A confronto con il mistero.

L’esperienza ermeneutica nella ricerca religiosa

Il linguaggio su Dio è segnato naturalmente dalla sensibilità  culturale del tempo. Molti sono i modi di dire Dio privilegiati nella tradizione. In ambito occidentale e cattolico è prevalso l’aspetto razionale. Specialmente il riferimento alla constatazione immediata della realtà sensibile – sensuconstat – è stato alla base di una rigorosa argomentazione – la prova – dell’esistenza di Dio.

           L’orizzonte ermeneutico, che questi interventi privilegiano, sposta l’attenzione dalla dimostrazione razionale  alla significatività esistenziale. A fondamento si questa impostazione sta un concetto di verità fortemente innovativo; tende a ripensare l’accesso stesso alla verità; a interpretarla in dimensione ermeneutica, come emergenza e manifestazione del reale.

            In ambito religioso la stessa impostazione impone un’esplorazione attenta del vissuto credente. La riflessione tende cioè ad esplorare il rapporto con Dio in tutta la provocazione esistenziale che comporta: è meno preoccupata della fondazione razionale, del resto indispensabile, mostrandosi invece più sollecitata a misurare la novità appassionante di un rapporto che affiora nell’esistenza, la celebra e ne risulta a sua volta celebrato.

1.1. Il processo interpretativo nell’esperienza[1]

–           Ho l’impressione che il mio orologio vada a rilento.

–           Attendo che il campanile batta le ore e verifico.

–           Sì, ritarda di alcuni minuti…

–           Dovrò farlo regolare!

Ho constatato un piccolo disguido; ho preso coscienza che il mio orologio non funziona regolarmente. Ho deciso di farlo controllare. Un fatto semplicissimo, un’esperienza consueta che già consente di interpretare un processo normale in atto.

I casi sono di solito più complessi e coinvolgenti, magari rivelativi di situazioni drammatiche che incombono. Ancor più frequentemente si danno atteggiamenti esistenziali, banalizzati dalla consuetudine quotidiana. Prendiamo il caso della moglie che pensa al marito in termini di sicurezza economica: è colui che dispone di una somma notevole in banca o che al 27 del mese porta la busta… Può darsi che riflettendo con calma si renda conto di averlo ridotto ad una pura funzione materiale e sappia prendere coscienza che la sua presenza è fonte di sicurezza, ragione di dialogo, di comunicazione. Può anche darsi che la moglie  arrivi finalmente a ricuperare il significato esistenziale pieno di lui come persona, scelta a compagno di vita, partecipe di un progetto magari ambizioso, che orienta l’esistenza reciproca. Questa donna va man mano scoprendo il significato autentico di una presenza che la routine rischia di semplificare eccessivamente. Può ricuperare la dimensione esistenzialmente appassionante di un rapporto umano restituito alla sua verità.

Questa ed altre possibili esemplificazioni tratte dalla consuetudine quotidiana lasciano affiorare l’impegno ad interpretare la vita concreta, le situazioni reali per quello che sottendono; orientano ad esplorare l’esperienza in tutto lo spessore che l’attraversa; consentono di avvertirne la risonanza esistenziale. Sollecitano una ricerca che tende a dare rilevanza autentica alla verità delle cose per tutto l’impatto che hanno sulla persona.

Rispetto alla riflessione tradizionale si è operato un cambiamento importante: la verità non è tanto adeguazione fra la cosa e la rappresentazione che la persona se ne fa; è piuttosto manifestazione, emergenza dello spessore che la situazione reale comporta, per tutto l’impatto che sottende all’esistenza.

L’esperienza si è rivelata portatrice di uno spessore singolare che le  ricerche, soprattutto recenti sul linguaggio, hanno consentito di sondare.

 

1.2.  La trascendenza presagita nel mistero 

La singolare pienezza e novità in cui è percepita ed esplorata l’esistenza nella riflessione recente s’affaccia sull’orizzonte alternativo; evoca una presenza nascosta e fondante; fa appello alla trascendenza.

Un appello che tuttavia non è obbligante. Ciò che forse caratterizza l’incontro della riflessione recente – specialmente esistenziale e fenomenologica – con la trascendenza è una marcata connotazione di libertà. Non nel senso che risulti arbitrario affermarla o negarla; piuttosto perché il progetto stesso esistenziale è segnato dalla libertà: su questa base interpreta e si interpreta; si orienta e decide.

L’affermazione del fondamento non è logica conclusione di un ragionamento astratto: è esistenziale consapevolezza d’una presenza presagita e riconosciuta.  L’uomo può sentirsi “gettato” nel mondo o “chiamato” all’esistenza.  La trascendenza dell’essere è percepita in tutta la sua alterità: l’orma che di sé  ha impresso nel mondo è ambivalente: lo rivela e lo nasconde. La ragione può trovarsi sconcertata dal nascondimento o sollecitata dalla rivelazione: denunciare l’assurdità e l’inconsistenza del progetto umano, dove non ne vede lo sbocco e ne misura lo scacco –  essere per la morte – ; o presagirne il senso e la pienezza dove avverte di poterlo ancorare ad una presenza ultima e appagante – esistere per l’incontro –.

La prima condizione del linguaggio religioso è l’opzione per la trascendenza, come misteriosa presenza su cui il progetto dell’uomo può dispiegarsi in una vitalità che attinge a risorse inesauribili. Un’opzione tuttavia che non è mai affermazione astratta, ma percezione vissuta: garanzia di stabilità e di approdo.

Il linguaggio religioso esplora e comprende la realtà – anche quella materiale – animata e fermentata da una trascendenza che l’attraversa e la vivifica. “La natura è piena di dei”; il “logos” anima la realtà materiale già nell’originaria riflessione occidentale.  «I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento» nella più consapevole e perentoria attestazione biblica (Sal 19).

L’uomo può sentirsi “spaesato” in questa immensa dimora che lo accoglie; ma può anche sentirsi “ospitato” in una casa fatta sulla sua misura e che tuttavia non è opera delle sue mani. Perciò l’intera realtà è invito suadente a riconoscervi una presenza misteriosa e ad invocarla.

Il linguaggio religioso instaura dunque un rapporto nuovo con il mondo: l’uomo vi abita in attesa di un incontro, per prepararlo. Secondo l’immagine suggestiva che la Bibbia ci ha tramandato, l’uomo considera l’universo come un immenso giardino che gli è stato affidato, su cui ha piena signoria, per quanto la fatica di dissodarlo e di asservirlo non riempia la sua attesa, né le sue aspirazioni.

 

2.  DIRE DIO NEL CONTESTO ATTUALE

 

2.1. Molteplicità delle manifestazioni di Dio

L’affermazione è data a partire da una doppia considerazione, che richiamiamo:

–           la realtà, creata da Dio, ne porta il segno, è costitutivamente relazionata a Lui; cosicché la ricerca può legittimamente tentare di decifrare un rapporto già in atto;

–           l’uomo è dotato di una risorsa capace di leggere in profondità le cose e svelarne la relazione  con il creatore che le costituisce.

Dunque, presupposto fondamentale è l’atto creatore; l’intervento di Dio all’origine, di cui la realtà porta il segno. 

Il presagio da cui muove la ricerca umana suppone quella traccia lasciata dal creatore sulla creatura al momento in cui l’ha costituita e continua ad alimentarne l’esistenza. Dire-Dio comporta quindi:

–           che i segni della presenza creatrice siano impressi nella bellezza e nella maestà della natura, tanto da renderla potente e suggestivo richiamo ad una maestà definitiva;

–           che la straordinaria forza evocativa di cui l’uomo dispone sia in grado di presagire e di chiamare per nome, insomma di rivelare la verità costitutiva della creazione.

La fede è depositaria di questo sguardo penetrante e rivelativo della verità delle cose: passa dai segni alla presenza; legge la verità della creazione nella misteriosa risorsa che la costituisce. 

Il volto di Dio non corrisponde al volto dell’essere, ma è vero che il volto autentico dell’essere lo testimonia, lo lascia presagire. Cosicché la realtà anche materiale può segnalarlo ad una coscienza avvertita, capace di darvi risonanza.

Il ritorno all’interiorità, la chiara presa di coscienza del presagio che le cose sottendono, diventa traccia privilegiata all’incontro con Dio. Anche se va mantenuta la differenza  fra ricerca filosofica e religiosa, in quanto l’una tende a darsi ragione e l’altra tende a vivere la pienezza dell’incontro. Anche se, e soprattutto, va salvaguardata la differenza fra essere e Dio.

La trascendenza di Dio – il suo essere totalmente altro dalla creazione – è la premessa per salvare la religione da ogni rischio di indebita identificazione di Dio con la realtà.

 

2.2. Presupposti dell’elaborazione esistenziale

–           Il problema non è la prova ma l’incontro”.

Per dire-Dio non è tanto questione di affermarne o dimostrarne l’esistenza, quanto di esplorare il rapporto sotteso, che vivifica e rende straordinario l’incontro.

La pista della razionalità rigorosa a base dell’affermazione dell’esistenza di Dio, per lunga tradizione perseguita con piena credibilità, lascia oggi margini di perplessità.

L’ambiguità sta nel termine stesso di “oggettività”. Sotteso, rischia di affiorare il sospetto di oggettività sensibile–verificabile. Il pregiudizio scientista di riportare ogni affermazione sensata alla verifica empirica o alla falsificabilità compromette radicalmente il discorso su Dio.

Assai più fidata e credibile, si è venuta impostando la ricerca esistenziale che ha saputo ancorarsi alla realtà e, di conseguenza, garantirsi la verità delle proprie conclusioni. 

–           Il pensiero e la realtà.

Il pensiero è di sua natura orientato alla realtà.[2] Che tuttavia non è affatto riducibile al dato sensibile, per quanto il dato sensibile stesso venga riconosciuto fondamentale per l’elaborazione del pensiero, nella sua prerogativa di spaziare su tutte  le dimensioni della realtà, fino ad attingere il suo fondamento.

–           L’esperienza del singolo a  perno della riflessione.

Inoltre, nell’impostazione esistenziale l’esperienza del singolo assurge a perno della riflessione. Ma l’esperienza del singolo è iscritta in una storia di cui egli fa parte, che quindi l’individuo non può presumere di analizzare “oggettivamente”, con il distacco dello spettatore. Tanto più che nella considerazione dell’esperienza la storia risulta la “mia” storia, della quale faccio parte integrante, in cui sono coinvolto.

Allora ogni ricerca cessa di essere un problema che mi è estraneo; sono costretto a considerarlo un fatto che mi tocca da vicino, che non posso mai considerare oggettivo; cammina con me, si modifica man mano che mutano i miei punti di vista. 

La realtà, che pure sono in grado di conoscere, assume uno spessore su cui il procedimento razionale anche rigoroso non ha presa: dovunque sono coinvolto, il problema si apre al mistero che fascia l’intera realtà. Di questo mi rendo conto proprio prendendo atto di me stesso.

–           Il ridimensionamento dell’aspetto razionale.

Tanto più che, dovunque sono coinvolto, l’aspetto razionale risulta ridimensionato. Infatti, oltre lo sfondo della razionalità si impone la risonanza emotiva, si staglia netta e risolutiva l’esigenza della libertà. A livello esistenziale l’ultima parola sembra rivendicata non dalla chiarezza della comprensione ma dalla imprevedibilità della decisione.

Nel caso di Dio, la ragione conserva tutta la sua forza, ma non è risolutiva. L’argomentazione è importante, ma non obbligante. L’affermazione di Dio, con il peso enorme che sottende sulla vita del singolo, si gioca su un retroterra esistenziale di uno spessore straordinario. La responsabilità di ciascuno conserva margini di libertà decisivi.

 

2.3. Un volto alla trascendenza    

Il tema della trascendenza resta da impostare in maniera esistenziale, cioè:

–           come dato connaturale e costitutivo del vivere umano,

–           insito nell’esistenza ed da questa emergente come presagio.

S’impone l’analisi di ciò che sono e dei richiami interiori da cui sono attraversato e che sono da esplorare e identificare.

Dentro questi potrò cogliere un richiamo che mi supera e che può trasfigurasi in appello e quindi in affermazione implicita di una presenza più intima a me di me stesso, cui sono sollecitato a rispondere.

Su questa pista l’affermazione di Dio assume un’altra logica.

Non è la ragione – il cosmo e l’argomentazione sul cosmo privilegiata dalle “vie” tradizionali – ma è la coscienza di quanto si vive, l’analisi dell’intuizione esistenziale che porta il richiamo di Dio e consente di affermarlo. Non il fatto di provarlo ma di “constatarlo” diventa decisivo; s’impone la correttezza dell’analisi soprattutto interiore, con i suoi apporti e i suoi limiti da evidenziare. 

Dunque non è in gioco tanto una prova dell’esistenza di Dio, ma l’orma, il presagio della sua presenza da sondare, al cuore stesso della percezione del mistero.

È all’interno dell’analisi del mistero che la sua presenza può imporsi, nella libertà di accoglierlo o di negarlo. Si tratta dunque di una “prova” piuttosto singolare: si tratta di riconoscere il mistero nel quale sono immerso; di rendermi disponibile all’analisi delle condizioni reali di possibilità che vi danno consistenza.

Se l’uomo è immerso nel mistero ha ancora senso parlare di autonomia? Ha senso parlare di libertà: di accogliere o di rifiutate il mistero e colui che lo abita?

Emerge una libertà situata ed ancorata all’essere nel mistero. E tuttavia chiamata a deciderne il riconoscimento o il rifiuto; un atto che richiede la decisione di accogliere o di rifiutare e vi conferisce il suo significato esistenziale.

Non è la ragione che cerca Dio; è l’esistenza che anela all’incontro con Dio.

Donde la saggezza nel maestro dell’apologo orientale, dove si parla di un discepolo alla ricerca di Dio che domanda: «Come posso incontrare Dio?». Il maestro tace, nonostante la comprensibile insistenza del discepolo. «Andiamo al fiume», riprende finalmente il maestro. Si tuffano e mentre nuotano uno accanto all’altro, il maestro preme vigorosamente la testa del discepolo sott’acqua, vincendone la disperata resistenza. Tornati finalmente a riva il discepolo chiede sconcertato il significato del gesto. «Cosa cercavi disperatamente sott’acqua?», chiede il maestro. «L’aria», risponde pronto il discepolo. «Bene, così dovrai cercare Dio, se vuoi incontrarlo!», suona laconica ma perentoria la risposta del maestro.

 

3. UN LINGUAGGIO PER SONDARE IL MISTERO

 

3.1. Un volto al presagio

Al cuore della ricerca sta dunque l’esistenza, espressa in una molteplicità di situazioni, consapevole dello spessore che l’attraversa. In particolare segnata dal rapporto con la trascendenza, che la riflessione dichiara oscura e che la fede privilegia. Si impone la domanda: quale linguaggio interpreta la trascendenza stessa e la esprime; come accedervi?

 

3.2. Lo spessore dell’esperienza 

Il singolo ha fame, cerca un’abitazione, desidera essere accolto… Il vissuto immediato ha uno spessore straordinario, che precede ogni riflessione: è esperito prima di essere capito e decifrato. E prima di venire decifrato ha già un senso esaustivo, nella gioia di vivere, di partecipare, di trovare soddisfazione ai bisogni più elementari e continui; tanto più se l’esperienza dischiude un rapporto di persone che si cercano e si amano.

Non è mai misurabile l’attesa e la speranza con cui due persone si aspettano e si incontrano. Com’è difficile descrivere il margine di delusione e di amarezza che segna un incontro, anche riuscito! Torna la verità di un’aspirazione interiore che la vita costantemente delude. Che può assurgere a grande allusione, a presagio di trascendenza, radice esistenziale ultima della ricerca religiosa.

Sfumature e spessore che si ribellano alla razionalizzazione disegnano uno spazio che il linguaggio tenta di interpretare; che comunque resta sempre insondabile.

La ricerca scientifica può facilmente definire il proprio ambito e identificare la propria demarcazione.[3] La chiave e il segreto della scienza, sta proprio nel definire con chiarezza un aspetto specifico da verificare, che risulti falsificabile.

La riflessione esistenziale, invece, si apre sull’intero orizzonte della vita. La sua demarcazione raccoglie e organizza aspetti molteplici, di cui la puntualizzazione razionale è solo l’iceberg; soggiacenti ci sono diramazioni e componenti illimitate e perciò indecifrabili. La ricerca scientifica può essere rigorosa; la riflessione esistenziale – che non prescinda dal vissuto – si rifiuta al rigore della razionalizzazione. L’esperienza empirica è verificabile; l’esperienza esistenziale è inverificabile.[4]

La scienza procede nell’ignoto; la filosofia, la religione, l’arte… si addentrano nel mistero. Esplorano ambiti diversi, si avvalgono di un linguaggio specifico, per lo più reciprocamente incomparabile.

Si tratta allora di mettere in atto un procedimento coerente e integrale: esplorare l’esperienza per sondarne tutti i richiami; anche quello specificamente religioso, dove emerge e si impone alla considerazione.

È un procedimento che potremmo definire “esistenziale”, senza volerlo ancorare obbligatoriamente a qualcuna delle scuole che hanno segnato recentemente questa riflessione. Il nodo della ricerca sta in un’esigenza di analisi aperta dell’esperienza, senza prevenzioni o strettoie, per raccogliere tutte le sollecitazioni che vi affiorano.

La prima sollecitazione riguarda la condizione stessa da cui la ricerca prende l’avvio. L’analisi dell’esperienza tiene conto che vi siamo coinvolti in prima persona: non può costituire una ricerca distaccata e  oggettiva.

Inoltre, a sua volta, l’esperienza comporta una gamma innumerevole di rimandi, che le conferiscono uno spessore pressoché impenetrabile. Risalendo man mano i rimandi, di cui è intessuta, ci si affaccia ad un mondo che sconfina nel mistero.

Si può dire che ne portiamo l’intuizione profonda e suggestiva ad un tempo: riportata al suo asse si concentra sulla domanda: chi sono? Precisamente questo interrogativo induce a riconoscere che la mia esistenza resta avvolta di mistero: alla sua origine e soprattutto, in forma più conturbante, nel suo destino.

 

3.3. Il rifiuto della finitudine 

La riflessione attorno a qualunque esperienza umana profonda avverte  richiami penetranti e non eludibili. E questo, a partire dalle sensazioni più consuete:

–           la salute che oggi si gode non è esente da una sottile trepidazione per il futuro immediato e lontano;

–           l’amore come disponibilità e attesa non è mai garantito del tutto: l’indifferenza o il tradimento lo insidiano;

–           le realizzazioni più ambiziose nell’ambito dell’essere come dell’avere lasciano sempre un margine inappagato.

Anche più profonda e tenace è l’insoddisfazione per la statura conseguita, per la sincerità e la trasparenza con cui si vive. Lo scarto fra la vita e la speranza, fra il desiderio e l’attuazione, fra l’attesa e la risposta sembrano dilatarsi man mano che l’esistenza avanza.

Buber l’ha rilevato con chiarezza:  l’ha soprattutto attribuito alla situazione contemporanea – alla sensibilità tipica di un’epoca storica –, in cui l’uomo risulta privo di una “casa” che gli consenta stabilità. E certo ha colto nel segno dove ha voluto sottolineare che la nostra è epoca di transizione, che vede scompaginati i riferimenti tradizionali e  sconcertate le prospettive.

E tuttavia la sua annotazione non si riduce al dato esteriore. Una casa, per quanto grande e spaziosa non è la risposta; anzi non è neppure la domanda: è solo un simbolo. Già il saggio antico ha visto bene, dove ha misurato l’irraggiungibilità di una condizione interiore finalmente placata e paga (Marco Aurelio).

Questa serenità definitiva è aspirazione che il saggio non  sa tacitare. Attraversa l’esistenza e, forse più veramente, la fermenta. Rileva quel margine di inquietudine, di insoddisfazione che si apre sulla dignità dell’uomo: mai pago, più grande di qualunque statura conseguita, proprio perché non c’è statura che esaurisca la sua misura.

Nell’apologo  così semplice e suggestivo posto a perno dell’interpretazione che Pico della Mirandola propone nel suo celebre discorso sull’uomo, resta adombrata la ragione definitiva dell’anelito inappagato.

Affidato dal Creatore alla propria completa  responsabilità non gli è stato assegnato nessun limite come invalicabile: piuttosto gli è stata data una consegna di perfezione illimitata.[5] Il Vangelo lo ribadisce con perentoria chiarezza: «siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,48).

Un compito esigente e una consegna ambiziosa: segnano l’esistenza così profondamente che l’ultimo ritocco non è mai dato; perciò ogni realizzazione  risulta parziale e insoddisfacente: lascia sempre un margine non raggiunto, eppure proposto e perciò ambito. 

La riflessione credente ne ha fatto  da sempre – non solo nel cristianesimo – il riferimento decisivo. Le parole di Agostino – «il nostro cuore è inquieto finché non si placa in Te» – hanno trasferito in linguaggio lucido e consapevole la sensazione che in termini indefiniti e vaghi  attraversa l’esperienza di tutti.

 

4. UN MISTERO DA ESPLORARE 

Il procedimento che si innesta è allora un percorso induttivo che prende sul serio l’esperienza umana e vi presagisce dimensioni molteplici; alcune delle quali si portano sul versante del mistero e della trascendenza.

Tale procedimento, affidato alla riflessione, può concludere legittimamente ad una presenza trascendente insita nell’esistenza. Il credente è colui che vi ha dato la propria adesione con un gesto gratuito e libero; che tuttavia potrebbe anche essere ripercorso con rigore e trovare piena legittimità razionale.

Per il credente c’è chi accoglie la sua invocazione: lo sa; anche se non sarà mai in grado di verificare scientificamente o di dimostrare razionalmente che il suo appello è stato recepito. Su questa consapevolezza poggia l’atteggiamento di fede: fonda un rapporto singolarissimo che legittima il dialogo religioso oltre i limiti della scienza e oltre le strettoie della filosofia.

Tutte le indagini che l’uomo fa sulla natura non s’imbatteranno mai nella constatazione di una presenza che per definizione è trascendente e quindi altra da ogni rilevamento empirico possibile.  Così, tutte le ragioni che si adducono possono solo legittimare l’affermazione della trascendenza. Caso mai, quando questa venga postulata come orizzonte alternativo, le analisi scientifiche e le considerazioni razionali potranno darvi ulteriore conferma e comprensione. Come è chiaro che precisamente l’orizzonte di fede popola la natura e investe la ragione di un riferimento altrimenti inavvertito.[6] 

 

4.1.  Quale linguaggio per sondare il mistero?

Anche in queste annotazioni, il linguaggio si è progressivamente portato su aspetti specifici.

Si è innanzitutto trasferito dal confronto con la realtà esteriore, constatata nella sensazione, all’interiorità della persona, esplorata nelle intuizioni che la segnano e non trovano legittima spiegazione nella persona stessa; donde il passaggio razionalmente richiesto di portarsi su un versante alternativo, postulato più che constatato.

Dio non risulta tanto garantito dalla dimostrazione razionale; è richiesto piuttosto dall’esplorazione esistenziale. La trascendenza è chiamata in causa perché l’esistenza non si giustifica, né è in grado di spiegare se stessa.

E tuttavia è vero che questa realtà, cui sembra indispensabile fare appello non si può constatare, non si avverte direttamente. Appare avvolta di “mistero”. E impone la domanda se sia possibile identificarla, chiamarla per nome…

Comunque è chiaro che i nomi di cui disponiamo non le si addicono.

Il linguaggio è dunque sfidato su una dimensione specifica, sulla quale falliscono i procedimenti propri dell’indagine scientifica e dell’argomentazione razionale. 

Il linguaggio religioso punta al… mistero e presume di poterne parlare  in termini che abbiano senso.

Negativamente è chiamato in causa perché gli altri linguaggi risultano spuntati; l’esistenza è assillata da spiegazioni che i vari versanti della ricerca umana non sono in grado di  soddisfare.

Più profondamente l’uomo è sollecitato da una presenza che resta avvolta di mistero; gli parla in maniera profonda e suadente, ma non lo costringe; gli si rivela in un richiamo ineludibile, proposto tuttavia alla sua vita; suscettibile di adesione e di rifiuto. L’orizzonte della ricerca religiosa si colloca così sul fronte del mistero; il suo compito  resta quello di darvi volto e nome.

Le indicazioni forse più pertinenti ci vengono dalla riflessione religiosa recente.[7] Si tratta di chiamare per nome, di conferire volto ad una presenza che si impone come mistero in cui la vita è immersa.

La dimensione religiosa sembra affiorare dove l’uomo prende coscienza di una presenza arcana con cui è in una relazione radicale e ultima. Dove tale intuizione viene decifrata e si tenta di chiamarla per nome sembra potervi conferire volto personale e appagante; rappresentare il riferimento e custodire la risposta.

L’esperienza concreta che viviamo può essere ripercorsa sull’onda del richiamo interiore, come sulla traccia delle acquisizioni culturali di cui disponiamo.

 

4.2. La traccia privilegiata

L’atto religioso analizzato nella sua più profonda istanza è aspirazione al rapporto personale: è attesa di risposta definitiva.[8] Per lo più, esso soggiace all’esperienza consueta di incontro: anzi, dove il rapporto a tu per tu viene analizzato nelle sue sottese aspirazioni lì è presagita e invocata una presenza trascendente, una capacità di interpretazione e di risposta che nessun tu finito è in grado di dare. Di più: dove l’analisi si fa radicale e interpreta l’esistenza nella sua origine e nel suo destino ogni riferimento finito denuncia la propria insufficienza.

La riflessione si porta obbligatoriamente sul versante trascendente e ultimo. L’invocazione non trova risposta che in un Tu assoluto.

Cosicché l’esplorazione del rapporto religioso non può che percorrere la pista obbligata del rapporto interpersonale. Solo nell’esplorazione del rapporto corretto con un tu – e nel caso con un Tu assoluto – la religione parla in termini singolarmente nuovi e persuasivi.

Viene così identificato l’orientamento attuale della ricerca concentrata sull’analisi del rapporto interiore con una trascendenza personale, dialogante.

Il che apre anche la riflessione al problema della rivelazione. Dove la trascendenza assume carattere personale la possibilità di una rivelazione diretta e positiva è legittimata.

Si tratterà, allora, di evidenziare quali siano i connotati di un linguaggio relazionale e interpersonale, di caratterizzarli correttamente dove il rapporto è con il Tu assoluto. Il linguaggio dovrà quindi cercare l’impostazione corretta.

Rimane inoltre fondata anche la legittimità di una ricerca che avverta nella cultura la manifestazione esplicita del richiamo religioso, che potrebbe o addirittura dovrebbe essere anche segnato di impronta personale. La presenza del dato cristiano non è solo questione che tocca il credente. È un problema che la ricerca si pone e che è suo compito esplorare, come avremo modo di rilevare nei prossimi interventi.

 


[1] Il termine esperienza è generico; lo assumiamo in tutto lo spessore che comporta e che analisi puntuali e attente, anche recentemente, hanno rilevato. Richiamo in particolare le pp. di Gadamer dedicate a Il concetto di esperienza e l’essenza dell’esperienza ermeneutica, in G. Gadamer, Verità e metodo, Milano, Bompiani 1995, pp. 401ss.

[2] È la rivendicazione costante anche della riflessione esistenziale; cf, ad es. uno dei suoi pensatori più accreditati, G. Marcel, Giornale metafisico, Roma, Abete, 1976, p. 248.

[3] Popper ha identificato un criterio oggi sostanzialmente accettato: «Queste considerazioni suggeriscono che, come criterio di demarcazione, non si deve prendere la verificabilità, ma la falsificabilità di un sistema… un sistema empirico deve poter essere confutato dall’esperienza: K. Popper, Logica della scoperta scientifica, Torino, Einaudi 1970, p. 22.

[4] Prini ha giustamente definito la ricerca di Marcel metodologia dell’inverificabile: P. Prini, Gabriel Marcel e la metodologia dell’inverificabile, Roma, Studium 1968; ne ha con questo identificato l’aspetto qualificante, ma ha anche indicato un aspetto qualificante della stessa riflessione filosofica.

[5] “La natura illimitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte.

     Tu non costretto da nessuna barriera, la determinerai secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà di consegnai. Ti posi nel mezzo del mondo perché di là meglio tu scorgessi ciò che è nel mondo. Non Ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice, ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti, tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine.” G. PICO DELLA MIRANDOLA, Discorso sulla dignità dell’uomo, Brescia, La Scuola, 1987, pp. 5-7:

[6] Sulla traccia di annotazioni come queste trovo irrilevanti talune discussioni sul rapporto fede-ragione. Mi sembrano perfettamente pertinenti le riflessioni di K. Popper, Dopo la società aperta, Roma, Armando 2009, p. 117.

 

[7] Sono stati valorizzati in questa ricerca proprio quegli Autori che hanno esplorato con singolare originalità l’esperienza religiosa.

[8] Cf M. Scheler, Vom Ewigen im Menschen, Bern, Franke 1968, pp. 364ss.

Un progetto che rende migliore la scuola

“Se è utile a tutti è proprio un progetto di classe”. È questo lo slogan che promuove in tutte le scuole secondarie di secondo grado cattoliche o di ispirazione cristiana il concorso I feel CUD, giunto alla sua terza edizione, cui sono invitati a partecipare gli alunni e i loro professori a partire dal 1 marzo 2013.
In palio contributi economici per realizzare un progetto, ideato dai giovani stessi, per migliorare il proprio istituto e che abbia anche un impatto sociale positivo per gli abitanti del territorio di pertinenza della scuola.
 
Concorso
Per partecipare bisogna studiare, solo il regolamento.
 
Chi può partecipare ?
Tutti gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado cattoliche o di ispirazione cristiana. Ogni classe costituisce una squadra. Ogni scuola può partecipare con una o più classi. Sul sito ifeelCUD.it ogni squadra iscritta ha una bacheca virtuale in modo da avere uno spazio di lavoro e comunicazione online sempre a disposizione.
 
Come partecipare ? 
  1. Con i membri della tua classe create una squadra.
  2. Leggete con attenzione il regolamento e l’allegato che definisce i criteri di valutazione del progetto.
  3. Scegliete un docente responsabile della squadra e chiedetegli di iscrivere la classe al concorso (ciascun responsabile compilerà l’apposito modulo inserendo tutti i dati richiesti).
  4. Raccogliete le schede allegate ai CUD. Maggiore sarà il numero di schede CUD raccolte, più punti potrete conquistare e salire così in classifica.
  5. Compilate il Project Plan e caricatelo sul sito entro la mezzanotte del giorno 31/05/2013.

Per aumentare il punteggio della vostra squadra e concorrere al Premio del Pubblico, create un VIDEO che illustri le idee del vostro progetto e caricatelo sul sito prima della chiusura del concorso. Coinvolgete tutti i vostri amici nella votazione del video preferito. Possono esprimere il loro voto fino a mezzanotte del 30/06/2013!

Terminata l’iscrizione, troverete tutti i documenti che vi servono (liberatorie, autorizzazioni, schema di ricevuta per il Caf, lettera di presentazione per i giovani registrati a firma del Servizio, etc.) da scaricare nella sezione del profilo. I progetti saranno valutati da una giuria in base agli obiettivi e ai criteri fissati nel bando.

 
Quando partecipare ?
Il concorso si svolge dal 01/03/2013 al 31/05/2013. I materiali devono essere caricati sul sito entro la mezzanotte del 31/05/2013. La votazione del video da parte degli amici invece è aperta fino alla mezzanotte del 30/06/2013. I vincitori saranno proclamati sul sito il 1/07/2013.
 
Il Project Plan
Il Project Plan è una descrizione dettagliata del tuo progetto. Compilare il Project Plan non solo aiuta la squadra a capire meglio lo scopo del proprio progetto, gli obiettivi da realizzare, i tempi e i costi necessari, ma soprattutto favorisce una migliore organizzazione.
Lo scopo del Project Plan è quello di dimostrare l’impatto sociale del progetto sulla scuola e gli abitanti del quartiere dove sorge la scuola.
Rispondere con accuratezza alle domande del Project Plan può aumentare il punteggio della squadra fino a 100 punti. Il Project Plan deve essere accompagnato dai moduli B e C.
 
Il video
Girate un video che illustri l’idea del progetto e sottolinei la sua utilità; la squadra potrebbe vincere il Premio del Pubblico: un viaggio di 2 giorni a Roma!

I contenuti del video che suggeriamo sono:

  • presentazione del progetto;
  • descrizione del valore sociale del progetto (basato sui bisogni della scuola/territorio);
  • presentazione della squadra e degli obiettivi da raggiungere.
Ricordati, il video non è obbligatorio, ma permette di guadagnare 30 punti in più.
Il Premio del Pubblico è cumulabile con gli altri premi.
Il video deve essere accompagnato dai moduli B e C.

Nel caso in cui le scuole vincitrici del premio del pubblico siano di Roma, il premio può essere convertito in un viaggio in un’altra città italiana da concordare con il Servizio Promozione.

La nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana

L’Istituto di Catechetica, fedele alla tradizione, organizza anche quest’anno una giornata di studio per docenti e dottorandi, su un tema catechetico particolarmente rilevante.

Questa giornata si realizza nel 50° Anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II, nell’anno della fede, alcuni mesi dopo la celebrazione del Sinodo dei Vescovi su: La nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana.

Per questo motivo è stato scelto come tema: Il primo annuncio nel contesto della nuova evangelizzazione. Alla luce del recente Sinodo dei vescovi.

La giornata di studio si realizzerà il sabato 2 marzo 2013 presso l’Università Pontificia Salesiana, dalle 9.00 alle 17.00.

Abbiamo invitato per questa circostanza un esperto di fama internazionale, il Prof. Xavier Morlans i Molina, docente della Facoltà di Teologia di Catalunya (Barcellona), consultore del Pontificio Consiglio per la Nuova evangelizzazione.

Contenuto delle relazioni:

– Approssimazione pastorale, biblica e teologica al primo annuncio. Perché oggi la preoccupazione per il primo annuncio? Origine del primo annuncio: il kerygma apostolico.

– L’esperienza pastorale “Tornar a creure” (Ritornare a credere) nelle diocesi di Barcellona, Salsona e S. Feliu di Llobregat (2012-2013).

–  Proposta di un piano di nuova evangelizzazione in base all’articolazione di primo annuncio, itinerari di (re-)iniziazione cristiana e scuole diocesane di evangelizzazione. (Cf. Proposte del Sinodo dei vescovi, specialmente le Propositiones: 9, 10, 40, 45 e 47).

Ad ogni relazione farà seguito un tempo di dialogo con il relatore.

Naturalmente saremo onorati della sua presenza e del contributo che potrà offrire alla riflessione su un tema così importante.

Le adesioni vanno comunicate via E-Mail, entro e non oltre il 15 febbraio 2013 a: pastore@unisal.it

Siamo lieti di offrirvi il pranzo. Se qualcuno dovesse arrivare la sera del 1° di marzo è pregato di segnalarlo per tempo, per garantire l’ospitalità nella struttura della Università.

SCARICA IL PROGRAMMA:

Giornata ICA 2013 – Programma

QUALCHE INFORMAZIONE SU:

Morlans Xavier

 

Con viva cordialità e amicizia.

Corrado Pastore                                                         

Direttore dell’Istituto di Catechetica                        

Percorsi didattici alternativi: “I bambini sono spugne!”

Crescente complessità della vita alla quale concorre anche la tecnologia? Sempre più ampie e trasversali competenze richieste per entrare nel mondo del lavoro? Anche l’universo scuola non può rimanere incolume a tutto questo. Così le classiche ore divise per materie stanno cadendo nel dimenticatoio, i programmi finiscono necessariamente per integrarsi fra loro e l’interdisciplinarietà diventa la nuova parola d’ordine. Ma tutto questo, evidentemente, nel passaggio dal teorico al pratico non è per nulla semplice. Lo sforzo richiesto agli insegnanti è cresciuto e cresce in modo esponenziale. Alcuni, alquanto pioneristicamente, propongono idee nuove e risposte concrete: per un vero e proprio nitido segnale di aggiornamento. Fra questi il Prof. Nicola Rosetti propone un percorso a dir poco particolare: “la catechesi della bellezza”. Se è vero che sin dall’albore dei tempi l’arte e la bellezza hanno tradotto in immagini l’idea della fede, in una qualche forma di trascendenza divina, questo connubio può tentare di spiegare la religione o quantomeno renderla un po’ più accessibile ai nostri ragazzi. Lo abbiamo intervistato.

Prof. Nicola Rosetti, quanto è difficile insegnare religione ai ragazzi? Quale è la sfida/reticenza più grande che questo insegnamento incontra nelle nostre scuole oggi?

Io non parlerei di una difficoltà specifica dell’insegnamento della religione, perché il discorso religioso, la curiosità tipica di ogni uomo e in particolare dei più giovani e non ultimo il fascino proprio della figura di Gesù continua ad attrarre gli alunni. L’insegnamento religioso patisce gli stessi problemi delle altre discipline su un doppio versante: dalla parte di chi insegna e dalla parte di chi riceve l’insegnamento. Per  i primi, cioè per gli insegnanti, il grande problema è quello della riduzione a piccoli burocrati del sapere. Una burocrazia sempre più opprimente li impegna e li distoglie, ovviamente contro la loro volontà, da quello che dovrebbero e vorrebbero fare e cioè formare i ragazzi. Dall’altra parte, gli alunni ricevono molti stimoli e per loro la scuola è diventato sempre più un impegno fra i tanti e non quello principale. Contrariamente a quello che comunemente si pensa, la crisi non è di risorse (che comunque sicuramente potrebbero essere maggiori!) ma culturale. Questa dunque è a mio avviso la vera sfida del momento: far tornare la scuola alla sua vocazione originaria.

Ci può spiegare come organizza una “catechesi della bellezza” in teoria e in pratica?

Il termine “catechesi” non deve trarre in errore i lettori! Il compito dell’insegnante di religione nella scuola non è quello di iniziare alla fede, questo è compito appunto della catechesi. Ho voluto tuttavia chiamare questo modo di impostare le lezioni “catechesi della bellezza” perché sono convinto che solo attraverso la conoscenza dei contenuti della fede si può apprezzare fino in fondo un’opera d’arte di carattere religioso. Allo stesso tempo, un quadro che rappresenta una scena sacra, attraverso l’immagine, riesce a spiegare la fede meglio di un discorso: temi come quelli della grazia e del libero arbitrio sarebbero pesanti e di difficile comprensione anche per un adulto, ma ecco che se magari si mostra ai bambini “La vocazione di San Matteo” di Caravaggio, tutto è più semplice! La luce che proviene dal Cristo rappresenta il suo amore per ogni uomo (grazia) e infatti tutti i personaggi seduti al tavolo sono illuminati, ma solo uno, Matteo, risponde attivamente alla chiamata (libero arbitrio). Una volta osservata l’immagine e spiegato il significato, si può chiedere ai bambini di disporsi nello stesso modo in cui sono disposti i personaggi nel dipinto, oppure si può chiedere loro di adattare il quadro secondo un’altra visione religiosa, come ad esempio quella luterana.

Da dove arriva o deriva la sua idea di utilizzare il connubio tra bello artistico e fede?

Lavorando con i bambini della scuola primaria, comunemente detta elementare, ho sempre dovuto ricercare un linguaggio semplice, accessibile e diretto e nulla è così comunicativo come un’immagine. Direi che quindi tutto è nato per praticità. Durante la mia esperienza lavorativa a Roma, mi sono accorto che i bambini non conoscono per nulla la città in cui vivono. Pertanto nelle mie lezioni cerco di usare il più possibile opere d’arte che poi posso fare ammirare ai miei alunni dal vivo. Si tratta di fare un raccordo fra fede, arte e le ricchezze che il territorio offre. Nel mio lavoro cerco di ispirarmi ad un dipinto di El Greco che nella sua semplicità mi ha sempre affascinato. Si tratta di un “ritratto” dell’evangelista Luca che mostra all’osservatore il vangelo aperto; sulla pagina di sinistra si vede un passo del vangelo, mentre su quella di destra è dipinta una Madonna che regge in braccio Gesù Bambino. Ho scelto questa immagine come sintesi del mio lavoro perché non faccio altro che abbinare a ogni passo biblico che propongo ai miei alunni un’immagine artistica che lo visualizzi e lo spieghi. In tutta onestà posso dire che di mio c’è ben poco! Il mio è soprattutto un lavoro di “collage”!

Che tipi di riscontri (commenti, pensieri, idee … ) incontra presso i ragazzi e/o presso i loro genitori usando questo suo metodo? Ci racconti un episodio che le è rimasto impresso.

Non bisogna sottovalutare l’intelligenza, la curiosità e il desiderio di conoscere dei bambini, anzi forse noi adulti, spesso stanchi e annoiati da tutto, dovremmo prendere esempio da loro! Non bisogna avere paura di proporre agli alunni molti contenuti perché i bambini sono “spugne”! Io per esempio non mi faccio nessun problema a portare classi di alunni di terza elementare in visita ai Musei Vaticani! Propongo questa attività didattica al termine dell’anno scolastico, come coronamento di un percorso che abbiamo svolto durante tutto l’anno. I bambini sono sempre molto entusiasti perché finalmente, dopo un anno di intenso lavoro, possono vedere dal vivo quello che hanno studiato in classe! Quando ci troviamo ai Musei Vaticani non prendiamo una guida, ma ogni bambino fa da guida agli altri! Diciamo che è una vera e propria interrogazione sul posto: io faccio le domande sui dipinti che vediamo e un bambino alla volta risponde, in modo tale che tutti  siano coinvolti. A questo tipo di uscite partecipano anche i genitori che si possono rendere conto del tipo di attività che abbiamo svolto in classe durante l’anno. I genitori partecipano sempre molto volentieri, anche perché per molti di loro è la prima occasione per ammirare le meraviglie di Roma. Quest’anno mi ha colpito la visita a Santa Maria Maggiore. Il custode mi ha chiesto se i bambini potessero essere interessati a vedere dei paramenti liturgici cinquecenteschi. Ero molto scettico sulla cosa perché la ritenevo più adatta per un gruppo di sacerdoti o di religiosi piuttosto che per dei bambini, e più per non rispondere con un  “no” che per altro ho acconsentito. Con mio grande stupore, quando il custode ha aperto gli armadi dove erano contenuti i paramenti, dai bambini si è levato un grosso “OHHH” di meraviglia. Quegli abiti finemente decorati, insoliti, di foggia preconciliare li ha enormemente colpiti. Questo per dire che non bisogna avere paura nel proporre contenuti che a prima vista potrebbero sembrare “pesanti”.

Chiudiamo con una domanda personale. Cos’è quindi “la bellezza” secondo la sua esperienza? È più un modo, per noi uomini, per avvicinarci a capire un poco Dio o più un modo di Dio per scendere al nostro livello, parlando una lingua che noi conosciamo, e farsi capire?

Credo che si possa parlare di due vie complementari. Dio è bellezza, l’uomo è bellezza, l’arte è il ponte che li lega. È impressionante come l’uomo, volendo catturare in immagini la gloria di Dio finisce anche per glorificare se stesso attraverso il talento artistico. Mi permetta di terminare con le parole del grande scrittore inglese G.K. Chesterton che, in polemica con la bruttezza di certe produzioni artistiche moderne ha descritto a mio avviso in modo magistrale cosa deve essere una vera opera d’arte: “Non basta che un monumento popolare sia artistico, come uno schizzo a carboncino. Deve sorprendere, deve essere sensazionale nel senso più alto della parola, deve rappresentare l’umanità, deve parlare per noi alle stelle, deve proclamare al cospetto del cielo che, una volta stilato il catalogo più lungo e più nero di tutti i nostri crimini e di tutte le nostre follie, restano ancora alcune cose di cui gli uomini non devono vergognarsi”.

(Intervista tratta dal sito Mediapolitika)

La settima parola: “non commettere adulterio”

Nel cammino di fraterno dialogo e stima tra la Chiesa in Italia e il Popolo ebraico, l’incontro tra il Papa e la Comunità ebraica di Roma nel Tempio Maggiore, il 17 gennaio 2010, ha suggellato positivamente le tappe fin qui percorse, indicando nuovi obiettivi, mostrando di voler andare oltre turbolenze e incertezze che hanno talora suscitato dubbi sull’effettiva consistenza del dialogo cristiano-ebraico odierno.
Nella sua visita alla Sinagoga di Roma Benedetto XVI, ha voluto sottolineare in maniera ancora più chiara quanto aveva già affermato nella sinagoga di Colonia sulla comune responsabilità che gli ebrei e i cristiani hanno di fronte alle “Dieci parole”: «In particolare il Decalogo – le “Dieci Parole” o Dieci Comandamenti (cfr Es 20,1-17; Dt 5,1-21) – che proviene dalla Torah di Mosè, costituisce la fiaccola dell’etica, della speranza e del dialogo, stella polare della fede e della morale del popolo di Dio, e illumina e guida anche il cammino dei Cristiani. Esso costituisce un faro e una norma di vita nella giustizia e nell’amore, un “grande codice” etico per tutta l’umanità. Le “Dieci Parole” gettano luce sul bene e il male, sul vero e il falso, sul giusto e l’ingiusto, anche secondo i criteri della coscienza retta di ogni persona umana. Gesù stesso lo ha ripetuto più volte, sottolineando che è necessario un impegno operoso sulla via dei Comandamenti: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i Comandamenti” (Mt 19,17)».
In questa prospettiva, sono vari i campi di collaborazione e di testimonianza che si aprono davanti a ebrei e cristiani, uniti da comuni aspirazioni.
Vorremmo ricordarne tre particolarmente importanti per il nostro tempo.
 

“Buoni cristiani e onesti cittadini” Scuola di Formazione SocioPolitica

Vi proponiamo la III edizione della Scuola di Formazione SocioPolitica organizzata con il patrocinio dell’Università Pontificia Salesiana, della Facoltà di Filosofia della stessa e dalla Federazione dei Servizi Civili e Sociali CNOS, che si svolgerà tutti i venerdì di quaresima presso la Parrocchia di Santa Maria della Speranza in via F. Cocco Ortu, 19 in Roma.

La scuola di formazione socio – politica intende proporre, sempre nel prezioso Tempo Quaresimale, un momento di riflessione condiviso per leggere, alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa, le sfide che la crisi ci impone e le cui prospettive di soluzio- ne dipendono da una corretta comprensione dei ruoli fondamentali della famiglia, del lavoro, della giustizia, dell’economia e della finanza pubblica.

DESTINATARI:

La scuola è gratuita e aperta a tutti ed è destinata ai giovani, insegnanti, educatori, catechesti e a coloro che sono impegnati in attività civili, politiche ed economiche

Per informazioni rivolgersi alla segreteria della Parrocchia Santa Maria della Speranza o presso il sito: http://speranza.donbosco.it – 345.3402412

Scarica: Depliant

Giornate formative USPI

l’USPI ha organizzato una serie di “Giornate Formative” riservate ai suoi associati, che potranno parteciparvi a titolo completamente gratuito previa prenotazione della partecipazione medesima.
 
La prima di queste “Giornate” si terrà mercoledì 23 gennaio 2013, alle ore 10.30, presso la Sala 1 della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, in Viale Castro Pretorio 105, Roma.
 
Il tema che verrà affrontato sarà:  “Interventi negli stati di crisi e diversi tipi di ammortizzatori sociali che la normativa rende disponibili nei rapporti di lavoro tipici dell’editoria periodica”.
 
L’USPI metterà a disposizione dei propri associati un consulente che, dopo una prima esposizione teorica della normativa vigente e delle possibili soluzioni, sarà a disposizione per rispondere a quesiti su singoli casi posti dai partecipanti.
 
Data la limitata disponibilità della sala (circa 80 posti), si invitano gli associati interessati a prenotare la propria partecipazione inviando una mail a uspi@uspi.it entro il 14 gennaio p.v. cui seguirà una risposta della Segreteria USPI per accettazione.
 
Certi che questo nuovo servizio sarà gradito, cogliamo l’occasione per porgere cordiali saluti a tutti gli iscritti.
 
LA SEGRETERIA GENERALE
 
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Unione Stampa Periodica Italiana
V.le B. Bardanzellu 95 
00155  ROMA
Tel. 06.4071388 
Fax 06.4065941
 
Email uspi@uspi.it
sito http://www.uspi.it

Seminario di studio su IRC e scuola dell’infanzia

Il Servizio Nazionale per l’Irc e il Servizio nazionale per gli studi superiori di Teologia e di Scienze Religiose sono consapevoli del fatto che ci si trova ad operare in un momento caratterizzato da significativi mutamenti:
 
– la riforma degli ISSR,
– la revisione dei percorsi di formazione di base dei futuri Insegnanti di religione cattolica (Idr) che ha portato alla firma di una nuova Intesa circa i titoli di qualificazione professionale necessari per l’Irc,
– la pubblicazione di nuove Indicazioni per l’Irc per ogni ordine e grado di scuola.
 
Si svolge a Roma, presso il Centro Congressi di Via Aurelia 796, il 19 dicembre 2012, dalle ore 10,00 alle 17,00, un Seminario di studio su “Le Indicazioni di Irc per la Scuola dell’Infanzia, del Primo e del Secondo Ciclo”.
L’incontro è rivolto ai docenti di Didattica dell’Irc che sono in servizio presso le Facoltà Ecclesiastiche e strutture accademiche annesse (Centri Teologici, ISSR, Seminari Maggiori).
 
Lo scopo principale del Seminario di studio è quello di rispondere al bisogno di confronto che pervade il mondo afferente all’Irc nel rinnovato contesto socio-culturale e normativo-scolastico, avviando così, nelle comunità di ricerca e di docenza, percorsi di studio circa l’Irc, nel suo risvolto pedagogico-didattico.
 
 
L’esonero del MIUR.

Multireligione, linguaggio e traguardi di competenza nell’IRC

L’Istituto di Catechetica organizza annualmente una Giornata di Studio riservata a docenti di Pedagogia Religiosa e Catecheti, che coinvolge esperti a livello nazionale e gode del loro apprezzamento. Dedichiamo la giornata di studio alle provocazioni, cui l’Irc è chiamato a far fronte nel contesto attuale.

Ha come tema: Multireligione, linguaggio e traguardi di competenza nell’IRC. La giornata si realizzerà sabato 24 novembre 2012 presso l’Università Pontificia Salesiana dalle 9.00 alle 18.00.

Il contesto scolastico diventa sempre più vistosamente plurireligioso. L’attuale orientamento pedagogico e didattico quale consapevolezza ne prende, quale attenzione vi dedica? Le attuali ‘Indicazioni Nazionali’ offrono contributi significativi?

Inoltre la scuola va privilegiando ‘le competenze’ da identificare e promuovere in tutte le discipline. La religione ha un proprio e peculiare linguaggio difficilmente traducibile in ‘competenza’. Si profila il rischio di cogliere solo tangenzialmente la dimensione religiosa nell’elaborazione dei traguardi di competenza, che ciascuna disciplina è chiamata a perseguire.

Ci pare particolarmente urgente una riflessione e una verifica puntuale e tempestiva sulle nuove esigenze che si impongono per consentire all’IRC di stare nella scuola con un proprio apporto, senza compromettere le sue specifiche connotazioni e la sua identità.

Pensiamo ad un dialogo aperto, scandito da alcuni imputs sintetici e orientativi.

Sono previste le seguenti relazioni:

– Contesto plurireligioso e apprendimento                              Prof.  Castegnaro A.

– Profilo religioso della studente                                                  Prof.ssa Feliziani Kannheiser F.

– Il linguaggio nell’Irc                                                                       Prof. Moral J.L.

– Le Indicazioni Nazionali e i traguardi di competenza        Prof. Cicatelli S.

– Nella programmazione operativa                                              Prof. Romio R.

Naturalmente saremo onorati della tua presenza e contiamo sull’apporto che puoi offrire alla riflessione e alla migliore comprensione del tema.

Sono graditi anche eventuali contributi personali (un paio di cartelle) da inserire con le Relazioni.

Le adesioni e i contributi vanno comunicati entro il 15 novembre via E-Mail a: pastore@unisal.it.

Siamo lieti di averti ospite a pranzo.

Preghiamo quanti devono arrivare la sera di venerdì 23 novembre di segnalarlo per tempo, dal momento che non siamo sicuri di poter avere camere a disposizione nella struttura della Università.

Con viva cordialità e amicizia

Corrado Pastore                                                                      don Zelindo Trenti

Direttore dell’Istituto                                                                  Coordinatore

 

VISUALIZZA: Programma

Convegno internazionale: la tutela dei minori. Buone pratiche relazionali”

Raccontare le “buone idee” e le “esperienze che funzionano”, per dare stimolo e strumenti a “quegli operatori che raccolgono la scommessa di voler continuare a lavorare sul campo, e a lavorare bene”.

Questo l’intento del 4° Convegno internazionale sulla qualità del welfare, “La tutela dei minori. Buone pratiche relazionali”, organizzato dal Centro studi Erickson e che si terrà a Riva del Garda (Trento) dall’8 al 10 novembre.

L’appuntamento si rivolge ad assistenti sociali, educatori, magistrati, psicologi, neuropsichiatri infantili, insomma a tutti gli operatori che hanno a che fare con situazioni di gravi difficoltà nelle quali sono coinvolti i minori e le loro famiglie.

Incontro e confronto. “Vogliamo offrire una possibilità d’incontro e di confronto agli operatori del settore – spiega al Sir Maria Luisa Raineri, coordinatore scientifico del Convegno, assistente sociale e docente – raccogliendo buone prassi e proponendo riflessioni”.

La chiave di lettura degli aspetti positivi è già stata sperimentata in un analogo convegno tenuto nel 2010: lì, riporta la presentazione dell’iniziativa, “abbiamo iniziato a esplorare l’idea che i percorsi di tutela minorile, per risultare davvero efficaci, vadano costruiti partendo dal punto di vista e dai punti di forza dei minori e delle famiglie interessate”.

Il convincimento è che “le famiglie, anche e soprattutto quelle in difficoltà”, vadano “ascoltate per poter costruire progetti di aiuto che siano davvero praticabili per loro, dal loro punto di vista”. “Lavorare insieme” per “valorizzare il positivo” che si trova anche nelle famiglie in difficoltà è un imperativo per Raineri, che riprende i dati sugli affidi del Centro nazionale per l’infanzia e l’adolescenza: nel 2009 sono stati 32.400 i minori dati in affidamento familiare o accolti nei servizi residenziali; tra le motivazioni, ai primi posti figura una difficoltà educativa da parte della famiglia d’origine, gravi problemi di un genitore o la conflittualità tra i due genitori, che pure recenti casi di cronaca hanno portato alla ribalta.

Esempi di buone pratiche. In effetti, sono molte le buone pratiche che si sperimentano, in Italia o altrove, in questo settore.

Al Convegno del 2010, ad esempio, furono presentati contributi significativi sulle “family group conference”, “incontri – precisa la coordinatrice – organizzati con tutte le figure di riferimento di un bambino o ragazzo che ha un provvedimento di tutela”, al fine di ottimizzare le risorse di cui il minore può disporre, da qualsiasi parte provengano.

Una modalità, racconta Raineri, “diffusa in tutto il mondo, e di cui sono partite sperimentazioni in Italia proprio dopo la presentazione”. Altro esempio, l’operatore-portavoce, ovvero “una figura che ascolta il bambino, o il ragazzo, affinché questi possa dare il suo parere sui problemi che lo riguardano”: pure questa è una pratica che “appartiene – sottolinea – alla tradizione del servizio sociale internazionale, ma della quale non vi è traccia nel nostro Paese”. Terzo, “i gruppi di auto-mutuo aiuto per i genitori i cui figli sono destinatari di un provvedimento di tutela, o che sono stati adottati da altri”, alla stregua dei gruppi di famiglie affidatarie e adottive.

Spesso, infatti, “non si pensa a quale stigmatizzazione ci sia nel dire che il proprio figlio è in affidamento: i servizi sociali non devono solo tutelare il minore, ma pure aiutare i suoi genitori a ‘rimettersi in sesto’ per poi riaccogliere il figlio”.

Un “sostegno sostenibile”. Le buone pratiche, quindi, non mancano, e sono tanto più necessarie quanto più scarseggiano le risorse economiche. “Veniamo da una tradizione – osserva Raineri – d’interventi costosi e pesanti. Ma, se non si trovano modalità alternative, il rischio è che i fondi ci siano solo per i casi più gravi, lasciando perdere tante altre situazioni che però, così facendo, rischiano di deteriorarsi sempre più”.

La coordinatrice del Convegno parla di “sostegno sostenibile” per definire tutte quelle forme di supporto che tendono a valorizzare le risorse presenti – pure quelle, seppure scarse, delle famiglie d’origine – e che alla lunga producono “interventi più efficaci e tendenzialmente meno costosi”. “È perdente pensare di allontanare il minore e poi, in un secondo tempo, aiutare la famiglia”; viceversa, “è sempre più importante che l’operatore abbia lo sguardo rivolto a tutta la famiglia e l’accompagni passo dopo passo, se possibile assieme al loro figlio”.

INFORMAZIONI SUL CONVEGNO:

http://www.fabiofolgheraiter.it/convegni