Earth

La trama Cinque miliardi di anni fa un imponente asteroide si abbatté su una Terra ancora giovane, spostandola a esattamente 23,5 gradi di inclinazione rispetto al sole.
Questo incidente cosmico si è rivelato un assoluto miracolo, perché senza questa fondamentale inclinazione tutto sarebbe stato decisamente diverso.
E’ questo che ha creato la spettacolare varietà di territori diversi sul nostro pianeta, gli estremi del caldo e del freddo e, cosa più importante, le stagioni che cambiano nel corso dell’anno.
Cast tenico Regia:Alastair Fothergill , Mark Linfield Sceneggiatura:Alastair Fothergill , Mark Linfield Musiche:George Fenton Montaggio:Martin Elsbury CastVoce narrante: Paolo Bonolis Dati Anno:2007 Nazione:S tati Uniti d’America / Germania / Stati Uniti d’America Distribuzione: Buena Vista Durata: 98 min Data uscita in Italia: 22 aprile 2009 Genere:documentario  Dolce.
Violento.
Emozionante.
Appassionante.
Pericoloso.
Intenso.
Uno spettacolo che ha luogo tutti i giorni, tutte le stagioni, tutti gli anni proprio qui, sul nostro Pianeta: tra i ghiacci del Polo come nel deserto africano, nel blu degli oceani come nella foresta pluviale, l’avventura della vita sulla Terra va avanti.
Una sorta di reality show di incredibile forza e bellezza, lontano dall’occhio indiscreto dell’uomo.
Non sempre, però.
Perché a volte i registi di documentari riescono a cogliere l’attimo, a filmare abitudini e comportamenti delle altre specie, violandone – in senso buono – i segreti.
E realizzando ottimi prodotti destinati quasi sempre alla tv, un po’ meno frequentemente (vedi La marcia dei pinguini, Il popolo migratore e altri) al cinema.
Ma forse mai nessuno è riuscito a portare sugli schermi una vera e propria summa della vita degli animali, e del ciclo delle loro migrazioni, come gli autori di Earth: pellicola in arrivo nei nostri cinema il prossimo 22 aprile (Giornata mondiale della Terra), e che sarà proiettata anche al Reggio Calabria Film Festival.
Un vero e proprio docu-kolossal.
Sponsorizzato da un marchio prestigioso come la Disney, che proprio con questo progetto ambizioso inaugura la sua nuova divisione, Disney Nature: con un occhio all’ambiente e uno al business, produrrà ogni anno opere a contenuto naturalistico.
Narrata dalla voce italiana di Paolo Bonolis (scelta nazionalpopolare per attrarre il grande pubblico), l’avventura di Earth segue il ciclo delle stagioni legandolo alle migrazioni delle varie specie.
Risultato: un reality show appassionante che parla di vita e di morte, di fame e di sete, di cacciatori e prede, di vittorie e sconfitte.
Con tanti animali protagonisti, ma con tre famiglie che svettano sulle altre: quella di un orso bianco, alle prese con lo scioglimento dei ghiacci; quella di un elefante africano, che percorre centinaia di chilometri alla ricerca dell’acqua; e quella di una balena con cucciolo al seguito, in viaggio dai Tropici all’Antartide.
A dirigere sono due registi specializzati in questo tipo di prodotti, Alastair Fothergill e Mark Linfield.
LE IMMAGINI IL TRAILER Intervista a Linfield.
Guardando Earth, si capisce che lo sforzo produttivo e registico deve essere stato imponente.
“Proprio così: basta pensare che abbiamo girato in ben cinque anni, con 40 troupe diverse, e in 200 location.
Dal Polo all’Antartide, passando per l’Equatore.
Le difficoltà sono state innumerevoli, ma la sfida è stata comunque affascinante”.
I momenti in assoluto più difficili? “Forse quando un nostro operatore ha dovuto aspettare praticamente immobile per giorni e giorni, per poter immortalare la danza degli uccelli del paradiso.
Ci sono anche capitati degli imprevisti che sono finiti nel film: ad esempio, mentre seguivamo la migrazione della balena mamma e del suo cucciolo, abbiamo visto uscire dall’acqua un enorme squalo bianco che ha azzannato la sua preda.
L’Oscar della difficoltà, però, riguarda le sequenze sui pinguini: abbiamo aspettato i sei mesi invernali, al buio completo, per poter catturare le loro immagini alla fine della stagione”.
Scelte impegnative.
E anche costose, vero? “Ovviamente.
Anche se non so dire precisamente quanto è stato speso, perché contemporaneamente al film abbiamo realizzato anche la serie televisiva Planet Earth per la Bbc, così non so distinguere precisamente tra le due attività.
Ma almeno per noi ne è valsa la pena: abbiamo fatto cose che nessuno aveva fatto prima”.
E adesso il risultato di questi sforzi arriva nei cinema, con un marchio forte come quello Disney.
“Per noi essere agganciati a un brand così universalmente noto è una grande opportunità.
Perché in qualsiasi parte del mondo Disney vuol dire cinema per famiglie di qualità: e questo spero ci aiuterà a portare più gente possibile nelle sale.
Del resto per noi Earth non si può definire un documentario, ma un film per famiglie a tutti gli effetti”.
Tenete molto al lato educativo di questa operazione? “Uno degli scopi che volevamo raggiungere era raggiungere le giovani generazioni.
Oggi la gente viaggia, è più informata, sembra più aperta: eppure, paradossalmente, stiamo perdendo i legami con le nostre origini, col Pianeta in cui viviamo.
In questo senso mostrare lo spettacolo di Earth, il reality show della natura, è sicuramente importante”.
Educativo, dunque.
Ma anche spettacolare…
“Contiene in sé tutti i generi cinematografici: dal thiller al romanticismo.
Nel nostro Pianeta c’è ogni emozione: conflitti, bellezza, violenza.
E anche humor, tenerezza, azione.
Cosa si può volere di più?”.
di Claudia Morgoglione Repubblica 31 marzo 2009

Gli amici del Bar Margherita

TITOLO del film Gli amici del Bar Margherita Regia: Pupi Avati Sceneggiatura: Pupi Avati Attori: Diego Abatantuono, Pierpaolo Zizzi, Laura Chiatti, Fabio De Luigi, Luigi Lo Cascio, Neri Marcorè, Luisa Ranieri, Claudio Botosso, Gianni Ippoliti, Gianni Cavina, Katia Ricciarelli Ruoli ed Interpreti Fotografia: Pasquale Rachini Montaggio: Amedeo Salfa Musiche: Lucio Dalla Produzione: Antonio Avati per Duea Film e Rai Cinema Distribuzione: 01 DistributionPaese: Italia 2008 Uscita Cinema: 03/04/2009 Genere: Commedia Formato: Colore Sito Ufficiale Il «mitico» Bar Margherita, in realtà, non e­siste.
O meglio: ne sono esistiti d’innume­revoli.
«Erano tutti quei bar di una certa pro­vincia italiana degli anni 50, frequentati da un insieme straordinario di sciocchi ‘eroi’, il cui at­teggiamento oggi apparirebbe deplorevole ma che allora attraeva moltissimo i giovani.
I qua­li cercavano d’imitarli investendovi tutta la pro­pria ‘creatività’, nel più assoluto disimpegno e nel totale disinteresse degli adulti, sperperan­do così con disinvoltura un’adolescenza spen­sierata ».
L’adolescente protagonista che fre­quenta questo Bar Margherita viene chiamato «Coso».
Ma potrebbe anche chiamarsi Pupi.
«Questa non è esattamente la mia storia; ma non c’è dubbio che anche in questo personag­gio ci sia molto di me ragazzo – confessa Pupi Avati – So­prattutto per quel cinismo mi­sto alla gioiosità che è tipico di una certa adolescenza.
E che ha messo insieme una stagio­ne nella vita di quelli della mia generazione».
Gli amici del Bar Margherita, insomma – dal 3 aprile in 300 cinema – è il divertito ‘amar­cord’ del grande regista, a confronto coi ‘miti’ della pro­pria giovinezza incontrati e ammirati nel bar di via Sara­gozza, tra le vie della Bologna anni 50.
Testimone-alter ego di Pupi è «Coso» (cioè Taddeo, interpretato da Pierpaolo Zizzi), un diciottenne che sogna di essere ammesso tra i mitici frequentatori del Bar: il misterioso e carismatico Al (Diego Abatantuono), il fanta­sioso Bep (Neri Marcorè) innamorato dell’en­traineuse Marcella (Laura Chiatti), il cantante Gian (Fabio De Luigi), il ladruncolo sessuofo­bo Manuelo (Luigi Lo Cascio); il tutto sotto il paziente sguardo tollerante della mamma (Ka­tia Ricciarelli) e del nonno (Gianni Cavina), in­namorato della prosperosa maestra di pia­noforte (Luisa Ranieri).
«Per raccogliere questo gruppo eterogeneo ho messo insieme ricordi miei e dei miei amici, ri­percorrendoli con sguardo divertito, leggero, collegato a certe mie commedie sentimentali per la tv, come Jazz Band.
Ma sempre attraver­so i miei occhi di oggi.
Gli amici del Bar Mar­gherita, insomma – spiega Avati – è la storia di un dicottenne.
Ma raccontata da un settanten­ne».
Al centro del film, fa notare il regista, c’è pro- prio l’«essere giovani» di allora, così diverso dal­l’esserlo oggi.
«Dalla metà degli anni 60 i giova­ni sono diventati gli interlocutori numero uno della politica e del commercio.
Cinquant’anni fa, invece, i ragazzi vivevano nell’indifferenza to­tale degli adulti, non contavano assolutamen­te nulla.
Così potevano compiere errori, biz­zarrie, stravaganze; trovare un’identità, indivi­duare la propria strada.
Mentre oggi, apparen­temente messi al centro di tutto, si sentono ri­petere continuamente che non hanno pro­spettive, che per loro non c’è futuro».
In un cinema italiano che «al 99,99 per cento parla del presente – considera inoltre il regista – qualcuno dovrà pur fare i conti col passato.
Co­sì oggi mi sento un po’ la ‘vestale’ del tempo che è stato.
E il ci confronto coll’oggi può aiu­tarci capire meglio noi stessi».
Giacomo Vallati  TRAILER E ALTRI VIDEO DEL FILM GLI AMICI DEL BAR MARGHERITA Il trailer del film diretto da Pupi Avati Pupi Avati, presenta a Roma il suo nuovo film Intervista a Diego Abatantuono Il regista, Pupi Avati parla del film Intervista a Laura Chiatti e Luigi Lo Cascio Laura Chiatti e Luigi Lo Cascio, parlano del film ARTICOLI CORRELATI AL FILM GLI AMICI DEL BAR MARGHERITA Gli amici del bar Margherita, intervista al cast e al regista Pupi Avati FOTOGALLERY DEL FILM GLI AMICI DEL BAR MARGHERITA Guarda le foto presenti nella Photogallery Trama del film Gli amici del Bar Margherita Bologna, 1954.
Taddeo (Pierpaolo Zizzi), un ragazzo di 18 anni, sogna di diventare un frequentatore del mitico Bar Margherita che si trova proprio sotto i portici davanti a casa sua.
Con uno stratagemma, il giovane diventa l’autista personale di Al (Diego Abatantuono), l’uomo più carismatico e più misterioso del quartiere.
Attraverso la sua protezione, Taddeo riuscirà ad essere testimone delle avventure di Bep (Neri Marcorè), innamorato della entreneuse Marcella (Laura Chiatti); delle peripezie di Gian (Fabio De Luigi); delle follie di Manuelo (Luigi Lo Cascio); delle cattiverie di Zanchi (Claudio Botosso) e delle stranezze di Sarti (Gianni Ippoliti).
Ma alla fine, Taddeo che tutti chiamavano “Coso” ce la farà ad essere considerato uno del Bar Margherita?

Ponyo sulla scogliera

Il nuovo film di Hayao Miyazaki! Titolo originale: Gake no ue no Ponyo Titolo ad ideogramma: Titolo internazionale: Ponyo On The Cliff By The Sea Anno: 19 Luglio 2008 in Giappone Regia: Hayao Miyazaki Soggetto: Hayao Miyazaki Sceneggiatura: Hayao Miyazaki Scenografie: Noboru Yoshida Capo Animatore: Katsuya Kondo Capo Colorista: Michiyo Yasuda Musiche: Joe Hisaishi canzone tema cantata da Fujioka Fujimaki e Ohashi Nozomi Durata: 100 min.
Produttore: Toshio Suzuki Distributore: Toho Data di uscita in Italia: 20 Marzo 2009 Distribuito da: Lucky Red Dvd in italiano: 2009 Il nuovo film di Hayao Miyazaki! Titolo originale: Gake no ue no Ponyo Titolo ad ideogramma: Titolo internazionale: Ponyo On The Cliff By The Sea Anno: 19 Luglio 2008 in Giappone Regia: Hayao Miyazaki Soggetto: Hayao Miyazaki Sceneggiatura: Hayao Miyazaki Scenografie: Noboru Yoshida Capo Animatore: Katsuya Kondo Capo Colorista: Michiyo Yasuda Musiche: Joe Hisaishi canzone tema cantata da Fujioka Fujimaki e Ohashi Nozomi Durata: 100 min.
Produttore: Toshio Suzuki Distributore: Toho Data di uscita in Italia: 20 Marzo 2009 Distribuito da: Lucky Red Dvd in italiano: 2009 PONYO, una deliziosa pesciolina sulla scogliera Durante un Festival capita spesso che le giornate siano noiose e difficili da sopportare per le tante pellicole costretti a visionare, per fare un buon lavoro di critica, soprattutto per consigliare al meglio i nostri lettori.
Ebbene Hayao Miyazaki, l’esperto maestro di cartoni animati giapponese, da qualche anno partecipa con le sue storie animate alla competizione della Mostra di Venezia.
Nel 2008 ha deliziato tutti i cinefili con Ponyo, la tenera storia di una intraprendente pesciolina che ne combina di tutti i colori e fa vivere momenti di armonia con la natura e i sentimenti.
In questi giorni il film viene proiettato sugli schermi italiani.
Correte a vederlo con i vostri bambini.
Ecco la storia Un villaggio in riva al mare.
Sosuke, un bimbo di cinque anni, vive in cima a una scogliera affacciata su Inland Sea.
Una mattina, giocando sulla spiaggia rocciosa sotto casa, trova Ponyo, una pesciolina rossa con la testa incastrata in un barattolo di marmellata.
Sosuke la salva e la mette in un secchio di plastica verde.
Ponyo è affascinata da Sosuke e il bimbo prova lo stesso verso la pesciolina.
Le dice: “Non preoccuparti, ti proteggerò e mi prenderò cura di te”.
Ma il padre di Ponyo, Fujimoto – una volta umano e ora stregone che abita i fondali marini – la obbliga a tornare con lui nelle profondità dell’oceano.
“Voglio essere umana!” esclama Ponyo e, determinata a diventare una bimba per tornare da Sosuke, tenta la fuga.
Ma prima di farlo, versa nell’oceano l’Acqua della Vita, la preziosa riserva dell’elisir magico di Fujimoto.
L’acqua del mare si alza.
Le sorelle di Ponyo sono trasformate in enormi onde dalla forma di pesce che si arrampicano alte fino alla scogliera dove si trova la casa di Sosuke.
Il caos sprigionato dall’oceano avvolge il villaggio di Sosuke che affonda sotto i flutti marini.

The Millionaire

Una domanda e venti milioni di rupie separano Jamal Malik da Latika, amore infantile e mai dimenticato.
Dopo averla incontrata, persa, ritrovata e perduta di nuovo Jamal, un diciottenne cresciuto negli slum di Mumbai, partecipa all’edizione indiana di “Chi vuol essere Milionario” per rivelarsi alla fanciulla e riscattarla (con la vincita) dalla “protezione” di un pericoloso criminale.
L’acquisita popolarità mediatica, la scalata trionfale al milione e alle caste sociali infastidiscono il vanesio conduttore che cerca di boicottarne la vittoria, ingannandolo e facendolo arrestare.
Sospettato di avere imbrogliato e torturato inutilmente, Jamal rivelerà al commissario di polizia soltanto la verità: conosceva le risposte perché ciascuna di quelle domande ha interrogato la sua straordinaria vita, devota a Latika e votata all’amore.
I personaggi del cinema di Danny Boyle contemplano tutti una magnifica ossessione, correndo a perdifiato per realizzarla.
Il consumo di eroina, di sterline, di sole o di amore crea ai suoi boys una forte dipendenza e il bisogno impellente di averne ancora.
Dopo i tossici friends di Trainspotting e dopo le odissee solari, dopo le spiagge incontaminate e dopo le sterline piovute dal cielo, il regista scozzese entra nello studio televisivo di Mumbai per osservare la vita di Jamal Malik, fino a svelarla nelle domande, fino a comprenderla nelle risposte.
Jamal è il protagonista di una favola mediatica in cui si avverano i desideri dell’uomo indiano comune (e non solo).
Padroneggiando l’estetica e il “fondamentalismo” melodrammatico del cinema bollywoodiano, Doyle mette in scena un eroe virtuoso che (da tradizione) sconfigge il male e salva i deboli senza dimenticare di mostrare le fratture presenti nella società indiana, prodotte da un sistema nel quale sopravvivono forti disuguaglianze.
Jamal è un ragazzo comune che decide di agire alla propria condizione di impotenza spalleggiato dal fratello maggiore Salim, un “angryyoung man” alla Amitabh Bachchan dotato di carisma e potere.
Duro, vendicativo e leale come l’idolo del cinema indiano degli anni Settanta, Salim è un delinquente di buon cuore che ha scelto la strada del crimine per reagire ai soprusi della metropoli.
Nella Mumbai della loro infanzia i “due moschettieri” sviluppano personalità opposte che determineranno destini profondamente diversi.
Latika, tra loro, a unirli e a separarli, è da convenzione elemento femminile e decorativo la cui debolezza esalta la virilità maschile.
Danny Boyle interpreta e utilizza con competenza la musica, un’altra componente essenziale del cinema popolare e della cultura indiana.
Sostenuto dal ritmo e dalle note di Allah Rakha Rahman, uno dei più grandi compositori indiani di soundtracks, il regista usa le canzoni in funzione narrativa, lasciando che la musica si fonda con le immagini, sottolineando e guidando le emozioni.
Autore versatile, che attraversa incolume generi ed estetiche, Danny Boyle gira un film che riposa nell’alternanza del suo fortissimo e del suo pianissimo, in quella brusca scansione tra dolly sconfinati e scontri di classe, assoli sentimentali e crudeltà brutali.
Tra il volo di una stella in elicottero e il tuffo di un bambino nella latrina più sporca (e lirica) di tutta l’India.
The Millionaire (mymonetro 3,50 stelle) Un film di Danny Boyle.
Con Dev Patel, Anil Kapoor, Freida Pinto, Madhur Mittal, Irfan Khan.
Mia Drake, Imran Hasnee, Faezeh Jalali, Shruti Seth, Anand Tiwari Titolo originale Slumdog Millionaire.
Commedia, durata 120 min.
– Gran Bretagna, USA 2008.
– Lucky Red data uscita 05/12/2008.
Il film di Boyle è un caso artistico e produttivo, interessante ed esemplare.
Partito in sordina, senza grandi finanziamenti, soltanto con una sceneggiatura decisamente ispirata, ha trovato un produttore coraggioso, Christian Colson che si è addentrato insieme al regista inglese nei vicoli sudici di Mumbai; ha reclutato la gente che li abita; e ha loro affiancato alcuni attori professionisti legati agli studi di Hollywood.
Protagonista però è Mumbai, è l’India che vi si rispecchia, con le sue contraddizioni, luogo emblematico in cui disperazione e speranza riescono perfettamente a convivere.
Jamal, cresciuto tra cumuli di immondizia e indicibili violenze, conquista le vette del successo partecipando a un noto gioco televisivo che innesca una storia ricca di sentimenti e verità, nella quale tutti si possono facilmente identificare condividendo le ansie e le paure, gli amori e i sacrifici dei giovani protagonisti.
l’Oscar del 2009 sarà ricordato proprio per il confronto, accesissimo e ben costruito, tra le tredici candidature di The Curious Case of Benjamin Button di David Fincher e le dieci di The Millionaire di Danny Boyle, costato il primo 150 milioni di dollari ed esattamente un decimo il secondo, perché girato senza divi, senza effetti speciali, senza scene imponenti e costosi costumi, illuminato e sorretto soltanto da un perfetto e accattivante congegno narrativo.
Così l’originale e drammatica avventura umana del giovane neo-milionario indiano Jamal ha vinto meritatamente otto statuette – tra le quali miglior film, regia, sceneggiatura non originale, fotografia e montaggio – sbaragliando la curiosissima vita del misterioso anziano americano Benjamin, che ne ha ricevute soltanto tre, e tutte di carattere tecnico.

Primo biennio – Marzo

VII unità di apprendimento: “La storia degli Ebrei continua”  OBIETTIVI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO Conoscenze  Abilità  * Gesù, il Messia, compimento delle promesse di Dio.
* Ricostruire le principali tappe della storia della salvezza, anche attraverso figure significative.
OBIETTIVI FORMATIVI • Conoscere i momenti principali della vita di Mosè e il suo ruolo nella storia della salvezza.
• Scoprire che Dio si schiera dalla parte degli oppressi e dei perseguitati.
 Suggerimenti operativi   • Riprendere la storia del popolo ebreo con i personaggi già conosciuti e inserire nella continuità la vicenda di Mosè.
Collegarsi con lo studio affrontato in storia sulle principali civiltà dell’epoca.
• In ogni lezione raccontare a tappe la vita di Mosè e il suo ruolo nella storia ebraica.
Utilizzare una Bibbia illustrata o a fumetti, con un adattamento del testo.
• Dividere i bambini a coppie o a gruppetti e dare a ognuno la consegna di rappresentare una scena della vita di Mosè.
A turno, ogni gruppo, scriverà al computer una frase di commento da accompagnare al proprio disegno.
Riunire il lavoro in un libro o in un cartellone.
• Sottolineare come Dio sia venuto in soccorso del popolo ebreo che era schiavo e sofferente; ricordare che ancora oggi ci sono popoli perseguitati.
Raccordi con altre discipline Italiano, ed.
all’immagine, storia, informatica Riferimento al tema “Per i diritti di tutti” “Convenzione sui diritti dell’infanzia”: Art.
6: Ogni bambino ha diritto di vivere.
Art.
14: Ogni bambino ha diritto di seguire la propria religione.

Secondo biennio – Marzo

VII unità di apprendimento: “Le religioni del mondo”  OBIETTIVI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO Conoscenze  Abilità  * Il cristianesimo e le grandi religioni: origine e sviluppo.
* Leggere e interpretare i principali segni religiosi espressi dai diversi popoli.
OBIETTIVI FORMATIVI • Prendere coscienza che nel mondo esistono religioni differenti • Conoscere alcuni aspetti delle principali religioni del mondo • Riconoscere l’importanza del dialogo interreligioso  Suggerimenti operativi   • Procurare un planisfero da appendere in classe e ragionare sulla presenza di molte religioni diverse nei vari continenti.
Far emergere le conoscenze pregresse sulle principali religioni del mondo.
• Dividere la classe in gruppi di ricerca e assegnare a ognuno il compito di approfondire una religione: cristianesimo, islam, ebraismo, induismo, buddhismo.
Fornire libri, immagini, testi scolastici di religione a ogni gruppo.
Le informazioni da puntualizzare sono: fondatore, periodo di nascita, luogo-giorno-ministro di culto, simbolo, libro sacro, feste principali.
• Collaborare con l’insegnante di educazione all’immagine per realizzare dei disegni e con l’insegnante di informatica per scrivere le informazioni essenziali.  • Ogni gruppo dovrà relazionare ai compagni la propria ricerca; potrà utilizzare varie tecniche: esposizione orale, drammatizzazione, letture, fotografie, disegni…
• Riprendere l’approfondimento sul tema della pace svolto nel mese di gennaio e riascoltare il canto imparato.
Sottolineare l’importanza degli incontri di Assisi per l’impegno del dialogo interreligioso; alla fine realizzare un cartellone con la scritta pace e intorno i nomi e i simboli delle religioni studiate.
Raccordi con altre discipline Italiano, ed.
all’immagine, informatica Riferimento al tema “Per i diritti di tutti” “Convenzione sui diritti dell’infanzia”: Art.
14: Ogni bambino ha diritto di seguire la propria religione.

The Reader, il lettore

La terza opera cinematografica di Stephen Daldry – “un film sulla verità e la riconciliazione” come il regista afferma, che concorre agli Oscar anche come miglior film, migliore regia, migliore fotografia e migliore sceneggiatura non originale – segue gli assai applauditi Billy Elliot e The Hours, inserendosi perfettamente e coerentemente in questa sua speciale “trilogia umana”: il bambino che realizza, contro tutto e tutti, un sogno; donne allo specchio che affrontano la vita, ma all’ombra della morte; una coppia che ama e soffre sullo sfondo di una nazione traumatizzata.
All’origine di una brillante, volutamente scarna e gelidamente concentrata sceneggiatura del drammaturgo David Hare, che non segue una logica temporale, ma più curiosamente emotiva, si trova il romanzo A voce alta di Bernhard Schlink, pubblicato per la prima volta nel 1995.
Caso letterario non solo tedesco, storia di un remoto capitolo della Shoah che penetra le pagine ed ora scorre sullo schermo, nel susseguirsi di una serie di passioni, di scoperte, di disillusioni, di ferite.
Al centro, questa volta, non è la vittima, non l’innocenza.
Anche il senso di colpa del singolo e il suo cammino di redenzione sono al margine.
Al centro ribollono la frenesia del dubbio, la voglia di amare, il dovere di condividere, la sofferenza del conoscere, il rigore del giudicare, il desiderio di cancellare, di girare pagina.
“Il romanzo – sempre a detta di Daldry – affronta il problema di come continuare, dopo quello che è avvenuto”.
Hanna, geneticamente anaffettiva, trascorsa questa breve e travolgente estate si eclissa inaspettatamente dalla vita di Michael che in prima persona ricorda e racconta.
Gli riappare dopo molti anni – siamo tra il 1963 e il 1965 – col suo vero volto; lui studente di legge, lei aguzzina ad Auschwitz-Birkenau, col suo pesantissimo fardello di responsabilità, dinanzi al tribunale di Francoforte che la sta giudicando, con altre turpi e impassibili signore, per crimini contro l’umanità.
Ma ora, per estremo, più comprensibile pudore, decide di celare a tutti un secondo segreto che segnerà la sua condanna definitiva e poi diventerà l’unico tramite col mondo, tentativo per rimanere viva e recuperare una dignità irrimediabilmente perduta.
Si chiude così il secondo capitolo della loro esistenza.
Quello che innesca pietà e rabbia.
In un acceso confronto con il suo insegnante – è Bruno Ganz, di gran classe – e alcuni colleghi d’università, Michael sarà sottoposto ad una serie di riflessioni scottanti e dolorose: quanto amorale sia stato il comportamento di una intera nazione; quanto il processo successivo avrebbe dovuto investire tutti i suoi abitanti e non soltanto un’esigua parte; se e quanto la colpa sia trasmissibile, se il perdono possa avere più senso o rivestire più utilità della giustizia.
Quanti se, quanti tentativi di soluzione – “Non è importante quello che sentiamo, ma quello che facciamo” confessa il professore – quanti silenzi, quanto smarrimento.
Il terzo capitolo, quello finale, vede Michael ormai adulto e infelicemente sposato – l’attore Ralph Fiennes – ritessere suo malgrado le fila del suo rapporto con Hanna che sta scontando l’ergastolo, lui condividendone di nuovo, fino in fondo, il tragico destino in forza di un amore mai sopito.
Questa volta il potere delle parole, della narrazione, dell’ascolto, supera tutte le barriere, tutte le inferriate, quelle dell’anima e della prigione.
Ma il tempo avuto a disposizione per riflettere sul passato non sembra aver inciso sul carattere della donna ormai settantenne: “Non importa cosa penso, non importa cosa provo: i morti sono morti”.
Ci sarà anche un’appendice.
Entra in scena una vittima figlia di una vittima, il volto è quello impassibile, incorruttibile e drammatico dell’attrice Lena Olin.
Siamo a New York.
Un nuovo, affilato duello verbale con il neo-avvocato mette in chiaro: perdono no, pietà sì.
Le cose, per chi ha vissuto l’orrore fino in fondo, non possono andare altrimenti.
Michael riflette: “Il dolore che ho vissuto a causa del mio amore per Hanna era, in un certo senso, il destino della mia generazione, un destino tedesco”.
Visitando la tomba di Hanna mano nella mano con la figlia, il suo racconto può, deve ricominciare.
di Luca Pellegrini (©L’Osservatore Romano – 20 febbraio 2009) ”Musa, quell’uom di multiforme ingegno / Dimmi, che molto errò, poich’ebbe a terra / Gittate d’Ilïon le sacre torri”: Michael Berg, disteso sul letto, le legge l’incipit dell’Odissea prima di gettarsi tra le sue braccia.
Per lui, quindicenne, è l’esperienza della prima, trasgressiva passione che si trasformerà in un amore intenso e irreversibile; per lei, la pallida e brusca trentenne Hanna Schmitz – l’interpretazione, sconvolgente, è quella di Kate Winslet giustamente candidata all’Oscar – è soltanto un’illusoria fuga dalla memoria di quell’Europa dissacrata, bruciata, insanguinata sulla quale molte “sacre torri”, grazie anche alla sua fanatica, cieca devozione, al suo senso di perverso dovere, erano state gettate qualche anno prima.
Per entrambi queste letture dei classici, queste ore insieme così nascoste, così innaturali, sono un illusorio viaggio verso un futuro irrimediabilmente incerto.
Lui è The Reader, il lettore appunto: nato nella Germania postnazista in lenta ricostruzione, anche umana; lei del nazismo è stata, invece, una pedina, un’attiva carnefice, ora vende biglietti sui tram di una città disfatta (Heidelberg).
Due generazioni s’incontrano, si fronteggiano e si separeranno.
Incarnano l’anima della Germania del dopo guerra in cui i rigurgiti dell’orrore si fanno sentire.
Tanto sono vicine cronologicamente, queste generazioni lacerate, quanto lontane spiritualmente; tanto l’unione fisica del ragazzo e della donna, e soltanto quella, inizialmente le avvicina, simulacro di felicità, quanto i loro passati, le educazioni e culture agli antipodi, inesorabilmente le dividono.

Il dubbio

Il dubbio – scritto e diretto da John Patrick Shanley Il tema è uno dei più scottanti: le supposte molestie sessuali da parte di un prete nel mondo cattolico statunitense, proprio là dove si sono levate, negli ultimi anni, una incredibile quantità di denunce contro i sacerdoti locali, tanto da far scoppiare una crisi che non è ancora stata del tutto riassorbita.
Ma il film Il dubbio – scritto e diretto da John Patrick Shanley, interpretato magistralmente dai premi Oscar Meryl Streep e Philip Seymour Hoffman – affronta il tema, così scottante, con pudore e delicatezza, facendo capire, soprattutto, come in questi casi sia veramente difficile scoprire la verità.
Perché, in assenza naturalmente di confessioni, la ricerca della verità si basa sull’interpretazione di un gesto che può anche essere solo di amicizia e di sostegno per un ragazzo particolarmente debole.
Un gesto che può far parte del modo di essere di una personalità di prete estroversa, ma proprio per questo capace di suscitare l’affetto e l’interesse dei parrocchiani.
Nel film, infatti, lo scontro si svolge fra due figure di religiosi straordinariamente diverse: un prete irlandese appunto espansivo e allegro, da una parte, e dall’altra una suora, direttrice della scuola annessa alla parrocchia, gelida e apparentemente solo ligia alle regole, priva di calore umano.
Entrambi si impegnano per proteggere un ragazzo nero di famiglia povera, debole e bisognoso di aiuto, ma in modo completamente diverso.
E se, all’inizio, siamo portati a stare dalla parte del prete allegro e affettuoso, che vuole dare protezione al ragazzo, poi il film ci porta a pensare, attraverso lo sguardo della suora, che forse non si tratta solo di protezione, e che chi difende veramente il ragazzo dalle molestie del prete è, invece, proprio la direttrice.
In mezzo ai due, la figura della madre, talmente debole da accettare qualsiasi cosa pur di vedere il figlio promosso e possibilmente accettato in una scuola superiore, per garantirgli la fuga da un mondo duro e violento – quello del padre – al quale non è adatto.
Tante, e diverse, sono le ragioni, tanti i comportamenti possibili, in una società che vede affrontarsi un uomo in apparenza più forte, e una donna, che teme sempre inganno e sopraffazione da parte degli uomini, anche se preti.
Vediamo così contrapporsi due modi diversi di vivere la fede, e quindi l’educazione dei ragazzi: uno più moderno e permissivo, allegro e affettuoso – ma forse bacato all’interno – e un altro severo, disciplinato, poco propenso al concedere gratificazioni, ma attento alla difesa della dignità dei ragazzi.
Non sapremo mai, alla fine, se il prete è veramente colpevole: anche se molto sembra testimoniare contro di lui, il dubbio finale della superiora accusatrice riapre ogni questione.
Il film è molto bello proprio perché fa capire come sia facile sospettare, e leggere ogni azione come conferma di un sospetto, quando a suffragare il dubbio sia la differenza tra visioni diverse della fede e dell’educazione, financo una certa antipatia personale.
E come il ruolo di educatore e la vicinanza con i ragazzi – indispensabile per seguirli e comprenderli, per difendere i più deboli e aiutarli ad affrontare la vita – possa facilmente scivolare in rapporti troppo personali, troppo affettuosi.
Ed è estremamente significativo che proprio dalla cultura americana, attraversata drammaticamente in anni recenti dal fenomeno degli abusi sessuali di una piccola parte del clero, sia venuta una riflessione così attenta, così profonda, sul tema del sospetto e della denuncia, che ne rivela la complessità e, insieme, la difficoltà di chiarire e di raggiungere la verità.
È un film che invita a controllare i sospetti, a passarli a un severo vaglio di coscienza, in modo da purificarli da antipatie personali, competizioni, divergenze nel modo di concepire il lavoro e la missione religiosa, perché arrivare alla verità è un risultato purtroppo difficile da raggiungere su questioni così spinose.
Ed è facile rovinare delle vite, e al tempo stesso danneggiare la Chiesa, pur di credersi nel giusto.
di Lucetta Scaraffia (©L’Osservatore Romano – 6 febbraio 2009)