascoltare Schneider c’erano cardinali, dirigenti di curia e teologi di rilievo.
Basti dire che tra gli stessi relatori c’erano il cardinale Velasio de Paolis, l’arcivescovo Agostino Marchetto, il vescovo Luigi Negri e monsignor Florian Kolfhaus della segreteria di stato vaticana.
Tra gli ascoltatori c’era una folta schiera di Francescani dell’Immacolata, una giovane congregazione religiosa sorta nel solco di san Francesco, fiorente di vocazioni e di orientamento decisamente ortodosso, agli antipodi del cosiddetto “spirito di Assisi”, promotrice dello stesso convegno.

La suola privata non è peggiore delle scuole statali

Nei giorni scorsi, dopo la pubblicazione dei dati Ocse-Pisa sulle competenze dei quindicenni in italiano, matematica e scienze, la stampa nazionale ha stilato graduatorie di merito tra le scuole, affermando, tra l’altro, che il mediocre livello complessivo degli studenti italiani, anche se in via di miglioramento, era dovuto in buona parte ai bassi risultati delle scuole non statali.
Contro questa tesi è già intervenuto con alcuni articoli il sussidiario.net che ha sostenuto come i  dati siano stati utilizzati in modo parziale e strumentale.
Sulla questione interviene ora don Guglielmo Malizia, direttore del Centro studi per la scuola cattolica, il quale, dopo aver ricordato che è sbagliato identificare le scuole private con le scuole cattoliche (CSSC), in una lettera inviata al Corriere della Sera, ritiene opportune alcune puntualizzazioni per evitare possibili strumentalizzazioni.
In primo luogo – afferma don Malizia – va ricordato che “il Rapporto Ocse-Pisa classifica tra le scuole private i centri di formazione professionale, che propriamente in Italia non sono scuole e che raccolgono un’utenza piuttosto disagiata”, il che spiega i risultati meno brillanti dei ragazzi che li frequentano.
In secondo luogo – continua il direttore del CSSC – “il campione utilizzato dall’Ocse non può essere ritenuto statisticamente rappresentativo dell’universo delle scuole non statali, come è già stato puntualmente argomentato dai professori Luisa Ribolzi e Giorgio Vittadini su “il sussidiario.net”.
Presentate a Londra due pubblicazioni del Cesew  Londra, 12.
La qualità dell’istruzione impartita nelle scuole cattoliche d’Inghilterra e del Galles è costantemente superiore alla media nazionale:  questo è quanto risulta da due nuove pubblicazioni presentate lunedì nel corso della riunione d’inizio anno dei membri del Catholic Education Service for England and Wales (Cesew) presso la sede dell’organizzazione a Londra.
I due nuovi studi sulla qualità dell’insegnamento nelle scuole cattoliche – intitolati “Value Added:  the Distinctive Contribution of Catholic Schools and Colleges in England” e “Cesew Digest of 2009, Census Data for Schools and Colleges” – sono stati presentati lunedì da monsignor Malcolm Patrick McMahon, vescovo di Nottingham, che ha svolto il suo intervento in qualità di presidente del Cesew.
“Queste due pubblicazioni – ha sottolineato il presule – dimostrano chiaramente che l’educazione cattolica continua a fornire un contributo molto importante al futuro della nostra società.
Inoltre, esse provano che i soldi dei contribuenti sono veramente ben spesi quando queste risorse sono gestite dagli istituti scolastici cattolici”.
I dati tratti dalla pubblicazione “Value Added” danno pienamente ragione al vescovo McMahon.
Secondo le valutazioni espresse nel corso delle ispezioni scolastiche condotte dal personale dall’agenzia di valutazione Ofsted, gli istituti cattolici sono risultati costantemente al di sopra della media nazionale in tutti gli aspetti della loro attività.
Per gli ispettori scolastici, nel 70 per cento delle scuole secondarie gestite dai cattolici la qualità dell’insegnamento e la preparazione degli alunni è superiore alla media nazionale rispetto la percentuale del 63 per cento degli altri istituti.
Nei corsi primari, l’eccellenza dell’insegnamento per le scuole cattoliche sale al 74 per cento invece della media 66 per cento degli altri istituti.
Nel corso della riunione di lunedì nella sede del Cesew, è intervenuta anche Oona Stannard, presidente esecutivo e direttore del Cesew.
Durante la presentazione dei volumi, Stannard ha affermato che “queste due pubblicazioni dimostrano che i nostri alti livelli di qualità dell’istruzione non sono da considerarsi come un fuoco di paglia ma sono costantemente sostenuti e migliorati.
Sono orgogliosa di sottolineare che i nostri traguardi educativi sono anche affiancati da un alto grado di gradimento e di soddisfazione di quanti fanno parte del nostro mondo scolastico.
Questo gradimento non va solo a vantaggio dei nostri giovani studenti, il 30 per cento dei quali appartiene a famiglie non cattoliche, ma è anche la prova che la Chiesa cattolica, per mezzo delle sue scuole, continua ad investire tutta la sua grande saggezza nel futuro e nel bene della società del nostro Paese”.
Tra i dati raccolti nel “Census Digest”, si sottolinea che gli studenti delle scuole cattoliche appartengono a gruppi sociali diversi.
Quello che è più evidente riguarda l’origine delle famiglie degli studenti.
Nelle scuole cattoliche la varietà delle etnie è molto più marcata rispetto agli altri istituti.
Per quanto riguarda la classe sociale, nelle scuole cattoliche gli studenti delle famiglie povere sono nella stessa percentuale di quelli che frequentano gli altri istituti.
(©L’Osservatore Romano – 13 gennaio 2011)   Centro Studi per la Scuola Cattolica (CSSC) Circonvallazione Aurelia 50 – 00165 Roma Tel.
0666398450 – Fax 0666398451 e-mail: csscuola@chiesacattolica.it sito: http://www.scuolacattolica.it         Gentile Direttore, in relazione all’articolo apparso sul Suo giornale sabato 18 dicembre a pagina 32 dal titolo «Efficienza e qualità».
La scuola statale batte quella privata, ritengo necessarie alcune precisazioni.
Già con il Rapporto Ocse-Pisa del 2007 si era posto il problema della presunta superiorità delle scuole statali italiane sulle private, ma anche allora si trattava di una scorretta lettura dei dati.
Poiché in genere si tende a identificare superficialmente le scuole private con le scuole cattoliche, sembra opportuno fare qualche puntualizzazione per evitare possibili strumentalizzazioni.
  1.      In primo luogo, come correttamente nota anche l’articolo del Corriere, la ricerca Ocse-Pisa classifica tra le scuole private i centri di formazione professionale, che propriamente in Italia non sono scuole e che raccolgono un’utenza piuttosto disagiata, in grado di spiegare i risultati meno brillanti dei suoi allievi.
2.      Non solo per questo motivo, il campione utilizzato dall’Ocse non può essere ritenuto statisticamente rappresentativo dell’universo delle scuole non statali, come già è stato puntualmente argomentato dai proff.
Luisa Ribolzi e Giorgio Vittadini su “ilsussidiario.net”.
3.      Inoltre, come abbiamo documentato nel XII Rapporto del Centro Studi per la Scuola Cattolica, appena pubblicato dall’Editrice La Scuola (A dieci anni dalla legge sulla parità), solo il 34,6% delle scuole paritarie secondarie superiori sono scuole cattoliche e non è dato sapere quali scuole paritarie siano rientrate nel campione Ocse.
Pertanto, non è possibile attribuire sbrigativamente gli esiti scadenti alle scuole cattoliche.
4.      Per ciò che riguarda i risultati, il mondo della scuola cattolica è impegnato da circa un decennio nella promozione della sua qualità e contiamo di rendere prossimamente noti i dati di un monitoraggio che stiamo effettuando proprio durante questo anno scolastico su un campione realmente rappresentativo delle sole scuole paritarie cattoliche.
5.      A prescindere da queste distinzioni, ci rallegriamo del miglioramento complessivo dei risultati degli studenti italiani, perché ci sta a cuore l’intero sistema nazionale di istruzione che – come dovrebbe essere noto – fin dalla legge 62/2000 è costituito da scuole statali e paritarie (tra le quali figurano scuole cattoliche, scuole gestite da altri privati e scuole gestite da enti locali).
  Ringraziando per l’attenzione e per lo spazio che ci vorrà dedicare, rimango a disposizione per qualsiasi ulteriore approfondimento e chiarimento.
                                                                                             Prof.
Don Guglielmo Malizia                                                                            Direttore del Centro Studi per la Scuola Cattolica                                                                                                                                                         

Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta

ROBERTO DE MATTEI,  Il Concilio Vaticano II.
Una storia mai scritta,  Edizioni  Lindau, Torino 2010, ISBN-10: 8871808940, pp.625, Euro 38,00 Il Concilio Vaticano II, il ventunesimo nella storia della Chiesa, fu aperto da Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962 e chiuso da Paolo VI l’8 dicembre 1965.
Nonostante le attese e le speranze di tanti, l’epoca che lo seguì non rappresentò per la Chiesa una “primavera” o una “pentecoste” ma, come riconobbero lo stesso Paolo VI e i suoi successori, un periodo di crisi e di difficoltà.
Questa è una delle ragioni per cui si è aperta una vivace discussione ermeneutica, in cui si è inserita l’autorevole voce di papa Benedetto XVI che ha invitato a leggere i testi del Concilio in continuità con la Tradizione della Chiesa.
Al dibattito in corso, Roberto de Mattei offre il contributo non del teologo, ma dello storico, attraverso una rigorosa ricostruzione dell’evento, delle sue radici e delle sue conseguenze, basata soprattutto su documenti di archivio, diari, corrispondenze e testimonianze di coloro che ne furono i protagonisti.
Dal quadro documentato e appassionante tracciato dall’autore, emerge una “storia mai scritta” del Vaticano II che ci aiuta a comprendere non solo le vicende di ieri ma anche i problemi religiosi della Chiesa di oggi.

Vita Francisci

Un giro del mondo (francescano) in 60 vignette, allegramente indifferenti alla cronologia, una biografia del Poverello per immagini tratteggiata a colori squillanti e ambientata ai tempi di internet e dei talk show; “si può educare sorridendo e facendo sorridere – scrive Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi, presentando l’ultimo libro di Marcello Cruciani (Vita Francisci, Todi, Tau Editrice, pagine 69, euro 7) – in una sequenza di disegni, colori e humour.
Una rilettura attualizzante, quella di don Marcello, uno sguardo al passato a partire dall’oggi, dai nostri problemi e dalle nostre sfide”.
Proprio le tante licenze poetiche spazio-temporali sono l’elemento che rende più divertente il libro, creando un piacevole effetto di straniamento narrativo; come negli affreschi medievali, il prima e il dopo sono messi sullo stesso piano, affiancati o addirittura mescolati in una stessa sequenza, visto che il tempo è una dimensione unicamente umana e tutta la storia fa parte dell'”oggi eterno” di Dio.
“E adesso datemi i telefonini!”, intima Francesco ai suoi frati – che lo guardano sconcertati e perplessi – per invitarli a scoprire cosa significa essere liberi dalle cose, usarle per il loro scopo senza lasciarsi ricattare dalla loro illusoria promessa di felicità; “oltre che con tuo padre ora avremo problemi con la Sovrintendenza, con la Confedilizia, con l’Inail, con il fisco…” sbotta il parroco di San Damiano rispondendo al Poverello – fermamente deciso a restaurare la Chiesa e a “cacciarsi nei guai” per obbedire alla sua vocazione – pensando al lungo iter burocratico e all’infinita serie di seccature che li aspettano; “per quale Asl lavorate?” chiedono i notabili in visita al lebbrosario di Rivotorto, “per quella di Gesù Cristo!” rispondono i frati; “strano, non ha portato nessuna telecamera, non mi tratta come il caso umano che aumenta lo share in seconda serata” si stupisce il malato curato da Francesco.
 La modalità della comunicazione è leggera e divertente ma ogni vignetta è pensata per raccontare un episodio realmente tratto della vita del santo.
Il fumetto in cui un frate grida “Lasciatemi, non sono un no global, volevo solamente ricordare a Ottone la caducità della vita” illustra un passo preciso delle Fonti francescane:  “Passando un giorno per quelle contrade vicino a Rivotorto con grande pompa e clamore l’imperatore Ottone, che si recava a ricevere la “corona della terra”, il santissimo padre non volle neppure uscire dal suo tugurio, che era vicino alla via di transito, né permise che i suoi vi andassero, eccetto uno il quale doveva annunciare con fermezza all’imperatore che quella sua gloria sarebbe durata ben poco”.
È facile rendere banale e oleografica la “stridente originalità” dell’alter Christus del Duecento; il “giovin signore” figlio del ricco mercante di stoffe, che disegna personalmente i suoi vestiti inventando raffinati accostamenti patchwork di tessuti preziosi e lana grezza (Cruciani dedica una vignetta a un’ipotetica “Sfilata autunno-inverno 1199” dell’azienda di famiglia, la “Bernardone moda”) è lo stesso Francesco che, una volta sposato a Madonna Povertà, non rinuncia alle sue ambizioni – compiere grandi imprese, vivere avventure emozionanti, diventare un cavaliere senza macchia e senza paura, conquistare terre, popoli e castelli, difendere orfani e vedove – ma le ordina e le orienta secondo il suo compito, consapevole che ogni successo umano non riempie il cuore, lascia inquieti e delusi se non vissuto all’interno del rapporto con Dio.
Leale con questa scoperta, il giovane aspirante cavaliere di Assisi diventerà il condottiero di un popolo in marcia verso il Paradiso.
Un’avventura che da sempre è stata raccontata anche per immagini; dalle miniature ai rotoli di Exultet (illustrati al contrario perché le figure non erano destinate a essere viste dal sacerdote, ma dai fedeli vicini al pulpito) dalle stampe cinquecentesche ai film, l’obiettivo, in fondo, è sempre lo stesso, delectare docendo e lasciarsi contagiare dalla perfetta letizia della santità vissuta.
di Silvia Guidi (©L’Osservatore Romano – 12 gennaio 2011)

“Trasparenza, onestà e responsabilità”

NOTA DI P.
FEDERICO LOMBARDI, SJ La pubblicazione odierna di nuove leggi per lo Stato della Città del Vaticano e per i Dicasteri della Curia romana e gli Organismi ed Enti dipendenti dalla Santa Sede è un evento di rilevante importanza normativa, ma anche di significato morale e pastorale di ampia portata.
Tutti gli enti connessi con il governo della Chiesa cattolica e con quel suo “supporto” che è lo Stato della Città del Vaticano, vengono da oggi inseriti, in spirito di sincera collaborazione, nel sistema di principi e strumenti giuridici che la comunità internazionale sta edificando con la finalità di garantire una convivenza giusta e onesta in un contesto mondiale sempre più globalizzato; contesto in cui purtroppo le realtà economiche e finanziarie sono non di rado campo di attività illegali, come il riciclaggio di proventi di attività criminose e il finanziamento del terrorismo, veri pericoli per la giustizia e la pace nel mondo.
Il Papa afferma senza mezzi termini che “la Santa Sede approva questo impegno” della comunità internazionale “e intende far proprie le regole” di cui essa si dota “per prevenire e contrastare” questi fenomeni terribili.
Da sempre le attività illegali hanno dimostrato una straordinaria capacità di insinuarsi e di inquinare il mondo economico e finanziario, ma il loro svilupparsi a livello internazionale e l’uso delle nuove tecnologie le hanno rese sempre più pervasive e capaci di mascherarsi, cosicché per difendersi è diventato urgentissimo costituire reti di controllo e informazione mutua fra le autorità preposte alla lotta contro di esse.
Sarebbe ingenuo pensare che l’intelligenza perversa che guida le attività illegali non cerchi di approfittare proprio dei punti deboli e fragili, talvolta esistenti nel sistema internazionale di difesa e di controllo della legalità, per insinuarsi al suo interno e violarlo.
Perciò la solidarietà internazionale è di importanza cruciale per la tenuta di tale sistema, ed è comprensibile e giusto che le autorità nazionali di vigilanza e gli organismi internazionali competenti (Consiglio d’Europa e, in particolare, il GAFI: Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale contro il riciclaggio di capitali) guardino con occhio favorevole gli Stati e gli enti che offrono le garanzie richieste e impongano invece vincoli maggiori a chi non vi si adegui.
Ciò vale naturalmente anche per la Città del Vaticano e gli enti della Chiesa che svolgono attività economiche e finanziarie.
La nuova normativa risponde quindi insieme all’esigenza di conservare un’efficace operatività agli enti che operano nel campo economico e finanziario per il servizio della Chiesa cattolica nel mondo, e – prima ancora – all’esigenza morale di “trasparenza, onestà e responsabilità” che va in ogni caso osservata nel campo sociale ed economico (Caritas in Veritate, 36).
L’attuazione delle nuove normative richiederà certamente molto impegno.
C’è la nuova Autorità di Informazione Finanziaria da avviare.
Ci sono nuovi obblighi da rispettare.
Nuove competenze da esercitare.
Ma per la Chiesa non può venirne che bene.
Gli organismi vaticani saranno meno vulnerabili di fronte ai continui rischi che si corrono inevitabilmente quando si maneggia il denaro.
Si eviteranno in futuro quegli errori che così facilmente diventano motivo di “scandalo” per l’opinione pubblica e per i fedeli.
Insomma, la Chiesa sarà più “credibile” davanti alla comunità internazionale e ai suoi membri.
E questo è di importanza vitale per la sua missione evangelica.
Oggi, 30 dicembre 2010, il Papa ha firmato un documento di genere per lui un po’ insolito, ma di grande coraggio e grande significato morale e spirituale.
E’ un bel modo di concludere quest’anno, con un passo concreto nella direzione della trasparenza e della credibilità! 30 dicembre 2010 COMUNICATO DELLA SEGRETERIA DI STATO Circa la nuova normativa per la prevenzione ed il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario 1.
In data odierna, in esecuzione della Convenzione Monetaria tra lo Stato della Città del Vaticano e l’Unione europea del 17 dicembre 2009 (2010/C 28/05), sono state emanate le seguenti quattro nuove leggi: – la “Legge concernente la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo”; – la “Legge sulla frode e contraffazione di banconote e monete in euro” ; – la “Legge relativa a tagli, specifiche, riproduzione, sostituzione e ritiro delle banconote in euro e sull’applicazione dei provvedimenti diretti a contrastare le riproduzioni irregolari di banconote in euro e alla sostituzione e al ritiro di banconote in euro” e la “Legge riguardante la faccia, i valori unitari e le specificazioni tecniche, nonché la titolarità dei diritti d’autore sulle facce nazionali delle monete in euro destinate alla circolazione”.
Il processo di elaborazione delle citate Leggi è stato condotto con l’assistenza del Comitato misto, previsto dall’articolo 11 della Convenzione Monetaria, composto da rappresentanti dello Stato della Città del Vaticano e dell’Unione Europea.
La Delegazione dell’Unione Europea è costituita, a sua volta, da rappresentanti della Commissione e della Repubblica italiana, nonché da rappresentanti della Banca centrale europea.
La legge in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo è pubblicata contestualmente a questo comunicato, mentre le altre saranno pubblicate sul sito dello Stato della Città del Vaticano www.
vaticanstate.va 2.
La Legge relativa alla prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo contiene, in un corpo unitario: – le fattispecie delittuose, che ricomprendono il riciclaggio, l’autoriciclaggio ed i reati cc.dd.
presupposto (cioè i comportamenti delittuosi che generano i proventi, poi “ripuliti” dal riciclatore), per le quali sono previste sanzioni penali; – le fattispecie che hanno contenuto più specificamente amministrativo, riguardanti la cooperazione internazionale, ma anche la prevenzione, per la violazione della quale sono previste sanzioni amministrative pecuniarie.
La medesima legge è basata sui seguenti principali obblighi: – di “adeguata verifica” della controparte; – di registrazione e conservazione dei dati relativi ai rapporti continuativi e alle operazioni; – di segnalazione delle operazioni sospette.
L’impianto normativo, pur tenendo conto delle peculiarità dell’ordinamento vaticano in cui si inserisce, è conforme ai principi e alle regole vigenti nell’Unione europea, risultando così allineato a quello di Paesi che, in questo ambito, dispongono di normative avanzate.
Ciò è testimoniato dalle previsioni, tra l’altro, in materia di autoriciclaggio (fattispecie non ancora contemplata in Paesi a stringente legislazione), dai controlli sul denaro contante in entrata o in uscita dallo Stato della Città del Vaticano, dagli obblighi sul trasferimento di fondi e, infine, dai presìdi sanzionatori amministrativi, alquanto rigorosi ed applicabili, non solo agli enti e alle persone giuridiche, ma anche alle persone fisiche che agiscono in esse, per via della prevista obbligatorietà dell’azione di regresso.
3.
La Legge sulla frode e contraffazione risponde all’esigenza di adottare – conformemente a quanto prevede la più avanzata normativa dell’Unione europea – una solida rete di protezione legale delle banconote e delle monete in euro contro la falsificazione.
Ciò comporta procedure di ritiro dalla circolazione di banconote e monete false, il rafforzamento delle misure sanzionatorie penali, nonché forme di cooperazione in sede europea ed internazionale.
4.
Le Leggi in materia di banconote e monete in euro contengono, per le stesse banconote e monete: – disposizioni relative alla protezione del diritto d’autore sui disegni, – regole in ordine ai tagli, alle caratteristiche tecniche, alla circolazione e alla sostituzione; – la previsione dell’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie in caso di violazione di talune regole in esse previste.
5.
Il processo di normazione non ha riguardato tuttavia meramente lo Stato della Città del Vaticano.
La Santa Sede – ordinamento distinto da quello dello Stato della Città del Vaticano – alla quale fanno capo enti ed organismi operanti in vari campi, ha recepito come propria normativa la “Legge concernente la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo” .
Ciò è avvenuto tramite la “Lettera Apostolica in forma di ‘Motu Proprio’ per la prevenzione ed il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario”.
Con la suddetta Lettera, anch’essa emanata in data odierna a firma del Sommo Pontefice Benedetto XVI: – si stabilisce che la Legge dello Stato della Città del Vaticano e le sue future modificazioni abbiano vigenza anche per i “Dicasteri della Curia Romana e per tutti gli Organismi ed Enti dipendenti dalla Santa Sede”, tra i quali l’Istituto per le Opere di Religione (IOR), riconfermando l’impegno del medesimo ad operare secondo i principi ed i criteri internazionalmente riconosciuti; – si costituisce l’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF), Organismo autonomo ed indipendente con incisivi compiti di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo nei confronti di ogni soggetto, persona fisica o giuridica, ente ed organismo di qualsivoglia natura dello Stato della Città del Vaticano, dei Dicasteri della Curia Romana e di tutti gli Organismi ed Enti dipendenti dalla Santa Sede; – si delegano i competenti Organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano ad esercitare, per i reati in materia di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, la giurisdizione penale nei confronti dei soggetti appena richiamati.
La Lettera Apostolica è pubblicata sul sito della Santa Sede www.
vatican.va 6.
L’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF), il cui Presidente con i membri del Consiglio direttivo sono nominati dal Santo Padre, è chiamata ad emanare complesse e delicate disposizioni di attuazione, indispensabili per assicurare che i soggetti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano rispettino i nuovi ed importanti obblighi di antiriciclaggio e di antiterrorismo a partire dal 1° aprile 2011, data di entrata in vigore della Legge.
7.
L’esperienza segnalerà le eventuali esigenze di affinamento ed integrazione dell’assetto normativo in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo ai principi e agli standard vigenti nella comunità internazionale; tali esigenze potrebbero prospettarsi in ragione della disponibilità già manifestata da parte della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano a confrontarsi con i competenti organismi internazionali attivi sul fronte del contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.
8.
La presente nuova normativa si iscrive nell’impegno della Sede Apostolica per l’edificazione di una convivenza civile giusta ed onesta.
In nessun momento si possono perciò trascurare o attenuare i grandi “principi dell’etica sociale, quali la trasparenza, l’onestà e la responsabilità” (cfr.
Benedetto XVI, Enciclica “Caritas in Veritate”, n.
36).
30 dicembre 2010 __________ LETTERA APOSTOLICA IN FORMA DI “MOTU PROPRIO” Per la prevenzione e il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario La Sede Apostolica ha sempre levato la sua voce per esortare tutti gli uomini di buona volontà, e soprattutto i responsabili delle Nazioni, all’impegno nell’edificazione, anche attraverso una pace giusta e duratura in ogni parte del mondo, della universale città di Dio verso cui avanza la storia della comunità dei popoli e delle Nazioni [Benedetto XVI, Lett.
enc.
“Caritas in veritate” (29 giugno 2009), 7: AAS 101 /2009), 645].
La pace purtroppo, ai nostri tempi, in una società sempre più globalizzata, è minacciata da diverse cause, fra le quali quella di un uso improprio del mercato e dell’economia e quella, terribile e distruttrice, della violenza che il terrorismo perpetra, causando morte, sofferenze, odio e instabilità sociale.
Molto opportunamente la comunità internazionale si sta sempre più dotando di principi e strumenti giuridici che permettano di prevenire e contrastare il fenomeno del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.
La Santa Sede approva questo impegno ed intende far proprie queste regole nell’utilizzo delle risorse materiali che servono allo svolgimento della propria missione e dei compiti dello Stato della Città del Vaticano.
In tale quadro, anche in esecuzione della Convenzione Monetaria fra lo Stato della Città del Vaticano e l’Unione Europea del 17 dicembre 2009, ho approvato per lo Stato medesimo l’emanazione della “Legge concernente la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo” del 30 dicembre 2010, che viene oggi promulgata.
Con la presente Lettera Apostolica in forma di “Motu Proprio”: a) stabilisco che la suddetta Legge dello Stato della Città del Vaticano e le sue future modificazioni abbiano vigenza anche per i Dicasteri della Curia Romana e per tutti gli Organismi ed Enti dipendenti dalla Santa Sede ove essi svolgano le attività di cui all’art.
2 della medesima Legge; b) costituisco l’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF) indicata nell’articolo 33 della “Legge concernente la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo”, quale Istituzione collegata alla Santa Sede, a norma degli articoli 186 e 190-191 della Costituzione Apostolica “Pastor Bonus”, conferendo ad essa la personalità giuridica canonica pubblica e la personalità civile vaticana ed approvandone lo Statuto, che è unito al presente Motu Proprio; c) stabilisco che l’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF) eserciti i suoi compiti nei confronti dei Dicasteri della Curia Romana e di tutti gli Organismi ed Enti di cui alla lettera a); d) delego, limitatamente alle ipotesi delittuose di cui alla suddetta Legge, i competenti Organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano ad esercitare la giurisdizione penale nei confronti dei Dicasteri della Curia Romana e di tutti gli Organismi ed Enti di cui alla lettera a).
  Dispongo che quanto stabilito abbia pieno e stabile valore a partire dalla data odierna, nonostante qualsiasi disposizione contraria, pur meritevole di speciale menzione.
La presente Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio stabilisco che sia pubblicata in “Acta Apostolicae Sedis”.
Dato a Roma, dal Palazzo Apostolico, il 30 dicembre dell’anno 2010, sesto del Pontificato.
BENEDICTUS PP.
XVI __________   STATUTO DELL’AUTORITÀ DI INFORMAZIONE FINANZIARIA (AIF) CAPO I Articolo 1 Istituzione, finalità e sede § 1.
È eretta con Motu Proprio del Sommo Pontefice Benedetto Decimo Sesto del 30 dicembre 2010 l’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF) avente compiti in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo.
§ 2.
L’Autorità di Informazione Finanziaria è una Istituzione collegata con la Santa Sede a norma degli articoli 186 e 190-191 della Costituzione Apostolica “Pastor Bonus”.
§ 3.
L’Autorità gode di personalità giuridica canonica pubblica e di personalità giuridica civile vaticana.
§ 4.
Essa ha sede legale nello Stato della Città del Vaticano.
Articolo 2 Funzioni § 1.
L’Autorità di Informazione Finanziaria svolge le funzioni, i compiti e le attività indicati nella Legge dello Stato della Città del Vaticano concernente la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo 30 dicembre 2010, n.
CXXVII.
§ 2.
L’Autorità di Informazione Finanziaria, a norma del diritto e dei principi internazionali in materia di lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, esercita le funzioni, i compiti e le attività richiamati nel paragrafo che precede e nel presente Statuto in piena autonomia e indipendenza.
§ 3.
L’Autorità svolge il suo servizio nei riguardi dei soggetti di cui all’articolo 2 della Legge dello Stato della Città del Vaticano concernente la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo 30 dicembre 2010, n.
CXXVII operanti sul territorio dello Stato della Città del Vaticano oltre che dei Dicasteri della Curia Romana e di tutti gli Organismi ed Enti dipendenti dalla Santa Sede.
CAPO II Articolo 3 Organi e personale dell’Autorità § 1.
Sono Organi dell’Autorità di Informazione Finanziaria.
a) Il Presidente; b) Il Consiglio direttivo.
§ 2.
Fanno parte dell’Autorità il Direttore e il personale addetto.
Articolo 4 Presidente § 1.
Il Presidente è nominato dal Sommo Pontefice; dura in carica cinque anni e può essere confermato.
§ 2.
Il Presidente sorveglia l’andamento dell’Autorità promuovendone il regolare ed efficace funzionamento.
§ 3.
Egli presiede il Consiglio direttivo.
In caso di sua assenza o impedimento, è sostituito da un Membro del Consiglio direttivo a ciò designato.
Di fronte ai terzi la firma di chi sostituisce il Presidente fa prova dell’assenza o impedimento del medesimo.
§ 4.
Al Presidente spetta la rappresentanza legale dell’Autorità e l’uso della firma.
Il Presidente o chi ne fa le veci può delegare di volta in volta o per determinati atti o attività la facoltà di rappresentare l’Autorità di fronte ai terzi e in giudizio.
Articolo 5 Consiglio direttivo § 1.
Il Consiglio direttivo è presieduto dal Presidente dell’Autorità ed è composto da altri quattro membri nominati dal Sommo Pontefice tra persone di provata affidabilità, competenza e professionalità.
§ 2.
Il Consiglio direttivo, cui spettano tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, è responsabile dell’organizzazione e del funzionamento della struttura dell’Autorità, della quale programma, dirige e controlla l’attività.
In tale ambito ed a titolo esemplificativo: a) formula, in armonia con i fini istituzionali, le strategie fondamentali ed i relativi programmi per l’attività dell’Autorità e vigila sulla loro attuazione; b) emana regolamenti di natura organizzativa aventi anche rilevanza esterna; c) partecipa, anche attraverso propri rappresentanti, agli organismi internazionali impegnati nella prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo internazionale e alle attività di studio e di ricerca da questi organizzate; d) sovrintende al personale dell’Autorità promuovendone la formazione professionale specifica; e) delega al Direttore o ad altri soggetti addetti all’Autorità, con apposite comunicazioni di servizio indicanti principi e criteri direttivi, determinate tipologie di atti aventi natura ricorrente.
§ 3.
Il Consiglio direttivo può attribuire a singoli membri poteri per il compimento di determinati atti o per la supervisione di determinate attività od aree di attività, stabilendone poteri, modalità di svolgimento e di informativa al Consiglio.
§ 4.
Il Consiglio direttivo è convocato dal Presidente, in via ordinaria, di norma ogni trimestre e, in via straordinaria, ogni volta che se ne manifesti la necessità.
Il Presidente fissa l’ordine del giorno della seduta, ne coordina i lavori e provvede affinché adeguate informazioni sulle materie indicate nell’ordine del giorno vengano fornite a tutti i componenti.
§ 5.
L’avviso di convocazione contenente l’ordine del giorno deve pervenire ai singoli componenti almeno cinque giorni prima di quello fissato per la riunione con mezzi che ne garantiscano il ricevimento; nei casi di urgenza la convocazione è effettuata con avviso da trasmettere con telefax, posta elettronica o altro mezzo di comunicazione urgente almeno un giorno prima della seduta.
§ 6.
Le riunioni del Consiglio, che possono essere tenute anche in videoconferenza, sono prese a maggioranza assoluta dei voti dei membri presenti e all’unanimità qualora siano presenti tre membri; in caso di parità prevale il voto di chi presiede.
Per la validità delle adunanze del Consiglio è necessaria la presenza di almeno tre membri.
§ 7.
Delle adunanze e delle deliberazioni del Consiglio deve redigersi verbale da iscriversi nel relativo libro da firmarsi a cura del Presidente e del segretario.
Il libro e gli estratti del medesimo, certificati conformi dal Presidente e dal segretario, fanno prova delle adunanze e delle deliberazioni del Consiglio.
Articolo 6 Direttore e personale dell’Autorità § 1.
Il Direttore, in possesso di adeguata e comprovata competenza e professionalità in campo giuridico-finanziario ed informatico maturata nelle materie istituzionali dell’Autorità, è nominato dal Presidente con il nulla osta del Segretario di Stato.
§ 2.
Il Direttore: a) è responsabile dell’attività operativa dell’Autorità; b) coordina l’attività del personale addetto ai fini dell’esecuzione dei programmi e dei compiti dell’Autorità; c) sottopone al Consiglio direttivo ogni atto che non rientri nelle sue competenze; d) è normalmente invitato a partecipare alle adunanze del Consiglio direttivo; e) cura l’Amministrazione dell’Autorità.
§ 3.
Il personale dell’Autorità, di norma in possesso di un’adeguata esperienza professionale nelle materie istituzionali della medesima, viene assunto dal Presidente dell’Autorità con il nulla osta del Segretario di Stato.
Articolo 7 Segreto § 1.
I soggetti menzionati negli articoli di cui al presente Capo sono obbligati al più rigoroso segreto per tutto ciò che riguarda l’Autorità ed i suoi rapporti con i terzi.
§ 2.
L’obbligo di segreto non è di ostacolo all’adempimento degli obblighi in materia di cooperazione internazionale e nei confronti dell’Autorità Giudiziaria, inquirente e giudicante, quando le informazioni richieste siano necessarie per le indagini o per i procedimenti relativi a violazioni sanzionate penalmente.
CAPO III Articolo 8 Risorse, contabilità e bilancio § 1.
All’Autorità di Informazione Finanziaria sono attribuiti mezzi finanziari e risorse idonei ad assicurare l’efficace perseguimento dei suoi fini istituzionali.
§ 2.
Il Consiglio direttivo, entro il trentuno marzo di ogni anno, deve approvare il bilancio di esercizio relativo all’anno precedente.
§ 3.
L’esercizio si chiude il trentuno dicembre di ogni anno.
§ 4.
Il Presidente, dopo l’approvazione, trasmette il bilancio di esercizio al Cardinale Segretario di Stato.
CAPO IV Articolo 9 Relazione sull’attività § 1.
L’Autorità di Informazione Finanziaria trasmette al Segretario di Stato una relazione sulla propria attività nei termini previsti dalla legge.
CAPO V Articolo 10 Approvazione e pubblicazione § 1.
Il presente Statuto è approvato e sarà pubblicato in “Acta Apostolicae Sedis”.
§ 2.
Per quanto non disposto da questo Statuto si applicano le vigenti disposizioni canoniche e civili vaticane.
__________ > LEGGE N.
CXXVII DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO
Concernente la prevenzione e il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo __________ L’intervista del 30 dicembre alla Radio Vaticana del professor Marcello Condemi, professore associato di diritto dell’economia nell’Università G.
Marconi di Roma, già esperto in materia di riciclaggio presso la Banca d’Italia e componente della delegazione italiana al GAFI: > “Così può iniziare il percorso per entrare nella ‘White List'” __________ Gli ultimi tre precedenti servizi di www.chiesa: 27.12.2010 > Benedetto XVI uomo dell’anno.
Per le sue omelie
Sono l’asse del suo magistero ordinario.
Narrano l’avventura di Dio nella storia del mondo.
Sollevano il velo sulle “cose di lassù”.
Una guida alla lettura della predicazione liturgica dell’attuale papa 25.12.2010 > “Primogenito di molti fratelli” “Questa nuova famiglia di Dio inizia nel momento in cui Maria avvolge il ‘primogenito’ in fasce e lo pone nella mangiatoia”.
L’omelia del papa nella notte di Natale 22.12.2010 > Il professor Rhonheimer scrive.
E il Sant’Uffizio gli dà ragione
In esclusiva su www.chiesa una lettera aperta del filosofo svizzero, in difesa della “visione comprensiva e lungimirante” di Benedetto XVI sulla morale sessuale.
E a seguire, la nota diffusa lo stesso giorno dalla congregazione per la dottrina della fede __________

Camillo Ruini: «La stabilità è un bene Opportuno il contributo di chiunque possa darlo»

L’intervista Sul citofono della casa che guarda il Vaticano non è scritto «cardinale» o «eminenza» , ma solo il cognome: Ruini.
Anche ora che non è più il capo dei vescovi italiani e il vicario del Papa, la sua autorevolezza e il suo prestigio tra i cattolici — e non solo— sono intatti.
Cardinal Ruini, lei ha organizzato un convegno sui 150 anni dell’Unità d’Italia.
Come mai l’unificazione, che si fece contro la Chiesa, oggi è difesa dalla Chiesa stessa? «Lo abbiamo fatto spontaneamente, ci pareva importante dare il nostro contributo.
Ma fin dall’ 800 nella realtà cattolica e anche in ambienti ecclesiastici si guardava con simpatia e coinvolgimento all’Unità.
A dividere la Chiesa dalla nuova Italia era la questione romana, l’indipendenza dal potere politico.
Poi, in particolare nella seconda metà del ’ 900, il contributo dei cattolici alla storia unitaria è stato grande.
Quando ho cercato di approfondire il tema dei 150 anni, avevo in mente la lettera ai vescovi italiani del 6 gennaio 1994, in cui Giovanni Paolo II insiste sulla missione dell’Italia in Europa in un modo che ci appare sorprendente.
Oggi è difficile trovare un italiano che si esprima in questi termini sull’Italia» .
Lei pensa che oggi l’unità nazionale sia in pericolo? «Un pericolo immediato non lo vedo.
Vedo piuttosto una tendenza alla divaricazione tra il Centro Nord e il Sud.
Bisogna cercare di invertire questa tendenza, governarla e superarla; altrimenti a lungo termine può diventare pericolosa» .
Sta emergendo un separatismo anche meridionale? «Non direi un separatismo ma una profonda insoddisfazione, che non è una novità.
Già molti anni fa — almeno dall’ 86, quando arrivai alla Cei come segretario— notavo nella cultura meridionale una lettura dell’unificazione come un danno per il Sud.
Forse adesso è venuta più fuori, ma non nasce ora» .
L’espansione della Lega la preoccupa? «Non credo sia da collegarsi a una volontà separatista, ma più che altro a una rivendicazione delle autonomie locali e in genere di concretezza.
Il federalismo corrisponde alla ricchezza plurale della nostra società, perché l’Italia è il Paese delle cento città.
E può aiutare a responsabilizzare le classi dirigenti locali.
Certo bisogna che sia un federalismo solidale, bilanciato da un’autorità centrale abbastanza forte sul piano non solo della legislazione ma del governo concreto» .
Oggi siamo alla fine di un ciclo politico, o è importante la stabilità sino alla fine della legislatura? «Guardate, della fine dei cicli è meglio parlare quando si sono conclusi e un nuovo ciclo è nato.
Parlarne prima è piuttosto avventuroso.
Non è facile prevedere queste cose» .
Sarebbe auspicabile che i centristi cattolici contribuissero alla stabilità? «La stabilità è certamente un bene per il Paese.
Quindi è opportuno che ogni forza che può farlocontribuisca.
I modi possono essere tanti.
Certo la stabilità non è l’unico bene: accanto a essa c’è la capacità di fare riforme.
Entrambe, stabilità e riformabilità, rimandano allo stesso problema: una guida che possa essere stabile ma anche in grado di prendere decisioni.
Viviamo un periodo di velocissimi mutamenti in tutto il mondo.
Ogni paese, ogni persona è costretta ad adeguarsi in tempi rapidi.
Questo è forse il più grande problema del nostro tempo: nel Vaticano II, con la Gaudium et spes, si dice che la caratteristica del tempo presente è il mutamento.
Era vero nel ’ 65; lo è molto di più nel 2011.
E questo richiede una certa agilità.
È vero fino a un certo punto che il nostro Paese sia poco stabile.
È più vero che è lento nel prendere decisioni» .
Sta dicendo che occorrono riforme per dare più poteri ai governi? «Il problema della debolezza istituzionale dell’esecutivo c’è fin dall’inizio, dal ’ 48.
Anche al tempo di De Gasperi ricordo che ci fu una serie di suoi governi.
Da molti anni questa mia personale valutazione mi ha portato a consigliare, a chi veniva a parlare con me, di trovare la maniera per rafforzare l’esecutivo: sempre nel rispetto della distinzione dei poteri dello Stato» .
Il bipolarismo è un valore o una gabbia che può essere scardinata? «Credo che il bipolarismo, come tutte le forme politiche, abbia pregi e svantaggi.
La Chiesa non ha competenza a intervenire su una o l’altra forma; io posso dire una parola a titolo personale, non di più.
Il bipolarismo è un tentativo di adattare all’Italia, e alla molteplicità dei suoi soggetti politici, uno schema che consenta l’alternanza e una certa governabilità.
Un modo di adeguare il bipartitismo a una realtà complessa come la nostra» .
Nel 2008 lei era considerato favorevole a un accordo tra i cattolici e il Pdl, che non ci fu.
Oggi lo ritiene ancora possibile? «È improprio parlare di un accordo tra i cattolici e il Pdl: molti cattolici sono nel Pdl o lo sostengono, altri lo avversano o comunque non lo amano.
L’accordo a cui vi riferite è nel novero delle cose possibili.
Ciò che può contribuire alla stabilità politica è opportuno.
Ma non tocca a me dare indicazioni operative che non mi competono» .
Ma in chiave storica, secondo lei, dalla Chiesa è venuto un appoggio al berlusconismo? Se sì, dura tuttora? Perché la Chiesa sembra diffidare tanto del centrosinistra? «Queste due categorie, berlusconismo e antiberlusconismo, non servono a molto, per comprendere le dinamiche ecclesiali.
Non è mai stato un problema per noi, né in un senso né nell’altro.
Se vogliamo decifrare la linea della Chiesa nel lungo periodo, è abbastanza semplice: basta approfondire le parole di Giovanni Paolo II a Palermo, nel novembre ’ 95.
Il Papa disse che l’unità dei cattolici non era più intorno a un partito ma a contenuti essenziali e vincolanti; mentre per il resto ci poteva essere un pluralismo anche tra i cattolici.
Questa è sempre stata la linea su cui ci siamo mossi» .
Questi valori essenziali sono stati fatti propri più dalla destra che dalla sinistra? «Ognuno di voi può osservarlo nella realtà empirica.
Non sono cose che si giudicano a priori» .
Infatti le stiamo guardando a posteriori.
«Ma se si chiede alla Chiesa di dare lei stessa questo giudizio, ricadremmo nello schema precedente, quello dell’unità politico-partitica dei cattolici.
Noi non diamo indicazioni di voto.
E credo che questo sia apprezzato dall’opinione pubblica: la gente preferisce che noi indichiamo alcuni obiettivi ed essere poi lei a giudicare della congruenza delle forze politiche con ciò che diciamo.
E naturalmente, anche tra la gente, non tutti tengono conto delle nostre indicazioni» .
Nel referendum sulla fecondazione assistita ne hanno tenuto conto.
«Lì era diverso.
Lì non c’erano in gioco i partiti, si andava direttamente sui contenuti.
Il referendum ci consentiva quindi più libertà di intervento.
C’era da fare una scelta.
Noi l’abbiamo fatta.
Fortunatamente non è stata una scelta isolata» .
Ma non siete stati troppo accondiscendenti con Berlusconi? «Nella Chiesa, come sapete, ci sono vari atteggiamenti.
Personalmente non amo dare giudizi pubblici sui comportamenti privati delle singole persone, specialmente quando questi giudiziverrebbero subito letti e interpretati in chiave di lotta politica.
È chiaro comunque che ciascuno di noi deve cercare di dare una testimonianza positiva, tanto più importante quanto maggiore è la sua notorietà» .
Lei non ha mai avuto l’impressione che i politici facessero propri a parole i valori della Chiesa in modo strumentale? «Giudicare le intenzioni è molto difficile.
Che i leader pensino anche a un ritorno in termini politici non è strano, forse è anche normale.
D’altra parte sono scelte che hanno anche dei costi.
Non è che uno appoggiando la Chiesa ci guadagni di sicuro.
Quello che la Chiesa dice, infatti, è spesso controcorrente».
Che impressione le hanno fatto le immagini degli scontri del 14 dicembre a Roma? Vede il rischio di una stagione violenta? «Bisogna distinguere protesta e violenza.
Quando la protesta non è violenta, i giovani vanno ascoltati.
Più che il rifiuto della riforma universitaria, credo che queste proteste esprimano una preoccupazione di fondo: oggi le aspettative per i giovani non sono crescenti, ma purtroppo decrescenti.
E questo problema va fronteggiato in due modi.
È necessario fare riforme che diano maggiore spazio ai giovani, perché la società italiana penalizza i giovani, a cominciare dai bambini.
E bisogna che tutti— anche le famiglie, che tendono a essere molto protettive — accettino che nel mondo globalizzato i risultati anche personali si ottengono oggi con fatica maggiore di ieri.
La competizione geopolitica è diventata molto più dura e questo è un fatto irreversibile che riguarda tutto l’Occidente.
Bisogna dunque educare i ragazzi, fin da piccoli, ad affrontare le difficoltà, e non volerli proteggere da tutto.
Quanto alla violenza, è qualcosa che purtroppo si ripete dal ’ 68.
La mia personale allergia risale agli anni 70, quando mi occupavo di studenti a Reggio Emilia: ricordo la fatica di conquistare la possibilità di espressione che da tempo veniva rifiutata.
Per imporre il pensiero unico era facile che si arrivasse a forme di intimidazione» .
Il Papa ha paragonato il nostro tempo al crollo dell’Impero romano…
«Chi ha seguito gli scritti del teologo e del cardinale Ratzinger, e poi di Benedetto XVI, sa che da tempo ha questa preoccupazione: vengono meno i fondamenti morali, culturali e antropologici su cui si fonda la nostra civiltà.
L’imperare del consumismo e del relativismo.
L’eliminazione della specificità irriducibile dell’uomo rispetto agli altri viventi.
E in particolare l’odio dell’Europa verso se stessa, l’odio del proprio passato e delle radici cristiane.
Lo stesso cristianesimo, oltre a essere oggetto di odio, sembra talvolta odiare se stesso e rinnegare la propria rilevanza storica e perfino salvifica.
Ricordo quanto fu contestata dall’interno della Chiesa la dichiarazione Dominus Iesus, che nel 2000 affermava un punto base del Nuovo Testamento: Gesù Cristo è l’unico Salvatore!» .
Quali sentimenti le ha suscitato il libro-intervista del Papa? «Sono stato colpito dalla sua disarmante sincerità, dal suo esporsi sui temi più difficili, e dalla lucidità con cui li affronta.
La linea è sempre quella.
Da una parte Benedetto XVI denuncia la gravità dei problemi nella società e anche dentro la Chiesa.
Dall’altra non indulge mai a una lettura pessimistica, alla fine c’è sempre una grande fiducia: dovuta alla fede in Dio ma anche alla fiducia nell’uomo, quando l’uomo può esprimersi nella sua piena dimensione, come soggetto libero, intelligente e responsabile» .
Lei come passerà la notte di Natale? Per chi pregherà e per chi invita a pregare? «Come ogni anno, andrò alla messa di mezzanotte del Papa in San Pietro.
Pregherò per la Chiesa, per la pace nel mondo, per il mio Paese, per tutti coloro che soffrono e per i tanti che mi chiedono di pregare per loro.
Ma il Natale richiama specialmente Betlemme, le origini umili e indifese del cristianesimo, la povertà e debolezza del Bambino che nasce per noi.
Questi inizi devono essere una caratteristica permanente.
Non possono essere relegati al passato.
Natale ci serve per ritrovare l’origine e vedere il presente in quella chiave: il Natale non è una bella favola per i bambini ma una realtà, più reale delle cose che tocchiamo con mano ogni giorno» in “Corriere della Sera” del 24 dicembre 2010

Nascita e infanzia di Gesù secondo i vangeli apocrifi

Il 7 novembre di cent’anni fa si spegneva nella stazioncina di Astàpovo, sperduta nell’immensa Russia, il grande romanziere Tolstoj, in fuga dalla sua famiglia e da sé stesso.
Pochi sanno che due anni prima, e precisamente il 12 giugno 1908, egli scriveva la premessa a un libretto diviso in 52 paragrafi, nato dai corsi di religione che aveva tenuto l’anno prima ai figli dei contadini della sua tenuta di Jasnaja Poljana e che aveva intitolato Il Vangelo spiegato ai giovani.
Aveva scelto i passi evangelici “più accessibili ai bambini”, nella convinzione che essi “come disse Cristo, sono in particolar modo recettivi della dottrina del regno di Dio”.
Ebbene, spesso si ritiene che una delle parti più adatte ai piccoli sia quella che raccoglie i 180 versetti dei cosiddetti “Vangeli dell’infanzia” di Gesù, presenti nei primi due capitoli di Matteo e di Luca.
Sicuramente, al centro c’è un Bambino, ma quelle pagine sono tutt’altro che bei raccontini destinati a menti ancora in formazione; ciò che generano non è uno stupore infantile a bocca aperta e occhioni sgranati; è, invece, lo stupore della fede adulta che comprende e contempla.
A creare la sensazione che quei “Vangeli” siano rivolti più a un pubblico ingenuo che a coloro che cercano un annunzio di salvezza, ha contribuito molto un genere letterario sbocciato nei primi secoli cristiani su imitazione dei Vangeli canonici.
Si tratta dei ben noti “Vangeli apocrifi”, laddove questa specificazione – che rimanda in greco a qualcosa di “nascosto, segreto” – aveva gettato su quegli scritti una luce misteriosa di esoterismo e di proibito.
E gli stessi testi favorivano tale interpretazione.
L’importante (anche storicamente) Vangelo di Tommaso, che offre un prezioso campionario di 114 lóghia o “detti” di Cristo, si apriva così:  “Queste sono le parole segrete che Gesù, il Vivente, ha detto.
Didimo Giuda Tommaso le ha scritte e ha detto:  Chi troverà l’interpretazione di queste parole non gusterà la morte”.
Tale accezione iniziatica del termine “apocrifo” si trasformerà negativamente in quella di “falso”, in contrapposizione a ciò che era “canonico”, ossia la Scrittura ufficialmente accolta dalla Chiesa, trasformazione dotata, però, di qualche fondamento:  queste pagine, infatti, soprattutto nelle loro narrazioni sull’infanzia di Gesù, accanto a dati storicamente attendibili anche se ignoti ai quattro Vangeli canonici, seminavano a piene mani eventi e parole intrise della spezia della fantasia, fino ad accogliere anche degenerazioni ideologiche, nel tentativo di avallare teorie teologiche di gruppi cristiani locali.
Ecco, noi ora vorremmo presentare ai nostri lettori le principali fonti “natalizie” apocrife a cui per secoli hanno attinto non solo le arti, ma anche la devozione popolare, il folclore, i racconti per l’infanzia e persino la liturgia (è noto che le memorie sia della natività sia della presentazione al tempio di Maria, come quella dei nomi dei genitori della Vergine, Anna e Gioacchino, sono da cercare nel primo degli apocrifi che subito evocheremo).
Naturalmente, chi vuol leggere quei testi in edizioni corrette e rigorose non ha che l’imbarazzo della scelta.
Accontentiamoci di segnalare soltanto la più recente, quella curata dall’esegeta catalano Armand Puig i Tàrrech, I vangeli apocrifi (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2010, pagine 414, euro 32:  è solo il primo volume ed è quello che tocca il nostro tema).
I Vangeli apocrifi dell’infanzia di Gesù si possono proporre secondo un trittico eterogeneo.
La prima tavola è occupata dallo scritto più celebre, variamente intitolato dai manoscritti che ce l’hanno conservato, ma comunemente noto come il Protovangelo di Giacomo, probabilmente “il fratello del Signore” (Galati, 1, 19; Marco, 6, 3), primo capo della Chiesa di Gerusalemme, che si autopresenta nell’epilogo così:  “Io, Giacomo, che ho scritto questa storia”.
Le Chiese d’Oriente, invece, hanno preferito identificarlo in un ipotetico figlio maggiore avuto da san Giuseppe in un precedente matrimonio, mentre il Decreto Gelasiano del vi secolo optava per il Giacomo detto il minore del collegio apostolico.
Ma al di là del patronato e delle stesse molteplici versioni a noi giunte, spesso divergenti tra loro, ciò che interessa è il contenuto che ha reso questo testo uno degli apocrifi di maggior successo.
Come scriveva quel grande studioso e teologo che fu Oscar Cullmann, il Protovangelo di Giacomo brilla per “discrezione, intimità e poesia” e merita attenzione anche per la sua antichità:  è, infatti, da collocare tra il 150 e il 200.
La trama è semplice e potrebbe essere classificata come una biografia di Maria, dal suo concepimento miracoloso fino alla nascita di suo figlio Gesù.
È qui che apparentemente sembra registrarsi una caduta di stile con la scena dell’ispezione ginecologica sulla verginità di Maria.
Tuttavia, questa e tutte le altre sottolineature della sua purezza e verginità fin dalla sua concezione sono probabilmente segnate da una finalità apologetica antignostica e, soprattutto, antipagana.
Origene, infatti, ci informa, nella sua polemica col retore e filosofo pagano Celso, che era diffusa tra i pagani la convinzione che “la madre di Gesù era stata ripudiata dal falegname a cui era unita in matrimonio perché trovata colpevole di adulterio, avendo concepito Gesù da un soldato romano di nome Panthera” (Contro Celso, 1, 32).
È curioso notare che questo nome strano sembra essere una deformazione del titolo parthénos, “vergine”, che i cristiani attribuivano a Maria.
Attingendo ai Vangeli canonici di Matteo e Luca – sui quali vengono innestati dati nuovi e liberi, come l’assassinio di Zaccaria, il padre del Battista, da parte di Erode – rimandando all’Antico Testamento (ad esempio, per il nome e la vicenda di Anna sterile, come era accaduto all’omonima madre del profeta Samuele) riferendosi anche alla letteratura popolare dedicata agli eroi e alle loro origini, l’autore del Protovangelo forse echeggia notizie e informazioni dall’antica tradizione orale cristiana la quale, certamente, aveva fatto da base anche al racconto canonico.
Sta di fatto che il successo di questo apocrifo nella storia dell’arte, del culto e della devozione mariana fu folgorante pure in Occidente, ove fu mediato attraverso quell’opera capitale che fu la Legenda aurea di Jacopo da Varazze (xiii sec.).
È a questo punto che dobbiamo introdurre la seconda tavola del nostro ideale trittico apocrifo natalizio.
È il cosiddetto Vangelo dell’infanzia di Tommaso, da non confondere col già citato e rilevante Vangelo di Tommaso, trovato in Egitto.
Si tratta di un testo greco, giunto a noi anche in varie traduzioni antiche (siriaco, latino, georgiano, slavo, etiopico) dalla trama semplice ma sconcertante.
Semplice, perché racconta atti e detti del piccolo Gesù tra i cinque e i dodici anni, nel silenzio assoluto dei Vangeli canonici che si accontentano di dirci soltanto che “il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui” (Luca, 2, 40), al massimo informandoci con Giuseppe che “andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti:  Sarà chiamato Nazareno” (Matteo, 2, 23).
Dicevamo, però, che lo scritto è anche sconcertante in quanto ci offre un ritratto di Gesù come quello di un enfant terribile, capriccioso, arrogante persino coi suoi genitori.
Il catalogo di queste divine malefatte, che sono miracoli al contrario, è impressionante:  una paralisi, due morti e una cecità! Paralitico diventa il compagno che aveva aperto un canale di uscita nella pozza d’acqua che Gesù aveva costruito, come fanno i bambini nei loro giochi; muore un altro ragazzo che l’aveva spintonato, ma si spegne anche il maestro che aveva bacchettato sulla testa questo scolaro inquieto; ciechi si ritrovano i compagni o gli adulti che non stanno dalla sua parte e lo accusano.
È pur vero che il piccolo Gesù sfodera poi i suoi poteri divini risuscitando e guarendo, e vivificando anche dodici uccellini da lui plasmati col fango, rendendo potabile l’acqua di un torrente, aggiustando un asse per il lavoro del padre falegname Giuseppe, rendendo impermeabile il manto di sua madre Maria per il trasporto dell’acqua, curando un morso di vipera del fratellastro Giacomo, moltiplicando il grano per i poveri, decifrando il segreto simbolismo della lettera greca alfa e così via elencando per un totale di ben tredici prodigi.
È lecita a questo punto una domanda:  qual è il significato ultimo di questa parata taumaturgica un po’ istrionica e bizzarra?  Difficile è una risposta univoca e convincente, tra le tante che sono state escogitate, cercando di pescare anche in qualche fluido retroterra gnostico.
Si possono, certo, isolare in filigrana alcune iridescenze simboliche, come quella del giudizio su coloro che rifiutano Cristo, secondo quel contrasto tra mondo e parola divina, tra luce e tenebre, tra fede e rifiuto che domina nel Vangelo di Giovanni.
Il citato Puig i Tàrrech, con qualche contorcimento interpretativo, arriva al punto di affermare che l’autore di questo Vangelo “con un’intelligenza narrativa decisamente singolare, procederebbe a una riduzione ad absurdum della questione della divinità di Gesù e presenterebbe un Gesù in-credibile, per mostrare come tale divinità debba essere creduta e riconosciuta nella sua autenticità”.
Detto altrimenti, sarebbe un racconto paradossale, “al limite”, del quale bisogna cogliere la cifra nascosta per decrittarne il senso profondo.
Sarà pure così, ma sta di fatto che il risultato più evidente è che “Tommaso” riesce a far brillare di luce irraggiungibile la sobrietà e la limpida serietà teologica dei Vangeli canonici dell’infanzia di Gesù.
Siamo, allora, giunti al terzo quadro della nostra trilogia, il Vangelo dello Pseudo-Matteo, così denominato dal famoso studioso ottocentesco Constantin von Tischendorf, lo scopritore del celebre codice Sinaitico della Bibbia, nel monastero di Santa Caterina al Sinai.
In realtà, la sostanza di questo apocrifo è solamente la ripresa libera proprio delle altre due tavole narrative del nostro trittico, arricchendole di particolari inediti.
Perché, allora, evochiamo anche questo scritto, sorto tra il 600 e il 625 in qualche monastero latino occidentale? Lo facciamo proprio per questa sua funzione di mediazione tra Oriente e Occidente della tradizione apocrifa di Giacomo e Tommaso e per lo straordinario successo che l’opera registrò nella devozione delle nostre Chiese, anche attraverso il filtro già citato della Legenda aurea.
Se cerchiamo notizie storicamente attendibili sulle origini di Gesù, la messe di dati che troviamo leggendo le pagine del nostro trittico è forse modesta anche se non inesistente.
Se, invece, desideriamo interpretare l’iconografia dell’arte e della fede cristiana dei secoli successivi, dobbiamo certamente tenere sul tavolo, accanto a Matteo e Luca, anche gli apocrifi che vanno sotto il nome di Giacomo, di Tommaso e dello Pseudo-Matteo.
Una piccola nota in appendice e un po’ fuori tema.
Pochi sanno che alla conservazione di ágrapha, ossia di parole ed eventi “non scritti” (nei Vangeli canonici) di o su Gesù ha contribuito anche l’islam:  lo scorso anno Sabino Chialà ha pubblicato appunto I detti islamici di Gesù (Milano, Fondazione Valla-Mondadori, 2009, pagine 520, euro 30).
Ne vorrei citare uno di grande suggestione.
Se da Agra, l’indimenticabile capitale moghul dell’India, sede del Taj Mahal (“una lacrima di marmo ferma sulla guancia del tempo”, come lo definiva Tagore), il turista scende per una quarantina di chilometri a sud-ovest, scopre la città fantasma di Fatehpur Sikri, edificata nel Cinquecento dall’imperatore Akbar come un crocevia utopico delle religioni, fuse nella sua din-i-llahi, “la religione di Dio”, un arcobaleno sincretistico di fedi diverse.
Per questo sulla moschea della città egli aveva apposto questa iscrizione:  “Gesù – che la pace sia con lui – disse:  Il mondo è un ponte.
Attraversalo, ma non fermarti lì”.
Ora, anche nel citato Vangelo di Tommaso, all’interno dei suoi 114 detti di Gesù ci si imbatte nell’appello:  “Siate gente di passaggio!”.
Sia nella scritta di Fatehpur Sikri sia in quest’altra frase si può sentire l’eco delle parole evangeliche di Cristo sul vero tesoro, che non è nella passeggera ricchezza terrena (Matteo, 6, 19-34), e sul vano affannarsi nell’accumulo dei beni transitori (Luca, 12, 16-31).
(©L’Osservatore Romano – 25 dicembre 2010)