Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, – oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di: – Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006- .
– COMUNITÀ DI BOSE, Eucaristia e Parola.
Testi per le celebrazioni eucaristiche.
Anno B, a cura di Enzo Bianchi, Goffredo Boselli, Lisa Cremaschi e Luciano Manicardi, Milano, Vita e Pensiero, 2008.
– La Bibbia per la famiglia, a cura di G.
Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
LECTIO – ANNO B Prima lettura: Deuteronomio 4,32-34.39-40 Mosè parlò al popolo dicendo: «Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità all’altra dei cieli, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo? O ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come fece per voi il Signore, vostro Dio, in Egitto, sotto i tuoi occhi? Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro.
Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te e perché tu resti a lungo nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà per sempre».
La pericope conclude il primo dei tre grandi discorsi di Mosè che costituiscono il libro del Deuteronomio, la «seconda Legge».
Siamo nella pianura di Moab, alle porte della Terra promessa, e Mosè ricapitola per il popolo sempre riottoso la storia meravigliosa della liberazione dall’Egitto, con l’esortazione ripetuta a osservare la Legge, non per paura dei castighi o per sottomissione a un Dio tiranno, ma per risposta d’amore a un’elezione d’amore.
In questi versetti, si ribadisce l’unicità di Dio e del popolo che Egli si è scelto, non per merito degli Israeliti ma per amore gratuito.
Il motivo classico dell’elezione di Israele e della sua particolarità (vv.
32-38) è parallelo a quello dell’unicità del Dio di Israele (v.
39).
vv.
32-34 – Una serie di domande retoriche, che si ricollegano a quelle con cui il discorso di Mosè si era aperto (4, 7-8), riassume le grandi opere di Dio, dalla creazione (v.
32) alla teofania di Sinai (v.
33) fino ai prodigi e ai miracoli dell’Esodo (v.
34).
Nel confronto con gli altri popoli, che seguono altri dèi, è affermata la grandezza del Dio d’Israele; e insieme la familiarità di Dio con il suo popolo, che può ascoltarne la voce e restare in vita (cf.
Es 24,11).
L’espressione «con mano potente e braccio teso» (v.
34), che rappresenta Dio alla guida del popolo nell’attraversamento del mare e del deserto, riprende la tipologia regale egiziana; ve ne è traccia anche nelle lettere di El-Amarna.
vv.
39-40 – Sono espressioni caratteristiche del Deuteronomio.
La proclamazione del monoteismo (v.
39) corrisponde allo Shemà Israel (Deut 6,4: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno»); l’incentivo materiale per incoraggiare l’osservanza della Legge (v.
40 «perché sii felice…») riecheggia i motivi della letteratura sapienziale.
Seconda lettura: Romani 8,14-17 Fratelli, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio.
E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!».
Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio.
E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
Il brano prosegue nella spiegazione dei frutti dello Spirito, iniziata con Rm 8,1-11: lo Spirito non solo da la vita nuova, ma rende figli adottivi e eredi di Dio.
Appare qui per la prima volta nella lettera il tema dell’adozione.
«Spirito che rende figli adottivi» (pneuma yiothesì as) è un termine sconosciuto alla traduzione dei LXX, e non proviene quindi a Paolo dall’Antico Testamento, ma piuttosto dal linguaggio giuridico del mondo greco-romano.
In Israele infatti l’istituto dell’adozione non era pratica abituale tranne rari casi riguardanti schiavi o mèmbri della famiglia.
Il concetto di figliolanza divina è tuttavia uno sviluppo dell’idea veterotestamentaria dell’elezione di Israele (cf.
Deut 4,34), che viene chiamato più volte «il mio primogenito» (cf.
Es 4,22; Is 1,2; Ger 3.19-22; 31,9; Os 11,1) anche se sempre come entità collettiva di popolo e non come singolo individuo credente.
Per Paolo, il dono dello Spirito inserisce nella famiglia di Dio, è quindi alla base dell’adozione, costituisce propriamente la figliolanza.
v.
14 – «guidati dallo Spirito di Dio»: si tratta di ciò che i teologi chiameranno la «grazia preveniente», l’influenza attiva dello Spirito nella vita cristiana.
vv.
15-16- Introdotti da gar (infatti), questi due versetti spiegano il v 14.
I cristiani non hanno ricevuto uno spirito da schiavi, ma da figli: Paolo gioca sul senso della parola pneuma, che indica sia lo Spirito di Dio sia il nostro spirito.
L’affermazione fondamentale di questo passo è siamo figli di Dio.
Anche l’espressione aramaica Abbà, come modo di rivolgersi a Dio, è assente dall’Antico Testamento, dove la relazione filiale (cf.
Deut 14 1) è sempre corporativa e non individuale, se si eccettua l’invocazione di Sl 89,27 (Sap 2,16 è in un contesto descrittivo).
Qui viene subito tradotta (Abbà ho patèr), in quanto Paolo si rivolge a una comunità di cristiani provenienti dai Gentili.
v.
17 – Vengono ora le conseguenze escatologiche di questa condizione, ovvero l’eredità che assimila al Cristo, partecipi della sua passione e della sua gloria.
Ritornano qui i verbi caratteristici in Paolo composti con la particella syn (con).
Vangelo: Matteo 28,16-20 In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono.
Essi però dubitarono.
Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra.
Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato.
Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Esegesi I versetti conclusivi del Vangelo di Matteo rivolgono lo sguardo alla continuazione dell’opera nella comunità cristiana, rendendo esplicito il mandato missionario all’esterno di Israele, altrove solo accennato.
v.
16 – L’apertura alle genti era già indicata nel v.
7: «vi precede in Galilea».
Il ritorno dei discepoli in Gallica, determinato forse anche dalla necessità di allontanarsi da Gerusalemme per non essere arrestati subito dopo la Crocifissione, assume un significato teologico visto come obbedienza all’invito di Gesù, e un valore simbolico in rapporto alla missione.
La Galilea infatti, abitata in prevalenza da pagani, rappresenta «i popoli» del v.
19.
Già vi si era ritirato Gesù dopo l’arresto di Giovanni, e da lì aveva cominciato la sua predicazione (Mt 4, 12-17; cf.
anche Is 8, 23: «la Galilea delle Nazioni», Gelil haggoîm).
Gli Undici si recano dunque all’appuntamento, su un monte che è difficile identificare: il monte delle Beatitudini? il Tabor? Anche qui prevale il valore simbolico del «monte», collegato spesso nell’Antico come nel Nuovo Testamento a teofanie o rivelazioni.
v.
17 – La prostrazione (prosekynesan, latino adoraverunt) manifesta il riconoscimento della divinità di Gesù, una fede post-pasquale matura, che presuppone una comunità già consapevole e strutturata, e probabilmente un’epoca posteriore.
L’affermazione infatti è subito mitigata dalla seguente: «alcuni però dubitavano», che ci riporta all’esperienza immediata delle apparizioni del Risorto: cfr.
Mc 16, 8.11.13; Lc 24,37; Giov 21,12).
vv.
18-19 – Gesù si identifica con il «Figlio dell’Uomo» del libro di Daniele (Dan 7, 13-14), cui viene attribuito un potere eterno e universale: «tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano».
Da questo potere universale discende la missione universale degli Apostoli: limitata a Israele nei giorni del suo ministero terreno (cf.
15, 24), ora la predicazione della parola di Gesù è estesa a tutti i popoli.
Segue il comando specifico di «battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo», presente solo qui in forma così definita e completa.
Il battesimo indica l’atto di iniziazione nella comunità cristiana, e presuppone significati presenti anche altrove nel Nuovo Testamento: la purificazione con l’acqua e il pentimento (cf.
il battesimo di Giovanni Battista), ma anche il perdono e la professione di fede in Gesù come Messia e Signore.
Più che una formula liturgica (che si precisa più tardi) si tratta qui di una descrizione di ciò che il battesimo opera nel neofita: l’espressione «nel nome…» descrive l’entrata in comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito.
Il concetto di Dio Trinità è antico quanto la comunità cristiana, quale la conosciamo dagli scritti del Nuovo Testamento: cf.
1Cor 12, 4-6; 2Cor 13,13; 1Pt 1,2; 1Giov 3,23-24.
Questo naturalmente lascia impregiudicata la delicata questione di quanto si possa retroproiettare alla comunità immediatamente post-pasquale una consapevolezza trinitaria formulata secondo la mentalità post-nicena.
v.
20 – Il comando dato già ai discepoli di proclamare l’avvento del Regno (10,7) e guarire gli infermi (10,1.8) è completato, ora che Gesù non svolge più il suo ministero in mezzo a noi, da quello di «insegnare».
Il passo appartiene agli stadi più recenti della tradizione, quando il ritardo della parusia richiedeva anche un’assicurazione e un conforto per i discepoli rimasti in attesa: «io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (cf.
18,20).
La fine tante volte annunciata (cf.
13,39.49; 24,3) non è evidentemente più sentita così vicina.
Meditazione La Bibbia, pur affermando che Dio è sempre Altro e Oltre il nostro pensiero, si presenta come “rivelazione”, cioè come uno squarcio nel velo di silenzio che nasconde il mistero divino.
La rivelazione cristiana apre ulteriori orizzonti in questa luce invalicabile, che «l’uomo non può vedere continuando a restare in vita», come si ripete spesso nell’Antico Testamento.
Appare, così accanto al Padre, il Figlio inviato nel mondo e lo Spirito vivificatore, e nel nome della Trinità noi apriamo questa e ogni altra liturgia, concludiamo ogni preghiera ed è benedetta ogni persona e cosa.
Due sono i testi dell’odierna liturgia che esaltano questa rivelazione nuova del mistero divino.
Il primo è tratto dal capitolo ottavo della lettera ai Romani, il vertice del pensiero paolino ove con un suggestivo contrappunto l’apostolo presenta due “spiriti”.
C’è innanzitutto lo spirito dell’uomo, cioè il principio del suo esistere, del suo operare, del suo amare e del suo peccare, della sua libertà e della sua schiavitù.
Ma c’è anche uno Spirito di Dio, principio del suo amore e della sua comunicazione all’uomo.
Ebbene, questo Spirito divino penetra nello spirito dell’uomo, lo invade come un vento che tutto avvolge e permea.
La creatura che accoglie e si lascia conquistare da questo Spirito viene trasformata da figlio dell’uomo in figlio di Dio, diventa membro della sua famiglia, è ufficialmente dichiarato coerede del primogenito di Dio, il Cristo.
Paolo, quindi, proclama una vera e propria ammissione dell’uomo all’interno della vita divina.
Questo ingresso avviene attraverso il battesimo, visto come radice dell’intera vicenda cristiana, e attraverso l’ascolto obbediente della Parola.
È ciò che è lapidariamente formulato nella scena finale del Vangelo di Matteo che oggi domina la nostra liturgia.
In Gallica non si danno solo appuntamento il Cristo risorto e gli Undici, ma il mistero di Dio e quello della Chiesa.
Da un lato, infatti, il Cristo glorioso appare nello splendore più puro della sua divinità; egli è per eccellenza “superiore” e trascendente rispetto a tutta la realtà creata: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra».
Davanti a lui l’uomo si prostra in adorazione.
La sua presenza non è come quella di una persona terrena.
È una presenza che dev’essere scoperta attraverso la via della fede, ed è per questo che conosce anche l’esitazione, l’oscurità, il dubbio.
D’altra parte, però, Cristo è vicino, è «con noi tutti i giorni» e in tutte le epoche storiche.
Soprattutto è operante all’interno della Chiesa a cui comunica la sua Parola e la sua grazia salvifica.
Infatti alla Chiesa egli affida il compito di annunziare all’umanità «tutto ciò che egli ha comandato», coinvolgendo ogni uomo nella salvezza: l’«ammaestrate» della versione del Vangelo, che oggi leggiamo, nell’originale suona meglio come un «fare discepoli» i popoli.
Per la Bibbia, quindi, il mistero infinito di Dio non respinge ma accoglie in sé i nostri piccoli misteri, immergendoli nella sua luce infinita.
Non dobbiamo, perciò, considerare Dio solo come oggetto di discussione filosofica e teologica, non dobbiamo solo parlare in modo distaccato e freddo di Dio e della Trinità.
Dobbiamo anche parlare a Dio in un dialogo di intimità e di vita che lui stesso ha inaugurato.
Categoria: Novità
La sezione Novità con le sue rubriche tiene aggiornati gli educatori sulle novità che: negli eventi, nell’editoria e nel cinema interessano l’educazione religiosa.
“Il Signore è grande e non si può disegnare, perché nel foglio non ci sta”.
PEIRCE GUALTIERO, Il signore è grande e non si può disegnare (perché nel foglio non ci sta), Einaudi Torino 2008, ISBN: 8806193082, pp.
132, € 12.50 Per la prima volta bambini ebrei, cristiani e musulmani raccontano come vedono Dio e ci parlano della paura, del perdono, della colpa e dell’eternità…
Peirce ha trascorso molto tempo ad ascoltare gli alunni di tre scuole confessionali di Roma.
Ne è nato un reportage in cui i bambini ci regalano momenti di candore e stralunata saggezza, definizioni buffe, visioni e concetti che ci riportano alle origini del pensiero religioso.
Peirce ha trascorso molto tempo ad ascoltare gli alunni di tre scuole confessionali di Roma.
Ne è nato un magnifico reportage in cui i bambini ci regalano momenti di candore e stralunata saggezza, definizioni buffe, visioni e concetti che ci riportano alle origini del pensiero religioso.
Prima C, scuola elementare ebraica.
Gaia punta al cuore del problema: «Maestra, ma Dio come è nato?» «Secondo voi? Chi ha un’idea?».
«Con la mamma!» «Con il vento!» «Con le nuvole!» «Ma bambini, questa è una storia difficile da capire, per ora…» Invece no.
C’è un bimbo di 6 anni che lo sa: «Maestra…
Dio è nato con le parole».
Seconda B, scuola elementare cattolica: «Ditemi un po’, a chi somiglia Dio?» Un paio di alunni si mettono subito al sicuro: «Alla maestra!», «Ai genitori!» Poi alza la mano Sofia, guardando dritto dritto dietro gli occhiali rossi: «Dio assomiglia a Giulio!» E con l’indice benedice il compagno che le sta di fronte, tutto rosso di imbarazzo.
Moschea, scuola integrativa per bimbi musulmani.
«Noi siamo tutti figli di Adamo…», racconta l’imam.
Tasnim, il velo intorno al viso, si fa due conti: «Tutti? Ma proprio tutti? Madonna, quanti figli!»
Uomini che odiano le donne
Uomini che odiano le donne è il primo film tratto dalla trilogia ‘Millennium’, i romanzi di Stieg Larsson, che hanno venduto oltre 8 milioni di copie in tutto il mondo.
Purtroppo, Larsson non è vissuto abbastanza per vedere il successo del suo lavoro, essendo morto all’improvviso nel 2004, poco dopo aver consegnato il manoscritto all’editore svedese.
La trama Quarant’anni fa Harriet Vanger è scomparsa da una riunione di famiglia sull’isola abitata dal potente clan dei Vanger, che ne sono anche i proprietari.
Benché il corpo della donna non sia mai stato ritrovato, lo zio è convinto che sia stata assassinata e che l’autore del delitto sia un membro della sua stessa famiglia – una gruppo disfunzionale ma i cui membri sono legati da vincoli molto stretti.
Per indagare sull’accaduto, lo zio assume il giornalista economico in crisi Mikael Blomkvist e la hacker tatuata e senza scrupoli Lisbeth Salander.
Dopo aver collegato la scomparsa di Harriet a una serie di grotteschi delitti avvenuti una quarantina d’anni prima, i due investigatori cominciano a dipanare una storia familiare oscura e sconvolgente.
Ma i Vanger sono gelosi dei loro segreti, e Blomkvist e Salander scopriranno che sono capaci di qualsiasi cosa pur di difenderli.
Scheda Uomini che odiano le donne (Män som hatar kvinnor, Svezia, 2009) Regia: Niels Arden Con: Michael Nyqvist, Noomi Rapace, Lena Endre, Sven Bertil Taube Distribuzione: Bim Genere Thriller Durata: 152′ Data di uscita: 29-05-2009 » IL SITO UFFICIALE Il fenomeno ‘Millennium’ sembra destinato a diventare un fenomeno anche nelle sale italiane.
In quelle scandinave Uomini che odiano le donne, uscito il 27 febbraio scorso, è stato visto da oltre un milione e mezzo di spettatori con un incasso di 25 milioni di dollari.
I prossimi due episodi si chiameranno: La ragazza che giocava con il fuoco e La regina dei castelli di carta.
Stieg Larsson (1954-2004) è stato un giornalista, con una grandissima esperienza sulle organizzazioni anti-democratiche, della destra estremista e naziste, sulle quali veniva spesso consultato.
La serie ‘Millenium’ è un esordio straordinariamente brillante nel genere del giallo.
Nei tre romanzi, l’azione si svolge a partire dal 2003.
La forza principale di Larsson sta nel suo stile non artificioso, asciutto, privo di cliché.
La sua è una scrittura efficace, incisiva e professionale.
E non lascia mai niente di irrisolto.
Per quanto riguarda il film Michael Nyqvist è uno degli attori svedesi più amati, mentre per quanto riguarda Lisbeth Salander, si erano vagliati vari nomi prima di scegliere la ‘particolare’ Noomi Rapace.
Il regista, Niels Arden Oplev, ha affermato: “Molti mi hanno chiesto se mi sentivo onorato di essere stato scelto per dirigere Uomini che odiano le donne, la verità è che avevo sentito parlare dei libri ma non li avevo letti.
Poi mi ci sono messo di impegno e li ho trovati interessantissimi.
Quello che mi ha conquistato è che il romanzo non l’ho mai visto come un giallo, piuttosto come un film drammatico a sfondo poliziesco.
Volevo fare un film con emozioni potenti e una storia controversa e intrigante.
Era importante che conservasse lo spirito tagliente del libro, che avesse il coraggio di mostrare il lato oscuro della società.
Spero tanto di esserci riuscito!” Detective dell’odio nella Svezia più oscura di Luca Pellegrini Penetra a fondo nel bianco della neve svedese, che tutto copre e tutto nasconde, l’odio degli uomini per le donne, per chi arranca nella verità, l’odio per chi porta un nome ebraico, per chi è debole e solo, l’odio vorticoso e incontenibile nel quale sguazzano impuniti capitalisti farabutti, parenti corrotti, figli assassini, padri brutali, avvocati perversi.
No, non è la Svezia serena e democratica, efficiente e pulita che immaginiamo dalle cartoline turistiche e dall’idea di civiltà che da sempre abbiamo associata ai Paesi del Grande nord.
Harriet Vagner è scomparsa da quarant’anni, lo zio Henrik si dispera, Mikael Blomkvist indaga, Lisbeth Salander collabora a modo suo.
Per chi ha dimestichezza con i best seller, subito riconosce in questi nomi i protagonisti delle 676 pagine di intrighi e crudeltà, vendette e misteri, che Stieg Larsson ha sviluppato nel primo capitolo della sua trilogia Millennium (è il nome di un fittizio mensile politico-economico), caso letterario in cui l’artificioso marasma psicologico scaturisce probabilmente dalla realtà sperimentata dall’autore, la cui fine sembra lambire le sue stesse storie.
Dieci milioni di copie vendute nel mondo, lettori famelici che non spengono la luce nelle loro notti profonde pur di arrivare il prima possibile alla parola “fine” e naturalmente ora anche un film autarchico, tutto svedese o almeno nordico (per fortuna Hollywood se ne è tenuta, fino ad ora, alla larga), a cominciare dal giovane regista danese Niels Arden Oplev – che ha confessato non essere stato mai un lettore appassionato della trilogia e nemmeno molto interessato alle riprese, almeno fino al loro inizio, perché preso dalla scrittura di un film sui Testimoni di Geova – insieme alla lunga serie di bravi attori, tra i quali Michael Nyqvist e Noomi Rapace, i volti inquieti dei due amatissimi protagonisti.
I diritti, confessa il produttore Sören Staermose, sono stati acquistati nel 2005, dopo ardue trattative, comunque prima dell’esplosione del successo letterario che ha fatto schizzare le aspettative mondiali, i costi e ora, si spera, anche i guadagni, mentre i due successivi capitoli – La ragazza che giocava con il fuoco e La regina dei castelli di carta – sono già in fase di post produzione e in uscita sugli schermi rispettivamente il prossimo autunno e nella primavera del 2010.
Larsson, però, non può godersi questi inaspettati successi terreni: morto improvvisamente a cinquant’anni nel 2004 e con trecento pagine del quinto capitolo ambientato in Canada (dieci quelli progettati), testo depositato nel file del suo computer – non si sa ora a chi appartenga – e che probabilmente non si leggerà mai.
Non ci possiamo certo immaginare come sarebbero proseguite le indagini di questa spericolata e stranamente assortita “compagnia investigativa” che si inabissa nelle più oscure perversità dell’animo umano: la società contemporanea è crudele verso le donne – centomila casi di violenza sono stimati in Svezia ogni anno su appena nove milioni di abitanti – un odio che cresce in tenerissima età e si espande fino a quella più matura.
Poi, spiega il regista, si diramano ovunque rigagnoli di razzismo in superficie mentre sotto, ben nascosti, prosperano commercio di armi, di esseri umani e scandali finanziari.
Più che esplorare le radici di tanto odio, di tanto disprezzo, di tanto marciume che dalla Danimarca di Amleto è tracimato nella Svezia dei Nobel, romanzo e film esaltano i contrasti tra bene fragile e male agguerrito a fini puramente spettacolari, esasperano la drammaticità delle relazioni familiari del gruppo patriarcale dei Vagner marchiato dall’adesione al nazismo in tempi oscuri e non lontani e da un fanatismo religioso che fa da collante logico agli spaventosi delitti, parlano in ogni momento di emozioni vere e di peccati gravi.
Tipica letteratura d’evasione, dunque, scritta però con sapida attrazione e fedele trasposizione cinematografica – oltre due milioni e mezzo di spettatori in Scandinavia – che non altera troppo la struttura narrativa, condensa molto bene le diverse tensioni e paure, non evita certo il raccapriccio di alcune scene che vanno prese e maneggiate con estrema cura.
Nessuno è esente dalla debolezza del cuore, del sesso, dell’egoismo, dell’avidità, nella Svezia delle parole di Larsson e delle immagini di Oplev.
Tutti sono sull’orlo dell’abisso: quassù si cammina in una penombra incerta e ingannevole, laggiù si precipita senza salvezza e senza assoluzione.
Il personaggio di Lisbeth – non ci si aspetti un eroina da fumetto, ma una hacker quasi anoressica, a tratti sgradevole, che sa muoversi come Diabolik e pensare come Sherlock Holmes – è l’icona della donna fragile, vulnerabile.
“Lisbeth è una vittima che rifiuta di essere vittima non si adatta mai, non si autocommisera.
Combatte per la sua sopravvivenza, si ribella, trova sempre il modo di risorgere con un’energia che affascina.
Assapora, quando possibile, la vendetta.
Potrebbe sembrare un bene: lo è nel romanzo, ma nella realtà non credo – dice Noomi, l’attrice che la interpreta – che la sua reazione sia giusta.
Ciò che è giusto sarebbe essere giudicati tutti allo stesso modo in un mondo di pari diritti, che però non ha visto ancora la luce”.
Nel crepuscolo che avvolge l’isola di Hedeby teatro di tante efferatezze, gli uomini continuano ad odiare, le donne a subire e non si capisce bene che fine abbiano fatto pietà, misericordia, onore, giustizia.
Per il film può andar bene così, per la vita sarebbe una catastrofe.
(©L’Osservatore Romano – 29 maggio 2009)
Domenica di Pantecoste anno B
La Pentecoste La struttura dell’icona ricorda l’Ultima Cena: allora gli apostoli si stringevano intorno a Gesù per accogliere il suo testamento, ora si raccolgono intorno a Maria per perseverare nella preghiera, in attesa dello Spirito Paraclito.
La scena si svolge nella stessa stanza che vide Cristo istituire l’Eucaristia, la «camera alta» di Sion.
La comunione di quanti credono in Cristo è custodita dalla sollecita premura di Maria, beata perché per prima ha creduto all’adempimento della parola del Signore (cf Lc 1, 45).
La Madre di Dio e degli uomini, che ha conosciuto la potenza dello Spirito nell’Annunciazione, rassicura gli apostoli turbati per il forte vento che si abbatte gagliardo e che riempie tutta la casa dove si trovano.
Le lingue di fuoco che appaiono, che si dividono e che si posano su ciascuno di loro non provocano nessun incendio, ma illuminano le loro menti e accendono nei loro cuori il fuoco dell’Amore.
In questa Chiesa nascente, lo Spirito Santo riveste di forza gli apostoli, ricorda loro tutte le parole di Cristo e li rende testimoni del Vangelo sino agli estremi confini della terra.
Maria, nuovamente visitata dalla fecondità dello Spirito Santo, diviene Madre della Chiesa, rifugio mirabile dei discepoli che invocano la sua materna protezione.
Vieni Spirito Santo.
Vento impetuoso, fuoco che divora, ma anche brezza leggera, scintilla di luce.
Vieni in me.
Parola potente, ma anche lieve sussurro.
Vieni in me.
Fresca cascata, ma anche rivolo d’acqua che estingue l’arsura…
Dammi occhi nuovi, dammi ali di libertà, dammi trasparenza di vita, dammi tenerezza e audacia e attenderò con te, nella speranza, il nuovo Giorno.
(Domenica GHIDOTTI, Icone per pregare.
40 immagini di un’iconografa, Milano, Ancora, 2003, 54-55).
Aprirci al “di più” Il dono che il Signore vuol farci e che da sempre ci ha fatto con il suo Spirito è di capire che l’uomo si realizza andando oltre se stesso, che si realizza donandosi.
Dio non esiste se non nella relazione di donazione del Padre al Figlio, e non è pensabile al di fuori dello Spirito che è effervescenza continua di amore.
Egli è fuoco che brucia sen-za consumare, è al di là del mistero stesso del fuoco, pur essendo fuoco.
(Carlo Maria MARTINI, Incontro al Signore risorto, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2009, 54).
Sii un vero amico Le vere amicizie sono durature perché il vero amore è eterno.
L’amicizia nella quale il cuore parla al cuore è un dono di Dio, e nessun dono che viene da Dio è temporaneo od occasionale.
Tutto ciò che viene da Dio partecipa della vita eterna di Dio.
L’amore tra le persone, quando è dato da Dio, è più forte della morte.
In questo senso la vera amicizia continua al di là dei confini della morte.
Quando hai amato profondamente, quell’amore può crescere anche più forte dopo la morte della persona che ami.
È questo il centro del messaggio di Gesù.
Quando Gesù è morto, l’amicizia dei discepoli con lui non è scemata.
Al contrario, è cresciuta.
È questo il significato dell’invio dello Spirito.
Lo Spirito di Gesù ha reso duratura l’ami-cizia di Gesù con i suoi discepoli, più forte e più intima di prima della sua morte.
È questo che Paolo ha sperimentato quando diceva: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).
Devi avere fiducia che ogni vera amicizia non ha fine, che esiste una comunione dei santi tra tutti coloro, viventi o defunti, che hanno veramente amato Dio e si sono amati l’un l’altro.
Sai dall’esperienza quanto questo sia reale.
Coloro che hai amato profondamen-te e che sono morti continuano a vivere in te, non solo come ricordi, ma come presenze re-ali.
Osa amare ed essere un vero amico.
L’amore che dai e ricevi è una realtà che ti condur-rà sempre più vicino a Dio e a coloro che Dio ti ha dato da amare.
(H.J.M.
NOUWEN, La voce dell’amore, Brescia, Queriniana, 2005, 111-112).
“Noi abbiamo suonato il flauto e voi non avete danzato” E’ il 14 luglio.
Tutti si apprestano a danzare.
Dappertutto il mondo, dopo anni dopo mesi, danza.
Ondate di guerra, ondate di ballo.
C’è proprio molto rumore.
La gente seria è a letto.
I religiosi dicono il mattutino di sant’Enrico, re.
Ed io, penso all’altro re.
Al re David che danzava davanti all’Arca.
Perché se ci sono molti santi che non amano danzare, ce ne sono molti altri che hanno avuto bisogno di danzare, tanto erano felici di vivere: Santa Teresa con le sue nacchere, San Giovanni della Croce con un Bambino Gesù tra le braccia, e san Francesco, davanti al papa.
Se noi fossimo contenti di te, Signore, non potremmo resistere a questo bisogno di danzare che irrompe nel mondo, e indovineremmo facilmente quale danza ti piace farci danzare facendo i passi che la tua Provvidenza ha segnato.
Perché io penso che tu forse ne abbia abbastanza della gente che, sempre, parla di servirti col piglio da condottiero, di conoscerti con aria da professore, di raggiungerti con regole sportive, di amarti come si ama in un matrimonio invecchiato.
Un giorno in cui avevi un po’ voglia d’altro hai inventato san Francesco, e ne hai fatto il tuo giullare.
Lascia che noi inventiamo qualcosa per essere gente allegra che danza la propria vita con te.
(…) Per essere un buon danzatore, con Te come con tutti, non occorre sapere dove la danza conduce.
Basta seguire, essere gioioso, essere leggero, e soprattutto non essere rigido.
Non occorre chiederti spiegazioni sui passi che ti piace fare.
Bisogna essere come un prolungamento, vivo ed agile, di te.
E ricevere da te la trasmissione del ritmo che l’orchestra scandisce.
(…) Ma noi dimentichiamo la musica del tuo Spirito, e facciamo della nostra vita un esercizio di ginnastica; dimentichiamo che fra le tue braccia la vita è danza, che la tua Santa Volontà è di una inconcepibile fantasia, e che non c’è monotonia e noia se non per le anime vecchie, che fanno tappezzeria nel ballo gioioso del tuo amore.
Signore, vieni a invitarci.
(…) Se certe arie sono spesso in minore, non ti diremo che sono tristi; se altre ci fanno un poco ansimare, non ti diremo che sono logoranti.
E se qualcuno ci urta, la prenderemo in ridere; sapendo bene che questo capita sempre quando si danza.
Signore, insegnaci il posto che tiene, nel romanzo eterno avviato fra te e noi, il ballo singolare della nostra obbedienza.
Rivelaci la grande orchestra dei tuoi disegni; in essa quel che tu permetti da suoni strani nella serenità di quel che tu vuoi.
Insegnaci a indossare ogni giorno la nostra condizione umana come un vestito da ballo che ci farà amare da te, tutti i suoi dettagli come indispensabili gioielli.
Facci vivere la nostra vita, non come un gioco di scacchi dove tutto è calcolato, non come un match dove tutto è difficile, non come un teorema rompicapo, ma come una festa senza fine in cui l’incontro con te si rinnova, come un ballo, come una danza, fra le braccia della tua grazia, nella musica universale dell’amore.
Signore, vieni a invitarci.
(MADELEINE DELBRÉL, La danza dell’obbedienza, in Noi delle strade, Torino, Gribaudi, 1988, 86-89.
Lo Spirito del Signore ha riempito l’universo La solennità di questo giorno ci riempie di gioia non soltanto perché riconosciamo la sua importanza, ma anche perché assaporiamo la sua dolcezza.
Ciò che essa fa risaltare è l’amore.
Ora, non vi è nel linguaggio umano una parola più dolce a udirsi, un sentimento più delizioso da coltivare.
Quest’amore non è altro che la bontà di Dio, la sua benevolenza, il suo amore.
O piuttosto, Dio in persona è la bontà, la benevolenza, l’amore.
E questa bon-tà si identifica al suo Spirito, che è esso stesso Dio.
[…] E secondo il disegno di Dio, in prin-cipio, lo Spirito di Dio ha riempito l’universo, «dispiegando la sua forza da un confine al-l’altro del mondo e governando ogni cosa con dolcezza» (Sap 8,1).
Ma per quanto riguarda la sua opera di santificazione, è a partire da questo giorno di Pentecoste che lo Spirito del Signore ha riempito l’universo.
Poiché è oggi che questo dolce Spirito è stato inviato dal Padre e dal Figlio per santificare ogni creatura secondo un nuovo disegno, un modo nuo-vo, una manifestazione nuova della sua potenza e della sua forza.
Certo, in precedenza «lo Spirito non era stato ancora dato, perché Gesù non era stato ancora glorificato» (Gv 7,39).
[…] Ma oggi, discendendo dalla dimora celeste, lo Spirito si è dato ai mortali con tutta la sua ricchezza, la sua fecondità.
Così questa rugiada divina si stende su tutta la terra, nella diversità dei suoi doni spirituali.
Ed è giusto che la pienezza delle sue ricchezze sia discesa dall’alto dei cieli per noi, perché pochi giorni prima, grazie alla generosità della nostra ter-ra, il cielo aveva ricevuto il Signore.
La nostra terra non ha mai prodotto nulla di più dolce, di più piacevole, di più delizioso, di più santo.
[…] «Lo Spirito di Cristo riempie l’universo, lui che tiene insieme tutti gli esseri, sente tutte le voci» (Sap 1,7).
Ovunque lo Spirito agi-sce, ovunque lo Spirito prende la parola.
Certamente prima dell’Ascensione lo Spirito fu dato ai discepoli, quando il Signore disse loro: «Ricevete lo Spirito santo» ( Gv 20,23).
Ma in nessun modo, prima di Pentecoste, non si udì la voce dello Spirito santo, non si vide ri-splendere la sua potenza.
E i discepoli di Cristo non giunsero a conoscerlo; non erano stati ancora riconfermati, la paura li obbligava ancora a nascondersi in una stanza a porte chiu-se.
Ma a partire da quel giorno, «la voce del Signore domina le acque, il Dio della gloria scatena il tuono, la voce del Signore spezza i cedri e tutti gridano: Gloria!» (cfr.
Sal 28 [29] , 3.5.9).
(AELREDO DI RIEVAULX, Omelia sulla settuplice voce dello Spirito 1, in Sermones inediti, a cura di di C.H.
Talbot, Roma 1952 pp.
112-114).
Preghiera allo Spirito Santo Spirito Santo, eterno Amore, che sei dolce Luce che mi inondi e rischiari la notte del mio cuore; Tu ci guidi qual mano di una mamma; ma se Tu ci lasci non più d’un passo solo avanzeremo! Tu sei lo spazio che l’essere mio circonda e in cui si cela.
Se m’abbandoni cado nell’abisso del nulla, da dove all’esser mi chiamasti.
Tu a me vicino più di me stessa, più intimo dell’intimo mio.
Eppur nessun Ti tocca o Ti comprende e d’ogni nome infrangi le catene.
Spirito Santo, eterno Amore.
(Edit Stein [S.
Teresa Benedetta della Croce]).
LECTIO – ANNO B Prima lettura: Atti 2,1-11 Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nel-lo stesso luogo.
Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbat-te impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano.
Apparvero loro lingue come di fuo-co, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spiri-to Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo.
A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua.
Erano stupiti e, fuori di sé per la meravi-glia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai cia-scuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abi-tanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Ro-mani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».
In questo brano degli Atti degli Apostoli sono presentati i due propulsori dello svilup-po della chiesa: lo Spirito e la Parola.
La parola dell’apostolo arriva, provoca la fede e con-verte, perché è stata preceduta dallo Spirito, che solo apre l’orecchio all’ascolto.
Al tempo di Gesù la Pentecoste, o festa delle settimane — antica festa agricola (offerta del-le messi), celebrata sette settimane dopo la pasqua (cf.
Lv 23,15-21) — aveva assunto anche il senso di commemorazione dell’alleanza del Signore e di celebrazione della legge mosai-ca.
Poiché il giorno inizia la sera del giorno prima, l’espressione «stava compiendosi il giorno di Pentecoste» indica la mattinata inoltrata che conclude il periodo della festività.
Ma essa indica anche una realtà più profonda: il «giorno» atteso dai profeti sta per finire; la storia è al suo giro di boa, perché il vero Israele incomincia a separarsi dal giudaismo incredulo.
La scena descritta nel testo ricalca la teofania del Sinai (Es 19,16-22): l’antica alleanza è sostituita dalla nuova alleanza.
Tuoni, lampi, rumore di tromba, fumo indicano la presen-za del Signore nel Sinai e la «discesa» dello Spirito sugli apostoli.
L’antica legge diventa «nuova» per la presenza dello Spirito, che non solo istruisce ma anche dà la forza di compiere quello che la legge richiede.
Il «fuoco» che purifica e illumina (cf.
Is 6,6), indica una trasformazione interiore nei di-scepoli di Gesù, i quali, da poveri e incolti pescatori, diventano annunciatori del vangelo: il messaggio più sconvolgente che gli uomini possano sentire (At 1,8).
La presenza di tutte le nazioni a Gerusalemme ha un significato più profetico che stori-co: la Chiesa oltrepassa i confini del giudaismo; ad essa tutti possono accedere per speri-mentare i frutti della Nuova Alleanza promessa non solo per Israele, ma per tutti.
Il miracolo delle lingue può essere una semplice glossolalia (gesti simbolici tradotti da un interprete in un linguaggio comprensibile) o un apprendimento (o una traduzione si-multanea) di nuove lingue (così si potrebbe comprendere come i presenti sentano parlare le loro lingue).
Ma Luca potrebbe essere stato influenzato dalla tradizione giudaica secon-do la quale nel Sinai la voce di Dio si era divisa in 70 lingue, perché la capissero tutte le 70 nazioni della terra: con il dono dello Spirito la Chiesa si apre all’evangelizzazione di tutte le nazioni del mondo.
Seconda lettura: Galati 5,16-25 Fratelli, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il deside-rio della carne.
La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desi-deri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quel-lo che vorreste.
Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge.
Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idola-tria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubria-chezze, orge e cose del genere.
Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho det-to: chi le compie non erediterà il regno di Dio.
Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge.
Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la car-ne con le sue passioni e i suoi desideri.
Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito.
La figliolanza abramitica, o divina, non è possibile senza lo Spirito.
È solo lo Spirito che fa di un uomo della carne, un uomo dello Spirito.
L’uomo della carne è l’uomo schiavo dei propri vizi: fornicazione, impurità, libertinaggio (disordini sessuali), idolatria, stregoneria (corruzione del culto), inimicizia, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidia (peccati contro la comunità), ubriachezza, orge (disordini dei sensi), e cose del genere (l’e-lenco è solo indicativo).
L’uomo vorrebbe compiere la legge, che porta alla vita, ma non ha in se stesso la forza di compierla, e si trova a fare quello che non vuole (v.
17): gli è impedi-to l’esercizio della vera libertà, quella di amare rinnegando se stesso per perdersi nell’altro.
In questa battaglia contro l’uomo della carne che vorrebbe tornare a prevalere nella vita del cristiano, s’inserisce lo Spirito Santo.
La sua presenza è indicata dai frutti: il punto d’ar-rivo dell’attività vivente dello Spirito, che sollecita la nostra libera cooperazione.
Essi sono: amore, gioia, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (V.
22).
Sono gli atteggiamenti dell’uomo nuovo, liberato dalle sue paure e dal suo egoismo, in grado di amare gratuitamente.
La comunità, in questa battaglia, può anche dire di no alla forza liberante dello Spirito, e ricadere nelle antiche opere della carne.
Vangelo: Giovanni 15,26-27; 16,12-15 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimo-nianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.
Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parle-rà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.
Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.
Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo an-nuncerà».
Esegesi I due brani del vangelo sono tratti dal secondo discorso d’addio di Gesù durante la cena pasquale.
Gesù parla della testimonianza che i suoi discepoli daranno nel contesto della persecuzione.
Essi non saranno mai soli, perché egli manderà il Consolatore, o meglio il Difensore, che procede dal Padre.
La forza necessaria, infatti, per testimoniare la verità su Cristo durante il giudizio verrà dallo Spirito di verità, che in modo silenzioso continua l’o-pera di Gesù che è la Verità.
Lo Spirito ricorderà loro quel che hanno visto e udito fin da principio.
La testimonianza oculare non basta per comprendere Gesù.
È solo lo Spirito che dona gli occhi della fede per capire chi veramente egli sia: «per il momento non siete capaci di portarne il peso» (16,12).
Lo Spirito è una guida «a tutta la verità» (16.13): Gesù è la verità, ma è anche la «via», che conduce alla verità.
Lo Spirito dopo la risurrezione sarà il maestro interiore che li accom-pagnerà alla comprensione sempre più profonda di Gesù.
Anche i vangeli sono stati scritti sotto la guida di questo Spirito, e così pure la comprensione del loro significato nelle co-munità del futuro avverrà sotto l’azione dello Spirito.
Come Gesù ci ha detto tutto quello che ha udito dal Padre, così anche lo Spirito non dà del suo, ma di quello che riceve da Gesù (v.
13b).
Egli rivela e glorifica Gesù, mettendo in evidenza la sua natura trascendente (v.
14): questa è anche l’opera d’ogni discepolo dopo la Pasqua.
Meditazione Attraverso una lunga e simbolica attesa di cinquanta giorni, la liturgia prepara i creden-ti a vivere quel giorno di dono e di pienezza che è la Pentecoste, il giorno in cui il Signore Gesù porta a compimento la missione che il Padre gli ha affidato, facendo dono all’umani-tà del suo Spirito affinché tutto il mondo possa entrare nella novità della vita divina (cfr.
il racconto di At 2,1-11).
Gesù stesso, con la sua parola, prepara il discepolo in questo tempo di attesa: gli fa comprendere che, nella vita di chi si pone alla sequela di Cristo, ciò che da forza, freschezza, passione, vivacità a ogni parola, a ogni gesto, è proprio quello Spirito che abita in lui, quello Spirito che è stato il segreto stesso della vita di Gesù (cfr.
Gal 5,16-25 e Gv 15,26-27).
E la dimensione del dono emerge con forza nelle letture che la liturgia di questo giorno ci propone.
Nel racconto redatto da Luca e riportato in At 2,1-11, l’esperienza della Pentecoste viene descritta attraverso allusioni bibliche che richiamano l’evento del Sinai (cfr.
in particolare gli elementi descrittivi che caratterizzano la teofania del Sinai, come il fragore che viene dal cielo, il vento che si abbatte impetuoso, il fuoco) e la stessa comunità dei discepoli radunata «tutta insieme nello stesso luogo» (2,1) ricorda il popolo di Israele accampato davanti al monte (cfr.
Es 19,2, una delle letture proposte per la messa vigilare).
Di qui deriva un pri-mo aspetto del dono che la comunità dei credenti riceve a Pentecoste: «l’invio dello Spirito – annota J.
Dupont – si sostituisce alla promulgazione della Legge; l’alleanza che era fon-data sulla legge mosaica viene rimpiazzata da una nuova alleanza, basata sulla presenza e sull’azione dello Spirito nei cuori.
Tale alleanza non è più legata all’obbedienza a coman-damenti imposti dal di fuori, ma ad una trasformazione intima operata dallo Spirito che ispira, a coloro che l’hanno ricevuto, un atteggiamento filiale nei riguardi di Dio».
Ma questa intima comunione tra Dio e l’uomo che si realizza mediante lo Spirito del Ri-sorto investe anche le relazioni: crea una comunità che è la Chiesa.
Il dono dello Spirito è un dono che suscita unità e comunione tra gli uomini.
E Luca sottolinea il carattere univer-sale della koinonia inaugurata dallo Spirito.
Viene capovolta la pretesa di Babele (Gen 11,1-9, prima lettura della messa vespertina della vigilia): ciò che l’uomo non può realizzare nella logica di una conquista autonoma, cioè l’unità delle lingue, viene compiuta come do-no da Dio, mediante lo Spirito che apre alla comprensione dell’altro nella diversità dei lin-guaggi.
Nella Pentecoste, dunque, ci viene rivelato ciò che unisce gli uomini: non è il ‘no-me’ che essi si danno annullando ogni alterità nella pretesa di una unità puramente uma-na, ma lo Spirito (il volto della relazione intradivina) che viene donato.
L’unità che scaturi-sce da questo dono, allora, non è nella riduzione a una sola lingua, ma nella comprensione della parola dello Spirito nella diversità e nella unicità di ciascuna lingua.
E inoltre, a Pentecoste, sotto il simbolo del vento gagliardo che all’improvviso investe il luogo ove erano riuniti i discepoli di Gesù e si trasforma in fuoco che si posa su ciascuno di loro, la comunità dei credenti riceve in dono quella forza che gli permetterà, lungo la storia e in ogni luogo, di essere testimone dell’evangelo e portatrice della Pasqua di Cristo.
È come se in quel giorno a quel primo seme di Chiesa, attraverso lo Spirito, venisse donato un vento e un fuoco inestinguibili, tali da percorrere senza sosta ogni epoca e ogni luogo e tali da rendere possibile annunciare, comprendere e vivere l’evangelo.
Si può capire allora, proprio attraverso questa immagine, ciò che lo Spirito Santo compie nella Chiesa e in noi credenti: ci abilita ad essere testimoni dell’evangelo, ci dà la forza di annunciare la parola di Gesù, ci rende capaci di comunione e di unità.
Ed è l’aspetto che emerge nella pericope del vangelo di Giovanni.
In un contesto di per-secuzione, il discepolo fa esperienza certamente di una conformazione al destino del suo Signore: «se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20).
Tuttavia sente il peso di portare una testimonianza che a volte sembra al di là delle sue forze.
Gesù allora promette la presenza dello Spirito il quale si rivela come «il Paraclito […] lo Spirito di verità che procede dal Padre» (15,26).
Egli diventa il testimone interiore del discepolo, colui che ha la forza di convincere il cuore del discepolo della verità della parola di Gesù, quasi ‘di-fendere’ Gesù nel cuore del discepolo e di rendere trasparente la testimonianza del disce-polo di fronte al mondo, facendo comprendere la bellezza della testimonianza data al no-me di Gesù.
Solo lo Spirito può fare del discepolo un testimone.
Ma in Gv 16,12-13 ci viene anche ricordato che solo lo Spirito può fare da ‘esegeta’ della parola di Gesù, da guida nel cammino di comprensione di questa parola a volte così diffi-cile da ‘portare’.
È lo Spirito di verità, poiché «non parla da se stesso, ma dice tutto ciò che ha udito e annuncia le cose future» (cfr.
16,13).
Mediante lo Spirito, la comunità dei disce-poli viene condotta nel cuore stesso del mistero di Gesù; lo Spirito guida «verso e dentro la pienezza della verità» (tale è il senso della espressione odegesei eis del v.l3).
E questo cam-mino guidato dallo Spirito è, nello stesso tempo, un cammino di fedeltà e di novità, di memoria e di rinnovamento.
Senza lo Spirito, la parola stessa di Gesù resta estranea al nostro cuore, come qualcosa di duro, di impossibile da capire e da accogliere nella propria vita.
Solo lo Spirito ha la for-za di inciderla nel nostro cuore e di nasconderla come seme che feconda la nostra esisten-za, ricreandola, aprendo vie nuove, rendendoci veramente liberi.
Solo lo Spirito, ci ricorda Gesù, può introdurci alla verità tutta intera: alla verità della parola di Dio, ma anche alla verità della nostra vita, del nostro cuore, alla verità dell’altro.
E infine, mediante lo Spirito, questa parola di verità si trasforma in vita.
E come ci ri-corda l’apostolo Paolo, il dono dello Spirito fa maturare nella nostra esistenza, nel nostro agire, il frutto dello Spirito (cfr.
Gal 5,22).
«Camminate secondo lo Spirito…
lasciatevi guida-re dallo Spirito» (Gal 5,16.18): questo è l’invito di Paolo.
Ed è un modo di vivere nella logi-ca del dono e della novità: significa affidare il nostro cuore con i suoi desideri alla guida dello Spirito, camminare con il ritmo che lui ci indica; significa vivere nell’ascolto dello Spirito, il quale, conoscendo le profondità del nostro cuore, sa trarre fuori da esso ogni de-siderio di bene e, irrobustendolo con la sua potenza, mettendolo in sintonia con il cuore stesso di Dio (con ciò che lui desidera per noi), lo fa diventare un frutto di vita.
Vivere se-condo lo Spirito, secondo i suoi desideri, è trasformare la propria vita in un terreno fecon-do in cui germogliano i semi che sono già nascosti nel nostro cuore (i nostri desideri) di-ventando frutto dello Spirito.
Paolo ci dice, tra l’altro, che c’è un solo frutto da portare e, in qualche modo, tutti i nostri desideri devono convogliare in quel frutto.
Questo frutto è l’amore, l’agape, il riflesso della carità di Dio in Gesù che si rivela nella nostra vita.
Il dono dello Spirito è la carità.
Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica – oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di: – Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006- .
– Comunità monastica Ss.
Trinità di Dumenza, La voce, il volto, la casa e le strade.
Quaresima e tempo di Pasqua, Milano, Vita e Pensiero, 2008-2009, pp.
71.
– La Bibbia per la famiglia, a cura di G.
Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
– J.
RATZINGER/BENEDETTO XVI, Giovanni Paolo II.
Il mio amato predecessore, Cinisello Balsamo/Città del Vaticano, San Paolo/Libreria Editrice Vaticana, 2007 – Enzo BIANCHI, Il pane di ieri, Torino, Einaudi, 2008, 53-54 – C.M.
MARTINI, Incontro al Signore risorto.
Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.
“Terra Futura per la scuola”:
“Terra Futura per la scuola” Workshop, laboratori, animazioni e spettacoli dedicati ai più giovani, perché insegnare a “vivere in modo sostenibile” è una delle sfide educative dell’epoca in cui viviamo.
La scuola è il luogo in cui si formano le nuove generazioni, e Terra Futura, la mostra convegno internazionale delle buone pratiche di sostenibilità ambientale, economica e sociale che torna alla Fortezza da Basso di Firenze dal 29 al 31 maggio prossimi, non può che riservare ai giovani un’attenzione tutta particolare perché è fondamentale partire da loro per diffondere una cultura della sostenibilità.
Lo chiede il momento di crisi attuale, che ci ricorda l’urgenza di ripensare anche la “missione educativa”: nasce da qui l’iniziativa speciale “terrafutura per la scuola”, che prevede molte proposte dedicate a studenti e docenti, fra progetti, laboratori, seminari, momenti di orientamento e formazione, ma anche animazione e spettacolo.
“Educarsi al futuro” si intitola il progetto di collaborazione scientifica tra l’Ente per le Nuove tecnologie e l’Ambiente (ENEA) e le scuole, per creare nuovi saperi umanistici, sociali, scientifici e tecnologici da convogliare in materiali e percorsi didattici, oltre che in iniziative per la diffusione di fonti rinnovabili e del risparmio energetico sia territoriali, che di cooperazione fra scuole italiane e africane: allo stand di ENEA, sarà presente un percorso con pannelli illustrativi e kit fotovoltaici dimostrativi, per l’elettrificazione di villaggi e scuole rurali africane.
A Terra Futura parteciperà anche il centro italiano Area Science Park di Trieste con “IUSES” – Intelligente Use of Energy at School – parte del programma comunitario “Intelligent Energy Europe” per imparare fra i banchi di scuola le piccole pratiche quotidiane di risparmio energetico: dalla sveglia che suona alla mattina alla luce che spegniamo prima di andare a dormire.
Torna alla Fortezza da Basso il “Progetto Cellulare Solidale” a cura del Movimento e Azione di Gesuiti Italiani per lo Sviluppo (Magis), che sensibilizza gli studenti al corretto smaltimento dei cellulari, un’attenzione che “si trasforma” in aiuti alla cooperazione: fra gli apparecchi dimessi una società specializzata separa quelli inutilizzabili da quelli ancora funzionanti e, a fronte di ogni cellulare ricevuto, il Magis riceve un corrispettivo per finanziare progetti di sviluppo per l’Africa.
E ancora, fra le numerose iniziative, a Terra Futura avrà luogo “IN-FORUM cittadini crescono, 2009”, evento conclusivo del progetto “Le Chiavi della Città”, a cura del Comune di Firenze, che vedrà duemila ragazzi condividere la documentazione prodotta sinora sui temi della formazione alla cittadinanza e all’impegno civile: una sorta di piccolo villaggio globale per parlare di best practices quotidiane, costituzione, democrazia, legalità, solidarietà.
Fra i numerosi laboratori, tanti i percorsi per sensibilizzare gli alunni alle buone prassi: dall’imparare a fare la spesa con consapevolezza e responsabilità e a risparmiare l’acqua e l’energia, all’apprendere come ricavare jeans, bigiotteria e accessori da materiali di riciclo.
Molte anche le esperienze sensoriali: un bosco allestito in miniatura che si imparerà a conoscere attraverso i cinque sensi, l’ascolto della musica prodotta dalle piante; i colori e i profumi del commercio equo e solidale attraverso percorsi fra spezie di mondi lontani, i “soggiorni” in “fattoria” e nel “villaggio ecologico” fra mille sapori e saperi, e ancora alla scoperta delle erbe officinali, dell’agricoltura e della cucina biologica, dell’accudimento degli animali, dell’arte della lavorazione della terra cruda…
Altre animazioni condurranno i ragazzi in paesi lontani fra racconti popolari, maschere, tradizioni, suoni e musiche, ma anche attraverso la creazione di oggetti tradizionali, da quelli realizzati con le perline colorate dello Swaziland al warry, una sorta di dama africana con semi locali in funzione di pedine.
La conoscenza reciproca, nel rispetto dei diritti e della dignità di ognuno, sarà anche al centro della mostra fotografica contro il razzismo (a cura della Cgil).
E ancora, giochi ideati per far conoscere ai più piccoli cos’è un ecosistema e in cosa consiste la catena alimentare, anche attraverso esperimenti interattivi che fanno comprendere le relazioni fra effetto serra, cambiamenti climatici e fonti di energia, come l’Energy Game della Fondazione Enrico Mattei, il cui scopo per ogni giocatore è quello di arrivare a realizzare un proprio obiettivo “di ottimo equilibro energetico” rispetto al territorio assegnato.
In calendario anche giochi di ruolo che trasferiranno i ragazzi nei paesi del Sud del mondo: qualche minuto “nei panni” di bambini senegalesi che non possono andare a scuola, recitando attimi delle loro vite con vestiti e oggetti tradizionali; in altre simulazioni i ragazzi “diventeranno” produttori di banane e cacao alle prese con sfruttatori senza scrupoli, davanti ai quali dovranno imparare, insieme ai compagni, a rivendicare i propri diritti.
Infine il “diario scolastico della sostenibilità”, proposto dalla Fiba Cisl per trasmettere ai più giovani il messaggio che “dalle piccole azioni e dai piccoli pensieri di ogni giorno nascono i grandi cambiamenti”.
Numerose le iniziative dedicate anche ai piccolissimi con proposte specifiche adatte alla loro età.
“Terra Futura per la scuola” è promossa da Fondazione culturale Responsabilità Etica, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Direzione Generale Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana, Regione Toscana, Provincia di Firenze, Comune di Firenze – Assessorato alla Pubblica Istruzione, Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale s.c., in collaborazione con Acli, Arci, Caritas italiana, Cisl Toscana, Cospe, Legambiente, ManiTese, Ucodep.
Terra Futura è promossa e organizzata da Fondazione culturale Responsabilità Etica per conto del sistema Banca Etica (Banca Etica, Etica SGR, Rivista “Valori”), Regione Toscana e Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale s.c., in partnership con Acli, Arci, Caritas Italiana, Cisl, Fiera delle Utopie Concrete e Legambiente.
www.terrafutura.it
Galileo 2009
Il congresso potrebbe portare ad una svolta storica della questione: coinvolti i massimi studiosi mondiali Galileo, Napolitano al convegno internazionale di Firenze Il Presidente della Repubblica inaugurerà ‘Il caso Galileo’ il 26 maggio Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano parteciperà all’inaugurazione del convegno internazionale di studi “Il caso Galileo.
Una rilettura storica, filosofica, teologica”, in programma a Firenze dal 26 al 30 maggio e organizzato dall’Istituto Stensen dei gesuiti di Firenze, diretto da Padre Ennio Brovedani sj, ideatore dell’iniziativa.
Il convegno verrà inaugurato martedì 26 maggio nella basilica di Santa Croce – mausoleo dei sommi italiani, dove si trova la tomba di Galileo – con le lectiones magistrales di Nicola Cabibbo (presidente della Pontificia Accademia delle Scienze) e Paolo Rossi (Professore emerito di Storia della Scienza dell’Università degli Studi di Firenze).
Oltre al Presidente della Repubblica, saranno presenti numerose autorità del mondo istituzionale italiano.
“Ritengo che, visti gli ampi strumenti che verranno messi sul tavolo, il convegno potrebbe portare realmente ad una svolta storica della complessa questione galileiana, una delle più scottanti della storia – ha detto Paolo Rossi – Il convegno affronta, con un’ampiezza finora intentata, tutti i temi essenziali: la condanna della dottrina di Copernico nel 1616 e il processo a Galileo del 1633; la genesi del “caso Galilei” nell’Italia, Francia e Inghilterra del Seicento; la storia di quel caso prima nell’Illuminismo e poi nell’Ottocento (nell’età del positivismo e del Risorgimento) e infine nel Novecento, fino a questi nostri giorni”.
“La partecipazione del Presidente della Repubblica – sottolinea P.
Brovedani – rivela che il Quirinale ha colto non solo l’evidente valore culturale del Convegno, ma anche e soprattutto la sua alta valenza politica.
La memoria del passato e la corretta contestualizzazione della ‘vicenda galileiana’ contribuirà sicuramente a favorire le condizioni per un rapporto di collaborazione e serenità tra la Chiesa e le istituzioni di ricerca, soprattutto nella prospettiva delle complesse e, a volte, inedite problematiche filosofiche ed etiche sollevate dalle prospettive della ricerca bio-tecno-scientifica contemporanea.” Il convegno fiorentino ha ottenuto l’adesione e la partecipazione di 18 autorevoli Istituzioni, che si ritrovano per la prima volta insieme dopo 400 anni.
Queste istituzioni, rappresentative di importanti settori della vita culturale e scientifica, sono storicamente coinvolte in una vicenda e in un evento che hanno fortemente caratterizzato l’intelligenza e la creatività italiane, innescando tuttavia tensioni mai completamente risolte nei rapporti tra la Chiesa e diversi ambiti della produzione intellettuale.
Al convegno interverranno i massimi esperti e studiosi mondiali del tema (teologi, storici, filosofi): tra gli altri, George Coyne, Evandro Agazzi, Nicola Cabibbo, Claus Arnold, Paolo Prodi, Adriano Prosperi, Annibale Fantoli, Jean-Robert Armogathe, Horst Bredekamp, Michele Ciliberto, Paolo Rossi e Paolo Galluzzi.
Per informazioni: WWW.GALILEO2009.ORG MERCOLEDÌ 27 MAGGIO PRIMA GIORNATA PALAZZO DEI CONGRESSI ore 8.30 registrazione a sessione: Cosmologia e teologia: la condanna del 1616 Presiede Cesare Vasoli 09.15 Apertura dei lavori 09.30 Censura ecclesiastica e filosofia naturale negli anni di Galileo Vittorio Frajese 10.00 Il copernicanesimo e la teologia Mauro Pesce 10.30 Coffee-break 11.00 Des nouveautés célestes aux textes sacrés Maurice Clavelin 11.30 Teologie a confronto: Bellarmino, Campanella, Foscarini Paolo Ponzio 12.00 The Jesuits: Transmitters of Galilean Science Rivka Feldhay 12.30 Discussione 13.00 Pausa pranzo II a sessione: I due processi: premesse e contesti Presiede Isabelle Pantin 15.00 Natura e Scrittura Pietro Redondi 15.30 Il processo del 1633 Annibale Fantoli 16.00 I meccanismi di controllo sociale e il sistema di protezione: i Farnese di Roma e Galileo Federica Favino 16.30 Coffee-break 17.00 “Mirabile e veramente angelica dottrina”: Galileo e l’argomento di Urbano VIII Luca Bianchi 17.30 Discussione 18.30 Chiusura dei lavori GIOVEDÌ 28 MAGGIO SECONDA GIORNATA PALAZZO DEI CONGRESSI ore 8.30 registrazione I a sessione: La genesi del “caso Galileo” I Presiede Maurice Clavelin 09.15 Apertura dei lavori 09.30 Il “caso Galileo” nella cultura italiana del ‘600 Franco Motta 10.00 Il “caso Galileo” nella cultura inglese del ‘600 Franco Giudice 10.30 Coffee-break 11.00 Les premiers effets de l’“affaire Galilée” chez les libertins et philosophes français Isabelle Pantin 11.30 Galileo as the unpunished artist.
Peiresc’s argument Horst Bredekamp 12.00 Galileo e l’“accomodatio” copernicana Michele Camerota 12.30 Discussione 13.00 Pausa pranzo II a sessione: La genesi del “caso Galileo” II Presiede Michele Ciliberto 15.00 Il “caso Galileo” e la riflessione teologica Jean-Robert Armogathe 15.30 L’attività scientifica nell’ottica dei censori ecclesiastici, dalla “Licet ab initio” (1542) alla “Sollicita ac provida” (1753) Ugo Baldini 16.00 L’Illuminismo e il “caso Galileo” Vincenzo Ferrone 16.30 Coffee-break 17.00 Il “caso Galileo” e il Sant’Uffizio 1820-1822: fine della controversia? Francesco Beretta 17.30 Discussione 18.30 Chiusura dei lavori VENERDÌ 29 MAGGIO TERZA GIORNATA PALAZZO DEI CONGRESSI 8.30 registrazione I a sessione: Il “caso Galileo”: l’Ottocento Presiede Sergio Givone 09.15 Apertura dei lavori 09.30 Galileo e Bruno “martiri del libero pensiero” Michele Ciliberto 10.00 Galileo e le passioni del Risorgimento Massimo Bucciantini 10.30 Coffee-break 11.00 Il “caso Galileo” ed i neotomisti dell’Ottocento Luciano Malusa 11.30 The “Galileo Affair” and the “question biblique” Claus Arnold 12.00 La représentation de Galilée dans la peinture du XIXe siècle François de Vergnette 12.30 Discussione 13.00 Pausa pranzo II a sessione: Il “caso Galileo”: Il Novecento Presiede Jean-Robert Armogathe 15.00 Galilée et Bellarmin entre Duhem et Feyerabend Jean-François Stoffel 15.30 Galileo during the Nazi Time Volker R.
Remmert 16.00 Il Vaticano II, Paschini e Galileo Alberto Melloni 16.30 Coffee-break 17.00 Galileo judged: Urban VIII to John Paul II George Coyne 17.30 Discussione 18.30 Chiusura dei lavori
Laicità della ragione, razionalità della fede?
A.A.V.V.
, Laicita’ della ragione razionalita’ della fede? la lezione di Ratisbona, CLAUDIANA, 2008, EAN : 9788870167469, € 15,00 A partire dalla cosiddetta “lezione di Ratisbona” del pontefice Benedetto XVI e dalla risposta del vescovo luterano di Berlino Huber, giuristi, politologi, teologi e filosofi si confrontano da posizioni diverse sul rapporto tra fede e ragione, interrogandosi sull’influenza della religione sulla sfera pubblica.
Dalla quarta di copertina: Dalla “lezione di Ratisbona” di Benedetto XVI alla replica del vescovo evangelico di Berlino, Wolfgang Huber: un problema che ha segnato la storia del cristianesimo occidentale si trova nuovamente al centro di un’accesa disputa sui criteri etici e politici della convivenza civile.
Fede e ragione oggi: non solo una riflessione sui fondamenti del cristianesimo e sui rapporti con la cultura religiosa e scientifica occidentale, ma una discussione sul rapporto tra religione e modernità, sul ruolo pubblico della religione e sulla laicità.
La crisi del pluralismo liberale, il “ritorno” del religioso sulla scena pubblica e il risorgere dei fondamentalismi ripropongono il nodo filosofico del rapporto tra fede e ragione.
Un testo dove giuristi e politologi, filosofi e teologi si confrontano e si incontrano nel tentativo di disegnare uno spazio di discussione tra credenti, protestanti e cattolici, e laici.
Vincere
La trama La storia tragica di Ida Dalser, prima moglie di Mussolini, che da lui ebbe un figlio, Benito Albino Mussolini, che morì con la madre in un ospedale psichiatrico di Milano dove il Duce li aveva fatti internare. Cast tecnico Regia: Marco Bellocchio Sceneggiatura: Marco Bellocchio Musiche: Carlo Crivelli Fotografia: Daniele Ciprì Montaggio: Francesca Calvelli Scenografia: Marco Dentici Costumi: Sergio Ballo Cast Riccardo Paicher: Fausto Russo Alesi Benito Mussolini: Filippo Timi Ida Dalser: Giovanna Mezzogiorno Rachele Guidi: Michela Cescon Pietro Fedele: Pier Giorgio Bellocchio Dati Anno: 2009 Nazione: Italia Distribuzione: 01 Distribution Durata: 128 min Data uscita in Italia: 20 maggio 2009 Genere: biografico,drammatico,storico Mussolini si affaccia al balcone e una folla immensa lo applaude: è una fantasia, o una premonizione, o una personale certezza, perché in quel momento la piazza è vuota e il futuro duce è completamente nudo, visto da dietro anche con un bel sedere, e ha appena fatto l´amore, a lungo, con molti gemiti, i celebri occhi di fuoco sempre scomodamente spalancati nell´amplesso, la mascella volitiva già protesa verso l´avvenire, con la sua bella amante, anche lei molto gemente, una delle tante, quella Ida Dalser che avrebbe poi sposato (forse) con matrimonio religioso nel settembre 1914.
Ma quanto è periglioso rievocare il dittatore Mussolini, tanto amato quanto odiato, quello che ci tramandano la storia e i tanti cinegiornali che oggi ci fanno ridere, al massimo del potere e dell´istrionismo, nei suoi anni giovani, quando passava dal socialismo al fascismo, dall´Avanti al Popolo d´Italia, dal pacifismo all´interventismo, e in più faceva con Rachele una piccina, Edda, e cinque anni dopo un piccino, Benito Albino, con Ida.
Vincere, l´unico film italiano invitato in concorso a Cannes, diretto da uno dei nostri registi più degni e amati, Marco Bellocchio, soprattutto nella prima metà non convince e quasi provoca un disagio che non si riesce a decifrare.
Forse perché la parte storica ovviamente frettolosa, evocata attraverso troppi filmati e titoli d´epoca e con un voluto ritmo “futurista”, soffoca il fulcro del film, che è la storia di una donna che pagò per tutta la vita un amore sbagliato e mai rinnegato, che osò opporsi sola e inerme a un uomo cui la maggior parte degli italiani credeva e ubbidiva e contro cui si mosse un crudele apparato di giudici, medici, spie, giornalisti preti, politici, poliziotti, funzionari, per dimostrarne l´inesistenza e la pazzia: e distruggerla.
Qualche aggancio col presente, con il muro mediatico che si è alzato contro una moglie che ha detto basta al matrimonio con l´uomo che oggi in Italia è il più amato, il più ricco, il più ubbidito, il più potente? Sarebbe un´esagerazione, anche perché la storia, tutta la storia, è piena di donne che la ragion di Stato ha sacrificato alla vanità e ai capricci del principe ma anche di donne che sul principe e la sua corte hanno finito col prevalere.
Il Mussolini gagà di Filippo Timi è un po´ caricaturale, anche se volutamente i baci appassionati paiono quelle dei film con Rodolfo Valentino, la Ida di Giovanna Mezzogiorno è commovente.
Ida morirà di dolore e torture mediche nel 1937, a 57 anni, Benito Albino nel 1942, a 26 anni; Mussolini finirà peggio e solo pochi anni dopo.
Le altre recensioni Mariarosa Mancuso (Il Foglio) Lietta Tornabuoni (La Stampa) Carlos Boyero (El Pais) Jean-Luc Douin (Le Monde) Luca Pellegrini (Osservatore Romano) Natasha Senjanovic (Hollywood Reporter) Paolo Mereghetti (Il corriere della sera) Lee Marshall (Screen International) Jay Weissberg (Variety) Gabriella Gallozzi (l’Unità) Maurizio Cabona (il Giornale)
Ascensione del Signore Gesù Anno B
Il cielo Con l’immagine e la parola “cielo”, che si connette al simbolo di quanto significa “in al-to”, al simbolo cioè dell’altezza, la tradizione cristiana definisce il compimento, il perfezio-namento definitivo dell’esistenza umana mediante la pienezza di quell’amore verso il qua-le si muove la fede.
Per il cristiano, tale compimento non è semplicemente musica del futuro, ma rappre-senta ciò che avviene nell’incontro con Cristo e che, nelle sue componenti essenziali, è già fondamentalmente presente in esso.
Domandarsi dunque che cosa significhi “cielo” non vuol dire perdersi in fantasticherie, ma voler conoscere meglio quella presenza nascosta che ci consente di vivere la nostra esi-stenza in modo autentico, e che tuttavia ci lasciamo sempre nuovamente sottrarre e coprire da quanto è in superficie.
Il “cielo” è, di conseguenza, innanzi tutto determinato in senso cristologico.
Esso non è un luogo senza storia, “dove” si giunge; l’esistenza del “cielo” si fonda sul fatto che Gesù Cristo come Dio è uomo, sul fatto che egli ha dato all’essere del-l’uomo un posto nell’essere stesso di Dio (K.
Rahner, La risurrezione della carne, p.
459).
L’uomo è in cielo quando e nella misura in cui egli è con Cristo e trova quindi il luogo del suo essere uomo nell’essere di Dio.
In questo modo, il cielo è prima di tutto una realtà personale, che rimane per sempre improntata dalla sua origine storica, cioè dal mistero pasquale della morte e risurrezione.
(Joseph Ratzinger/BENEDETTO XVI, Imparare ad amare.
Il cammino di una famiglia cri-stiana, Milano/Cinisello Balsamo/Città del Vaticano, San Paolo/Editrice Vaticana, 2007, 131).
L’ascensione di Gesù e la nostra ascensione Quando nel rito liturgico dell’eucaristia siamo invitati a «innalzare i nostri cuori», ri-spondiamo: «Sono rivolti al Signore», a quel Signore che è asceso in alto, a colui che non è più qui, ma che è risorto, è apparso agli apostoli ed è scomparso dalla vista.
Sempre, ma specialmente in questo giorno nel quale commemoriamo la sua risurrezione e la sua a-scensione, noi siamo spinti ad ascendere in spirito come il Salvatore, che ha vinto la morte e ha aperto il regno del cielo a tutti i credenti.
Molti uomini però non ascoltano il richiamo della liturgia; essi sono impediti, anzi pos-seduti, assorbiti dal mondo, e non possono elevarsi perché non hanno ali.
La preghiera e il digiuno sono stati definiti le ali dell’anima, e quelli che non pregano e non digiunano, non possono seguire il Cristo.
Non possono innalzare a lui i cuori.
Non hanno il tesoro in alto, ma il loro tesoro, il loro cuore e le loro facoltà sono sulla terra; la terra è la loro eredità e non il cielo.
[…] Al contrario le anime sante prendono una via diversa; esse sono risorte con Cristo e sono come persone salite su una montagna e ora si riposano sulla cima.
Tutto è rumore e frastuono, nebbia e tenebra ai suoi piedi; ma sulla vetta tutto è così calmo, cosi tranquillo e sereno, così puro e chiaro, così luminoso e celeste che per loro è come se il tu-multo della valle non risuonasse al di sotto, e le ombre e le tenebre non ci fossero.
(John Henry Newman).
«Rimanete saldi nella fede» Cari fratelli e sorelle, il motto del mio pellegrinaggio in terra polacca, sulle orme di Giovanni Paolo II, è costituito dalle parole: «Rimanete saldi nella fede!».
L’esortazione rac-chiusa in queste parole è rivolta a tutti noi che formiamo la comunità dei discepoli di Cri-sto, è rivolta a ciascuno di noi.
La fede è un atto umano molto personale, che si realizza in due dimensioni.
Credere vuol dire prima di tutto accettare come verità quello che la nostra mente non comprende fino in fondo.
Bisogna accettare ciò che Dio ci rivela su se stesso, su noi stessi e sulla realtà che ci circonda, anche quella invisibile, ineffabile, inimmaginabile.
Questo atto di accettazione della verità rivelata allarga l’orizzonte della nostra conoscenza e ci permette di giungere al mistero in cui è immersa la nostra esistenza.
Un consenso a ta-le limitazione della ragione non si concede facilmente.
Ed è proprio qui che la fede si manifesta nella sua seconda dimensione: quella di affi-darsi a una persona – non a una persona ordinaria, ma a Cristo.
È importante ciò in cui crediamo, ma ancor più importante è colui a cui crediamo.
Abbiamo sentito le parole di Gesù: «Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (At 1,8).
Secoli fa queste parole giunsero anche in terra polacca.
Esse costituirono e continuano costantemente a costituire una sfida per tutti coloro che ammet-tono di appartenere a Cristo, per i quali la sua causa è la più importante.
Dobbiamo essere testimoni di Gesù che vive nella Chiesa e nei cuori degli uomini.
È lui ad assegnarci una missione.
Il giorno della sua Ascensione in cielo disse agli apostoli: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura…
Allora essi partirono e predicarono dapper-tutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano» (Mc 16,15.20).
[…] Prima di tornare a Roma, per continuare il mio ministero, esorto tutti voi, ricolle-gandomi alle parole che Giovanni Paolo II pronunciò qui nell’anno 1979: «Dovete essere forti, carissimi fratelli e sorelle! Dovete essere forti di quella forza che scaturisce dalla fede! Dovete essere forti della forza della fede! Dovete essere fedeli! Oggi più che in qual-siasi altra epoca avete bisogno di questa forza.
Dovete essere forti della forza della speran-za, che porta la perfetta gioia di vivere e non permette di rattristare lo Spirito Santo! Dove-te essere forti dell’amore, che è più forte della morte…
Dovete essere forti della forza della fede, della speranza e della carità, consapevole, matura, responsabile, che ci aiuta a stabili-re…
il grande dialogo con l’uomo e con il mondo in questa tappa della nostra storia: dialo-go con l’uomo e con il mondo, radicato nel dialogo con Dio stesso col Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo -, dialogo della salvezza” (10 giugno 1979, Omelia, n.
4).
Anch’io, Benedetto XVI, successore di papa Giovanni Paolo II, vi prego di guardare dalla terra il cielo – di fissare Colui che – da duemila anni – è seguito dalle generazioni che vivono e si succedono su questa nostra terra, ritrovando in lui il senso definitivo dell’esi-stenza.
Rafforzati dalla fede in Dio, impegnatevi con ardore nel consolidare il suo Regno sulla terra: il Regno del bene, della giustizia, della solidarietà e della misericordia.
Vi prego di testimoniare con coraggio il Vangelo dinanzi al mondo di oggi, portando la speranza ai poveri, ai sofferenti, agli abbandonati, ai disperati, a coloro che hanno sete di libertà, di ve-rità e di pace.
Facendo del bene al prossimo e mostrandovi solleciti per il bene comune, te-stimoniate che Dio è amore.
Vi prego, infine, di condividere con gli altri popoli dell’Europa e del mondo il tesoro della fede, anche in considerazione della memoria del vostro connazionale che, come suc-cessore di san Pietro, questo ha fatto con straordinaria forza ed efficacia.
E ricordatevi an-che di me nelle vostre preghiere e nei vostri sacrifici, come ricordavate il mio grande pre-decessore, affinché io possa compiere la missione affidatami da Cristo.
Vi prego, rimanete saldi nella fede! Rimanete saldi nella speranza! Rimanete saldi nella carità! Amen! (BENEDETTO XVI, Omelia a Cracovia- Blonie, 28 maggio 2006, in J.
RATZIN-GER/BENEDETTO XVI, Giovanni Paolo II.
Il mio amato predecessore, Cinisello Balsamo/Città del Vaticano, San Paolo/Libreria Editrice Vaticana, 2007, 108-112).
Abbiamo creduto in lui e ne aspettiamo il ritorno Fratelli, noi crediamo in quel Gesù che non hanno creduto i nostri occhi.
A noi Gesù lo hanno annunciato coloro che lo hanno veduto, l’hanno stretto con le loro mani, hanno udito le parole uscite dalla sua bocca.
Essi, affinché tutti gli uomini accettassero le sue pa-role, furono inviati da lui; non osarono andare di loro iniziativa.
Dove furono mandati? L’avete sentito dalla lettura del Vangelo: «Andate, predicate il Vangelo a ogni creatura che è sotto il cielo» (Mc 16,15).
I discepoli furono dunque inviati in ogni parte del mondo, con la testimonianza di prodigi e segni miracolosi perché gli uomini credessero che essi riferi-vano cose da loro stessi viste.
Noi abbiamo creduto in colui che non abbiamo visto con i nostri occhi e ne aspettiamo il ritorno.
Chiunque lo aspetta con fede, sarà ripieno di gioia, quando ritornerà.
[…] Restiamo dunque fedeli alla sua parola, perché non proviamo confu-sione quando ritornerà.
Egli infatti nel vangelo a quelli che avevano creduto in lui dice: «Se rimarrete nelle mie parole, sarete veramente miei discepoli» (Gv8,31).
E quasi gli chie-dessero: Con quale vantaggio? «Voi conoscete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32).
Attualmente la nostra salvezza è oggetto di speranza, perché ancora non è stata realizzata; ancora non possediamo ciò che è stato promesso e tuttavia ne speriamo la futura realizza-zione.
Colui che ha fatto questa promessa è fedele; egli non ti inganna: tocca a te unica-mente non mancargli di fiducia, ma attendere la realizzazione delle sue promesse.
La veri-tà non conosce inganni.
Non voler esser tu il bugiardo, altra cosa professando e altra fa-cendo; conserva la fede e lui manterrà fede alla sua promessa.
Se non avrai conservato la fede, sarai stato tu a defraudarti, non certo chi ti ha fatto la promessa.
(AGOSTINO DI IPPONA, Commento all’epistola di san Giovanni 4,2, NBA XXIV, pp.
1708-1709).
Sii un vero amico Le vere amicizie sono durature perché il vero amore è eterno.
L’amicizia nella quale il cuore parla al cuore è un dono di Dio, e nessun dono che viene da Dio è temporaneo od occasionale.
Tutto ciò che viene da Dio partecipa della vita eterna di Dio.
L’amore tra le persone, quando è dato da Dio, è più forte della morte.
In questo senso la vera amicizia continua al di là dei confini della morte.
Quando hai amato profondamente, quell’amore può crescere anche più forte dopo la morte della persona che ami.
È questo il centro del messaggio di Gesù.
Quando Gesù è morto, l’amicizia dei discepoli con lui non è scemata.
Al contrario, è cresciuta.
È questo il significato dell’invio dello Spirito.
Lo Spirito di Gesù ha reso duratura l’ami-cizia di Gesù con i suoi discepoli, più forte e più intima di prima della sua morte.
È questo che Paolo ha sperimentato quando diceva: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).
Devi avere fiducia che ogni vera amicizia non ha fine, che esiste una comunione dei santi tra tutti coloro, viventi o defunti, che hanno veramente amato Dio e si sono amati l’un l’altro.
Sai dall’esperienza quanto questo sia reale.
Coloro che hai amato profondamen-te e che sono morti continuano a vivere in te, non solo come ricordi, ma come presenze re-ali.
Osa amare ed essere un vero amico.
L’amore che dai e ricevi è una realtà che ti condur-rà sempre più vicino a Dio e a coloro che Dio ti ha dato da amare.
(H.J.M.
NOUWEN, La voce dell’amore, Brescia, Queriniana, 2005, 111-112).
«Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo»(At 1,11).
[…] Nella risposta a questa domanda è racchiusa la verità fondamentale sulla vita e sul destino dell’uomo.
La domanda in questione si riferisce a due atteggiamenti connessi con le due realtà, nelle quali è inscritta la vita dell’uomo: quella terrena e quella celeste.
Prima la realtà ter-rena: «Perché state?» – Perché state sulla terra? Rispondiamo: Stiamo sulla terra perché il Creatore ci ha posto qui come coronamento all’opera della creazione.
L’onnipotente Dio, conformemente al suo ineffabile disegno d’amore, creò il cosmo, lo trasse dal nulla.
E, do-po aver compiuto quest’opera, chiamò all’esistenza l’uomo, creato a propria immagine e somiglianza (cfr.
Gn 1,26-27).
Gli elargì la dignità di figlio di Dio e l’immortalità.
Sappia-mo, però, che l’uomo si smarrì, abusò del dono della libertà e disse “no” a Dio, condannan-do in questo modo se stesso a un’esistenza in cui entrarono il male, il peccato, la sofferen-za e la morte.
Ma sappiamo anche che Dio stesso non si rassegnò a una situazione del ge-nere ed entrò direttamente nella storia dell’uomo e questa divenne storia della salvezza.
“Stiamo sulla terra”, siamo radicati in essa, da essa cresciamo.
Qui operiamo il bene sugli estesi campi dell’esistenza quotidiana, nell’ambito della sfera materiale, e anche nell’ambi-to di quella spirituale: nelle reciproche relazioni, nell’edificazione della comunità umana, nella cultura.
Qui sperimentiamo la fatica dei viandanti in cammino verso la meta lungo strade intricate, tra esitazioni, tensioni, incertezze, ma anche nella profonda consapevolez-za che prima o poi questo cammino giungerà al termine.
Ed è allora che nasce la riflessio-ne: Tutto qui? La terra su cui “ci troviamo” è il nostro destino definitivo? In questo contesto occorre soffermarsi sulla seconda parte dell’interrogativo riportato nella pagina degli Atti: «Perché state a guardare il cielo?».
Leggiamo che quando gli apo-stoli tentarono di attirare l’attenzione del Risorto sulla questione della ricostruzione del regno terrestre di Israele, egli «fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo».
Ed essi «stavano fissando il cielo mentre egli se n’andava» (At 1,9-10).
Sta-vano dunque fissando il cielo, poiché accompagnavano con lo sguardo Gesù Cristo, croci-fisso e risorto, che veniva sollevato in alto.
Non sappiamo se si resero conto in quel mo-mento del fatto che proprio dinanzi a essi si stava schiudendo un orizzonte magnifico, in-finito, il punto d’arrivo definitivo del pellegrinaggio terreno dell’uomo.
Forse lo capirono soltanto il giorno di Pentecoste, illuminati dallo Spirito Santo.
Per noi, tuttavia, quell’even-to di duemila anni fa è ben leggibile.
Siamo chiamati, rimanendo in terra, a fissare il cielo, a orientare l’attenzione, il pensiero e il cuore verso l’ineffabile mistero di Dio.
Siamo chia-mati a guardare nella direzione della realtà divina, verso la quale l’uomo è orientato sin dalla creazione.
Là è racchiuso il senso definitivo della nostra vita.
(BENEDETTO XVI, Omelia a Cracovia- Blonie, 28 maggio 2006, in J.
RATZIN-GER/BENEDETTO XVI, Giovanni Paolo II.
Il mio amato predecessore, Cinisello Balsamo/Città del Vaticano, San Paolo/Libreria Editrice Vaticana, 2007, 106-107).
Preghiera Gesù, vorremmo sapere che cosa sia stato per te tornare nel seno del Padre, tornarci non solo quale Dio, ma anche quale uomo, con le mani, i piedi e il costato piagati d’amore.
Sappiamo che cosa è tra noi il distacco da quelli che amiamo: lo sguardo li segue più a lungo che può…
Il Padre conceda anche a noi, come agli apostoli, quella luce che illumina gli occhi del cuore e che ti fa intuire Presente, per sempre.
Allora potremo fin d’ora gustare la viva spe-ranza a cui siamo chiamati e abbracciare con gioia la croce, sapendo che l’umile amore immolato è l’unica forza atta a sollevare il mondo.
Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di: – Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006- .
– Comunità monastica Ss.
Trinità di Dumenza, La voce, il volto, la casa e le strade.
Quaresima e tempo di Pasqua, Milano, Vita e Pensiero, 2008-2009, pp.
71.
– La Bibbia per la famiglia, a cura di G.
Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
– J.
RATZINGER/BENEDETTO XVI, Giovanni Paolo II.
Il mio amato predecessore, Cinisello Balsamo/Città del Vaticano, San Paolo/Libreria Editrice Vaticana, 2007 – Enzo BIANCHI, Il pane di ieri, Torino, Einaudi, 2008, 53-54 – C.M.
MARTINI, Incontro al Signore risorto.
Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.
LECTIO – ANNO B Prima lettura: Atti 1,1-11 Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e inse-gnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.
Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio.
Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».
Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ri-costituirai il regno per Israele?».
Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».
Detto questo, mentre lo guardava-no, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi.
Essi stavano fissando il cie-lo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».
Se il Vangelo di Marco è molto rapido ed essenziale nel parlarci dell’ascensione di Gesù al cielo, il libro degli Atti tenta di «descrivercela» quasi visivamente nella seconda parte del brano oggi propostoci (At 1,6-11).
Stando al racconto di Luca, sembra che si tratti dell’ultima «cristofania», concessa da Gesù agli Apostoli, i quali peraltro si dimostrano ancora impreparati alla comprensione del mistero di Cristo: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?» (v.
6).
Pur dopo la risurrezione, essi pensano terrenisticamente! Gesù supera la loro incom-prensione, rimandando alla discesa dello Spirito la piena illuminazione del suo mistero ed anche della loro missione in ordine a quel mistero: «Non spetta a voi conoscere tempi o mo-menti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra» (1,7-8).
Come si vede, anche qui siamo davanti ad un mandato «missionario»,di tipo universali-stico: si parte, com’era ovvio e doveroso, dalla patria stessa di Gesù, per arrivare «fino agli estremi confini della terra».
Il libro degli Atti, conforme a questo comando di Gesù ci illu-strerà successivamente le varie tappe di questa evangelizzazione, che Paolo porterà perfi-no a Roma, nel cuore cioè dell’immenso impero che dominava tutto il mondo allora cono-sciuto.
Anche qui la «forza» per adempiere questo compito immane non viene garantita dalle deboli ed impari risorse umane dei discepoli, ma dalla irruzione e dalla continua assisten-za dello Spirito.
Nel capitolo 2 del libro degli Atti, infatti, Luca ci descriverà la impetuosa discesa dello Spirito e la sua potenza di «trasformazione» dell’anima e dei sentimenti degli Apostoli: da timidi ed impauriti com’erano, diventeranno intrepidi e inarrestabili annun-ciatori e testimoni del Risorto.
È ancora Cristo che «opera insieme a loro»: non direttamen-te, ma mediante lo Spirito che egli invierà da parte del Padre (cf.
At 2,32-33).
Dopo aver dato loro il suo «mandato» missionario, Gesù «fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi» (At 1,9).
Abbiamo già detto della tristezza degli Apostoli nel vedersi «sottrarre» il Risorto.
Quello che conta, però, non è la sua presenza fisica, ma la convinzio-ne di fede che egli sarà sempre con i suoi, con la potenza dello Spirito, sino al momento del suo «ritorno» glorioso, come proclamano i due misteriosi personaggi «in vesti candide»: «Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo» (At 1,11).
In questo intervallo di tempo, che è già durato più da 2000 anni e non sappiamo per niente quanto durerà ancora, tocca ai suoi discepoli, cioè alla sua Chiesa, allargare gli «spazi» della sua signoria, rendergli testimonianza, facendolo conoscere ed amare da tutti gli uomini.
È così che il suo «regno» si stabilisce anche lungo la storia, fra gli uomini, per mezzo di altri uomini.
È a livello di queste considerazioni che possiamo comprendere la «indispensabilità» della Chiesa nel mondo, in attesa del «ritorno» glorioso di Cristo: anzi, proprio per «pre-parare» e predisporre tutti e tutto, anche il convivere sociale, a quell’incontro con il Signo-re dell’universo, essa è destinata! Seconda lettura: Efesini 4,1-13 Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera de-gna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sop-portandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.
Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la spe-ranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo.
Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tut-ti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.
A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo.
Per questo è detto: «Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini».
Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose.
Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a com-piere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.
A proposito della Chiesa, perché compia la sua missione di testimonianza nel mondo, anzi di rappresentanza «vicaria» di Cristo, e in tal modo anticipare addirittura la venuta del «regno», dice delle cose stupende il brano della lettera agli Efesini, oggi proposta alla nostra considerazione.
Due mi sembrano le idee di fondo che guidano il testo, troppo ricco per entrare nei suoi dettagli esegetici.
La prima è quella della «unità» di quel «corpo» meraviglioso che è la Chiesa: in essa, proprio per questa esigenza fondamentale, ci deve essere circolazione di «amore», che si manifesta nell’umiltà e nella capacità di «sopportazione» reciproca, allo scopo di «conserva-re l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace» (Ef 4,3).
Ci sono troppi motivi di «unione» che obbligano i cristiani a fare «comunione» fra di lo-ro.
Una Chiesa «divisa» non rende buona testimonianza né a Cristo, né allo Spirito, che è essenzialmente «Spirito di amore»! E perciò è destinata ad essere fatalmente inerte, se non controproducente.
«Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo…» (4,4-5).
La seconda idea, che viene espressa in questo testo e non è per niente antitetica alla prima, è che nella Chiesa, pur nella più rigorosa «unità», c’è una «molteplicità» di «doni», di «carismi» o di «ministeri» che dir si voglia, che permettono, anzi esigono, che tutti dia-no il loro contributo per la crescita armonica di quell’unico «corpo», di cui tutti siamo «membra».
E la cosa che più sorprende è che proprio il Cristo, «asceso al di sopra di tutti i cieli» (4,10), ha voluto concedere questi «doni» alla sua Chiesa: essi, pertanto, non sono tanto delle acquisizioni nostre, che nascono da «prediposizioni» di natura e perciò da rivendica-re a tutti i costi, quanto «doni» che vengono dall’alto, da esercitare perciò con grande senso di «responsabilità» per il bene di tutti.
«A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secon-do la misura del dono di Cristo» (4,7).
Si noti l’espressione «a ciascuno di noi»: perciò ogni battezzato non può non avere uno spazio nella Chiesa! A modo di esemplificazione, vengono poi ricordati alcuni «ministeri» tra i più fonda-mentali nella Chiesa: «Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad al-tri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e del-la conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (4,11-13).
Come si vede, i «ministeri» qui ricordati non sono dati per esercitare un «dominio» nel-la Chiesa, come talvolta, da qualcuno si è pensato o si potrebbe pensare, ma un «servizio» di crescita comune.
Il traguardo per tutti, siano essi apostoli, o profeti, o pastori, o qualsia-si altra cosa, è quello di «crescere» e far «crescere» fino a raggiungere «la misura della pie-nezza di Cristo» (4,13).
Il che è tremendamente impegnativo per tutti.
Vangelo: Marco 16,15-20 In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura.
Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato.
Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderan-no in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporran-no le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i se-gni che la accompagnavano.
Esegesi Come è risaputo da tutti, questa parte «conclusiva» del Vangelo di Marco (16,9-20) è stata aggiunta successivamente da qualche autore che non conosciamo.
Non è che Marco ignorasse questi eventi: è che egli ha voluto chiudere il suo Vangelo con lo «stupore» delle donne davanti al sepolcro vuoto e all’annuncio che Gesù è stato risuscitato da morte (Mc 16,6-8).
Ed è proprio questo «stupore» che dovrà accompagnare sempre i credenti nel Si-gnore risorto! Comunque, tutto questo non crea per noi alcun problema, perché siamo davanti ad un testo egualmente «ispirato» e come tale riconosciuto dalla Chiesa.
Cerchiamo perciò di metterne in evidenza il ricco e molteplice contenuto.
Si tratta dell’ultima «cristofania» del Risorto ai suoi Apostoli ai quali viene affidato un mandato «missionario» universale.
Abbiamo detto sopra che l’ascensione al cielo non era l’abbondono di Gesù, ma solo un suo «momentaneo» allontanamento.
Nel frattempo gli Apostoli avrebbero dovuto prolun-garne l’opera di salvezza, annunciando il suo «Vangelo» ad ogni creatura.
Perciò essi ven-gono rivestiti di un compito di rappresentanza «vicaria» del Cristo, da realizzare ed esten-dere per tutto l’arco della storia.
È attraverso degli uomini che Cristo verrà ormai «annun-ciato» ad altri uomini! È questo il suo mandato «testamentario»: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura.
Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato» (16,15-16).
Due cose sono da sottolineare in questo «comando» del Signore.
Prima di tutto la sua «universalità»: è «in tutto il mondo» che vengono inviati gli Apostoli; il Vangelo deve es-sere predicato «ad ogni creatura», senza escludere nessuna razza umana, in qualunque parte della terra essa abiti.
In secondo luogo, si esige l’accoglienza, per «fede», del dono del «Vangelo», congiunto con il rito del «battesimo», che anche simbolicamente significa la rinascita a vita nuova, come un autentico «lavaggio» dalle sozzure della vita precedente.
Dunque «fede» e «battesimo», intimamente congiunti e vissuti dai cristiani, sono le «vie» che portano alla salvezza.
E se così sarà e i cristiani vivranno in tal modo, potranno compiere anche «gesti» stra-ordinari, così come capiterà agli Apostoli che parlano «nuove lingue» il giorno di Penteco-ste, proprio in ordine all’annuncio del Vangelo (At 2,4,11); oppure a Paolo che, morso da una vipera, la getta a terra senza riceverne alcun male (At 28,3-5), e altri fatti simili che si sono verificati, e continuano a verificarsi, lungo la storia.
Ed effettivamente il Vangelo di Marco si chiude con l’affermazione che tutto questo è avvenuto: «Allora essi partirono e pre-dicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano» (16,20).
Ma si tratterà solo di «segni» che possono solo testimoniare che la «salvezza» procurata dal Vangelo è «totale», includente, oltre l’anima, anche il nostro corpo sofferente.
Per l’autore però è importante affermare che tutto ciò avviene come frutto della «perdu-rante» azione di Cristo che, pur salendo al cielo, non ha abbandonato la sua Chiesa e gli annunciatori del suo Vangelo, ma «opera insieme a loro» proprio in virtù del «potere» che gli deriva dall’essersi assiso «alla destra» del Padre: «Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio» (16,19).
Meditazione Il passo evangelico che la liturgia fa proclamare in questa festa è tratto dalla cosiddetta «conclusione canonica» del racconto di Marco, un epilogo aggiunto da un redattore poste-riore per dare seguito alla finale troppo brusca e insolita dello scritto originario, che termi-nava con il v.
8.
Questo secondo finale ci presenta un rapido sommario dei racconti di ap-parizione del Risorto chiuso dalla breve menzione dell’ascensione al cielo di Gesù e della successiva missione universale dei discepoli.
Dopo l’apparizione a Maria di Magdala (vv.
9-11) e a due discepoli in cammino (vv.
12-13), il Risorto appare agli Undici (v.
14).
Prima però di affidare loro il compito missionario dell’annuncio evangelico «a ogni creatura» (v.
15), è da notare che Gesù li rimprovera severamente «per la loro incredulità e durezza di cuore» (v.
14b).
Ritorna, alla fine, un tema caratteristico della narrazione marciana che at-traversa da cima a fondo tutto il libro: l’incredulità dei discepoli.
E ritorna con insistenza, a più riprese, come un ritornello martellante (cfr.
vv.
11.13.14.16).
Ma è proprio in questo contesto che emerge, per contrasto, tutta l’ostinata fedeltà del Signore che non esita ad affi-dare sua missione a dei discepoli rivelatisi quantomeno inaffidabili.
Il vangelo è messo così in fragili mani di uomini increduli e titubanti affinché compia la sua corsa fino agli estremi confini del mondo.
È singolare il fatto che destinataria della missione evangelizzatrice non è solamente l’u-manità intera ma «tutta la creazione» (così recita letteralmente il v.
15).
C’è qui una dimen-sione cosmica che non va sottaciuta: tutto l’universo creato è coinvolto in quel dinamismo di salvezza scaturito dalla Pasqua di Gesù e deve anch’esso ricevere la Buona Novella che rinnova e trasfigura ogni cosa.
Paolo non dirà forse che anche la creazione attende con im-pazienza la sua liberazione e redenzione (cfr.
Rm 8,19 ss.)? «Chi crederà…
chi non crederà…» (v.
16).
Tutto si gioca tra fede e incredulità, tra acco-glienza e rifiuto del vangelo, che rimane l’unico oggetto della predicazione apostolica.
Già all’inizio del suo ministero Gesù invitava alla conversione e alla fede dinanzi all’avvicinar-si del Regno (cfr.
Mc 1,15), ora, da Risorto, rilancia il suo appello perché il dono incompa-rabile del vangelo non vada inutilmente sprecato.
I segni che accompagnano «quelli che credono» – e dunque non solo i missionari – sono conferme della Parola annunciata e ac-colta nella fede.
Essi vengono compiuti nel nome di Gesù (cfr.
v.
17), cosicché ciò che mani-festano non è tanto la potenza e la grandezza dei credenti quanto la potenza divina che a-gisce per mezzo dello stesso Signore («e il Signore confermava la Parola con i segni che la accompagnavano»: v.
20).
«Dopo aver parlato loro…» (v.
19).
Gesù ha ormai detto tutto e il Padre lo può «elevare», «assumere» in cielo (il verbo usato, analambáno, esprime un passivo divino) e intronizzarlo alla sua destra.
Un solo versetto basta all’autore per descrivere la scena dell’ascensione: quel «cielo» che si era «squarciato» al momento del battesimo (cfr.
Mc 1,10) ora accoglie di nuovo Colui che era disceso sulla terra per compiere fino in fondo la volontà del Padre.
Se c’è un’elevazione, un’ascesa, è perché prima c’era stata una discesa, un abbassamento (cfr.
Ef 4,9-10, II lettura).
E in questo duplice movimento di discesa e salita si consuma tutta la vi-cenda terrena del Figlio di Dio.
D’ora innanzi non esiste più separazione tra terra e cielo: se la terra è salita al cielo (con il corpo umano glorificato di Gesù), il cielo è disceso sulla terra (con lo Spirito Santo che il Figlio dal Padre ci ha mandato).
«Sulla terra viene sparso un seme celeste e Colui che ritorna presso il Padre stabilisce d’ora in poi, nella sua qualità di Capo di una Chiesa ancora terrena, un vincolo inscindibile tra la terra e il cielo» (H.U.
von Balthasar).
In questa prospettiva il «cielo» non può più essere inteso come simbolo di lon-tananza, di distacco, di estraneità del Signore nei confronti di quanti ancora vivono e lot-tano su questa terra; al contrario: è proprio per essere salito al cielo, cioè presso Dio, che Gesù può essere presente nei suoi discepoli in maniera del tutto nuova e radicalmente più profonda.
Infatti, subito dopo aver detto che Gesù risorto «sedette alla destra di Dio» (v.
19), il testo prosegue: «…
e il Signore agiva insieme con loro (synergoûntos)» (v.
20).
Questa «sinergia», questo «lavoro» divino e insieme umano, è precisamente l’opera dello Spirito Santo, il vero protagonista – non nominato – della missione.
Per concludere ci si può chiedere: se non è la tomba vuota la mèta del nostro cammino («Non è qui»: Mc 16,6), né il cielo il luogo verso cui fissare il nostro sguardo («Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?»: At 1,11), dove cercare allora il Risorto? Perché molti sono ancora il luoghi ‘sbagliati’ in cui si smarrisce la nostra ricerca…
Classe prima – Maggio
Quinta fase dell’attività L’insegnante propone agli allievi le seguenti attività, seguite dal confronto tra loro e dalle sue conclusioni.
a) Dopo aver letto con attenzione il terzo testo-guida e i Documenti, prova a descrivere il Volto di Dio secondo i Cristiani, immaginando di rivolgerti a un interlocutore che non sappia assolutamente nulla.
Si potrà lavorare individualmente oppure in piccoli gruppi con portavoce, producendo semplici testi sintetici ed esponendoli in classe.
Tale procedimento potrà essere utilizzato anche per la proposta successiva.
b) Riprendi i primi testi-guida e confronta le “visioni di Dio” ebraica, islamica e cristiana.
– Quali sono gli aspetti specifici, originali di ciascuna tradizione religiosa? – Quali comportamenti e azioni di Dio sono comuni alle tre religioni? Per l’inserimento dell’argomento in Unità di Apprendimento articolate, vedere Tiziana Chiamberlando, Sentinelle del Mattino, SEI, Volume per il biennio e Guida Terza fase dell’attività L’insegnante presenta alla classe l’ultimo testo-guida.
Quarta fase dell’attività – DOCUMENTI Nei tre monoteismi…
Nell’Antico Testamento Dio si definisce: «Io sono colui che sono» (Jahvé), cioè «l’essere»; il passato, il presente, il futuro: definizione misteriosa ma piena di significato.
Nel Nuovo Testamento Dio si rivela come «l’amore», definizione che apre alla speranza; la felicità cercata dall’uomo è l’amore, e ha la sua sorgente in Dio.
Per parlare di Dio nell’Islam il Corano recita: «Nel nome di Dio, clemente e misericordioso! Sia lode a Dio, il Signore del Creato, il Clemente, il Misericordioso, il Padrone del dì del Giudizio! Te noi adoriamo, Te invochiamo in aiuto: guidaci per la retta via, la via di coloro con i quali non sei adirato, la via di quelli che non vagano nell’errore».
Per incontrare Dio, che è l’Essere, bisogna meditare; per incontrare Dio, che è l’Amore, bisogna amare.
Colui che non pensa non può conoscere Dio; colui che non ama non può incontrare Dio.
Ci vorranno secoli prima che l’umanità capisca e si convinca che Dio è «uno solo»: è l’Essere, è l’Amore.
(A.
Viganò, Dio cammina con gli uomini, Elledici, collana «Chi è Dio Padre?», p.
21) Divinità di Cristo nel Nuovo Testamento «Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato» (Gv 1,18) «Per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili…
Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui…
Il primogenito di coloro che risuscitano dei morti…
Perché piacque a Dio fare abitare in Lui ogni pienezza e per mezzo di Lui riconciliare a sé tutte le cose» (Col 1,15-20) Sullo Spirito…
«Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista…» (Lc 4,18-19, richiamo a Is 61,1-2) «Lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
(Rm 8,15-16) 3) Il Dio dei Cristiani Dio-Amore: la Trinità In Gesù di Nazareth, Uomo e Dio, secondo i Cristiani il Signore realizza pienamente la rivelazione di sé avviata ai tempi dell’Antico Testamento, si avvicina intimamente a ogni essere umano.
Afferma l’evangelista Giovanni, in tre parole: «Dio è Amore».
Per il Cristiano, credere in Dio non significa soltanto essere certo della sua esistenza; significa soprattutto essere certi che Dio “è” Amore, che l’amore generoso e illimitato, quello che vuole il bene supremo di chi viene amato, è ciò che Egli offre…
significa anche credere che il suo atto di amore più grande sia stato quello di rendersi visibile assumendo la natura umana.
Egli è in sé comunicazione, corrente di amore.
È la Trinità, mistero e luce per l’uomo, unico Dio in tre persone.
Dio Padre, l’Onnipotente, l’Onnisciente, l’Eterno, crea l’universo e chiama l’uomo alla vita unicamente per amore; il suo progetto è quello di un cosmo riconciliato in una perfetta armonia tra Lui e le sue creature, degli uomini tra loro e con l’intera creazione…
Egli è Amore che genera.
Il Padre invia il Figlio che si incarna, che diviene espressione umana della Divinità; Egli è il mezzo attraverso cui tutte le azioni amorose di Dio giungono a compimento.
Il Cristo, infatti, è il Verbo di Giovanni, la Parola suprema di Dio: rivela l’identità di Dio attraverso il proprio agire, rivela chi sia l’uomo, figlio di Dio e fratello degli altri uomini, e quale sia il destino di riconciliazione del creato (tema del “Regno di Dio”).
Egli soprattutto redime, salva l’uomo dal male e dalla morte attraverso la propria morte e il trionfo della Resurrezione; quest’ultima anticipa il destino di tutti e inaugura un tempo in cui uomini e donne di fede, insieme con il Risorto invisibile ma presente, possono lavorare per costruire una nuova realtà.
Lo Spirito Santo è l’Amore che unisce Padre e Figlio e che viene da loro donato all’umanità (pensiamo al tramite dei Sacramenti), espressione divina della saggezza e della forza di amare e combattere il male.
Lo Spirito prega con e per l’uomo, lo ispira nel profondo, gli permette di migliorare nei rapporti come da solo non potrebbe fare; porta con sé doni che producono forza, sete di giustizia, capacità crescenti di rinuncia all’egoismo…
Gesù, Uomo e Dio Il Cristiano vede in Gesù il suo unico Maestro: medita sul suo insegnamento, vuole seguirlo, vorrebbe imitarlo…
Soprattutto, può guardare a Lui ed esclamare come l’apostolo Tommaso, quando accettò l’evidenza della resurrezione: «Mio Signore e mio Dio!» «Nessuno viene al Padre se non attraverso di me…» (Gv 14, 6).
Gesù soltanto, che è una cosa sola con il Padre, può rivelare il volto di Dio.
…
«Credete almeno alle opere, perché sappiate che il Padre è in me ed io nel Padre»…
L’opera suprema del Padre, compiuta in Gesù, è il trionfo della vita («Io sono la Resurrezione e la Vita: chi crede in me, anche se muore, vivrà», Gv 11,25) «Prima che Abramo fosse, Io Sono…» (Gv 8,58), afferma Gesù: utilizza il nome stesso di Dio rivelato a Mosé (Es 3,14).
Gesù si identifica apertamente nei titoli messianici degli antichi profeti: «Figlio dell’Uomo», Colui che ristabilirà la giustizia universale al termine della storia umana; «Servo», venuto a dare la vita (Isaia)…
Di fronte al Sinedrio che vuole condannarlo, Egli proclama la propria divinità (Mt 26,63-64).
Nei Vangeli, tuttavia, Gesù evita qualsiasi manifestazione di potenza; preferisce lasciare segni perché la gente si avvicini al mistero della Sua persona con una comprensione graduale.
Pienamente Dio, Gesù è anche pienamente uomo: ha voluto condividere tutto della condizione umana, tranne il peccato; immensamente grande, si è fatto “piccolo” per essere uno di noi…
Non c’è fatica umana che il nostro Dio non abbia provato, secondo i Cristiani.
«Poiché è uomo, Gesù sa quali problemi dobbiamo affrontare; poiché è Dio, può aiutarci» (N .Warren).
Padre suo e nostro, dall’Antico al Nuovo Testamento La paternità di Dio, nel Nuovo Testamento, esprime un’intimità totale con i figli: ogni uomo ‒ non più soltanto nell’ambito del popolo ebraico ‒ è “figlio adottivo” di Dio e fratello di Gesù; il Padre desidera che ogni essere umano gli si affidi con la fiducia di un bambino nei confronti del papà, ed Egli si cura di lui come il pastore della parabola della pecorella smarrita (Lc 15,4-7), o come il padre del “figlio prodigo”, che lo attende a lungo e lo perdona nonostante il suo egoismo e le sue esperienze sbagliate.
L’istituzione dell’Eucaristia rappresenta il rinnovarsi del rapporto tra Dio e uomo, la Nuova Alleanza.
«Se Dio ci ha amati per primo, noi dobbiamo rispondere a questo amore, coinvolgendo in questa onda di calore i nostri fratelli, gli altri uomini.
Avvolta da questo amore, l’intera umanità diventa una famiglia…
comprendiamo la portata dei due comandamenti del cristiano: amore di Dio e amore del prossimo, alimentati da un’unica fiamma che parte da Lui e investe tutta l’umanità» (Carlo Fiore).
Gesù si ricollegò chiaramente all’Antico Testamento: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti.
Io non sono venuto per abolire, ma per dare compimento» (Mt 5,17); in Lui, anche gli antichi insegnamenti del Decalogo possono essere compresi nel loro più profondo e autentico significato.
Unità di Lavoro di approfondimento storico-biblico-teologico Seconda parte OSA di riferimento Conoscenze – Ricerca umana e Rivelazione di Dio nella storia: il Cristianesimo a confronto con l’Ebraismo e le altre religioni.
– Il libro della Bibbia, documento storico-culturale e Parola di Dio.
Abilità – Evidenziare gli elementi specifici della dottrina, del culto e dell’etica delle altre religioni, in particolare dell’Ebraismo e dell’Islam.
– Individuare il messaggio centrale di alcuni testi biblici, utilizzando informazioni storico-letterarie e seguendo metodi diversi di lettura.
– Riconoscere le caratteristiche della salvezza attuata da Gesù in rapporto ai bisogni e alle attese dell’uomo.
Obiettivi Formativi ipotizzabili Conoscenze e abilità – Conoscere e saper descrivere “il volto di Dio” secondo Ebrei, Musulmani e Cristiani, evidenziando aspetti comuni ed eventuali divergenze.
– Individuare il messaggio centrale di testi biblici inerenti l’argomento trattato.
Competenze di riferimento dell’allievo in prospettiva triennale – Possedere essenziali conoscenze bibliche, storiche e dottrinali inerenti il Cristianesimo, soprattutto sulla base della tradizione cattolica.
– Sapersi esprimere nell’ambito del linguaggio specifico.
– Saper cogliere i messaggi fondamentali di passi biblici basilari.