L’etica nell’orizzonte del pluralismo culturale

 

 

Il 9 – 10 aprile si è tenuto a Roma  un Corso di aggiornamento per insegnati di Religione su L’etica nell’orizzonte del pluralismo culturale. Il corso è stato promosso dall’Istituto di Catechetica della Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’UPS.

 

IL PROGRAMMA DEL CORSO


Presentazione

La realizzazione di una propria identità è l’assillo che il giovane vive. E rischia pure di risultare il  processo più occasionale e dispersivo: la personalità di ciascuno si attua in un clima di improvvisazione e di incertezza.      
E’ possibile offrirle bussola e timone per un orientamento morale credibile?   E’ la domanda che muove il Convegno.

 

Sabato, 9 aprile 2011

Ore  9.00                               Introduzione e Lodi

0re   9.30                              Etica in contesto cristiano. Quale proposta? Prof. Paolo Carlotti

Ore 11.00                             Intervallo

Ore 11.30                             Fasi e processi della vita morale. Il giovane fra adesione e rifiuto: Prof. Massimo Diana

Ore 13.00                             Pranzo

Ore 15.00                             Crisi ecologica e responsabilità morale:  Prof. Johstrom Kureethadam

Ore. 16.00                            La formazione della coscienza morale. Dalla contraffazione alla vita autentica:

Prof. Michele Marchetto

Ore 17.00                             Intervallo

Ore 17.30                             Impatto dei media sul mondo giovanile : Prof. Pier Cesare Rivoltella

Ore 20.00                             Cena

 

Domenica, 10 aprile

Ore   9.00                               Lodi

Ore   9.15                              Un’etica a misura giovane. Dalla norma all’utopia: Prof. Zelindo Trenti

Ore   10.15                            Intervallo

Ore 10.45                             Coscienza morale nell’apprendimento dell’IRC. Elaborazione didattica

Prof. Roberto Romio

Un’ipotesi applicativa: L’Ospite Inatteso: Proff. C. Carnevale, G. Cursio, R. Astuto

Ore 12.00                            Conclusioni.

 


 

GLI INTERVENTI DEI RELATORI

Di seguito si possono consultare gli interventi dei relatori:

relazioni fotocopiate

 

 

 


 

Master universitario in Pedagogia Religiosa

 

L’istituto di Catechetica

della Facoltà di Scienze dell’Educazione di Roma,  in collaborazione con il Servizio  Nazionale  per l’Insegnamento della Religione Cattolica,

riprende l’attività del Master universitario di 2° livello in Pedagogia Religiosa, valorizzando   soprattutto i tempi delle ferie estive in montagna.

 

PROFILI

Profilo dell’esperto di Formazione degli IdR

Il Master propone un processo di qualificazione di responsabili della formazione degli IdR nelle Diocesi. Si tratta di formare una figura di riferimento che abbia competenze quale Formatore dei formatori.

 

Profilo economico

tassa di iscrizione:  1500 Euro

in una unica soluzione o in due rate da 750 Euro (la prima entro aprile 2011, la seconda entro aprile  2012). Le due settimane residenziali in Montagna sono integralmente finanziate dal sussidio CEI.

 

>Profilo organizzativo

Il Master comporta tre momenti residenziali:

– Incontro di impostazione: 13-15 maggio 2011;

– Settimana residenziale a Pozza di Fassa: 26 giugno/2 luglio 2011;

– Seconda settimana residenziale a Pozza di Fassa, di verifica e conclusione: inizio luglio 2012.


La sede organizzativa

Il Master è presso l’Università Pontificia Salesiana


Per l’eventuale iscrizione:

vedi Master in:

master

www.masterpedagogiareligiosa.it


termine ultimo per le iscrizioni 30 aprile 2011




MASTER IN PEDAGOGIA RELIGIOSA

SCHEDA DI PREISCRIZIONE


COGNOME  e Nome ____________________________

Nato a il _____________________________________

Indirizzo _____________________________________

_____________________________________

Tel. ______________  cell.  ______________

e-mail: ______________________________________

Scuola ______________________________________

Diocesi _____________________________________

firma _______________________________________

data ________________________________________ 

 

FAX. 0687290354

mail: rivrel@unisal.it


Teologi e filosofi contro l’evoluzione

 

 

Le critiche mostrano un concetto inadeguato di azione creatrice, non considerano il tempo come struttura necessaria delle creature e valutano il loro divenire come un dato secondario. Non tengono conto che il fascino della teoria evoluzionista non sta tanto nelle molte prove documentarie accumulate negli ultimi secoli, quanto nella spiegazione che offre di molti fenomeni altrimenti inspiegabili.


 

 

In questa rubrica ho illustrato più volte la prospettiva evolutiva nella convinzione che oggi essa sia necessaria per una corretta formulazione della dottrina cristiana. Siccome non mancano gli oppositori dell’evoluzionismo e alcuni di loro si richiamano alle dottrine di fede, credo sia utile esaminare le argomentazioni con le quali essi negano la solidità della teoria evolutiva e fondano la loro credenza in un Dio creatore che opera in modo perfetto e interviene nei momenti cruciali.
Il 26 febbraio 2009 si è svolto a Roma un convegno a porte chiuse «per offrire un contributo scientifico al dibattito in corso nell’anno darwiniano». L’iniziativa era del Vice presidente del Consiglio Nazionale delle ricerche, lo storico Roberto De Mattei. Il volume che ne rende pubbliche le undici relazioni già nel titolo indica l’orientamento comune degli scienziati, scrittori e filosofi intervenuti: Evoluzionismo: il tramonto di una ipotesi (Cantagalli, Siena 2009).

Non esamino gli argomenti scientifici degli altri interventi. Mi limito alle prime due relazioni che presentano soprattutto riflessioni di tipo filosofico e teologico. De Mattei sostiene che il darwinismo non è «scienza» bensì una «cosmogonia capovolta». Mentre i miti di tutti i popoli considerano «perfetti» gli inizi del cosmo, della vita e della specie umana, gli evoluzionisti pongono «l’archetipo della perfezione non nel passato, ma nel futuro, non nelle sfere celesti, ma nel processo immanente della storia» (p. 30). La cosmogonia evoluzionista, quindi è una «narrazione fantasiosa di un passato, immaginato per sorreggere una radicale avversione ai principi metafisici di trascendenza e di causalità» (p. 30). Anche secondo gli evoluzionisti «nell’impresa scientifica l’onere della prova spetta allo sfidante» (Pievani T., Creazione senza Dio. n. 84). Ora. argomenta De Mattei «la ‘sfida’ di Darwin e dei suoi seguaci alla scienza tradizionale non è mai stata suffragata da prove» (p. 29). Per questo conclude: «il tramonto dell’ipotesi evoluzionista è un processo ormai irreversibile» (p. 30).
Se però si esamina come vengono affrontati i problemi che hanno stimolato la soluzione evoluzionista si resta delusi. De Mattei non dice nulla del disordine presente nei processi naturali, degli sprechi enormi che essi comportano, dei molti vicoli ciechi imboccati dalla vita nella sua diffusione sulla terra, dei suoi rami secchi e improduttivi, del male presente in tutte le fasi dei processi vitali, delle numerosissime catastrofi naturali che hanno fatto scomparire la stragrande maggioranza delle specie viventi, non dice nulla delle immani sofferenze e tragedie della storia. Non offre nessuna spiegazione di come tutto ciò possa attribuirsi a un Dio buono e provvidente. Propone una figura di Creatore senza alcuna spiegazione delle caratteristiche della sua azione. Non esamina nessuna riflessione dei teologi evoluzionisti su questi temi. Egli afferma solo che «le posizioni dei teoevoluzionisti sono confuse» (p. 24 n. 73). Scendendo ad alcuni nomi ricorda che: «antesignano degli evoluzionisti cattolici è il gesuita Vittorio Marcozzi (1908-2005)» e che «oggi si distinguono l’ex-sacerdote Francesco Ayala, il sacerdote paleoantropolgo mons. Fiorenzo Facchini e, in parte, il filosofo della scienza, Don Stanley L. Jaki (1924-2009)» (ib). Non menziona neppure Teilhard de Chardin (1882-1955), e il profondo influsso che egli ha esercitato anche nel mondo laico. De Mattei non sembra neppure ammettere la presenza di eventi «casuali», quelli cioè che non hanno alcuna finalità in ordine alla vita, ma che fanno parte dei processi e sono oltreché imprevedibili anche ineliminabili.
Per lui: «il ‘caso’ diviene la ‘spiegazione’ dell’inspiegabile, ossia dell’assurdo… La scienza diviene storia dove `tutto è permesso’ e dove «non vi sono più leggi divine che assegnino limiti all’esperimento» (Jacob F., La logica dei viventi, Einaudi, Torino 1971, p. 215)» (o. c. p. 27). De Mattei non sembra dare alcun rilievo al principio di indeterminazione dei processi fisici elementari e soprattutto non richiama il valore della libertà che Dio è in grado di suscitare nelle creature.
Molto più coerentemente il filosofo Robert Spaeman ha osservato nel Convegno Cei del dicembre 2009: «Dio agisce tanto attraverso il caso quanto attraverso leggi naturali» (La ragionevolezza della fede in Dio, in Dio oggi, Cantagalli, Siena 2010, p.75). Questa è una caratteristica del creatore: offre contemporaneamente diverse possibilità tra le quali scegliere.
Nello stesso volume Joseph Seitert, Direttore della Accademia internazionale di Filosofia del Liechtenstein, membro della Pontificia Accademia della Vita, propone una riflessione filosofica con alcuni cenni teologici: Riflessioni critiche sull’evoluzionismo come teoria scientifica o pseudscientifica e come ideologia atea (pp. 31-64). Egli presenta tre forme di l’evoluzionismo: atea, teista e limitata.
1.Circa la prima inanella una serie impressionante di affermazioni critiche: «non è una teoria scientifica, ma un’ideologia pseudo-metafisica» (p. 34). «Essendo falsa, non può passare il ‘test di realtà’, nel senso che non soddisfa i criteri propri per la conoscenza oggettiva e inoltre i test empirici contraddicono le sue false affermazioni scientifiche e filosofiche» (p. 35). «Tale evoluzionismo ideologico, materialista ed ateo non è solamente una tesi impossibile, ma realmente stupida, per non dire idiota» (p. 39). «Non esiste assolutamente alcuna prova né alcuna plausibilità che tutte le specie di animali, dalle amebe agli elefanti, si siano sviluppate l’una dall’altra tramite una qualche evoluzione» (p. 39). «Una delle obiezioni filosoficamente più importanti della teoria dell’evoluzione… consiste nella intuizione dell’assoluta irriducibilità della vita alla materia inerte» (p. 50); «l’essenza della vita è irriducibile a sistemi fisici di qualunque tipo» (p. 53). Il passaggio dagli animali all’uomo «per lo meno per quanto riguarda l’anima umana… è realmente impossibile metafisicamente» (ib. p. 38).
«Una promessa o qualsiasi atto libero è necessariamente impossibile, se non assurdo, se tale atto è identico a, o determinato da, un processo materiale o organico, o se è un semplice prodotto causale dello sviluppo evoluzionistico» (p. 56). E «la conoscenza contraddice la possibilità di essere un epifenomeno del cervello o delle sue funzioni» (p. 57).
2.Anche «l’evoluzionismo teista, o ‘deista’ (o cripto-atea essendo panteista)… è insostenibile in virtù del fatto che dimentica le differenze insuperabili tra le sfere e gli ordini di esseri che non potranno mai evolvere l’uno dall’altro: il vivente dal morto, il personale dall’impersonale, lo spirito dalla materia» (p. 40 si riferisce esplicitamente al paleontologo gesuita Pierre Teilhard de Chardin).
Seifert non sembra tenere conto della notevole differenza tra evoluzionismo ateo e teista. Chi crede in Dio ritiene che la perfezione iniziale contiene già tutte le qualità che nel tempo fioriranno nelle creature. Le sue difficoltà non considerano che nella prospettiva teista tutto il processo è alimentato e sostenuto da Dio, perfezione compiuta, per cui non è lo spirito a derivare dalla materia, ma viceversa questa deriva dallo Spirito. Quando le strutture materiali lo consentono il pensiero, la consapevolezza, la libertà possono emergere ed esprimersi perché già presenti alla radice di tutto.
Siefert si chiede: «Per quale motivo mai avrebbe Egli [Dio] usato leggi tanto primitive come `la sopravvivenza del più forte», la `selezione naturale’, ‘l’adattamento’, che in realtà sono del tutto prive di significato, e perché egli avrebbe impiegato un tempo senza fine per permettere a tali assurde cause di produrre il mondo, osservando e aspettando innumerevoli incidenti di percorso in tale processo?» (p. 42). Questo modo di argomentare suppone che le creature (cioè il vuoto o caos iniziale) siano in grado di accogliere la perfezione divina in modo istantaneo. Non tiene conto che l’azione creatrice alimenta il processo del divenire perché le creature non vengono prodotte o fatte, come l’artigiano
modella una statua da materia preesistente, bensì create: esse diventano nel tempo.
3.Della forma limitata di evoluzionismo egli ammette qualche possibilità, ma sempre condizionata dagli interventi puntuali di Dio. «È piuttosto probabile che abbia avuto luogo un qualche processo evolutivo limitato e sviluppo trans-specifico, ad es. dai lupi a certi tipi di cani, ed è certo che le pratiche di allevamento possono condurre a nuove razze canine, le cui caratteristiche sono trasferite alle generazioni successive» (p. 39; cfr p. 41).
In conclusione le critiche mostrano un concetto inadeguato di azione creatrice, non considerano il tempo come struttura necessaria delle creature e valutano il loro divenire come un dato secondario. Non tengono conto che il fascino della teoria evoluzionista non sta tanto nelle molte prove documentarie accumulate negli ultimi secoli, quanto nella spiegazione che offre di molti fenomeni altrimenti inspiegabili. In particolare dà ragione della casualità, del lungo tempo necessario ai processi cosmici e vitali, della distruzione della maggioranza delle specie un tempo viventi, della imperfezione cronica e del male smisurato che accompagna il divenire del creato e la storia umana.

 

in “Rocca” n. 7 del 1 aprile 2011

Scuola: come cambia con Lim e e-book

Lavagne elettroniche e libri digitali. Il futuro è già fra i banchi e sta cambiando rapidamente le modalità di insegnamento.

 

 

È la riflessione che compare sul sito dell’Ansas, Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica, principale promotrice, per conto del ministero, delle aule 2.0 e dell’innovazione digitale a scuola. In un approfondimento che compare sul sito dell’Agenzia (e ripreso dall’agenzia di stampa Dire) si affronta la seguente domanda: Lim (Lavagne interattive multimediali) ed e-book, perché portarli in classe?

Innanzitutto, si spiega nell’articolo di approfondimento, gli ambienti digitali in classe sono qualcosa di più semplice rispetto a quanto viene evocato dall’immaginario collettivo quando se ne parla. Niente realtà virtuale o scene da Second life, insomma. L’aula digitale è costituita da un insieme di strumenti digitali che vengono utilizzati, anziché in solitudine, da una comunità di persone. Ma grazie alle tecnologie la scuola si ‘dilata’, supera i propri confini e tocca il mondo portandolo fra le sue pareti. Tuttavia, perché la scuola digitale funzioni “è necessaria un’adeguata cultura dei media, ovvero un approccio che consenta al docente di appropriarsi della tecnologia, dei linguaggi multimediali, per farli propri e individuarne il valore aggiunto“.

Occorre prevedere nuovi modi d’uso – è l’auspicio dell’Ansas –, consapevoli delle potenzialità e specificità del singolo medium per non incorrere nella tentazione di utilizzare, ad esempio, la Lim come la lavagna d’ardesia sprecando tempo e vanificando l’investimento“. La Lim (lavagna interattiva multimediale), infatti, “può rappresentare oggi una svolta per l’insegnamento. Entra in classe, va al cuore del sistema di apprendimento e della pratica didattica quotidiana, rompe la configurazione tradizionale dell’ambiente“.

La classe, estesa e potenziata, può accedere a diversi aspetti della realtà esterna, estrapolarne particolari e dettagli, analizzare, scomporre, manipolare informazioni e contenuti, con il supporto di efficaci applicazioni software appositamente progettate e sviluppate. Di fronte alla tecnologia il docente e lo studente possono essere “passivi consumatori” o, a loro volta, produttori. E questa è la differenza fra un buono e un cattivo uso delle tecnologie in aula. Quanto al libro digitale, Alberto Manzi, storico maestro che negli anni del dopoguerra commosse l’Italia con il suo carisma e la dolcezza con cui insegnava agli adulti analfabeti a scrivere nel famoso programma televisivo ‘Non è mai troppo tardi’, sosteneva che “per il ragazzo il libro deve essere qualcosa di piacevole, dove si può non solo leggere, ma colorare, trasformare, fare, disfare, ampliare, ridere, inventare, riflettere. Il libro si trasforma così in qualcosa di personale, perciò vivo“.

Queste affermazioni sono oggi più che mai attuali e potranno forse trovare un alleato nella tecnologia digitale. E se, di fatto, l’e-book non nasce per il target scuola, in essa trova applicazione e naturale collocazione.


tuttoscuola.com

Gesù di Nazareth

 

LA RECENSIONE

Nonostante sia assai denso, questo libro si legge per intero senza interruzioni. Percorrendone i nove capitoli e le prospettive finali, il lettore è trasportato per sentieri scoscesi verso l’avvincente incontro con Gesù, una figura familiare che si rivela ancor più vicina nella sua umanità come nella sua divinità. Completata la lettura, si vorrebbe proseguire il dialogo, non soltanto con l’autore ma con Colui del quale egli parla. Gesù di Nazaret è più di un libro, è una testimonianza commovente, affascinante, liberatrice. Quanto interesse susciterà tra gli esperti e tra i fedeli!
Oltre l’interesse d’un libro su Gesù, è il libro del Papa che si presenta in umiltà al foro degli esegeti, per confrontarsi con loro sui metodi e sui risultati delle loro ricerche. Lo scopo del Santo Padre è quello di andare con loro più lontano, in stretto rigore scientifico, certo, ma anche nella fede nello Spirito Santo che scandaglia le profondità di Dio nella Sacra Scrittura. In questo foro, gli scambi fecondi predominano di molto sugli accenti critici, e ciò contribuisce a far meglio conoscere e riconoscere l’essenziale contributo degli esegeti.


Non c’è forse da trarre grande speranza da questo riavvicinamento tra l’esegesi rigorosa dei testi biblici e l’interpretazione teologica della Sacra Scrittura? Io non posso fare a meno di scorgere in questo libro l’aurora d’una nuova era dell’esegesi, una promettente era di esegesi teologica.
Il Papa dialoga in primo luogo con l’esegesi tedesca ma non ignora importanti autori che appartengono alle aree linguistiche francofona, anglofona e latina. Eccelle nell’individuare le questioni essenziali e i nodi decisivi, costringendosi a evitare le discussioni sui dettagli e le dispute di scuola che pregiudicherebbero il suo proposito, che è quello di “trovare il Gesù reale”, non il “Gesù storico” proprio del filone dominante dell’esegesi critica, ma il “Gesù dei Vangeli” ascoltato in comunione con i discepoli di Gesù d’ogni tempo, e così “giungere anche alla certezza della figura veramente storica di Gesù”.
Questa formulazione del suo obiettivo manifesta l’interesse metodologico del libro. Il Papa affronta in modo pratico ed esemplare il complemento teologico auspicato dall’Esortazione Apostolica Verbum Domini per lo sviluppo dell’esegesi. Nulla stimola di più dell’esempio dato e dei risultati ottenuti. Gesù di Nazaret offre una magnifica base per un fruttuoso dialogo non solo tra esegeti, ma anche tra pastori, teologi ed esegeti! Prima di illustrare con alcuni esempi i risultati di questa esegesi di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, aggiungo ancora un’osservazione sul metodo. L’autore si sforza di applicare in maggior profondità i tre criteri d’interpretazione formulati al concilio Vaticano II dalla Costituzione sulla Divina Rivelazione Dei Verbum: tener conto dell’unità della Sacra Scrittura, del complesso della Tradizione della Chiesa e rispettare l’analogia della fede. Come buon pedagogo che ci ha abituati alle sue omelie mistagogiche, degne di san Leone Magno, Benedetto XVI, a partire dalla figura – quanto centrale ed unica – di Gesù, mostra la pienezza di senso che promana dalla Sacra Scrittura “interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta” (Dei Verbum, 12).
Anche se l’autore si preclude d’offrire un insegnamento ufficiale della Chiesa, è facile immaginare che la sua autorità scientifica e la ripresa in profondità di certe questioni disputate saranno di grande aiuto per confermare la fede di molti. Serviranno inoltre a far progredire dei dibattiti rimasti insabbiati a motivo dei pregiudizi razionalisti e positivisti che hanno intaccato il prestigio dell’esegesi moderna e contemporanea. Tra la comparsa del primo volume nell’aprile 2007 e quella del secondo in questa Quaresima 2011, un gran numero di eventi felici ma anche di penose esperienze ha segnato la vita della Chiesa e del mondo. Ci si chiede come il Papa sia riuscito a scrivere quest’opera molto personale e molto impegnativa, di cui l’attualità del tema e l’audacia del progetto balzano agli occhi di chiunque s’interessi al cristianesimo. Come teologo e come pastore, ho la sensazione di vivere un momento storico di grande portata teologica e pastorale. È come se in mezzo alle onde che agitano la barca della Chiesa, Pietro avesse ancora una volta afferrato la mano del Signore che ci viene incontro sulle acque, per salvarci (cfr. Matteo, 14, 22-33).
Detto ciò che riguarda il carattere storico, teologico e pastorale dell’evento, veniamo al contenuto del libro che vorrei riassumere assai a grandi linee attorno ad alcune questioni cruciali. Innanzitutto la questione del fondamento storico del cristianesimo che attraversa i due volumi dell’opera; poi la questione del messianismo di Gesù, seguita da quella dell’espiazione dei peccati da parte del Redentore, che costituisce un problema per molti teologi; allo stesso modo la questione del sacerdozio di Cristo in rapporto alla sua Regalità e al suo Sacrificio che tanta importanza rivestono per la concezione cattolica del sacerdozio e della Santa Eucaristia; da ultimo la questione della risurrezione di Gesù, il suo rapporto alla corporeità ed il suo legame con la fondazione della Chiesa.
Non occorre dire che l’elenco non è esaustivo e molti troveranno altre questioni più interessanti, a esempio il suo commento del discorso escatologico di Gesù o ancora della preghiera sacerdotale in Giovanni, 17. Io identifico le questioni qui esposte come nodi da sciogliere in esegesi come in teologia, allo scopo di ricondurre la fede dei fedeli alla Parola stessa di Dio, compresa in tutta la sua forza e la sua coerenza, nonostante i condizionamenti teologici e culturali che a volte impediscono l’accesso al senso profondo della Scrittura.
La questione del fondamento storico del cristianesimo impegna Joseph Ratzinger fin dagli anni della sua formazione e del suo primo insegnamento, come appare dal suo volume Introduzione al cristianesimo (Einführung in das Christentum), pubblicato oltre quarant’anni or sono, e che ebbe all’epoca un notevole impatto sugli uditori e i lettori. Dal momento che il cristianesimo è la religione del Verbo incarnato nella storia, per la Chiesa è indispensabile stare ai fatti e agli avvenimenti reali, proprio in quanto essi contengono dei “misteri” che la teologia deve approfondire utilizzando chiavi d’interpretazione che appartengono al dominio della fede.
In questo secondo volume che tratta degli avvenimenti centrali della passione, della morte e della risurrezione di Cristo, l’autore confessa che il compito è particolarmente delicato. La sua esegesi interpreta i fatti reali in maniera analoga al trattato su “i misteri della vita di Gesù” di san Tommaso d’Aquino, “guidato dall’ermeneutica della fede, ma tenendo conto nello stesso tempo e responsabilmente della ragione storica, necessariamente contenuta in questa stessa fede” (9).
Sotto questa luce, si comprende l’interesse del Papa per l’esegesi storico-critica ch’egli ben conosce e da cui trae il meglio per approfondire gli avvenimenti dell’Ultima Cena, il significato della preghiera del Getsemani, la cronologia della passione e in particolare le tracce storiche della risurrezione.
Non manca di porre in evidenza di passaggio il difetto d’apertura di un’esegesi esercitata in modo troppo esclusivo secondo la “ragione”, ma il suo principale intendimento rimane quello di far luce teologicamente sui fatti del Nuovo Testamento con l’aiuto dell’Antico Testamento e viceversa, in modo analogo ma più rigoroso rispetto all’interpretazione tipologica dei Padri della Chiesa. Il legame del cristianesimo con l’ebraismo appare rafforzato da questa esegesi che si radica nella storia di Israele ripresa nel suo orientamento verso il Cristo. Ecco allora, per esempio, che la preghiera sacerdotale di Gesù, che sembra per eccellenza una meditazione teologica, acquisisce in lui una dimensione del tutto nuova grazie alla sua interpretazione illuminata dalla tradizione ebraica dello Yom Kippur.
Un secondo nodo riguarda il messianismo di Gesù. Certi esegeti moderni hanno fatto di Gesù un rivoluzionario, un maestro di morale, un profeta escatologico, un rabbi idealista, un folle di Dio, un messia in qualche modo a immagine del suo interprete influenzato dalle ideologie dominanti.
L’esposizione di Benedetto XVI su questo punto è diffusa e ben radicata nella tradizione ebraica. Egli s’inserisce nella continuità di questa tradizione che unisce il religioso e il politico, ma sottolineando a qual punto Gesù operi la rottura tra i due domini. Gesù dichiara davanti al Sinedrio d’essere il Messia, ma non senza chiarire la natura esclusivamente religiosa del proprio messianismo. È d’altra parte per questo motivo che è condannato come blasfemo, poiché si è identificato con “il Figlio dell’uomo che viene sulle nubi del cielo”. Il Papa espone con forza e chiarezza le dimensioni regale e sacerdotale di questo messianismo, il cui senso è quello d’instaurare il culto nuovo, l’adorazione in Spirito e in Verità, che coinvolge l’intera esistenza, personale e comunitaria, come un’offerta d’amore per la glorificazione di Dio nella carne. Un terzo nodo da sciogliere riguarda il senso della redenzione e il posto che vi deve o meno occupare l’espiazione dei peccati. Il Papa affronta le obiezioni moderne a questa dottrina tradizionale. Un Dio che esige una espiazione infinita non è forse un Dio crudele la cui immagine è incompatibile con la nostra concezione d’un Dio misericordioso? Come conciliare le nostre moderne mentalità sensibili all’autonomia delle persone con l’idea di un’espiazione vicaria da parte di Cristo? Questi nodi sono particolarmente difficili da sciogliere.
L’autore riprende queste domande più volte, a diversi livelli, e mostra come la misericordia e la giustizia vadano di pari passo nel quadro dell’Alleanza voluta da Dio. Un Dio che perdonasse tutto senza preoccuparsi della risposta che deve dare la sua creatura avrebbe preso sul serio l’Alleanza e soprattutto l’orribile male che avvelena la storia del mondo? Quando si guardano da vicino i testi del Nuovo Testamento, domanda l’autore, non è Dio a prendere su se stesso, nel suo Figlio crocifisso, l’esigenza d’una riparazione e d’una risposta d’amore autentico? “Dio stesso “beve il calice” di tutto ciò che è terribile e ristabilisce così il diritto mediante la grandezza del suo amore che, attraverso la sofferenza, trasforma il buio” (258-259).
Tali questioni sono poste e risolte in un senso che invita alla riflessione e in primo luogo alla conversione. Non si può infatti veder chiaro in tali questioni ultime rimanendo neutrali o a distanza. Occorre investirvi la propria libertà per scoprire il senso profondo dell’Alleanza che giustamente impegna la libertà d’ogni persona. La conclusione del Santo Padre è perentoria: “Il mistero dell’espiazione non dev’essere sacrificato a nessun razionalismo saccente” (267).
Un quarto nodo concerne il Sacerdozio di Cristo. Secondo le categorie ecclesiali del giorno d’oggi, Gesù era un laico investito d’una vocazione profetica. Non apparteneva all’aristocrazia sacerdotale del Tempio e viveva al margine di questa fondamentale istituzione del popolo d’Israele. Questo fatto ha indotto molti interpreti a considerare la figura di Gesù come del tutto estranea e senza alcun rapporto con il sacerdozio. Benedetto XVI corregge quest’interpretazione appoggiandosi saldamente sull’Epistola agli Ebrei che parla diffusamente del Sacerdozio di Cristo, e la cui dottrina ben si armonizza con la teologia di san Giovanni e di san Paolo. Il Papa risponde ampiamente alle obiezioni storiche e critiche mostrando la coerenza del sacerdozio nuovo di Gesù con il culto nuovo ch’egli è venuto a stabilire sulla terra in obbedienza alla volontà del Padre. Il commento della preghiera sacerdotale di Gesù è d’una grande profondità e conduce il lettore a pascoli che non aveva immaginato.
L’istituzione dell’Eucaristia appare in questo contesto d’una bellezza luminosa che si ripercuote sulla vita della Chiesa come suo fondamento e sua sorgente perenne di pace e di gioia. L’autore si attiene strettamente alle più approfondite analisi storiche ma dipana egli stesso delle aporie come solo un’esegesi teologica può farlo. Si giunge al termine del capitolo sull’Ultima Cena non senza emozione e restandone ammirati. Un ultimo nodo da me considerato riguarda infine la risurrezione, la sua dimensione storica ed escatologica, il suo rapporto alla corporeità e alla Chiesa. Il Santo Padre comincia senza giri di parole: “La fede cristiana sta o cade con la verità della testimonianza secondo cui Cristo è risorto dai morti” (269).
Il Papa insorge contro le elucubrazioni esegetiche che dichiarano compatibili l’annuncio della risurrezione di Cristo e la permanenza del suo cadavere nel sepolcro. Egli esclude queste assurde teorie osservando che il sepolcro vuoto, anche se non è una prova della risurrezione, di cui nessuno è stato diretto testimone, resta un segno, un presupposto, una traccia lasciata nella storia da un evento trascendente. “Solo un avvenimento reale d’una qualità radicalmente nuova era in grado di rendere possibile l’annuncio apostolico, che non è spiegabile con speculazioni o esperienze interiori, mistiche” (305).
Secondo lui, la risurrezione di Gesù introduce una sorta di “mutazione decisiva”, un “salto di qualità” che inaugura “una nuova possibilità d’essere uomo”. La paradossale esperienza delle apparizioni rivela che in questa nuova dimensione dell’essere “egli non è legato alle leggi della corporeità, alle leggi dello spazio e del tempo”. Gesù vive in pienezza, in un nuovo rapporto con la corporeità reale, ma è libero nei confronti dei vincoli corporei quali noi li conosciamo.
L’importanza storica della risurrezione si manifesta nella testimonianza delle prime comunità che hanno dato vita alla tradizione della domenica come segno identificativo d’appartenenza al Signore. “Per me – dice il Santo Padre – la celebrazione del Giorno del Signore, che fin dall’inizio distingue la comunità cristiana, è una delle prove più forti del fatto che in quel giorno è successa una cosa straordinaria, la scoperta del sepolcro vuoto e l’incontro con il Signore risorto” (288).
Nel capitolo sull’Ultima Cena, il Papa affermava: “Con l’Eucaristia, la Chiesa stessa è stata istituita”. Qui aggiunge un’osservazione di grande portata teologica e pastorale: “Il racconto della risurrezione diviene per se stesso ecclesiologia: l’incontro con il Signore risorto è missione e dà alla Chiesa nascente la sua forma” (289). Ogni volta che noi partecipiamo all’Eucaristia domenicale andiamo all’incontro con il Risorto che torna verso di noi, nella speranza che noi rendiamo così testimonianza ch’Egli è vivente e ch’Egli ci fa vivere. Non c’è in tutto questo di che rifondare il senso della messa domenicale e della missione? Dopo aver citato questi nodi senza che mi sia possibile estendermi in modo adeguato sulla loro soluzione, mi preme concludere questa sommaria presentazione facendo un poco più spazio al significato di questa grande opera su Gesù di Nazaret.
È evidente come mediante quest’opera il successore di Pietro si dedichi al suo ministero specifico che è di confermare i suoi fratelli nella fede. Ciò che qui colpisce in sommo grado, è il modo con cui lo fa, in dialogo con gli esperti in campo esegetico, e in vista di alimentare e fortificare la relazione personale dei discepoli con il loro Maestro e Amico, oggi.
Una tal esegesi, teologica quanto al metodo, ma che include la dimensione storica, si riallaccia effettivamente al modo di interpretare dei Padri della Chiesa, senza tuttavia che l’interpretazione s’allontani dal senso letterale e dalla storia concreta per evadere in artificiose allegorie.
Grazie all’esempio che dà e ai risultati che ottiene, questo libro eserciterà una mediazione tra l’esegesi contemporanea e l’esegesi patristica, da un lato, come anche nel necessario dialogo tra esegeti, teologi e pastori, da un altro. In quest’opera vedo un grande invito al dialogo su ciò che è essenziale del cristianesimo, in un mondo in cerca di punti di riferimento, in cui le differenti tradizioni religiose faticano a trasmettere alle nuove generazioni l’eredità della saggezza religiosa dell’umanità.
Dialogo dunque all’interno della Chiesa, dialogo con le altre confessioni cristiane, dialogo con gli Ebrei il cui coinvolgimento storico in quanto popolo nella condanna a morte di Gesù viene una volta di più escluso. Dialogo infine con altre tradizioni religiose sul senso di Dio e dell’uomo che emana dalla figura di Gesù, così propizia alla pace e all’unità del genere umano.
Al termine d’una prima lettura, avendo maggiormente gustato la Verità di cui con umiltà e passione è testimone l’autore, sento il bisogno di dar seguito a questo incontro di Gesù di Nazaret sia con l’invitare altri a leggerlo che riprendendone la lettura una seconda volta come meditazione del tempo liturgico di Quaresima e di Pasqua. Credo che la Chiesa debba rendere grazie a Dio per questo libro storico, per quest’opera cerniera tra due epoche, che inaugura una nuova era dell’esegesi teologica. Questo libro avrà un effetto liberatorio per stimolare l’amore della Sacra Scrittura, per incoraggiare la lectio divina e per aiutare i preti a predicare la Parola di Dio.
Alla fine di questo rapido volo su un’opera che avvicina il lettore al vero volto di Dio in Gesù Cristo, non mi rimane che dire: Grazie, Santo Padre! Consentitemi tuttavia di aggiungere ancora un’ultima parola, una domanda, poiché un simile servizio reso alla Chiesa e al mondo nelle circostanze che si conoscono e con i condizionamenti che si possono intuire, merita più d’una parola o d’un gesto di gratitudine. Il Santo Padre tiene la mano di Gesù sulle onde burrascose e ci tende l’altra mano perché insieme noi non facciano che uno con Lui. Chi afferrerà questa mano tesa che ci trasmette le parole della Vita eterna?

di M Aarc Ouellet

L’osservatore Romano 11  03 2011

 


  • RASSEGNA STAMPA
“il pontefice analizza, dal punto di vista storico, teologico ed esegetico, gli ultimi giorni della vita terrena di Cristo culminati con la Resurrezione… Tema centrale, la lettura della Passione nella quale Ratzinger rilancia lo storico documento conciliare Nostra Aetate con cui 46 anni fa la Chiesa cattolica cancellò l’infamante accusa di deicidi contro «tutto il popolo ebraico»”
“Al caso giudiziario del processo di Gerusalemme, al rapporto tra la verità e il potere (politico e religioso) è dedicato uno dei capitoli più penetranti del nuovo libro del Papa dedicato a Gesù di Nazaret… Un libro che contiene importanti novità in particolare perché sottolinea «il legame del cristianesimo con l’ebraismo»… Ma che apre al dialogo con le altre confessioni cristiane in particolare protestanti e con le altre religioni”
“particolare rilevanza la parte dedicata alla risurrezione, dove il papa dice senza mezzi termini che se la si elimina dalla storia di Gesù il cristianesimo può restare un insieme di buone idee sull’uomo e sul suo essere, ma la fede cristiana «è morta». (ndr.: davvero la resurrezione è un fatto storico, accertabile con gli strumenti della ricerca storica? Davvero la tomba vuota è un presupposto necessario per la resurrezione? diversi studiosi, biblisti e teologi hanno opinioni differenti)
“Si tratta infatti di mettere in luce la contraddizione tra lo spirito evangelico e una politica gretta ed egoista.”
“La preoccupazione del Papa concerne… il legame tra il Gesù della storia reale e il Cristo professato dalla fede… narrazione evangelica = storia reale… però in questo nuovo volume egli stesso… prende atto che “nelle risposte dei Vangeli vi sono differenze”… Significa allora che tutta la costruzione cristiana crolla? No di certo, significa piuttosto che essa è, fin dalle sue origini, un’impresa di libertà… ne viene che non esiste nessun ambito della vita di fede dove la libertà di coscienza non debba avere il primato”
“«la Chiesa ha diritto a far sentire la sua voce e a orientare l’opinione dei cittadini, ma non a imporre i propri valori a chi non li condivide mediante accordi politici non sempre disinteressati»… Che senso ha la resurrezione per un laico? «La resurrezione di Gesù ha avuto ed ha un significato più universale. Significa far passare il messaggio che ciascuno può risollevarsi dopo ogni caduta, riformulare e ricominciare da capo la propria vita… anche l’antica figura del destino appare sconfitta»”
“il Gesù uomo… lottando si innalza alla superiore realizzazione di se stesso, che è sacrificarsi per la salvezza degli altri… non è proprio questo che avviene pure in ogni uomo… quando riesce a vincere l’ansia per la sua sorte particolare, e a realizzare un valore che trascende la sua individualità accidentale, psicologica? Un valore che è sempre per tutti, perché ogni gesto d’amore e di vero coraggio… è sempre per tutti… L’eterno non è il tempo che continua senza fine… è la vita nelle sue epifanie essenziali – dolore, felicità, amore, conoscenza della verità – sempre presenti; è il kairós dei greci… è l’attimo di Michelstaedter, sempre vissuto come se fosse l’ultimo”
“Racconta molto su Ratzinger questo secondo volume sulla passione e resurrezione di Gesù. Mentre esalta la fiducia nel Cristo, che tiene le sue mani stese sui fedeli e l’umanità, il testo rivela il profondo e permanente pessimismo di Benedetto XVI sui rapporti tra Chiesa e società.”
Antisemitismo di origine cristiana. “Benedetto XVI segue l’opinione condivisa a livello scientifico che gli Ebrei di cui parla il vangelo di Giovanni, così come la richiesta dell’esecuzione di Gesù, non possano venir riferiti all’intero popolo d’Israele”

I nuovi padri: intervista a Massimo Recalcati

Massimo Recalcati, Cosa resta del padre?,  Cortina Editore, pag. 190, euro 14.


“Papi”: è così che gli adolescenti di oggi chiamano il proprio genitore, con un nomignolo che suona come un sinonimo dello svuotamento di autorità della figura paterna. Per dirla meglio, con Massimo Recalcati: «La figura del padre ridotta a “papi”, invece di sostenere il valore virtuoso del limite, ne autorizza la sua più totale dissoluzione. E riflette la tendenza di fondo della famiglia ipermoderna: entrambi i genitori sono più preoccupati di farsi amare dai loro figli che di educarli. Più ansiosi di proteggerli dai fallimenti che di sopportarne il conflitto, e dunque meno capaci di rappresentare ancora la differenza generazionale». Recalcati è uno psicoanalista, e lacaniano per giunta, eppure il suo Uomo senza inconscio ha venduto più di diecimila copie. Un successo dovuto alla capacità di raccontare i disagi della nostra civiltà senza un eccesso di tecnicismi scolastici.
Oggi esce il suo nuovo libro sulla paternità nell’epoca ipermoderna, sull’evaporazione del padre, secondo l’espressione coniata da Lacan già alla fine degli anni Sessanta. È un tema che incide sui cambiamenti della cultura occidentale, venendo a mancare il principio fondativo della famiglia e del corpo sociale – oltre a investire profondamente la condizione esistenziale di ciascuno. Già l’interrogativo del titolo allude a un vuoto difficilmente colmabile: Cosa resta del padre? (Cortina, pagg. 190, euro 14).

Cosa resta dell’uomo che assicurava l’ordine del mondo e della vita dei suoi figli?
«Certamente non l’ideale del Padre, il pater familias, il padre come erede in terra della potenza trascendente di Dio, e nemmeno il padre edipico celebrato da Freud come perno della realtà psichica. Non possiamo più ricorrere all’autorità simbolica del padre, che ormai si è dissolta: lo dicono gli psicoanalisti, i sociologi, i filosofi della politica… Si tratta allora di pensare al padre come “resto”, non più Ideale normativo ma atto singolare e irripetibile, antagonista all’insegnamento esemplare, all’intenzione pedagogica. Quel che resta del padre ha la dimensione di una testimonianza etica, è l’incarnazione della possibilità di vivere ancora animati da passioni, vocazioni, progetti creativi. Seppure senza il ricorso alla fede nella parola dogmatica o attraverso sermoni morali».

 

Il padre è un uomo che sa ancora trasmettere il sentimento della speranza?
«È un uomo che dice “sì!” a ciò che esiste, senza sprofondare nell’abisso di un puro godimento distruttivo, senza rendere la vita equivalente alla volontà di morire o impazzire. La verità che può trasmettere è necessariamente indebolita, perché non vanta modelli esemplari o universali: la sua testimonianza infatti buca ogni esemplarità e ogni universalità, risultando eccentrica e anarchica nei confronti di qualunque retorica educativa. Quel che conta – e resta a un figlio – è come, nella buia notte di un mondo senza Dio, un padre mantenga acceso il fuoco della vita, non la manifestazione di una pura negazione repressiva, ma piuttosto la donazione della fiducia nell’avvenire».

 

In un rapporto che rimane del tutto asimmetrico?
«Assolutamente. Le farò un esempio molto semplice: l’insulto di un padre rivolto a un figlio può avere un effetto indelebile che il contrario non comporta in alcun modo… Quando Freud gli attribuiva il saper “tenere gli occhi chiusi”, intendeva sottolineare il carattere “umanizzato” della Legge che rappresenta. Non ascoltare una parola insolente o non vedere un gesto osceno, a volte può essere la condizione per proseguire la partita… È il doppio compito della funzione paterna: introdurre un “no!” che sia davvero un “no!”, e al tempo stesso saper incarnare un desiderio vitale e capace di realizzazione».

 

Famiglie monoparentali, ultracinquantenni che diventano mamme senza un compagno, coppie gay con figli, single con diritto all’adozione… C’era una volta lo schema edipico – sintetizzando: il padre “interdice” il godimento incestuoso e “separa” la madre dal figlio. Ma il mondo non sarà davvero “nuovo” e certi modelli ormai inservibili?
«Lo schema edipico continua ad avere il suo valore, se però si abbandona il teatrino familiare.
Intesa come legame “naturale”, la famiglia composta da una coppia eterosessuale e dai loro figli non è più il nucleo immobile dei legami sociali. Esistono organizzazioni sociali e culturali sempre più complesse, l’importante è che non venga meno la funzione educativa del legame familiare che vuol dire umanizzare la vita, iscriverla in un’appartenenza, farla partecipare a una cultura di gruppo, darle una casa e cioè una radice, una disponibilità alla cura e alla presenza… Se non si può più trasmettere il vero senso della vita, è però ancora possibile mostrare di dare un senso alla vita».

 

Oltre a Freud e soprattutto Lacan, lei ricorre alla letteratura con Philip Roth (Patrimonio) e Cormac McCharty (La strada). E poi a quel cinema di Clint Eastwood che rompe appunto “l’ordine del sangue”. Prendiamo Million Dollar Baby…
«Intanto ogni paternità, come amava ripetere Françoise Dolto, è sempre adottiva, è sempre un’adozione simbolica che trascende il sangue e la biologia… “Io voglio lei!”. “Sarò il tuo allenatore!”: Frankie riconosce il desiderio di Maggie di diventare un pugile professionista, di avere lui e non altri come allenatore, risponde alla sua domanda facendo  eccezione alla propria etica (“Io non alleno ragazze!”) e al funzionamento della sua palestra, frequentata solo da uomini. In questo modo l’atto della paternità si produce come rottura di un ordine universale: l’ordine della morale normativa, del sangue e della genealogia, l’ordine dei dogmi. Frankie accoglie Maggie, non l’abbandona come “una causa persa”, alla fine sarà il suo infermiere, la sua luce, il suo padre amato».

Ma a cosa è legata oggi la funzione del padre?
«Se non può più essere legata al sangue, al sesso, alla biologia, alla discendenza genealogica, allora aveva forse ragione papa Luciani a sconvolgere secoli di teologia dicendo che Dio è anche madre».

 

in “la Repubblica” del 9 marzo 2011

Cultura digitale, sfida per la comunità ecclesiale

“La riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie è urgente”.
È quanto ha ribadito oggi Benedetto XVI ricevendo in udienza i partecipanti all’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali.
Il Papa ha sottolineato l’importanza del “lavoro che svolge il Pontificio Consiglio nell’approfondire la ‘cultura digitale’, stimolando e sostenendo la riflessione per una maggiore consapevolezza circa le sfide che attendono la comunità ecclesiale e civile.
Non si tratta solamente di esprimere il messaggio evangelico nel linguaggio di oggi, ma occorre avere il coraggio di pensare in modo più profondo, come è avvenuto in altre epoche, il rapporto tra la fede, la vita della Chiesa e i mutamenti che l’uomo sta vivendo”.
Il Pontefice ha ricordato che “la cultura digitale pone nuove sfide alla nostra capacità di parlare e di ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza.
Gesù stesso nell’annuncio del Regno ha saputo utilizzare elementi della cultura e dell’ambiente del suo tempo: il gregge, i campi, il banchetto, i semi e così via.
Oggi siamo chiamati a scoprire, anche nella cultura digitale, simboli e metafore significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all’uomo contemporaneo”.
Per Benedetto XVI, “è l’appello ai valori spirituali che permetterà di promuovere una comunicazione veramente umana: al di là di ogni facile entusiasmo o scetticismo, sappiamo che essa è una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza del Dio della comunione”.
Per questo, “la comunicazione biblica secondo la volontà di Dio è sempre legata al dialogo e alla responsabilità, come testimoniano, ad esempio, le figure di Abramo, Mosè, Giobbe e i Profeti, e mai alla seduzione linguistica, come è invece il caso del serpente, o di incomunicabilità e di violenza come nel caso di Caino.
Il contributo dei credenti allora potrà essere di aiuto per lo stesso mondo dei media, aprendo orizzonti di senso e di valore che la cultura digitale non è capace da sola di intravedere e rappresentare”.
In conclusione il Pontefice ha ricordato la figura di padre Matteo Ricci, “del quale abbiamo celebrato il IV centenario della morte”: “Nella sua opera di diffusione del messaggio di Cristo ha considerato sempre la persona, il suo contesto culturale e filosofico, i suoi valori, il suo linguaggio, cogliendo tutto ciò che di positivo si trovava nella sua tradizione, e offrendo di animarlo ed elevarlo con la sapienza e la verità di Cristo”.

IL TESTO DEL DISCORSO