Le scienze: dentro, “a confine” ed oltre…

volume a cura di Giuseppe Ruta, docente dell’Istituto di Catechetica

 

 

 

Gli Autori di questo volume collettaneo sono studiosi e cultori di varie scienze che si sono lasciati coinvolgere in questa riflessione
multidisciplinare a più voci sul tema dell’interdisciplinarità e transdisciplinarità in un contesto inedito, qual è il nostro, segnato da trasformazioni  e cambiamenti, non ultima la pandemia che ci ha trovati coinvolti in modo ineludibilmente inclusivo a livello
planetario.

La scelta per la tematica è stata fortemente sollecitata, e continua ad esserlo tuttora,  da vari e differenti stimoli culturali che all’unisono hanno espresso in questi ultimi decenni l’esigenza di non fermarsi entro i confini della propria scienza, disciplina e competenza, ma di provare a interagire su campi di ricerca condivisi e persino a spingersi “oltre” al fine di approdare ad una visione che sia olistica, più aperta e possibilmente condivisa sul mistero della vita umana, in un crescendo di passione investigativa e di desiderio di benessere integrale (ben-vivere) che comporta il ben-pensare e il ben-sentire.

Prendendo le mosse dal recente magistero di Papa Francesco (in particolare il Proemio di Veritatis gaudium, 2015) e dal gruppo di scienziati che hanno elaborato e sottoscritto il Manifesto sulla transdisciplinarità nel 1994, di cui è portavoce il fisico teorico Basarab Nicolescu, il volume raccoglie vari punti di vista: architettonico e urbanistico, bioetico e biomedico, catechetico, estetico, economico e finanziario, filosofico, giuridico, pedagogico, pragmatico-comunicativo, psicologico, sociologico e teologico. Si ha così una sinfonia di voci differenti nel tentativo di creare armonia e intesa.

Ad arricchire la concertazione dei contributi, è la parte antologica che raccoglie alcuni brani sull’argomento. Autori come
Antiseri, Bassong, Bruner, Papa Francesco, Freitas, Guardini, Jantsch, Lonergan, Maritain, Morin, Nicolescu, Ortega y Gasset, Piaget, Wenger sono noti, altri meno come Bambara, Bianco, Bonaccorso, Branchesi, Groppo, Marzocca, ma nel loro insieme offrono uno spaccato interessante sul tema. Senza pretesa di esaustività, il volume è teso ad aprire un varco e non esaurire le tante possibili traiettorie di ricerca, impresa mai raggiungibile e ritenuta in partenza umilmente e umanamente impossibile (dalla Presentazione).

Catechisti oggi in Italia.

Indagine Mixed Mode a 50 anni dal “Documento Base”

Nella felice ricorrenza del 50° anniversario del Documento Base, Il Rinnovamento della Catechesi (1970), il presente volume raccoglie i risultati più significativi di un’indagine sui catechisti italiani promossa dall’Istituto di Catechetica dell’Università Pontificia Salesiana (Roma). Ciò che appare è una nitida istantanea fotografica della situazione di quelli che sono i principali educatori nella fede in Italia.

Il volume si apre con la Prefazione del sociologo Roberto Cipriani, la Presentazione del Card. Marcello Semeraro e l’Introduzione dei catecheti Ubaldo Montisci e Antonino Romano.

L’originalità della presente Ricerca (2017-2020), oltre all’aggiornamento della situazione, sta nella sua duplice strutturazione qualitativa, a cura di Emanuele Carbonara e Antonino Romano, e quantitativa, curata da Teresa Doni, secondo il Mixed Mode attuato mediante un’innovativa metodologia di ricerca di cui si rende ragione nella prima parte del volume. D’intesa con i curatori, l’interpretazione dei dati è stata effettuata da vari esperti e cultori di catechetica, alcuni dei quali hanno fatto parte del team della Ricerca sin dall’ideazione.

La situazione catechistica in Italia è stata scandagliata secondo varie prospettive che richiamano i capisaldi del Documento BaseCosa rimane del DB nella consapevolezza dei catechisti di oggi? (G. Ruta), La natura teologica, pedagogica e comunicativa della catechesi (S. Soreca), Una catechesi per l’integrazione e interiorizzazione del messaggio nella vita (L. Meddi), La catechesi in una pastorale integrata e la sua incidenza nella cultura (V. Bulgarelli), I catechisti italiani: identità e auto-percezione (R. Paganelli), Missione e immagine di Chiesa nei catechisti italiani (P. Triani), I molti volti della comunità educante (F. Vanotti), Competenze, metodo, pratiche (G. Barbon), Articolazione del messaggio cristiano (J.L. Moral), Linguaggio e catechesi (L. Donati Fogliazza). Infine, Ubaldo Montisci firma le Annotazioni conclusive e prospettive.

Il quadro che viene proposto offre la mappa e la bussola per rilanciare la catechesi in Italia nell’orizzonte della “nuova evangelizzazione” il cui volano è costituito dalla formazione dei catechisti e dalla promozione di comunità cristiane adulte, capaci di “generare” alla fede.

 

Istituto di Catechetica – Università Pontificia Salesiana

Catechisti oggi in Italia. Indagine Mixed Mode a 50 anni dal “Documento Base”

Collana: Catechetica, Educazione e Religione, n. 9

Anno di pubblicazione: 2021

Pagine: 308

EREnews_XIX_1_2021

Come avrete occasione di leggere, e come anticipato lo scorso anno dal prof. Pajer, da quest’anno EREnews passa sotto la gestione di un comitato scientifico dell’Università Roma Tre.

Noi ringraziamo il prof. Flavio Pajer per la collaborazione che data da lungo tempo con l’Istituto di Catechetica e per aver messo a disposizione dei lettori del nostro sito il frutto del suo prezioso lavoro di ricerca.

Auguriamo a Lui e ai membri del nuovo Comitato scientifico la migliore riuscita e soddisfazione nelle molteplici attività che li attendono in futuro.

(Ubaldo Montisci, Direttore dell’Istituto di Catechetica).

All’interno dell’allegato le indicazioni per la sottoscrizione del nuovo abbonamento.

EREnews_XIX_1_2021

Catechesi per una nuova normalità. Alcune provocazioni.

Il 5 aprile 2021 si è tenuto il Webinar di presentazione del volume.

Il link: https://www.youtube.com/watch?v=6Wq_lYz64mc

 

I catecheti di tre diverse Università latinoamericane (Boston College, Pontificia Universidad di Rio di Janeiro e Instituto Escuela de la Fe del Cile) hanno riflettuto sul ruolo che è chiamata a svolgere la catechesi in tempo di pandemia.

Li ringraziamo per l’omaggio della pubblicazione dell’incontro  che mettiamo a disposizione dei nostri lettori.

Il volume “Catequesis para una nueva normalidad. Pistas provocativas” è in versione elettronica e a libero accesso, a questi link:

Catequesis para una Nueva Normalidad

Buona Pasqua !!!

«Già primavera così l’annunciava:

ecco è passato l’inverno di morte,

è sorto il sole che più non tramonta,

la vita ha vinto, per sempre risorta.

Uomini, più non temete la morte: 

dalle rocciose caverne mostrate 

i nuovi volti, la nuova natura: 

è il nostro Dio che è sempre nuovo»

(D. M. Turoldo)

 

L’ISTITUTO DI CATECHETICA VI AUGURA

UNA BUONA PASQUA DI RISURREZIONE!

Italia – Pastorale: credere social

Che cosa vuol dire stare sui social media da cattolici? Ma soprattutto, esiste davvero un modo cattolico per utilizzarli? Queste e molte altre riflessioni hanno guidato un interessante confronto in occasione del webinar «Catto-social: il fenomeno don Ravagnani e le sfide digitali per la Chiesa», organizzato da Vinonuovo.it e svoltosi lo scorso 16 febbraio. Fra i partecipanti anche lo stesso don Alberto.

Il boom sui social del ventisettenne sacerdote di Busto Arsizio, diventato celebre per aver trovato in YouTube un canale di dialogo con i suoi studenti e ragazzi dell’oratorio durante il primo lockdown, è stato l’occasione per discutere del loro ruolo nel mondo cattolico, fra i ragazzi e non solo. Di don Alberto avevamo già parlato a giugno nel numero 14 di Attualità 2020, ma da allora di cose ne sono successe molte e l’incontro è stato utile per raccontare quelle che potremmo definire delle vere e proprie esperienze di evangelizzazione digitale.

Fra gli ospiti anche la sociolinguista Vera Gheno e don Luca Peyron, coordinatore del Servizio per l’apostolato digitale della diocesi di Torino, che insieme a don Alberto hanno cercato d’indagare le sfide digitali che oggi la Chiesa è chiamata ad affrontare.

social media, nella definizione classica di Andreas Kaplan e Michael Haenlein (https://bit.ly/38phXCk) sono quel «gruppo di applicazioni basate su Internet che costituiscono i fondamenti ideologici e tecnologici del web 2.0 e che consentono la creazione e lo scambio di user-generated content», ovvero, di contenuti creati dagli utenti. La loro tipica caratteristica è quella dell’orizzontalità della comunicazione. È ciò che differenzia i social media dagli altri mezzi di comunicazione di massa, ossia la possibilità di creare e scambiare contenuti in una simultaneità che ci porta a essere sempre più connessi gli uni agli altri.

Raccontando la sua quotidianità sul web, don Alberto ha insistito sul concetto di comunicazione paritaria, e sul fatto che ciò che avviene sui social è spesso meno costruito di quello che accade sugli altri mezzi di comunicazione. Ci sarebbe cioè una maggiore spontaneità da parte degli utenti, senza però dimenticare rischi e pericoli di questo ambiente comunicativo in cui siamo immersi.

A tal proposito è utile menzionare qualche numero sulla crescente digitalizzazione che stiamo vivendo. Secondo l’agenzia di comunicazione We Are Social, nel 2020 – anno d’inizio della pandemia – in Italia erano oltre 1 milione le persone connesse a Internet per la prima volta, con un incremento del 2,2% che fa superare la soglia dei 50 milioni.

Sono poi oltre 2 milioni i nuovi utenti sbarcati sulle piattaforme social: un incremento quasi del 6% per un totale di 41 milioni (dati Global Digital Report 2021; https://bit.ly/30sWKTB). Sono dati significativi che evidenziano come la nostra società stia cambiando velocemente e con essa le relazioni sociali in cui tutti – anche i cattolici – si trovano a vivere quotidianamente.

social – e più in generale la Rete, in cui essi s’inseriscono – sono un ambiente che siamo chiamati ad abitare: esso pervade la nostra realtà, sia quella che si crea nella connessione sia in quella senza, determina le nostre abitudini e i nostri comportamenti. È dalla miscela di questi elementi che emerge quindi la necessità di un’educazione e di una formazione per stare su queste piattaforme, che ci portano a esporci pubblicamente al mondo.

Primo, la coerenza

Questa apertura amplifica le opportunità che abbiamo di entrare in relazione. La testimonianza di don Alberto racconta l’incontro con l’altro – potremmo dire con il «prossimo» – su Facebook, YouTube, Instagram, Tik Tok: «I social sono piazze dove tutti noi siamo chiamati a partecipare, ascoltare, interagire. Sono luoghi di relazione e grandi occasioni per crearne di nuove e autentiche anche fuori dal virtuale». Piazze che compongono una città più grande in cui scopriamo posti nuovi: navigare in Rete ci permette di scoprire nuove piazze virtuali e nuovi linguaggi da imparare per conoscere.

Come ad esempio, la novità del momento: ClubHouse. Si tratta di un social fatto solo di audio: si può solo parlare e ascoltare all’interno di «stanze» create appositamente per discutere, su invito, di una tematica. Ravagnani ha così pensato di crearne una dove ogni mattina legge e commenta il Vangelo. Un esercizio per recuperare il gusto della parola e la dimensione dell’ascolto, per un dialogo che passa oggi sempre più attraverso formati differenti ma complementari. Il linguaggio del digitale che ne deriva può così diventare uno strumento per comunicare meglio la fede e moltiplicare le opportunità di evangelizzazione.

La pandemia ci ha abituati a nuove forme comunicative, anche in campo religioso. La storia di don Ravagnani ne è un esempio, così come quella di molti altri religiosi e laici che con creatività hanno trovato nella Rete nuove strade di accompagnamento dei fedeli. Oggi sta forse nascendo una nuova generazione di credenti in grado di comunicare la propria fede con il linguaggio del digitale, ma ciò passa inevitabilmente dal nostro essere credenti anche fuori dai media.

Non esiste una versione social della fede, quanto piuttosto l’applicare coi linguaggi della Rete quella capacità d’ascolto, incontro e dialogo che dovrebbe caratterizzare la vita di fede. È probabilmente questa la risposta alle domande con cui abbiamo aperto l’articolo. Andare là dove sono le persone: una sfida storicamente importante per la Chiesa e con essa per ogni credente.

Giuliano Martino

Attualità, 6/2021, 15/03/2021, pag. 16

Avviare un Sinodo italiano

Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dall’Ufficio catechistico nazionale della Conferenza episcopale italiana

«Dopo cinque anni, la Chiesa italiana deve tornare al Convegno di Firenze, e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare». È l’invito che papa Francesco ha rivolto alla Chiesa italiana il 30 gennaio, incontrando l’Ufficio catechistico nazionale della Conferenza episcopale italiana.
In precedenza il papa aveva lanciato il suggerimento al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, nel 2015, immaginandolo come processo di approfondimento della Evangelii gaudium«per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni». E più recentemente il 20 maggio 2019, quando Francesco è tornato sull’argomento aprendo l’Assemblea della CEI, parlando di «probabile Sinodo per la Chiesa italiana».

Cari fratelli e sorelle,

vi do il benvenuto e ringrazio il card. Bassetti per le sue cortesi parole. Ha ripreso le forze, grazie! Saluto il segretario generale, mons. Russo, e tutti voi, che sostenete l’impegno della Chiesa italiana nell’ambito della catechesi. Sono contento di condividere con voi il ricordo del 60° anniversario della nascita dell’Ufficio catechistico nazionale. Istituito ancora prima della configurazione della Conferenza episcopale, esso è stato strumento indispensabile per il rinnovamento catechetico dopo il concilio Vaticano II. Questa ricorrenza è un’occasione preziosa per fare memoria, rendere grazie dei doni ricevuti e rinnovare lo spirito dell’annuncio. A questo scopo, vorrei condividere tre punti che spero possano aiutarvi nei lavori dei prossimi anni.

Catechesi e kerygma

Il primo: catechesi e kerygma. La catechesi è l’eco della parola di Dio. Nella trasmissione della fede la Scrittura – come ricorda il Documento di base – è «il Libro; non un sussidio, fosse pure il primo» (CEI, Il rinnovamento della catechesi, n. 107; ECEI 1/2687). La catechesi è dunque l’onda lunga della parola di Dio per trasmettere nella vita la gioia del Vangelo. Grazie alla narrazione della catechesi, la sacra Scrittura diventa «l’ambiente» in cui sentirsi parte della medesima storia di salvezza, incontrando i primi testimoni della fede. La catechesi è prendere per mano e accompagnare in questa storia. Suscita un cammino, in cui ciascuno trova un ritmo proprio, perché la vita cristiana non appiattisce né omologa, ma valorizza l’unicità di ogni figlio di Dio. La catechesi è anche un percorso mistagogico, che avanza in costante dialogo con la liturgia, ambito in cui risplendono simboli che, senza imporsi, parlano alla vita e la segnano con l’impronta della grazia.

Il cuore del mistero è il kerygma, e il kerygma è una persona: Gesù Cristo. La catechesi è uno spazio privilegiato per favorire l’incontro personale con lui. Perciò va intessuta di relazioni personali. Non c’è vera catechesi senza la testimonianza di uomini e donne in carne e ossa. Chi di noi non ricorda almeno uno dei suoi catechisti? Io lo ricordo: ricordo la suora che mi ha preparato alla prima comunione e mi ha fatto tanto bene. I primi protagonisti della catechesi sono loro, messaggeri del Vangelo, spesso laici, che si mettono in gioco con generosità per condividere la bellezza di aver incontrato Gesù. «Chi è il catechista? È colui che custodisce e alimenta la memoria di Dio; la custodisce in sé stesso – è un “memorioso” della storia della salvezza – e la sa risvegliare negli altri. È un cristiano che mette questa memoria al servizio dell’annuncio; non per farsi vedere, non per parlare di sé, ma per parlare di Dio, del suo amore, della sua fedeltà» (Omelia per la giornata dei catechisti nell’Anno della fede, 29.9.2013).

Per fare questo, è bene ricordare «alcune caratteristiche dell’annuncio che oggi sono necessarie in ogni luogo: che esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e religiosa» – tu sei amato, tu sei amata, questo è il primo, questa è la porta –, «che non imponga la verità e che faccia appello alla libertà» – come faceva Gesù –, «che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, e un’armoniosa completezza che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche. Questo esige dall’evangelizzatore alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio» – e quali sono queste disposizioni che ogni catechista deve avere? –: «Vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna» (esort. ap. Evangelii gaudium, n. 165; EV 29/2271). Gesù aveva questo. È l’intera geografia dell’umanità che il kerygma, bussola infallibile della fede, aiuta a esplorare.

E su questo punto – il catechista – riprendo una cosa che va detta anche ai genitori, ai nonni: la fede va trasmessa «in dialetto». Un catechista che non sa spiegare nel «dialetto» dei giovani, dei bambini, di coloro che… Ma con il dialetto non mi riferisco a quello linguistico, di cui l’Italia è tanto ricca, no, al dialetto della vicinanza, al dialetto che possa capire, al dialetto dell’intimità. A me tocca tanto quel passo dei Maccabei, dei sette fratelli (2Mac 7). Per due o tre volte si dice che la mamma li sosteneva parlando loro in dialetto («nella lingua dei padri»). È importante: la vera fede va trasmessa in dialetto. I catechisti devono imparare a trasmetterla in dialetto, cioè quella lingua che viene dal cuore, che è nata, che è proprio la più familiare, la più vicina a tutti. Se non c’è il dialetto, la fede non è tramessa totalmente e bene.

Catechesi e futuro

Il secondo punto: catechesi e futuro. L’anno scorso ricorreva il 50° anniversario del documento Il rinnovamento della catechesi, con cui la Conferenza episcopale italiana recepiva le indicazioni del Concilio. Al riguardo, faccio mie le parole di san Paolo VI, rivolte alla prima Assemblea generale della CEI dopo il Vaticano II: «Dobbiamo guardare al Concilio con riconoscenza a Dio e con fiducia per l’avvenire della Chiesa; esso sarà il grande catechismo dei tempi nuovi» (23.6.1966). E tornando sul tema, in occasione del I Congresso catechistico internazionale, egli aggiungeva: «È un compito che incessantemente rinasce e incessantemente si rinnova per la catechesi l’intendere questi problemi che salgono dal cuore dell’uomo, per ricondurli alla loro sorgente nascosta: il dono dell’amore che crea e che salva» (25.9.1971). Pertanto la catechesi ispirata dal Concilio è continuamente in ascolto del cuore dell’uomo, sempre con l’orecchio teso, sempre attenta a rinnovarsi.

Questo è magistero: il Concilio è magistero della Chiesa. O tu stai con la Chiesa e pertanto segui il Concilio, e se tu non segui il Concilio o tu l’interpreti a modo tuo, come vuoi tu, tu non stai con la Chiesa. Dobbiamo in questo punto essere esigenti, severi. Il Concilio non va negoziato, per avere più di questi… No, il Concilio è così. E questo problema che noi stiamo vivendo, della selettività rispetto al Concilio, si è ripetuto lungo la storia con altri Concili. A me fa pensare tanto un gruppo di vescovi che, dopo il Vaticano I, sono andati via, un gruppo di laici, dei gruppi, per continuare la «vera dottrina» che non era quella del Vaticano I: «Noi siamo i cattolici veri». Oggi ordinano donne. L’atteggiamento più severo, per custodire la fede senza il magistero della Chiesa, ti porta alla rovina. Per favore, nessuna concessione a coloro che cercano di presentare una catechesi che non sia concorde al magistero della Chiesa.

Come nel dopo Concilio la Chiesa italiana è stata pronta e capace nell’accogliere i segni e la sensibilità dei tempi, così anche oggi è chiamata a offrire una catechesi rinnovata, che ispiri ogni ambito della pastorale: carità, liturgia, famiglia, cultura, vita sociale, economia… Dalla radice della parola di Dio, attraverso il tronco della sapienza pastorale, fioriscono approcci fruttuosi ai vari aspetti della vita. La catechesi è così un’avventura straordinaria: come «avanguardia della Chiesa» ha il compito di leggere i segni dei tempi e di accogliere le sfide presenti e future. Non dobbiamo aver paura di parlare il linguaggio delle donne e degli uomini di oggi. Di parlare il linguaggio fuori dalla Chiesa, sì, di questo dobbiamo avere paura. Non dobbiamo avere paura di parlare il linguaggio della gente. Non dobbiamo aver paura di ascoltarne le domande, quali che siano, le questioni irrisolte, ascoltare le fragilità, le incertezze: di questo, non abbiamo paura. Non dobbiamo aver paura di elaborare strumenti nuovi: negli anni Settanta il Catechismo della Chiesa italiana fu originale e apprezzato; anche i tempi attuali richiedono intelligenza e coraggio per elaborare strumenti aggiornati, che trasmettano all’uomo d’oggi la ricchezza e la gioia del kerygma, e la ricchezza e la gioia dell’appartenenza alla Chiesa.

Catechesi e comunità

Terzo punto: catechesi e comunità. In questo anno contrassegnato dall’isolamento e dal senso di solitudine causati dalla pandemia, più volte si è riflettuto sul senso di appartenenza che sta alla base di una comunità. Il virus ha scavato nel tessuto vivo dei nostri territori, soprattutto esistenziali, alimentando timori, sospetti, sfiducia e incertezza. Ha messo in scacco prassi e abitudini consolidate e così ci provoca a ripensare il nostro essere comunità. Abbiamo capito, infatti, che non possiamo fare da soli e che l’unica via per uscire meglio dalle crisi è uscirne insieme – nessuno si salva da solo, uscirne insieme –, riabbracciando con più convinzione la comunità in cui viviamo. Perché la comunità non è un agglomerato di singoli, ma la famiglia in cui integrarsi, il luogo dove prendersi cura gli uni degli altri, i giovani degli anziani e gli anziani dei giovani, noi di oggi di chi verrà domani. Solo ritrovando il senso di comunità, ciascuno potrà trovare in pienezza la propria dignità.

La catechesi e l’annuncio non possono che porre al centro questa dimensione comunitaria. Non è il momento per strategie elitarie. La grande comunità: qual è la grande comunità? Il santo popolo fedele di Dio. Non si può andare avanti fuori del santo popolo fedele di Dio, il quale – come dice il Concilio – è infallibile in credendo. Sempre con il santo popolo di Dio. Invece, cercare appartenenze elitarie ti allontana dal popolo di Dio, forse con formule sofisticate, ma tu perdi quell’appartenenza alla Chiesa che è il santo popolo fedele di Dio.

Questo è il tempo per essere artigiani di comunità aperte che sanno valorizzare i talenti di ciascuno. È il tempo di comunità missionarie, libere e disinteressate, che non cerchino rilevanza e tornaconti, ma percorrano i sentieri della gente del nostro tempo, chinandosi su chi è al margine. È il tempo di comunità che guardino negli occhi i giovani delusi, che accolgano i forestieri e diano speranza agli sfiduciati. È il tempo di comunità che dialoghino senza paura con chi ha idee diverse. È il tempo di comunità che, come il buon Samaritano, sappiano farsi prossime a chi è ferito dalla vita, per fasciarne le piaghe con compassione. Non dimenticatevi questa parola: compassione. Quante volte, nel Vangelo, di Gesù si dice: «Ed ebbe compassione», «ne ebbe compassione».

Come ho detto al Convegno ecclesiale di Firenze, desidero una Chiesa «sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. (…) Una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza». Quanto riferivo allora all’umanesimo cristiano vale anche per la catechesi: essa «afferma radicalmente la dignità di ogni persona come figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria, l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura» (Discorso al V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze, 10.11.2015).

Ho menzionato il Convegno di Firenze. Dopo cinque anni, la Chiesa italiana deve tornare al Convegno di Firenze, e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare.

Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per quanto fate. Vi invito a continuare a pregare e a pensare con creatività a una catechesi centrata sul kerygma, che guardi al futuro delle nostre comunità, perché siano sempre più radicate nel Vangelo, comunità fraterne e inclusive. Vi benedico, vi accompagno. E voi, per favore, pregate per me, ne ho bisogno. Grazie!

 

Francesco

Documenti, 5/2021, 01/03/2021, pag. 139