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Il 25° anniversario del Religion Today Film Festival

l prossimo 24 ottobre la Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale organizza il tradizionale Seminario in collaborazione con il Religion Today Film Festival. Una tradizione che si ripete ormai da anni e che quest’anno approfondirà il tema del “dialogo”, in continuità con le celebrazioni dei 25 anni di esistenza del Festival. L’edizione si è chiusa lo scorso 21 settembre con l’assegnazione del Gran Premio nello spirito della Fede al film Darkiling, del regista serbo Dusan Milic.

La giuria degli studenti FSC ha assegnato il premio Nuovi sguardi al film Nascondino della regista italo-brasiliana Victoria Fiore, film documentario girato in 4 anni, che racconta la vicenda di un ragazzo undicenne dei Quartieri Spagnoli di Napoli e il tentativo della nonna di allontanarlo dalla criminalità.

Il programma del Seminario di quest’anno vede l’intervento dei tre direttori artistici succedutisi nei 25 anni di esperienza di cinema spirituale e del dialogo interreligioso, Lia Beltrami (in video messaggio), Katia Malatesta e Andrea Morghen, che tracceranno le caratteristiche dell’arco di tempo nell’organizzazione e proporranno un cortometraggio che rappresenti meglio il loro stile di direzione.

Il titolo scelto per questa edizione di celebrazione è stato “25 anni di dialogo”. E il dialogo è la tematica sulla quale si susseguiranno gli interventi dei relatori invitati al Seminario, ognuno dei quali ne traccerà una prospettiva specifica: quella teologica dal Prof. Guido Benzi (Teologia-UPS); la prospettiva della mediazione il Prof. Rocco Altieri (Università di Pisa); la prospettiva psicologica il Prof. Antonio Dellagiulia (Decano FSE-UPS); e quella della comunicazione la Prof.ssa Paola Springhetti (FSC-UPS).

Nel pomeriggio, verrà proiettato Nascondino, il film che la giuria della Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale ha scelto di premiare con il Premio Nuovi sguardi.

Il Seminario è aperto a studenti e docenti dell’Università Salesiana e a quanti desiderano partecipare.

«PROGRESSISMO E TRADIZIONALISMO SONO PROVE D’INFEDELTÀ ED EGOISMO»

Francesco presiede la celebrazione eucaristica nel sessantesimo anniversario dell’inizio del Concilio: «Quell’evento ci ricorda che la Chiesa, a immagine della Trinità, è comunione. Il diavolo, invece, vuole seminare la zizzania della divisione. Non cediamo alle sue lusinghe e alla tentazione della polarizzazione. Una Chiesa innamorata di Gesù non ha tempo per scontri, per veleni e polemiche». Riesumata, ed esposta ai fedeli, la salma di San Giovanni XXIII

Mette in guardia sia dal «progressismo che si accoda al mondo», sia dal «tradizionalismo, o “indietrismo”, che rimpiange un mondo passato», perché entrambe «non sono prove d’amore, ma di infedeltà». E ricorda papa Francesco – come se la memoria del Concilio fosse elemento di divisione e non di comunione – «quante volte si è preferito essere “tifosi del proprio gruppo” anziché servi di tutti, progressisti e conservatori piuttosto che fratelli e sorelle, “di destra” o “di sinistra” più che di Gesù; ergersi a “custodi della verità” o a “solisti della novità”, anziché riconoscersi figli umili e grati della santa Madre Chiesa».

Atmosfera solenne a San Pietro per la Messa che ricorda il 60° anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II, aperto l’11 ottobre 1962 da San Giovanni XXIII, la cui salma per l’occasione è stata riesumata ed esposta in un’urna di vetro nella navata della Basilica, davanti all’altare centrale della Confessione.

Papa Francesco nell’omelia spiega il significato di questo anniversario che non è soltanto un ricordo di una tappa fondamentale della vita della Chiesa ma l’inizio del cammino di preparazione al Giubileo del 2025: «Il Concilio», afferma Bergoglio, «ci ricorda che la Chiesa, a immagine della Trinità, è comunione. Il diavolo, invece, vuole seminare la zizzania della divisione. Non cediamo alle sue lusinghe, non cediamo alla tentazione della polarizzazione. Quante volte, dopo il Concilio, i cristiani si sono dati da fare per scegliere una parte nella Chiesa, senza accorgersi di lacerare il cuore della loro Madre», ha ricordato, «quante volte si è preferito essere “tifosi del proprio gruppo” anziché servi di tutti, progressisti e conservatori piuttosto che fratelli e sorelle, “di destra” o “di sinistra” più che di Gesù; ergersi a “custodi della verità” o a “solisti della novità”, anziché riconoscersi figli umili e grati della santa Madre Chiesa. Il Signore non ci vuole così – ha avvertito Francesco -: noi siamo le sue pecore, il suo gregge, e lo siamo solo insieme, uniti. Superiamo le polarizzazioni e custodiamo la comunione, diventiamo sempre più “una cosa sola”, come Gesù ha implorato prima di dare la vita per noi. Ci aiuti in questo Maria, Madre della Chiesa. Accresca in noi l’anelito all’unità, il desiderio di impegnarci per la piena comunione tra tutti i credenti in Cristo».

Il Pontefice invita a «riscoprire il Concilio per ridare il primato a Dio, all’essenziale: a una Chiesa che sia pazza di amore per il suo Signore e per tutti gli uomini, da Lui amati; a una Chiesa che sia ricca di Gesù e povera di mezzi; a una Chiesa che sia libera e liberante».

La celebrazione all’altare è officiata dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ed è arricchita da alcuni segni particolari. Prima della Messa, sono stati letti alcuni passaggi del significativo discorso che San Giovanni XXIII pronunciò all’apertura del Concilio, Gaudet Mater Ecclesia. Inoltre, sono stati proclamati da Emanuele Ruzza e Stefania Squarcia alcuni testi delle quattro costituzioni Conciliari: Dei Verbum, Sacrosanctum Concilium, Lumen gentium, Gaudium et spes. Al termine di queste letture un gruppo di vescovi e sacerdoti è entrato nella Basilica di San Pietro con una solenne processione, per ricordare la processione di vescovi che aprì il Concilio 60 anni fa.

L’omelia di Francesco è tutta incentrata su cosa significa ricordare l’inizio del Concilio: «Riscopriamolo per ridare il primato a Dio, all’essenziale: a una Chiesa che sia pazza di amore per il suo Signore e per tutti gli uomini, da Lui amati; a una Chiesa che sia ricca di Gesù e povera di mezzi; a una Chiesa che sia libera e liberante», dice il Pontefice, «il Concilio indica alla Chiesa questa rotta: la fa tornare, come Pietro nel Vangelo, in Galilea, alle sorgenti del primo amore, per riscoprire nelle sue povertà la santità di Dio», «per ritrovare nello sguardo del Signore crocifisso e risorto la gioia smarrita, per concentrarsi su Gesù. Ritrovare la gioia, una Chiesa che ha perso la gioia ha perso l’amore. Chiediamoci», prosegue il Papa, «se nella Chiesa partiamo da Dio, dal suo sguardo innamorato su di noi. Sempre c’è la tentazione di partire dall’io piuttosto che da Dio, di mettere le nostre agende prima del Vangelo, di lasciarci trasportare dal vento della mondanità per inseguire le mode del tempo o di rigettare il tempo che la Provvidenza ci dona per volgerci indietro».

“Cari giovani, la Chiesa vuole per voi il vero successo”

Mons. Lorenzo Leuzzi, vescovo di Teramo-Atri, scrive ai giovani all’inizio dell’anno scolastico ed accademico

“Cari giovani, la mia prima lettera dell’anno pastorale vi giunge all’inizio dell’anno scolastico ed accademico. Spero che coloro che hanno concluso il percorso formativo abbiano iniziato l’inserimento nel mondo delle attività professionali. A tutti un augurio di camminare insieme con fiducia per costruire un futuro pieno di gioia e di successi”.

Inizia così la lettera ai giovani inviata da mons. Lorenzo Leuzzi, vescovo di Teramo-Atri, all’inizio del mese di ottobre.

Il vescovo si sofferma sul tema del successo. “Capire e vivere le opportunità da protagonista è la vera sfida di ciascuno di noi – scrive –. Ma per essere protagonista, tu devi essere qualcuno! Nel successo devi essere te stesso e non un attore del dibattito, sia pure ricercato. La società cerca attori protagonisti e non comparse! Per essere attori protagonisti bisogna capire chi sono, dove vado e, soprattutto, perché vivo”.

Davanti a questa sfida, mons. Leuzzi invita i giovani a non avere paura, perché “Ci sono tanti amici che sono disponibili a confrontarsi e a dialogare con voi. Non siete soli! La Chiesa vi è sempre vicina e, insieme, troverete occasioni per vivere momenti di condivisione”. Per questo, ribadisce, “Anche tu non aver paura di chiedere: ‘dove dimora il Maestro?’. Lo troverai nella vita della Tua Parrocchia, semplice e umile. In quella comunità dimora il Signore! È la via del successo, dell’attore protagonista e non dell’attore comparsa, che vive del successo, ma non costruisce nulla per sé e per gli altri. La Chiesa esiste perché voi giovani abbiate successo!”.

In allegato il testo integrale della lettera di mons. Leuzzi.

 

Canonizzato Artemide Zatti, salesiano laico e infermiere

Il 9 ottobre 2022 papa Francesco ha canonizzato – accanto a mons. Giovanni Battista Scalabrini – Artemide Zatti (1880-1951). Infermiere e farmacista, questo laico salesiano ha passato la vita al servizio dei malati e dei poveri in Patagonia.

Papa Francesco vede in sant’Artemide Zatti il «buon Samaritano» della pagina evangelica. È quanto ha dichiarato ai membri della famiglia salesiana in vista della sua canonizzazione:

Il Buon Samaritano ha trovato in lui un cuore, delle mani e una passione, soprattutto per i piccoli, i poveri, i peccatori, gli ultimi.

Nel suo discorso egli ha enfatizzato la devozione totale dell’infermiere e farmacista per i poveri, nonché la sua fervente fede, che irradiava l’amore di Dio nei luoghi che visitava.

Artemide Zatti, di origine italiana, emigrò in Argentina con la propria famiglia all’età di 17 anni. Si installarono a Bahia Blanca, piccola città a sud di Buenos Aires, nel nord della Patagonia argentina. Spesso Artemide ha accompagnato il proprio parroco, don Carlo Cavalli, un salesiano, nella visita ai malati. Osservando la sua dedizione e la sua profonda fede, don Carlo gli fece leggere una vita di Don Bosco. Toccato dall’esempio del prete e coinvolto dalla lettura, scelse di diventare salesiano.

A 20 entrò in seminario, ma contrasse la tubercolosi occupandosi di un giovane prete malato. Padre Evasio Garrone, che lo curò, invitò Artemide a pregare Maria Ausiliatrice per la propria guarigione, e gli suggerì di formulare un voto: «Se ti guarisce, dedicherai tutta la vita ai malati». Artemide promise e guarì. Rinunciò al sacerdozio per meglio assicurare la vocazione di infermiere presso i malati. Divenne frate laico l’11 gennaio 1908, e fece la professione perpetua l’8 febbraio 1911.

Da allora dedicò la propria vita ai malati, e specialmente ai più poveri, curandoli gratuitamente e facendo chilometri per recarsi al loro capezzale. «Una delle grandi caratteristiche di Zatti era la compassione che aveva per la gente», ha dichiarato ad i.Media Pierluigi Cameroni, postulatore generale per le cause dei santi della famiglia salesiana:

Anzitutto perché accoglieva i poveri in ospedale, ma anche perché – con la sua ben nota bicicletta – si faceva il giro di tutta la città per andare a trovare i poveri, quelli che non potevano recarsi da lui, quelli che non avevano medicine.

Vedere Cristo nei malati

Artemide Zatti vide il Signore sofferente in ciascuno dei malati affidati a lui. Diceva letteralmente alla religiosa incaricata della gestione infermieristica: «Prepari per favore un letto a un Gesù di 12 anni». Oppure: «Ha per caso un paio di scarpe per un Gesù di 30 anni?». Prima che lo facesse il Papa, per via di questa leggendaria compassione già tutti lo chiamavano “il Buon Samaritano”.

ZATTI

Si dedicò totalmente all’ospedale San José de Viedma. Nel 1913 ne assunse la responsabilità, divenendone vice-direttore, amministratore e infermiere-capo. Nel 1915 divenne direttore dell’ospedale San José e due anni più tardi, presa una licenza da infermiere professionista, divenne direttore della farmacia. Morì il 15 marzo 1951 per un cancro al pancreas.

Il prodigio che ha sbloccato la sua ascesa agli altari ha avuto luogo nel 2016 nelle Filippine: un uomo, vittima di un grave incidente vascolare cerebrale ma troppo povero per farsi operare in ospedale, ha recuperato totalmente la salute grazie alle preghiere del fratello, salesiano, al beato Artemide Zatti. «Anche in questo miracolo, direi che abbia voluto aiutare uno privo di mezzi», sottolinea Pierluigi Cameroni.

Le guarigioni miracolose non sono il solo “àmbito di competenza” del nuovo santo: papa Francesco ha invitato a considerare che Artemide Zatti è anche un potente intercessore per le vocazioni, e lo ha fatto raccontando un’esperienza personale, occorsagli quando era Provinciale dei Gesuiti di Argentina.

Gli affidai la richiesta al Signore di sante vocazioni alla vita consacrata laica, per la Compagnia di Gesù: dal momento in cui abbiamo cominciato a pregare per la sua intercessione, il numero dei giovani coadiutori è aumentato in maniera significativa.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

Mathilde De Robien – i.Media per Aleteia – pubblicato il 10/10/22

Seminario di studio “Un altro punto di vista: la persona con disabilità come valore aggiunto nel mondo del lavoro”

Siamo lieti di trasmetterVi in allegato il programma relativo al Seminario di studio “Un altro punto di vista: la persona con disabilità come valore aggiunto nel mondo del lavoro”,

organizzato da questo Servizio Nazionale in coedizione con l’Ufficio Nazionale per i Problemi Sociali e il Lavoro, il quale avrà luogo a Bologna il 28 novembre 2022, dalle 09:45 alle 17:00, presso la sede della Marchesini Group (Bologna Pianoro).

Desideriamo ricordarVi che, per poter partecipare, è obbligatoria l’iscrizione, entro il 15 novembre 2022, al seguente linkhttps://iniziative.chiesacattolica.it/SeminarioBologna28novembre2022.​

 

ALLEGATI

 

Vaticano – Pubblicato il tema della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2023

(ANS – Città del Vaticano) – Nella giornata di oggi, giovedì 29 settembre, è stato reso noto il tema che il Santo Padre Francesco ha scelto per la 57.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che si celebrerà nel 2023: “Parlare col cuore: Veritatem facientes in caritate (Ef 4,15)”. Sempre oggi, sempre in tema, il Papa ha anche nominato alcuni nuovi Consultori del Dicastero per la Comunicazione, tra cui due salesiani: don Fabio Pasqualetti, Decano della Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell’Università Pontificia Salesiana (UPS) di Roma; e don George Plathottam, Segretario Esecutivo dell’Ufficio di Comunicazione Sociale della Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia, con sede a Manila.

Papa Francesco: “Parlare col cuore” è il tema del messaggio per la Giornata per le comunicazioni sociali

 

“Parlare col cuore: Veritatem facientes in caritate (Ef 4,15)”. È il tema del Messaggio del Papa per la 27ª Giornata mondiale per le comunicazioni sociali. Ne dà notizia la Sala Stampa della Santa Sede, precisando che che il tema di quest’anno si collega idealmente a quello del 2022, “Ascoltare con l’orecchio del cuore”, e vuole inserirsi in particolare nel cammino che condurrà tutta la Chiesa alla celebrazione del Sinodo di ottobre 2023. “Parlare con il cuore – si legge nel comunicato – significa ‘rendere ragione della speranza che è in noi” (cfr 1Pt 3,14-17) e farlo con mitezza, utilizzando il dono della comunicazione come un ponte e non come un muro. In un tempo contraddistinto – anche nella vita ecclesiale – da polarizzazioni e dibattiti esasperati che esacerbano gli animi, siamo invitati ad andare controcorrente”. “Non dobbiamo temere di affermare la verità, a volte scomoda, che trova il suo fondamento nel Vangelo ma non dobbiamo disgiungere questo annuncio da uno stile di misericordia, di sincera partecipazione alle gioie e alle sofferenze dell’uomo del nostro tempo, come ci insegna in modo sublime la pagina evangelica che narra il dialogo tra il misterioso Viandante e i discepoli di Emmaus”, si legge ancora nella nota. “Oggi, nel drammatico contesto di conflitto globale che stiamo vivendo, è quanto mai necessario l’affermarsi di una comunicazione non ostile”, l’appello: “Una comunicazione aperta al dialogo con l’altro, che favorisca un ‘disarmo integrale’, che si adoperi a smontare ‘la psicosi bellica’ che si annida nei nostri cuori, come profeticamente esortava San Giovanni XXIII, 60 anni fa nella Pacem in Terris. È uno sforzo che è richiesto a tutti, ma in particolare agli operatori della comunicazione chiamati a svolgere la propria professione come una missione per costruire un futuro più giusto, più fraterno, più umano”.

SIR

Argentina – Il sig. Zatti, salesiano. Una risposta gioiosa che si rifà a Don Bosco

(ANS – Buenos Aires) – Siamo a Viedma, intorno al 1940. Da qualche anno il salesiano coadiutore Artemide Zatti è l’anima dell’ospedale “San José” che i salesiani gestiscono dalla fine del secolo XIX in questa città della Patagonia argentina. Un luogo dove la cura della vita non si limita alla salute fisica, ma è offerta alle persone in modo integrale… a tutte le persone.

Un povero mezzadro è ricoverato in ospedale da diversi mesi. Era grato per quanto Artemide Zatti aveva fatto per la sua salute e per tutta la sua persona – senza chiedergli nulla, poiché non era in grado di pagare. Vuole esprimergli la sua gratitudine. Non sapendo come fare, gli dice: “Grazie di tutto, sig. Zatti. La saluto e porgo tanti saluti anche a sua moglie, anche se non ho il piacere di conoscerla…”. “Neanch’io” rispose Zatti ridendo.

Nelle cose grandi si può fingere. Nelle piccole cose uno si mostra così com’è. E in questa risposta possiamo rintracciare qualcosa della vita e del cuore del sig. Zatti.

Vicino, fratello

Zatti ha dovuto vivere lo sradicamento, l’emigrazione, i limiti economici che lo costringono a smettere di studiare per lavorare, le difficoltà a farsi strada nella sua comunità. Tutti aspetti che sono sintomi di povertà… e questo, paradossalmente, lo aiuterà a capire i dolori e i bisogni dei poveri.

Vivere la sua vocazione salesiana di “coadiutore” o “fratello” salesiano facilita questa vicinanza. Don Bosco pensa ai Salesiani Coadiutori come ad una presenza educativa ravvicinata tra i giovani e nei settori popolari. Lo fa in un contesto sociale, quello dell’Italia all’inizio della Rivoluzione Industriale, in cui c’è una mancanza di empatia da parte del popolo verso tutto ciò che è “conventuale” o “claustrale”.

Questa semplicità e l’assenza di “forme” ecclesiastiche nei Salesiani Coadiutori – che non riguarda solo l’abito o i compiti che si svolgono, ma anche il modo di pensare, di guardare al mondo comprendendolo come un luogo in cui cresce e si sviluppa il Regno di Dio – permettono loro di essere vicini e di essere uno in più tra gli altri, e di raggiungere anche ambienti e persone che, altrimenti, sarebbero lontani dalla fede.

Quindi, questa vocazione del Salesiano Coadiutore non si riferirà tanto a ciò che si può o non si può farema a come essere nel fare. Così, tante volte troviamo coadiutori che svolgono compiti o proposte non usuali nell’attività salesiana, come lo era per il sig. Zatti fare l’infermiere.

La vocazione di Zatti come salesiano coadiutore non è frutto di una mancanza, perché “non ha altra scelta”, dato che la tubercolosi che aveva sofferto quando era nel seminario salesiano di Bernal gli impedì di continuare il suo sogno di essere sacerdote salesiano. Piuttosto, in base a quella circostanza, egli trova un altro modo per sviluppare la sua vita e il suo desiderio di servire ed essere felice. Come spesso accade, dal dolore e dal limite possono emergere un surplus d’amore ed orizzonti molto più ampi del previsto.

Questa vicinanza del sig. Zatti si esprime anche in un altro dettaglio: lui continua a muoversi in bicicletta. Gli offrirono di comprargli un’auto, per muoversi “più velocemente” e “raggiungere più persone”, di essere più efficace… un’offerta che rifiutò sempre. Preferisce la bicicletta, che gli permette di fermarsi e trascorrere del tempo con le persone.

Con gioia

Il dottor Ecay, medico dell’ospedale, una volta gli chiese: “Sig. Zatti, come fa a stare sempre di buon umore?” Al che Zatti rispose: “È facile, dottore: ingoiare amaro e sputare dolce”.

Avere un viso allegro e rispondere con umorismo, anche nelle circostanze più difficili, nasce da un cuore che è in pace con Dio e si sente amato da Lui, che sa relativizzare le situazioni, individuando l’essenziale.

Forse il sig. Zatti avrebbe potuto rispondere con un argomento incentrato sulla teologia della vita religiosa a quella persona che mandava i suoi saluti alla moglie… ma la sua risposta è stata diversa. Comprendendo anche che la vocazione del salesiano coadiutore è un po’ più sconosciuta e fraintesa, a volte pure con una mancanza di riconoscimento sociale dato il valore che la società ha della figura del sacerdote. Ma questo non preoccupa, né rattrista Zatti. Capisce che l’essenziale continuano ad essere le “persone” – Da mihi animas, caetera tolle – e il loro benessere, e a loro si dedica.

Le infermiere che alle volte lo sorprendevano alle 5:30 del mattino, prima della preghiera con la comunità salesiana, prostrato nella cappella con il viso premuto a terra in profonda preghiera, sanno dove Zatti trovava la forza per continuare a percorrere il cammino, a volte accidentato e difficile, del servizio agli altri.

In comunità

All’ospedale c’è sempre stata un’ottima squadra, che don Zatti ha formato a sua immagine e somiglianza. Vi lavoravano altri Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice, oltre a diversi medici e infermieri. In tutti, la motivazione iniziale è stata quella di poter aiutare i più bisognosi con professionalità e una visione integrale dell’essere umano. E, dal punto di vista di Zatti, aiutare coloro che lavoravano con lui a crescere nella fede.

Un medico, che aveva seri dubbi sulla sua fede, disse persino: “Di fronte a Zatti, la mia incredulità vacilla… se ci sono santi sulla terra, lui è uno di loro. Quando sto per prendere il bisturi in sala operatoria e lo vedo aiutare nelle operazioni, con la sua saggezza di infermiere e con il rosario in mano, l’atmosfera si riempie di qualcosa di soprannaturale…”.

La preghiera che invoca l’intercessione del sig. Zatti recita: “La gioia di vederlo risplendere nel Cielo dei tuoi santi ci aiuti a testimoniare la tua Luce”. Che la sua vita di seguace di Gesù nello stile di Don Bosco incoraggi tutti a saper riesaminare il nostro cammino e, nelle rispettive vocazioni e professioni, a lasciarsi plasmare da Dio nelle proprie azioni quotidiane.

Roberto Monarca

Fonte: Bollettino Salesiano dell’Argentina

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Economy of Francesco: i giovani, l’economia e la pace

 I popoli possono guidare le nazioni per superare i conflitti. Lo sottolinea Martina Pignatti, direttrice dei programmi di cooperazione di “Un Ponte Per”, ripercorrendo alcune riflessioni emerse durate i lavori di Economy of Francesco
Vatican News – pubblicato il 24/09/22

Amedeo Lomonaco – Assisi

 

Un processo, un cantiere di speranza e un laboratorio di pace. Così si può declinare Economy of Francesco, l’evento voluto dal Papa che in questa terza edizione, la prima in presenza, ha portato ad Assisi circa 1000 giovani economisti e imprenditori provenienti da 120 Paesi. Il tema della pace, in particolare, è stato al centro di vari incontri e dibattiti. Martina Pignatti, direttrice dei programmi di cooperazione della Ong “Un Ponte Per” sottolinea che “l’economia capitalista sta finanziando moltissimo l’industria militare e coloro che traggono profitto dalla guerra”.

 

Ad Assisi uno dei temi cruciali al centro di tavole rotonde e incontri è quello della pace. Come si può coniugare il tema della pace con una nuova visione dell’economia?

Ne parlavo con dei giovani economisti sudamericani e convenivamo sul fatto che la guerra è il risultato di un fallimento nel coordinamento anche degli attori: si pensa che gli attori economici dovrebbero pensare a quello che risulta conveniente per loro. Spesso cooperare, fidandosi gli uni degli altri, è il modo migliore per fare il proprio interesse personale. Quando non c’è l’intuizione che la nostra interdipendenza e la nostra fiducia reciproca possono promuovere il nostro interesse, allora scoppiano i conflitti. E purtroppo l’economia capitalista, in questo momento, sta finanziando moltissimo l’industria militare e coloro che traggono profitto proprio dalla guerra. E che quindi sottraggono risorse alle spese sociali e a tutto quello che potrebbe aiutarci a salvare noi stessi e il pianeta.

 

Tante volte Papa Francesco ha denunciato le sproporzioni della spesa militare…

Noi abbiamo proposto degli esempi molto pratici in questo caso: a luglio ero a Kiev, in Ucraina, a parlare con insegnanti, istituti per la pace e centri giovanili che lavorano sulla coesione sociale nel Paese. Un impegno per il dialogo e la comprensione tra chi parla russo e chi parla ucraino per far in modo che il tessuto sociale ucraino non venga smembrato dalla guerra. E che si mantenga uno spazio per gli obiettori di coscienza, uno spazio per la diversità, per la coesione sociale tra comunità ospitanti e sfollati interni. Questo non lo finanzia nessuno. Oltre ai miliardi spesi in armamenti e i milioni, troppo pochi, investiti in aiuti umanitari non ci sono fondi per chi è impegnato in un lavoro di pace. D’altra parte, neanche i pacifisti russi che stanno manifestando nelle strade e che vengono incarcerati, ricevono particolare sostegno dalla comunità internazionale. Per loro si deve costruire una economia di pace che costruisca relazioni diverse tra i popoli. E che aiutino i popoli a calcolare i sogni di pace, i ritorni anche economici dal lavoro di pace. Credo che per questo sia molto importante oggi riflettere sulle relazioni tra guerre e peace building.

 

A proposito di sogni di pace, c’è una storia di speranza in particolare che riecheggia anche qui ad Assisi?

Abbiamo parlato, nelle sessioni iniziali, molto di Iraq. Una ragazza irachena, Fatima, ci ha raccontato la sua esperienza. Quello che abbiamo visto in un Paese come questo – dove si sente parlare solo di conflitto armato e di milizie – è che quando diamo a persone che sono state vittime di una ideologia profondamente violenta, nel momento in cui vedono una alternativa e vengono invitate ad una iniziativa di pace, riescono a condividere ad esempio un pasto con persone di etnie diverse, in pochissimo tempo possono cambiare la loro visione del mondo. Abbiamo visto che programmi di peace building, nelle zone appena liberate dalla presenza del cosiddetto stato islamico, cambiano la prospettiva e la visione di queste persone. Ovviamente, succede molto più facilmente con i giovani. Bisogna avere fiducia sul fatto che promuovere processi di pace dal basso, in queste comunità, può portare anche una trasformazione politica di alto livello. Ricordiamoci che questo movimento per la pace è riuscito a convincere l’assemblea generale dell’Onu ad approvare un Trattato per l’abolizione delle armi nucleari. Quindi i popoli possono guidare le nazioni nella costruzione della pace. Dobbiamo continuare a crederci.

 

Scomparsa prematura di Leandro Ayala Gomez

Tutta la Comunità Accademica si stringe intorno ai Familiari e ai Confratelli del nostro studente Leandro Ayala Gomez, sacerdote della Diócesis de Socorro y San Gil.
Pochi giorni fa abbiamo dato la notizia della morte di Don Emilio Alberich, professore di catechetica. Dopo di lui, raggiunge il traguardo della vita, un caro allievo del nostro Istituto di Catechetica.
Dopo alcuni mesi di lotta contro un grave tumore, venerdì 16 settembre ha lasciato questa terra.
Sacerdote della diocesi di Socorro y San Gil (Colombia), era nato a Málaga – Santander, il 27 febbraio 1987. Dopo tre anni di studio presso la nostra Università, Facoltà di Scienze dell’Educazione stava per completare il ciclo di licenza in catechetica, redigendo la sua tesi. Nell’aprile scorso dopo l’infausta diagnosi e una delicata operazione chirurgica, aveva intrapreso la chemioterapia. Tutto sembrava mettersi per il meglio, ma il male aveva già intaccato diversi organi vitali. Su consiglio dei medici, dato l’aggravarsi della patologia, aveva fatto ritorno in Colombia, cosciente della gravità della malattia e di avere pochi giorni di vita.
Ci ha colpito la sua serenità nell’affrontare questa croce inattesa e il suo sorriso segnato da tristezza per il distacco dalle persone care, ma anche contraddistinto da fiducioso abbandono nelle mani di Colui che lo aveva chiamato alla vita, alla fede e al ministero sacerdotale. Il nostro pianto per lui è lenito dalla sua forza e dal suo coraggio.
Da oggi abbiamo un giovane catecheta in meno su questa terra, ma nello stesso tempo un umile e gioioso catecheta, in più, nel Cielo. A consegnare il titolo, purtroppo non conseguito su questa terra, e ad accoglierlo tra le braccia sarà l’unico Maestro e Signore, Gesù Cristo.
Carissimo Leandro, non ti dimenticheremo e resterà nel nostro cuore il ricordo di te, della tua gioia di vivere e della tua affabilità: testimonianza indelebile di risurrezione e di speranza. Anche tu ricordati di noi e intercedi per tutti i membri della Comunità Accademica dell’UPS e del “tuo” Istituto di Catechetica.
Don Giuseppe Ruta
Direttore dell’ICa