Web Report del Webinar: Cultura digitale e IRC. Opportunità e criticità 

Web Report

Aggiornamento per gli Insegnanti di Religione dei quattro Ordini scolastici, di scuola statale e paritaria, su un tema contemporaneo che caratterizza il territorio in cui si muovono bambini e ragazzi, protagonisti con i loro insegnanti della quotidianità scolastica.

Il Webinar, svoltosi nel pomeriggio del 31 marzo u.s. è stato momento di confronto con aspetti caratterizzanti la cultura digitale. Anche punto di ripresa di una lunga e apprezzata tradizione formativa, che per decenni ha espresso l’attenzione nei confronti dell’IRC e dei suoi Insegnanti da parte della Facoltà di Scienze dell’Educazione, attraverso le strutture e il personale dell’Istituto di Catechetica. Un terreno fertile ha ripreso ad essere lavorato dopo l’inevitabile sosta pandemica, con una progettazione che già dallo scorso autunno si è concretizzata in iniziative precise: il terzo numero 2022 della rivista “Catechetica ed Educazione”, un Seminario di ricerca e il momento formativo primaverile, a cui si cercherà di far seguire altre proposte, a partire già dalla prossima estate.

Quale questione fa da scenario alla riflessione offerta? Evidenziare e tematizzare categorie che permettano di interpretare la cultura contemporanea. Con particolare attenzione all’ambientazione scolastica, dunque con una decisa curvatura educativa. Secondo le esigenze tipiche dell’elaborazione del fenomeno religioso nel percorso di istruzione dei cittadini.

Un interrogativo sempre opportuno e da tenere attivo anche quando si affronta il “digitale”: di che parliamo? Il Prof. Fabio Pasqualetti ha accompagnato gli ascoltatori dietro le quinte del digitale, portando in chiaro gli intendimenti che sorreggono i meccanismi dei social ed evidenziando gli effetti sulla percezione culturale e sociale. La profilazione è l’obiettivo di tanta proposta mediatica e l’allargamento di orizzonti offerto dalla rete si rivela – al contrario – un rafforzamento della consuetudine del “simile col simile”, fino a raggiungere la contrazione sul presente e l’isolamento solipsistico. Ricadute etiche ed antropologiche, che si rivelano operative nell’avamposto culturale e sociale costituito dalla scuola.

Il Prof. Renato Butera ha offerto un’ampia explicatio terminorum, conducendo gli ascoltatori in un’escursione tra le narrazioni seriali e il loro influsso su comportamenti, emozioni, relazioni e religione. La serialità possiede serietà di intenti e soprattutto di conseguenze, innescando una circolarità ispirativa tra serie e società: la pervasività è ampia e profonda, tanto da creare un’infrastruttura culturale, che fiuta desideri, aspirazioni, bisogni, sogni, dà loro voce e crea tendenze, simbolica, identificazione, mentalità. Di nuovo si riaffaccia il tema etico ed antropologico, che chiede di muoversi in un universo fluido e di rivitalizzare una visione introspettiva, a mitigare la passività di quella meramente intrattenitiva.

I “nostri tempi” non esistono più. Questi sono tempi nuovi. In questi tempi nuovi tutti siamo protagonisti. Bambini, ragazzi e giovani che frequentano la scuola, tessono le loro relazioni in nuovi canali di condivisione e percezione della realtà. La religione, proposta ed elaborata nelle aule scolastiche, può avere una parola da dire.

 

Roma, 03 aprile 2023

Giampaolo Usai

Buona Pasqua !!!

La speranza è una realtà corale! Guardate, alle mie spalle, la scultura del Cristo Risorto (…) Osservate le mani del Cristo: sono come quelle di un maestro di coro. La destra è aperta: dirige tutto l’insieme dei coristi e, tendendo verso l’alto, sembra chiedere un crescendo nell’esecuzione. La sinistra, invece, pur rivolta a tutto il coro, ha l’indice puntato, come per convocare un solista, dicendo: “Tocca a te!”. Le mani del Cristo coinvolgono al tempo stesso il coro e il solista, perché nel concerto il ruolo dell’uno si accordi con quello dell’altro, in una costruttiva complementarità. Per favore: mai solisti senza coro. “Tocca a tutti voi!” e al tempo stesso: “Tocca a te!”. Questo dicono le mani del Risorto: a tutti voi e a te!  Mentre ne contempliamo i gesti, rinnoviamo allora il nostro impegno a “fare coro”, nella sintonia e nell’accordo delle voci, docili all’azione viva dello Spirito

(Papa Francesco)

 

L’ISTITUTO DI CATECHETICA VI AUGURA

UNA BUONA PASQUA DI RISURREZIONE!

 

 

 

Presentazione del volume: “Fare Catechesi in Italia. Tracce e percorsi per la formazione dei catechisti”

Venerdì 19 maggio 2023, ore 15:30

Aula della Facoltà di Scienze della Comunicazione Sociale – Università Pontificia Salesiana 

Scarica locandina in formato pdf

 

“Il momento storico che viviamo in Italia, in Europa e negli altri continenti è particolare: pandemia e guerra, crisi energetica e minacce all’ecosistema, ma anche desiderio di pace e fraternità, esigenza di conversione e di cambio di rotta. Il respiro impresso da papa Francesco e più volte ribadito e rilanciato negli incontri con la Chiesa italiana, attende di essere inculturato nel nostro contesto nazionale, con un rinnovato senso della ministerialità e della diakonia, con la promozione di una catechesi “in uscita”, nel segno della misericordia e come “laboratorio di dialogo” – come si esprime il recente Direttorio per la catechesi del 2020 (nn. 48-54)”.
Mons. Giulio Francesco Brambilla

 

 

 

L’Istituto di Catechetica di Roma (ICa),  Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Pontificia Salesiana, dopo aver curato la ricerca nazionale Catechisti oggi in Italia (LAS, Roma 2021), con il coordinamento di Ubaldo Montisci promuove questa piattaforma aggiornata per la formazione dei catechisti avvalendosi di specialisti in campo catechetico, nelle scienze teologiche, dell’educazione e della comunicazione, conosciuti in Italia e all’estero.

Il volume offre un percorso per la formazione dei catechisti di oggi in Italia, sviluppata in sette parti.

– La prima parte delinea l’orizzonte e presenta le coordinate della cultura oggi in Italia, anche religiosa e pastorale.

– La seconda parte presenta il focus specifico della catechesi. Si entra in merito al linguaggio e ai linguaggi, al contenuto e al metodo della catechesi, richiamando il rapporto tra pedagogia di Dio e pedagogia umana, l’impianto narrativo, dialogico e linguistico, la cultura digitale, la funzione dei catechismi e dei testi scritti e multimendiali.

– La terza parte si sofferma sul punto determinante e centrale dell’identità e della formazione dei catechisti.

– La quarta parte approfondisce la visione della catechesi come processo. Sono presentate le fasi e le dinamiche del kerigma e del “primo annuncio”, della catechesi di iniziazione e delle forme di ripresa iniziatica da parte di giovani e adulti, della catechesi permanente con gli adulti, della catechesi familiare e “intergenerazionale”.

– La quinta parte considera la catechesi in contesto, in modo particolare nella Chiesa locale.

– La sesta parte, a confine, tratta dell’Insegnamento della Religione Cattolica che rientra nell’ambito del “patto educativo” con e per le nuove generazioni.

– La settima parte propone una veduta panoramica sulla scienza catechetica sia nella sua caratterizzazione epistemologica, sia in quella formativa.

È delineata, infine, la proposta formativa dell’ICa che cura questo volume, e di altri Centri presenti in Italia.

 

 

LA COMPETENZA RICONSIDERATA

Carissime exallieve e carissimi exallievi dell’ICa di Roma,

chiediamo il vostro aiuto ai fini di una ricerca in corso sulla competenza catechetica nel nostro Istituto.

Riteniamo importante il contributo di ciascuno di voi per un’attenta verifica, una analisi della situazione attuale e per progettare percorsi di formazione catechetici fedeli alla tradizione dell’ICA e rispondenti alle sfide attuali. Anche se “rubiamo” un po’ del vostro tempo, riteniamo preziose le risposte che ci darete con schiettezza e onestà professionale.

 

Riceverete a breve una mail dalla piattaforma di riferimento su cui rispondere e vi chiediamo la cortesia di inviare le risposte possibilmente entro e non oltre il 16 aprile c.a.

 

Non ci rimane che dirVi grazie.

 

Un fraterno saluto a tutti voi con l’augurio di pace per la Pasqua ormai prossima

 

Don Giuseppe Ruta

Membri dell’ICA e del team di Ricerca

Gli auguri della Presidenza CEI a Papa Francesco

Di seguito il Messaggio di auguri della Presidenza CEI al Santo Padre in occasione del decimo anniversario dell’elezione al Soglio pontificio.

Beatissimo Padre,
sono passati dieci anni da quel “buona sera” con cui si presentò alla Chiesa e al mondo intero; da allora le Sue parole e i Suoi gesti hanno continuato a toccare il cuore, a sorprendere, a parlare a tutti e a ciascuno.
Quel saluto è stato l’inizio di un dialogo: in questo tempo, ci ha aiutato a capire quanto il Vangelo sia attraente, persuasivo, capace di rispondere ai tanti interrogativi della storia e ad ascoltare le domande che affiorano nelle pieghe dell’esistenza umana.
Ci ha insegnato a uscire, a stare in mezzo alla strada e soprattutto ad andare nelle periferie, per capire chi siamo. Possiamo conoscere davvero noi stessi solo guardando dall’esterno, da quelle prime periferie che sono i poveri: Lei ci ha spinto a incontrarli, a vederli, a toccarli, a fare di loro i nostri fratelli più piccoli. Perché, come ci ha ricordato più volte, la nostra non è una fede da laboratorio, ma un cammino, nella Storia, da compiere insieme.
Vogliamo esprimerLe la nostra gratitudine per aver accolto l’eredità di Benedetto XVI e per averci accompagnato, a partire dall’Anno della Fede, incoraggiandoci a vivere da cristiani nelle tante contraddizioni, sfide e pandemie di questo mondo. Con l’impegno a “tracciare insieme sentieri di pace”, perché “solo la pace che nasce dall’amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare le crisi personali, sociali e mondiali” (Messaggio per la Giornata mondiale della pace, 1° gennaio 2023).
Insieme alle Chiese che sono in Italia Le porgiamo i più cari auguri per questo anniversario, assicurandoLe la nostra vicinanza operosa e la nostra preghiera.

 

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Webinar “Cultura digitale e IRC. Opportunità e criticità”

31 marzo 2023

Sede: Sala Facoltà di Scienze di Comunicazione sociale dell’UPS per i partecipanti in presenza.

 

Dopo il Seminario di Studio La domanda formativa degli Insegnanti di Religione, realizzato il 3 dicembre 2022, l’équipe di Pedagogia religiosa dell’Istituto di Catechetica propone un Webinar.

Tema: «Cultura digitale e IRC. Opportunità e criticità».

Nell’orizzonte dato dal tema “Categorie per interpretare la cultura contemporanea”, quale scenario determinano le serie tv digitali e i social media? Quali emozioni e sentimenti vengono suscitati? Quale idea di relazione, famiglia, religione, società sta dietro la tessitura del digitale?

Destinatari: Gli Insegnanti di Religione di scuola statale e paritaria di ogni ordine e grado.

Metodica: Attività in presenza oppure on-line, con accesso libero e iscrizione obbligatoria.

Data: Venerdì 31/03/2023.

Ore 17:00-19:30.

 

Programma

17.00-17.15: Saluto delle Autorità e Presentazione

17.15-17.55: Prima Relazione: F. Pasqualetti «Dietro le quinte dei social». Meccanismi dei social ed effetti sulla percezione culturale e sociale.

17.55-18.15: Question Time.

18.15-18.55: Seconda Relazione: R. Butera «Serietà della serialità?!». Narrazioni seriali e influsso sulla quotidianità: comportamenti, emozioni, relazioni, religione.

18.55-19.15: Question Time.

19.15-19.30: Conclusioni.

Responsabili: Équipe IRC: Proff. C. Carnevale, S. Cicatelli, G. Cursio, A. Peron, G. Usai

Coordinatore: Prof. Corrado Pastore

 

Sussidio liturgico Quaresima 2023

Sussidio proposto dall’Ufficio Liturgico Nazionale, in collaborazione con il Settore Biblico dell’Ufficio Catechistico Nazionale, il Servizio Nazionale per la Pastorale delle persone con disabilità e la Caritas Italiana.
21 Febbraio 2023

«Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2Cor 6,2). Le parole indirizzate dall’apostolo Paolo alla comunità cristiana di Corinto aprono il cammino della Quaresima, tempo di grazia che il Signore Gesù ci dona per ritornare a lui con tutto il cuore e ricominciare una vita nuova, al di là di tutti i nostri fallimenti.

I gesti di carità, le parole della preghiera, i frutti del digiuno di questo tempo di guarigione dell’anima ci aiuteranno a celebrare le festività pasquali «non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità» (1Cor 5,8).

Se la Quaresima è il tempo della conversione, i cinquanta giorni di Pasqua sono un «laetissimum spatium» per uscire dall’oscurità della notte e vivere l’incontro con il Risorto, gustare la gioia e alimentare la speranza, crescere nella comunione e raccontare le meraviglie da Dio compiute.

Seguendo la suggestiva immagine dei “Cantieri”, che accompagna il cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, il sussidio, proposto dall’Ufficio Liturgico Nazionale, in collaborazione con il Settore Biblico dell’Ufficio Catechistico Nazionale, il Servizio Nazionale per la Pastorale delle persone con disabilità e la Caritas Italiana, potrà risultare utile per i presbiteri, chiamati a crescere nell’arte del celebrare, e per le nostre assemblee, desiderose di vivere con verità la purificazione quaresimale e la gioia della Pasqua.

 

 Giuseppe Baturi
Segretario Generale della CEI


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Proposta di canto:
Spezza il tuo pane

Musica: Matteo Lattarulo
Testo ispirato a Is 58
Forma: Canzone
Uso liturgico: Comunione e Presentazione dei doni
Voci: Antonio Di Marco e Francesca Pillon
Organo: Carlo Paniccià

      • Spartito: PDF
      • File audio: MP3


Quaresima 2023 “Ascesi quaresimale, itinerario sinodale”

Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio di Papa Francesco per la Quaresima 2023 sul tema “Ascesi quaresimale, itinerario sinodale”. 

 

Cari fratelli e sorelle!
I vangeli di Matteo, Marco e Luca sono concordi nel raccontare l’episodio della Trasfigurazione di Gesù. In questo avvenimento vediamo la risposta del Signore all’incomprensione che i suoi discepoli avevano manifestato nei suoi confronti. Poco prima, infatti, c’era stato un vero e proprio scontro tra il Maestro e Simon Pietro, il quale, dopo aver professato la sua fede in Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio, aveva respinto il suo annuncio della passione e della croce. Gesù lo aveva rimproverato con forza: «Va’ dietro a me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” (Mt 16,23). Ed ecco che «sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte» (Mt 17,1).
Il Vangelo della Trasfigurazione viene proclamato ogni anno nella seconda Domenica di Quaresima. In effetti, in questo tempo liturgico il Signore ci prende con sé e ci conduce in disparte. Anche se i nostri impegni ordinari ci chiedono di rimanere nei luoghi di sempre, vivendo un quotidiano spesso ripetitivo e a volte noioso, in Quaresima siamo invitati a “salire su un alto monte” insieme a Gesù, per vivere con il Popolo santo di Dio una particolare esperienza di ascesi.
L’ascesi quaresimale è un impegno, sempre animato dalla Grazia, per superare le nostre mancanze di fede e le resistenze a seguire Gesù sul cammino della croce. Proprio come ciò di cui aveva bisogno Pietro e gli altri discepoli. Per approfondire la nostra conoscenza del Maestro, per comprendere e accogliere fino in fondo il mistero della salvezza divina, realizzata nel dono totale di sé per amore, bisogna lasciarsi condurre da Lui in disparte e in alto, distaccandosi dalle mediocrità e dalle vanità. Bisogna mettersi in cammino, un cammino in salita, che richiede sforzo, sacrificio e concentrazione, come una escursione in montagna. Questi requisiti sono importanti anche per il cammino sinodale che, come Chiesa, ci siamo impegnati a realizzare. Ci farà bene riflettere su questa relazione che esiste tra l’ascesi quaresimale e l’esperienza sinodale.
Nel “ritiro” sul monte Tabor, Gesù porta con sé tre discepoli, scelti per essere testimoni di un avvenimento unico. Vuole che quella esperienza di grazia non sia solitaria, ma condivisa, come
lo è, del resto, tutta la nostra vita di fede. Gesù lo si segue insieme. E insieme, come Chiesa pellegrina nel tempo, si vive l’anno liturgico e, in esso, la Quaresima, camminando con coloro che il Signore ci ha posto accanto come compagni di viaggio. Analogamente all’ascesa di Gesù e dei discepoli al Monte Tabor, possiamo dire che il nostro cammino quaresimale è “sinodale”, perché lo compiamo insieme sulla stessa via, discepoli dell’unico Maestro. Sappiamo, anzi, che Lui stesso è la Via, e dunque, sia nell’itinerario liturgico sia in quello del Sinodo, la Chiesa altro non fa che entrare sempre più profondamente e pienamente nel mistero di Cristo Salvatore.
E arriviamo al momento culminante. Narra il Vangelo che Gesù «fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce» (Mt 17,2). Ecco
la “cima”, la meta del cammino. Al termine della salita, mentre stanno sull’alto monte con Gesù, ai tre discepoli è data la grazia di vederlo nella sua gloria, splendente di luce soprannaturale, che non veniva da fuori, ma si irradiava da Lui stesso. La divina bellezza di questa visione fu incomparabilmente superiore a qualsiasi fatica che i discepoli potessero aver fatto nel salire sul Tabor. Come in ogni impegnativa escursione in montagna: salendo bisogna tenere lo sguardo ben fisso al sentiero; ma il panorama che si spalanca alla fine sorprende e ripaga per la sua meraviglia. Anche il processo sinodale appare spesso arduo e a volte ci potremmo scoraggiare. Ma quello che ci attende al termine è senz’altro qualcosa di meraviglioso e sorprendente, che ci aiuterà a comprendere meglio la volontà di Dio e la nostra missione al servizio del suo Regno.
L’esperienza dei discepoli sul Monte Tabor si arricchisce ulteriormente quando, accanto a Gesù trasfigurato, appaiono Mosè ed Elia, che impersonano rispettivamente la Legge e i Profeti (cfr
Mt 17,3). La novità del Cristo è compimento dell’antica Alleanza e delle promesse; è inseparabile dalla storia di Dio con il suo popolo e ne rivela il senso profondo. Analogamente, il percorso
sinodale è radicato nella tradizione della Chiesa e al tempo stesso aperto verso la novità. La tradizione è fonte di ispirazione per cercare strade nuove, evitando le opposte tentazioni dell’immobilismo e della sperimentazione improvvisata.
Il cammino ascetico quaresimale e, similmente, quello sinodale, hanno entrambi come meta una trasfigurazione, personale ed ecclesiale. Una trasformazione che, in ambedue i casi, trova il suo
modello in quella di Gesù e si opera per la grazia del suo mistero pasquale. Affinché tale trasfigurazione si possa realizzare in noi quest’anno, vorrei proporre due “sentieri” da seguire per
salire insieme a Gesù e giungere con Lui alla meta. Il primo fa riferimento all’imperativo che Dio Padre rivolge ai discepoli sul Tabor, mentre contemplano Gesù trasfigurato. La voce dalla nube dice: «Ascoltatelo» (Mt 17,5). Dunque la prima indicazione è molto chiara: ascoltare Gesù. La Quaresima è tempo di grazia nella misura in cui ci mettiamo in ascolto di Lui che ci parla. E come ci parla? Anzitutto nella Parola di Dio, che la Chiesa ci offre nella Liturgia: non lasciamola cadere nel vuoto; se non possiamo partecipare sempre alla Messa, leggiamo le Letture bibliche giorno per giorno, anche con l’aiuto di internet. Oltre che nelle Scritture, il Signore ci parla nei fratelli, soprattutto nei volti e nelle storie di coloro che hanno bisogno di aiuto. Ma vorrei aggiungere anche un altro aspetto, molto importante nel processo sinodale: l’ascolto di Cristo passa anche attraverso l’ascolto dei fratelli e delle sorelle nella Chiesa, quell’ascolto reciproco che in alcune fasi è l’obiettivo principale ma che comunque rimane sempre indispensabile nel metodo e nello stile di una Chiesa sinodale.
All’udire la voce del Padre, «i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: “Alzatevi e non temete”. Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo» (Mt 17,6-8). Ecco la seconda indicazione per questa Quaresima: non rifugiarsi in una religiosità fatta di eventi straordinari, di esperienze suggestive, per paura di affrontare la realtà con le sue fatiche quotidiane, le sue durezze e le sue contraddizioni. La luce che Gesù mostra ai discepoli è un anticipo della gloria pasquale, e verso quella bisogna andare, seguendo “Lui solo”. La Quaresima è orientata alla Pasqua: il “ritiro” non è fine a sé stesso, ma ci prepara a vivere con fede, speranza e amore la passione e la croce, per giungere alla risurrezione.
Anche il percorso sinodale non deve illuderci di essere arrivati quando Dio ci dona la grazia di alcune esperienze forti di comunione. Anche lì il Signore ci ripete: «Alzatevi e non temete».
Scendiamo nella pianura, e la grazia sperimentata ci sostenga nell’essere artigiani di sinodalità nella vita ordinaria delle nostre comunità. Cari fratelli e sorelle, lo Spirito Santo ci animi in questa Quaresima nell’ascesa con Gesù, per fare esperienza del suo splendore divino e così, rafforzati nella fede, proseguire insieme il cammino con Lui, gloria del suo popolo e luce delle genti.

Roma, San Giovanni in Laterano, 25 gennaio, festa della Conversione di San Paolo

FRANCESCO

Essere missionarie oggi

di LUCIA CAPUZZI giornalista di «Avvenire»

Donne che vanno oltre. Così, parafrasando Madeleine Delbrêl, possiamo definire le missionarie. Quelle che partono verso orizzonti lontani e luoghi remoti in cui vivono e, spesso, muoiono da martiri, nel senso di testimoni. E quelle che, «senza battello», oltrepassano frontiere culturali, sociali e spirituali per raggiungere l’altro. Come ci ricorda papa Francesco nel messaggio per la scorsa Giornata missionaria mondiale: «La Chiesa di Cristo era, è e sarà sempre “in uscita” verso i nuovi orizzonti geografici, sociali, esistenziali, verso i luoghi e le situazioni umane “di confine”, per rendere testimonianza di Cristo e del suo amore a tutti gli uomini e le donne di ogni popolo, cultura, stato sociale. In questo senso, la missione sarà sempre anche missio ad gentes, come ci ha insegnato il Concilio Vaticano II, perché la Chiesa dovrà sempre spingersi oltre, oltre i propri confini, per testimoniare a tutti l’amore di Cristo».

Non è possibile tracciare un identikit rigido delle missionarie poiché la parola “missione” ingloba un contenuto plurale, multidimensionale, policromo. Fino alla seconda metà del Novecento, il termine veniva impiegato, in base all’accezione conferitale dai gesuiti nel XVI secolo, per indicare delle attività speciali della Chiesa. Nel boom missionario dell’Ottocento, si riferisce alla figura un po’ romantica del presbitero inviato ufficialmente dalla gerarchia ecclesiastica in un Paese non cristiano con il mandato di convertire la popolazione e edificare una comunità ecclesiale.
Una formula che, paradossalmente, esclude le donne. Eppure, proprio questo periodo, vede il fiorire di straordinarie figure: le grandi suore missionarie, da Francesca Saverio Cabrini, apostola dei migranti, a Laura Montoya, pioniera della difesa degli indigeni amazzonici. Donne che sono andate oltre in molti sensi, inclusi i pregiudizi nei propri confronti.
È il primo gennaio 1872 quando tre ragazze, Maria Caspio, Luigia Zago e Isabella Zadrich, danno vita al nucleo originario di quello che poi sarà il primo Istituto femminile esclusivamente missionario nato in Italia: le Pie madri della Nigrizia, ora comboniane. Il fondatore, Daniele Comboni, è consapevole dell’audacia della scelta e delle perplessità che rischiava di suscitare. A farlo perseverare è la convinzione profonda della necessità delle donne, testimoni della compassione di Dio per i poveri. Per questo, paragona le “sue” suore a «un sacerdote e più di un prete». Esse sono – scrive – «una vera immagine delle antiche donne del Vangelo, che, con la stessa facilità con la quale insegnano l’abc agli orfani abbandonati in Europa, affrontano mesi di lunghi viaggi a 60 gradi, attraversano deserti su cammelli, e cavalcano cavalli, dormono all’aperto, sotto un albero o in un angolo di una barca araba, aiutano i malati e chiedono giustizia dai Pascià per gl’infelici e gli oppressi. Loro non temono il ruggito del leone, affrontano tutti i lavori, viaggi disastrosi e la morte, per conquistare le anime per la Chiesa». Altri istituti verranno costituiti negli anni immediatamente successivi: le suore saveriane, le suore della Consolata, le missionarie dell’Immacolata.

A mandare in crisi il concetto “classico” di missione e di missionario o missionaria è la sua associazione all’espansione coloniale dell’Occidente. Una certa narrativa cerca di integrare la trasmissione della fede nell’opera “civilizzatrice dell’uomo bianco” nei confronti di popoli “primitivi o selvaggi”. È il concilio Vaticano II a fare piazza pulita di ogni ambiguità e a dare uno spessore inedito all’impulso missionario. La missione non è uno dei tanti uffici ecclesiali bensì dimensione costitutiva della Chiesa che partecipa alla missio Dei. In tale ottica, si configura come un dinamismo il cui fine è raggiungere il mondo intero per trasformarlo in Popolo di Dio. Quest’ultimo è missionario poiché Dio lo è.

Nell’ecclesiologia odierna, la Chiesa è considerata essenzialmente missionaria: esiste mentre è inviata e mentre si costituisce
in vista della sua missione. Una svolta ben descritta nell’articolo della storica Raffaella Perin [a pag. 12]. Evangelii gaudium, ispirato dal documento di Aparecida e dagli stimoli del Sinodo sulla Nuova evangelizzazione, riprende con forza questa prospettiva.

Nella “Chiesa in uscita” di cui parla papa Francesco, stile, attività, orari, linguaggio e struttura sono trasformati dalla scelta
missionaria, che ne costituisce il perno. La riforma della Curia romana, contenuta nella Costituzione apostolica Praedicate evangelium, ne è l’incarnazione concreta, come illustrato dalla canonista Donata Horak [a pag. 18].
Essere missionari è, dunque, un modo di essere comunità ecclesiale. Non è sociologia. La missione non è una Ong, come ripete il Pontefice. Non è, cioè, un’attività istituzionalizzata, una funzione da svolgere, un impegno da portare a termine, seppure a fini benefici e caritativi. È la natura della Chiesa. Il motore del suo agire. Riguarda il cuore del Vangelo: inquietudine per chi è escluso e passione per il Regno. Come afferma Agostino Rigon, direttore generale del Festival della missione: «Se Dio si preoccupa del mondo interno, anche il campo della missio Dei è il mondo intero: ogni essere umano e tutti gli aspetti della sua esistenza».
È la fraternità a spingere l’uomo o la donna a farsi prossimo dei caduti agli angoli delle vie, ovunque essi si trovino: indigeni espulsi dalle loro terre, vittime di tratta, bimbi schiavi, rom intrappolati nelle periferie delle città, migranti condannati a un invisibile pellegrinare. Ad aiutarli a rialzarsi e ad accettare di essere rialzato da loro.

Perché gli scartati sono maestri, di vita e di fede, come mette in luce un inedito progetto del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale che ha realizzato una sorta di “cattedra dei poveri di teologia”. Un gruppo di esperti ha rivolto le grandi domande della teologia a un gruppo di marginali fra i marginali. Le risposte, un distillato di Vangelo.
Da ciò, però, sorge un interrogativo cruciale. Se tutti i battezzati e le battezzate sono necessariamente missionari, ha ancora senso la scelta di quanti – laici e religiosi – lasciano il proprio Paese e si recano in luoghi lontani per annunciare il Vangelo con la vita e con le opere? «Ovviamente sono convinta di sì», afferma Marta Pettenazzo, religiosa delle missionarie di Nostra Signora degli Apostoli e prima donna a guidare tra il 2014 e il 2019 la Conferenza degli istituti missionari italiani (CIMI). «L’impegno missionario riguarda ciascuno e ciascuna. Alcuni e alcune, tuttavia, hanno la chiamata dedicare tutta la loro esistenza e talenti alla testimonianza del Vangelo, dentro e fuori dal proprio Paese». Una missione, dunque, intesa a trecentosessanta gradi e rivolta alla fragilità umana ovunque essa si trovi.

Se l’orizzonte geografico non è più dominante, esso, tuttavia, non è scomparso. «La cosiddetta missio ad extra, cioè vissuta in altre nazioni rispetto alla propria, è una delle dimensioni della missione e continua ad essere la priorità per alcuni Istituti o congregazioni. Al cuore di
questa scelta non si colloca tanto lo spostamento fisico quanto l’attitudine esistenziale che implica la disponibilità a partire. Significa lasciare il tuo noto per andare verso qualcos’altro. E quando lo fai, ti metti necessariamente nell’attitudine dell’imparare. La missione mi ha insegnato che doni solo nel modo in cui in cui impari», sottolinea suor Marta. Di nuovo, spunta la dimensione “dell’andare oltre” in cui il
contributo delle donne diventa fondamentale. Lo è sempre stato: la prima missionaria della storia della cristianità è Maddalena, come ci racconta la biblista Marinella Perroni [a pag. 16]. La missione contemporanea, al cui cuore si collocano il prendersi cura e l’accompagnare, ha però un volto molto femminile, come dimostra il caleidoscopio di storie raccolte in questo numero. Da quella di Lisa Clark, missionaria della nonviolenza nella società civile e all’interno delle istituzioni, alla vicenda di suor Zvonka Mikec, dell’Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, una vita missionaria in Africa, incontrata a Roma dalla scrittrice Tea Ranno, ex allieva delle salesiane. Il recupero del femminile, associato a lungo a irrazionalità e incapacità di gestione, come sostiene il teologo protestante David Bosch, è fondamentale per liberare il concetto di missione da ogni pretesa di dominio, da ogni ansia performativa, da ogni paradigma efficientista.

Solo il missionario che al vigore abbina la tenerezza sa creare spazi di autentica gratuità. Certo, tale atteggiamento mentale e spirituale richiede un percorso di formazione integrale che resta una delle sfide aperte. Istituti e congregazioni, per le religiose e o le laiche che vi appartengono, sempre più abbinano alla teologia di base studi avanzati di missionologia, oltre a un curriculum specifico per la mansione che andranno a svolgere nelle diverse opere, dalla sanità all’istruzione. «Certo, andrebbe potenziata maggiormente la parte sull’interculturalità», dice suor Marta. Per quante, invece, scelgono di partire con associazioni o attraverso la diocesi, oltre alla formazione interna, esistono dei corsi specifici, tra cui quello del Centro unitario per la formazione missionaria (CUM) di Verona.
La nota dolente, specie in tempi di recessione mondiale, resta il sostentamento. Solidarietà e opere sono le prime fonti anche se perennemente insufficienti. Spesso il contributo dei benefattori copre la realizzazione di progetti specifici. Più difficile, però, trovare fondi per il mantenimento, indispensabile affinché le missionarie possano dedicarsi a tempo pieno agli ultimi. Religiose e laiche spesso optano
per l’inserimento nelle diocesi dei Paesi di accoglienza.

Rimane, tuttavia, da risolvere la questione di rendere il contributo riconosciuto per il loro impegno nella pastorale, pienamente adeguato rispetto al lavoro svolto e idoneo a sostenersi. Una modalità, ancora pionieristica, che si va affermando è quella di comunità missionarie intercongregazionali e, a volte, miste, che consentano di sperimentare appieno relazioni di reciprocità tra i generi.
Insomma, la missione del XXI secolo non può fare a meno delle donne. «La loro creatività è indispensabile per affrontare le situazioni limite nelle quali sei immersa in missione. Per me missionaria è colei che contribuisce a partorire la fede sia in chi non la conosce sia in quanti hanno perso il senso». Una “levatrice del Va n g e l o ” che non ha l’ansia di battezzare o, peggio, di conquistare proseliti bensì cerca di aprire finestre per far entrare il soffio dello Spirito nelle donne e negli uomini di questo tempo.

 

DONNE CHIESA MOND O
MENSILE DELL’OSSERVATORE ROMANO NUMERO 119 FEBBRAIO 2023 CITTÀ DEL VAT I C A N O