Buona Pasqua !!!

La speranza è una realtà corale! Guardate, alle mie spalle, la scultura del Cristo Risorto (…) Osservate le mani del Cristo: sono come quelle di un maestro di coro. La destra è aperta: dirige tutto l’insieme dei coristi e, tendendo verso l’alto, sembra chiedere un crescendo nell’esecuzione. La sinistra, invece, pur rivolta a tutto il coro, ha l’indice puntato, come per convocare un solista, dicendo: “Tocca a te!”. Le mani del Cristo coinvolgono al tempo stesso il coro e il solista, perché nel concerto il ruolo dell’uno si accordi con quello dell’altro, in una costruttiva complementarità. Per favore: mai solisti senza coro. “Tocca a tutti voi!” e al tempo stesso: “Tocca a te!”. Questo dicono le mani del Risorto: a tutti voi e a te!  Mentre ne contempliamo i gesti, rinnoviamo allora il nostro impegno a “fare coro”, nella sintonia e nell’accordo delle voci, docili all’azione viva dello Spirito

(Papa Francesco)

 

L’ISTITUTO DI CATECHETICA VI AUGURA

UNA BUONA PASQUA DI RISURREZIONE!

 

 

 

Presentazione del volume: “Fare Catechesi in Italia. Tracce e percorsi per la formazione dei catechisti”

Venerdì 19 maggio 2023, ore 15:30

Aula della Facoltà di Scienze della Comunicazione Sociale – Università Pontificia Salesiana 

Scarica locandina in formato pdf

 

“Il momento storico che viviamo in Italia, in Europa e negli altri continenti è particolare: pandemia e guerra, crisi energetica e minacce all’ecosistema, ma anche desiderio di pace e fraternità, esigenza di conversione e di cambio di rotta. Il respiro impresso da papa Francesco e più volte ribadito e rilanciato negli incontri con la Chiesa italiana, attende di essere inculturato nel nostro contesto nazionale, con un rinnovato senso della ministerialità e della diakonia, con la promozione di una catechesi “in uscita”, nel segno della misericordia e come “laboratorio di dialogo” – come si esprime il recente Direttorio per la catechesi del 2020 (nn. 48-54)”.
Mons. Giulio Francesco Brambilla

 

 

 

L’Istituto di Catechetica di Roma (ICa),  Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Pontificia Salesiana, dopo aver curato la ricerca nazionale Catechisti oggi in Italia (LAS, Roma 2021), con il coordinamento di Ubaldo Montisci promuove questa piattaforma aggiornata per la formazione dei catechisti avvalendosi di specialisti in campo catechetico, nelle scienze teologiche, dell’educazione e della comunicazione, conosciuti in Italia e all’estero.

Il volume offre un percorso per la formazione dei catechisti di oggi in Italia, sviluppata in sette parti.

– La prima parte delinea l’orizzonte e presenta le coordinate della cultura oggi in Italia, anche religiosa e pastorale.

– La seconda parte presenta il focus specifico della catechesi. Si entra in merito al linguaggio e ai linguaggi, al contenuto e al metodo della catechesi, richiamando il rapporto tra pedagogia di Dio e pedagogia umana, l’impianto narrativo, dialogico e linguistico, la cultura digitale, la funzione dei catechismi e dei testi scritti e multimendiali.

– La terza parte si sofferma sul punto determinante e centrale dell’identità e della formazione dei catechisti.

– La quarta parte approfondisce la visione della catechesi come processo. Sono presentate le fasi e le dinamiche del kerigma e del “primo annuncio”, della catechesi di iniziazione e delle forme di ripresa iniziatica da parte di giovani e adulti, della catechesi permanente con gli adulti, della catechesi familiare e “intergenerazionale”.

– La quinta parte considera la catechesi in contesto, in modo particolare nella Chiesa locale.

– La sesta parte, a confine, tratta dell’Insegnamento della Religione Cattolica che rientra nell’ambito del “patto educativo” con e per le nuove generazioni.

– La settima parte propone una veduta panoramica sulla scienza catechetica sia nella sua caratterizzazione epistemologica, sia in quella formativa.

È delineata, infine, la proposta formativa dell’ICa che cura questo volume, e di altri Centri presenti in Italia.

 

 

LA COMPETENZA RICONSIDERATA

Carissime exallieve e carissimi exallievi dell’ICa di Roma,

chiediamo il vostro aiuto ai fini di una ricerca in corso sulla competenza catechetica nel nostro Istituto.

Riteniamo importante il contributo di ciascuno di voi per un’attenta verifica, una analisi della situazione attuale e per progettare percorsi di formazione catechetici fedeli alla tradizione dell’ICA e rispondenti alle sfide attuali. Anche se “rubiamo” un po’ del vostro tempo, riteniamo preziose le risposte che ci darete con schiettezza e onestà professionale.

 

Riceverete a breve una mail dalla piattaforma di riferimento su cui rispondere e vi chiediamo la cortesia di inviare le risposte possibilmente entro e non oltre il 16 aprile c.a.

 

Non ci rimane che dirVi grazie.

 

Un fraterno saluto a tutti voi con l’augurio di pace per la Pasqua ormai prossima

 

Don Giuseppe Ruta

Membri dell’ICA e del team di Ricerca

Gli auguri della Presidenza CEI a Papa Francesco

Di seguito il Messaggio di auguri della Presidenza CEI al Santo Padre in occasione del decimo anniversario dell’elezione al Soglio pontificio.

Beatissimo Padre,
sono passati dieci anni da quel “buona sera” con cui si presentò alla Chiesa e al mondo intero; da allora le Sue parole e i Suoi gesti hanno continuato a toccare il cuore, a sorprendere, a parlare a tutti e a ciascuno.
Quel saluto è stato l’inizio di un dialogo: in questo tempo, ci ha aiutato a capire quanto il Vangelo sia attraente, persuasivo, capace di rispondere ai tanti interrogativi della storia e ad ascoltare le domande che affiorano nelle pieghe dell’esistenza umana.
Ci ha insegnato a uscire, a stare in mezzo alla strada e soprattutto ad andare nelle periferie, per capire chi siamo. Possiamo conoscere davvero noi stessi solo guardando dall’esterno, da quelle prime periferie che sono i poveri: Lei ci ha spinto a incontrarli, a vederli, a toccarli, a fare di loro i nostri fratelli più piccoli. Perché, come ci ha ricordato più volte, la nostra non è una fede da laboratorio, ma un cammino, nella Storia, da compiere insieme.
Vogliamo esprimerLe la nostra gratitudine per aver accolto l’eredità di Benedetto XVI e per averci accompagnato, a partire dall’Anno della Fede, incoraggiandoci a vivere da cristiani nelle tante contraddizioni, sfide e pandemie di questo mondo. Con l’impegno a “tracciare insieme sentieri di pace”, perché “solo la pace che nasce dall’amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare le crisi personali, sociali e mondiali” (Messaggio per la Giornata mondiale della pace, 1° gennaio 2023).
Insieme alle Chiese che sono in Italia Le porgiamo i più cari auguri per questo anniversario, assicurandoLe la nostra vicinanza operosa e la nostra preghiera.

 

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Webinar “Cultura digitale e IRC. Opportunità e criticità”

31 marzo 2023

Sede: Sala Facoltà di Scienze di Comunicazione sociale dell’UPS per i partecipanti in presenza.

 

Dopo il Seminario di Studio La domanda formativa degli Insegnanti di Religione, realizzato il 3 dicembre 2022, l’équipe di Pedagogia religiosa dell’Istituto di Catechetica propone un Webinar.

Tema: «Cultura digitale e IRC. Opportunità e criticità».

Nell’orizzonte dato dal tema “Categorie per interpretare la cultura contemporanea”, quale scenario determinano le serie tv digitali e i social media? Quali emozioni e sentimenti vengono suscitati? Quale idea di relazione, famiglia, religione, società sta dietro la tessitura del digitale?

Destinatari: Gli Insegnanti di Religione di scuola statale e paritaria di ogni ordine e grado.

Metodica: Attività in presenza oppure on-line, con accesso libero e iscrizione obbligatoria.

Data: Venerdì 31/03/2023.

Ore 17:00-19:30.

 

Programma

17.00-17.15: Saluto delle Autorità e Presentazione

17.15-17.55: Prima Relazione: F. Pasqualetti «Dietro le quinte dei social». Meccanismi dei social ed effetti sulla percezione culturale e sociale.

17.55-18.15: Question Time.

18.15-18.55: Seconda Relazione: R. Butera «Serietà della serialità?!». Narrazioni seriali e influsso sulla quotidianità: comportamenti, emozioni, relazioni, religione.

18.55-19.15: Question Time.

19.15-19.30: Conclusioni.

Responsabili: Équipe IRC: Proff. C. Carnevale, S. Cicatelli, G. Cursio, A. Peron, G. Usai

Coordinatore: Prof. Corrado Pastore

 

Sussidio liturgico Quaresima 2023

Sussidio proposto dall’Ufficio Liturgico Nazionale, in collaborazione con il Settore Biblico dell’Ufficio Catechistico Nazionale, il Servizio Nazionale per la Pastorale delle persone con disabilità e la Caritas Italiana.
21 Febbraio 2023

«Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2Cor 6,2). Le parole indirizzate dall’apostolo Paolo alla comunità cristiana di Corinto aprono il cammino della Quaresima, tempo di grazia che il Signore Gesù ci dona per ritornare a lui con tutto il cuore e ricominciare una vita nuova, al di là di tutti i nostri fallimenti.

I gesti di carità, le parole della preghiera, i frutti del digiuno di questo tempo di guarigione dell’anima ci aiuteranno a celebrare le festività pasquali «non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità» (1Cor 5,8).

Se la Quaresima è il tempo della conversione, i cinquanta giorni di Pasqua sono un «laetissimum spatium» per uscire dall’oscurità della notte e vivere l’incontro con il Risorto, gustare la gioia e alimentare la speranza, crescere nella comunione e raccontare le meraviglie da Dio compiute.

Seguendo la suggestiva immagine dei “Cantieri”, che accompagna il cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, il sussidio, proposto dall’Ufficio Liturgico Nazionale, in collaborazione con il Settore Biblico dell’Ufficio Catechistico Nazionale, il Servizio Nazionale per la Pastorale delle persone con disabilità e la Caritas Italiana, potrà risultare utile per i presbiteri, chiamati a crescere nell’arte del celebrare, e per le nostre assemblee, desiderose di vivere con verità la purificazione quaresimale e la gioia della Pasqua.

 

 Giuseppe Baturi
Segretario Generale della CEI


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Proposta di canto:
Spezza il tuo pane

Musica: Matteo Lattarulo
Testo ispirato a Is 58
Forma: Canzone
Uso liturgico: Comunione e Presentazione dei doni
Voci: Antonio Di Marco e Francesca Pillon
Organo: Carlo Paniccià

      • Spartito: PDF
      • File audio: MP3


Quaresima 2023 “Ascesi quaresimale, itinerario sinodale”

Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio di Papa Francesco per la Quaresima 2023 sul tema “Ascesi quaresimale, itinerario sinodale”. 

 

Cari fratelli e sorelle!
I vangeli di Matteo, Marco e Luca sono concordi nel raccontare l’episodio della Trasfigurazione di Gesù. In questo avvenimento vediamo la risposta del Signore all’incomprensione che i suoi discepoli avevano manifestato nei suoi confronti. Poco prima, infatti, c’era stato un vero e proprio scontro tra il Maestro e Simon Pietro, il quale, dopo aver professato la sua fede in Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio, aveva respinto il suo annuncio della passione e della croce. Gesù lo aveva rimproverato con forza: «Va’ dietro a me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” (Mt 16,23). Ed ecco che «sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte» (Mt 17,1).
Il Vangelo della Trasfigurazione viene proclamato ogni anno nella seconda Domenica di Quaresima. In effetti, in questo tempo liturgico il Signore ci prende con sé e ci conduce in disparte. Anche se i nostri impegni ordinari ci chiedono di rimanere nei luoghi di sempre, vivendo un quotidiano spesso ripetitivo e a volte noioso, in Quaresima siamo invitati a “salire su un alto monte” insieme a Gesù, per vivere con il Popolo santo di Dio una particolare esperienza di ascesi.
L’ascesi quaresimale è un impegno, sempre animato dalla Grazia, per superare le nostre mancanze di fede e le resistenze a seguire Gesù sul cammino della croce. Proprio come ciò di cui aveva bisogno Pietro e gli altri discepoli. Per approfondire la nostra conoscenza del Maestro, per comprendere e accogliere fino in fondo il mistero della salvezza divina, realizzata nel dono totale di sé per amore, bisogna lasciarsi condurre da Lui in disparte e in alto, distaccandosi dalle mediocrità e dalle vanità. Bisogna mettersi in cammino, un cammino in salita, che richiede sforzo, sacrificio e concentrazione, come una escursione in montagna. Questi requisiti sono importanti anche per il cammino sinodale che, come Chiesa, ci siamo impegnati a realizzare. Ci farà bene riflettere su questa relazione che esiste tra l’ascesi quaresimale e l’esperienza sinodale.
Nel “ritiro” sul monte Tabor, Gesù porta con sé tre discepoli, scelti per essere testimoni di un avvenimento unico. Vuole che quella esperienza di grazia non sia solitaria, ma condivisa, come
lo è, del resto, tutta la nostra vita di fede. Gesù lo si segue insieme. E insieme, come Chiesa pellegrina nel tempo, si vive l’anno liturgico e, in esso, la Quaresima, camminando con coloro che il Signore ci ha posto accanto come compagni di viaggio. Analogamente all’ascesa di Gesù e dei discepoli al Monte Tabor, possiamo dire che il nostro cammino quaresimale è “sinodale”, perché lo compiamo insieme sulla stessa via, discepoli dell’unico Maestro. Sappiamo, anzi, che Lui stesso è la Via, e dunque, sia nell’itinerario liturgico sia in quello del Sinodo, la Chiesa altro non fa che entrare sempre più profondamente e pienamente nel mistero di Cristo Salvatore.
E arriviamo al momento culminante. Narra il Vangelo che Gesù «fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce» (Mt 17,2). Ecco
la “cima”, la meta del cammino. Al termine della salita, mentre stanno sull’alto monte con Gesù, ai tre discepoli è data la grazia di vederlo nella sua gloria, splendente di luce soprannaturale, che non veniva da fuori, ma si irradiava da Lui stesso. La divina bellezza di questa visione fu incomparabilmente superiore a qualsiasi fatica che i discepoli potessero aver fatto nel salire sul Tabor. Come in ogni impegnativa escursione in montagna: salendo bisogna tenere lo sguardo ben fisso al sentiero; ma il panorama che si spalanca alla fine sorprende e ripaga per la sua meraviglia. Anche il processo sinodale appare spesso arduo e a volte ci potremmo scoraggiare. Ma quello che ci attende al termine è senz’altro qualcosa di meraviglioso e sorprendente, che ci aiuterà a comprendere meglio la volontà di Dio e la nostra missione al servizio del suo Regno.
L’esperienza dei discepoli sul Monte Tabor si arricchisce ulteriormente quando, accanto a Gesù trasfigurato, appaiono Mosè ed Elia, che impersonano rispettivamente la Legge e i Profeti (cfr
Mt 17,3). La novità del Cristo è compimento dell’antica Alleanza e delle promesse; è inseparabile dalla storia di Dio con il suo popolo e ne rivela il senso profondo. Analogamente, il percorso
sinodale è radicato nella tradizione della Chiesa e al tempo stesso aperto verso la novità. La tradizione è fonte di ispirazione per cercare strade nuove, evitando le opposte tentazioni dell’immobilismo e della sperimentazione improvvisata.
Il cammino ascetico quaresimale e, similmente, quello sinodale, hanno entrambi come meta una trasfigurazione, personale ed ecclesiale. Una trasformazione che, in ambedue i casi, trova il suo
modello in quella di Gesù e si opera per la grazia del suo mistero pasquale. Affinché tale trasfigurazione si possa realizzare in noi quest’anno, vorrei proporre due “sentieri” da seguire per
salire insieme a Gesù e giungere con Lui alla meta. Il primo fa riferimento all’imperativo che Dio Padre rivolge ai discepoli sul Tabor, mentre contemplano Gesù trasfigurato. La voce dalla nube dice: «Ascoltatelo» (Mt 17,5). Dunque la prima indicazione è molto chiara: ascoltare Gesù. La Quaresima è tempo di grazia nella misura in cui ci mettiamo in ascolto di Lui che ci parla. E come ci parla? Anzitutto nella Parola di Dio, che la Chiesa ci offre nella Liturgia: non lasciamola cadere nel vuoto; se non possiamo partecipare sempre alla Messa, leggiamo le Letture bibliche giorno per giorno, anche con l’aiuto di internet. Oltre che nelle Scritture, il Signore ci parla nei fratelli, soprattutto nei volti e nelle storie di coloro che hanno bisogno di aiuto. Ma vorrei aggiungere anche un altro aspetto, molto importante nel processo sinodale: l’ascolto di Cristo passa anche attraverso l’ascolto dei fratelli e delle sorelle nella Chiesa, quell’ascolto reciproco che in alcune fasi è l’obiettivo principale ma che comunque rimane sempre indispensabile nel metodo e nello stile di una Chiesa sinodale.
All’udire la voce del Padre, «i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: “Alzatevi e non temete”. Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo» (Mt 17,6-8). Ecco la seconda indicazione per questa Quaresima: non rifugiarsi in una religiosità fatta di eventi straordinari, di esperienze suggestive, per paura di affrontare la realtà con le sue fatiche quotidiane, le sue durezze e le sue contraddizioni. La luce che Gesù mostra ai discepoli è un anticipo della gloria pasquale, e verso quella bisogna andare, seguendo “Lui solo”. La Quaresima è orientata alla Pasqua: il “ritiro” non è fine a sé stesso, ma ci prepara a vivere con fede, speranza e amore la passione e la croce, per giungere alla risurrezione.
Anche il percorso sinodale non deve illuderci di essere arrivati quando Dio ci dona la grazia di alcune esperienze forti di comunione. Anche lì il Signore ci ripete: «Alzatevi e non temete».
Scendiamo nella pianura, e la grazia sperimentata ci sostenga nell’essere artigiani di sinodalità nella vita ordinaria delle nostre comunità. Cari fratelli e sorelle, lo Spirito Santo ci animi in questa Quaresima nell’ascesa con Gesù, per fare esperienza del suo splendore divino e così, rafforzati nella fede, proseguire insieme il cammino con Lui, gloria del suo popolo e luce delle genti.

Roma, San Giovanni in Laterano, 25 gennaio, festa della Conversione di San Paolo

FRANCESCO

Essere missionarie oggi

di LUCIA CAPUZZI giornalista di «Avvenire»

Donne che vanno oltre. Così, parafrasando Madeleine Delbrêl, possiamo definire le missionarie. Quelle che partono verso orizzonti lontani e luoghi remoti in cui vivono e, spesso, muoiono da martiri, nel senso di testimoni. E quelle che, «senza battello», oltrepassano frontiere culturali, sociali e spirituali per raggiungere l’altro. Come ci ricorda papa Francesco nel messaggio per la scorsa Giornata missionaria mondiale: «La Chiesa di Cristo era, è e sarà sempre “in uscita” verso i nuovi orizzonti geografici, sociali, esistenziali, verso i luoghi e le situazioni umane “di confine”, per rendere testimonianza di Cristo e del suo amore a tutti gli uomini e le donne di ogni popolo, cultura, stato sociale. In questo senso, la missione sarà sempre anche missio ad gentes, come ci ha insegnato il Concilio Vaticano II, perché la Chiesa dovrà sempre spingersi oltre, oltre i propri confini, per testimoniare a tutti l’amore di Cristo».

Non è possibile tracciare un identikit rigido delle missionarie poiché la parola “missione” ingloba un contenuto plurale, multidimensionale, policromo. Fino alla seconda metà del Novecento, il termine veniva impiegato, in base all’accezione conferitale dai gesuiti nel XVI secolo, per indicare delle attività speciali della Chiesa. Nel boom missionario dell’Ottocento, si riferisce alla figura un po’ romantica del presbitero inviato ufficialmente dalla gerarchia ecclesiastica in un Paese non cristiano con il mandato di convertire la popolazione e edificare una comunità ecclesiale.
Una formula che, paradossalmente, esclude le donne. Eppure, proprio questo periodo, vede il fiorire di straordinarie figure: le grandi suore missionarie, da Francesca Saverio Cabrini, apostola dei migranti, a Laura Montoya, pioniera della difesa degli indigeni amazzonici. Donne che sono andate oltre in molti sensi, inclusi i pregiudizi nei propri confronti.
È il primo gennaio 1872 quando tre ragazze, Maria Caspio, Luigia Zago e Isabella Zadrich, danno vita al nucleo originario di quello che poi sarà il primo Istituto femminile esclusivamente missionario nato in Italia: le Pie madri della Nigrizia, ora comboniane. Il fondatore, Daniele Comboni, è consapevole dell’audacia della scelta e delle perplessità che rischiava di suscitare. A farlo perseverare è la convinzione profonda della necessità delle donne, testimoni della compassione di Dio per i poveri. Per questo, paragona le “sue” suore a «un sacerdote e più di un prete». Esse sono – scrive – «una vera immagine delle antiche donne del Vangelo, che, con la stessa facilità con la quale insegnano l’abc agli orfani abbandonati in Europa, affrontano mesi di lunghi viaggi a 60 gradi, attraversano deserti su cammelli, e cavalcano cavalli, dormono all’aperto, sotto un albero o in un angolo di una barca araba, aiutano i malati e chiedono giustizia dai Pascià per gl’infelici e gli oppressi. Loro non temono il ruggito del leone, affrontano tutti i lavori, viaggi disastrosi e la morte, per conquistare le anime per la Chiesa». Altri istituti verranno costituiti negli anni immediatamente successivi: le suore saveriane, le suore della Consolata, le missionarie dell’Immacolata.

A mandare in crisi il concetto “classico” di missione e di missionario o missionaria è la sua associazione all’espansione coloniale dell’Occidente. Una certa narrativa cerca di integrare la trasmissione della fede nell’opera “civilizzatrice dell’uomo bianco” nei confronti di popoli “primitivi o selvaggi”. È il concilio Vaticano II a fare piazza pulita di ogni ambiguità e a dare uno spessore inedito all’impulso missionario. La missione non è uno dei tanti uffici ecclesiali bensì dimensione costitutiva della Chiesa che partecipa alla missio Dei. In tale ottica, si configura come un dinamismo il cui fine è raggiungere il mondo intero per trasformarlo in Popolo di Dio. Quest’ultimo è missionario poiché Dio lo è.

Nell’ecclesiologia odierna, la Chiesa è considerata essenzialmente missionaria: esiste mentre è inviata e mentre si costituisce
in vista della sua missione. Una svolta ben descritta nell’articolo della storica Raffaella Perin [a pag. 12]. Evangelii gaudium, ispirato dal documento di Aparecida e dagli stimoli del Sinodo sulla Nuova evangelizzazione, riprende con forza questa prospettiva.

Nella “Chiesa in uscita” di cui parla papa Francesco, stile, attività, orari, linguaggio e struttura sono trasformati dalla scelta
missionaria, che ne costituisce il perno. La riforma della Curia romana, contenuta nella Costituzione apostolica Praedicate evangelium, ne è l’incarnazione concreta, come illustrato dalla canonista Donata Horak [a pag. 18].
Essere missionari è, dunque, un modo di essere comunità ecclesiale. Non è sociologia. La missione non è una Ong, come ripete il Pontefice. Non è, cioè, un’attività istituzionalizzata, una funzione da svolgere, un impegno da portare a termine, seppure a fini benefici e caritativi. È la natura della Chiesa. Il motore del suo agire. Riguarda il cuore del Vangelo: inquietudine per chi è escluso e passione per il Regno. Come afferma Agostino Rigon, direttore generale del Festival della missione: «Se Dio si preoccupa del mondo interno, anche il campo della missio Dei è il mondo intero: ogni essere umano e tutti gli aspetti della sua esistenza».
È la fraternità a spingere l’uomo o la donna a farsi prossimo dei caduti agli angoli delle vie, ovunque essi si trovino: indigeni espulsi dalle loro terre, vittime di tratta, bimbi schiavi, rom intrappolati nelle periferie delle città, migranti condannati a un invisibile pellegrinare. Ad aiutarli a rialzarsi e ad accettare di essere rialzato da loro.

Perché gli scartati sono maestri, di vita e di fede, come mette in luce un inedito progetto del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale che ha realizzato una sorta di “cattedra dei poveri di teologia”. Un gruppo di esperti ha rivolto le grandi domande della teologia a un gruppo di marginali fra i marginali. Le risposte, un distillato di Vangelo.
Da ciò, però, sorge un interrogativo cruciale. Se tutti i battezzati e le battezzate sono necessariamente missionari, ha ancora senso la scelta di quanti – laici e religiosi – lasciano il proprio Paese e si recano in luoghi lontani per annunciare il Vangelo con la vita e con le opere? «Ovviamente sono convinta di sì», afferma Marta Pettenazzo, religiosa delle missionarie di Nostra Signora degli Apostoli e prima donna a guidare tra il 2014 e il 2019 la Conferenza degli istituti missionari italiani (CIMI). «L’impegno missionario riguarda ciascuno e ciascuna. Alcuni e alcune, tuttavia, hanno la chiamata dedicare tutta la loro esistenza e talenti alla testimonianza del Vangelo, dentro e fuori dal proprio Paese». Una missione, dunque, intesa a trecentosessanta gradi e rivolta alla fragilità umana ovunque essa si trovi.

Se l’orizzonte geografico non è più dominante, esso, tuttavia, non è scomparso. «La cosiddetta missio ad extra, cioè vissuta in altre nazioni rispetto alla propria, è una delle dimensioni della missione e continua ad essere la priorità per alcuni Istituti o congregazioni. Al cuore di
questa scelta non si colloca tanto lo spostamento fisico quanto l’attitudine esistenziale che implica la disponibilità a partire. Significa lasciare il tuo noto per andare verso qualcos’altro. E quando lo fai, ti metti necessariamente nell’attitudine dell’imparare. La missione mi ha insegnato che doni solo nel modo in cui in cui impari», sottolinea suor Marta. Di nuovo, spunta la dimensione “dell’andare oltre” in cui il
contributo delle donne diventa fondamentale. Lo è sempre stato: la prima missionaria della storia della cristianità è Maddalena, come ci racconta la biblista Marinella Perroni [a pag. 16]. La missione contemporanea, al cui cuore si collocano il prendersi cura e l’accompagnare, ha però un volto molto femminile, come dimostra il caleidoscopio di storie raccolte in questo numero. Da quella di Lisa Clark, missionaria della nonviolenza nella società civile e all’interno delle istituzioni, alla vicenda di suor Zvonka Mikec, dell’Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, una vita missionaria in Africa, incontrata a Roma dalla scrittrice Tea Ranno, ex allieva delle salesiane. Il recupero del femminile, associato a lungo a irrazionalità e incapacità di gestione, come sostiene il teologo protestante David Bosch, è fondamentale per liberare il concetto di missione da ogni pretesa di dominio, da ogni ansia performativa, da ogni paradigma efficientista.

Solo il missionario che al vigore abbina la tenerezza sa creare spazi di autentica gratuità. Certo, tale atteggiamento mentale e spirituale richiede un percorso di formazione integrale che resta una delle sfide aperte. Istituti e congregazioni, per le religiose e o le laiche che vi appartengono, sempre più abbinano alla teologia di base studi avanzati di missionologia, oltre a un curriculum specifico per la mansione che andranno a svolgere nelle diverse opere, dalla sanità all’istruzione. «Certo, andrebbe potenziata maggiormente la parte sull’interculturalità», dice suor Marta. Per quante, invece, scelgono di partire con associazioni o attraverso la diocesi, oltre alla formazione interna, esistono dei corsi specifici, tra cui quello del Centro unitario per la formazione missionaria (CUM) di Verona.
La nota dolente, specie in tempi di recessione mondiale, resta il sostentamento. Solidarietà e opere sono le prime fonti anche se perennemente insufficienti. Spesso il contributo dei benefattori copre la realizzazione di progetti specifici. Più difficile, però, trovare fondi per il mantenimento, indispensabile affinché le missionarie possano dedicarsi a tempo pieno agli ultimi. Religiose e laiche spesso optano
per l’inserimento nelle diocesi dei Paesi di accoglienza.

Rimane, tuttavia, da risolvere la questione di rendere il contributo riconosciuto per il loro impegno nella pastorale, pienamente adeguato rispetto al lavoro svolto e idoneo a sostenersi. Una modalità, ancora pionieristica, che si va affermando è quella di comunità missionarie intercongregazionali e, a volte, miste, che consentano di sperimentare appieno relazioni di reciprocità tra i generi.
Insomma, la missione del XXI secolo non può fare a meno delle donne. «La loro creatività è indispensabile per affrontare le situazioni limite nelle quali sei immersa in missione. Per me missionaria è colei che contribuisce a partorire la fede sia in chi non la conosce sia in quanti hanno perso il senso». Una “levatrice del Va n g e l o ” che non ha l’ansia di battezzare o, peggio, di conquistare proseliti bensì cerca di aprire finestre per far entrare il soffio dello Spirito nelle donne e negli uomini di questo tempo.

 

DONNE CHIESA MOND O
MENSILE DELL’OSSERVATORE ROMANO NUMERO 119 FEBBRAIO 2023 CITTÀ DEL VAT I C A N O

Perché la giornata della vita consacrata si celebra il giorno della Candelora?

Matilde Latorre – Edifa – pubblicato su Aleteia.org il 02/02/23

E come ringraziare un religioso o una religiosa il giorno della sua festa?

“Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore, come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà consacrato al Signore»; e per offrire il sacrificio di cui parla la legge del Signore, di un paio di tortore o di due giovani colombi”

Lc 2, 22-24

Quaranta giorni dopo il Natale, la festa della Presentazione di Gesù al Tempio commemora questo evento.

Gesù viene offerto a Dio dai Suoi genitori. Quel giorno, il Messia è andato incontro ai credenti.

Per bocca del vecchio Simeone, ispirato dallo Spirito Santo, è stata rivelata la “luce per illuminare le genti”. Attraverso le sue parole profetiche, l’anziano ha annunciato l’offerta di Gesù al Padre sulla croce e la Sua vittoria finale sulla morte (Lc 2, 32-35).

Quel giorno nella casa di Dio si è manifestato il Consacrato del Padre venuto al mondo per salvare tutti gli uomini.

Maria, Sua madre, si unisce a Lui in uno stesso movimento di oblazione per la salvezza del mondo.

 

Donazione totale a Dio

La Presentazione di Gesù al Tempio è un’icona eloquente del totale dono di Sé a Dio, soprattutto per tutti coloro che, osservando i consigli evangelici, sono chiamati a riprodurre nella Chiesa e nel modo “i tratti caratteristici di Gesù: vergine, povero e obbediente” (San Giovanni Paolo II, esortazione apostolica Vita consecrata).

E la Vergine Maria che offre il Bambino a Dio esprime molto bene l’atteggiamento della Chiesa che continua a offrire i suoi figli e le sue figlie al Padre.

In questo modo, li associa all’unico sacrificio di Cristo, causa e modello di ogni consacrazione nella Chiesa.

La profetessa Anna, come Simeone, aspettava il Messia e vegliava nel Tempio. Allo stesso modo, la prima vocazione di chi segue Cristo con cuore indiviso è stare in comunione con Lui. Questo si fa ascoltando la Sua parola e lodando Dio con umiltà e costanza.

La sua vita troverà allora un’eco profonda nel cuore degli uomini. San Giovanni Paolo II auspicava “che la celebrazione della Giornata della Vita consacrata raduni le persone consacrate insieme con gli altri fedeli per cantare con la Vergine Maria le meraviglie che il Signore compie in tanti suoi figli e figlie” – Messaggio per la I Giornata della Vita Consacrata, 1997.

Voleva poi che questa festa manifestasse a tutti che la vocazione di popolo santo di Dio è essere consacrati totalmente a Lui.

 

Perché una Giornata della Vita Consacrata?

San Giovanni Paolo II vedeva in questa festa almeno un triplice obiettivo.

1. Lodare e rendere grazie

“In primo luogo, essa risponde all’intimo bisogno di lodare più solennemente il Signore e ringraziarlo per il grande dono della vita consacrata”, scriveva nel suo Messaggio.

Gesù, nella Sua obbedienza e nella Sua consacrazione al Padre, ci dice quanto Dio sia con noi.

Lo stesso fanno le persone consacrate, perché attraverso la loro piena appartenenza al Signore, la loro forma di vivere e di operare e la dedizione nei confronti degli uomini, sono un segno eloquente e un forte annuncio della presenza di Dio oggi nel mondo.

“È questo il primo servizio che la vita consacrata rende alla Chiesa e al mondo. All’interno del Popolo di Dio essi sono come sentinelle che scorgono e annunciano la vita nuova già presente nella nostra storia”, sottolineava Benedetto XVI il 2 febbraio 2006.

2. Promuovere e apprezzare la vita consacrata

“In secondo luogo, questa Giornata ha lo scopo di promuovere la conoscenza e la stima per la vita consacrata da parte dell’intero popolo di Dio”, scriveva Giovanni Paolo II per la I Giornata della Vita Consacrata.

Lo ha spiegato ai consacrati anche il 2 febbraio 2000:

“La testimonianza escatologica appartiene all’essenza della vostra vocazione. I voti di povertà, di obbedienza e di castità per il Regno di Dio costituiscono un messaggio che voi lanciate al mondo circa il definitivo destino dell’uomo. E’ un messaggio prezioso: “chi attende vigile il compimento delle promesse di Cristo è in grado di infondere speranza anche ai suoi fratelli e sorelle, spesso sfiduciati e pessimisti riguardo al futuro”.

E aggiungeva:

“[La vita consagrata] è, dunque, speciale e vivente memoria del suo essere di Figlio che fa del Padre il suo unico Amore – ecco la sua verginità -, che in Lui trova la sua esclusiva ricchezza – ecco la sua povertà – ed ha nella volontà del Padre il “cibo” di cui si nutre – ecco la sua obbedienza.

Questa forma di vita, abbracciata da Cristo e resa presente particolarmente dalle persone consacrate, è di grande importanza per la Chiesa, chiamata in ogni suo membro a vivere la stessa tensione verso il Tutto di Dio, seguendo Cristo nella luce e nella potenza dello Spirito Santo.

La vita di speciale consacrazione, nelle sue molteplici espressioni, è così al servizio della consacrazione battesimale di tutti i fedeli. Nel contemplare il dono della vita consacrata, la Chiesa contempla la sua intima vocazione di appartenere solo al suo Signore, desiderosa d’essere ai suoi occhi “senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa ed immacolata” (Ef 5, 27).

Ben si comprende, dunque, l’opportunità di una apposita Giornata che faccia sì che la dottrina sulla vita consacrata sia più largamente e più profondamente meditata ed assimilata da tutti i membri del popolo di Dio”.

3. Celebrare la vita consacrata

Il terzo motivo, come spiegava San Giovanni Paolo II nella I Giornata della Vita Consacrata, riguardava le persone già consacrate, “invitate a celebrare congiuntamente e solennemente le meraviglie che il Signore ha operato in loro, per scoprire con più lucido sguardo di fede i raggi della divina bellezza diffusi dallo Spirito nel loro genere di vita e per prendere più viva consapevolezza della loro insostituibile missione nella Chiesa e nel mondo”.

Missionari in un convento?

Il mondo attuale è caratterizzato da compromessi e distrazioni, da doveri assorbenti e realità accattivanti.

In questo contesto, questa Giornata contribuisce a mostrare con maggiore intensità e urgenza la responsabilità dei consacrati di incarnare con gioia e serenità la vita e il messaggio del Figlio di Dio.

Annunciano così nelle situazioni più diverse che il Signore è per l’uomo il vero amore, la vera ricchezza, la via di realizzazione più sicura.

Una vita consacrata piena di gioia e di Spirito Santo sulle vie della missione. È questo il servizio più grande prestato all’uomo di oggi.

E l’insegnamento principale soggiacente e che rappresenta la base di tutte le missioni specifiche dei vari carismi è questo:

“L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri… o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”

San Paolo VI, esortazione apostolica sull’evangelizzazione nel mondo contemporaneo Evangelii nuntiandi, 1975, n.º 41

Un grande apporto alla Chiesa

Per San Giovanni Paolo II, l’istituzione di questa Giornata nella festa della Presentazione di Gesù al Tempio apportava quindi un sostegno alla missione della Chiesa.

In primo luogo, alla missione nel mondo, perché coloro che ancora non hanno conosciuto Cristo possano avvicinarsi a Lui attraverso queste persone, che per la donazione totale di sé testimoniano che Cristo è il Figlio unigenito, l’Inviato del Padre.

Il Papa sottolineava che la nuova evangelizzazione si rende possibile ed efficace grazie a persone che possono presentare il Vangelo nella sua pienezza e mostrare il volto materno della Chiesa, ancella degli uomini e delle donne del nostro tempo.

Si assicurava anche di apportare in questo modo un sostegno concreto alla pastorale delle Chiese locali:

“Confido che questa “Giornata” di preghiera e di riflessione aiuti le Chiese particolari a valorizzare sempre di più il dono della vita consacrata ed a misurarsi col suo messaggio, per trovare il giusto e fecondo equilibrio tra azione e contemplazione, tra preghiera e carità, tra impegno nella storia e tensione escatologica. La Vergine Maria, che ebbe l’altissimo privilegio di presentare al Padre Gesù Cristo, suo Figlio Unigenito, come oblazione pura e santa, ci ottenga di essere costantemente aperti e accoglienti nei confronti delle grandi opere che Egli non cessa di compiere per il bene della Chiesa e dell’intera l’umanità”.

Il 2 febbraio 2006, Papa Benedetto XVI ha formulato questa preghiera e si è rivolto alle persone consacrate:

“Il Signore rinnovi ogni giorno in voi e in tutte le persone consacrate la risposta gioiosa al suo amore gratuito e fedele. Cari fratelli e sorelle, come ceri accesi, irradiate sempre e in ogni luogo l’amore di Cristo, luce del mondo. Maria Santissima, la Donna consacrata, vi aiuti a vivere appieno questa vostra speciale vocazione e missione nella Chiesa per la salvezza del mondo”.

Come ringraziare un religioso o una religiosa il giorno della sua festa?

La Giornata della Vita Consacrata è un’ottima opportunità per aiuutare tutta la Chiesa a valorizzare sempre di più la testimonianza di chi ha deciso di seguire Cristo da vicino nella vita religiosa. Ecco qualche gesto di apprezzamento nei confronti di una religiosa o un religioso.

1. Offrite e chiedete preghiere

Come credenti, la prima cosa che possiamo e dobbiamo fare è pregare per i religiosi, quelli che conosciamo e quelli che non conosciamo. Se potete, prendetevi un momento nella giornata per partecipare all’Eucaristia, per unirvi spiritualmente a loro e chiedere a Dio di assisterli nelle situazioni difficili che vivono.

L’aspetto più curioso dei religiosi, soprattutto di quelli contemplativi, è che li si rende felici più si chiede loro di pregare. Molti di questi uomini e di queste donne hanno consacrato la loro vita a Dio per pregare per noi, e il regalo più grande che possiamo fare loro consiste proprio nel condividere con loro le nostre intenzioni di preghiera.

Grazie al coordinamento dellaFundación DeClausura, i membri Aleteia Family hanno a disposizione la possibilità di condividere le loro intenzioni con 550 monasteri, compilando in modo del tutto gratuito questo formulario QUI

2. Scrivete un messaggio o pubblicate un post sulle vostre reti sociali

Tradizionalmente, questo giorno era quello giusto per chiedere alle persone di inviare via posta una lettera di ringraziamento o sostegno a uno o vari religiosi. Si può fare anche oggi, anche se i nativi digitali non sanno nemmeno come infilare una busta in una buca delle lettere.

Se preferite, potete inviare a un consacrato un messaggio di posta elettronica, o scrivergliene uno nell’applicazione di messaggi istantanei che usate, o ancora usare un post nelle vostre reti sociali. Se usate quest’ultima opzione, sarà interessante vedere la reazione dei vostri amici.

3. Comprate uno dei loro prodotti o servizi

Molti consacrati vivono dei proventi della vendita del loro lavoro. Comprare i loro prodotti è un gesto concreto per dimostrare sostegno e riconoscimento. Si tratta inoltre di prodotti di qualità, fatti con amore e in preghiera.

4. Offrite una donazione

Ovviamente, una donazione è un gesto eloquente di riconoscenza e apprezzamento per quello che i religiosi fanno per la società, la Chiesa e noi.

5. Leggete una biografia

Potete infine leggere una biografia di un religioso o una religiosa, che vi aiuterà a comprendere tutto quello che abbiamo spiegato in questa sede. Potete scegliere, ad esempio, la vita o gli scritti di uno dei fondatori di ordini o congregazioni religiose, o farvi ispirare da uno dei grandi mistici.

Alcune biografie appassionanti raccontano la vita di Francesco d’Assisi, fondatore dell’Ordine Francescano, di Domingo de Guzmán, fondatore dell’Ordine dei Predicatori (Domenicani), di Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù (Gesuiti), o di Teresa d’Avila, fondatrice dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi.

E buona festa ai consacrati e alle consacrate!