Lauree Università Pontificie

È pubblicato in Gazzetta Ufficiale (160° [2019] 160, 1-3) il Decreto del Presidente della Repubblica (DPR 63/2019 Approvazione dello scambio di Note Verbali sul riconoscimento dei titoli accademici pontifici nelle discipline ecclesiastiche) che dà attuazione agli accordi intercorsi tra Santa Sede e Repubblica Italiana (13 febbraio 2019) in merito al riconoscimento dei titoli di studio nelle discipline ecclesiastiche, ovvero al mutuo riconoscimento dei titoli di studio statali ed ecclesiastici.

La notizia giunge nella prima parte della stagione estiva, quasi a rallegrare il meritato riposo di studenti e docenti che hanno da poco concluso la sessione degli esami. Alimenta anche la speranza che la fatica degli anni di studio non solo dia soddisfazione all’impegno profuso, ma approdi anche ad una preparazione riconosciuta formalmente in sede statale e “spendibile” a tutti gli effetti in campo civile oltreché ecclesiale.

Il cammino, che giunge in questi giorni ad un importante traguardo, è iniziato quantomeno con la firma dei rinnovati “Patti Lateranensi” (Accordo tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede del 18 febbraio 1984) e la relativa Intesa (1985/1990). Ha toccato poi le tappe del “Processo di Bologna” (1999) e della Intesa CEI-MIUR circa “i profili della qualificazione professionale degli insegnanti di religione cattolica” (2012).

Certamente il passo in avanti è notevole, giacché amplia le specialità dello studio teologico che affiancano ora Teologia e Sacra Scrittura, quali titoli con validità civile. Soprattutto annovera tra questi i titoli rilasciati dalle Facoltà e dagli Istituti Superiori di Scienze Religiose: la qual cosa acquista un valore particolare, dal momento che si tratta delle uniche lauree che, a partire dal 2017, danno accesso all’Insegnamento della Religione Cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado. Si può leggere un indiretto ed ulteriore riconoscimento pubblico del valore dell’IRC, attraverso il definitivo riconoscimento della qualità e specificità del titolo di studio conseguito dai suoi Docenti.

Certamente la circostanza del reciproco riconoscimento – come evidenziato nel commento dell’11 luglio 2019 riportato in www.chiesacattolica.it – richiede alle Facoltà Teologiche ed agli ISSR un impegno maggiore nell’elaborare un’offerta aggiornata; soprattutto un’offerta qualitativamente in grado di mantenere alto il livello formativo ed entrare “a testa alta” in positivo concorso con i percorsi offerti dalle altre Facoltà, oramai anche Statali. Il che significa – tradotto in termini accademici – curare non solo l’aspetto didattico ma anche e ancor prima il livello e l’ampiezza della ricerca, poiché una didattica accademica che non derivi da una ricerca solida rischia di ridursi a duplicato di un percorso di scuola secondaria. Conseguenza pratica sarebbe non la proliferazione quantitativa dei Centri di Studio ma la revisione qualitativa dei curricoli, che porti ad una essenzializzazione dell’offerta formativa e la sua specificazione in senso pratico-operativo.

L’importante passo compiuto con la firma del febbraio scorso implica disponibilità reciproca a rendere concretamente possibile il riconoscimento dei titoli di studio. Vuol dire che i titoli ecclesiastici individuati hanno valore civile, ma anche che i titoli rilasciati dalle università statali dovranno trovare accoglienza negli ambienti ecclesiastici. Si apre uno spiraglio, se non all’ingresso delle discipline ecclesiastiche nelle Università statali, quantomeno al formale riconoscimento pubblico del valore accademico delle medesime e dei loro risultati.

Il DPR 63/2019 alimenta alcune attese: la prima riguarda per l’appunto le procedure di mutuo riconoscimento – affidate a tavoli tecnici tra MIUR e Congregazione per l’Educazione Cattolica – che possono realizzare concretamente gli accordi oppure indirettamente rallentarne l’attuazione, predisponendo percorsi burocraticamente farraginosi, che finiscono per scoraggiare l’accesso a quanto concordato. Altro auspicio concerne il riconoscimento di tutte le specialità annoverabili sotto la dicitura Baccellierato/Licenza in Teologia e simpliciter i Gradi Accademici rilasciati da tutte le Facoltà Ecclesiastiche. Gli Atenei che dipendono dalla Santa Sede da tempo hanno sviluppato interessi in campi disparati (Filosofia, Scienze Sociali, Scienze della Comunicazione, Scienze dell’Educazione, etc.), dando vita a produzioni scientifiche di grande livello e ad applicazioni pratiche riconosciute ed apprezzate. Tutto questo attende soltanto di poter entrare in un circolo virtuoso di condivisione intellettuale, formazione professionale e spendibilità operativa, anche attraverso il riconoscimento civile dei titoli conseguiti. Infine, data la delicatezza del tema, meriterebbe una considerazione particolare il riconoscimento paritetico del Grado Accademico di Dottorato.

Discorso particolare riguarda il titolo accademico di Scienze Religiose, titolo di accesso all’IRC, che porta nella sua struttura la cura di una base filosofico-teologica, ma si trova davanti alla sfida di sviluppare nell’arco del medesimo quinquennio competenze circa il fenomeno religioso e lo specifico campo pedagogico-didattico. Si tratta di tre ambiti invalicabili nella preparazione dell’IdR, che attualmente vengono curati da Centri di Studio di impostazione teologica, ma anche dalla Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium e dalla Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’UPS nel Curricolo di “Educazione e Religione”. Entrambe queste ultime rientrano già nel novero degli Enti abilitati a rilasciare titoli validi per l’IRC: l’auspicio in questo caso è che la dicitura “Laurea in Scienze Religiose” non significhi l’estromissione dei due percorsi che – unici ed originali nel loro genere e nella loro proposta – hanno la caratteristica di sviluppare in maniera sensibile l’aspetto pedagogico, accanto a quello filosofico-teologico e antropologico-religioso.

Dunque tutto ciò che si è realizzato nei mesi di febbraio-luglio è contemporaneamente un traguardo e una tappa in un itinerario di mutua disponibilità e responsabilità tra Repubblica Italiana e Santa Sede: creare le condizioni giuridico-formali per far sì che l’impegno di ricerca, docenza e studio abbia una occasione di confronto e scambio non più eludibile.

 

CONSULTA:

Normativa riconoscimento dei titoli di studio accademici

Approvati i nuovi percorsi formativi dell’Istituto di Catechetica

Approvati in via definitiva i curricoli di:

 

  • Catechetica
  • Indirizzo di Catechetica
  • Indirizzo di Catechetica e comunicazione

 

  • Pedagogia religiosa
  • Indirizzo di Pedagogia religiosa

 

promossi dall’Istituto di Catechetica.

 

Curricolo di Catechetica (22 luglio 2019)

Curricolo di Pedagogia religiosa (22 luglio 2019)

 

I nuovi percorsi formativi sono attivi già nell’anno accademico 2019/2020.

 

Per informazioni rivolgersi a catechetica@unisal.it

 

“CER” 7: Modernità e cambio epocale

«Oggi non viviamo soltanto un’epoca di cambiamenti ma un vero e proprio cambiamento d’epoca» (Veritatis gaudium, 3): siamo più che convinti dell’affermazione, ma forse non vogliamo assumerne ancora tutte le conseguenze, né tanto meno accettare che il comportamento delle persone sia anzitutto guidato dalla visione culturale o dalla comprensione della realtà propria del gruppo al quale appartengono. Ad ogni modo, un mondo scompare e ne sta emergendo un altro senza che, per la sua costruzione, vi sia un modello prestabilito; i cristiani poi abbiamo un problema in più: eravamo gli artefici principali del disegno che sta dileguandosi e – quasi spontaneamente – non solo ci resistiamo a lasciarlo, ma non possiamo credere che sfugga anche a noi l’immagine del mondo che si deve costruire.

È la cultura a determinare in grande misura le nostre idee e i nostri comportamenti: lo si può affermare tanto nel caso di chi l’accetta come di chi invece l’attacca. Ecco perché il cambio epocale comporta logicamente un certo disorientamento generale del pensiero e della condotta, mentre si cerca di attivare tutti i processi d’interpretazione necessari per arrivare a una comprensione in grado di orientarci nella ricostruzione culturale in atto. Questo libro intende sitarsi in tale ottica interpretativa, con il vivo desiderio di raggiungere l’obiettivo espresso nel sottotitolo: mostrare alcune «prospettive culturali e teologiche contemporanee». È però nel titolo, «Modernità e cambio epocale», la chiave dell’analisi, in quanto è proprio alla modernità che si deve attribuire l’assalto e demolizione del sistema più o meno fisso dei valori e delle finalità che credevamo possedere. In ogni caso, per comprendere il nostro presente, dobbiamo partire dall’Illuminismo moderno che, senza dubbio, costituisce la rivoluzione più significativa del mondo occidentale; in simile impresa, ancora risultano illuminanti le parole di I. Kant che invitano a uscire dallo stato di minorità: «Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!».

 

José Luis Moral è Professore Ordinario di «Pedagogia religiosa» nella Facoltà di Scienze dell’Educazione (Università Pontificia Salesiana di Roma), già professore di Pastorale Giovanile, Direttore dell’Istituto Superiore di Teologia «Don Bosco» di Madrid e della rivista «Misión Joven». Alcune pubblicazioni nell’ambito della pastorale giovanile: Giovani senza fede?; Giovani, fede e comunicazione; Giovani e Chiesa; Pastorale Giovanile. Sfida cruciale per la prassi cristiana (2018). Con la «Las» ha pubblicato: Ricostruire l’umanità della religione (Roma 2014), L’incontro con Gesù di Nazaret (Roma 2016), Cittadini nella Chiesa, cristiani nel mondo (2017).

 

Scarica:

Introduzione e indice

 

 

 

Scuola e religione in Italia. Quarant’anni di ricerche e dibattiti

di Flavio Pajer.

 

I saggi raccolti nel volume documentano lo sviluppo pluridecennale delle ricerche relative alla discussa presenza della religione nella scuola pubblica italiana. L’autore, testimone diretto del tempo che va dalla vigilia della revisione concordataria fino al presente, esamina l’identità del sapere religioso alla luce delle scienze della religione e dell’educazione; discute la gamma delle posizioni via via emerse nella pubblicistica più informata; opta per una democratizzazione della gestione del patrimonio religioso nella scuola di tutti; elabora modelli e percorsi di alfabetizzazione religiosa nella modernità plurale e post-secolare.

«CATECHETICA ED EDUCAZIONE»
da oggi puoi scaricare il settimo numero!!!

La catechesi in Italia oggi

Il prossimo 50° anniversario del “Rinnovamento della Catechesi” (1970-2020), Documento Base della catechesi italiana, non può costituire l’occasione per una sua semplice celebrazione, perché le sue finalità pastorali obbligano sia gli studiosi sia soprattutto gli operatori nel campo della catechesi a un bilancio critico e coraggioso in vista di un rilancio nelle pratiche ecclesiali delle grandi prospettive che lo hanno caratterizzato.

Il 2020 per una felice coincidenza costituisce anche l’anno di chiusura degli orientamenti decennali che la Chiesa italiana aveva iniziato nel 2010 con il titolo di “Educare alla vita buona del Vangelo”. Il lavoro di riflessione con l’intermezzo del Convegno di Firenze, anche se passato in sordina, ha coinvolto le comunità locali a riflettere e operare nel difficile e complesso ambito dell’educazione, come la più alta missione della Chiesa.

Questa provvidenziale sintonia tra i due anniversari ha stimolato l’attenzione degli studiosi che sono responsabili di questa rivista che, senza casualità di sorta si intitola “Catechetica ed educazione”, a lanciare un laboratorio di riflessione che durerà fino al 2020; questo dibattito prende le mosse da questo numero monografico, che vuole far emergere anche ciò che è sommerso, in modo opportuno, con provocazioni esplicite, opinioni critiche, risonanze narrative e discussioni scientifiche, per aiutare maieuticamente la focalizzazione di tutti sul fortunato binomio: “Catechesi ed educazione in Italia oggi”.

L’architettura di questo numero monografico scaturisce anche dalla necessità di far parlare liberamente vari esponenti, che da estrazioni diverse e con compiti ecclesiali differenti, vogliono contribuire a esercitarsi in un apprendere ad apprendere dall’esperienza storica di questi “gloriosi anni postconciliari”. Grazie alla traduzione pastorale realizzata dal Documento Base, è stato compiuto il miracolo di una Chiesa che è sempre viva e sempre più in sintonia a livello ecumenico, interreligioso e interculturale e, quindi, protesa con fiducia e speranza verso il sempre giovane futuro ecclesiale. La Chiesa italiana riconosce nella catechesi e nella globalità delle buone pratiche educative il basamento sul quale si erge la sua missione evangelizzatrice inclusiva di tutte le sue mediazioni e funzioni ecclesiali. In questo senso, questo numero monografico rappresenta un piccolo sasso che gettiamo nel fluire di questo tempo ecclesiale per attirare l’attenzione di ognuno che esprima un minimo di buona volontà a contribuire a un bilancio critico e imparziale sulla storia postconciliare della catechesi italiana, lasciando libera la discussione e raccogliendo i tanti feedback che emergeranno dalla lettura di questa primizia di riflessione.

Quindi, il presente numero monografico costituisce un’opera aperta che si concluderà con la revisione e il completamento dei presenti contributi e di altri che potranno essere accolti, confluendo in una monografia finale nel prossimo anno 2020.  Inoltre, la globalità delle riflessioni contenute in questo numero monografico sostiene l’attuale ricerca catechetica sui catechisti italiani, realizzata per la prima volta in Italia con metodi misti su un campione nazionale, nel complesso lavoro di revisione teorica e metodologica.

La suddivisione in tre parti di questo numero monografico è stata pensata lungamente per il seguente scopo: provocare il dibattito e recepire le varie reazioni che ne verranno dalla discussione in forma privata (email, ecc.) e pubblica (seminari, convegni ecc.). La prima parte raccoglie gli interventi di Sette Esponenti di rilievo nel panorama pastorale e accademico italiano. I nomi dei vescovi Nosiglia, Semeraro, Galantino, Crociata ci riportano indietro nel tempo, ricordando il loro impegno profuso a beneficio della pastorale ecclesiale italiana e il loro apprezzato impegno per l’evangelizzazione, attraverso l’annuncio, la catechesi e l’educazione in seno alla CEI; completano questo quadro i proff. Moral, Bissoli e Meddi con tre contributi a caratura più storico-catechetica. Un secondo gruppo di studiosi attraversa alcune grandi piste della catechesi postconciliare che concernono il ruolo della Bibbia, la formazione, la comunità ecclesiale, il primo annuncio e il catecumenato, l’iniziazione cristiana, i catechisti e la loro formazione. Nei loro studi, riecheggiano i capitoli del Documento Base, che ancor prima della emanazione del Direttorio Catechistico Generale del 1971, scommettevano sui compiti del rinnovamento, come la sperimentazione del forte legame che unisce evangelizzazione-annuncio-catechesi, il soggetto ecclesiale, le fonti della catechesi, la catechesi degli adulti e le rinnovate metodologie. Il memorabile numero 200 del Documento Base fu la felice sintesi di questo nuovo cammino ecclesiale, affermando la primazia delle comunità ecclesiali in chiave storico-dinamica. L’odierna prospettiva dell’ecclesiologia dinamica di Evangelii Gaudium era prefigurata in quelle intuizioni enunciate già nel testo dei Vescovi italiani circa la costruzione di una mentalità di fede, la conversione missionaria della pastorale italiana, la comunione con la cultura contemporanea in fedeltà a Dio e all’uomo. Il terzo gruppo di questo numero è costituito da Giovani ricercatori di catechetica che rivedono attraverso le loro sensibilità e sotto la lente accurata degli studi accademici questa recente storia, proponendo tentativi creativi di questo bilancio, andando talvolta per intuito e per ipotesi di riflessione. La realizzazione di questo compito creativo completa quello della generazione dei precedenti gruppi e permette ai giovani studiosi di guardare la situazione attuale, valutando l’eredita passata per esprimere il sogno di una continuità dinamica e creativa. Il futuro della Chiesa italiana è fatto di persone concrete che vivono, soffrono e gioiscono per il dono di una comunione che non è facile da realizzare ma che è l’unica strada da seguire per giungere verso l’incontro con il Cristo presente nella storia dell’umanità.

L’impegno di riflessione incomincia con questo primo passo che attende risonanze dai racconti, soprattutto dalle storie sconosciute, trovate forse tra carte dimenticate o riesumate da un passato dimenticato. Togliere un po’ di polvere tra gli scaffali della memoria personale e comunitaria serve sia agli anziani che ai giovani che vogliono con forza risvegliare l’entusiasmo per una Chiesa dalle porte aperte, come Popolo di Dio, formato in profondità e che sicuro cammina sulle strade, talvolta tortuose, della nostra storia italiana.

I MEMBRI DELL’ISTITUTO DI CATECHETICA

catechetica@unisal.it

 

Agricoltura sociale, una nuova prospettiva educativa

L’agricoltura sociale oggi è una possibilità concreta di sviluppo e di integrazione sociale.Vi raccontiamo una giornata vissuta insieme ad operatori ed utenti.

«Io mi sento parte di questo progetto perché sono io, in primis, a dare il mio contributo». Quando una comunità riesce ad attuare un processo educativo che porta un giovane a sentire suo un progetto, perché responsabile della buona riuscita dello stesso, ha raggiunto il suo scopo più alto. A parlare è Luca, 20 anni, di Roma. Il progetto riguarda l’inserimento professionale e lavorativo attraverso l’agricoltura sociale. La comunità educativa è lacooperativa sociale Kairos.

 

Quando Luca risponde alle nostre domande è appoggiato a una delle balle di fieno disposte in modo tale da rendere il capannone dove ci troviamo quasi come un anfiteatro. I suoi occhi svegli, scaltri e castani richiamano i colori attorno, il suo sguardo è sereno e soddisfatto. Più che un’intervista sembra uno scambio di esperienze, di sogni e aspirazioni. È trascorsa una giornata di lavoro all’aperto tra la pioggia, il vento e il sole che si alternavano. Ma per Luca e i suoi colleghi questa variazione continua di “stagioni” in un’unica giornata non ha cambiato il programma. Arriva un forte vento e d’improvviso la pioggia intensa.

Ci troviamo vicini alla riva del Lago di Martignano. C’è un’intera area da bonificare e deve essere pronta per il lunedì di Pasquetta, quando arriveranno i clienti dell’azienda agricola per trascorrere una giornata di relax al Casale di Martignano. La zona da raggiungere è in discesa, fino alla riva del lago. Dall’alto lo scenario favorisce la visuale completa del posto e dell’attività di lavoro dei ragazzi. È tutto un fermento, nessuno chiacchera, il clima è sereno, tutti sono impegnati a ripulire ciò che la natura senza controllo umano ha realizzato intorno. Chi con la zappa, chi con la motosega, chi con un attrezzo imbragato a spalla con delle pale sottili di colore verde fosforescenti, che mi hanno spiegato si chiama decespugliatore, chi con pala e carriola a fare da spola tra un mucchio di cespugli e un altro e chi con le mani con indosso dei guanti protettivi.

 

Perché con le mani? Non ci sono attrezzi per tutti? Mi incuriosisco, mi avvicino a Malina (nome di fantasia), e chiedo: «perché non usi la zappa? Faresti più in fretta».  Malina si ferma e con calma mi spiega che quel tipo d’erba va tolta delicatamente, a mano, perché con la zappa si farebbe un buco profondo e tale che non ricrescerebbe più la vegetazione spontanea. «Lo abbiamo studiato a scuola prima di fare la pratica qui». Sì, perché l’agricoltura è una cosa importante, non si improvvisa, richiede preparazione, conoscenza e pratica. Luca ci ha detto che «l’agricoltura può sembrare una cosa banale, ma non lo è».

Forse, nella società in cui viviamo, dove tutto è pronto e si trova comodamente su uno scaffale, abbiamo perso la percezione dell’importanza fondamentale di uno dei mestieri più antichi del mondo, non soltanto per i prodotti che ne derivano, ma anche per i processi relazionali e di consapevolezza umana che favorisce.

 

Ma ritorniamo alla pioggia che scende e penetra attraverso le nostre felpe. Noi della redazione ci guardiamo e pensiamo che la giornata si sia conclusa senza poter portare a termine le riprese e le interviste che ci servono per il nostro servizio. Per il resto dei presenti non è cambiato nulla, tutti continuano a lavorare, tutti continuano a fare come se nulla fosse quello che già avevano iniziato.

Un ragazzo, venuto per la prima volta, vuole imparare ad usare il decespugliatore e Luca (non quello dell’intervista), si prende carico del passaggio di competenze, prima per spiegare come si accende e poi per indicare quali sono i movimenti da fare sull’erba e perché farli in un determinato modo e non in un altro. Non è solo questione di metodo, infatti: ogni cosa ha un suo perché ed è da questo perché che ogni ragazzo viene posto nelle condizioni di sperimentare ed esercitare la propria autonomia. L’educazione, infatti, non è insegnare solo delle cose, ma è anche stimolare domande. Tutto ciò appare evidente a partire da ogni semplice gesto svolto dal gruppo di lavoro. Matteo, l’educatore presente, che non sta dall’alto a guardare, ma lavora con loro, si avvicina a noi e ci dice: «Ora sotto la pioggia, arriva quel pizzico di magia. Nessuno si è fermato, nessuno ha detto fermi, fino a che qualcuno non chiamerà la pausa e non si troverà in difficoltà, tutta la squadra continuerà a lavorare insieme. Tra di loro, stamattina, quando sono arrivati, nemmeno si conoscevano».

 

Questa è la “magia” dell’agricoltura sociale e Matteo è un giovane di 28 anni che ha deciso di scommettere la sua vita nell’educazione. È educatore sociale della Cooperativa Sociale Kairos e sta per conseguire la licenza in Pedagogia Sociale all’Università Pontificia Salesiana di Roma. Si percepisce dallo sguardo intenso e allegro, che Matteo è uno che ha la passione per l’attività educativa e come ogni buon educatore ci spiega anche il senso delle cose che vediamo durante la giornata. Ci porta con lui a fare un giro per l’azienda, con noi c’è anche un gruppo di giovani studenti e tirocinanti, che sta svolgendo il Servizio Civile Nazionale presso i Salesiani per il Sociale.

Ad un certo punto della campagna ci fermiamo e ci fa mettere di fronte a una cabina elettrica; ci guarda e ci chiede il perché di quell’interruttore elettrico racchiuso in una piccola casetta di legno. Anche una semplice cabina elettrica in mezzo alla campagna per lui ha un senso educativo, un significato. È il modo attraverso cui spiega ai ragazzi che quella cabina elettrica in aperta campagna racchiude in sé l’importanza della realtà.

L’azienda, che stiamo visitando, non è un luogo turistico, è lavoro e quella cabina serve per proteggere gli allevamenti di maiali dalle aggressioni dei cinghiali. Insomma, l’agricoltura vuole essere un’opportunità concreta anche di lavoro e come tale bisogna essere attenti a ciò che favorisce, nel rispetto della natura, la produzione e il guadagno.

 

Anche il nome Kairos ha un significato preciso che Matteo ci tiene a ricordare. «La nostra cooperativa si chiama Kairos, che dal greco significa momento giusto perché qualcosa possa avvenire. Quello che vogliamo fare è proprio creare opportunità per i ragazzi e per il territorio». Anche le parole in chiave educativa assumono una coloritura di significato diversa. Tra i tanti progetti di Kairos ce n’è uno destinato ai NEET. Il termine NEET è l’acronimo di “Not engaged in education, employment or training”. Sono una varietà molto eterogenea di giovani dai 15 ai 29 anni, che vivono in una situzione di “blocco” e di scarse prospettive di sviluppo. Per quelli di Kairos NEET sta per “Nuove esperienze educative territoriali”.

Ad accompagnarci lungo quella che chiamano “Giornata di Agricoltura Sociale” c’è anche Paola Sabatini, psicoterapeuta e membro dell’equipe formativa della cooperativa. Anche lei, prima di farci visitare l’azienda agricola, era china a terra con scarponi da campagna e guanti da lavoro, a bonificare il terreno insieme ai ragazzi del progetto NEET. Paola ci spiega che «il progetto si articola in due livelli: da una parte azione specifica sui destinatari, dall’altra animazione socioculturale per i territori. Cerchiamo di costruire, attivare e animare reti integrate fatte di aziende agricole, servizi pubblici e organizzazioni del Terzo settore in modo che il territorio possa farsi carico delle soluzioni e dei problemi e costruire proposte autonome e indipendenti dal nostro progetto». Insomma il bene dei ragazzi è concretizzato attraverso un progetto che accompagna, ma non rende dipendenti dalla struttura. Infatti, continua Paola, «altro elemento chiave è la sostenibilità, nel momento in cui il nostro progetto tra due anni sarà finito, se il territorio si è abituato a cercare soluzioni partecipate e sarà rimasto aggregato continuerà l’intervento anche dopo la nostra azione specifica. Ciò che è fondamentale è lavorare in sinergia tra territorio e ragazzi».

 

Alla fine di ogni giornata di lavoro i ragazzi e i visitatori dell’azienda agricola si ritrovano insieme per un momento di condivisione sulla giornata. Ci si ferma e ci si siede in cerchio sulle balle di fieno e si fa verifica dell’esperienza. Noi della redazione di young4young abbiamo capito che la cooperativa Kairos cerca di essere una risposta ai bisogni educativi proponendo soprattutto la realizzazione di reti tra le varie presenze nel territorio. «Ci siamo accorti col passare degli anni che i territori in cui abbiamo agito promuovendo partenariato tra profit e non profit ecostruendoreti integrate ha mantenuto questo modello perchè piace, funziona e costruisce cambiamento». Questo è quanto ha dichiarato Andrea Zampetti, fondatore di Kairos, in un colloquio prima della visita al Casale di Martignano. «Le difficoltà maggiori sono all’inizio, perché sembra una perdita di tempo impiegare energie per costruire alleanze strategiche trasversali. Noi abbiamo scelto la strategia delle piccole sperimentazioni e azioni per permettere di  vedere il profitto indiretto che ne deriva. Dopo l’azione sperimentale i gruppi restano attivi e coesi. In sintesi, la sfida è quella di mettere insieme istituzioni, organizzazioni territoriali e aziende».

Insomma la strategia dell’insieme, intesa come cooperazione, unita a passione educativa e competenza può essere oggi risposta concreta alle esigenze educative dei giovani in difficoltà. L’educazione e l’agricoltura sono il fondamento della società e insieme sono delle opportunità occupazionali, di sviluppo e integrazione che funzionano.

29 maggio 2019 Young4Young

Chiesa e Islam in Italia. Incontro e dialogo

È uscito il libro edito dal Centro editoriale dehoniano, tanto atteso dalla Chiesa italiana, sinora priva di indicazioni chiare su come rapportarsi con l’Islam per incontrarsi e, soprattutto, per dialogare con serenità, nella concretezza e senza sincretismi.
Il testo è stato curato da Antonio Angelucci (ecclesiasticista e comparatista delle religioni), Maria Bombardieri (sociologa), Antonio Cuciniello e Davide Tacchini (islamologi e arabisti). È frutto del lavoro di anni dell’Ufficio Ecumenismo e Dialogo interreligioso (UNEDI) della Conferenza Episcopale Italiana che, attraverso il “Gruppo di interesse sull’Islam”,– composto da teologi, giuristi, sociologi, islamologi e arabisti delle maggiori università pontificie e italiane – parte effettiva di tale Ufficio, ha, dapprima, elaborato alcune schede on line ad uso pastorale e, in un secondo momento, rielaborandole, arricchendole ed aggiornandole, ha definito “su carta” alcune linee che trovano una certa ufficialità grazie anche alla prefazione del Presidente della CEI, S.E.R. Card. Gualtiero Bassetti e alla postfazione del Presidente dell’UNEDI, Mons. Ambrogio Spreafico e del suo Direttore (fino a dicembre 2018), Don Cristiano Bettega.
Nel libro si affrontano temi caldi e si danno spunti che saranno utili a diocesi e parrocchie, associazioni di volontariato, ecc. La prima parte fornisce i parametri di base necessari per la comprensione dell’Islam in Italia (contributi di: Antonio Angelucci, sulle organizzazioni musulmane italiane; Davide Tacchini, sulla figura dell’imam; Alessandro Ferrari e Vittorio Ianari, sulla visita alle moschee). La seconda dà alcune indicazioni per convivere in fraternità tra cristiani e musulmani (contributi di Antonio Cuciniello, su scuola e musulmani; Augusto Negri, sui musulmani in oratorio; Ignazio De Francesco, sui musulmani in carcere e in ospedale). La terza parte aiuta ad interpretare l’Islam nel quotidiano (contributi di Antonio Cuciniello e Massimo Rizzi, sulle regole alimentari e le feste islamiche; Maria Bombardieri, sulla questione delle immagini nell’Islam; Stefano Paternoster, sull’elemosina e sull’attenzione ai poveri nell’Islam). La quarta e ultima parte, infine, non dimentica il tema oggi attualissimo e scottante dell’accoglienza e della solidarietà (contributo di Massimo Ambrosini).
Il lavoro viene, ora, rilanciato dal nuovo Direttore dell’UNEDI, Don Giuliano Savina che, forte dell’esperienza di dialogo interreligioso promosso al Refettorio Ambrosiano di Milano, da lui fondato, ripropone col “Gruppo di interesse sull’Islam” il percorso profetico di incontro e dialogo interreligioso fortemente chiesto da Papa Francesco e dai suoi predecessori.
L’obiettivo è continuare a mettere in dialogo Chiesa e Islam in Italia.

Con la famiglia paolina, una settimana tutta da vivere

Per portare la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali all’attenzione di un pubblico sempre più ampio, stimolare la riflessione sul tema e creare spazi di condivisione allargata le Paoline e i Paolini organizzano la Settimana della Comunicazione.

In tutta Italia, vengono organizzate una serie di iniziative pastorali e culturali – convegni, concorsi, laboratori, attività nelle librerie Paoline e San Paolo, video proiezioni, eventi musicali, spettacoli e molto altro – che coinvolgono giornalisti e operatori della comunicazione, personalità del mondo ecclesiastico, artisti e personaggi del mondo dello spettacolo.

Grande attenzione viene riservata al mondo della scuola: insegnanti, studenti, educatori e genitori, diventano i protagonisti di concorsi a tema, giochi e laboratori creativi, partecipano agli spettacoli e alle video proiezioni, vengono chiamati a realizzare happy book, testi, video e giornalini. Perché la comunicazione è dialogo, è ascolto, è innovazione, è creatività.

Quest’anno la 14° edizione della Settimana della Comunicazione si tiene dal 26 maggio al 2 giugno.

Ecco tutti gli eventi in calendario.

 

Il festival

Il Festival della Comunicazione è un “focus” collegato alla Settimana della Comunicazione, che si svolge a livello locale, con il sostegno dell’Ufficio Nazionale della Comunicazioni Sociali, il Servizio Nazionale del Progetto Culturale, la Segreteria per la Comunicazione e il Pontificio Consiglio della Cultura. Ogni anno viene organizzato in una Diocesi diversa, con l’intento di coinvolgere in maniera attiva tutta la Chiesa e far emergere le tante valide risorse del territorio. Nascono, così, iniziative originali, molto sentite e partecipate, che spesso rimangono come patrimonio locale ben oltre la durata del Festival.

Nel 2019 la Diocesi che accoglie il Festival è quella di Chioggia, in Veneto.

Fabio Geda – Raccontare il mondo, educare il mondo

30 maggio 2019 – dalle 19:00 alle 21:00 presso Università Salesiana – Aula II
Piazzale dell’Ateneo Salesiano, 1 Roma

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per il quarto appuntamento del ciclo Come un libro aperto Grande come una città incontra Fabio Geda. Dal viaggio di Enaiatollah Akbari dall’Afghanistan all’Italia di Nel Mare ci sono i Coccodrilli a «Un uomo con un piede nel sogno e uno nella realtà», il Don Giovanni Bosco protagonista del suo ultimo libro, la scrittura è per Fabio Geda un modo per indagare le passioni che da sempre lo accompagnano, tra impegno civile, volontariato e lavoro educativo. In Il demonio ha paura della gente allegra. Di don Bosco, di me e dell’educare (Solferino editore, 2019), tra ricostruzione storica, narrazione e reportage, un unico filo luminoso lega le battaglie di don Bosco e le disavventure dell’autore, educatore alle prese con adolescenti difficili delle periferie, sempre alla ricerca di forme più efficaci di integrazione. Un racconto sulla passione per il dialogo tra generazioni e l’importanza di un’educazione che parta dall’abitare la relazione con i ragazzi.

Fabio Geda (Torino, 1972), dopo l’esordio con Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani (Instar, 2007) – in finale al Premio Strega e giudicato Miglior Esordio dalla redazione di Radio Tre Fahrenheit –, pubblica L’esatta sequenza dei gesti (Instar, 2008), con il quale vince il Premio Grinzane Cavour e il Premio dei lettori di Lucca. Di nuovo finalista al Premio Strega con Nel mare ci sono i coccodrilli. Storia vera di Enaiatollah Akbar (Baldini & Castoldi, 2010), nel 2011 esce per Transeuropa La bellezza nonostante. Nel 2014 esce per Einaudi Se la vita che salvi è la tua e, nello stesso anno, il reportage su Tokio Itadakimasu per Edt. Nel 2019 pubblica Il demonio ha paura della gente allegra. Di don Bosco, di me e dell’educare per Solferino editore. Oltre che con la Scuola Holden e il Salone del Libro di Torino, collabora con diversi quotidiani e settimanali nazionali.

 

Per approfondimenti: [http://fabiogeda.it/]

info: grandecomeunacitta@gmail.com
accessibilità – non sono presenti barriere architettoniche
linee ATAC – http://www.atac.roma.it
fermata Pian di Sco – linea 88
fermata Vimercati – linee 80, 90, 93, 350

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Come degli sherpa: che cosa significa accompagnare

Taciti, soli, sanza compagnia
n’andavam l’un dinanzi e l’altro dopo,
come frati minor vanno per via.
Dante, Commedia, Inferno, XXIII, 1-3

Che cosa significa accompagnare spiritualmente ed educativamente un ragazzo o un adolescente? Si sa che la parola “accompagnare” deriva dal latino “cum+panis”: compagno è colui che mangia il pane insieme a me, che mangia il mio pane o che condivide il suo fino a che le parole “mio” e “suo” perdono di senso; e non può non venire in mente la narrazione dei discepoli di Emmaus nella quale proprio il pane spezzato trasforma lo sconosciuto pellegrino da casuale percorritore della stessa strada a vero accompagnatore spirituale, al quale i discepoli (che adesso si sanno tali) hanno appena chiesto di prolungare il piacere della sua compagnia: “quando fu a tavola con loro prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede loro. Allora i loro occhi furono aperti e lo riconobbero” (Lc 24, 30.31). “Accompagnare” significa diventare compagni e spezzare il pane insieme, ri-conoscersi, dunque, conoscersi di nuovo sulla strada che si sceglie di percorrere insieme.
Condividere il pane ricorda anche il gusto del fermarsi a fare merenda al sacco in certe gite, quando si è stanchi e ognuno mette a disposizione del gruppo quello che ha: “c’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cosa sono per tanta gente?” (Gv 6,9) Accompagnare significa condividere, e fare comunità, realizzare insieme un nuovo modo di vivere: “tutti quelli che credevano stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le proprietà e i beni, e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno” (At 2, 44-45).
La relazione educativa è sempre un faccia-a-faccia, un rapporto tra un “io” e un “tu”, ma è anche sempre questione comunitaria. Accompagnando un allievo si accompagna un mondo e si accompagna se stessi dentro il mondo. Non esiste relazione educativa che possa pensarsi sull’isola di Robinson, perché anche Robinson non era solo, aveva rapporti di memoria, ricordo, attesa che lo riguardavano anche da lontano. Questo è il mistero dell’accompagnamento educativo: porto te, proprio te, in mezzo al mondo, al “tuo” mondo che però cessa subito di essere solo “tuo” per diventare “nostro”, “di altri”, “di tutti”.
Una prima osservazione dunque è che per accompagnare i ragazzi occorrono gesti fisici di riconoscimento; e in quest’epoca nella quale la gestualità corporea e fisica è sostituita dai simboli virtuali è difficile trovare riti e gesti che ci aiutino a riconoscere i nostri compagni di strada; spezzare il pane è diventato difficile anche perché al supermercato lo vendono già affettato, nel tentativo di alleviare ogni sforzo, ogni fatica, ogni atto corporeo. Anche la fatica di alzare un pollice per dire “sono d’accordo” (un significato socialmente determinato e non universale) è sostituita da un click su un social. Chissà se coloro che usano mille volte al giorno questo “like” sanno che, dagli ultimi studi, pare che il pollice rivolto verso l’alto indicasse, negli agoni romani, non la salvezza del gladiatore sconfitto ma la sua morte. Amara ironia per il mondo destoricizzato e banalizzante dei social!
L’accompagnamento è sempre fisico, non è mai virtuale. Non si accompagna l’anima se al contempo non si accompagna anche il corpo. Non ci dispiace nemmeno troppo sottrarci dall’allucinata enfasi che da ogni dove si pone sulle cosiddette “nuove tecnologie” e soprattutto sull’ossimoro “insegnamento a distanza” (che potrebbe essere simile a “cielo liquido” se quest’ultima espressione non fosse infinitamente più poetica). Certo accompagnare significa giocare con le distanze: lasciar andare, contemplare da lontano, eclissarsi, ma il tutto in una prossimità che è fisica anche quando il corpo sceglie di stare un po’ in disparte, come Virgilio quando Dante parla con i suicidi. Accompagnare significa prendere in carico il corpo del ragazzo o della ragazza, con la sua fatica, con il suo piacere e anche con il suo dolore. Un dolore che rimane privato, intimo, anche indicibile a volte, ma che nel momento in cui viene accolto viene anche accompagnato a una possibile soluzione. Dante e Virgilio faticano per le erte vie dell’Inferno e a tratti il lettore si dimentica che uno solo dei due è portatore di un corpo. Stare fisicamente di fianco ai ragazzi, saperli abbracciare senza essere invasivi, sapere quando compiere un gesto e quando astenersene, saper leggere i messaggi del corpo senza trasformarsi in psicoanalisti improvvisati: tutto questo rientra nel bagaglio dell’accompagnatore educativo, tutto questo si può e si deve imparare se si vuole stare realmente a fianco dei ragazzi. Accompagnare è un’arte, ma anche le arti si imparano. Lasciare tutto a un indefinito “talento” educativo significa non considerare gli educatori come dei professionisti.
L’accompagnamento educativo non è uno strumento retorico: non annulla le differenze, non è un pacchetto turistico che vende lo stesso itinerario ad anonimi clienti. Anzitutto ogni ragazzo ha un suo modo di essere accompagnato, e questo pone all’educatore una grande sfida. “Trattare tutti allo stesso modo” è una ovvietà se parliamo di diritti, è falso se ci riferiamo alla relazione educativa, che semmai fornisce a tutti le stesse opportunità ma proprio attraverso relazioni che non sono mai le stesse perché declinate a partire dal singolo. La strada può essere la stessa per tutti, e a volte deve esserlo, ma non è mai lo stesso il passo che si utilizza per percorrerla. L’educatore sa stare al passo di ogni ragazzo, ma soprattutto sa sintonizzarsi sul ritmo degli ultimi: “il mio signore passi prima del suo servo, mentre io mi sposterò a tutto mio agio, al passo di questo bestiame che mi precede e al passo dei fanciulli, finché arriverò presso il mio signore a Seir” (Gen 33,14). Abituati alla retorica dei capi che guidano le masse ponendosi davanti a loro (e magari non accorgendosi che ormai nessuno li segue) abbiamo scordato che la vera guida è quella che prende in braccio un bambino che fatica o un agnellino azzoppato. Accompagnare significa certo stimolare il passo, motivare al cammino, ma non deve trasformarsi in una sfrenata corsa nel quale chi resta indietro è una “perdita collaterale”. Le parole “educazione” e “competizione” non possono vivere insieme, si respingono, si escludono a vicenda. Uno dei tratti più angoscianti della scuola oggi è proprio questo importare al proprio interno categorie competitive che sono deleterie già nell’ambito del mercato e dell’azienda, figurarsi in campo educativo. Ancora una volta la pedagogia ha aperto le porte al cavallo di Troia, e sono sempre meno numerose le Cassandre che cercano di evitare il peggio.
Ma la principale retorica che l’accompagnamento educativo sgretola è quella della presunta uguaglianza di educatore ed educando; non nel senso dei diritti, ovviamente, ma in quello delle responsabilità. Essi non viaggiano paralleli, ma “l’un dinanzi e l’altro dietro”, perché uno conosce la strada e ha la responsabilità di guidare, l’altro deve scoprirla. Spesso sentiamo educatori dire “io non so quale sia la strada da proporre ai ragazzi”, oppure insegnanti affermare “io non ho niente da insegnare”. Aspettiamo che qualche medico dica che non ha nessuna terapia da prescrivere così il cerchio della banale retorica sarà chiuso. Quando un ragazzo si affida a un educatore, chiede che gli si mostri una strada; da percorrere, da abbandonare, sulla quale sdraiarsi, ma comunque una via. E’ sano che l’educatore nutra continuamente dubbi sul senso e sulla direzione del suo lavoro; è un antidoto alla presunzione, all’arroganza o all’abitudine. Ma i dubbi si pongono e si risolvono in equipe, non tra i ragazzi.
Questo significa che la relazione educativa non è democratica? E’ proprio questo il paradosso: educare alla democrazia è possibile anche (non solo: pensiamo alle pratiche di peer education) attraverso una relazione che formalmente non è democratica, perché c’è chi decide e chi no. E anche quando è l’educando a decidere, è l’educatore che “decide chi decide”. Indicare una strada significa assumersi una responsabilità, cosa che chi traveste la relazione educativa in relazione tra pari si guarda bene dal fare. Ovviamente un educatore deve imparare dai propri ragazzi, anzi questa è una delle sue principali qualità professionali. Ma la differenza consiste nel fatto che l’educatore ha tutto il carico delle relazione educativa, e quando impara dai suoi allievi in realtà sta insegnando qualcosa a se stesso. La nostra è un’idea molto forte di educatore, visto che i pensieri deboli hanno portato alla dissoluzione del pensiero, e con esso della pedagogia e dell’educazione.
Nessuna meta è mai certa in un mondo di cambiamenti repentini, nessun cammino è mai tracciato per sempre e definitivamente; ma come educatori non possiamo far naufragare i nostri ragazzi nella retorica per cui la strada si traccia solo percorrendola. “Caminante no hay camino” è uno splendido verso del grandissimo Antonio Machado, ma se lo vogliamo leggere in chiave educativa (come abbiamo sentito fare più volte e spesso senza nemmeno conoscere l’autore della poesia e la sua conclusione) allora occorre chiedersi se sia etico esporre i ragazzi all’”alto mar aperto” dell’assoluta incertezza che confina spesso con il più ancora assoluto relativismo (che è molto meno relativista di quanto sembri, facendo della relatività dei punti di vista il vero assoluto). I due poli opposti dell’arroganza del capo e della disperazione del naufrago non hanno cittadinanza nella relazione educativa. L’educatore è sfuggito al naufragio, è “fuor del pelago”, conosce l’Inferno e cerca di guidare il ragazzo a una qualche strada di salvezza; può darsi che non conosca del tutto la strada, che abbia paura delle sue buche e delle curve cieche, ma sa che una strada esiste.
In questo senso è possibile iniziare il cammino, in questo senso l’accompagnatore è qualcosa di diverso da un dittatore, da un amico, da un’anima sperduta. Occorre saper accendere di speranza e di fiducia l’anima di un ragazzo perché questi possa davvero iniziare il cammino insieme a noi e possa poi raccontare l’inizio dell’avventura educativa: “allor si mosse, e io li tenni dietro” (Inferno, 1, 136)

Inserito in NPG annata 2019.

Pedagogia dell’accompagnamento educativo /1

Raffaele Mantegazza

(NPG 2019-04-64)