Galileo 2009

Il congresso potrebbe portare ad una svolta storica della questione: coinvolti i massimi studiosi mondiali Galileo, Napolitano al convegno internazionale di Firenze Il Presidente della Repubblica inaugurerà ‘Il caso Galileo’ il 26 maggio Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano parteciperà all’inaugurazione del convegno internazionale di studi “Il caso Galileo.
Una rilettura storica, filosofica, teologica”, in programma a Firenze dal 26 al 30 maggio e organizzato dall’Istituto Stensen dei gesuiti di Firenze, diretto da Padre Ennio Brovedani sj, ideatore dell’iniziativa.
Il convegno verrà inaugurato martedì 26 maggio nella basilica di Santa Croce – mausoleo dei sommi italiani, dove si trova la tomba di Galileo – con le lectiones magistrales di Nicola Cabibbo (presidente della Pontificia Accademia delle Scienze) e Paolo Rossi (Professore emerito di Storia della Scienza dell’Università degli Studi di Firenze).
Oltre al Presidente della Repubblica, saranno presenti numerose autorità del mondo istituzionale italiano.
“Ritengo che, visti gli ampi strumenti che verranno messi sul tavolo, il convegno potrebbe portare realmente ad una svolta storica della complessa questione galileiana, una delle più scottanti della storia – ha detto Paolo Rossi – Il convegno affronta, con un’ampiezza finora intentata, tutti i temi essenziali: la condanna della dottrina di Copernico nel 1616 e il processo a Galileo del 1633; la genesi del “caso Galilei” nell’Italia, Francia e Inghilterra del Seicento; la storia di quel caso prima nell’Illuminismo e poi nell’Ottocento (nell’età del positivismo e del Risorgimento) e infine nel Novecento, fino a questi nostri giorni”.
“La partecipazione del Presidente della Repubblica – sottolinea P.
Brovedani – rivela che il Quirinale ha colto non solo l’evidente valore culturale del Convegno, ma anche e soprattutto la sua alta valenza politica.
La memoria del passato e la corretta contestualizzazione della ‘vicenda galileiana’ contribuirà sicuramente a favorire le condizioni per un rapporto di collaborazione e serenità tra la Chiesa e le istituzioni di ricerca, soprattutto nella prospettiva delle complesse e, a volte, inedite problematiche filosofiche ed etiche sollevate dalle prospettive della ricerca bio-tecno-scientifica contemporanea.” Il convegno fiorentino ha ottenuto l’adesione e la partecipazione di 18 autorevoli Istituzioni, che si ritrovano per la prima volta insieme dopo 400 anni.
Queste istituzioni, rappresentative di importanti settori della vita culturale e scientifica, sono storicamente coinvolte in una vicenda e in un evento che hanno fortemente caratterizzato l’intelligenza e la creatività italiane, innescando tuttavia tensioni mai completamente risolte nei rapporti tra la Chiesa e diversi ambiti della produzione intellettuale.
Al convegno interverranno i massimi esperti e studiosi mondiali del tema (teologi, storici, filosofi): tra gli altri, George Coyne, Evandro Agazzi, Nicola Cabibbo, Claus Arnold, Paolo Prodi, Adriano Prosperi, Annibale Fantoli, Jean-Robert Armogathe, Horst Bredekamp, Michele Ciliberto, Paolo Rossi e Paolo Galluzzi.
Per informazioni: WWW.GALILEO2009.ORG MERCOLEDÌ 27 MAGGIO PRIMA GIORNATA PALAZZO DEI CONGRESSI ore 8.30 registrazione  a sessione: Cosmologia e teologia: la condanna del 1616 Presiede Cesare Vasoli 09.15 Apertura dei lavori 09.30 Censura ecclesiastica e filosofia naturale negli anni di Galileo Vittorio Frajese 10.00 Il copernicanesimo e la teologia Mauro Pesce 10.30 Coffee-break 11.00 Des nouveautés célestes aux textes sacrés Maurice Clavelin 11.30 Teologie a confronto: Bellarmino, Campanella, Foscarini Paolo Ponzio 12.00 The Jesuits: Transmitters of Galilean Science Rivka Feldhay 12.30 Discussione 13.00 Pausa pranzo II a sessione: I due processi: premesse e contesti Presiede Isabelle Pantin 15.00 Natura e Scrittura Pietro Redondi 15.30 Il processo del 1633 Annibale Fantoli 16.00 I meccanismi di controllo sociale e il sistema di protezione: i Farnese di Roma e Galileo Federica Favino 16.30 Coffee-break 17.00 “Mirabile e veramente angelica dottrina”: Galileo e l’argomento di Urbano VIII Luca Bianchi 17.30 Discussione 18.30 Chiusura dei lavori GIOVEDÌ 28 MAGGIO SECONDA GIORNATA PALAZZO DEI CONGRESSI ore 8.30 registrazione I a sessione: La genesi del “caso Galileo” I Presiede Maurice Clavelin 09.15 Apertura dei lavori 09.30 Il “caso Galileo” nella cultura italiana del ‘600 Franco Motta 10.00 Il “caso Galileo” nella cultura inglese del ‘600 Franco Giudice 10.30 Coffee-break 11.00 Les premiers effets de l’“affaire Galilée” chez les libertins et philosophes français Isabelle Pantin 11.30 Galileo as the unpunished artist.
Peiresc’s argument Horst Bredekamp 12.00 Galileo e l’“accomodatio” copernicana Michele Camerota 12.30 Discussione 13.00 Pausa pranzo II a sessione: La genesi del “caso Galileo” II Presiede Michele Ciliberto 15.00 Il “caso Galileo” e la riflessione teologica Jean-Robert Armogathe 15.30 L’attività scientifica nell’ottica dei censori ecclesiastici, dalla “Licet ab initio” (1542) alla “Sollicita ac provida” (1753) Ugo Baldini 16.00 L’Illuminismo e il “caso Galileo” Vincenzo Ferrone 16.30 Coffee-break 17.00 Il “caso Galileo” e il Sant’Uffizio 1820-1822: fine della controversia? Francesco Beretta 17.30 Discussione 18.30 Chiusura dei lavori VENERDÌ 29 MAGGIO TERZA GIORNATA PALAZZO DEI CONGRESSI 8.30 registrazione I a sessione: Il “caso Galileo”: l’Ottocento Presiede Sergio Givone 09.15 Apertura dei lavori 09.30 Galileo e Bruno “martiri del libero pensiero” Michele Ciliberto 10.00 Galileo e le passioni del Risorgimento Massimo Bucciantini 10.30 Coffee-break 11.00 Il “caso Galileo” ed i neotomisti dell’Ottocento Luciano Malusa 11.30 The “Galileo Affair” and the “question biblique” Claus Arnold 12.00 La représentation de Galilée dans la peinture du XIXe siècle François de Vergnette 12.30 Discussione 13.00 Pausa pranzo II a sessione: Il “caso Galileo”: Il Novecento Presiede Jean-Robert Armogathe 15.00 Galilée et Bellarmin entre Duhem et Feyerabend Jean-François Stoffel 15.30 Galileo during the Nazi Time Volker R.
Remmert 16.00 Il Vaticano II, Paschini e Galileo Alberto Melloni 16.30 Coffee-break 17.00 Galileo judged: Urban VIII to John Paul II George Coyne 17.30 Discussione 18.30 Chiusura dei lavori                

Laicità della ragione, razionalità della fede?

A.A.V.V.
, Laicita’ della ragione razionalita’ della fede? la lezione di Ratisbona, CLAUDIANA, 2008, EAN : 9788870167469, € 15,00 A partire dalla cosiddetta “lezione di Ratisbona” del pontefice Benedetto XVI e dalla risposta del vescovo luterano di Berlino Huber, giuristi, politologi, teologi e filosofi si confrontano da posizioni diverse sul rapporto tra fede e ragione, interrogandosi sull’influenza della religione sulla sfera pubblica.
Dalla quarta di copertina: Dalla “lezione di Ratisbona” di Benedetto XVI alla replica del vescovo evangelico di Berlino, Wolfgang Huber: un problema che ha segnato la storia del cristianesimo occidentale si trova nuovamente al centro di un’accesa disputa sui criteri etici e politici della convivenza civile.
Fede e ragione oggi: non solo una riflessione sui fondamenti del cristianesimo e sui rapporti con la cultura religiosa e scientifica occidentale, ma una discussione sul rapporto tra religione e modernità, sul ruolo pubblico della religione e sulla laicità.
La crisi del pluralismo liberale, il “ritorno” del religioso sulla scena pubblica e il risorgere dei fondamentalismi ripropongono il nodo filosofico del rapporto tra fede e ragione.
Un testo dove giuristi e politologi, filosofi e teologi si confrontano e si incontrano nel tentativo di disegnare uno spazio di discussione tra credenti, protestanti e cattolici, e laici.

Vincere

La trama La storia tragica di Ida Dalser, prima moglie di Mussolini, che da lui ebbe un figlio, Benito Albino Mussolini, che morì con la madre in un ospedale psichiatrico di Milano dove il Duce li aveva fatti internare.  Cast tecnico Regia: Marco Bellocchio Sceneggiatura: Marco Bellocchio Musiche: Carlo Crivelli Fotografia: Daniele Ciprì Montaggio: Francesca Calvelli Scenografia: Marco Dentici Costumi: Sergio Ballo Cast Riccardo Paicher: Fausto Russo Alesi Benito Mussolini: Filippo Timi Ida Dalser: Giovanna Mezzogiorno Rachele Guidi: Michela Cescon Pietro Fedele: Pier Giorgio Bellocchio  Dati Anno: 2009 Nazione: Italia Distribuzione: 01 Distribution Durata: 128 min Data uscita in Italia: 20 maggio 2009 Genere: biografico,drammatico,storico Mussolini si affaccia al balcone e una folla immensa lo applaude: è una fantasia, o una premonizione, o una personale certezza, perché in quel momento la piazza è vuota e il futuro duce è completamente nudo, visto da dietro anche con un bel sedere, e ha appena fatto l´amore, a lungo, con molti gemiti, i celebri occhi di fuoco sempre scomodamente spalancati nell´amplesso, la mascella volitiva già protesa verso l´avvenire, con la sua bella amante, anche lei molto gemente, una delle tante, quella Ida Dalser che avrebbe poi sposato (forse) con matrimonio religioso nel settembre 1914.
Ma quanto è periglioso rievocare il dittatore Mussolini, tanto amato quanto odiato, quello che ci tramandano la storia e i tanti cinegiornali che oggi ci fanno ridere, al massimo del potere e dell´istrionismo, nei suoi anni giovani, quando passava dal socialismo al fascismo, dall´Avanti al Popolo d´Italia, dal pacifismo all´interventismo, e in più faceva con Rachele una piccina, Edda, e cinque anni dopo un piccino, Benito Albino, con Ida.
Vincere, l´unico film italiano invitato in concorso a Cannes, diretto da uno dei nostri registi più degni e amati, Marco Bellocchio, soprattutto nella prima metà non convince e quasi provoca un disagio che non si riesce a decifrare.
Forse perché la parte storica ovviamente frettolosa, evocata attraverso troppi filmati e titoli d´epoca e con un voluto ritmo “futurista”, soffoca il fulcro del film, che è la storia di una donna che pagò per tutta la vita un amore sbagliato e mai rinnegato, che osò opporsi sola e inerme a un uomo cui la maggior parte degli italiani credeva e ubbidiva e contro cui si mosse un crudele apparato di giudici, medici, spie, giornalisti preti, politici, poliziotti, funzionari, per dimostrarne l´inesistenza e la pazzia: e distruggerla.
Qualche aggancio col presente, con il muro mediatico che si è alzato contro una moglie che ha detto basta al matrimonio con l´uomo che oggi in Italia è il più amato, il più ricco, il più ubbidito, il più potente? Sarebbe un´esagerazione, anche perché la storia, tutta la storia, è piena di donne che la ragion di Stato ha sacrificato alla vanità e ai capricci del principe ma anche di donne che sul principe e la sua corte hanno finito col prevalere.
Il Mussolini gagà di Filippo Timi è un po´ caricaturale, anche se volutamente i baci appassionati paiono quelle dei film con Rodolfo Valentino, la Ida di Giovanna Mezzogiorno è commovente.
Ida morirà di dolore e torture mediche nel 1937, a 57 anni, Benito Albino nel 1942, a 26 anni; Mussolini finirà peggio e solo pochi anni dopo.
  Le altre recensioni Mariarosa Mancuso (Il Foglio) Lietta Tornabuoni (La Stampa) Carlos Boyero (El Pais) Jean-Luc Douin (Le Monde) Luca Pellegrini (Osservatore Romano) Natasha Senjanovic (Hollywood Reporter) Paolo Mereghetti (Il corriere della sera) Lee Marshall (Screen International) Jay Weissberg (Variety)  Gabriella Gallozzi (l’Unità) Maurizio Cabona (il Giornale)

Ascensione del Signore Gesù Anno B

Il cielo Con l’immagine e la parola “cielo”, che si connette al simbolo di quanto significa “in al-to”, al simbolo cioè dell’altezza, la tradizione cristiana definisce il compimento, il perfezio-namento definitivo dell’esistenza umana mediante la pienezza di quell’amore verso il qua-le si muove la fede.
Per il cristiano, tale compimento non è semplicemente musica del futuro, ma rappre-senta ciò che avviene nell’incontro con Cristo e che, nelle sue componenti essenziali, è già fondamentalmente presente in esso.
Domandarsi dunque che cosa significhi “cielo” non vuol dire perdersi in fantasticherie, ma voler conoscere meglio quella presenza nascosta che ci consente di vivere la nostra esi-stenza in modo autentico, e che tuttavia ci lasciamo sempre nuovamente sottrarre e coprire da quanto è in superficie.
Il “cielo” è, di conseguenza, innanzi tutto determinato in senso cristologico.
Esso non è un luogo senza storia, “dove” si giunge; l’esistenza del “cielo” si fonda sul fatto che Gesù Cristo come Dio è uomo, sul fatto che egli ha dato all’essere del-l’uomo un posto nell’essere stesso di Dio (K.
Rahner, La risurrezione della carne, p.
459).
L’uomo è in cielo quando e nella misura in cui egli è con Cristo e trova quindi il luogo del suo essere uomo nell’essere di Dio.
In questo modo, il cielo è prima di tutto una realtà personale, che rimane per sempre improntata dalla sua origine storica, cioè dal mistero pasquale della morte e risurrezione.
(Joseph Ratzinger/BENEDETTO XVI, Imparare ad amare.
Il cammino di una famiglia cri-stiana, Milano/Cinisello Balsamo/Città del Vaticano, San Paolo/Editrice Vaticana, 2007, 131).
L’ascensione di Gesù e la nostra ascensione Quando nel rito liturgico dell’eucaristia siamo invitati a «innalzare i nostri cuori», ri-spondiamo: «Sono rivolti al Signore», a quel Signore che è asceso in alto, a colui che non è più qui, ma che è risorto, è apparso agli apostoli ed è scomparso dalla vista.
Sempre, ma specialmente in questo giorno nel quale commemoriamo la sua risurrezione e la sua a-scensione, noi siamo spinti ad ascendere in spirito come il Salvatore, che ha vinto la morte e ha aperto il regno del cielo a tutti i credenti.
Molti uomini però non ascoltano il richiamo della liturgia; essi sono impediti, anzi pos-seduti, assorbiti dal mondo, e non possono elevarsi perché non hanno ali.
La preghiera e il digiuno sono stati definiti le ali dell’anima, e quelli che non pregano e non digiunano, non possono seguire il Cristo.
Non possono innalzare a lui i cuori.
Non hanno il tesoro in alto, ma il loro tesoro, il loro cuore e le loro facoltà sono sulla terra; la terra è la loro eredità e non il cielo.
[…] Al contrario le anime sante prendono una via diversa; esse sono risorte con Cristo e sono come persone salite su una montagna e ora si riposano sulla cima.
Tutto è rumore e frastuono, nebbia e tenebra ai suoi piedi; ma sulla vetta tutto è così calmo, cosi tranquillo e sereno, così puro e chiaro, così luminoso e celeste che per loro è come se il tu-multo della valle non risuonasse al di sotto, e le ombre e le tenebre non ci fossero.
(John Henry Newman).
«Rimanete saldi nella fede» Cari fratelli e sorelle, il motto del mio pellegrinaggio in terra polacca, sulle orme di Giovanni Paolo II, è costituito dalle parole: «Rimanete saldi nella fede!».
L’esortazione rac-chiusa in queste parole è rivolta a tutti noi che formiamo la comunità dei discepoli di Cri-sto, è rivolta a ciascuno di noi.
La fede è un atto umano molto personale, che si realizza in due dimensioni.
Credere vuol dire prima di tutto accettare come verità quello che la nostra mente non comprende fino in fondo.
Bisogna accettare ciò che Dio ci rivela su se stesso, su noi stessi e sulla realtà che ci circonda, anche quella invisibile, ineffabile, inimmaginabile.
Questo atto di accettazione della verità rivelata allarga l’orizzonte della nostra conoscenza e ci permette di giungere al mistero in cui è immersa la nostra esistenza.
Un consenso a ta-le limitazione della ragione non si concede facilmente.
Ed è proprio qui che la fede si manifesta nella sua seconda dimensione: quella di affi-darsi a una persona – non a una persona ordinaria, ma a Cristo.
È importante ciò in cui crediamo, ma ancor più importante è colui a cui crediamo.
Abbiamo sentito le parole di Gesù: «Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (At 1,8).
Secoli fa queste parole giunsero anche in terra polacca.
Esse costituirono e continuano costantemente a costituire una sfida per tutti coloro che ammet-tono di appartenere a Cristo, per i quali la sua causa è la più importante.
Dobbiamo essere testimoni di Gesù che vive nella Chiesa e nei cuori degli uomini.
È lui ad assegnarci una missione.
Il giorno della sua Ascensione in cielo disse agli apostoli: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura…
Allora essi partirono e predicarono dapper-tutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano» (Mc 16,15.20).
[…] Prima di tornare a Roma, per continuare il mio ministero, esorto tutti voi, ricolle-gandomi alle parole che Giovanni Paolo II pronunciò qui nell’anno 1979: «Dovete essere forti, carissimi fratelli e sorelle! Dovete essere forti di quella forza che scaturisce dalla fede! Dovete essere forti della forza della fede! Dovete essere fedeli! Oggi più che in qual-siasi altra epoca avete bisogno di questa forza.
Dovete essere forti della forza della speran-za, che porta la perfetta gioia di vivere e non permette di rattristare lo Spirito Santo! Dove-te essere forti dell’amore, che è più forte della morte…
Dovete essere forti della forza della fede, della speranza e della carità, consapevole, matura, responsabile, che ci aiuta a stabili-re…
il grande dialogo con l’uomo e con il mondo in questa tappa della nostra storia: dialo-go con l’uomo e con il mondo, radicato nel dialogo con Dio stesso col Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo -, dialogo della salvezza” (10 giugno 1979, Omelia, n.
4).
Anch’io, Benedetto XVI, successore di papa Giovanni Paolo II, vi prego di guardare dalla terra il cielo – di fissare Colui che – da duemila anni – è seguito dalle generazioni che vivono e si succedono su questa nostra terra, ritrovando in lui il senso definitivo dell’esi-stenza.
Rafforzati dalla fede in Dio, impegnatevi con ardore nel consolidare il suo Regno sulla terra: il Regno del bene, della giustizia, della solidarietà e della misericordia.
Vi prego di testimoniare con coraggio il Vangelo dinanzi al mondo di oggi, portando la speranza ai poveri, ai sofferenti, agli abbandonati, ai disperati, a coloro che hanno sete di libertà, di ve-rità e di pace.
Facendo del bene al prossimo e mostrandovi solleciti per il bene comune, te-stimoniate che Dio è amore.
Vi prego, infine, di condividere con gli altri popoli dell’Europa e del mondo il tesoro della fede, anche in considerazione della memoria del vostro connazionale che, come suc-cessore di san Pietro, questo ha fatto con straordinaria forza ed efficacia.
E ricordatevi an-che di me nelle vostre preghiere e nei vostri sacrifici, come ricordavate il mio grande pre-decessore, affinché io possa compiere la missione affidatami da Cristo.
Vi prego, rimanete saldi nella fede! Rimanete saldi nella speranza! Rimanete saldi nella carità! Amen! (BENEDETTO XVI, Omelia a Cracovia- Blonie, 28 maggio 2006, in J.
RATZIN-GER/BENEDETTO XVI, Giovanni Paolo II.
Il mio amato predecessore, Cinisello Balsamo/Città del Vaticano, San Paolo/Libreria Editrice Vaticana, 2007, 108-112).
Abbiamo creduto in lui e ne aspettiamo il ritorno Fratelli, noi crediamo in quel Gesù che non hanno creduto i nostri occhi.
A noi Gesù lo hanno annunciato coloro che lo hanno veduto, l’hanno stretto con le loro mani, hanno udito le parole uscite dalla sua bocca.
Essi, affinché tutti gli uomini accettassero le sue pa-role, furono inviati da lui; non osarono andare di loro iniziativa.
Dove furono mandati? L’avete sentito dalla lettura del Vangelo: «Andate, predicate il Vangelo a ogni creatura che è sotto il cielo» (Mc 16,15).
I discepoli furono dunque inviati in ogni parte del mondo, con la testimonianza di prodigi e segni miracolosi perché gli uomini credessero che essi riferi-vano cose da loro stessi viste.
Noi abbiamo creduto in colui che non abbiamo visto con i nostri occhi e ne aspettiamo il ritorno.
Chiunque lo aspetta con fede, sarà ripieno di gioia, quando ritornerà.
[…] Restiamo dunque fedeli alla sua parola, perché non proviamo confu-sione quando ritornerà.
Egli infatti nel vangelo a quelli che avevano creduto in lui dice: «Se rimarrete nelle mie parole, sarete veramente miei discepoli» (Gv8,31).
E quasi gli chie-dessero: Con quale vantaggio? «Voi conoscete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32).
Attualmente la nostra salvezza è oggetto di speranza, perché ancora non è stata realizzata; ancora non possediamo ciò che è stato promesso e tuttavia ne speriamo la futura realizza-zione.
Colui che ha fatto questa promessa è fedele; egli non ti inganna: tocca a te unica-mente non mancargli di fiducia, ma attendere la realizzazione delle sue promesse.
La veri-tà non conosce inganni.
Non voler esser tu il bugiardo, altra cosa professando e altra fa-cendo; conserva la fede e lui manterrà fede alla sua promessa.
Se non avrai conservato la fede, sarai stato tu a defraudarti, non certo chi ti ha fatto la promessa.
(AGOSTINO DI IPPONA, Commento all’epistola di san Giovanni 4,2, NBA XXIV, pp.
1708-1709).
Sii un vero amico Le vere amicizie sono durature perché il vero amore è eterno.
L’amicizia nella quale il cuore parla al cuore è un dono di Dio, e nessun dono che viene da Dio è temporaneo od occasionale.
Tutto ciò che viene da Dio partecipa della vita eterna di Dio.
L’amore tra le persone, quando è dato da Dio, è più forte della morte.
In questo senso la vera amicizia continua al di là dei confini della morte.
Quando hai amato profondamente, quell’amore può crescere anche più forte dopo la morte della persona che ami.
È questo il centro del messaggio di Gesù.
Quando Gesù è morto, l’amicizia dei discepoli con lui non è scemata.
Al contrario, è cresciuta.
È questo il significato dell’invio dello Spirito.
Lo Spirito di Gesù ha reso duratura l’ami-cizia di Gesù con i suoi discepoli, più forte e più intima di prima della sua morte.
È questo che Paolo ha sperimentato quando diceva: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).
Devi avere fiducia che ogni vera amicizia non ha fine, che esiste una comunione dei santi tra tutti coloro, viventi o defunti, che hanno veramente amato Dio e si sono amati l’un l’altro.
Sai dall’esperienza quanto questo sia reale.
Coloro che hai amato profondamen-te e che sono morti continuano a vivere in te, non solo come ricordi, ma come presenze re-ali.
Osa amare ed essere un vero amico.
L’amore che dai e ricevi è una realtà che ti condur-rà sempre più vicino a Dio e a coloro che Dio ti ha dato da amare.
(H.J.M.
NOUWEN, La voce dell’amore, Brescia, Queriniana, 2005, 111-112).
«Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo»(At 1,11).
[…] Nella risposta a questa domanda è racchiusa la verità fondamentale sulla vita e sul destino dell’uomo.
La domanda in questione si riferisce a due atteggiamenti connessi con le due realtà, nelle quali è inscritta la vita dell’uomo: quella terrena e quella celeste.
Prima la realtà ter-rena: «Perché state?» – Perché state sulla terra? Rispondiamo: Stiamo sulla terra perché il Creatore ci ha posto qui come coronamento all’opera della creazione.
L’onnipotente Dio, conformemente al suo ineffabile disegno d’amore, creò il cosmo, lo trasse dal nulla.
E, do-po aver compiuto quest’opera, chiamò all’esistenza l’uomo, creato a propria immagine e somiglianza (cfr.
Gn 1,26-27).
Gli elargì la dignità di figlio di Dio e l’immortalità.
Sappia-mo, però, che l’uomo si smarrì, abusò del dono della libertà e disse “no” a Dio, condannan-do in questo modo se stesso a un’esistenza in cui entrarono il male, il peccato, la sofferen-za e la morte.
Ma sappiamo anche che Dio stesso non si rassegnò a una situazione del ge-nere ed entrò direttamente nella storia dell’uomo e questa divenne storia della salvezza.
“Stiamo sulla terra”, siamo radicati in essa, da essa cresciamo.
Qui operiamo il bene sugli estesi campi dell’esistenza quotidiana, nell’ambito della sfera materiale, e anche nell’ambi-to di quella spirituale: nelle reciproche relazioni, nell’edificazione della comunità umana, nella cultura.
Qui sperimentiamo la fatica dei viandanti in cammino verso la meta lungo strade intricate, tra esitazioni, tensioni, incertezze, ma anche nella profonda consapevolez-za che prima o poi questo cammino giungerà al termine.
Ed è allora che nasce la riflessio-ne: Tutto qui? La terra su cui “ci troviamo” è il nostro destino definitivo? In questo contesto occorre soffermarsi sulla seconda parte dell’interrogativo riportato nella pagina degli Atti: «Perché state a guardare il cielo?».
Leggiamo che quando gli apo-stoli tentarono di attirare l’attenzione del Risorto sulla questione della ricostruzione del regno terrestre di Israele, egli «fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo».
Ed essi «stavano fissando il cielo mentre egli se n’andava» (At 1,9-10).
Sta-vano dunque fissando il cielo, poiché accompagnavano con lo sguardo Gesù Cristo, croci-fisso e risorto, che veniva sollevato in alto.
Non sappiamo se si resero conto in quel mo-mento del fatto che proprio dinanzi a essi si stava schiudendo un orizzonte magnifico, in-finito, il punto d’arrivo definitivo del pellegrinaggio terreno dell’uomo.
Forse lo capirono soltanto il giorno di Pentecoste, illuminati dallo Spirito Santo.
Per noi, tuttavia, quell’even-to di duemila anni fa è ben leggibile.
Siamo chiamati, rimanendo in terra, a fissare il cielo, a orientare l’attenzione, il pensiero e il cuore verso l’ineffabile mistero di Dio.
Siamo chia-mati a guardare nella direzione della realtà divina, verso la quale l’uomo è orientato sin dalla creazione.
Là è racchiuso il senso definitivo della nostra vita.
(BENEDETTO XVI, Omelia a Cracovia- Blonie, 28 maggio 2006, in J.
RATZIN-GER/BENEDETTO XVI, Giovanni Paolo II.
Il mio amato predecessore, Cinisello Balsamo/Città del Vaticano, San Paolo/Libreria Editrice Vaticana, 2007, 106-107).
Preghiera Gesù, vorremmo sapere che cosa sia stato per te tornare nel seno del Padre, tornarci non solo quale Dio, ma anche quale uomo, con le mani, i piedi e il costato piagati d’amore.
Sappiamo che cosa è tra noi il distacco da quelli che amiamo: lo sguardo li segue più a lungo che può…
Il Padre conceda anche a noi, come agli apostoli, quella luce che illumina gli occhi del cuore e che ti fa intuire Presente, per sempre.
Allora potremo fin d’ora gustare la viva spe-ranza a cui siamo chiamati e abbracciare con gioia la croce, sapendo che l’umile amore immolato è l’unica forza atta a sollevare il mondo.
Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:   – Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006- .
– Comunità monastica Ss.
Trinità di Dumenza, La voce, il volto, la casa e le strade.
Quaresima e tempo di Pasqua, Milano, Vita e Pensiero, 2008-2009, pp.
71.
– La Bibbia per la famiglia, a cura di G.
Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
– J.
RATZINGER/BENEDETTO XVI, Giovanni Paolo II.
Il mio amato predecessore, Cinisello Balsamo/Città del Vaticano, San Paolo/Libreria Editrice Vaticana, 2007 – Enzo BIANCHI, Il pane di ieri, Torino, Einaudi, 2008, 53-54 – C.M.
MARTINI, Incontro al Signore risorto.
Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.
LECTIO – ANNO B Prima lettura: Atti 1,1-11 Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e inse-gnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.
Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio.
Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».
Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ri-costituirai il regno per Israele?».
Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».
Detto questo, mentre lo guardava-no, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi.
Essi stavano fissando il cie-lo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».
Se il Vangelo di Marco è molto rapido ed essenziale nel parlarci dell’ascensione di Gesù al cielo, il libro degli Atti tenta di «descrivercela» quasi visivamente nella seconda parte del brano oggi propostoci (At 1,6-11).
Stando al racconto di Luca, sembra che si tratti dell’ultima «cristofania», concessa da Gesù agli Apostoli, i quali peraltro si dimostrano ancora impreparati alla comprensione del mistero di Cristo: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?» (v.
6).
Pur dopo la risurrezione, essi pensano terrenisticamente! Gesù supera la loro incom-prensione, rimandando alla discesa dello Spirito la piena illuminazione del suo mistero ed anche della loro missione in ordine a quel mistero: «Non spetta a voi conoscere tempi o mo-menti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra» (1,7-8).
Come si vede, anche qui siamo davanti ad un mandato «missionario»,di tipo universali-stico: si parte, com’era ovvio e doveroso, dalla patria stessa di Gesù, per arrivare «fino agli estremi confini della terra».
Il libro degli Atti, conforme a questo comando di Gesù ci illu-strerà successivamente le varie tappe di questa evangelizzazione, che Paolo porterà perfi-no a Roma, nel cuore cioè dell’immenso impero che dominava tutto il mondo allora cono-sciuto.
Anche qui la «forza» per adempiere questo compito immane non viene garantita dalle deboli ed impari risorse umane dei discepoli, ma dalla irruzione e dalla continua assisten-za dello Spirito.
Nel capitolo 2 del libro degli Atti, infatti, Luca ci descriverà la impetuosa discesa dello Spirito e la sua potenza di «trasformazione» dell’anima e dei sentimenti degli Apostoli: da timidi ed impauriti com’erano, diventeranno intrepidi e inarrestabili annun-ciatori e testimoni del Risorto.
È ancora Cristo che «opera insieme a loro»: non direttamen-te, ma mediante lo Spirito che egli invierà da parte del Padre (cf.
At 2,32-33).
Dopo aver dato loro il suo «mandato» missionario, Gesù «fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi» (At 1,9).
Abbiamo già detto della tristezza degli Apostoli nel vedersi «sottrarre» il Risorto.
Quello che conta, però, non è la sua presenza fisica, ma la convinzio-ne di fede che egli sarà sempre con i suoi, con la potenza dello Spirito, sino al momento del suo «ritorno» glorioso, come proclamano i due misteriosi personaggi «in vesti candide»: «Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo» (At 1,11).
In questo intervallo di tempo, che è già durato più da 2000 anni e non sappiamo per niente quanto durerà ancora, tocca ai suoi discepoli, cioè alla sua Chiesa, allargare gli «spazi» della sua signoria, rendergli testimonianza, facendolo conoscere ed amare da tutti gli uomini.
È così che il suo «regno» si stabilisce anche lungo la storia, fra gli uomini, per mezzo di altri uomini.
È a livello di queste considerazioni che possiamo comprendere la «indispensabilità» della Chiesa nel mondo, in attesa del «ritorno» glorioso di Cristo: anzi, proprio per «pre-parare» e predisporre tutti e tutto, anche il convivere sociale, a quell’incontro con il Signo-re dell’universo, essa è destinata! Seconda lettura: Efesini 4,1-13 Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera de-gna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sop-portandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.
Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la spe-ranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo.
Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tut-ti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.
A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo.
Per questo è detto: «Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini».
Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose.
Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a com-piere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.
A proposito della Chiesa, perché compia la sua missione di testimonianza nel mondo, anzi di rappresentanza «vicaria» di Cristo, e in tal modo anticipare addirittura la venuta del «regno», dice delle cose stupende il brano della lettera agli Efesini, oggi proposta alla nostra considerazione.
Due mi sembrano le idee di fondo che guidano il testo, troppo ricco per entrare nei suoi dettagli esegetici.
La prima è quella della «unità» di quel «corpo» meraviglioso che è la Chiesa: in essa, proprio per questa esigenza fondamentale, ci deve essere circolazione di «amore», che si manifesta nell’umiltà e nella capacità di «sopportazione» reciproca, allo scopo di «conserva-re l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace» (Ef 4,3).
Ci sono troppi motivi di «unione» che obbligano i cristiani a fare «comunione» fra di lo-ro.
Una Chiesa «divisa» non rende buona testimonianza né a Cristo, né allo Spirito, che è essenzialmente «Spirito di amore»! E perciò è destinata ad essere fatalmente inerte, se non controproducente.
«Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo…» (4,4-5).
La seconda idea, che viene espressa in questo testo e non è per niente antitetica alla prima, è che nella Chiesa, pur nella più rigorosa «unità», c’è una «molteplicità» di «doni», di «carismi» o di «ministeri» che dir si voglia, che permettono, anzi esigono, che tutti dia-no il loro contributo per la crescita armonica di quell’unico «corpo», di cui tutti siamo «membra».
E la cosa che più sorprende è che proprio il Cristo, «asceso al di sopra di tutti i cieli» (4,10), ha voluto concedere questi «doni» alla sua Chiesa: essi, pertanto, non sono tanto delle acquisizioni nostre, che nascono da «prediposizioni» di natura e perciò da rivendica-re a tutti i costi, quanto «doni» che vengono dall’alto, da esercitare perciò con grande senso di «responsabilità» per il bene di tutti.
«A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secon-do la misura del dono di Cristo» (4,7).
Si noti l’espressione «a ciascuno di noi»: perciò ogni battezzato non può non avere uno spazio nella Chiesa! A modo di esemplificazione, vengono poi ricordati alcuni «ministeri» tra i più fonda-mentali nella Chiesa: «Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad al-tri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e del-la conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (4,11-13).
Come si vede, i «ministeri» qui ricordati non sono dati per esercitare un «dominio» nel-la Chiesa, come talvolta, da qualcuno si è pensato o si potrebbe pensare, ma un «servizio» di crescita comune.
Il traguardo per tutti, siano essi apostoli, o profeti, o pastori, o qualsia-si altra cosa, è quello di «crescere» e far «crescere» fino a raggiungere «la misura della pie-nezza di Cristo» (4,13).
Il che è tremendamente impegnativo per tutti.
Vangelo: Marco 16,15-20 In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura.
Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato.
Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderan-no in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporran-no le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i se-gni che la accompagnavano.
Esegesi Come è risaputo da tutti, questa parte «conclusiva» del Vangelo di Marco (16,9-20) è stata aggiunta successivamente da qualche autore che non conosciamo.
Non è che Marco ignorasse questi eventi: è che egli ha voluto chiudere il suo Vangelo con lo «stupore» delle donne davanti al sepolcro vuoto e all’annuncio che Gesù è stato risuscitato da morte (Mc 16,6-8).
Ed è proprio questo «stupore» che dovrà accompagnare sempre i credenti nel Si-gnore risorto! Comunque, tutto questo non crea per noi alcun problema, perché siamo davanti ad un testo egualmente «ispirato» e come tale riconosciuto dalla Chiesa.
Cerchiamo perciò di metterne in evidenza il ricco e molteplice contenuto.
Si tratta dell’ultima «cristofania» del Risorto ai suoi Apostoli ai quali viene affidato un mandato «missionario» universale.
Abbiamo detto sopra che l’ascensione al cielo non era l’abbondono di Gesù, ma solo un suo «momentaneo» allontanamento.
Nel frattempo gli Apostoli avrebbero dovuto prolun-garne l’opera di salvezza, annunciando il suo «Vangelo» ad ogni creatura.
Perciò essi ven-gono rivestiti di un compito di rappresentanza «vicaria» del Cristo, da realizzare ed esten-dere per tutto l’arco della storia.
È attraverso degli uomini che Cristo verrà ormai «annun-ciato» ad altri uomini! È questo il suo mandato «testamentario»: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura.
Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato» (16,15-16).
Due cose sono da sottolineare in questo «comando» del Signore.
Prima di tutto la sua «universalità»: è «in tutto il mondo» che vengono inviati gli Apostoli; il Vangelo deve es-sere predicato «ad ogni creatura», senza escludere nessuna razza umana, in qualunque parte della terra essa abiti.
In secondo luogo, si esige l’accoglienza, per «fede», del dono del «Vangelo», congiunto con il rito del «battesimo», che anche simbolicamente significa la rinascita a vita nuova, come un autentico «lavaggio» dalle sozzure della vita precedente.
Dunque «fede» e «battesimo», intimamente congiunti e vissuti dai cristiani, sono le «vie» che portano alla salvezza.
E se così sarà e i cristiani vivranno in tal modo, potranno compiere anche «gesti» stra-ordinari, così come capiterà agli Apostoli che parlano «nuove lingue» il giorno di Penteco-ste, proprio in ordine all’annuncio del Vangelo (At 2,4,11); oppure a Paolo che, morso da una vipera, la getta a terra senza riceverne alcun male (At 28,3-5), e altri fatti simili che si sono verificati, e continuano a verificarsi, lungo la storia.
Ed effettivamente il Vangelo di Marco si chiude con l’affermazione che tutto questo è avvenuto: «Allora essi partirono e pre-dicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano» (16,20).
Ma si tratterà solo di «segni» che possono solo testimoniare che la «salvezza» procurata dal Vangelo è «totale», includente, oltre l’anima, anche il nostro corpo sofferente.
Per l’autore però è importante affermare che tutto ciò avviene come frutto della «perdu-rante» azione di Cristo che, pur salendo al cielo, non ha abbandonato la sua Chiesa e gli annunciatori del suo Vangelo, ma «opera insieme a loro» proprio in virtù del «potere» che gli deriva dall’essersi assiso «alla destra» del Padre: «Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio» (16,19).
Meditazione Il passo evangelico che la liturgia fa proclamare in questa festa è tratto dalla cosiddetta «conclusione canonica» del racconto di Marco, un epilogo aggiunto da un redattore poste-riore per dare seguito alla finale troppo brusca e insolita dello scritto originario, che termi-nava con il v.
8.
Questo secondo finale ci presenta un rapido sommario dei racconti di ap-parizione del Risorto chiuso dalla breve menzione dell’ascensione al cielo di Gesù e della successiva missione universale dei discepoli.
Dopo l’apparizione a Maria di Magdala (vv.
9-11) e a due discepoli in cammino (vv.
12-13), il Risorto appare agli Undici (v.
14).
Prima però di affidare loro il compito missionario dell’annuncio evangelico «a ogni creatura» (v.
15), è da notare che Gesù li rimprovera severamente «per la loro incredulità e durezza di cuore» (v.
14b).
Ritorna, alla fine, un tema caratteristico della narrazione marciana che at-traversa da cima a fondo tutto il libro: l’incredulità dei discepoli.
E ritorna con insistenza, a più riprese, come un ritornello martellante (cfr.
vv.
11.13.14.16).
Ma è proprio in questo contesto che emerge, per contrasto, tutta l’ostinata fedeltà del Signore che non esita ad affi-dare sua missione a dei discepoli rivelatisi quantomeno inaffidabili.
Il vangelo è messo così in fragili mani di uomini increduli e titubanti affinché compia la sua corsa fino agli estremi confini del mondo.
È singolare il fatto che destinataria della missione evangelizzatrice non è solamente l’u-manità intera ma «tutta la creazione» (così recita letteralmente il v.
15).
C’è qui una dimen-sione cosmica che non va sottaciuta: tutto l’universo creato è coinvolto in quel dinamismo di salvezza scaturito dalla Pasqua di Gesù e deve anch’esso ricevere la Buona Novella che rinnova e trasfigura ogni cosa.
Paolo non dirà forse che anche la creazione attende con im-pazienza la sua liberazione e redenzione (cfr.
Rm 8,19 ss.)? «Chi crederà…
chi non crederà…» (v.
16).
Tutto si gioca tra fede e incredulità, tra acco-glienza e rifiuto del vangelo, che rimane l’unico oggetto della predicazione apostolica.
Già all’inizio del suo ministero Gesù invitava alla conversione e alla fede dinanzi all’avvicinar-si del Regno (cfr.
Mc 1,15), ora, da Risorto, rilancia il suo appello perché il dono incompa-rabile del vangelo non vada inutilmente sprecato.
I segni che accompagnano «quelli che credono» – e dunque non solo i missionari – sono conferme della Parola annunciata e ac-colta nella fede.
Essi vengono compiuti nel nome di Gesù (cfr.
v.
17), cosicché ciò che mani-festano non è tanto la potenza e la grandezza dei credenti quanto la potenza divina che a-gisce per mezzo dello stesso Signore («e il Signore confermava la Parola con i segni che la accompagnavano»: v.
20).
«Dopo aver parlato loro…» (v.
19).
Gesù ha ormai detto tutto e il Padre lo può «elevare», «assumere» in cielo (il verbo usato, analambáno, esprime un passivo divino) e intronizzarlo alla sua destra.
Un solo versetto basta all’autore per descrivere la scena dell’ascensione: quel «cielo» che si era «squarciato» al momento del battesimo (cfr.
Mc 1,10) ora accoglie di nuovo Colui che era disceso sulla terra per compiere fino in fondo la volontà del Padre.
Se c’è un’elevazione, un’ascesa, è perché prima c’era stata una discesa, un abbassamento (cfr.
Ef 4,9-10, II lettura).
E in questo duplice movimento di discesa e salita si consuma tutta la vi-cenda terrena del Figlio di Dio.
D’ora innanzi non esiste più separazione tra terra e cielo: se la terra è salita al cielo (con il corpo umano glorificato di Gesù), il cielo è disceso sulla terra (con lo Spirito Santo che il Figlio dal Padre ci ha mandato).
«Sulla terra viene sparso un seme celeste e Colui che ritorna presso il Padre stabilisce d’ora in poi, nella sua qualità di Capo di una Chiesa ancora terrena, un vincolo inscindibile tra la terra e il cielo» (H.U.
von Balthasar).
In questa prospettiva il «cielo» non può più essere inteso come simbolo di lon-tananza, di distacco, di estraneità del Signore nei confronti di quanti ancora vivono e lot-tano su questa terra; al contrario: è proprio per essere salito al cielo, cioè presso Dio, che Gesù può essere presente nei suoi discepoli in maniera del tutto nuova e radicalmente più profonda.
Infatti, subito dopo aver detto che Gesù risorto «sedette alla destra di Dio» (v.
19), il testo prosegue: «…
e il Signore agiva insieme con loro (synergoûntos)» (v.
20).
Questa «sinergia», questo «lavoro» divino e insieme umano, è precisamente l’opera dello Spirito Santo, il vero protagonista – non nominato – della missione.
Per concludere ci si può chiedere: se non è la tomba vuota la mèta del nostro cammino («Non è qui»: Mc 16,6), né il cielo il luogo verso cui fissare il nostro sguardo («Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?»: At 1,11), dove cercare allora il Risorto? Perché molti sono ancora il luoghi ‘sbagliati’ in cui si smarrisce la nostra ricerca…

Classe prima – Maggio

Quinta fase dell’attività L’insegnante propone agli allievi le seguenti attività, seguite dal confronto tra loro e dalle sue conclusioni.
a) Dopo aver letto con attenzione il terzo testo-guida e i Documenti, prova a descrivere il Volto di Dio secondo i Cristiani, immaginando di rivolgerti a un interlocutore che non sappia assolutamente nulla.
Si potrà lavorare individualmente oppure in piccoli gruppi con portavoce, producendo semplici testi sintetici ed esponendoli in classe.
Tale procedimento potrà essere utilizzato anche per la proposta successiva.
b) Riprendi i primi testi-guida e confronta le “visioni di Dio” ebraica, islamica e cristiana.
– Quali sono gli aspetti specifici, originali di ciascuna tradizione religiosa? – Quali comportamenti e azioni di Dio sono comuni alle tre religioni? Per l’inserimento dell’argomento in Unità di Apprendimento articolate, vedere Tiziana Chiamberlando, Sentinelle del Mattino, SEI, Volume per il biennio e Guida Terza fase dell’attività L’insegnante presenta alla classe l’ultimo testo-guida.
Quarta fase dell’attività – DOCUMENTI Nei tre monoteismi…
Nell’Antico Testamento Dio si definisce: «Io sono colui che sono» (Jahvé), cioè «l’essere»; il passato, il presente, il futuro: definizione misteriosa ma piena di significato.
Nel Nuovo Testamento Dio si rivela come «l’amore», definizione che apre alla speranza; la felicità cercata dall’uomo è l’amore, e ha la sua sorgente in Dio.
Per parlare di Dio nell’Islam il Corano recita: «Nel nome di Dio, clemente e misericordioso! Sia lode a Dio, il Signore del Creato, il Clemente, il Misericordioso, il Padrone del dì del Giudizio! Te noi adoriamo, Te invochiamo in aiuto: guidaci per la retta via, la via di coloro con i quali non sei adirato, la via di quelli che non vagano nell’errore».
Per incontrare Dio, che è l’Essere, bisogna meditare; per incontrare Dio, che è l’Amore, bisogna amare.
Colui che non pensa non può conoscere Dio; colui che non ama non può incontrare Dio.
Ci vorranno secoli prima che l’umanità capisca e si convinca che Dio è «uno solo»: è l’Essere, è l’Amore.
(A.
Viganò, Dio cammina con gli uomini, Elledici, collana «Chi è Dio Padre?», p.
21) Divinità di Cristo nel Nuovo Testamento «Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato» (Gv 1,18) «Per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili…
Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui…
Il primogenito di coloro che risuscitano dei morti…
Perché piacque a Dio fare abitare in Lui ogni pienezza e per mezzo di Lui riconciliare a sé tutte le cose» (Col 1,15-20)  Sullo Spirito…
    «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista…» (Lc 4,18-19, richiamo a Is 61,1-2) «Lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
(Rm 8,15-16)   3) Il Dio dei Cristiani Dio-Amore: la Trinità In Gesù di Nazareth, Uomo e Dio, secondo i Cristiani il Signore realizza pienamente la rivelazione di sé avviata ai tempi dell’Antico Testamento, si avvicina intimamente a ogni essere umano.
Afferma l’evangelista Giovanni, in tre parole: «Dio è Amore».
Per il Cristiano, credere in Dio non significa soltanto essere certo della sua esistenza; significa soprattutto essere certi che Dio “è” Amore, che l’amore generoso e illimitato, quello che vuole il bene supremo di chi viene amato, è ciò che Egli offre…
significa anche credere che il suo atto di amore più grande sia stato quello di rendersi visibile assumendo la natura umana.
Egli è in sé comunicazione, corrente di amore.
È la Trinità, mistero e luce per l’uomo, unico Dio in tre persone.
Dio Padre, l’Onnipotente, l’Onnisciente, l’Eterno, crea l’universo e chiama l’uomo alla vita unicamente per amore; il suo progetto è quello di un cosmo riconciliato in una perfetta armonia tra Lui e le sue creature, degli uomini tra loro e con l’intera creazione…
Egli è Amore che genera.
Il Padre invia il Figlio che si incarna, che diviene espressione umana della Divinità; Egli è il mezzo attraverso cui tutte le azioni amorose di Dio giungono a compimento.
Il Cristo, infatti, è il Verbo di Giovanni, la Parola suprema di Dio: rivela l’identità di Dio attraverso il proprio agire, rivela chi sia l’uomo, figlio di Dio e fratello degli altri uomini, e quale sia il destino di riconciliazione del creato (tema del “Regno di Dio”).
Egli soprattutto redime, salva l’uomo dal male e dalla morte attraverso la propria morte e il trionfo della Resurrezione; quest’ultima anticipa il destino di tutti e inaugura un tempo in cui uomini e donne di fede, insieme con il Risorto invisibile ma presente, possono lavorare per costruire una nuova realtà.
Lo Spirito Santo è l’Amore che unisce Padre e Figlio e che viene da loro donato all’umanità (pensiamo al tramite dei Sacramenti), espressione divina della saggezza e della forza di amare e combattere il male.
Lo Spirito prega con e per l’uomo, lo ispira nel profondo, gli permette di migliorare nei rapporti come da solo non potrebbe fare; porta con sé doni che producono forza, sete di giustizia, capacità crescenti di rinuncia all’egoismo…
Gesù, Uomo e Dio Il Cristiano vede in Gesù il suo unico Maestro: medita sul suo insegnamento, vuole seguirlo, vorrebbe imitarlo…
Soprattutto, può guardare a Lui ed esclamare come l’apostolo Tommaso, quando accettò l’evidenza della resurrezione: «Mio Signore e mio Dio!» «Nessuno viene al Padre se non attraverso di me…» (Gv 14, 6).
Gesù soltanto, che è una cosa sola con il Padre, può rivelare il volto di Dio.

«Credete almeno alle opere, perché sappiate che il Padre è in me ed io nel Padre»…
L’opera suprema del Padre, compiuta in Gesù, è il trionfo della vita («Io sono la Resurrezione e la Vita: chi crede in me, anche se muore, vivrà», Gv 11,25) «Prima che Abramo fosse, Io Sono…» (Gv 8,58), afferma Gesù: utilizza il nome stesso di Dio rivelato a Mosé (Es 3,14).
Gesù si identifica apertamente nei titoli messianici degli antichi profeti: «Figlio dell’Uomo», Colui che ristabilirà la giustizia universale al termine della storia umana; «Servo», venuto a dare la vita (Isaia)…
Di fronte al Sinedrio che vuole condannarlo, Egli proclama la propria divinità (Mt 26,63-64).
Nei Vangeli, tuttavia, Gesù evita qualsiasi manifestazione di potenza; preferisce lasciare segni perché la gente si avvicini al mistero della Sua persona con una comprensione graduale.
Pienamente Dio, Gesù è anche pienamente uomo: ha voluto condividere tutto della condizione umana, tranne il peccato; immensamente grande, si è fatto “piccolo” per essere uno di noi…
Non c’è fatica umana che il nostro Dio non abbia provato, secondo i Cristiani.
«Poiché è uomo, Gesù sa quali problemi dobbiamo affrontare; poiché è Dio, può aiutarci» (N .Warren).
Padre suo e nostro, dall’Antico al Nuovo Testamento La paternità di Dio, nel Nuovo Testamento, esprime un’intimità totale con i figli: ogni uomo ‒ non più soltanto nell’ambito del popolo ebraico ‒ è “figlio adottivo” di Dio e fratello di Gesù; il Padre desidera che ogni essere umano gli si affidi con la fiducia di un bambino nei confronti del papà, ed Egli si cura di lui come il pastore della parabola della pecorella smarrita (Lc 15,4-7), o come il padre del “figlio prodigo”, che lo attende a lungo e lo perdona nonostante il suo egoismo e le sue esperienze sbagliate.
L’istituzione dell’Eucaristia rappresenta il rinnovarsi del rapporto tra Dio e uomo, la Nuova Alleanza.
«Se Dio ci ha amati per primo, noi dobbiamo rispondere a questo amore, coinvolgendo in questa onda di calore i nostri fratelli, gli altri uomini.
Avvolta da questo amore, l’intera umanità diventa una famiglia…
comprendiamo la portata dei due comandamenti del cristiano: amore di Dio e amore del prossimo, alimentati da un’unica fiamma che parte da Lui e investe tutta l’umanità» (Carlo Fiore).
Gesù si ricollegò chiaramente all’Antico Testamento: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti.
Io non sono venuto per abolire, ma per dare compimento» (Mt 5,17); in Lui, anche gli antichi insegnamenti del Decalogo possono essere compresi nel loro più profondo e autentico significato.
Unità di Lavoro di approfondimento storico-biblico-teologico  Seconda parte OSA di riferimento Conoscenze – Ricerca umana e Rivelazione di Dio nella storia: il Cristianesimo a confronto con l’Ebraismo e le altre religioni.
– Il libro della Bibbia, documento storico-culturale e Parola di Dio.
Abilità – Evidenziare gli elementi specifici della dottrina, del culto e dell’etica delle altre religioni, in particolare dell’Ebraismo e dell’Islam.
– Individuare il messaggio centrale di alcuni testi biblici, utilizzando informazioni storico-letterarie e seguendo metodi diversi di lettura.
– Riconoscere le caratteristiche della salvezza attuata da Gesù in rapporto ai bisogni e alle attese dell’uomo.
Obiettivi Formativi ipotizzabili Conoscenze e abilità – Conoscere e saper descrivere “il volto di Dio” secondo Ebrei, Musulmani e Cristiani, evidenziando aspetti comuni ed eventuali divergenze.
– Individuare il messaggio centrale di testi biblici inerenti l’argomento trattato.
Competenze di riferimento dell’allievo in prospettiva triennale – Possedere essenziali conoscenze bibliche, storiche e dottrinali inerenti il Cristianesimo, soprattutto sulla base della tradizione cattolica.
– Sapersi esprimere nell’ambito del linguaggio specifico.
– Saper cogliere i messaggi fondamentali di passi biblici basilari.

Classe seconda – Maggio

Unità di Lavoro di approfondimento interdisciplinare (religione, educazione musicale).
Seconda parte OSA di riferimento (Irc) Conoscenze – Conoscere e saper descrivere vari modi di interpretare il messaggio di Gesù nell’arte.
– Conoscere e saper descrivere dati, inerenti la storia della musica, di supporto allo studio sulla storia e l’“identità” della Chiesa (aspetti liturgici).
Obiettivi Formativi ipotizzabili (Irc, educazione musicale) – Conoscere e saper descrivere elementi basilari di storia della musica sacra e il loro significato religioso.
– Conoscere le “intenzioni espressive” di alcuni compositori di musica sacra.
– Dopo averli ascoltati, descrivere i messaggi spirituali di alcuni brani di musica sacra, cogliendo in modo personale il collegamento tra espressione musicale e sentimento religioso.
Competenze di riferimento dell’allievo in prospettiva triennale: – Comprendere e/o utilizzare espressioni artistiche in relazione all’esperienza e alla ricerca religiosa.
Seconda fase dell’attività Al fine di indurre gli allievi alla riflessione sul collegamento tra arte musicale e dimensione religiosa, l’insegnante di religione presenta l’opinione di un grande artista e quella di un grande santo e teologo, s.
Agostino.
La vicenda La musica, la spiritualità, la famiglia e la natura sono protagonisti di questo film-fiaba intensamente poetico, che esalta la vita come stupendo mistero da svelare, che invita ad affinare l’“orecchio interiore” per cogliere l’armonia dell’esistenza stessa, che è l’armonia…
dell’Amore.
L’irlandese ribelle Louis, chitarrista in una band e cantante rock, s’innamora istantaneamente e profondamente della violoncellista Lyla, una ragazza riservata di “buona famiglia”; persino i gusti musicali sembrano dividerli…
Eppure, l’una coglie nell’altro il completarsi della melodia che avverte in sé.
Dal loro brevissimo incontro nasce il piccolo August…
Sottratto con un inganno dal nonno a Lyla, che lo crede morto, crescerà in orfanotrofio.
11 anni dopo, August, sensibile e maturo, è determinato a ritrovare i genitori ed è convinto che essi possano sentire, come lui, la musica nel vento, nell’aria, ovunque; egli sente di incontrarsi con loro in questa dimensione.
Nella mente di August, qualsiasi rumore, qualsiasi sensazione divengono armonia e melodia…
Scappato dall’orfanotrofio, raggiunge New York, dove cade nelle mani di un lestofante chiamato il Mago, che sfrutta ragazzi musicisti soli al mondo mandandoli a suonare sulle strade e offrendo loro, ipocritamente ‒ ma forse non del tutto ‒, una sorta di “famiglia”.
August impara a suonare la chitarra e l’organo, rivelando un talento eccezionale: il Mago diviene il suo “impresario” e ostacola in tutti i modi la sua ricerca dei genitori.
In una chiesa, August verrà “scoperto” da una dolce, piccola cantante gospel e dal sacerdote, grazie a cui riuscirà a entrare in una prestigiosa scuola di musica; lo straordinario talento gli consentirà ben presto di comporre una sinfonia per orchestra ‒ che sembra unificare la forza espressiva e un po’ trasgressiva del padre e la perfezione classica della madre ‒ e di poter debuttare in un grande concerto, in Central Park.
Louis, il papà di August, alla ricerca di Lyla, l’amore vero della sua vita che vuole assolutamente ritrovare e la mamma, alla ricerca del figlio dopo aver appreso dal padre morente che è ancora vivo, verranno attirati dalla sinfonia del loro August, mentre il piccolo dirige l’orchestra.
I genitori riconoscono, nella musica, se stessi, il loro reciproco amore e un amore nuovo e forte, quello del figlio e per il figlio, da sempre certo di quel meraviglioso ritrovarsi.
I contenuti Nel film, la musica è l’espressione, il “farsi udire” di tutto il creato: dei sentimenti umani, della natura…
tutto ciò che vive e si armonizza con ogni altro elemento della realtà.
«È intorno a noi», dice August, «non bisogna fare altro che aprire l’anima, non bisogna fare altro che ascoltare».
È il farsi udire della Verità di ogni essere…
Dunque è anche voce di Dio, del Creatore, voce che è bellezza, appello alla ricerca di legami tra le persone, di collegamenti tra situazioni…
L’armonia è l’esprimersi della sostanza dell’Essere: dell’Amore che è anche grande progetto di Dio per tutte le creature, perfetto come una sinfonia di cui ogni creatura rappresenta una nota insostituibile, in cui nulla è casuale.
Non tutti sanno ascoltare, forse tutti potrebbero imparare.
Afferma il Mago, in un momento in cui un effettivo amore per la musica gli permette di esprimere la sua parte migliore: «Sai cos’è la musica? È Dio che ci ricorda che esiste qualcos’altro a parte noi, in questo universo: la connessione armonica unisce creature che vivono in ogni parte, e persino le stelle.
Tutto scorre dentro di noi, alcuni di noi ascoltano ma altri non ascoltano…».
La vita è presentata come un viaggio alla ricerca dell’essenziale, dei rapporti importanti; “vince” chi coltiva tenacemente dei grandi sogni e che, attimo dopo attimo, affronta con coraggio le difficoltà, senza dimenticare…
i “compagni di viaggio”.
August, geniale eppure umile, è capace di amicizia, di ascolto e di compassione (pensiamo agli altri ragazzini musicisti sfruttati dal Mago); non è mai egocentrico, pur essendo tenace nel ricercare la propria strada; è il “viaggiatore” ideale, guidato dal suo mondo interiore che lo rende saggio anche se è piccolo, pronto a cogliere le occasioni e pronto a dialogare, ottimista come chiunque abbia una meta.
I legami familiari, in questo caso riconquistati a qualsiasi costo, rappresentano i rapporti umani basilari e la prima missione affidata da Dio all’essere umano: sono legami misteriosamente voluti da Lui, al cui interno ciascuno può cogliere la verità e la bellezza dell’altro e il reciproco affetto può creare una somma di armonie ‒ idee, sentimenti, progetti…
‒.
August e i genitori percepiscono il canto delle loro anime ancora prima di incontrarsi…
Forse perché, in una storia così, il “caso” proprio non esiste e tutto è volontà buona di Qualcuno, dal dolore che fa crescere alle porte che possono aprirsi.
1) G .F .Haendel (Halle 1685-Londra 1759) “Alleluja” per coro a voci miste e orchestra, dall’Oratorio “Il Messia”.
Haendel compose musica per il teatro d’opera, musica sacra (21 Oratori) e musica strumentale.
Morì, come aveva sempre sperato, nel giorno di Pasqua.
Dalla “Lauda”, composizione popolare profondamente spirituale, nacque l’Oratorio di cui Haendel fu considerato il padre, forma musicale drammatica con narratore, personaggi, dialogo: uno spettacolo sacro senza scene né azione, per raccontare fatti biblici con meditazioni morali.
Gli Oratori esprimono una visione autenticamente e gioiosamente “cristocentrica” dell’esistenza: il Cristo è unica Verità, Significato, Via, Vita trionfante; Egli è Origine e Destino.
Il famoso “Messia” è dedicato alla nascita di Cristo e alla sua Passione, Morte e Resurrezione: è un affresco musicale grandioso.
Arie toccanti di cantanti solisti sintetizzano e commentano i messaggi biblici; gli interventi corali sono maestosi e possenti, come a rappresentare le grandi folle protagoniste degli eventi biblici e l’intera umanità.
In quello che ascolteremo, molto celebre, il grido di esultanza per la resurrezione di Gesù si ripercuote da una voce all’altra, mentre il martellante ripetersi di note acute sembra accendere lampi di luce.
2) Antonio Vivaldi (Venezia 1678-Vienna 1641) Dal “Gloria” in Re maggiore, “Domine Deus” per soprano e orchestra.
Il compositore e violinista, sacerdote poi dispensato dal suo ministero a causa di problemi di salute, compose moltissima musica vocale e strumentale.
Il “Gloria” fu composto nel 1713: la musica vocale è inserita in un ampio disegno sinfonico in cui la preghiera di lode sembra davvero universale, il canto gioioso di tutta la creazione.
Quest’aria per soprano esprime esultanza, commozione e adorazione del “Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente…”.
I vocalizzi guidano il pensiero e il cuore “verso l’alto”.
3) J .S.
Bach Toccata e fuga in re minore, organo solo.
Il geniale compositore tedesco fu organista, violinista, Maestro di Cappella presso corti e chiese protestanti; compose musica per strumenti solisti, le Passioni per soli, coro e orchestra, simili all’Oratorio ma in lingua tedesca, Cantate corali in cui espresse una fede profonda e severa.
Credette nel potere formativo della musica; in essa espresse la sua contemplazione del mistero trinitario e del mistero della Croce.
Seppe armonizzare in modo geniale la polifonia antica con nuovi spunti.
La grandiosa e celebre Toccata e Fuga che ascolteremo svela tutte le potenzialità dell’organo, uno strumento che può esprimere grandiosa solennità quanto la sottigliezza del virtuosismo.
In Bach, la geometrica precisione crea perfette “architetture musicali”, comunicando contemporaneamente il calore della sua umanità e la forza della sua fede.
Con l’aiuto aggiuntivo dell’insegnante di educazione artistica, gli allievi sceglieranno il brano istintivamente “preferito” tra i 3 proposti, per poi fare, di getto, un disegno colorato con una tecnica comune concordata, attraverso cui esprimere: – le “immagini mentali” immediatamente suggerite dal brano in relazione a sentimenti (colori, forme astratte, paesaggi, persone…); – eventuali messaggi colti sul senso della vita, sulla missione dell’essere umano nel mondo; – eventuali intuizioni, idee, pensieri sul rapporto con Dio.
Ogni allievo potrà corredare il proprio disegno con una breve spiegazione; i lavori saranno infine esposti e commentati in un dibattito.
Rispondi e confrontati con i tuoi compagni.
– Riassumi con parole tue ciò che la musica rappresenta per August.
Per te, che cosa rappresenta? – La musica, per August, è “voce di Dio”.
In che senso? Qual è la tua opinione personale? – Con le persone mature, sensibili e un po’ speciali come August, il “mondo” si comporta prevalentemente come il Mago o come gli amici che lo hanno aiutato? Fai qualche esempio pratico.
– La musica “unisce”? Se sì, quando e come? Per l’inserimento dell’argomento in Unità di Apprendimento articolate, vedere Tiziana Chiamberlando, Sentinelle del Mattino, SEI, Volume per il biennio e Guida 1) Cantare la verità Con il “senso esterno”, io sento la realtà del mondo e del mio corpo, frammento del mondo; il “senso intimo” mi fa sentire me stesso e gli altri esseri umani; con il “senso divino”, trovo Dio nel fondo dell’anima, che è la Sua immagine.
Il mondo è superficie; Dio è la radice.
L’anima, a contatto della sua radice, comprende le idee eterne, di cui l’arte è immagine, trova la reale essenza dei valori e acquista il potere di elevarsi dal naturale al soprannaturale; suoni e forme, luci e ombre, chiaroscuro e sfumature sono eco di una verità che si trova alla radice dell’essere.
Il cantante non sarà mai un autentico artista, se non adeguerà il senso esterno, quello intimo e quello divino, con il quale acquisterà la facoltà di penetrare nel nucleo della nota musicale e nella radice del suo cuore.
(Giacomo Lauri Volpi, tenore di fama internazionale e uomo di grande fede, in A viso aperto, Edizioni Bongiovanni, p.
146) 2) Cantare e camminare Canta e cammina.
Cantiamo pure ora, non tanto per goderci il riposo, quanto per sollevarci dalla fatica.
Cantiamo da viandanti.
Canta, ma cammina.
Canta per alleviare le asprezze della marcia, ma cantando non indulgere alla pigrizia.
Canta e cammina.
Che significa camminare? Andare avanti nel bene, avanzare nella retta fede, progredire nella santità.
Canta e cammina.
(s.
Agostino) Quinta fase dell’attività La musica, voce dell’universo e di Dio LAVORA SUL FILM Gli insegnanti di religione ed educazione artistica presentano agli allievi, suddividendone la visione nelle loro ore di insegnamento, il film – “La musica nel cuore” (August Rush) di Kristen Sheridan con Freddie Highmore (August), Robin Williams (il Mago) Stati Uniti 2007 Distribuzione Medusa Film Terza fase dell’attività L’insegnante di religione propone le seguenti domande, utili alla riflessione.
Dopo aver letto il primo testo-guida, proposto ad aprile, e le testimonianze di Giacomo Lauri Volpi e s.
Agostino, – racconta, sintetizzando al massimo, la storia della musica liturgica.
Rifletti e rispondi.
– Secondo te, la musica eseguita o ascoltata ‒ in particolare, il canto ‒ può aiutare il credente nella preghiera, o addirittura essere una forma di preghiera? – Secondo il tenore Lauri Volpi, cosa può esprimere di straordinario un vero cantante? – Secondo s.
Agostino, il canto è simbolo di quali atteggiamenti della persona di fede? Quarta fase dell’attività Ascolto, riflessione, espressione e musica classica Gli insegnanti di religione ed educazione musicale propongono all’ascolto degli allievi tre brani di musica: uno corale, uno vocale e uno strumentale.
L’insegnante di educazione musicale approfondirà la biografia dei compositori e le caratteristiche tecniche dei brani, l’insegnante di religione aiuterà gli allievi a trovare in essi l’intenzione “spirituale” degli autori.

Classe terza – Maggio

Prima fase dell’attività Gli insegnanti di religione e scienze presenteranno i testi-guida insieme, commentandoli e approfondendoli in base alle rispettive competenze.
3) Alle origini dell’esistere Biologicamente, l’embrione unicellulare è il risultato della fusione delle due cellule umane fondamentali, dell’ovulo femminile fecondato dallo spermatozoo maschile; in esso ha origine un nuovo “genoma” (insieme del patrimonio genetico inscritto nel DNA).
Evidenziamo tre aspetti del “genoma”.
– Ha un’individualità somatica, è un’entità con una sua originale corporeità.
– È unico e irripetibile.
Non è esistito né mai esisterà, nell’ambito del genere umano, un altro embrione identico.
– Secondo la legge “ontogenica” di sviluppo, «tutto ciò che l’embrione da quel momento in poi è, tutta la sua storia biologica, è già tutta presente in codice.
Se dal quattordicesimo-sedicesimo giorno si formerà la stria, il primo abbozzo di cellule del cervello, se dopo cinque mesi avrà già tutti gli organi strutturati, se dopo nove mesi nascerà, se a un anno circa camminerà, se a una certa età spunteranno i capelli bianchi, tutto ciò è già iscritto in codice nel genoma dell’embrione.
Tutto ciò che si formerà successivamente è già presente nell’embrione fin dal primo istante.
Non è quindi accettabile l’ipotesi che l’embrione sia un essere umano in potenza.
In potenza è soltanto il suo sviluppo; ci troviamo di fronte non a un essere umano potenziale, ma in atto» (Giovanni Russo in Bioetica e Cristiani, ElleDiCi, collana “Mondo nuovo”, p.
13).
La scienza afferma e dimostra come l’embrione sia un essere umano.
Secondo la Chiesa ‒ e non solo ‒ non è lecito rivendicare il “diritto” di poter interrompere una gravidanza, tranne che nel caso in cui la madre si trovi in reale pericolo di vita a causa della gravidanza stessa (in una situazione praticamente di “legittima difesa”): i genitori non sono padroni della vita dei figli.
Giovanni Paolo II affermò: «Confermo che l’uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente è sempre gravemente immorale.
Tale dottrina, fondata in quella legge non scritta che ogni uomo, alla luce della ragione, trova nel proprio cuore, è riaffermata dalla Sacra Scrittura» (Evangelium Vitae, N57).
La mancanza di tutela dell’embrione a livello legislativo rappresenta una lacerante contraddizione in qualsiasi assetto sociale in cui si affermi teoricamente il principio di tutela della persona umana: ciò che, su di esso, è scientificamente dimostrato viene ipocritamente ignorato per lasciare spazio a una visione “di comodo”, che consenta al cittadino una “semplificazione della vita” ottenuta ignorando le verità il cui rispetto richiede impegno.
L’embrione non potrebbe neppure essere oggetto di “sperimentazione selvaggia” che ne comporti la disinvolta manipolazione e la frequente soppressione: quando c’è di mezzo il mistero della vita, il fine non può giustificare i mezzi.
Riflettiamo, con il seguente documento, su quest’ultima problematica.
1) La “scienza della sopravvivenza” Oggi, il rapporto tra scienza e pensiero religioso è basato sul rispetto della reciproca autonomia: sono diversi i campi d’indagine, diversi i metodi e gli obiettivi…
Scienza e fede non sono dimensioni “in opposizione”: la scienza indaga sui fenomeni, le leggi naturali e la loro interazione (sul “come”…); il pensiero religioso va alla ricerca del senso di ogni realtà…
S’interroga sul “perché”.
Si tratta di due approcci a due diversi tipi di conoscenza.
Per lo scienziato credente, le leggi della natura sono altrettanti doni di Dio.
Tuttavia, la Chiesa invita i Cristiani ad assumere un ruolo profetico nei confronti della scienza, che può sia costruire che distruggere, che dev’essere “servizio e non fine”, “mezzo e non termine”, nella consapevolezza che non tutto ciò che è tecnicamente possibile è moralmente lecito.
Il problema è sempre quello della tutela dei diritti fondamentali della persona; il diritto alla vita, alla tutela della sua dignità, della sua complessità e degli equilibri psico-fisici che la caratterizzano…
di tutto ciò si occupa la bioetica.
La “bioetica” nacque come nuova disciplina, nel 1970: l’oncologo americano Van Rensselaer coniò l’espressione presentandola come “scienza della sopravvivenza”, con l’obiettivo di tutelare la qualità della vita.
La “bioetica medica” ne è l’aspetto più conosciuto: tratta le nuove frontiere della medicina, la genetica, e affronta la questione della tutela della persona dal suo nascere, nella fase embrionale, fino alla morte cerebrale, trattando di eutanasia, clonazione, sperimentazioni cliniche…
2) La vita: un valore assoluto? «Ho iniziato il mio tunnel 19 anni or sono.
Ho subito una decina di interventi chirurgici, la radioterapia mi ha distrutto le ossa del viso: mi manca il mento, un pezzo di mascella, non ho la lingua.
Praticamente non ho la bocca, infatti da 36 mesi mi nutro per via enterale (sarebbe un tubetto piantato nello stomaco).
Non sono contento, però sono felice di essere vivo.
Faccio sport, oggi sarò con la mia squadra al Giro della Collina.
Tutte le domeniche, se non sono ricoverato, vado a correre con la squadra.
Arrivo sempre ultimo! Ma quando vedo lo striscione dell’arrivo sono felice.
Il più felice di tutti.
Se fossi morto 19 anni fa, sarei stato sfortunato! Questo sì! Sono 19 anni che mi godo una famiglia meravigliosa e degli amici magnifici» (Lettera firmata, in «La Stampa», «Lettere al giornale», 12 ottobre 1997) L’atleta così sofferente della testimonianza vive una vita difficile, eppure ricca di significato per gli obiettivi da raggiungere, per i rapporti costruiti, per il suo coraggio che sembra avere la forza profetica di far apprezzare agli altri, come un dono, tutto ciò che hanno…
La persona umana è un mistero complesso e splendido: ciascuno può scoprire, o comunque vivere in modo diverso da chiunque altro, una “missione speciale” da portare a termine, con le risorse sorprendenti che porta in sé.
Il concetto di “qualità della vita”, nella nostra società, sta sostituendo quello di “sacralità della vita”.
La vita umana non vale forse “di per sé”, prima ancora che sia caratterizzata da benessere psico-fisico? Il ragazzo “down” può sorprendere ed essere un insegnamento vivente con la sua dolcezza e la sua capacità di gioire per le piccole cose; il bimbo vissuto poche ore può risvegliare nei genitori, nonostante il dolore, un amore così profondo da farli cambiare, progredire; il nonno, dalla sedia a rotelle, può essere una presenza indispensabile per i nipoti, nonostante non sia più giovane, né “bello”, né “utile” nel senso comune del termine…
In un’ottica di fede, ogni persona, unica e irripetibile, è voluta da Dio, l’unico che possa stabilire nell’ambito di un progetto di bene quanto sia giusto che duri un’esistenza terrena, palestra per imparare e insegnare l’amore.
Un’ottica semplicemente umana può comunque giungere alla stessa conclusione: esistere è un diritto intangibile.
La convinzione che l’essere umano debba avere dei diritti e dei doveri assoluti rientra in quei valori scritti nel profondo della coscienza, in quella “legge naturale” che tutti possono condividere, prima che entrino in gioco le differenze ideologiche? Se la risposta è affermativa, il “diritto originario” non è forse quello di…
poter “provare a esserci”? E se un altro principio può essere quello dell’uguaglianza tra esseri umani, con quale autorità un uomo potrebbe decidere della vita di un altro uomo? Il coesistere democratico di opinioni diverse non significa rinuncia alla ricerca di “principi veri” condivisi, che consentano la tutela della persona anche a livello legislativo.
In caso contrario, tutto è “una questione di opinioni”…
E quelle di una Madre Teresa di Calcutta devono avere lo stesso peso di quelle…
di un Adolf Hitler.
Compito fondamentale della bioetica è il riconoscimento di questi principi superiori.
La Chiesa valorizza, tramite le scelte concrete dei cristiani e i documenti del Magistero, questa concezione della bioetica.
DOCUMENTO Cellule staminali ed embrioni Le cellule staminali sono cellule il cui destino non è stato ancora “deciso”.
Possono originare vari tipi di cellule diverse.
Nelle fasi iniziali dello sviluppo umano esse sono situate nell’embrione.
Le cellule staminali (originarie basilari) sono cellule capaci di replicarsi e di dare origine a molti altri tipi di cellule, via via più specializzate.
L’embrione, all’inizio, è composto di cellule ciascuna delle quali è capace di dare origine a tutto l’organismo; per questo, tali cellule vengono chiamate “totipotenti”.
Quando l’embrione arriva ad avere sedici cellule (circa tre giorni di vita), questa capacità viene perduta; le cellule che costituiscono la massa interna dell’embrione divengono “pluripotenti”, rimangono cioè capaci di produrre tutti i tessuti dell’organismo.
Sono queste in senso proprio le cellule staminali.
Subito dopo, le cellule si differenziano ulteriormente e, attraverso vari passaggi, andranno a costituire tutti i diversi tessuti dei vari organi.
Le cellule staminali, oltre che nell’embrione nella sua prima fase di vita, si trovano nel cordone ombelicale e, come si è scoperto negli ultimi anni, anche in molti tessuti dell’adulto: il sistema delle cellule staminali attivo all’inizio della vita dell’embrione si conserva dunque, in parte, per tutta la vita.
Cellule staminali embrionali umane La preparazione di tali cellule, in modo che siano adatte alla sperimentazione, richiede che vengano appositamente prodotti embrioni umani, o che si utilizzino quelli congelati in seguito a tecniche di fecondazione artificiale.
Cellule staminali adulte Nella maggior parte dei tessuti dell’adulto esistono cellule staminali capaci di produrre cellule di ricambio, non solo per il tessuto nel quale risiedono, ma anche per tessuti di altri organi.
Anch’esse sono capaci, attraverso l’applicazione dei più avanzati metodi di biologia molecolare, di dare origine a più tipi di cellule che, impiantate in tessuti sofferenti, si sono mostrate capaci di restituire loro le normali funzioni.
La terapia attraverso le staminali adulte è già una realtà per la leucemia, le lesioni ossee, le ustioni, il trapianto di cornea.
L’uso delle cellule staminali adulte non prevede la soppressione di embrioni né la loro clonazione.
(da A.M.
Baggio, Per la democrazia e la vita, speciale “Città Nuova”, Roma, n.
3, 2005) (Nella seconda parte, una riflessione sull’eutanasia e le attività).
Per l’inserimento dell’argomento in Unità di Apprendimento articolate, vedere Tiziana Chiamberlando, Sentinelle del Mattino, SEI, Volume per la classe terza e Guida.
Unità di lavoro interdisciplinare (religione, scienze) Prima parte OSA di riferimento per l’Irc Conoscenze – Fede e scienza, letture distinte ma non conflittuali dell’uomo e del mondo.
– Vita e morte nella visione di fede cristiana.
Abilità – Confrontare spiegazioni religiose e scientifiche del mondo e della vita.
– Descrivere l’insegnamento cristiano sui rapporti interpersonali, l’affettività e la sessualità.
– Motivare le risposte del Cristianesimo ai problemi della società di oggi.
– Confrontare criticamente comportamenti e aspetti della cultura attuale con la proposta cristiana.
Obiettivi Formativi ipotizzabili Conoscenze e abilità Conoscere e descrivere – termini e concetti fondamentali riguardanti la bioetica; – la posizione della Chiesa cattolica su alcune questioni di bioetica, nel confronto con opinioni diverse.
– Esprimere opinioni motivate sui “vincoli morali” che la scienza dovrebbe avere e sul concetto di “tutela della vita umana”.
Competenze di riferimento dell’allievo in prospettiva triennale – Saper prendere in considerazione il progetto di vita cristiano e la visione cristiana dell’esistenza.
– Sviluppare interesse alla distinzione tra bene e male, alla ricerca della verità.

Siamo tutti nella stessa barca

CARLO MARIA MARTINI, LUIGI MARIA VERZÉ,  Siamo tutti nella stessa barca, EditoreSan Raffaele, Milano, 2009,   EAN9788886270908, pp.
140, € 14,50  “Sono contento che la Chiesa mostri in alcuni casi benevolenza e mitezza, ma ritengo che dovrebbe averla verso tutte le persone che veramente la meritano.” Nuovo ‘sasso nello stagno’ del cardinal Martini, arcivescovo emerito di Milano, che negli ultimi anni ha fatto sentire piu’ volte la propria voce per suggerire alla Chiesa inedite – almeno recentemente – possibilita’ di dialogo con le esigenze del mondo contemporaneo.
L’occasione, questa volta, e’ costituita da un libro-dialogo con don Luigi Maria Verze’, fondatore dell’Ospedale San Raffaele di Milano, dal titolo ”Siamo tutti nella stessa barca” e edito dalla Editrice San Raffele, di cui il Corriere della Sera anticipa oggi alcuni brani.
Per il card.
Martini, dopo la revoca della scomunica ai lefebvriani voluta da papa Benedetto XVI, potrebbe essere giunto il momento di un simile gesto di ”misericordia” verso i divorziati risposati, a cui e’ negata dalla Chiesa la possibilita’ di ricevere la comunione.
”Io mi sono rallegrato per la bonta’ con cui il Santo Padre ha tolto la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani – afferma Martini -.
Penso, pero’, con tanti altri, che ci sono moltissime persone nella Chiesa che soffrono perche’ si sentono emarginate e che bisognerebbe pensare anche a loro.
E mi riferisco, in particolare, ai divorziati risposati.
Non a tutti, perche’ non dobbiamo favorire la leggerezza e la superficialita’, ma promuovere la fedelta’ e la perseveranza.
Ma vi sono alcuni che oggi sono in stato irreversibile e incolpevole.
Hanno magari assunto dei nuovi doveri verso i figli avuti dal secondo matrimonio, mentre non c’e’ nessun motivo per tornare indietro; anzi, non si troverebbe saggio questo comportamento.
Ritengo che la Chiesa debba trovare soluzioni per queste persone”.
Il cardinale prosegue: ”Sono contento che la Chiesa mostri in alcuni casi benevolenza e mitezza, ma ritengo che dovrebbe averla verso tutte le persone che veramente la meritano.
Sono, pero’, problemi che non puo’ risolvere un semplice sacerdote e neppure un vescovo.
Bisogna che tutta la Chiesa si metta a riflettere su questi casi e, guidata dal Papa, trovi una via di uscita”.
Nel libro, Martini affronta anche il tema del celibato obbligatorio per i preti della Chiesa cattolica occidentale, dicendosi convinto ”che il celibato sia un grande valore, che rimarra’ sempre nella Chiesa: e’ un grande segno evangelico.
Non per questo e’ necessario imporlo a tutti, e gia’ nelle chiese orientali cattoliche non viene chiesto a tutti i sacerdoti”.
Sulla scelta dei vescovi, oggi scelti da Roma mentre un tempo ‘eletti’, tra l’altro, dal popolo cristiano, il cardinale afferma: ”E’ sempre stato un problema difficile nella Chiesa.
Nelle situazioni antiche in cui partecipava maggiormente il popolo, si verificavano litigi e molte divisioni.
Oggi forse e’ stata portata troppo in alto loco.
Vi sono alcune diocesi in Svizzera e in Germania che lo fanno, ma e’ difficile dire che le cose vadano senz’altro meglio.
In conclusione – conclude Martini – si tratta di una realta’ molto complessa”.
Una conversazione tra il cardinale e don Luigi Verzé Carlo Maria Martini — Non so se sono sveglio o sto sognando.
So che mi trovo completamente al buio, mentre un lento sciabordio mi fa pensare che sono su una barca che scivola via sull’acqua.
Cerco a tastoni di stabilire meglio il luogo in cui mi trovo emi accorgo che vicino ame vi è un albero, forse l’albero maestro dell’imbarcazione.
A poco a poco mi avvicino così da potermi aggrappare a esso con le mani, per avere un po’ di sicurezza e di stabilità nei sempre più frequenti moti della barca sulle onde.
In questo tentativo incontro qualcosa che mi sembra come una mano d’uomo.
Forse è un altro passeggero che sta cercando anche lui di appoggiarsi all’albero maestro.
Non so chi sia, come non so io stesso come mi sia trovato su questa barca.
Ma il tocco di quella mano mi dà fiducia: mi spingo avanti così da poterla stringere ed esprimere la mia solidarietà con qualcuno in quell’oscurità che mette i brividi.
Vorrei anche tentare di dire qualcosa, pur non sapendo se il mio compagno di barca capisce l’italiano.
Ma nel frattempo lui inizia a farmi qualche breve domanda, a cui sono lieto di rispondere.
Si tratta di una persona che non conoscevo, ma di cui avevo sentito parlare.
Mi colpiva il suo interesse per me in quel momento difficile, in cui ciascuno avrebbe voglia di pensare solo a se stesso.
Dialogando così nella notte fonda, in quel momento di incertezza e anche di pericolo si videro a poco a poco spuntare le prime luci dell’alba.
Riconobbi il luogo in cui mi trovavo: eravamo noi due soli in barca.
E usando alcuni remi che trovammo in fondo a essa, ci mettemmo a remare verso la riva, fermandoci ogni tanto per assaporare la tranquillità del lago.
Ci siamo detti molte cose in quelle ore.
È venuto chiaramente alla luce durante la conversazione che eravamo tanto diversi l’uno dall’altro.
Ma ci rispettavamo come persone e ci amavamo come figli di Dio.
Anche il fatto di trovarci sulla stessa barca ci permetteva di comprenderci e di accoglierci, così come eravamo.
Tra le prime cose che ci siamo detti c’è naturalmente un poco di autopresentazione.
Così ho appreso che il mio interlocutore aveva nientemeno che ottantanove anni, mentre io ne avevo ottantadue.
Don Luigi Verzé (tale appresi poi essere il nome di colui che viaggiava con me) presentava la sua vita come quella di uno che aveva vissuto sessantuno anni di sacerdozio.
(…) Luigi Maria Verzé — Quanto è cambiata ora la valutazione etica ecclesiastica, rispetto a quella imposta ai tempi della mia infanzia.
D’altra parte, poiché la moralità è imperativo categorico, la gente si fa una propria etica laica e la Chiesa resta con un’etica cristiana incongruente perché incondivisa dagli stessi devoti.
Ricordo, per esempio, che nella mia visita alle favelas del Brasile frequentemente mi incontravo con povere donne senza marito con un bimbo in seno, un altro in braccio e una sfilza di altri che le seguivano, tutti prodotti di diversi mariti.
Era giocoforza concludere che la pillola anticoncezionale andava consigliata e fornita.
Il Brasile, totalmente cattolico fino agli anni Ottanta, ora è disseminato di chiese e chiesuole semicristiane, organizzate però sui bisogni anche spiccioli della gente.
La Chiesa cattolica è troppo lontana dalla realtà, e le fiumane di gente, quando arriva il Papa, hanno più o meno il valore delle carnevalate e delle feste per la dea Iemanjà, l’antica Venere cui tutti, compreso il prefetto cristiano, gettano tributi floreali.
La Chiesa, più che vivere, sopravvive sulle ossa degli eroici primi missionari.
E poiché siamo in tema di morale pratica, che cosa dice, Eminente Padre, della negazione dei sacramenti a devotissimi divorziati? Io penso che anche ai sacerdoti dovrebbe essere presto tolto l’obbligo del celibato, poiché temo che per molti il celibato sia una finzione.
E non sarebbe più vantaggioso che la consacrazione dei vescovi avvenisse su acclamazione del popolo di Dio, oggi così estraneo ai fatti della Chiesa? Forse non si è ancora maturi per tutto questo, ma Lei non crede che siano temi ai quali si dovrebbe pensare pregando lo Spirito? Carlo Maria Martini — Oggi ci sono non poche prescrizioni e norme che non sempre vengono capite dal semplice fedele.
Per questo, la Chiesa appare un po’ troppo lontana dalla realtà.
Purtroppo sono d’accordo che le fiumane di gente che vanno a manifestazioni religiose non sempre le vivono con profondità.
Occorre prepararle, e occorre dopo dare un seguito di riflessione nell’ambito della parrocchia o del gruppo.
Non credo, però, che si possa dire che in Paesi come il Brasile, la Chiesa non vive ma sopravvive soltanto sulle ossa dei primi eroici missionari.
La Chiesa vive là anche su gente semplice, umile, che fa il proprio dovere, che ama, che sa comprendere e perdonare.
È questa la ricchezza delle nostre comunità.
Tanti laici di queste nazioni e anche tanti laici vicino a noi sono seri e impegnati.
Lei mi chiede che cosa penso della negazione dei sacramenti a devotissimi divorziati.
Io mi so no rallegrato per la bontà con cui il Santo Padre ha tolto la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani.
Penso, però, con tanti altri, che ci sono moltissime persone nella Chiesa che soffrono perché si sentono emarginate e che bisognerebbe pensare anche a loro.
E mi riferisco, in particolare, ai divorziati risposati.
Non a tutti, perché non dobbiamo favorire la leggerezza e la superficialità, ma promuovere la fedeltà e la perseveranza.
Ma vi sono alcuni che oggi sono in stato irreversibile e incolpevole.
Hanno magari assunto dei nuovi doveri verso i figli avuti dal secondo matrimonio, mentre non c’è nessun motivo per tornare indietro; anzi, non si troverebbe saggio questo comportamento.
Ritengo che la Chiesa debba trovare soluzioni per queste persone.
Ho detto spesso, e ripeto ai preti, che essi sono formati per costruire l’uomo nuovo secondo il Vangelo.
Ma in realtà debbono poi occuparsi anche di mettere a posto ossa rotte e di salvare i naufraghi.
Sono contento che la Chiesa mostri in alcuni casi benevolenza e mitezza, ma ritengo che dovrebbe averla verso tutte le persone che veramente la meritano.
Sono, però, problemi che non può risolvere un semplice sacerdote e neppure un vescovo.
Bisogna che tutta la Chiesa si metta a riflettere su questi casi e, guidata dal Papa, trovi una via di uscita.
Dopo di ciò Lei affronta un problema molto importante, dicendo che ai sacerdoti andrebbe tolto l’obbligo del celibato.
È una questione delicatissima.
Io credo che il celibato sia un grande valore, che rimarrà sempre nella Chiesa: è un grande segno evangelico.
Non per questo è necessario imporlo a tutti, e già nelle chiese orientali cattoliche non viene chiesto a tutti i sacerdoti.
Vedo che alcuni vescovi propongono di dare il ministero presbiterale a uomini sposati che abbiano già una certa esperienza e maturità (viri probati).
Non sarebbe, però, opportuno che fossero responsabili di una parrocchia, per evitare un ulteriore accrescimento del clericalismo.
Mi pare molto più opportuno fare di questi preti legati alla parrocchia come un gruppo che opera a rotazione.
Si tratta in ogni caso di un problema grave.
E credo che quando la Chiesa lo affronterà avrà davanti anni davvero difficili.
Non mancheranno coloro che diranno di aver accettato il celibato unicamente per arrivare al sacerdozio.
D’altra parte, sono certo che ci saranno sempre molti che sceglieranno la via celibataria.
Perché i giovani sono idealisti e generosi.
Inoltre ci sono nel mondo alcune situazioni particolarmente difficili, in alcuni continenti in particolare.
Penso però che tocchi ai vescovi di quei Paesi fare presente queste situazioni e trovarne le soluzioni.
Lei si domanda anche se non sarebbe più vantaggioso che la consacrazione dei vescovi avvenisse su acclamazione del popolo di Dio.
L’elezione dei vescovi è sempre stato un problema difficile nella Chiesa.
Nelle situazioni antiche in cui partecipava maggiormente il popolo, si verificavano litigi e molte divisioni.
Oggi forse è stata portata troppo in alto loco.
Mi ricordo che un canonista cardinale intervenne in una riunione per dire che non era giusto che la Santa Sede facesse due processi per la stessa persona: uno dovrebbe essere fatto in loco e il secondo dal Nunzio.
Quanto alla partecipazione della gente, vi sono alcune diocesi in Svizzera e in Germania che lo fanno, ma è difficile dire che le cose vadano senz’altro meglio.
In conclusione, si tratta di una realtà molto complessa.
Però l’attuale modo di eleggere i vescovi deve essere migliorato.
Sono temi sui quali si dovrebbe riflettere molto, e parlare anche di più.
Nei sinodi qualcosa emergeva, ma poi non veniva mai approfondito.
Il problema, però, esiste e deve potersi fare una discussione pubblica a questo proposito.
CARLO MARIA MARTINI e LUIGI MARIA VERZÉ 19 maggio 2009

“Lettera ai cercatori Dio”

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA , Lettera ai cercatori di Dio, Ed.
PAOLINE , maggio 2009, Collana : LA VOCE DELLE CHIESE LOCALI (73), EAN : 9788831536989, € 2,50 «La Commissione Episcopale si augura che la Lettera possa raggiungere tanti e suscitare reazioni, risposte, nuove domande, che aiutino ciascuno a interrogarsi sul Dio di Gesù Cristo e a lasciarsi interrogare da Lui» (dalla Presentazione di Bruno Forte).
In una sorta di dialogo tra amici, i vescovi italiani in questo importantissimo documento scritto in forma di «Lettera», si rivolgono a tutti coloro che sono alla ricerca del volto del Dio vivente.
Con rispetto e amicizia, vogliono parlare a tutti i cercatori di Dio, cioè a quegli uomini e donne del nostro tempo che cercano ragioni per vivere.
Frutto di un lavoro collegiale che ha coinvolto vescovi, teologi, pastoralisti, catecheti ed esperti nella comunicazione, la Lettera, articolata in tre parti, è fondamentalmente: un invito a riflettere insieme sulle domande che uniscono credenti e non credenti; una testimonianza che rende ragione della speranza che è in coloro che credono; una proposta fatta a chi cerca la via di un incontro possibile con il Dio di Gesù Cristo.

Iconografia del Purgatorio

Secondo il cristianesimo, il destino dell’uomo nell’aldilà dipende dal suo comportamento durante la vita terrena: i «buoni» vivranno eternamente in un luogo di delizie, il Paradiso; i «cattivi» in un luogo di supplizio, l’Inferno.
Questa concezione bipolare dell’aldilà rimane pressoché immutata fino al XII secolo, allorché grandi trasformazioni religiose e sociali sfociano in una nuova concezione del mondo, non soltanto di quello terreno ma anche ultraterreno.
Del resto, già sant’Agostino divideva gli uomini in quattro categorie: oltre ai «del tutto buoni» e ai «del tutto cattivi», destinati rispettivamente al Paradiso e all’Inferno, c’erano i «non del tutto buoni» e i «non del tutto cattivi», la cui collocazione nell’aldilà era fonte di non poche perplessità.
Si ammetteva l’esistenza di peccati «veniali», cioè redimibili, accanto ai peccati mortali, irredimibili per definizione e che conducevano inevitabilmente all’Inferno.
Si credeva che i defunti la cui coscienza fosse gravata soltanto da peccati «leggeri», li avrebbero scontati nell’aldilà sostando in «luoghi purgatori», ove avrebbero subito «pene purgatorie» mediante un «fuoco purgatorio» simile a quello infernale.
Si distinguevano perciò un «Inferno inferiore», dal quale non si usciva mai, e un «Inferno superiore», dal quale, dopo un periodo più o meno lungo di supplizi purgatori, si poteva ascendere al Paradiso.
A partire dal XII secolo, tuttavia, questa geografia dell’aldilà muta radicalmente grazie all’invenzione di un luogo intermedio, il Purgatorio, e di due luoghi complementari, i limbi.
Sono, questi ultimi, speciali luoghi di riposo ove non c’è pena ma neppure la visione beatifica di Dio: il limbo destinato ad accogliere i giusti nati prima di Gesù, e che Egli svuota durante la sua discesa agli Inferi, e il limbo dei bambini morti prima di ricevere il battesimo.
Ma l’istituzione fondamentale è quella del Purgatorio, che diventa a tutti gli effetti il «terzo luogo» dell’aldilà, intermedio fra Paradiso e Inferno, destinato a scomparire al momento del Giudizio finale, quando tutti i suoi abitatori, scontati i peccati «veniali» che pesavano sulle loro coscienze al momento del trapasso, potranno ascendere al cielo.
Il sistema binario dell’aldilà, fondato sulla polarità Inferno-Paradiso, viene così sostituito con un sistema più complesso e flessibile, conforme all’evoluzione della società.
In un’epoca di grande sviluppo commerciale e mercantile, il Purgatorio è all’origine di una concezione, per così dire, «matematica» dei peccati e delle relative penitenze, dando vita a una vera e propria «contabilità dell’aldilà».
La durata della permanenza in Purgatorio, infatti, dipende da tre fattori: dalla quantità di peccati «veniali» commessi in vita dal defunto; dai «suffragi» (preghiere, elemosine, messe) che alcuni vivi, parenti o amici, pagano per abbreviare il tempo di purgatorio del defunto stesso; dalle «indulgenze», cioè il riscatto integrale o parziale del tempo di purgatorio, ottenibile dalla Chiesa dietro pagamento in denaro.
Nel Duecento la Chiesa trasforma l’esistenza del Purgatorio in dogma, e questo fatto, insieme all’obbligatorietà della confessione individuale almeno una volta all’anno promulgata nel 1215 dal concilio Laterano IV, dà un fondamentale contributo alla centralità del giudizio individuale al momento della morte, e dunque al primato dell’individuo rispetto ai gruppi e agli ordini che avevano caratterizzato il Medioevo.