I ministeri istituiti a servizio della comunità. Lettori, accoliti, catechisti

Pensando di fare cosa gradita vi inviamo il programma di questo corso.

I Ministeri istituiti a servizio della comunità

 

Può essere utile per preti, diaconi, laici e laiche per una visione introduttiva del tema in tempo di discernimento pastorale. Così pure può essere importante per la formazione di quei laici e laiche che sono stati indicati dalle parrocchie/diocesi per questi ministeri.

 

 

I ministeri istituiti del lettore, dell’accolito e del catechista

Pubblicata il documento della Cei per inserire il tema dei ‘ministeri istituiti’ all’interno del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia

Recependo gli interventi di papa Francesco con i due motu proprio “Spiritus Domini” e “Antiquum Ministerium”, entrambi emanati nel 2021, la Conferenza Episcopale Italiana ha elaborato una Nota per orientare la prassi concreta delle Chiese di rito latino che sono in Italia sui ministeri istituiti del lettore, dell’accolito, del catechista.

Il documento, pubblicato oggi, è introdotto da una breve presentazione firmata dai due vescovi presidenti delle Commissioni episcopali direttamente competenti sul tema: Franco Giulio Brambilla di Novara (dottrina della fede, annuncio, catechesi) e Gianmarco Busca di Mantova (liturgia).

Con questa Nota spiegano i due presuli, la Cei “intende inserire il tema dei ‘ministeri istituiti’ all’interno del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, in modo che possa diventare anche un’opportunità per rinnovare la forma Ecclesiae in chiave più comunionale”. Il Cammino sinodale costituirà così “un luogo ideale di verifica anche sulla effettiva ricaduta dei nuovi ministeri istituiti del lettore, dell’accolito e del catechista nella prassi ecclesiale”.

Concretamente la Nota – che è ad experimentum per il prossimo triennio – precisa che il lettore: proclama la Parola di Dio nell’assemblea liturgica, in primis nella celebrazione eucaristica; potrà avere un ruolo anche nelle diverse forme liturgiche di celebrazione della Parola, della liturgia delle Ore e nelle iniziative di (primo) annuncio. Prepara l’assemblea ad ascoltare e i lettori a proclamare i brani biblici, anima “momenti di preghiera e di meditazione (lectio divina) sui testi biblici”, accompagna “i fedeli e quanti sono in ricerca all’incontro vivo con la Parola”.

L’accolito invece è colui che serve all’altare, coordina il servizio della distribuzione della Comunione nella e fuori della celebrazione dell’Eucaristia, in particolare alle persone impedite a partecipare fisicamente alla celebrazione. Anima inoltre l’adorazione e le diverse forme del culto eucaristico.

Il catechista infine cura l’iniziazione cristiana di bambini e adulti, e accompagna quanti hanno già ricevuto i sacramenti nella crescita di fede. Può “coordinare, animare e formare altre figure ministeriali laicali all’interno della parrocchia, in particolare quelle impegnate nella catechesi e nelle altre forme di evangelizzazione e cura pastorale”.

La Cei, spiega poi la Nota, ha scelto di conferire il “ministero istituito” del/la catechista a una o più figure di coordinamento dei catechisti dell’iniziazione cristiana dei ragazzi e a coloro che in modo più specifico svolgono il servizio dell’annuncio nel catecumenato degli adulti. Non solo. Secondo “la decisione prudente del vescovo e le scelte pastorali della diocesi”, il/la catechista “può anche essere, sotto la moderazione del parroco, un referente di piccole comunità (senza la presenza stabile del presbitero) e può guidare, in mancanza di diaconi e in collaborazione con lettori e accoliti istituiti, le celebrazioni domenicali in assenza del presbitero e in attesa dell’Eucaristia”.

La Nota stabilisce che i candidati ai “ministeri istituiti” possono essere uomini e donne: devono avere almeno 25 anni ed essere persone “di profonda fede, formati alla Parola di Dio, umanamente maturi, partecipi alla vita della comunità cristiana, capaci di instaurare relazioni fraterne e di comunicare la fede sia con l’esempio che con la parola”.

Saranno istituiti dal vescovo dopo un tempo di formazione di almeno un anno da parte di una equipe di esperti. I percorsi formativi saranno stabiliti dai vescovi. Al termine della fase di discernimento vocazionale e di formazione, i candidati saranno istituiti con il rito liturgico previsto dal Pontificale Romano. Il mandato verrà conferito per un primo periodo di cinque anni, rinnovabile previa verifica del vescovo.

I ministeri istituiti del lettore, dell’accolito e del catechista

di Conferenza Episcopale Italiana

Presentazione

La presente Nota ha lo scopo di recepire gli interventi di Papa Francesco (il motu proprio Spiritus Domini e il motu proprio Antiquum ministerium) per orientare la prassi concreta delle Chiese di rito latino che sono in Italia sui ministeri istituiti, sia del Lettore e dell’Accolito (per i quali si attende la revisione dei riti di istituzione da parte della Congregazione per il Culto Divino), sia del Catechista.

Con questa Nota, inoltre, la Conferenza Episcopale Italiana intende inserire il tema dei «ministeri istituiti» all’interno del cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, in modo che possa diventare anche un’opportunità per rinnovare la forma Ecclesiae in chiave più comunionale.

Il Cammino sinodale costituirà così un luogo ideale di verifica anche sulla effettiva ricaduta dei nuovi ministeri istituiti del Lettore, dell’Accolito e del Catechista nella prassi ecclesiale.

Per questo la presente Nota, approvata dalla 76ª Assemblea Generale e integrata dal Consiglio Episcopale Permanente con le indicazioni emerse in sede assembleare, è ad experimentum per il prossimo triennio.

Il Consiglio Permanente determinerà le modalità di verifica e di approfondimento del tema.

Roma, 5 giugno 2022, Solennità di Pentecoste

Franco Giulio Brambilla, Vescovo di Novara,
Presidente della Commissione Episcopale
per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi

Gianmarco Busca, Vescovo di Mantova,
Presidente della Commissione Episcopale per la liturgia


Nota per orientare la prassi concreta delle Chiese di rito latino che sono in Italia sui ministeri istituiti del Lettore, dell’Accolito, del Catechista

«Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune» (1Cor 12,4-7).

L’apostolo Paolo, dinanzi alla vitalità della comunità di Corinto, articola in modo trinitario carismi, ministeri e attività riferendoli rispettivamente allo Spirito, a Cristo Signore e al Padre, senza dare una definizione e un ordine preciso nel successivo elenco dei carismi. Tuttavia, egli indica due coordinate per il discernimento ecclesiale: da una parte, pone il primato dell’azione dell’unico Spirito, che distribuisce i suoi doni come vuole; dall’altra, pone il valore dell’edificazione dell’intera comunità.

1. I due motu proprio di Papa Francesco

Entro questo orizzonte, che è insieme storico-salvifico ed ecclesiale, vocazionale e ministeriale, vanno collocati i documenti relativi ai ministeri del Lettore, dell’Accolito e del Catechista recentemente promulgati da Papa Francesco.

Nella scia del Concilio Vaticano II, già Paolo VI aveva voluto rivedere la prassi della Chiesa latina relativa agli ordini sacri come era stata formulata dal concilio di Trento. Il Concilio Vaticano II aveva disposto che «il ministero divinamente istituito venisse esercitato in ordini diversi da coloro che già in antico venivano chiamati vescovi, presbiteri e diaconi» (Lumen gentium, n. 28). In linea con quella decisione, il motu proprio Ministeria quaedam (15 agosto 1972) abolì gli «ordini minori» dell’Ostiario, dell’Esorcista, del Lettore e dell’Accolito, e l’ordine maggiore del Suddiacono, che erano conferiti in vista dell’ordinazione sacerdotale, configurando quelli del Lettore e dell’Accolito come «ministeri istituiti», non più considerati come riservati ai candidati al sacramento dell’Ordine.

A distanza di cinquant’anni, Papa Francesco ha promulgato il motu proprio Spiritus Domini (10 gennaio 2021), con il quale ha superato il vincolo di Ministeria quaedam che «riservava il Lettorato e l’Accolitato ai soli uomini» e ha disposto l’inclusione delle donne nei ministeri laicali/battesimali con la modifica del can. 230 § 2 del Codice di Diritto Canonico, accompagnando la decisione con la Lettera al Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede circa l’accesso delle donne ai ministeri del Lettorato e dell’Accolitato.

Papa Francesco ha inoltre promulgato il motu proprio Antiquum ministerium (10 maggio 2021), sull’istituzione del ministero del Catechista per la Chiesa universale. La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha fatto seguire poi una Lettera ai Presidenti delle Conferenze dei vescovi sul Rito di istituzione dei Catechisti (13 dicembre 2021), con in allegato il rito corrispondente.

I due motu proprio consentono di far maturare una visione più articolata della ministerialità e del servizio ecclesiale, rendendo sempre più evidente quell’indispensabile apporto della donna, di cui Papa Francesco aveva già scritto, invitando di conseguenza ad «allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa» (Evangelii gaudium, n. 103). Il fatto che i tre ministeri istituiti siano ora esercitati anche da donne rende ancor più evidente che la cura della Chiesa nei confronti dei suoi figli, soprattutto di quanti si trovano in condizioni di difficoltà, è compito condiviso da tutti i fedeli, uomini e donne.

2. I ministeri istituiti nella Chiesa

«I ministeri istituiti hanno il loro fondamento teologico nella realtà della Chiesa come comunione di fede e di amore, espressa nei grandi documenti del Vaticano II. […] Ogni ministero è per l’edificazione del corpo del Signore e perciò ha riferimento essenziale alla Parola e all’Eucaristia fulcro di tutta la vita ecclesiale ed espressione suprema della carità di Cristo, che si prolunga nel “sacramento dei fratelli”, specialmente nei piccoli, nei poveri e negli infermi, nei quali Cristo è accolto e servito» (Premesse CEI al Rito di istituzione, 1 e 3).

Come ogni ministero nella Chiesa, anche i ministeri istituiti sono contraddistinti da soprannaturalità di origine, ecclesialità di fine e di contenuto, stabilità di prestazione, pubblicità di riconoscimento (cf. Evangelizzazione e ministeri, n. 68).

Il «ministero ordinato», conferito con il sacramento dell’Ordine ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, è costitutivo per la vita della Chiesa (cf. Lumen gentium 28). Fin dall’inizio, accanto ai ministri ordinati sorsero figure ministeriali che svolgevano servizi diversi a favore della comunità cristiana. Progressivamente questi ministeri furono confinati nel solo ambito liturgico e inquadrati in un sistema clericale quali ordini minori che, all’interno di un percorso ascendente, conducevano al sacerdozio ministeriale. Si tratta oggi di riscoprire il loro fondamento battesimale, radice dei «ministeri istituiti» e dei tanti ministeri di fatto che la Chiesa è chiamata a discernere per un servizio adeguato al popolo di Dio. Infatti, nel corso della storia, con il continuo mutare delle situazioni ecclesiali, sociali, culturali, l’esercizio di tali servizi nella Chiesa assume forme differenti.

due documenti Ministeria quaedam e Spiritus Domini hanno configurato i «ministeri istituiti» del Lettorato e dell’Accolitato, Antiquum ministerium il ministero del Catechista, come possibili forme della ministerialità ecclesiale. Esse riguardano coloro che, avendo ricevuto il Battesimo e la Confermazione ed essendo dotati di un particolare carisma per il bene comune della Chiesa, dopo un adeguato cammino di discernimento e preparazione, vengono istituiti dal Vescovo Lettori, Accoliti o Catechisti, con un apposito rito liturgico. La conformazione a Cristo e la comune radice battesimale e crismale pongono i ministeri nella Chiesa, ciascuno a suo modo, a servizio della configurazione del suo corpo ecclesiale e della trasmissione del Vangelo, in vista dell’unica missione ecclesiale. «Ciascun ministero istituito ha un suo inserimento specifico nella Chiesa locale, come manifestazione autentica della molteplice iniziativa dello Spirito che riempie e vivifica il corpo di Cristo» (Premesse CEI al Rito di istituzione, n. 1).

I ministeri istituiti trovano la loro radice nei sacramenti dell’iniziazione cristiana. Lettori e Accoliti sono battezzati la cui identità è qualificata nel Rito di istituzione per un servizio ecclesiale nella liturgia, in particolare alla mensa sia della Parola che del Pane (cf. Dei Verbum, n. 21) da cui scaturisce l’impegno stesso della vita cristiana. I Catechisti sono battezzati la cui identità è qualificata nel Rito di istituzione per vivere più intensamente lo spirito apostolico e servire l’annuncio e la maturazione della fede della comunità cristiana. «Ne consegue che l’opera del ministro non si rinchiude entro l’ambito puramente rituale, ma si pone dinamicamente al servizio di una comunità che evangelizza e si curva come il buon samaritano su tutte le ferite e le sofferenze umane» (Premesse CEI al Rito di istituzione, n. 3)

Il Lettore, l’Accolito e il Catechista vengono istituiti in modo permanente e stabile e assumono, da laici e laiche, un ufficio qualificato all’interno della Chiesa (cf. I ministeri nella Chiesa, n. 5); dopo il rito, il Vescovo conferisce a ciascun ministro istituito un mandato per l’esercizio concreto del ministero.

Di seguito vengono richiamate le indicazioni essenziali circa l’identità e i compiti di questi ministeri.

3. Identità e compiti dei tre ministeri

(a) Il Lettorato

Identità. Il Lettore è istituito per l’ufficio, a lui proprio, di proclamare la parola di Dio nell’assemblea liturgica (cf. Ministeria quaedam, n. 5). In particolare, a partire da un assiduo ascolto delle Scritture, richiama la Chiesa intera alla presenza di Gesù, Parola fatta carne, giacché come afferma la costituzione liturgica «è Cristo che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura» (cf. Sacrosanctum Concilium, n. 7).

Compiti. Il compito del Lettore si esplica in prima istanza nella celebrazione liturgica, in particolare quella eucaristica, perché sia evidente che la proclamazione della Parola è il luogo sorgivo e normativo dell’annuncio. Al Lettore è affidato il compito di preparare l’assemblea ad ascoltare e i lettori a proclamare con competenza e sobria dignità i passi scelti per la liturgia della Parola. Il Lettore/Lettrice potrà avere un ruolo anche nelle diverse forme liturgiche di celebrazione della Parola, della liturgia delle Ore e nelle iniziative di (primo) annuncio verso i lontani. A questo si aggiunge il compito più ampio di animare momenti di preghiera e di meditazione (lectio divina) sui testi biblici, con una particolare attenzione anche alla dimensione ecumenica. In generale, egli/ella è chiamato/a ad accompagnare i fedeli e quanti sono in ricerca all’incontro vivo con la Parola, fornendo chiavi e metodi di lettura per la sua retta interpretazione e la sua fecondità spirituale e pastorale.

(b) L’Accolitato

Identità. L’Accolito è istituito per il servizio al corpo di Cristo nella celebrazione eucaristica, memoriale della Cena del Signore, e al corpo di Cristo, che è il popolo di Dio, soprattutto i poveri e gli infermi (cf. Rito di Istituzione degli Accoliti, n. 29). In particolare richiama la presenza di Cristo nell’Eucaristia della Chiesa, per la vita del mondo.

Compiti. Compito dell’Accolito è servire all’altare, segno della presenza viva di Cristo in mezzo all’assemblea, là dove il pane e il vino diventano i doni eucaristici per la potenza dello Spirito Santo e dove i fedeli nutrendosi dell’unico pane e bevendo all’unico calice, diventano in Cristo un solo Corpo. A lui/lei è affidato anche il compito di coordinare il servizio della distribuzione della Comunione nella e fuori della celebrazione dell’Eucaristia, di animare l’adorazione e le diverse forme del culto eucaristico, che irradiano nel tempo il ringraziamento della Chiesa per il dono che Gesù ha fatto del suo corpo dato e del suo sangue versato. A questo si aggiunge il compito più ampio di coordinare il servizio di portare la comunione eucaristica a ogni persona che sia impedita a partecipare fisicamente alla celebrazione per l’età, per la malattia o per circostanze singolari della vita che ne limitano i liberi movimenti. In questo senso, l’Accolito è ministro straordinario della Comunione e a servizio della comunione che fa da ponte tra l’unico altare e le tante case.

(c) Il Catechista

Identità. Il Catechista, in armonica collaborazione con i ministri ordinati e con gli altri ministri, istituiti e di fatto, si dedica al servizio dell’intera comunità, alla trasmissione della fede e alla formazione della mentalità cristiana, testimoniando anche con la propria vita il mistero santo di Dio che ci parla e si dona a noi in Gesù. Il ministero del Catechista richiama la presenza nella Chiesa e nel mondo del Signore Gesù, che per l’opera dello Spirito Santo chiama ogni uomo alla salvezza, rendendolo nuova creatura in Cristo (cf. 2Cor 5,17), servo del Regno di Dio nella Chiesa.

Compiti. Compito del Catechista è formare alla vita cristiana, attingendo alla Sacra Scrittura e alla Tradizione della Chiesa. In primo luogo, questo compito si esplica nella cura della catechesi per l’iniziazione cristiana, sia dei bambini che degli adulti. A questo si aggiunge anche l’ufficio più ampio di accompagnare quanti hanno già ricevuto i sacramenti dell’iniziazione nella crescita di fede nelle varie stagioni della loro vita. È il ministro che accoglie e accompagna a muovere i primi passi nell’esperienza dell’incontro con la persona di Cristo e nel discepolato quanti esprimono il desiderio di una esperienza di fede, facendosi così missionario verso le periferie esistenziali. Infine, a lui/lei può essere chiesto di coordinare, animare e formare altre figure ministeriali laicali all’interno della parrocchia, in particolare quelle impegnate nella catechesi e nelle altre forme di evangelizzazione e nella cura pastorale. Tra le possibilità indicate dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, la Conferenza episcopale italiana sceglie di conferire il «ministero istituito» del/la Catechista a una o più figure di coordinamento dei catechisti dell’iniziazione cristiana dei ragazzi (cf. n. 9) e a coloro che «in modo più specifico svolgono il servizio dell’annuncio» nel catecumenato degli adulti (cf. n. 10). Il Catechista, secondo la decisione prudente del Vescovo e le scelte pastorali della Diocesi, può anche essere, sotto la moderazione del parroco, un referente di piccole comunità (senza la presenza stabile del presbitero) e può guidare, in mancanza di diaconi e in collaborazione con Lettori e Accoliti istituiti, le celebrazioni domenicali in assenza del presbitero e in attesa dell’Eucaristia.

In questo modo, tra l’altro, potrà essere sempre più evidente la corresponsabilità in ambito pastorale tra ministri ordinati e ministri istituiti, perché si realizzi quanto affermato da Lumen gentium: «Che tutti concordemente cooperino, nella loro misura, all’opera comune» (n.30).

4. La formazione ai ministeri istituiti

Ogni ministero istituito possiede una connotazione vocazionale: «È il Signore che suscita i ministeri nella comunità e per la comunità» (Premesse CEI al Rito di istituzione, n. 2). Il servizio nella Chiesa non si configura come una professione, né come una carica onorifica: si tratta piuttosto di assimilare i tratti del Maestro, che è non è venuto per essere servito ma per servire (cf. Mc 10,45).

Il Signore chiama chiunque è istituito in uno di questi ministeri a mettere a disposizione tutto se stesso, «stabiliter» (can. 230 § 1 del Codice di Diritto Canonico), per l’edificazione dei fratelli. Le comunità con i loro presbiteri presentano i candidati, i quali saranno istituiti dal Vescovo dopo un tempo di adeguato accompagnamento e formazione da parte di una équipe di esperti. Il Vescovo infatti in primo luogo riconosce tale vocazione e ne valuta l’utilità per un servizio determinato all’interno della realtà ecclesiale locale; in un secondo tempo li istituisce con il rito liturgico proprio; infine, con un atto giuridico, conferisce il mandato per quel ministero specifico.

Ai ministeri istituiti di Lettore, Accolito e Catechista possono accedere uomini e donne che manifestano la loro disponibilità, secondo i seguenti criteri di discernimento: siano persone di profonda fede, formati alla Parola di Dio, umanamente maturi, attivamente partecipi alla vita della comunità cristiana, capaci di instaurare relazioni fraterne, in grado di comunicare la fede sia con l’esempio che con la parola, e riconosciuti tali dalla comunità, nelle forme e nei modi che il Vescovo riterrà opportuni.

I Vescovi stabiliscano percorsi formativi idonei per conseguire tre finalità essenziali: aiutare nel discernimento sulla idoneità intellettuale, spirituale e relazionale dei candidati; perfezionare la formazione in vista del servizio specifico, con la pratica di attività pastorali adeguate; consentire un aggiornamento biblico, teologico e pastorale continuo di quanti hanno già ricevuto il mandato per un ministero. Tali percorsi formativi possono essere svolti con l’ausilio di istituzioni accademiche esistenti nel territorio come gli Istituti di Teologia e di Scienze Religiose. Il supporto di tali istituzioni renderà più agevole il compito di strutturare piani di formazione, che prevedano non solo lezioni frontali, ma anche seminari e stage in situ. Infine, per quanto concerne il tempo di formazione, si preveda almeno un anno con la guida di un’equipe diocesana, che potrà continuare la formazione nei primi tempi dell’esercizio del ministero.

Ai Pastori è chiesto di sensibilizzare la comunità cristiana a lasciar emergere quei doni dello Spirito, che possono diventare effettivi ministeri laicali. La cura dei nuovi ministeri apre la possibilità concreta di ridisegnare il volto delle comunità cristiane. Il Cammino sinodale in corso nelle Chiese che sono in Italia è un’occasione propizia, perché la ricezione dei ministeri nelle singole Chiese locali avvenga in forma sinodale. In tal modo si potrà creare lo spazio per nuove figure capaci di mettere in moto una percezione più dinamica dell’annuncio del Vangelo, con la ricchezza di nuovi volti ed esperienze differenziate.

5. Il Rito di istituzione e il mandato

Al termine della fase di discernimento vocazionale e di formazione di base, il/la candidato/a viene istituito/a con il rito liturgico previsto dal Pontificale Romano. Come afferma la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti nel caso dei Catechisti istituiti, «definire tale ministero come stabile, oltre ad esprimere il fatto che nella Chiesa esso è “stabilmente” presente, significa anche affermare che i laici che abbiano l’età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza Episcopale, possono essere istituiti in modo stabile (come i Lettori e gli Accoliti) al ministero di Catechista: ciò avviene mediante il Rito di istituzione che, pertanto, non può essere ripetuto» (Lettera ai presidenti delle Conferenze dei Vescovi sul Rito di istituzione dei Catechisti, n. 3). Il rito liturgico mostra così non solo che il Pastore riconosce nel candidato una vocazione ad un servizio ecclesiale, ma che l’intera comunità è lieta di accogliere e sostenere il nuovo ministro nella sua missione. I ministri istituiti si inseriscono così a pieno titolo nel grembo della Chiesa locale, da cui sono generati a servizio del popolo di Dio.

Per quanto riguarda l’età dell’ammissione, si conferma quanto scritto già nel documento della Conferenza Episcopale Italiana, I ministeri nella Chiesa, pubblicato nel 1973, che al n. 9 stabiliva il limite di 21 anni, poi innalzato a 25 anni nella delibera n. 21 del 18 aprile 1985.

Come affermato nella Lettera della Congregazione per il Culto Divino sopra citata, «l’esercizio del ministero può e deve essere regolato nella durata, nel contenuto e nelle modalità dalle singole Conferenze episcopali secondo le esigenze pastorali» (n. 3). Il mandato per l’esercizio concreto del ministero viene conferito per un primo periodo di cinque anni, seguito da una verifica compiuta dal Vescovo insieme con un’equipe preposta a questo. Alla luce di tale verifica si potrà rinnovare il mandato per l’esercizio del ministero, tenendo conto del cambiamento delle condizioni di vita del ministro istituito e delle esigenze ecclesiali in continuo mutamento.

I ministri istituiti «non saranno semplici esecutori delle indicazioni dei presbiteri e dei diaconi, ma veri animatori di assemblee presiedute dal pastore d’anime, promotori della corresponsabilità nella Chiesa e dell’accoglienza di quanti cercano di compiere un itinerario di fede, evangelizzatori nelle varie situazioni ed emergenze di vita, interpreti della condizione umana nei suoi molteplici aspetti (cf. Apostolicam actuositatem, n. 24). Essi renderanno presente alla comunità le attese e le aspirazioni degli uomini del nostro tempo e insieme saranno un segno autentico della presenza della Chiesa nelle famiglie, nei luoghi di studio e di lavoro e sulle strade del mondo (cf. Apostolicam actuositatem, n13)» (Premesse CEI al Rito di istituzione, n. 5).

14 luglio 2022 – Settimana News

La scomparsa di un grande catecheta. Don Emilio Alberich (1933-2022)

La mattina del 9 settembre è tornato alla casa del Padre il prof. don Emilio Alberich, salesiano. Il suo pensiero è stato alla base della riflessione catechetica contemporanea. Direttore dell’Istituto di catechetica e Decano della Facoltà di Scienze dell’Educazione. A livello internazionale ha ricoperto per due volte l’incarico di Presidente dell’Equipe Europea di Catechesi (EEC) e dell’Associazione dei Catecheti Spagnoli (AECA).

Rientrato in Spagna al termine del suo servizio accademico a Roma, la sua situazione di salute era andata progressivamente peggiorando, senza che il noto catecheta perdesse il suo tratto signorile e la cordialità che lo hanno sempre contraddistinto.

In allegato Le tappe principali del suo percorso religioso e del suo impegno accademico sono ricordate nella lettera del Gran Cancelliere dell’Università salesiana in occasione del suo Emeritato, nel 2003.

Le riportiamo di seguito.

Emeritato – E.Alberich

 

In memoria
Il ricordo di don Emilio Alberich

Una grande figura di salesiano e di professore che ha contribuito, in modo significativo, allo sviluppo della teologia pastorale e della catechetica
9 settembre 2022

Don Alberich Sotomayor era nato ad Algeciras (Spagna) il 16 gennaio 1933; era diventato salesiano nel 1949 ed era stato ordinato sacerdote l’11 novembre 1960 a Torino.
Conseguita la maturità liceale, Don Alberich ha fatto il noviziato concluso con la professione a san José del Valle (1949); è stato quindi inviato alla nostra Facoltà di Filosofia, residente all’epoca a Torino (Rebaudengo), per compiervi un triennio di studi filosofici coronato con la licenza. Dal 1953 al 1956 ha compiuto il tirocinio a Utrera (Siviglia) in qualità di professore e assistente. Inviato alla nostra Facoltà di Teologia della Crocetta (Torino) nel 1956, ricevette l’ordinazione presbiterale nel 1960 e vi proseguì gli studi in vista del dottorato in teologia (1960-1962). Nel 1962-1963 è stato professore di teologia a Posadas (Córdoba) e nel 1963-1964 ha svolto l’incarico di professore e consigliere dei teologi nello studentato teologico di Sanlúcar la Mayor (Siviglia).
Conseguito il dottorato in teologia (1964) con la pubblicazione di un estratto della tesi intitolata “El misterio salvífico de la Encarnación en el primer formulario navideño del sacramentario leonino”, è stato inviato all’allora Pontificio Ateneo Salesiano nel 1964. Dal tale anno in poi ha tenuto corsi di teologia pastorale e specialmente di catechetica, prima in qualità di assistente, poi di docente aggiunto (1969-1973), quindi come professore straordinario (1973-1981) e infine come ordinario (1981-2003), assai apprezzato per la sua competenza e la qualità didattica del suo insegnamento. A questo lavoro di base si sono aggiunti altri impegni, come la direzione dell’Istituto di Catechetica della Facoltà di Scienze dell’Educazione (1974-1977), la responsabilità dapprima di vice-decano (1980-1988) e in seguito di decano della Facoltà (1989-1995), l’incarico di direttore della comunità san Domenico Savio (1995-2001).
Nei quasi quarant’anni di docenza universitaria, don Alberich ha prodotto un’ampia serie di studi e ha portato contributi nuovi, originali, critici specialmente nell’ambito della catechetica fondamentale e della metodologia catechetica per gli adulti. Per le sue competenze ha ricevuto riconoscimenti lusinghieri a livello internazionale, come risulta dai numerosi inviti a partecipare e a tenere relazioni in convegni e corsi in Europa, in America latina e in Africa e, tra l’altro, dalla sua elezione a Presidente dell’Équipe Européenne de Catéchèse negli anni 1974-1977 e 1994-1998.
“Per la nostra Università don Emilio è stato una grande figura di salesiano e di professore che ha contribuito in modo molto significativo allo sviluppo della teologia pastorale e soprattutto della catechetica – le parole di cordoglio del prof. don Andrea Bozzolo, Rettore dell’UPS. E prosegue: “Di don Alberich, oltre alla competenza scientifica, ricordiamo la cortesia, la capacità di creare fraternità, lo spirito di fede e la dedizione al lavoro”.
Ringraziamo il Signore di avere donato don Alberich Sotomayor all’Università e alla Congregazione Salesiana e lo affidiamo alla misericordia del Padre.

 

Fallece el catequeta Don Emilio Alberich, SDB

La comunidad salesiana comunica el fallecimiento de su hermano salesiano y sacerdote don Emilio Alberich Sotomayor, salesiano y sacerdote, a los 89 años de edad, 73 de salesiano y 62 de sacerdote

“Ha fallecido en nuestra Residencia Don Pedro Ricaldone de Sevilla, hace unos días se agravó seriamente su estado de salud, ya deteriorado desde hace muchos años”

“Celebraremos su funeral, mañana sábado 10, a las 11:30, en la Basílica de María Auxiliadora de Sevilla. Posteriormente, sus restos mortales serán incinerados”

“Recordaremos a don Emilio por su humildad, sencillez y afabilidad. Ha sido un buen salesiano y un buen hermano de comunidad que se hacía querer. Piadoso, muy inteligente y muy trabajador”

 

09.09.2022

(Salesianos).- Hacia las 6:00 de hoy viernes 9 de septiembre de 2022, ha fallecido en nuestra Residencia Don Pedro Ricaldone de Sevillanuestro querido hermano salesianosacerdote don Emilio Alberich Sotomayor. Hace unos días se agravó seriamente su estado de  salud, ya deteriorado desde hace muchos años. Tenía 89 años de edad, y había cumplido los 73 de salesiano y los 62 de sacerdote.

  1. Emilio Alberich Sotomayor  

Celebraremos su funeral, mañana sábado 10, a las 11:30, en la Basílica de María  Auxiliadora de Sevilla. Posteriormente, sus restos mortales serán incinerados.

 

Don Emilio nació en Algeciras (Cádiz), el 16 de enero de 1933. Hizo el noviciado en San José  del Valle, donde profesó el 16 de agosto de 1949. Después de un año de estudiante en  Utrera-Consolación (1949-50), pasó a Turín-Rebaudengo, alcanzando la Licenciatura en  Filosofía (1950-1953). El tirocinio lo realizó en Utrera (1953-56), y los estudios de Teología hasta el Doctorado, en Turín (1956-62). Recibió la ordenación sacerdotal en Turín, el 11 de  febrero de 1960, de manos del cardenal Fossati. 

Labor pastoral

Desde entonces, ha venido desarrollando su labor pastoral en Posadas (1962-63) y en  Sanlúcar la Mayor (1963-64), como profesor de Teología; en Roma-UPS (1963-2005) como profesor de Catequética en la Facultad de Ciencias de la Educación, siendo Director del Instituto de Catequética de 1974 a 1977 y de 1986 a 1989, y Decano de dicha facultad, de  1989 a 1995; siguió en Sevilla-Teologado (2005-12), y en Sevilla-Trinidad durante estos  últimos diez años.

 

Fue Presidente del “Équipe Européene de Catéchèse” (1974-78 y 1994-98) y en 2007 fue  nombrado Presidente de la Asociación Española de Catequetas.

Recordaremos a don Emilio por su humildad, sencillez y afabilidad. Ha sido un buen salesiano y un buen hermano de comunidad que se hacía querer. Piadoso, muy inteligente y muy trabajador.  

Que el Señor Resucitado lo reciba en su Reino, entre todos aquellos que han entregado su  vida a la misión salesiana, que nuestro padre Don Bosco lo acompañe, y que María  Auxiliadora, a la que tanto amó, lo acoja con el cariño de Buena Madre del cielo.

Que descanse en paz. 

 

Comunicación del fallecimiento de D. Emilio Alberich Sotomayor

 

 

 

“Catechetica” di Luciano Meddi

Luciano Meddi, Catechetica, EDB, Bologna 2022, pp. 272.

 

Descrizione

Per tutto il XX secolo la catechesi e la sua riflessione scientifica – la catechetica – hanno ricercato le vie più adatte per collaborare alla conversione missionaria. Una conversione richiesta dall’evidente trasformazione del ruolo della religione nelle culture contemporanee, soprattutto in Europa. Di conseguenza anche la formazione cristiana è stata invitata a rinnovarsi nel metodo, nell’annuncio, nella relazione con le culture, nel processo di proposta e iniziazione cristiana.
Il concilio Vaticano II ne ha sollecitato diversi approfondimenti, che riguardano l’educazione dei cristiani, l’annuncio permanente della fede, l’accompagnamento della sua maturità, l’inserimento vivo dei battezzati nella Chiesa. Questi approfondimenti hanno seguito le diverse stagioni della receptio conciliare. Dapprima si è proposta la catechesi evangelizzatrice con lo scopo di dare nuovo alimento alla tradizione e alla vita di fede delle comunità cristiane; successivamente si è preferito un impianto missionario finalizzato a dare sostegno alla nuova evangelizzazione per rafforzare la domanda di sacramento. Oggi si è alla ricerca di una visione che si concentri soprattutto sui processi interiori e spirituali della persona a cui si rivolge il messaggio cristiano.
Il volume si colloca in una collana di testi rigorosi e agili a un tempo, rivolti soprattutto al pubblico di università, facoltà teologiche, istituti di scienze religiose e seminari.

 

Sommario

Abbreviazioni e sigle.

Introduzione. I molti nomi della catechesi.

1 La nascita della catechesi contemporanea.

  1. L’educazione dei cristiani nei diversi post-concilio.
  2. La proposta catechetica italiana.
  3. Il compito della catechesi nella missione della Chiesa.
  4. Teologia della catechesi: lasciar operare lo Spirito di Dio.
  5. Antropologia catechetica: il ruolo della persona e i suoi dinamismi.
  6. Il contesto ecclesiale della catechesi.
  7. L’itinerario della catechesi.
  8. La comunicazione del messaggio.
  9. L’accompagnamento per la risposta di fede.
  10. La mistagogia e formazione della vita cristiana.
  11. L’iniziazione cristiana dei ragazzi.
  12. Le pratiche catechistiche.

 

Note sull’autore

Luciano Meddi è professore ordinario di Catechesi missionaria alla Pontificia Università Urbaniana e professore invitato all’Università Pontificia Salesiana.

Con EDB ha pubblicato: Ridire la fede in parrocchia. Percorsi di evangelizzazione e di formazione (2010).

Tra le sue pubblicazioni recenti: Il cammino di fede. Riorganizzare la catechesi parrocchiale (Elledici 2016); La catechesi oltre il catechismo. Saggi di catechetica fondamentale (Urbaniana University Press 2018); Il Primo Annuncio. Questione di narrazioni e di racconti (Elledici 2019).

 

Sinodo 2021-2023: la Sintesi nazionale della fase diocesana

Pubblichiamo il testo integrale della Sintesi nazionale della fase diocesana del Sinodo 2021-2023 “Per una Chiesa sinodale: Comunione, partecipazione e missione” che la Presidenza della CEI ha consegnato il 15 agosto alla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi. Il Sinodo è inteso come un processo sinodale e culminerà nel 2023 con la fase universale, preceduta da quella continentale.
Il documento dà sinteticamente conto del percorso compiuto nell’anno pastorale 2021-2022, dedicato all’ascolto e alla consultazione capillare del Popolo di Dio. Questo primo “step” è stato armonizzato, per volere dei Vescovi, con il Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, che sta interessando sempre di più i diversi territori con proposte e progetti. La Sintesi, dunque, offre anche una panoramica del primo anno di Cammino sinodale, che fino al 2025 sarà strutturato in tre momenti: fase narrativa (2021-2022 e 2022-2023); fase sapienziale (2023-2024); fase profetica (2025).

 

In ascolto del Popolo di Dio

L’indizione del Sinodo universale ha rappresentato per le Chiese in Italia l’occasione per dare seguito ad alcune indicazioni offerte da Papa Francesco negli ultimi anni. Già nel 2015, al Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze, parlò di “stile sinodale”, mentre nel 2019 tornò sul tema della sinodalità raccomandando di avviare un processo “dal basso verso l’alto, e dall’alto verso il basso”. Così, rispondendo ai suoi ripetuti appelli, raccolti e assunti dalla 74ª Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, nel maggio 2021 è stato avviato il Cammino sinodale delle Chiese in Italia, ufficialmente apertosi in tutte le diocesi il 17 ottobre 2021 e teso a prestare orecchio a “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (cf. Ap 2-3). Il percorso prevede uno sviluppo in cinque anni, con un’articolazione in tre fasi: narrativa (2021-2022; 2022-2023), sapienziale (2023-2024) e profetica (2024-2025). L’anno pastorale 2021-2022, in sintonia con quanto richiesto dalla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, è stato dedicato all’ascolto e alla consultazione capillare del Popolo di Dio, inserendosi a pieno nel tracciato del Sinodo universale “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”: è stata avviata una consultazione anche al di là del perimetro di coloro che si sentono membri della comunità ecclesiale, attraverso la proposta di un cammino spirituale di ascolto reciproco e di una sinodalità vissuta sulla quale far leva per quella riforma che il Signore domanda continuamente alla sua Chiesa. Del cammino percorso in questo primo anno si dà qui sinteticamente conto.

Il coinvolgimento è stato ampio ed eterogeneo: dalle Chiese locali nelle loro articolazioni (diocesi, parrocchie, zone pastorali o foranie…) e in tutte le loro componenti, con lo sforzo di raggiungere anche i mondi della politica, delle professioni, della scuola e dell’università, fino ai luoghi della sofferenza e della cura, alle situazioni di solitudine e di emarginazione.

Non sono mancate incertezze e perplessità, soprattutto in fase iniziale, a rallentare il percorso, specialmente in una stagione segnata da ansie e smarrimento, dal riacutizzarsi della pandemia con il suo carico di lutti, sofferenze e disagi, allo scoppio della guerra in Ucraina, che ha riacceso ferite, paure e risentimenti. In mezzo a queste crisi, il Popolo di Dio ha cercato di superare individualismi, scetticismi e steccati, e si è messo in cammino.

È stato costituito un Gruppo di coordinamento nazionale, si sono formati circa 50.000 gruppi sinodali, con i loro facilitatori, per una partecipazione complessiva di mezzo milione di persone. Più di 400 referenti diocesani hanno coordinato il lavoro, insieme alle loro équipe, sostenendo con costanza e convinzione iniziative, producendo sussidi e raccogliendo narrazioni. Si è creata una rete di corresponsabili che è un primo frutto, inatteso, del Cammino e una risorsa preziosa per la sua prosecuzione. Il collegamento tra i referenti è stato importante per sostenere un lavoro ricco e impegnativo che si è dovuto confrontare anche con resistenze dovute alla paura di attivare un processo destinato semplicemente a lasciare le cose come stanno.

Sono duecento le sintesi diocesane e 19 quelle elaborate da altri gruppi – per un totale di più di 1.500 pagine – pervenute alla Segreteria Generale della CEI a fine giugno. In alcune Chiese locali il cammino si è innestato su Sinodi diocesani in corso, appena avviati o da poco conclusi, con l’attenzione d’intrecciare il percorso diocesano con quello nazionale e universale e con la disponibilità a leggere il Sinodo diocesano come un dono anche per le altre Chiese, con uno spirito nuovo e una visione più ampia che può contribuire a uscire dalla logica dei Sinodi di documenti.

Il soffio dello Spirito ha rimesso in movimento le comunità, a volte stanche e ripiegate su se stesse, ha aperto gli occhi e il cuore consentendo di vedere e riconoscere i “compagni di viaggio” e il debito di ascolto maturato nel tempo. Diverse persone, talvolta confinate nell’invisibilità, sono state raggiunte dall’invito del Sinodo e coinvolte in un percorso di ascolto che le ha viste finalmente protagoniste. Del resto, è apparso subito chiaro che non c’è nulla che sia estraneo alla vita della Chiesa e, quindi, che la Chiesa può essere davvero la casa di tutti. Va, tuttavia, segnalato che il percorso compiuto durante il primo anno ha intercettato principalmente la parte della comunità ecclesiale italiana che in qualche modo gravita o afferisce ai circuiti parrocchiali, seppur con eccezioni anche importanti e tanta creatività. La parrocchia resta il paradigma strutturante dell’immaginario pastorale e missionario, sebbene la presenza e l’azione dei cattolici italiani si svolga anche in circuiti che hanno un minor ancoraggio parrocchiale. Si tratta di un dato da tenere in considerazione per avere una piena percezione dell’articolazione, della varietà e della ricchezza delle forme del camminare delle Chiese in Italia.

Il metodo della conversazione spirituale ha aiutato a vivere il processo sinodale: ascoltare la vita ha permesso di non impantanarsi in uno sterile confronto di idee, ma di favorire uno scambio autentico, in cui cogliere “i segni dei tempi”. Ripartire dall’ascolto dei vissuti ha consentito alle comunità italiane, talvolta arroccate su posizioni di difesa e di rassegnazione, di scoprirsi capaci di accogliere e di amare. Questa metodologia, che promuove una dinamica che aiuta a passare dall’“io” al “noi”, da una prospettiva individuale a una comunitaria, è stata particolarmente apprezzata tanto che da più parti si è sollevata la richiesta di mantenerla, approfondirla e valorizzarla come prassi ordinaria.

La conversazione spirituale ha permesso di far emergere fatiche e limiti delle realtà ecclesiali, ma sempre in una prospettiva propositiva e di speranza. In ordine alle dinamiche interne alla vita della comunità e alla sua forma strutturale, ad esempio, sono state registrate con lucidità alcune annose questioni che affaticano il passo: il clericalismo, lo scollamento tra la pastorale e la vita reale delle persone, il senso di fatica e solitudine di parte di sacerdoti e di altre persone impegnate nella vita della comunità, la mancanza di organicità nella proposta formativa, l’afasia di alcune liturgie. Tale disamina non si è, tuttavia, connotata per il senso di rassegnazione e neppure per i toni accesi della rivendicazione. Anzi, per il modo in cui è stato condotto, il processo sinodale ha aperto spazi e opportunità di ripensamento e di profonda riforma di queste dinamiche, a partire dalle sinergie che ha attivato e dal gusto di lavorare insieme. Non si è semplicemente parlato di sinodalità, ma la si è vissuta, facendo i conti anche con le inevitabili fatiche: nel lavoro dell’équipe diocesana – presbiteri, diaconi, laici, religiosi e religiose insieme, giovani e adulti, e con la presenza partecipe del Vescovo –, nell’accompagnamento discreto e sollecito delle parrocchie e delle realtà coinvolte, nella creatività pastorale messa in moto, nella capacità di progettare, verificare, raccogliere, restituire alla comunità. L’esperienza fatta è stata entusiasmante e generativa per chi ha accettato di correre il rischio di impegnarvisi: in molti contesti ha contribuito a rivitalizzare gli organismi di partecipazione ecclesiale, ha aiutato a riscoprire la corresponsabilità che viene dalla dignità battesimale e ha lasciato emergere la possibilità di superare una visione di Chiesa costruita intorno al ministero ordinato per andare verso una Chiesa “tutta ministeriale”, che è comunione di carismi e ministeri diversi. A riguardo non va sottaciuta la fatica a suscitare un coinvolgimento cordiale di una porzione non trascurabile del clero, che ha visto il Cammino sinodale con una certa diffidenza. In alcuni passaggi, inoltre, non è risultata scontata la sintonia tra le modalità ordinarie di esercizio del ministero episcopale e l’assunzione di uno stile pienamente sinodale, a cui il Cammino punta.

I referenti diocesani si sono incontrati alcune volte online e due volte in presenza a Roma: dal 18 al 19 marzo e dal 13 al 15 maggio 2022. Quest’ultimo appuntamento residenziale, con la partecipazione dei Vescovi rappresentanti delle Conferenze Episcopali Regionali, ha permesso di stendere insieme una prima sintesi nazionale; successivamente, durante la 76ª Assemblea Generale della CEI (23-27 maggio), alla quale hanno preso parte, nelle giornate del 24 e 25 maggio 2022, 32 referenti diocesani, cioè due per ogni Regione ecclesiastica, si è ulteriormente riflettuto, in modo sinodale, arrivando a definire alcune priorità emerse dall’ascolto del Popolo di Dio.

 

In dieci nuclei la varietà di accenti e sensibilità delle Chiese in Italia
Ascoltare, accogliere, relazioni, celebrare, comunicazione, condividere, dialogo, casa, passaggi di vita e metodo sono i dieci nuclei attorno a cui sono state organizzate le riflessioni emerse dalle sintesi diocesane: non si tratta di categorie astratte, predeterminate, ma di modalità per agganciare, raccogliere e presentare l’esperienza vissuta del camminare insieme delle Chiese in Italia, nelle loro articolazioni e specificità. Questa scelta di fondo rappresenta anche il tentativo di riprendere il percorso compiuto tra i due ultimi Convegni Ecclesiali Nazionali, celebrati a Verona (16-20 ottobre 2006) e a Firenze (9-13 novembre 2015), con l’intento di passare dall’usuale strutturazione per settori d’azione o secondo le missioni degli Uffici pastorali (ai diversi livelli) a una visione che tenta di abbracciare sempre l’insieme dell’esistenza delle persone e di cogliere le interconnessioni della vita.

Ogni nucleo va inteso come una dimensione, una declinazione o un ambito del camminare insieme. In questo senso, i dieci nuclei non sono alternativi, ma complementari; alcuni espressi come verbi, altri come sostantivi, proprio per rispettare le risonanze con cui sono stati espressi. La loro pluralità non rappresenta un limite da superare, attraverso un’operazione di omogeneizzazione o di gerarchizzazione, ma contribuisce a custodire il fondamentale pluralismo dell’esperienza delle Chiese in Italia, con tutta la varietà di accenti e sensibilità da cui sono attraversate e di cui sono portatrici.

2.1 Ascoltare

L’ascoltare e il sentirsi ascoltati sono certamente la grande riscoperta del processo sinodale e il suo primo inestimabile frutto, insieme al discernimento. Uno dei dati più evidenti è il riconoscimento del debito di ascolto come Chiesa e nella Chiesa, verso una molteplicità di soggetti. Le sintesi diocesane e le altre che sono pervenute direttamente alla Segreteria della Cei, hanno messo in luce la necessità di crescere nell’ascolto di ogni persona nella sua concreta situazione di vita. Con chiarezza le Chiese che sono in Italia hanno messo in luce la necessità di porsi in ascolto dei giovani, che non chiedono che si faccia qualcosa per loro, ma di essere ascoltati; delle vittime degli abusi sessuali e di coscienza, crimini per cui la Chiesa prova vergogna e pentimento ed è determinata a promuovere relazioni e ambienti sicuri nel presente e nel futuro; delle vittime di tutte le forme di ingiustizia, in particolare della criminalità organizzata; dei territori, di cui imparare ad accogliere il grido, grazie all’apporto di competenze specifiche e all’impegno di “stare dentro” a un luogo e alla sua storia. L’ascolto chiede di far cadere i pregiudizi, di rinunciare alla pretesa di sapere sempre che cosa dire, di imparare a riconoscere e accogliere la complessità e la pluralità.

Un ascolto autentico è già annuncio della buona notizia del Vangelo, perché è un modo per riconoscere il valore dell’altro, il suo essere prezioso. L’ascolto è allora tutt’uno con la missione affidata alla Chiesa ed è principio e stile di un’assunzione di responsabilità per il mondo e per la storia. Una particolare attenzione in questo ascolto deve essere riservata alle situazioni di povertà: è a partire da qui ed è con i poveri del mondo che le nostre comunità devono poter delineare il cammino per il Terzo millennio. Resta chiaro che la finezza dell’udito viene pian piano plasmata dalla Parola del Signore che apre l’orecchio e spalanca il cuore. L’autentico ascolto della Parola è l’antidoto contro il ripiegamento su di sé, la via verso una presenza incisiva nella realtà sociale e verso una crescente condivisione. In radice, l’ascolto della Parola e l’ascolto della vita sono il medesimo ascolto, perché il Signore si lascia incontrare nella vita ordinaria e nell’esistenza di ciascuno, ed è lì che chiede di essere riconosciuto. Di qui l’esigenza, unanimemente sentita, di rimettere al centro la Parola, immaginando percorsi di crescita in questa dimensione e investendo su figure che sappiano accompagnarli.

2.2 Accogliere

La consultazione sinodale ha messo in luce l’importanza di vivere la prossimità nella pluralità delle situazioni di vita e di condizioni che abitano un territorio: le persone costituiscono la vera ricchezza delle comunità, ciascuna con il suo valore unico e infinito. Non si tratta di pensare che chi è parte della comunità ecclesiale debba fare uno sforzo di apertura verso chi rimane sulla soglia. Piuttosto, l’accoglienza è un cammino di conversione per dare forma nella reciprocità a una comunità fraterna e inclusiva che sa accompagnare e valorizzare tutti. Questa consapevolezza consente di superare la distinzione “dentro” / “fuori”.

Vivere l’accoglienza significa armonizzare il desiderio di una “Chiesa in uscita” con quello di una “Chiesa che sa far entrare”, a partire dalla celebrazione dell’Eucaristia. La creazione di un “ministero di prossimità” per i laici dedicati all’ascolto delle situazioni di fragilità potrebbe sostenere il processo di rinnovamento in vista di comunità più aperte, meno giudicanti e capaci di non lasciare indietro nessuno. Si coglie l’esigenza di un ripensamento complessivo: numerose sottolineature fanno emergere carenze sul piano della capacità di inclusione. In particolare, si riconosce il bisogno di toccare ferite e dare voce a questioni che spesso si evitano. Tante sono le differenze che oggi chiedono accoglienza: generazionali (i giovani che dicono di sentirsi giudicati, poco compresi, poco accolti per le loro idee e poco liberi di poterle esprimere; gli anziani da custodire e da valorizzare); generate da storie ferite (le persone separate, divorziate, vittime di scandali, carcerate); di genere (le donne e la loro valorizzazione nei processi decisionali) e orientamento sessuale (le persone Lgbt+ con i loro genitori); culturali (ad esempio, legate ai fenomeni migratori, interni e internazionali) e sociali (disuguaglianze, acuite dalla pandemia; disabilità ed emarginazione).

2.3 Relazioni

Le persone vengono prima delle cose da fare e dei ruoli: questo principio è risuonato più volte nella consultazione sinodale, insieme al riconoscimento di quanto venga spesso disatteso. La cura delle relazioni chiede di non lasciarsi ingabbiare da ruoli e funzioni – pur necessari – e di non utilizzarli come recinti in cui chiudersi. Ognuno nella comunità ecclesiale ha bisogno di imparare a vivere relazioni più attente all’altro, soprattutto quando si svolge un ministero e un servizio: i sacerdoti, per primi, sono chiamati a essere “maestri di relazione”, capaci di stare e camminare con gli altri. Peraltro, emergono anche la preoccupazione per il senso di solitudine che a volte vivono anche i sacerdoti e la necessità di comunità capaci di accompagnarli.

Le relazioni hanno bisogno di tempo e di cura costante: sono un bene fragile che necessita di energie individuali, di sinergie comunitarie e di accettazione delle fatiche e delle sconfitte. Le comunità necessitano di cammini di riconciliazione per abitare e superare i conflitti e le frammentazioni. Ciò richiede di riconoscere che la dimensione relazionale non cresce in modo automatico, ma giorno dopo giorno dando spazio all’incontro, al confronto e al dialogo, e sapendo camminare con gli altri senza voler imporre a tutti i costi il proprio ritmo.

L’incontro con le persone non va vissuto come un corollario, ma come il centro dell’azione pastorale. Perciò è importante rivedere in una prospettiva maggiormente comunitaria il tema delle funzioni e delle mansioni svolte attualmente dai presbiteri. Avere a cuore le relazioni nella comunità significa riconoscere e prendersi cura delle diverse forme di solitudine e di coloro che vivono situazioni di fragilità e marginalità.

2.4 Celebrare

Pur nella diversità delle situazioni, il processo sinodale è stato segnato da una forte tensione spirituale. La Parola di Dio è riconosciuta come chiave per tornare a essere credibili ed è forte il desiderio di una sua conoscenza più approfondita attraverso modalità quali Lectio Divina, Liturgia della Parola, formazione biblica. Potendo essere guidate da diaconi, religiosi o laici (uomini e donne) formati, permetterebbero di offrire più occasioni di incontro con la Parola e di rispondere alla sete di vita nello Spirito.

La celebrazione eucaristica è e rimane “fonte e culmine” della vita cristiana e, per la maggioranza delle persone, è l’unico momento di partecipazione alla comunità. Tuttavia, si registrano una distanza tra la comunicazione della Parola e la vita, una scarsa cura delle celebrazioni e un basso coinvolgimento emotivo ed esistenziale.

Di fronte a “liturgie smorte” o ridotte a spettacolo, si avverte l’esigenza di ridare alla liturgia sobrietà e decoro per riscoprirne tutta la bellezza e viverla come mistagogia, educazione all’incontro con il mistero della salvezza che tocca in profondità le nostre vite, e come azione di tutto il Popolo di Dio. In tal senso risulta urgente un aggiornamento del registro linguistico e gestuale. Da riscoprire è anche il valore della pietà popolare (spesso legata ai santuari e alla devozione mariana) che continua a dare i suoi frutti a favore della costruzione dell’identità cristiana e comunitaria delle parrocchie e dei territori, e che, se rettamente vissuta, può essere occasione di annuncio e di proposta per i cosiddetti lontani, a condizione di un discernimento delle potenziali ambiguità e di uno sforzo per farne occasione di crescita di una coscienza civile, sensibile ai problemi sociali ed economici delle famiglie e dei poveri.

2.5 Comunicazione

Comunicazione e linguaggi sono due parole chiave che emergono dai materiali provenienti dalle diocesi. Risulta diffusa la percezione di una Chiesa che trasmette l’immagine di un Dio giudice più che del Padre misericordioso. Un linguaggio non discriminatorio, meno improntato alla rigidità, ma più aperto alle domande di senso, sembra la chiave per parlare a tante persone in ricerca, per rendere la Chiesa più accessibile, più comprensibile e più attraente per i giovani e i “lontani”, più capace di trasmettere la gioia del Vangelo. Non basta un’operazione di maquillage: la conversione del linguaggio richiede di tornare a contattare il cuore pulsante dell’esperienza della fede all’interno della concretezza della vita degli uomini e delle donne di oggi. Dalla Chiesa e nella Chiesa si attende un linguaggio chiaro, coraggioso e competente sulle questioni del nostro tempo, attento a scegliere termini che esprimano rispetto e non siano giudicanti, senza concessioni alla superficialità.

Quanto all’ambiente digitale, se è necessario che la Chiesa stia lì dove le persone trascorrono parte del loro tempo, è altrettanto fondamentale investire in cura e formazione, così da apprendere i nuovi linguaggi e aprire percorsi di senso senza assumere la logica degli influencer, ma puntando a dare forma a comunità aperte e non a “bolle” della fede. L’utilizzo sapiente dei nuovi media può consentire anche di raccontare meglio le attività ecclesiali, spesso poco conosciute all’esterno anche per la fatica, l’incapacità e il timore nel comunicarle.

La partecipazione e la corresponsabilità hanno bisogno della linfa vitale di una comunicazione trasparente, della condivisione delle informazioni e della cura nel coinvolgere i diversi soggetti parte nei processi. Proprio la mancanza di trasparenza, secondo alcuni, ha favorito insabbiamenti e omissioni su questioni cruciali quali la gestione delle risorse economiche e gli abusi di coscienza e sessuali.

2.6 Condividere

Nelle narrazioni sinodali si percepisce un forte desiderio di riconoscimento del valore della corresponsabilità, che si sviluppa dove le persone si sentono valorizzate, non si percepiscono tradite, violate, abbandonate. La corresponsabilità appare come il vero antidoto alla dicotomia presbitero-laico. La Chiesa appare troppo “pretocentrica” e questo deresponsabilizza, diventando un alibi per deleghe o rifiuti da parte dei laici, relegati spesso a un ruolo meramente esecutivo e funzionale, anziché di soggetti protagonisti, costruttori di un “noi”. Ma non per questo esenti dal rischio di sviluppare forme di clericalismo nella gestione dei piccoli spazi di potere loro affidati.

L’emarginazione dei laici riguarda prevalentemente le donne: ciò di cui si sente universalmente la mancanza è una reale condivisione delle responsabilità che consente alla voce femminile di esprimersi e di contare. Particolare attenzione va riservata a religiose e consacrate, che spesso si sentono utilizzate soltanto come “manodopera pastorale”.

In ordine alla corresponsabilità, si registra poi il mancato o inefficace funzionamento degli organismi di partecipazione: diverse comunità ne sono prive, mentre in molti casi sono ridotti a una formalità, a giustificazione di scelte già definite. Perciò se ne invoca il rilancio come spazi di concreta esperienza della corresponsabilità ecclesiale, lo sviluppo di leadership allargate e l’acquisizione di uno stile sinodale in cui le decisioni si prendono insieme, sulla base dell’apporto di ciascuno a comprendere la voce dello Spirito, nella chiave del discernimento e non della democrazia rappresentativa.

Può essere di aiuto in tal senso anche l’avvio di una pastorale integrata tra le parrocchie e delle parrocchie con quanti vivono l’annuncio negli ambienti di vita. Quel che si impone in ogni caso è la valorizzazione della comune dignità battesimale che, oltre ogni logica puramente funzionale, conduca a riconoscere la responsabilità di tutti i credenti, ciascuno con il dono che gli è proprio, nella edificazione e nella missione della comunità ecclesiale.

Alla ricchezza della comunione e all’efficacia dello sforzo di evangelizzazione possono contribuire movimenti, associazioni e gruppi ecclesiali, in quanto luoghi di educazione alla corresponsabilità ed esperienze preziose per l’evangelizzazione, quando si aprono alla collaborazione tra di loro e alla partecipazione alla vita della Chiesa locale.

2.7 Dialogo

La Chiesa vive la fede immersa nell’oggi, confrontandosi quotidianamente con il mondo del lavoro, della scuola e della formazione, gli ambienti sociali e culturali, gli aspetti cruciali della globalizzazione. Grazie a questo confronto, si è consapevoli che la fede non è più il punto di riferimento centrale per la vita di tante persone: per molti il Vangelo non serve a vivere. Eppure anche questo tempo chiama a raccogliere, con parresìa e umiltà, la sfida di lasciarsi sorprendere dai semi del Verbo presenti in ogni contesto, scorgendoli nei luoghi e nelle forme più impensate, come segni di creatività dello Spirito.

La cura della casa comune, il dialogo intergenerazionale, l’incontro tra diverse culture, la crisi della famiglia, la giustizia, la politica, l’economia, gli stili di vita, la pace e il disarmo… La comunità cristiana è chiamata a dire la sua, ma spesso appare afona, chiusa, giudicante, frammentata e poco competente. I luoghi e le modalità di dialogo nella Chiesa sono ancora pochi, in modo particolare tra Chiesa locale e società civile: spesso si percorrono cammini paralleli dove ognuno vive la propria realtà senza interferire, senza interrogarsi. Il processo sinodale ha svelato che molte realtà sociali, amministrative e culturali nutrono il desiderio di un confronto più assiduo e di una collaborazione più sistematica con le realtà ecclesiali. Una Chiesa sinodale è consapevole di dover imparare a camminare insieme con tutti, anche con chi non si riconosce in essa, con chi appartiene ad altre fedi, con chi non crede, imparando a decentrarsi e ad attraversare i conflitti. Dalla cultura attuale può imparare maggiore capacità di dialogo e confronto, nel rispetto delle diverse competenze e dei differenti ambiti, sapendo anch’essa mettersi in discussione, così come dai poveri può apprendere maggiore umiltà e tenacia. Una particolare risorsa per il dialogo è costituita dalla ricchezza di arte e di storia custodita in tante comunità, che può diventare terreno d’incontro con tutti.

2.8 Casa

Sentirsi o non sentirsi a casa costituisce il criterio del giudizio dei singoli sulla Chiesa. Casa è uno spazio accogliente, che non devi meritarti, luogo di libertà e non di costrizione. Per molti la parrocchia, il gruppo, il movimento sono contesti di vero incontro, di amicizia e di condivisione. Chi si percepisce fuori dalla comunità cristiana spesso osserva invece dinamiche più simili a quelle di un contesto settario o di un “fan club”. Ci si sente estranei di fronte ad aree di specializzazione pastorale, che facilmente si traducono in ambiti di potere. Più che una casa, la comunità viene pensata come un centro erogazione servizi, più o meno organizzato, di cui si fatica a cogliere il senso. Perciò è urgente ripensare lo stile e le priorità della casa. Se accogliere e accompagnare diventano preminenti, tutto deve essere reso più essenziale, a cominciare da strutture e aspetti burocratici. La Chiesa-casa non ha porte che si chiudono, ma un perimetro che si allarga di continuo.

Anche le comunità ecclesiali rischiano l’autoreferenzialità e la chiusura, o la creazione di “bolle”: gruppi in cui si vivono cammini di fede e di vita intensi, ma con poca disponibilità ad accogliere le novità, di persone e proposte. Tante “bolle” separate rendono le comunità frammentate, spazi in cui si rischia di dividersi poteri e ruoli, di essere esclusivi ed escludenti verso chi bussa. Per contrastare la sfida della frammentazione, a livello parrocchiale e diocesano, occorre investire nella costruzione di relazioni fraterne, valorizzando la pluralità delle sensibilità e provenienze come risorsa. In particolare, la testimonianza della carità è misura della capacità di aprirsi.

2.9 Passaggi di vita

Una comunità cristiana che vuole camminare insieme è chiamata a interrogarsi sulla propria capacità di stare a fianco delle persone nel corso della loro vita, e di accompagnarle a vivere in autenticità la propria umanità e la propria fede in rapporto alle diverse età e situazioni. È qui chiamata in causa l’azione formativa delle comunità, ma anche quanto esse siano in grado di offrirsi come punto di riferimento per le traiettorie di vita sempre più complesse degli uomini e delle donne di oggi. L’accompagnamento della vita delle persone è ben più ampio della formazione, perché riguarda lo stare a fianco, il sostenere, così da dare alle persone la possibilità di coltivare la propria coscienza credente, di accrescere le proprie risorse relazionali, cognitive, affettive, spirituali, attraverso esperienze condivise.

Nelle Chiese locali e nelle parrocchie le esperienze associative (oratori, gruppi, associazioni e movimenti) rappresentano un patrimonio formativo che, se adeguatamente coltivato, consente alle comunità di accompagnare la crescita in umanità e nella fede delle persone, nelle diverse età e condizioni di vita, nel dialogo intergenerazionale e nel sostegno alla dimensione vocazionale.

Una richiesta condivisa è di ripensare i percorsi di accompagnamento perché siano a misura di tutti: delle famiglie, dei più fragili, delle persone con disabilità e di quanti si sentono emarginati o esclusi. Anche il camminino dell’iniziazione cristiana ha bisogno di transitare alla logica dell’accompagnamento, integrando la dimensione cognitiva, quella affettiva, quella relazionale, quella estetica attraverso una pluralità di strumenti e linguaggi.

Si rivela inoltre imprescindibile rivedere la formazione iniziale e continua dei presbiteri sia nei contenuti, sia nelle forme, oltre che rafforzare le competenze delle laiche e dei laici impegnati nei diversi ministeri, a partire dal servizio catechistico, anche valorizzando al meglio gli Istituti di Scienze religiose, le Scuole di teologia e le Facoltà Teologiche. In tal senso, anche la necessità messa in luce da tanti di rendere le famiglie soggetto e non destinatario dell’azione pastorale, in quanto paradigma delle relazioni che accompagnano la vita delle persone. È tempo di camminare insieme alle famiglie, ai sacerdoti e ai consacrati/e.

 

2.10 Metodo

Per dare forma e concretezza al processo sinodale è stato proposto un metodo di ascolto delineato secondo i principi della conversazione spirituale. Non è stata l’unica strada percorsa; accanto ai piccoli gruppi sinodali, sono stati realizzati anche incontri e confronti assembleari, colloqui con singole persone; somministrazione di questionari, realizzazione di documenti da parte di alcuni gruppi. La varietà dei metodi e degli strumenti rappresenta una ricchezza, ma a condizione che si salvaguardi la coerenza dei mezzi con il fine, che è promuovere le relazioni e la costruzione di legami.

Le restituzioni hanno segnalato un diffuso e cordiale apprezzamento per la conversazione spirituale attorno alla Parola di Dio, con i suoi tre passi: la presa di parola da parte di ciascuno dei partecipanti, così che nessuno resti ai margini; l’ascolto della parola di ciascuno da parte degli altri e delle risonanze che essa produce; l’identificazione dei frutti dell’ascolto e dei passi da compiere insieme. Questo metodo ha consentito di avviare o ricostruire percorsi comunitari, grazie all’attenzione alle risonanze profonde con l’esclusione di forme di dibattito o discussione, che ha permesso alle persone di raccontarsi senza sentirsi giudicate. Inoltre ha spinto a entrare in contatto con il piano delle emozioni e dei sentimenti, più profondo di quello della logica e dell’argomentazione razionale, e per questo meno frequentato, ma di grande importanza in termini antropologici e di fede: è su questo piano che la persona decide di mettersi veramente in gioco e di affidarsi. Si spiega così la diffusa richiesta di assumerlo come prassi ordinaria, in particolare per attivare gruppi di ascolto e discernimento. Ugualmente si è messo in luce il timore che l’entusiasmo e la voglia di partecipazione che l’esperienza dei gruppi sinodali ha generato possa spegnersi presto, se ad essa non viene data continuità e se il processo sinodale avviato non condurrà a cambiamenti concreti (prassi e istituzioni) nella vita delle comunità.

 

Dalle priorità ai “cantieri sinodali” per continuare a camminare insieme

Il discernimento sulle sintesi diocesane e l’elaborazione dei dieci nuclei hanno permesso di individuare alcune priorità, su cui si concentrerà il prosieguo del processo sinodale. Sempre in sintonia con il Sinodo universale, infatti, le Chiese in Italia approfondiranno la fase di ascolto, prestando particolare attenzione a crescere nello stile sinodale e nella cura delle relazioni, a sviluppare e integrare il metodo della conversazione spirituale, a promuovere la corresponsabilità di tutti i battezzati, a snellire le strutture per un annuncio più efficace del Vangelo.

In quest’ottica, sarà decisivo prestare ascolto ai diversi “mondi” in cui i cristiani vivono e lavorano, cioè camminano insieme a tutti coloro che formano la società, con una peculiare attenzione a quegli ambiti che spesso restano in silenzio o inascoltati: il vasto mondo delle povertà (indigenza, disagio, abbandono, fragilità, disabilità, emarginazione, sfruttamento, esclusione o discriminazione nella società come nella comunità cristiana), gli ambienti della cultura (scuola, università e ricerca), delle religioni e delle fedi, delle arti e dello sport, dell’economia e finanza, del lavoro, dell’imprenditoria e delle professioni, dell’impegno politico e sociale, delle istituzioni civili e militari, del volontariato e del Terzo settore. Sono spazi in cui la Chiesa vive e opera, attraverso l’azione personale e organizzata di tanti cristiani, e l’ascolto non sarebbe completo se non riuscisse a cogliere anche la loro voce. Per favorire un ascolto ampio e autentico, sarà necessario rimodulare i linguaggi ecclesiali, per apprenderne di nuovi, per frequentare canali meno usuali e anche per adattare creativamente il metodo della “conversazione spirituale”, così da andare incontro a chi non frequenta le comunità cristiane. In tal senso, sarà importante rafforzare e rendere stabile nel tempo l’ascolto dei giovani che il mondo della scuola e dell’università ha reso possibile, per entrare in relazione con persone che altrimenti la Chiesa non incontrerebbe.

Un’altra istanza emersa è quella della verifica dell’effettiva qualità delle relazioni comunitarie e della tensione dinamica tra esperienza di fraternità e spinta alla missione, che prende in esame anche il funzionamento delle strutture, perché siano al servizio della missione e non assorbano energie per il solo auto-mantenimento. La riflessione, che aiuterà a verificarne sostenibilità, funzionalità e impatto ambientale, dovrà anche affrontare il tema del decentramento pastorale e contribuire al rilancio degli organismi di partecipazione (specialmente i Consigli pastorali e degli affari economici), perché siano luoghi di autentico discernimento comunitario e di reale corresponsabilità. Il tema delle strutture porterà con sé la necessità di continuare a riflettere su che cosa significa realizzare concretamente uno stile di leadership ecclesiale animato dalla sinodalità.

L’anno pastorale 2022-2023 sarà poi occasione per concentrarsi sui servizi e sui ministeri ecclesiali, per vincere l’affanno e radicare meglio l’azione nell’ascolto della Parola di Dio e dei fratelli: è questo, infatti, che può distinguere la diaconia cristiana dall’impegno professionale e umanitario. Spesso la pesantezza nel servire, nelle comunità e nelle loro guide, nasce dalla logica del “si è sempre fatto così” (cf. Evangelii gaudium 33), dall’affastellarsi di cose da fare, dalle burocrazie ecclesiastiche e civili incombenti, trascurando la centralità dell’ascolto e delle relazioni. Di fronte alla grande sete di ascolto della Parola di Dio e dei fratelli e delle sorelle, è fondamentale riconnettere la diaconia con la sua radice spirituale, per vivere la “fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano” (Evangelii gaudium 92). All’interno di questa riflessione sullo stile dell’essere Chiesa sarà possibile affrontare le questioni legate alla formazione di laici, ministri ordinati, consacrate e consacrati; alla corresponsabilità femminile all’interno della comunità cristiana; alle ministerialità istituite, alle altre vocazioni e ai servizi ecclesiali innestati nella comune vocazione battesimale del Popolo di Dio “sacerdotale, profetico e regale”.

Per alimentare e sostenere il Cammino sinodale delle Chiese in Italia in comunione con il processo in corso a livello universale, si è scelto di raggruppare le priorità emerse lungo tre assi, definiti “cantieri sinodali”: quello della strada e del villaggio (l’ascolto dei mondi vitali), quello dell’ospitalità e della casa (la qualità delle relazioni e le strutture ecclesiali) e quello delle diaconie e della formazione spirituale. Questi cantieri potranno essere adattati liberamente e ogni Chiesa locale potrà aggiungerne un quarto che valorizzi una priorità risultante dal percorso compiuto lungo il primo anno.

Quella del cantiere è un’immagine che indica la necessità di un lavoro che duri nel tempo, che non si limiti all’organizzazione di eventi, ma punti alla realizzazione di percorsi di ascolto e di esperienze di sinodalità vissuta, la cui rilettura sia punto di partenza per le successive fasi del Cammino sinodale nazionale. Il carattere laboratoriale ed esperienziale dei cantieri potrà adattare il metodo della “conversazione spirituale” e aprire il processo sinodale anche a coloro che non sono stati coinvolti finora.

 

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CEI_Sintesi_Nazionale

 

18 Agosto 2022

«CATECHETICA ED EDUCAZIONE»

da oggi puoi scaricare il secondo numero del 2022!!!

““Dire Dio” ai margini della vita e
in un tempo di incertezze”

 

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Editoriale

«Dire Dio è legittimo? Non c’è uomo che non lo conosca, almeno per sentito dire; perché se ne parla: non c’è lingua che non lo nomini. Legittimamente? […] Una tradizione secolare e autorevole lo ha riconosciuto all’origine della realtà, causa e fondamento del mondo. […]

In epoca moderna scuole filosofiche di impatto straordinariamente vasto e accreditato hanno negato alla ragione umana il diritto di parlare di Dio (Kant); hanno screditato l’intera compagine tradizionale che ne esigeva la presenza (Nietzsche); hanno denunciato il riferimento a Dio come evasivo di un impegno umano responsabile (Feuerbach-Marx)».1

Così si esprimeva Zelindo Trenti in uno dei suoi testi di riflessione sul tema della religiosità e fede. Oggi probabilmente saremmo portati a calcare le tinte e considerare la situazione delle religioni e della religiosità umana in modo differente e con tonalità più drammatiche. La pandemia a livello planetario, l’in-sorgere di nuove minacce climatiche e infettive, la guerra nel cuore dell’Europa, il segno delle “chiese vuote” sono fenomeni che caratterizzano la nostra epoca mentre continuano a delinearsi scenari inattesi e imprevedibili.
Sono tanti e variegati gli approcci scientifici su questa frontiera del pensiero umano e vasta la gamma interpretativa che va dalla negazione alla assolutezza. Tra gli estremi si stagliano varie posizioni gravide di considerazioni più o meno incerte, più o meno autentiche, più o meno significative a seconda della singolarità di soggetti e dei gruppi di appartenenza, delle culture e dei vissuti storici.

La missione evangelizzatrice e la catechesi della Chiesa risentono di questo humus più o meno resistente o accogliente, più o meno ingenuo (per non dire bigotto) o critico e scettico, più o meno significativo e interessato alla vita o disancorato da essa, non di rado indifferente e stornato su altri orizzonti di senso o di non-senso.
Tra le tante esperienze emblematiche quella del sociologo e teologo Tomáš Halík è indicativa non solo per leggere la realtà complessa che abitiamo, ma an-che per rintracciare vie nuove e spazi liberi per la ricerca religiosa: Forse è giunto il tempo di abbandonare molte di quelle parole pie che ab-biamo continuamente sulle nostre bocche e sui nostri stendardi. Queste parole, a causa di un uso continuo, spesso troppo superficiale, sono consumate, usurate, hanno perso il loro significato e il loro peso, si sono svuotate, diventando leggere e facili. Altre invece sono sovraccariche, rigide e arrugginite; sono diventate troppo pesanti per riuscire a esprimere il messaggio del Vangelo, la buona novella. Alcune parole pie oggi suonano come tamburi scoppiati, non sono più in grado di cantare la gloria di Dio – “non sanno danzare”, così come si aspettava Nietzsche da un Dio in cui avrebbe potuto credere. Nietzsche, che discendeva da una stirpe di pastori protestanti, aveva implacabilmente diagnosticato nei nostri sermoni la presenza di una “pesantezza dello spirito”, e soprattutto della “moralina”, il veleno della moralizzazione burbera e inacidita. Questa pseudo-serietà, superba e tetra – indice di una mancanza di umorismo e di spontaneità, di scarsa liberà interiore – mi ha sempre ricordato Michol, la figlia di Saul, che quando re David si era messo a ballare davanti all’arca lo aveva disprezzato, del resto questo tipo di devozione viene punita, come nel suo caso, con la sterilità.2

Questo secondo numero dell’annata 2022 di “Catechetica ed Educazione” intende apportare degli approfondimenti sui dati in buona parte inediti della Ri-cerca sulla Religiosità in Italia3 a confronto con quelli emersi nella Ricerca sui Catechisti oggi in Italia.4

L’incrocio dei dati e delle interpretazioni che sono state offerte, alcune delle quali confluiscono nella presente monografia, offrono una visione in progress dato che questi anni dal 2020 in avanti continuano a essere segnati drammaticamente da fenomeni inediti e preoccupanti. Sia i dati, sia le interpretazioni sono da verificare continuamente visto il cambiamento d’epoca e i fenomeni inattesi che si sono e si stanno verificando.
Le riflessioni raccolte nel presente numero offrono una panoramica variegata, frutto dell’attenzione inter- e trans-disciplinare che l’Istituto di Catechetica dell’UPS di Roma ha da sempre coltivato, in collegamento e collaborazione con varie e diversificate istituzioni universitarie. Agli esperti coinvolti che hanno accettato di interagire sull’argomento va un sentito grazie e in particolare alla prof.ssa Maria Paola Piccini e al prof. Giuseppe Ruta che hanno curato la sezione monografica.

Roberto Cipriani, con il suo articolo La religiosità in Italia, tra incertezza e spiritualità antistituzionale offre le coordinate dell’indagine, mettendo in rilievo gli aspetti nevralgici della situazione nazionale.
Cecilia Costa si sofferma sul tema delle Potenzialità e limiti nel “dire Dio” oggi in Italia e oltre… cogliendo l’apporto delle scienze sociali nella visione della realtà umana e sociale e indicando alcune provocazioni per il sapere teologico.
Nando Pagnoncelli entra in merito all’emblematica contingenza che è stata vissuta durante il “lockdown” e le prime due ondate del Covid19, con il suo contributo La religiosità degli italiani nel pieno della crisi pandemica. Si tratta di un approfondimento, a partire dai sondaggi nazionali svolti dall’IPSOS nel periodo che va dal 2020 al 2021.
Seguono alcuni approfondimenti che reagiscono al quadro precedente-mente delineato. Antonino Romano incrocia i dati della Ricerca condotta da Cipriani e collaboratori e della ricerca dell’ICa con il suo articolo I Catechisti italiani tra religiosità diffuse e formazione disattesa, cogliendone somiglianze e differenze. Maria Paola Piccini opera due interessanti e inediti focus su fede, famiglia e gruppi primari e su Dio, educazione, catechesi, figure religiose, giovani mediante nuove elaborazioni del corpus delle interviste effettuate nell’ambito della ricerca Religiosità in Italia. Cristiana Freni compie un’interessante lettura antropologica su Catechesi, religiosità, valori diffusi, mentre la prospettiva pedagogica è svolta da Pierpaolo Triani nel puntuale contributo Tra incertezza e indifferenza. Alcune sfide educative della catechesi nell’oggi in Italia. Conclude la sezione di approfondimento dal punto di vista teologico e catechetico Giuseppe Ruta con il titolo “interrogante” È possi-bile ravvivare il “lucignolo fumigante”?, provando ad ascoltare e individuare nella realtà e nel filtro della ricerca quantitativa e qualitativa i valori diffusi, la fede in-certa e la sete di Assoluto.
Il fascicolo si chiude con un forum a quattro voci sulla Storia della catechesi, a partire da un evento singolare che si è svolto presso l’Aula J. E. Vecchi (FSE-UPS), il 12 maggio 2022, alle ore 15. L’Istituto di Catechetica ha organizzato e realizzato la presentazione della sezione “Storia della catechesi”, in quattro vo-lumi, della collana “Catechetica, Educazione e Religione”, edita dalla LAS (Libre-ria Ateneo Salesiano). Dopo il saluto del Decano FSE Prof. Antonio Dallagiulia, sono intervenuti il prof. Angelo Giuseppe Dibisceglia, docente di Storia della Chiesa, il prof. José María Pérez Navarro, fsc, catecheta e direttore della Rivista spagnola “Sinite”, i due autori viventi il prof. Giuseppe Biancardi sdb, coautore con Ubaldo Gianetto, del volume sulla catechesi contemporanea (2015) e il prof. Luigi La Rosa, autore del volume sulla catechesi medioevale (2022). Sono stati ricordati anche i salesiani autori deceduti: oltre a Gianetto coautore con Biancardi, Pietro Braido, autore del volume sulla catechesi moderna (2014) e Roman Murawski, autore del volume sulla catechesi antica (2021). L’incontro, seguito di presenza e online, ha visto la partecipazione di diversi allievi ed exallievi dell’Istituto e cultori di storia della Chiesa, della Congregazione Salesiana e della catechesi. A conclusione i vari relatori hanno potuto rispondere ad alcuni interrogativi suscitati dalla presentazione.

Il Direttore dell’Istituto, prof. Ubaldo Montisci ha, infine, ringraziato relatori e intervenuti, mettendo in rilievo che si tratta di un unicum nel panorama degli studi storici e catechetici, un’opera rilevante di 2256 pagine (è questo il totale dei quattro volumi) che documentano il profilo genetico della catechesi dalle origini alla contemporaneità. L’incontro, durato due ore, è stato il modo di recuperare la memoria di questo “antiquum ministerium”, come l’ha definito Papa Francesco nel motu proprio del 10 maggio 2021, un’opportunità preziosa di riflessione per un rilancio della catechesi per l’oggi e il futuro. A partire, e non a prescindere, dalle radici della storia.

Il nostro Istituto si sente, così, continuamente provocato a indagare le sfide del passato e a cogliere quelle del presente per un servizio culturale ed ecclesiale che, guardando al futuro, sia all’altezza delle nuove sfide ed evangelicamente profetico.

 

I MEMBRI DELL’ISTITUTO DI CATECHETICA
catechetica@unisal.it

 

ALLEGATO:

C&E 7(2022)2 

 

Lettore, accolito e catechista: le prassi e le regole per diventarlo

Pubblicata il documento della Cei per inserire il tema dei ‘ministeri istituiti’ all’interno del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia.

 

Recependo gli interventi di papa Francesco con i due motu proprio “Spiritus Domini” e “Antiquum Ministerium”, entrambi emanati nel 2021, la Conferenza Episcopale Italiana ha elaborato una Nota per orientare la prassi concreta delle Chiese di rito latino che sono in Italia sui ministeri istituiti del lettore, dell’accolito, del catechista.

Il documento, pubblicato oggi, è introdotto da una breve presentazione firmata dai due vescovi presidenti delle Commissioni episcopali direttamente competenti sul tema: Franco Giulio Brambilla di Novara (dottrina della fede, annuncio, catechesi) e Gianmarco Busca di Mantova (liturgia).

Con questa Nota spiegano i due presuli, la Cei “intende inserire il tema dei ‘ministeri istituiti’ all’interno del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, in modo che possa diventare anche un’opportunità per rinnovare la forma Ecclesiae in chiave più comunionale”. Il Cammino sinodale costituirà così “un luogo ideale di verifica anche sulla effettiva ricaduta dei nuovi ministeri istituiti del lettore, dell’accolito e del catechista nella prassi ecclesiale”.

Concretamente la Nota – che è ad experimentum per il prossimo triennio – precisa che il lettore: proclama la Parola di Dio nell’assemblea liturgica, in primis nella celebrazione eucaristica; potrà avere un ruolo anche nelle diverse forme liturgiche di celebrazione della Parola, della liturgia delle Ore e nelle iniziative di (primo) annuncio. Prepara l’assemblea ad ascoltare e i lettori a proclamare i brani biblici, anima “momenti di preghiera e di meditazione (lectio divina) sui testi biblici”, accompagna “i fedeli e quanti sono in ricerca all’incontro vivo con la Parola”.

L’accolito invece è colui che serve all’altare, coordina il servizio della distribuzione della Comunione nella e fuori della celebrazione dell’Eucaristia, in particolare alle persone impedite a partecipare fisicamente alla celebrazione. Anima inoltre l’adorazione e le diverse forme del culto eucaristico.

Il catechista infine cura l’iniziazione cristiana di bambini e adulti, e accompagna quanti hanno già ricevuto i sacramenti nella crescita di fede. Può “coordinare, animare e formare altre figure ministeriali laicali all’interno della parrocchia, in particolare quelle impegnate nella catechesi e nelle altre forme di evangelizzazione e cura pastorale”.

La Cei, spiega poi la Nota, ha scelto di conferire il “ministero istituito” del/la catechista a una o più figure di coordinamento dei catechisti dell’iniziazione cristiana dei ragazzi e a coloro che in modo più specifico svolgono il servizio dell’annuncio nel catecumenato degli adulti. Non solo. Secondo “la decisione prudente del vescovo e le scelte pastorali della diocesi”, il/la catechista “può anche essere, sotto la moderazione del parroco, un referente di piccole comunità (senza la presenza stabile del presbitero) e può guidare, in mancanza di diaconi e in collaborazione con lettori e accoliti istituiti, le celebrazioni domenicali in assenza del presbitero e in attesa dell’Eucaristia”.

La Nota stabilisce che i candidati ai “ministeri istituiti” possono essere uomini e donne: devono avere almeno 25 anni ed essere persone “di profonda fede, formati alla Parola di Dio, umanamente maturi, partecipi alla vita della comunità cristiana, capaci di instaurare relazioni fraterne e di comunicare la fede sia con l’esempio che con la parola”.

Saranno istituiti dal vescovo dopo un tempo di formazione di almeno un anno da parte di una equipe di esperti. I percorsi formativi saranno stabiliti dai vescovi. Al termine della fase di discernimento vocazionale e di formazione, i candidati saranno istituiti con il rito liturgico previsto dal Pontificale Romano. Il mandato verrà conferito per un primo periodo di cinque anni, rinnovabile previa verifica del vescovo.

 

Gianni Cardinale mercoledì 13 luglio 2022

 

Cei: nota sui ministeri istituiti del Lettore, dell’Accolito e del Catechista

Recependo gli interventi di Papa Francesco (il Motu Proprio “Spiritus Domini” e il Motu Proprio “Antiquum Ministerium”), la Conferenza Episcopale Italiana ha elaborato una Nota per orientare la prassi concreta delle Chiese di rito latino che sono in Italia sui ministeri istituiti del Lettore, dell’Accolito e del Catechista

Vatican News

Approvata ad experimentum per il prossimo triennio dalla 76ª Assemblea Generale ed integrata dal Consiglio Permanente con le indicazioni emerse in sede assembleare, la Nota definisce identità e compiti dei “ministeri istituiti”, illustrando i criteri per l’ammissione e il percorso formativo necessario per essere istituito e ricevere il “mandato” da parte del Vescovo. Il tutto nel quadro dei recenti documenti promulgati da Papa Francesco. Con la Nota, inoltre, la Cei inserisce il tema dei “ministeri istituiti” all’interno del Cammino sinodale che costituirà così un luogo ideale di verifica sull’effettiva ricaduta nel tempo e nei territori. La Nota stabilisce che il Lettore, l’Accolito e il Catechista vengono istituiti in modo permanente e stabile: laici e laiche assumono così un ufficio qualificato all’interno della Chiesa.

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Nota Ministeri

«CATECHETICA ED EDUCAZIONE»

da oggi puoi scaricare il primo numero del 2022!!!

“From Inclusion to Belonging.
Inclusione, appartenenza e protagonismo ecclesiale
delle persone con disabilità”

 

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Editoriale

Il presente numero di «Catechetica ed educazione» si pone in continuità con il precedente dedicato al mondo delle disabilità (1/2021): se allora si era riflettuto sull’inclusione, intesa come disposizione della società ad accogliere le persone con disabilità (PcD), in una prospettiva dunque centrata sui diritti, ora si vuole prendere in considerazione piuttosto il versante antropologico, che rimanda alla dimensione profonda dell’appartenenza e di una partecipazione attiva delle PcD a una comunità più ampia.

La riflessione ha preso le mosse dall’articolo di John Swinton, From inclusion to belonging. Il teologo scozzese, fondatore dello “University’s Centre for Spirituality, Health and Disability” di Aberdeen, con questo suo studio, una decina di anni fa ha sviluppato il tema dell’appartenenza come evoluzione della semplice inclusione, aprendo nuove prospettive per un approccio più corretto alla problematica. Le sue considerazioni sono particolarmente significative per-ché fanno da orizzonte agli approfondimenti raccolti nel presente fascicolo.
Il dinamismo che porta dall’inclusione all’appartenenza pone diversi interrogativi che obbligano a una riflessione multidimensionale.

Tra le principali domande che chiedono una risposta chiarificatrice assumono particolare rilevanza le seguenti: quale differenza sussiste tra semplice inclusione e autentica appartenenza? Quali sono le condizioni che rendono possibile l’appartenenza e favoriscono la partecipazione attiva, dal punto di vista sociale ed ecclesiale? Quali sono le principali indicazioni che il Diritto canonico e il Magistero universale della Chiesa danno in tal senso ai battezzati? Com’è presente il concetto di appartenenza e partecipazione nel Libro sacro? Quali accorgimenti educativi vanno predisposti per favorire il senso di appartenenza nei soggetti? Quali suggerimenti dare ai responsabili della catechesi per promuovere l’appartenenza e il protagonismo ecclesiale dei battezzati, specie delle PcD? Quali scelte hanno operato i ve-scovi italiani per il coinvolgimento del maggior numero possibile di persone in occasione del Sinodo nazionale? Che cosa pensano le PcD sul concetto di appartenenza e partecipazione?

Tutti i contributi cercano di dare risposta a queste domande, con un’attenzione alla realtà delle PcD. Gianni Carozza prende in esame una situazione ricorrente nella storia della Chiesa quando, nel suo slancio missionario, si trova nella condizione di doversi confrontare con persone di culture e credo differenti, con la difficoltà ad accoglierle incondizionatamente. Il biblista, attraverso l’analisi del noto episodio di Filippo e l’eunuco (At 8,26-40), mette in luce i valori evangelici che portano i primi credenti a includere i “lontani” fino a farne una parte integrante e attiva del popolo di Dio. Si è di fronte a un paradigma di comportamento valido ancora per il tempo presente.
L’esperienza frustrante di una Chiesa che celebra e non include, denunciata da tanti fedeli e non solo disabili, è al centro delle riflessioni di Marco Gallo, liturgista. Nello studio vengono evidenziate quattro situazioni che si pongono come ostacoli per l’appartenenza e la piena partecipazione delle PcD. Se bene intesa e ben celebrata, invece, la liturgia si rivela una risorsa decisiva e non sempre valorizzata per una reale inclusione delle PcD nella vita delle comunità. In tal senso, l’Autore propone quattro movimenti – suggeriti dall’Eucaristia – che favoriscono il superamento delle barriere a vantaggio di tutti nell’assemblea.

La legislazione italiana ha compiuto dei notevoli passi in avanti nell’attenzione alle PcD, difendendo in particolare il loro “diritto a esserci” nella società. Eppure tale prospettiva non è esente da ambiguità, come notano Roberto Franchini e Veronica Donatello, dal momento che non perviene a garantire appieno il dovere di appartenere e di essere artefici del cambiamento nella società. Avendo come orizzonte la riflessione portata avanti dalla teologia della disabilità – di cui si avverte la carenza in ambito italiano – alla luce del modello di E.W. Carter sulla spiritualità, i due autori danno delle indicazioni concrete per degli itinerari pastorali che favoriscano l’appartenenza e il protagonismo delle PcD.

Il contributo di Michele Porcelluzzi esplora le possibilità di partecipazione e le condizioni di appartenenza delle PcD secondo le indicazioni del Codice di Diritto canonico. Ricordato che il Battesimo rimane l’unico requisito per essere in-corporati alla Chiesa, richiamato il diritto per tutti di ascoltare la Parola di Dio e il dovere di annunciare il Vangelo, precisate le condizioni che rendono possibile ricevere i Sacramenti, il canonista afferma il diritto delle PcD di far sentire la loro voce all’interno delle comunità cristiane fino ad assumere anche delle responsabilità ministeriali.

Mons. Erio Castellucci, dal suo osservatorio privilegiato di membro del Gruppo di coordinamento nazionale del Cammino sinodale, offre una schietta disamina dell’importante evento ecclesiale non soffermandosi tanto sulle tappe o gli strumenti predisposti ma sul suo significato riformatore per la vita delle comunità cristiane. La Chiesa italiana, persa la sua connotazione di “eccezione” nel panorama religioso europeo, può trovare nel percorso di avvicinamento al Sinodo una opportunità da non sprecare per riscoprire il suo compito missionario e attuare quella perenne riforma del cuore, della dottrina, delle strutture, sempre necessaria.

In prospettiva psico-educativa, Sara Schietroma e Maurizio Rizzuto esami-nano l’appartenenza considerandola nella sua valenza di qualità e benessere esistenziale. Il bisogno di appartenenza, accanto a quelli di relazione, attaccamento e affiliazione, contraddistingue l’intera esistenza umana. L’articolo esamina approfonditamente i processi che regolano la partecipazione sociale, in contesti capaci di accogliere le diversità insieme al contributo che possono offrire le PcD. In tal senso, sono presentate alcune linee guida atte a favorire la partecipazione, il coinvolgimento e l’investimento degli individui nei contesti comunitari d’appartenenza.

La sezione degli studi termina con il denso contributo specialistico di Pietro Celo. Le persone sorde manifestano un modo differente di stare al mondo, di conoscerlo, di comunicarlo, di tradurlo. L’articolo sviluppa l’idea che la traduzione sia non solo un passaggio comunicativo e cognitivo, ma uno strumento di appartenenza alla comunità degli uomini.
Il presente fascicolo offre, infine, due contributi di taglio più esperienziale soggettivo. Il primo di Fiorenza Pestelli che, a partire dalle competenze acquisite nel campo dell’insegnamento, evidenzia alcune delle condizioni che rendono possibile un intervento formativo efficace nell’ambito delle PcD cognitiva. Il secondo, di Riccardo Benotti, riporta due interviste realizzate dal giornalista con delle persone che vivono quotidianamente la situazione di disabilità.
Recentemente si è svolto a Roma il primo Convegno nazionale organizzato dal Servizio nazionale per la Pastorale delle PcD dal titolo significativo: “Noi” non “loro”. La disabilità nella Chiesa, che ha affrontato esplicitamente il tema dell’appartenenza, della cura reciproca e della partecipazione attiva delle PcD nelle loro comunità.

Ci piace ricordare le parole con cui il teologo scozzese John Swinton ha chiuso il proprio intervento:
Il concetto di inclusione, è spesso limitato a un termine legale: significa che ovunque andiate l’organizzazione deve avere le caratteristiche per permettere l’accesso; ma il problema dell’inclusione, una volta che si entra nell’edificio, è che non ci sia nessuno pronto ad amarti o parlarti. Nei Vangeli, una delle cose che notiamo nell’accoglienza di Gesù è che a volte era lui che ospitava, altre volte era accolto. Nella disabilità, dobbiamo accoglierci l’uno con l’altro, ovunque ci troviamo. Nella Chiesa facciamo accoglienza l’uno dell’altro e non facciamo differenza fra noi e loro. Spero che metteremo in pratica l’accoglienza e attueremo la trasformazione che Dio vuole da noi. Per appartenere e creare una comunità di appartenenza dobbiamo avere “amici speciali” nel senso che ci ha insegnato Gesù: per lui essere amico di qualcuno significa amarlo semplicemente per quello che è. Nella nostra società spesso avere amici serve per avere qualcosa. Il modello di amicizia di Gesù, invece, scompone molte delle barriere che abbiamo per darci un dono.
Sono parole eloquenti, che indicano una direzione da seguire e rappresentano una sfida per tutti gli uomini e le donne di buona volontà impegnati nel mondo della disabilità.

I MEMBRI DELL’ISTITUTO DI CATECHETICA
catechetica@unisal.it

 

ALLEGATO:

CE 7(2022)1

 

FAMIGLIA volume monografico

FAMIGLIA

Il 22° volume delle monografie de “La Civiltà Cattolica”

12 Maggio 2022

La lunga vicenda dell’intera umanità, e quindi anche quella molto più breve della Chiesa, «è popolata da famiglie, da generazioni, da storie di amore e di crisi familiari», scriveva papa Francesco in Amoris laetitia (AL 8), la sua Esortazione apostolica post-sinodale sull’amore nella famiglia. La storia del mondo si è strutturata costantemente intorno a questo vincolo fondamentale.

 

D’altra parte, essere famiglia è diverso oggi rispetto al passato. Le famiglie, come la società, sono attraversate da processi di deistituzionalizzazione e individualizzazione. Osserviamo il calo del numero dei matrimoni e una privatizzazione del vivere insieme; assistiamo anche alla riformulazione del rapporto tra i generi. Inoltre, le fasi di transizione alla vita adulta, sempre più posticipate e non sincronizzate, influiscono sulla decisione di costruire una famiglia, che non è considerata dai giovani tappa essenziale del divenire adulti. Oggi si sposano prevalentemente gli adulti, non i giovani che diventano adulti e, spesso, si diventa genitori prima di sposarsi. Vivere insieme significa oggi scegliere costantemente di rimanere in una relazione impegnativa, ma meno vincolata del passato.

Eppure la coppia resta il motore di qualsiasi progetto familiare. Per questo motivo il benessere delle coppie, e delle famiglie cui danno inizio, dovrebbe essere oggetto di cura e preoccupazione per tutti, perché comunità sane si mantengono tali grazie a relazioni di coppia positive e sempre in evoluzione, seppur zoppicanti e imperfette. Cosa può favorire la stabilità e la durata di una coppia nel tempo? L’amore è solo questione di casualità, o di fortuna, alla base della magia e insieme delle delusioni più cocenti dell’esistenza? L’amore può durare nel tempo?

Con questa particolare attenzione sulla coppia, e in vista del X Incontro Mondiale delle Famiglie (22-26 giugno 2022), abbiamo voluto raccogliere, in un nuovo volume della collana Accénti, alcuni dei numerosi saggi dedicati da La Civiltà Cattolica alla famiglia, che affrontano il tema dal punto di vista psicologico, sociologico, pedagogico, teologico e biblico.

Il primo saggio di Giovanni Cucci è dedicato proprio alla coppia e alla sfida del tempo, e si sofferma su alcuni aspetti, soprattutto psicologici, che possono risultare decisivi per la stabilità e la durata della relazione. Thomas Casey indaga sulla forza della famiglia, un’istituzione di grande importanza per la nostra vita personale e sociale, che influenza in maniera decisiva il nostro modo di agire e di comportarci. A seguire, ancora p. Cucci, con due focus sugli specifici ruoli della madre e del padre nello sviluppo del bambino e nella maturazione della sua vita di fede. Diego Fares ci introduce, quindi, al modello pedagogico di papa Francesco per l’educazione dei figli, che può essere sintetizzato in un’affermazione: «Farsi carico dei desideri e non maltrattare i limiti». Giancarlo Pani ci guida alla scoperta del tema, sconosciuto agli antichi, dei diritti dell’infanzia e del ruolo del cristianesimo nella loro valorizzazione. Un ulteriore articolo di p. Cucci, che si connette con il primo del volume, ripercorre le principali caratteristiche del matrimonio dal punto di vista psicologico-culturale, che lo configurano come un’esperienza di «eternità nel tempo» unica nel suo genere. Seguono poi due saggi a sfondo biblico: Jean-Pierre Sonnet s’interroga sull’associazione biblica tra il giardino e la coppia umana, che troviamo nel Cantico dei Cantici; e Marc Rastoin ci presenta i molti racconti biblici che ci descrivono tutte le realtà della vita familiare, dalle più felici alle più difficili. Gian Luigi Brena, poi, ci accompagna nella comprensione di uno dei principi ermeneutici dell’Amoris laetitia e della vita di coppia, quello della misericordia. Il volume si chiude con due contributi dedicati all’Esortazione apostolica post-sinodale di papa Francesco: un commento al testo e una conversazione sull’Amoris laetitia con il cardinale Christoph Schönborn, considerato dal Papa uno dei più lucidi interpreti di questo documento magisteriale.

Consegniamo questo volume ai nostri lettori nella speranza di restare nel solco di quel «linguaggio di complicità», di cui parla il card. Schönborn a proposito dell’Esortazione apostolica di papa Francesco, che sa aprire un dialogo vivo con gli sposi e con le famiglie, perché si sentano capite e valorizzate.

Dire e vivere la fede nel contesto secolare

di: Rinaldo Paganelli

 

 

 

Bruxelles, 1-6 giugno, congresso dell’Equipe Europea di Catechesi. Oltre 60 i partecipanti, 15 i paesi rappresentati. Attuale e coinvolgente la tematica “L’inserimento profetico della fede nella cultura europea postmoderna”. Buone le linee di ricerca. Qualificata la spinta verso cambi di paradigmi ecclesiali e catechistici. Un invito ad affinare gli occhi per discernere il Regno di Dio che è già presente in mezzo a noi, a lasciarci evangelizzare dalle figure evangeliche già disseminate nella vita sociale, lasciarsi istruire da esse.

 

Comprendere la secolarizzazione

La secolarizzazione è contemporanea al crollo della religione, in particolare di quella cristiana. Ci sono molte parole per indicare questo crollo: crisi, declino allontanamento, detradizionalizzazione, esculturazione, esilio, disincanto del mondo, crollo del mondo cristiano.

La catechesi è in prima linea nello sperimentare tutta la forza di questo allontanamento della società secolarizzata dalla fede. Assistiamo a un declino della fede cristiana ereditata, e ad una erosione del cristianesimo sociale. È la figura della “religione culturale” che è al capolinea e in via di estinzione. È diventata irrilevante, insignificante per i nostri contemporanei, soprattutto per le nuove generazioni.

Guido Vanheerwjck (Università di Anversa e Lovanio) ha messo in luce che le cose sono diventate più complesse agli occhi dei ricercatori. Infatti, sia la società secolarizzata sia le stesse religioni stanno subendo delle ricomposizioni che interferiscono e si condizionano a vicenda.

È corretto diagnosticare che, con velocità, stiamo passando dalla logica del “meno” a quella del “quasi non più”. Ci sono, per esempio, in un periodo di tempo definito di 5 o 10 anni, meno catechizzati, meno sacramenti, meno gruppi di azione caritativa. Ci sono anche meno sacerdoti, e la recente crisi del Covid ha fatto da acceleratore, sempre meno soldi per far funzionare la macchina ancora complessa di una costosa istituzione. Quando si è arrivati a uno stadio di “quasi non più”, pensare alla cura pastorale diventa una sfida complessa. Anche se non bisogna generalizzare.

La religione non è assente e non è scomparsa, ma non è più il quadro di riferimento dell’intera cultura. La Chiesa non vive più in un mondo cristiano, ma nel mondo. Comunque «sopravviverà per due motivi: esiste un “nucleo duro” che trova ancora più forza in quanto è minacciato. D’altra parte, c’è una richiesta di spiritualità nella società e la secolarizzazione non è esattamente sinonimo di “materialismo”».

I valori dominanti in Europa fino agli anni Sessanta erano valori cristiani secolarizzati. Questo ora non vale più. Si voleva basare i valori dell’Europa sui diritti umani. Ma hanno contribuito ad accentuare l’individualismo che accompagna la crisi del legame sociale e della globalizzazione.

Il problema del cristianesimo è che non ha più alcuna legittimità, deve riconoscere di essere una minoranza e uscire dalla fortezza per offrire una risposta a questa diffusa richiesta di spiritualità nella società. Una richiesta che avvantaggia i fondamentalisti protestanti (evangelici), i musulmani (salafiti), le sette (testimoni di Geova) o una spiritualità diffusa (zen, autorealizzazione, medicina sommersa…).

 

Visibilità pubblica ridotta

È pur vero che, da tempo, nei confronti del cattolicesimo, il mondo delle élites in genere, mostra un’indifferenza venata di larvata ostilità: ad esempio, considerando una violazione del principio di laicità la presenza cristiana nello spazio pubblico a qualsiasi titolo essa sia. Si verifica così un fenomeno paradossale: il dato religioso, tenuto nella massima considerazione quando si tratta di religioni diverse da quella cristiana, in quest’ultimo caso, invece, è oggetto perlopiù di un’infastidita rimozione/emarginazione.

Con due gravi conseguenze: di non accrescere certo le simpatie per l’Europa in vaste cerchie delle popolazioni del continente che, anche se magari lontane dalla pratica religiosa, non sono tuttavia disposte a staccarsi dalla tradizione cristiana, e di regalare ai nemici dell’Europa l’ennesimo facile argomento di propaganda.[1]

Tutti i populisti affermano di sostenere l’identità cristiana europea, ma per la maggior parte essi non sono praticanti e rigettano i valori cristiani. Facendo così, essi uccidono lo spirito della cristianità e lo fanno diventare qualcosa di folcloristico e privo di contenuto spirituale contribuendo a secolarizzare la cristianità trasformandola in un mero mercato etnico-culturale di identità.

 

Dilatazione del mondo secolare

D’altro canto, la religione cristiana, enfatizzando il trascendente, ha aperto lo spazio per un mondo secolare, autonomo, che non ha bisogno di Dio. Allo stesso tempo, il progresso della scienza ha portato a privilegiare il ragionamento e a liberare dal pensiero magico.

Una cultura secolarizzata è da preferire a una cultura religiosa in cui un credo si impone sull’intera cultura. La legittimità di una cultura secolarizzata consiste nel riconoscimento della libertà religiosa. Non a caso la società disincantata anela essa stessa a un reincanto, ma in modi nuovi.

Provo a visibilizzare questo bisogno di spiritualità con una breve digressione esperienziale. Di passaggio dall’aeroporto di Bruxelles sono stato incuriosito dal simbolo che indicava la presenza di un luogo per la preghiera. Dopo la prima rampa di scala mobile, che dava accesso alle sale d’attesa di prima classe, mi sono trovato di fronte una rampa impegnativa di scala normale che dirigeva verso il luogo di preghiera. Immaginavo di trovarmi di fronte alla solita cappella cattolica. Con mia sorpresa in batteria erano dislocate alcune stanze per le diverse espressioni religiose: cattolici, ortodossi, protestanti, ebrei, musulmani, e una sala per un confronto su problematiche morali. Facile dire che era più affollato il duty free rispetto a questo spazio di aeroporto. E, nel breve tempo che mi sono concesso, mi sono imbattuto in una sola persona.

A partire da questo vissuto ho sentito risuonare in modo forte la domanda del congresso: Come inserire profeticamente la fede nella cultura contemporanea? Come vivere l’appartenenza in un contesto plurale. Come trasmettere la fede ricevuta senza rimanere imprigionati in forme e istituzioni predefinite? Cosa può voler dire essere Chiesa?

 

La necessità della Chiesa

Il card. Joseph De Kesel, arcivescovo di Malines-Bruxelles, rifacendosi alle linee proposte in un suo libro recente[2] ha evidenziato che nessuna religione può esistere e sopravvivere senza un minino di strutture. Ecco allora la ragion d’essere della Chiesa: essa si trova ad essere la forma di organizzazione del cristianesimo e non solo.

Secondo questo punto di vista, la Chiesa nella sua struttura deve continuamente essere adattata. Deve imparare a rispondere meglio ai bisogni del nostro tempo, meglio funzionare, meglio corrispondere alle attese dell’uomo di oggi.

La vera questione è sapere perché Dio ha bisogno della Chiesa. Non c’è che una risposta: perché Dio la vuole. Quando si parla di Dio, si intende Dio come la tradizione biblica e cristiana ce l’hanno fatto conoscere, e questa tradizione ha qualcosa da dire a riguardo di Dio che è unico e che, allo stesso tempo, è di grande importanza per l’uomo e la sua salvezza, per il mondo e per il suo futuro. È il fatto che Dio ci cerca, che noi siamo molto importanti per Lui, che Dio ci ama.

Ma, se è vero che Dio è alla ricerca dell’uomo, se in lui si ha veramente questo desiderio di incontrarlo e di condividere con lui, allora è là che bisogna cercare l’origine e la ragion d’essere della Chiesa. Dio non è solo colui che dona la vita, ma anche colui che vuole condividere questa vita. Creazione e rivelazione hanno come unico obiettivo l’alleanza.

Alla fine, quando tutto sarà compiuto, non è la Chiesa che sarà salvata, ma la creazione. Ciò che Dio vuole è che l’uomo viva, e che la sua creazione possa riuscire (Gv 10,10). Anche se nessun essere umano al mondo conoscesse Dio e nessuno avesse coscienza del suo amore per la sua creazione, rimane vero che Dio ama questo mondo ed è quella la sola ragione della nostra esistenza.

 

Il cammino di libertà

La fede e l’amore presuppongono la libertà e Dio è il primo a rispettare questa libertà. È la grandezza di Dio e il mistero del suo amore ad aver creato un essere che è capace di negarlo. Ciò che Dio cerca è l’alleanza e l’amicizia. Niente di straordinario che la liturgia eucaristica sia al cuore della Chiesa. È la preghiera per eccellenza. È come tutte le liturgie celebrazione dell’alleanza. Così come una famiglia si ritrova per un pasto in diverse occasioni, ma sempre per celebrare le stesse cose: l’alleanza, il bene, la gioia di essere vicino l’un l’altro. La Chiesa condivide le gioie e le sofferenze degli uomini, resta sempre legata al mondo.

Le nostre chiese si trovano sulla strada e le porte sono aperte a tutti. In una società segnata dalla secolarità e dal pluralismo, siamo chiamati a vivere insieme nel rispetto delle altre convinzioni. Nessuna pastorale è degna di questo nome se non si basa sul rispetto dell’alterità e della libertà dell’altro. La Chiesa ha una missione universale ma, allo stesso tempo, cura la propria particolarità. Non è il mondo né l’insieme dei popoli, è il popolo di Dio che vive in mezzo alle nazioni. Ciò che Dio chiede è di riservargli dei luoghi dove può, già ora, abitare in mezzo a noi.

 

Chiesa missionaria

In tempo di secolarizzazione la Chiesa non può essere una comunità chiusa. La vera questione non è sapere se la Chiesa è capace di conservare il numero attuale di membri, ma se può attirarne di nuovi, se qualcuno che è interamente integrato nella cultura secolarizzata di oggi è capace di essere toccato dalla verità, dalla forza e dalla bontà dell’Evangelo. Rimane comunque assodato che la missione non può essere confusa con la restaurazione di una civiltà cristiana omogenea.

Se la cristianizzazione dell’intera società diventa l’obiettivo della nostra presenza nel mondo, si perde ogni credibilità. La Chiesa non è chiamata a inglobare progressivamente il mondo e ad accogliere al suo interno tutta la società. La Chiesa è la comunità dei cristiani e non la riunificazione di tutta la popolazione.

Nel vangelo, si fa spesso distinzione tra i discepoli e la folla (Mt 5,1-2). La Chiesa è il popolo di Dio in cammino e, come Gesù, deve “scomparire tra la folla” quando le persone iniziano a credere, quando acquisiscono nuove forme di fede.

La Chiesa che si mescola nella folla è permanentemente in divenire. In tal senso, il brano di Gv 10,1-21 è ugualmente significativo. Gesù si rivela come il buon pastore e come la porta delle pecore. Il brano parla di un gregge e di un ovile, tuttavia non separa un “dentro” dove entrare e un “fuori” verso dove uscire (v. 4).

Il versetto 9 afferma: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato, entrerà e uscirà e troverà pascolo». Non è importante il “dentro” e il “fuori”, solo il passaggio che situa in Cristo è importante.

Sempre in questa linea, come non ricordare che anche attorno a Cristo Gesù c’erano i fedeli discepoli, e la folla a volte fedele e in altre occasioni più distratta e preoccupata della propria quotidianità.

Le persone che intraprendono il cammino di fede sono dei “sismografi” per le vie della Chiesa missionaria. In una prospettiva missionaria non ci sono processi univoci, né devono esserlo. Una Chiesa missionaria e mondiale è caratterizzata da incoerenze, e in questo senso anche le incomprensioni e i conflitti fanno parte dei processi di apprendimento.

La dimensione di fragilità e fatica aiuta a capire che la Chiesa non è tutto, è un popolo tra gli altri popoli. Ma è un popolo chiamato tra tutti i popoli. Il riconoscimento del suo carattere limitato trova la sorgente nel rispetto per il mondo e anche nel rispetto per ciò che essa stessa è.

 

Il cambio di prospettiva

La questione – ha sostenuto il cardinale di Bruxelles – non è sapere se la Chiesa deve essere missionaria, ma piuttosto come lo deve essere, senza aspirare a una ricristianizzazione della società.

C’è una risposta duplice. In primo luogo, non possiamo condannare questa società moderna perché non è più cristiana. Questo non vuol dire che si deve assimilare e sottoscrivere tutto quello che questa società propone. Ma si è cittadini di questa cultura.

E questa è la seconda risposta: si deve essere presenti al nostro mondo, semplicemente essendo Chiesa. Facendo quello a cui si è chiamati: cercare Dio, ascoltare la Parola, rispondergli con la preghiera e la liturgia, nell’azione di grazie e nella lode (At 2,42).

È precisamente essendo Chiesa che si è sacramento per il mondo. È in ragione di ciò che si vive all’interno della comunità che la Chiesa può essere significativa all’esterno, questo è il cammino che Dio ha scelto per far conoscere il suo nome e il suo amore. Essa non fa missione, la missione non è una delle sue attività, perché essa stessa è missione.

Nel contesto dell’enorme crisi della Chiesa di oggi, Mergit Eckholt (Università di Osnabrück) ha richiamato la necessità di una visione profetico-costruttiva per il futuro della Chiesa.

La Chiesa cattolica si trova a un bivio: deve chiarire la questione del potere e della partecipazione. Una più forte partecipazione dei laici, in particolare delle donne nella Chiesa, il superamento delle strutture clericali e un serio confronto con le forme di vita della comunità, che si sono ripetutamente presentate negli ultimi anni, indicano la radice di una crisi della trasmissione della fede in generale.

Non si tratta di questioni periferiche, che si collocano solo a livello funzionale della Chiesa, né di questioni che riguardano solo le Chiese dell’occidente. Pluralizzazione, secolarizzazione e diversificazione delle forme di fede stanno emergendo in tutte le regioni del mondo.

L’uguaglianza di genere è una pietra di paragone per la capacità della Chiesa di inculturare la società post-moderna. Risulta pietra di paragone per verificare se la Chiesa stessa è pronta per una nuova conversione alla Parola di Dio e per ascoltare il messaggio liberatorio del regno di Dio. In questo senso, fede e vita si separano in un doppio senso: la Chiesa è in ritardo rispetto alla fede e alla vita da molto tempo ed è per questo che il coraggio di una trasformazione è necessario nel contesto dei percorsi mondiali. Lo stesso Direttorio della Catechesi chiede «una vera riforma delle strutture e delle dinamiche ecclesiali» (40).

Questo presuppone la capacità di lasciare il proselitismo per favorire il dialogo. La Chiesa sa di essere il nuovo popolo di Dio, ma questo non significa che sarebbe preferibile che il giudaismo cessasse di esistere. La Chiesa non sostituisce il popolo che Dio si è scelto. La novità apportata dalla Chiesa è giustamente che i pagani hanno ugualmente accesso all’unico popolo della Promessa.

Il fatto che il popolo giudaico continui a far parte del piano di salvezza di Dio preserva dall’ecclesiocentrismo. Dio ha amato dall’inizio questo mondo in Cristo, ciò che ha cominciato lo compirà. Egli ha bisogno per questo della Chiesa. Essa è il sacramento visibile e il segno efficace. Non è la Chiesa, ma Dio stesso, che rimane l’attore della redenzione, e nessun altro.

Appare chiaramente come oggi le religioni siano chiamate a incontrarsi e ad apprezzarsi, per pregare e operare per un’umanità degna e per la salvezza di tutti. L’annuncio del vangelo è diventato oggi inseparabile da questo dialogo interreligioso.

 

Conseguenze catechistiche

In questo contesto culturale, la grande sfida per la catechesi è quella di suscitare nuove pedagogie della fede, nuovi modi di insegnare la via del bene. La ricerca del bene non riguarda principalmente regole e comandamenti. Va molto più in profondità. Diventa riconoscimento che i desideri nella nostra natura rimangono la ricerca del bene, del bello e del vero. C’è una visione più antica che dobbiamo riscoprire e che vedeva l’essere buoni come un cammino verso Dio e verso la felicità.

Questo chiede di andare incontro all’altro per unirsi a lui nella sua ricerca. È chiaro che la grande sfida per il cristianesimo oggi è sapere come entrare in contatto con le molte persone che cercano Dio, ma non vengono in Chiesa.

Cristo è scomparso nella folla e noi dobbiamo trovarlo mescolandoci a loro. L’uomo di scienza – dice il Direttorio – è un testimone appassionato del mistero, cerca la verità con sincerità, è naturalmente incline alla collaborazione, alla comunicazione e al dialogo. Coltiva la profondità, il rigore e l’accuratezza del ragionamento; ama l’onestà intellettuale». In questa prospettiva tutti noi siamo assegnati alla ricerca in un’onesta perplessità. Tutti fratelli, tutti cercatori, sullo stesso cammino.

La sfida è quella di partecipare alla genesi delle culture e, di conseguenza, all’inculturazione della fede nel mondo a venire. Non importa se si è minoranza. Le minoranze attive si trovano sulla soglia del futuro che sta arrivando.

Paul Lakeland ci lascia un prezioso ammonimento: «Mentre riflettiamo se la fede ha un futuro, dobbiamo pensare se abbiamo fede nel futuro».[3] La speranza che alimenta la fede di oggi non dovrebbe essere un desiderio nostalgico, ma il riconoscimento che le comunità vive possono davvero essere minoranze creative, oasi piene di risorse in una civiltà che ha ancora sete di Dio. Solo la speranza può sostenere una minoranza in esilio (Ger 29,5-7).

La catechesi kerigmatica richiamata con forza da papa Francesco (EG 165-168) deve esprimere l’amore salvifico di Dio che precede qualsiasi obbligo morale e religioso. Non deve imporre la verità ma fare appello alla libertà, deve essere caratterizzata dalla gioia, dall’incoraggiamento, dalla vivacità e da un equilibrio armonioso che non riduca la predicazione a poche dottrine, a volte più filosofiche che evangeliche. Essenziale per la vita religiosa in una società secolare è che essa abbia origine all’interno della persona e non derivi solo da abitudini ereditate o dalla pressione sociale.

 

Non solo questione di linguaggio, ma discernimento

All’interno di questa mutata prospettiva sull’uomo e sul mondo, la visione di Dio come ineffabile (Deus absconditus) ha prodotto una secolarizzazione radicale. Il linguaggio ha perso il suo sottile potere di rendere visibile la realtà incarnata del Dio “storico”.

Pertanto c’è bisogno di trovare linguaggi più sottili. Dobbiamo innovare nel linguaggio, e portare i limiti dell’esperienza alla chiarezza di formulazioni che aprano una zona normalmente al di fuori della nostra gamma di pensiero e di attenzione. Il nostro essere immagine di Dio è anche il nostro stare tra gli altri nella corrente dell’amore. Ciò significa che il primo dovere dei cristiani non consiste nel convertire gli altri alla fede, ma soprattutto nell’affinare i propri occhi per discernere nella società e nello stesso popolo cristiano i modi di essere e di agire che, come le beatitudini, rappresentano il Regno di Dio. È la sfida a sviluppare il bellissimo spazio dell’ospitalità reciproca che ogni visita offre.

La ricerca di una comprensione della fede è una storia di processi di traduzione tra i più diversi, da Gerusalemme ad Atene, a Roma, alla Gallia, alla Germania, fino al mondo plurale e alla diversità delle culture del nostro tempo.

Sulle orme di Gesù Cristo, guidato dallo Spirito di Dio che rende l’uomo capace di parlare veramente di Dio, il linguaggio può allenarsi sempre di più per poter parlare di Dio in modo tale che lui stesso possa parlare in questo discorso.

Gesù Cristo ha dato un volto alla parola imperscrutabile, ha fatto parlare la Parola di Dio, ha così svelato la ricerca di Dio sepolta e distrutta dagli idoli, ed è stato lui stesso descritto come «immagine del Dio invisibile» (Col 1,15).

Nella croce di Gesù Cristo si sono incrociate tutte le immagini di Dio, e l’amore creativo di Dio è emerso come amore, nel più profondo riconoscimento dell’altro. È proprio nella notte della croce che si apre la luce del mattino.

Camminare sulle orme di Gesù Cristo e da lì far crescere la comunità dei credenti, permette di trovare la strada di una relazione personale con Dio, e un parlare di Dio in tutta la sua diversità, come ringraziamento, come grido, come lode, come espressione di paura e di gioia, di fiducia che Dio apre al futuro.

Nel linguaggio con cui parliamo di Dio, Dio può essere annunciato, ma ciò deve avvenire sempre in modo tale che la parola non possa mai diventare un’immagine di cui disponiamo. Non si può e non si deve rendere Dio disponibile per noi in alcun modo.

Oggi è importante prendere sul serio i processi dinamici e fragili di crescita nella fede e quindi la libertà e la soggettività dei credenti. Questo include il permettere dubbi, distanze, disaccordi, ma soprattutto il vivere l’esperienza dell’amore di un Dio che non abbandona le persone perché desiderano lui. Le persone identificano questo Dio nei luoghi in cui avviene qualcosa di nuovo nella loro vita, dove amano e soffrono, dove sono vulnerabili e si rendono vulnerabili nel loro impegno verso gli altri. È la pratica della dedizione incondizionata all’uomo e il suo luogo è la sfera dell’interpersonalità.

 

A mo’ di chiusura

Dio: «È ancora qui; ci sussurra ancora, ci fa ancora segno. Ma la sua voce è troppo bassa, e il frastuono del mondo è così forte, e i suoi segni sono così nascosti, e il mondo è così inquieto, che è difficile stabilire quando si rivolge a noi, e cosa dice».[4]

La religione e il cristianesimo non si sono estinti nell’era secolare: sono stati trasformati, trasfigurati. Ci troviamo nello spazio aperto di un nuovo paesaggio spirituale, dove i venti soffiano da tutte le direzioni. Stando in quello spazio aperto, il Signore accetta la fragilità che tutti noi, credenti e non credenti, stiamo sperimentando.

 


[1] Oliver Roy, L’Europa è ancora cristiana? Cosa resta delle nostre radici religiose, Feltrinelli, 2019.

[2] J. De Kesel, Foi e religion dans une société moderne, Salvator, Paris 2021.

[3] Paul Lakeland, “La fede ha un futuro?”, Cross Currents, 1998-99.

[4] John Henry Newman, Sermone 17, “Aspettando Cristo”, in: Parochial and Plain Sermons, Vol. 6.

STORIA DELLA CATECHESI

PRESENTAZIONE – EDITRICE LAS

Presso l’Aula Don J. E. Vecchi, il 12 maggio, alle ore 15.00, l’Istituto di Catechetica della Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Pontificia Salesiana di Roma, ha organizzato la presentazione della “Storia della catechesi”, in quattro volumi, della Collana “Catechetica, Educazione e Religione”, edita dalla LAS.

Murawski Roman, Storia della Catechesi. 1, Età Antica

La Rosa Luigi, Storia della Catechesi. 2. Dire Dio nel Medioevo

Btaido Pietro, Storia della Catechesi. 3. Dal “tempo delle Riforme” all’età degli imperialismi

Biancardi Giuseppe – Gianetto Ubaldo, Storia della Catechesi. 4. Il movimento catechistico

antica (2021).

L’incontro, seguito di presenza e online, ha visto la partecipazione di allievi ed exallievi dell’Istituto e cultori di storia della Chiesa, della Congregazione Salesiana e della catechesi.

 

Dopo il saluto del Decano FSE Prof. Antonio Dallagiulia, sono intervenuti il prof. Angelo Giuseppe Dibisceglia, docente di Storia della Chiesa, il prof. José María Pérez Navarro, fsc, catecheta e direttore della Rivista “Sinite”, i due autori viventi il prof. Giuseppe Biancardi sdb, coautore con Ubaldo Gianetto, del volume sulla catechesi contemporanea (2015) e il prof. Luigi La Rosa, autore del volume sulla catechesi medioevale (2022).

Ha moderato l’incontro il prof. Giuseppe Ruta.

Sono stati ricordati anche i salesiani autori deceduti: oltre a Ubaldo Gianetto, Pietro Braido, autore del volume sulla catechesi moderna (2014), e Roman Murawski, autore del volume sulla catechesi antica (2021).

A conclusione i vari relatori hanno potuto rispondere ad alcuni interrogativi suscitati dalla presentazione e il Direttore, Ubaldo Montisci ha, infine, ringraziato relatori e intervenuti, richiamando quanto detto: si tratta di un unicum nel panorama degli studi storici e catechetici, un’opera rilevante di 2256 pagine (è questo il totale dei quattro volumi) che documentano il profilo genetico della catechesi dalle origini alla contemporaneità.

L’incontro, durato due ore, è stato il modo di recuperare la memoria di questo “antiquum ministerium”, come l’ha definito Papa Francesco nel motu proprio del 10 maggio 2021 scorso, un’opportunità preziosa di riflessione per un rilancio della catechesi per l’oggi e il futuro.

A partire e non a prescindere dalle radici della storia.

 

I volumi presentati:

 

 

Alcuni scatti dell’evento:

 

 

http://rivistadipedagogiareligiosa.unisal.it/?p=24371