TRA FEDE E DEVOZIONE «Davanti alla Sindone con la nostalgia di Dio» 10 aprile 2010 Marina Corradi STORIA E MEMORIA Icona del Figlio, devozione antica 09 aprile 2010 Gian Maria Zaccone, direttore scientifico del Museo della Sindone di Torino e vicedirettoredel Centro internazionale di sindonologia IL PERCORSO L’ultimo chilometro dei viandanti 09 aprile 2010 Federica Bello Con le nostre ferite davanti all’«immagine del silenzio» I torinesi e ogni altro allo specchio che non mente 09 aprile 2010 Riccardo Maccioni FEDE E RAGIONE Sindone, sfida alla scienza 09 aprile 2010 Bruno Barberis, direttore del Centro internazionale di sindonologia IL TESSUTO Su quel lino lo «specchio» del Vangelo 09 aprile 2010 Federica Bello Il momento tanto atteso dell’ostensione della Sindone è arrivato.
Dal 10 aprile e fino al 23 maggio, per la decima volta dal 1578 e la quarta dal 1978, la celebre reliquia sarà esposta al pubblico in una sala allestita all’interno del Duomo di Torino .
Il capoluogo piemontese ospiterà i due milioni di pellegrini e non desiderosi di ammirare il lenzuolo utilizzato – secondo tradizione – per avvolgere il corpo di Gesù nel sepolcro.
L’ultima ostensione risale al 2010.
E la Sindone nel frattempo si è «rifatta il trucco»: l’ostensione di quest’anno, che sarà suggellata il 2 maggio dalla visita di Ratzinger, è infatti la prima da quando il telo di lino è stato sottoposto, nel 2002, ad un intervento di conservazione che lo ha riportato al suo antico splendore.
DUE MILIONI – Più di un milione e 400 mila persone si sono prenotate per poter osservare il lenzuolo utilizzato – secondo tradizione – per avvolgere il corpo di Gesù nel sepolcro.
Ma all’interno del Duomo di Torino, nelle sei settimane dell’ostensione, ne sono attese almeno un milione e 800 mila.
Da parte sua, il presidente della Commissione diocesana della Sindone, monsignor Giuseppe Ghiberti, ha affermato che «sono attesi 2 milioni di fedeli».
Per questo, «ogni pellegrino potrà fermarsi a guardare la Sindone dai 3 ai 5 minuti, a seconda del flusso di persone».
La visita potrà essere prenotata, oltre che sul sito internet www.sindone.org, direttamente a Torino, negli appositi spazi allestiti all’inizio del percorso dell’Ostensione.
Si potrà entrare nel Duomo anche senza, ma in questo caso la Sindone sarà visibile solo da lontano.
IL TEMA PASTORALE – Un «grande evento», insomma, che però «non è un fatto di turismo religioso, ma un’iniziativa spirituale e pastorale».
Così l’ha definito il custode pontificio della Sindone, l’arcivescovo di Torino, cardinale Severino Poletto.
Il tema scelto per questa ostensione è «Passio Christi passio hominis», per sottolineare «il forte collegamento tra l’immagine sindonica, testimonianza della Passione del Signore, e le molteplici sofferenze degli uomini e delle donne di oggi».
«Davanti alla Sindone si va per pregare e questo vale per tutti», ha sottolineato il cardinale a margine della conferenza stampa di presentazione dell’ostensione.
Poletto ha poi ribadito che l’evento è «essenzialmente spirituale e religioso e non commerciale o turistico».
E ha rivolto un appello ai pellegrini: «Il vostro – ha detto rivolgendosi direttamente a loro – è un percorso di fede e di preghiera.
Vi invito quindi alla concentrazione e ad evitare, se possibile, di scattare foto o realizzare filmati».
LA VISITA DEL PONTEFICE – Papa Benedetto XVI sarà a Torino domenica 2 maggio.
Alle 10 celebrerà la Messa in piazza San Carlo e guiderà poi la recita del Regina Caeli.
Nel pomeriggio, dopo un incontro con i giovani della Diocesi, si recherà in Duomo per la sosta di venerazione davanti alla Sindone e una riflessione sui temi dell’ostensione.
«Un tesoro prezioso da custodire a lungo nel tempo – come l’ha definita il cardinale Poletto – un dono preziosissimo perchè Papa Benedetto sa presentare le grandi verità della fede».
LA SICUREZZA – La sorveglianza dell’evento è affidata alle forze dell’ordine, coordinate dal prefetto di Torino Paolo Padoin.
Per l’occasione stanno arrivando da tutta Italia circa 200 rinforzi, tra polizia e carabinieri.
Un grosso aiuto lo darà anche la tecnologia: sulla Sindone vigileranno infatti telecamere di ultima generazione, con tanto di sensori anti-terrorismo in grado di segnalare eventuali movimenti sospetti.
Categoria: Eventi
I colori di Giotto
In occasione dell’ottavo centenario dell’approvazione della Regola di san Francesco, l’11 aprile s’inaugura, presso la basilica di San Francesco ad Assisi e al Palazzo del Monte Frumentario, la mostra “I colori di Giotto.
La basilica di Assisi tra restauro e restituzione virtuale” curata da Giuseppe Basile.
Nell’occasione – e fino al 5 settembre – si apre ai visitatori il cantiere di restauro dei dipinti murali di Giotto nella Cappella di San Nicola della Basilica inferiore.
Pubblichiamo un testo del direttore dei Musei Vaticani, che è anche il presidente del Comitato scientifico della manifestazione.
Questo anno 2010 segna l’ottavo centenario dalla approvazione della Regola Francescana.
Da Assisi è nato il grande incendio che ha investito l’intera cristianità dalla Scozia alla Sicilia, dal Portogallo ai Balcani e alla Terra Santa.
Non basterebbe una intera biblioteca per contenere tutto quello che è stato scritto, in otto secoli, su san Francesco, sui suoi discepoli, sulla diffusione dell’ordine in tutte le sue varianti (i conventuali, gli osservanti, i cappuccini), sulla infinita gemmazione di sapienza e di bellezza che l’insegnamento del maestro ha prodotto ai quattro angoli del mondo in ottocento anni.
Nella teologia, nella filosofia, nella poesia, nella musica, nell’architettura, nelle arti figurative.
Tutto è nato ad Assisi.
Da Assisi l’imago Francisci si è diffusa nel mondo cristiano, lo ha abitato e lo ha fecondato.
Alla base della fortuna planetaria che ha accompagnato fino a oggi le opere e i giorni del santo, ci sono gli affreschi nella Chiesa Superiore di Assisi.
Da lì bisogna partire per intendere quel fenomeno grandiosamente epico che è stato il francescanesimo.
Ed ecco la mostra che, voluta dal sindaco Claudio Ricci e dal custode del Sacro Convento, Giuseppe Piemontese, curata da Giuseppe Basile è stata inaugurata in Assisi il 10 aprile per rimanere aperta fino al 5 settembre.
Le sedi espositive sono la basilica stessa e il Palazzo del Monte Frumentario.
Il titolo “I colori di Giotto tra restauro e restituzione virtuale” fa intendere bene l’obiettivo dell’iniziativa; una iniziativa che sta in bilico fra una filologia storico artistica squisitamente raffinata e il dispiego delle più sofisticate tecnologie digitali ad alta definizione.
Da ciò le ragioni del suo fascino.
Chi, nei prossimi giorni, si recherà ad Assisi potrà vedere da vicino e dal vero i colori di Giotto salendo sui ponteggi della Cappella di San Nicola, nella Basilica Inferiore.
Attualmente è in corso il restauro guidato da Sergio Fusetti e sarà questa l’occasione per capire fino a che punto è lecito sostenere (come io credo) l’autografia del maestro toscano in questo settore del san Francesco.
Nel trecentesco Palazzo detto del “Monte Frumentario”, di recente restaurato, le storie della Basilica Superiore vengono virtualmente riproposte come “dovevano essere”.
Grazie all’impiego di tecniche fotomeccaniche, digitali e di intervento pittorico manuale, sotto la direzione di Giuseppe Basile coordinatore di una equipe dell’Istituto centrale del restauro, e di Fabio Fernetti, gli affreschi – in scala comprensibilmente ridotta rispetto agli originali – saranno resi visibili nel loro aspetto “originario”.
Al netto quindi delle mutazioni materiche e degli interventi di restauro che li hanno fatalmente coinvolti nei più di sette secoli della loro esistenza.
La restituzione virtuale è di eccellente livello e ci invita a riflettere su quella che è stata definita la “questione omerica” dei nostri studi.
La presenza cioè di Giotto nel cantiere di Assisi.
L’ormai antico dilemma: “Giotto non Giotto?” non ha avuto fino a ora una risposta certa, risolutiva e da tutti condivisa.
Ci sono studiosi, prevalentemente di oltre Oceano, che non credono che l’autore delle Storie francescane sia il Giotto di cui parla Dante nell’undecimo del Purgatorio: “Credette Cimabue nella pintura / tenere lo campo ed ora ha Giotto il grido / si che la fama di colui è oscura”.
Gli storici italiani, con la sola cospicua eccezione di Federico Zeri, pensano invece (io fra gli altri) che l’autore delle Storie Francescane sia lo stesso, che, una manciata di anni più tardi, affrescherà per Enrico degli Scrovegni la Cappella dell’Arena a Padova.
Il problema non è tanto il vuoto documentario e l’ambiguità delle fonti più antiche (Vasari) sul ciclo di Assisi a fronte delle certezze antiche e inoppugnabili che possediamo sugli affreschi di Padova.
Il problema è un altro.
Il problema è la grande differenza, non di stile ma di evoluzione e maturità dello stile, che siamo costretti a riscontrare fra l’una e l’altra impresa.
Passare dalle Storie Francescane della Basilica Superiore – scatole prospettiche dove tutto è secco ed essenziale – alla maniera dolce e fusa di Padova, alle scene veterotestamentarie ed evangeliche che sembrano già un anticipo sul Beato Angelico e su Piero della Francesca, è oggettivamente arduo.
Assomiglia a una scalata acrobatica di sesto grado superiore.
Eppure per chi, come me, crede nella autografia di Giotto nella Basilica Superiore di Assisi, l’impasse si supera solo se si tiene conto dei tempi del genio che conoscono accelerazioni vertiginose.
Il Giotto di Padova è già presente in Assisi nel dominio dello spazio, nella scoperta della verità di natura, nella efficacia drammatica e potentemente didascalica delle sceneggiature.
Subito dopo arriva la Cappella degli Scrovegni, cioè l’incipit del Rinascimento.
Per cui, come diceva Berenson, Masaccio altro non è che Giotto “rinato” (born again).
A ben guardare non diversa è stata la traiettoria velocissima di Dante Alighieri dalle prime composizioni “dolcestilnoviste” alla Cavalcanti e alla Guinicelli, al canto dei lussuriosi nell’Inferno.
Per cui quel verso messo in bocca a Francesca (“la bocca mi baciò tutto tremante”) è già Baudelaire, è già la poesia moderna.
di Antonio Paolucci (©L’Osservatore Romano – 11 aprile 2010)
Pastorale giovanile interculturale
Nell’ambito del progetto di ricerca interdisciplinare sulla pastorale giovanile interculturale, portato avanti dall’Istituto di Teologia Pastorale, lunedì 22 marzo 2010, dalle 15.00 alle 18.00,) avrà luogo presso l’Aula VI dell’UPS il seminario su “Pastorale giovanile interculturale: le risorse africane”.
Il prof.
Martin Nkafu Nkemnkia (dell’Università Gregoriana) esaminerà le risorse africane per l’interculturalità dalla prospettiva antropologica e filosofica, mentre, il prof.
Aimable Musoni (dell’UPS), presenterà le risorse africane per l’interculturalità dalla prospettiva ecclesiologica e teologica.
Un panel di professori costituito da Damasio Medeiros, Krzysztof Owczarek e Francis-Vincent Anthony, reagiranno alle relazioni dalla prospettiva del contesto rispettivamente latinoamericano, europeo e asiatico per stimolare il dibattito in assemblea.
Al seminario e al dibattito sono invitati a partecipare docenti, dottorandi, studenti, pastoralisti e catecheti.
Il seminario si colloca in continuità con quello realizzato il 23 novembre dello scorso 2009 che aveva tracciato un quadro teorico-pratico sulla “Pastorale giovanile interculturale” dalla prospettiva educativo-culturale e pedagogico-sociale.
Nei prossimi anni si spera di continuare sulla medesima linea, analizzando le risorse per la pastorale giovanile interculturale nel contesto asiatico, latinoamericano, est-europeo, ecc.
In questo modo si cerca di mettere in relazione le questioni di pastorale giovanile con le acquisizioni dei sinodi e delle conferenze episcopali continentali nella prospettiva interecclesiale e interculturale.
Si tratta di un progetto di ricerca che vuole prendere in considerazione anche gli orientamenti del Capitolo Generale XXVI dei Salesiani di Don Bosco, in modo particolare quello della prospettiva interculturale e interreligiosa della pastorale giovanile.
Immagini dell’uomo immagini di Dio
Continuando a pensare con Giuseppe Barbaglio e dopo i convegni sui mille volti di Gesù e sull’attualità dell’apostolo Paolo, vorremmo ora guardare i volti dell’uomo di oggi e al loro confronto tornare a scrutare le immagini di Dio.
Carla Busato Barbaglio, Rossana Rossanda, Alfio Filippi, Yann Redalié, Severino Dianich e Raniero La Valle. Immagini dell’uomo immagini di Dio Convegno 2010 Roma 20 e 21 Marzo 2010 Aula Magna della facoltà Valdese Via Pietro Cossa, 42 Clicca per il programma
Cardinale vicario Agostino Vallini: Serve una Chiesa più coraggiosa
Ai politici, agli amministratori, raccomanda “una speciale attenzione ai poveri” e di “non dimenticare di prendersi cura della loro anima e del loro rapporto con Dio”; alla Chiesa chiede invece di essere “più coraggiosa e testimoniante”, con un’adesione più profonda agli orientamenti del concilio Vaticano ii.
Anche perché i giovani “non ci seguono più, sono culturalmente e sensibilmente lontani dai valori cristiani”.
Il cardinale vicario Agostino Vallini traccia un primo bilancio della sua esperienza pastorale alla guida della diocesi di Roma, a distanza di poco meno di due anni dalla nomina, avvenuta il 27 giugno 2008.
La capitale, i suoi cittadini, i suoi fedeli, costituiscono una realtà particolare, una comunità nella quale scorre ancora una “linfa di autentica civiltà”, che fa sì che “gli episodi di intolleranza verso gli immigrati siano rari e apertamente condannati dalla gente”.
Insomma, Roma è ancora a pieno titolo una città profondamente cristiana, nonostante le profonde trasformazioni che ha subìto in particolare negli ultimi decenni.
Tuttavia, c’è molto da fare.
Il cardinale – in questa intervista a “L’Osservatore Romano” – illustra le linee della pastorale diocesana, dalla quaestio fidei alla preparazione dei sacerdoti, dalla formazione cristiana degli adulti alle indicazioni che Benedetto XVI fornisce, costantemente, al suo vicario.
L’intervista Eminenza, pochi giorni fa, il 14 febbraio, la visita di Benedetto XVI alla Caritas presso la stazione Termini.
È noto che fra i più poveri, i più bisognosi, figurano gli immigrati.
Lei crede che in futuro possano verificarsi anche a Roma episodi di forte tensione fra cittadini e comunità straniere, come è accaduto altrove? La visita del Papa all’ostello della Caritas alla stazione Termini, nell’anno dedicato dal Parlamento e dalla Commissione europea alla lotta alla povertà e all’esclusione sociale, è stata una intensa esperienza di pastorale sollecitudine del Papa verso i poveri, ricambiata dai presenti, molti dei quali immigrati, con grande emozione e sincera gratitudine.
Un’esperienza di alto valore umano e spirituale che ha trasmesso alla città – ne ho avuta vasta eco nei giorni successivi – un forte messaggio per una cultura che consideri la presenza degli immigrati non come fonte di problemi, ma come persone meno provvedute e come noi titolari di diritti.
Una cultura che la Caritas e le altre istituzioni ecclesiali di carità e di solidarietà presenti a Roma diffondono silenziosamente da anni, dimostrando concretamente che l’emarginazione può essere contrastata e vinta dall’amore e dalla giustizia, in nome della carità di Cristo e della dignità da riconoscere e garantire a ogni persona umana.
Le numerose opere di carità a favore degli immigrati parlano alla città con la volontà anche di riparare in tanti casi alla giustizia negata.
Non dimentichiamo peraltro l’apporto positivo di lavoro e di contribuzione all’economia del Paese dato dagli stessi immigrati, inseriti nella vita sociale.
Questa linfa di autentica civiltà fa sì che a Roma gli episodi di intolleranza verso gli immigrati siano rari e apertamente condannati dalla gente.
In futuro si potranno avere problemi di rapporto e confronto con le comunità religiose diverse da quelle cristiane? Tendo a escluderlo.
Non dobbiamo dimenticare che siamo a Roma e che, per quanto i processi storico-culturali che sembrano dominanti influiscano sul modo di pensare e sui comportamenti delle persone, il tessuto sociale è impregnato di valori cristiani, che sono il rispetto della persona umana e delle idee di ciascuno, il riconoscimento del diritto alla libertà religiosa, lo spirito ecumenico.
La presenza del Papa e della Santa Sede, che costantemente richiamano i valori non solo religiosi ma umani e civili, fa sì che i primi destinatari di questi messaggi siano i romani.
Come è cambiata la città? L’immigrazione, le nuove periferie, le ricadute sociali della crisi economica mondiale ne hanno mutato realmente le caratteristiche? Sì, in modo evidente.
Negli ultimi quarant’anni Roma è progressivamente cambiata.
A quel tempo c’era il centro città con la sua identità di metropoli e le borgate che crescevano.
Una città “a doppia spinta” – dicono i sociologi – dove chi stava bene stava sempre meglio e chi era povero diventava sempre più marginale.
Oggi non è più così: non c’è più un centro, gli emarginati sono aumentati, non si evidenziano ragioni di coagulo.
“Il vero vizio – è stato detto – è la mancanza di spirito comunitario e di socializzazione”.
A Roma “la gente non si incontra più, non sa dove farlo” e “ciò vale per il centro storico come per la periferia”.
Roma dunque, come ha spiegato Giuseppe De Rita [segretario generale del Censis], sta perdendo la propria identità diventando “un agglomerato di quartieri diversi, che le periodiche ondate migratorie hanno trasformato in maniera strutturale”.
Negli ultimi 60 anni la città è cresciuta di un milione di abitanti, di cui l’8 per cento sono stranieri.
Tutto ciò è aggravato dalla crisi economica, che ha colpito tante famiglie.
Nel complesso si può dire che Roma sia ancora una città profondamente cristiana o, a livello culturale, la città ha ormai assunto i caratteri tipici, più secolari, delle grandi metropoli europee? È cambiato di conseguenza anche il modo di essere pastore di una realtà come quella romana? Non sono ancora in grado di valutare lo spessore cristiano del popolo romano.
Nelle visite alle parrocchie incontro comunità vive e operose, laici impegnati e generosi, presenza attiva degli istituti di vita consacrata e dei movimenti, ma non crederei che Roma sia indenne dal ciclone perdurante della secolarizzazione.
La realtà è sotto gli occhi di tutti.
Si pensi solo all’invadenza nella vita familiare di un certo tipo di televisione e di internet, soprattutto tra gli adolescenti e i giovani.
Nondimeno rispetto ad altre metropoli europee i segni distintivi della presenza cristiana nella vita della maggioranza della popolazione sono chiari e influenti, seppure non possiamo più fidarci solo della tradizione.
Il mondo è soggetto a continuo cambiamento e la comunità ecclesiale è chiamata ad adeguare la sua azione pastorale alle esigenze dei tempi.
I grandi orientamenti del concilio Vaticano ii devono penetrare di più nel corpo ecclesiale e far maturare una coscienza di Chiesa più coraggiosa e testimoniante.
Così pure, contro la frammentazione, è da promuovere il convergere delle varie forze apostoliche a una maggiore unità nella Chiesa locale.
Di conseguenza cambia anche il modo di esercitare il servizio pastorale.
Cosa prevede il programma pastorale diocesano per il prossimo futuro? Dopo il Grande giubileo del 2000, a cui la diocesi si preparò con grande impegno, vivendo un momento di forte identità e visibilità con la missione cittadina in tutti gli ambienti, in questo primo decennio l’attenzione pastorale è stata concentrata su ambiti importanti, quali la famiglia, i giovani e l’educazione.
Con l’incoraggiamento del Papa, è parso opportuno fare una verifica pastorale, partendo da una domanda: “Come i nostri fedeli hanno coscienza di essere chiesa e sentono la responsabilità di annunciare il Vangelo?” Cinque sono gli ambiti della pastorale ordinaria presi in esame: l’Eucaristia domenicale, la testimonianza della carità, l’iniziazione cristiana, la pastorale giovanile e la pastorale familiare.
I primi due vengono affrontati questo anno, gli altri nei prossimi anni.
Sono convinto che, non potendo presupporre la fede in tanti battezzati, dobbiamo dare a tutta la pastorale una forte impronta missionaria.
Sui principi siamo tutti d’accordo, ma la traduzione concreta richiede impegno soprattutto sul piano della formazione degli operatori pastorali, a cominciare dai sacerdoti e dai seminaristi.
A un anno dalla sua lettera agli educatori scolastici “Educare con speranza”, si può fare un bilancio della mobilitazione che ha coinvolto anche la Chiesa di Roma in risposta alla cosiddetta emergenza educativa? La “Lettera alla diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione”, che Benedetto XVI ci ha indirizzato il 21 gennaio 2008, come è noto, ha avuto una grande risonanza e una vasta accoglienza.
L’autorevole appello del Papa a rendere la nostra città “un ambiente più favorevole all’educazione” è stato sostenuto molto dalla diocesi e tradotto in iniziative capaci di coinvolgere in un lavoro d’insieme i diversi educatori interessati, a cominciare dalla famiglia, spronando tutti a non dimenticare mai che educare è soprattutto un impegno d’amore e, come ogni vero impegno, costa.
Nella mia lettera – seguendo le indicazioni di Benedetto XVI – ho ribadito la necessità di partire, nella difficile arte di educare, dalla testimonianza umana e cristiana che deve accompagnarsi alla competenza professionale e alla dedizione al bene dei ragazzi e dei giovani.
Mi pare che l’emergenza educativa oggi sia molto avvertita.
Per dare seguito a tutto ciò il prossimo 6 marzo celebreremo presso la Pontificia Università Lateranense un convegno sul tema “Progettare la vita.
La Chiesa di Roma incontra la città per un rinnovato impegno educativo”.
Rimanendo sempre nel tema educativo, si sottolinea la necessità di fornire ai giovani “modelli credibili”.
Questi modelli mancano o si ha difficoltà a portarli a conoscenza delle nuove generazioni? È vero, la prima via educativa è la testimonianza credibile degli educatori, che – grazie a Dio – non mancano, anche se non bastano mai.
Lo affermava già Paolo vi nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, nel 1975.
Ma aggiungerei che, accanto alla testimonianza dei singoli, è necessaria quella della comunità ecclesiale.
Dobbiamo aiutare i fedeli a prendere sempre più coscienza che non si è cristiani solo per se stessi, ma anche per annunciare agli altri la fede, testimoniandola là dove si vive.
Inoltre, va ripensata la proposta formativa.
È necessario offrire una formazione umano-cristiana più robusta così da formare cristiani adulti, uomini e donne, che a loro volta siano punto di riferimento per le nuove generazioni.
La pastorale ordinaria è chiamata ad aggiornare metodologie e contenuti, a cominciare dai linguaggi con cui annunciamo il Vangelo.
Tanti ragazzi e giovani non ci capiscono più, sono culturalmente e sensibilmente lontani dai valori cristiani, bombardati quotidianamente da mille altri messaggi e inviti, nonostante abbiano ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana.
Vanno aiutati a scoprire la risposta cristiana alle grandi domande di senso della vita, la bellezza della preghiera con la Parola di Dio, a vivere l’esperienza liberante della confessione e della direzione spirituale e uno stile di vita aperto al servizio di carità.
In tal senso ci sono a Roma esperienze molto promettenti, ma dobbiamo fare di più.
Essere sacerdote a Roma: quali sono le difficoltà, i problemi, i disagi che i parroci le segnalano? È un grande onore essere sacerdote a Roma, ma, per certi aspetti, è anche più impegnativo.
Considerata la fisionomia della nostra diocesi, a cominciare dalla grandezza della maggioranza delle parrocchie e delle altre realtà pastorali, il sacerdote romano ha bisogno di una forte tempra psicologica e di una levatura spirituale alta, capaci di fronteggiare molti problemi, tipici del contesto metropolitano attuale.
Siamo certamente aiutati dal fatto che i sacerdoti, salvo eccezioni, vivono insieme nelle canoniche e ciò permette lo scambio e il sostegno reciproco.
Anche le prefetture (i vicariati foranei previsti dal codice canonico), dove il piano pastorale diocesano trova concreta applicazione locale, svolgono una funzione preziosa per i sacerdoti e di coordinamento del lavoro pastorale.
Lei è stato docente di diritto canonico e di diritto pubblico ecclesiastico, ausiliare di Napoli, poi vescovo di Albano e infine prefetto del Tribunale della Segnatura Apostolica.
Quali di queste esperienze si sta rivelando più preziosa nel suo attuale impegno pastorale? Direi che tutti i ministeri che mi sono stati affidati sono di aiuto nello svolgimento del compito di cooperare con Benedetto XVI nel governo pastorale della diocesi di Roma.
Le varie esperienze sono preziose in una realtà complessa e delicata qual è quella di Roma.
Come cittadino, quali richieste ritiene sarebbe legittimo e comprensibile rivolgere agli amministratori? Mi piacerebbe molto che quanti esercitano il gravoso compito della cosa pubblica abbiano sempre come stella polare del loro mandato il bene comune dei cittadini, con una speciale attenzione ai poveri e a chi soffre.
Mi rendo conto che il loro servizio è difficile, per questo quando li incontro raccomando di non dimenticare di prendersi cura anche della loro anima e del rapporto con Dio, di cui sono rappresentanti; ma anche io, come pastore, non manco di pregare per loro.
Si confronta spesso con il Papa sulla vita della diocesi? Benedetto XVI segue la vita della diocesi.
Ci è molto vicino.
Ho il privilegio di poterlo incontrare spesso, lo informo delle questioni più importanti, delle linee pastorali che intendiamo seguire e ne ricevo indicazioni.
Ogni anno visita il seminario e alcune parrocchie, incontra i sacerdoti all’inizio della Quaresima e apre il convegno diocesano annuale con un discorso che orienta il cammino pastorale.
Senza dimenticare i momenti liturgici più significativi, nel quale il Papa ci è maestro della fede.
Qual è il suo rapporto con la città di Roma? Le mie origini sono di questa terra, a Roma ho trascorso molti anni e adesso, come vescovo, sono a più diretto contatto con la gente, visitando le parrocchie e le altre realtà anche civili.
Roma è una città che, pur nella sua complessità, affascina.
Svolgere il ministero episcopale per i suoi abitanti mi onora e mi impegna molto per ciò che Roma è e significa nel mondo.
E quale invece il rapporto dei cittadini di Roma con il loro pastore vicario? La gente è accogliente e cordiale, dovunque trovo disponibilità, anzi desiderio di rendere le comunità ecclesiali centri di autentica vita cristiana.
Mi sembra che si sia stabilito un buon rapporto con tutti.
Qual è l’evento che le torna alla mente con più frequenza di questo primo periodo trascorso come vicario di Roma? Tra i tanti momenti belli di questi quasi due anni, l’esperienza che più mi ha dato gioia e speranza è stata l’ordinazione presbiterale conferita da Benedetto XVI l’anno scorso a 19 nostri giovani sacerdoti.
Il motivo è facilmente comprensibile.
In conclusione, quale questione pastorale la preoccupa maggiormente? Senza dubbio è quella che chiamerei quaestio fidei, vale a dire come “aggiornare” – nel senso dato a questo termine dal concilio Vaticano ii – l’azione pastorale diocesana e parrocchiale affinché la gente possa aprire il cuore a Cristo e vivere con gioia nella Chiesa.
(©L’Osservatore Romano – 4 marzo 2010)
“In tutto mi accomodai a loro”
Nessuna strategia predeterminata da seguire, ma una costante attenzione agli spiragli di apertura, curiosità reciproca e fiducia che di volta in volta si venivano ad aprire lungo il cammino, unita a una grande capacità di ascoltare i bisogni dell’altro e muoversi di conseguenza; è probabilmente questo il segreto del successo sorprendente di Matteo Ricci nel dialogo con gli intellettuali del Grande Regno del Dragone, nella seconda metà del Cinquecento fino al 1610, l’anno della morte. In fondo, a ben vedere, una delle modalità in cui si declina la caritas cristiana in chi da essa si lascia investire, visto che l’amore, come scriveva Nicolás Gómez Dávila, è l’organo con cui percepiamo l’inconfondibile individualità degli esseri.
“In tutto mi accomodai a loro” scrive Matteo Ricci di se stesso, con una frase che sintetizza in una battuta lunghi anni di difficoltà, fatiche e pericoli, ma anche di gioie inaspettate e di fecondo lavoro intellettuale; acquistare prestigio e credibilità nelle “cose mechaniche” crea un clima di interesse e simpatia umana da cui può nascere un confronto interessante per entrambe le parti in causa.
“In tutto mi accomodai a loro” è anche il titolo del convegno che si è aperto il 2 marzo alla Pontificia Università Gregoriana e proseguirà fino a giovedì nell’ateneo di Macerata; un’occasione per rileggere i suoi libri più famosi e il suo epistolario.
Analizzare nel dettaglio le opere composte da Ricci e dare uno sguardo alla sua “officina letteraria” permette di capire meglio il suo metodo.
Il Xiguo jifa, la mnemotecnica occidentale da lui tradotta in cinese, per esempio, è un tentativo di adattare il proprio messaggio alle esigenze culturali della civiltà che aveva di fronte.
Gli intellettuali cinesi che aspiravano a qualche carica burocratica nell’impero avevano bisogno di sapere a memoria i classici confuciani, per questo Ricci mise al loro servizio tutte le conoscenze che aveva in merito, rielaborandole in modo per loro comprensibile; sperava così che, riconoscendo l’eccezionalità del metodo di memorizzazione, fossero portati in seguito ad approfondire anche le verità della fede cristiana.
Per la composizione di questo trattato, come di molte altre opere gesuitiche in cinese, furono inventati termini ad hoc per indicare la terminologia specifica e tecnica legata alla filosofia e alla religione occidentali.
Questo lessico è modellato, però, identificando termini che possano avvicinarsi a quelli legati alla filosofia e al divino della cultura cinese e richiese un lavoro notevole di acquisizione ed elaborazione della cultura ospitante.
È in particolare per la rielaborazione delle immagini che Ricci attinge a piene mani alla tradizione linguistico-etimologica cinese; vengono usati i caratteri cinesi, viene utilizzata la loro suddivisione classica in famiglie e i criteri di suddivisione attraverso metodi semantico-associativi e fonetici.
La struttura stessa del testo rispecchia quella della lingua locale.
Il Xiguo jifa, come e forse più del trattato sull’amicizia (quello che oggi potremmo chiamare un instant-book agile e “di servizio”), è un esempio significativo di come padre Matteo accolse e si lasciò modellare dalla cultura che lo accoglieva, accettando di dedicare tutte le sue energie a quest’opera e di “mobilitare” tutte le sue competenze, dalla passione per la musica – un esempio tra i tanti: compose ed eseguì otto canzoni per gli alti dignitari dell’imperatore – alle conoscenze di “cose mechaniche”.
L’intuizione di Matteo Ricci è stata quella di applicare anche in Cina l’esperienza dei Padri della Chiesa, l’innesto rigoglioso e fecondo del cristianesimo nella cultura antica, soprattutto ellenistica e romana; poté così confrontarsi positivamente con il confucianesimo – ma è bene precisare che si tratta del confucianesimo “antico”, non influenzato dal buddismo – mentre altri avevano fallito perché intendevano sovrascrivere il messaggio cristiano senza tener conto del retroterra culturale locale, rischiando di spazzare via i “germogli appena spuntati” del dialogo in atto.
La stima verso il popolo del Grande Regno del Dragone in padre Matteo era sincera, non frutto di una strategia e neanche di una “dissimulazione onesta”.
La grande cultura cinese lo aveva impressionato positivamente; per il gesuita Nanchino e Pechino non avevano niente da invidiare alla Firenze dell’epoca.
Forse è proprio per questo rispetto autentico e non simulato che il missionario marchigiano è tuttora molto amato e conosciuto in Cina – insieme a Marco Polo è l’unico straniero presente nel monumento del millennio a Pechino – e nel nostro tempo di dialogo tra religioni e culture profondamente diverse resta un simbolo attuale a cui richiamarsi.
di Silvia Guidi (©L’Osservatore Romano – 4 marzo 2010)
Dire Dio in contesto multiculturale e plurireligioso
Dire Dio in contesto multiculturale e plurireligioso Convegno di studio sull’IRC: 13-14 marzo 2010 Sabato 13 marzo ore 9.00 Lodi ore 9.15 Dire Dio in una scuola secolarizzata Prof.
Michele Marchetto ore 10.
45 Intervallo ore 11.15 Dire Dio secondo l’approccio psicologico e psicanalitico Prof.
Massimo Diana ore 13.00 Pranzo ore 15.00 Il volto di Dio nella Canzone Prof.
Fabio Pasqualetti ore 17.00 Intervallo ore 17.30 Il volto di Dio nella Bibbia Prof.
Cesare Bissoli Il volto di Dio nelle Grandi Religioni Prof. Cyril De Souza Domenica 14 marzo ore 9.00 Dire Dio in una cultura ermeneutica Prof.
Zelindo Trenti ore 10.30 Intervallo ore 11.00 Costruire il volto di Dio a Scuola Prof.
Roberto Romio Una esemplificazione didattica Prof.
Lucillo Maurizio.
ore 12.30 Conclusione Pranzo Obiettivo del Corso Il Linguaggio tradizionale su Dio rischia l’insignificanza.
La diversità delle appartenenze etniche, la molteplicità delle culture, la diversità delle religioni impongono una rivisitazione puntuale del linguaggio circa il cardine stesso dell’esperienza religiosa.
Il Convegno si propone come spazio privilegiato per la riflessione personale e per l’intervento educativo del docente di religione cattolica.
Iscrizioni e informazioni Segreteria Istituto di Catechetica.
Università Pontificia Salesiana Piazza Ateneo Salesiano, 1 00139 ROMA Tel 06 87290.651; Fax 06 87290.354 martedì e venerdì ore 9,00-12,00
«Il nostro mondo»
Nel solco delle due precedenti mostre – “Acqua, aria, fuoco, terra” e “Madre Terra” che focalizzavano l’attenzione sulla biodiversità puntando soprattutto su natura e ambiente, senza nascondere i problemi del pianeta – la rassegna curata da Guglielmo Pepe, direttore di National Geographic Italia, stavolta racconta l’avventura umana.
Così, dopo aver raccontato le conseguenze dei cambiamenti climatici e le difficoltà di sopravvivenza di numerose specie animali, i fotografi della prestigiosa National Geographic Society hanno puntato i loro obiettivi esclusivamente sull’uomo per mostrare la ricchezza della diversità.
Il risultato è diviso in quattro capitoli: bambini, uomini, donne, genti.
Persone colte in alcune situazioni che ne caratterizzano l’esistenza: la famiglia, la vita in città e nei villaggi d’origine, il rapporto con la natura, il lavoro.
E come sempre, quando si documenta l’uomo, il risultato è affascinante e ambivalente.
Da una parte le immagini esaltano la bellezza della vita, dall’altra testimoniano anche le condizioni di estremo disagio in cui ancora vivono numerose popolazioni.
Secondo Pepe, “l’umanità messa in mostra ci aiuta a guardare la nostra specie con occhi diversi, ad avere compassione, ad essere partecipi, a condividere felicità e dolore, a sentirci meno soli, a non stare alla finestra, a capire noi stessi e i nostri simili”.
Perché ciò che emerge con forza dal lavoro dei quarantotto fotografi che hanno scattato le foto presentate sono soprattutto i volti.
Volti gioiosi, pensierosi, mesti, affaticati, ascetici, preoccupati; volti che si aprono alla vita o segnati dallo scorrere del tempo; volti che raccontano storie, testimoni di un’esistenza passata ma anche premonitori di un futuro.
Scorrendo lo sguardo da un’immagine all’altra si colgono i contrasti – etnici, sociali, religiosi, economici – ma allo stesso tempo si scorgono le caratteristiche che accomunano i membri della famiglia umana.
E non si tratta solo di esperienze, come il lavoro, lo studio, la quotidianità, la festa, la malattia, l’emergenza di una catastrofe inattesa o di una guerra che non sfocia mai nella pace.
Si tratta in particolare di emozioni.
Sono le emozioni che ci fanno entrare in empatia con gli altri, in qualche modo ci spingono a condividere, a sentirci più vicini.
E come potrebbe essere altrimenti di fronte al sorriso contagioso della piccola boscimane ritratta nel villaggio di Nhorma, in Namibia; o agli occhi intensi e interrogativi delle “piccole donne” – una giovanissima sherpa che porta in spalla un’altra bimba – nel villaggio di Phakding, in Nepal.
O davanti al corpo scavato dall’Aids di un malato di Lusikisiki, in Sudafrica; oppure dinanzi agli sguardi affamati e imploranti dei poveracci che si accalcano per comprare carcasse di pesce marcio in un mercato della Tanzania.
O, ancora, fissando lo sguardo sull’uomo che nella propria rassegnazione spera comunque di trovare dell’oro in un sacco di terra di scarto di una miniera di Serra Pelada, in Brasile; infine incrociando il volto sereno di una donna con il suo neonato nella provincia dello Yunnan, in Cina.
Come si legge nel testo introduttivo del catalogo della mostra, “difficilmente i fotografi National Geographic vi diranno che il loro lavoro può contribuire a cambiare lo stato delle cose.
Eppure può accadere.
Soprattutto quando noi non ci limitiamo a essere spettatori, e se cerchiamo di capire, prima di giudicare”.
Ecco, quello che giunge da queste novantuno immagini è un invito a capire; a comprendere l’altro e a scoprire in lui un pezzo di se stessi.
E se alla fine di questo viaggio tra le genti del pianeta il visitatore avrà iniziato a vedere l’altro con occhi nuovi, più limpidi, senza le spesse lenti del pregiudizio, delle sovrastrutture culturali, allora questa mostra avrà raggiunto il suo scopo.
Gaetano Vallini (©L’Osservatore Romano – 8-9 febbraio 2010) Novantuno immagini inedite per raccontare l’uomo e il suo mondo.
Novantuno scatti nei diversi continenti per descrivere la condizione umana nel nostro pianeta.
E scoprire che, pur con il cambiare delle latitudini, le similitudini sono superiori alle differenze.
L’uomo è uomo, dovunque si trovi, qualunque sia la sua cultura.
Gioisce e soffre allo stesso modo.
È questo il messaggio più profondo della mostra fotografica “Il nostro mondo” allestita da National Geographic Italia al Palazzo delle Esposizioni di Roma e visitabile gratuitamente fino al 2 maggio.
XXV GiornataMondiale della Gioventù
I tre momenti a- Il momento della domanda E’ a tre fasi: il giovane a Gesù, Gesù al giovane, il giovane a Gesù e Gesù al giovane.
* Inizia il giovane (v.
17): non sappiamo il nome, in certo modo porta il nome di ciascuno di noi: Maurizio, Paola, Andrea, Elena… Non comincia con un “buongiorno, Rabbi…Bel tempo oggi” Si tratta di una cosa che sta pienamente nel cuore del giovane: lo si vede dal gesto di fiducia totale: si butta in ginocchio davanti a Gesù, tanto lo stima e lo qualifica come “Maestro buono”, maestro valido, eccellente.
* Ed ecco la domanda: “Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”, ossia raggiungere il traguardo positivo della mia vita così come Dio vuole per me? Due annotazioni al volo: -Occorre avere il coraggio di farsi e fare domande, non dare per scontato di sapere già tutto.
Non è vero, se ci guardiamo dentro.
Tanto più di fronte a Gesù che è il Maestro insuperabile che parla a nome di Dio.
-Le domande possono essere tante, ma quello che conta è che siano sincere, e sono sincere se toccano il profondo della nostra esistenza.
Domande sulla vita che vogliamo bella, buona, felice, per sempre, il che è l’equivalente di ‘vita eterna’ in bocca a Gesù! Una traccia di riflessione Tu che domande vorresti fare a Gesù? Domande vere, che riguardano la vita? A chi ti rivolgi quando hai bisogno di risposte serie e convincenti? * Contro domanda di Gesù (vv.18-19) Prima Gesù vuol metter in chiaro che la sua ”bontà” di maestro non è di origine umana, frutto di studi universitari, ma viene da Dio, perché solo Dio può dare e dà la vita eterna.
Egli intende farlo tramite di Gesù, che afferma: “Io sono venuto perché (tutti) abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).
E subito Gesù propone un griglia di verifica: i 10 comandamenti.
Traccia di riflessione Gesù provoca, è da attenderselo, con due precisi compiti, che fanno riflettere -Prima riflessione: io ho una religione vera, so unire Gesù a Dio, o la bontà di Gesù la scambio con l’utile che mi dà? -Una pronta verifica: i comandamenti di Dio, tutti e 10, senza sconti, li tratto come buone esortazioni o linee-guida normative che vengono dal Dio della vita e garantiscono la mia e nostra vita eterna? * Risposta del giovane a Gesù e di Gesù al giovane (vv.20-21) E’ un sì chiaro, solare, a tutto tondo.
Si può quasi vedere il volto luminoso del giovane.
A lui risponde Gesù non con un occhiata di sfuggita, ma lo inquadra nel suo sguardo intenso, continuato, ammirato, commosso che sfocia in un verbo straordinario: “lo amò”.
E’ usato il verbo agapao, che vuol dire gratuità, dedizione piena, fiducia da parte di Gesù, e quindi apertura di nuovi orizzonti da chi è amato così da Gesù, certamente vi rientra il dono della vita eterna.
Non si può mai dimenticare che dove vi è una condotta retta, perché si osserva il decalogo che Gesù stesso sintetizza nel precetto dell’amore di Dio e al prossimo (Mc 12,29), ebbene lì Gesù si commuove di gioia, è felice e con il suo affetto abbraccia letteralmente la persona.
Gesù è sensibilissimo a chi obbedisce a Dio, al Padre che è nei cieli.
Traccia per una riflessione Tu, ti trovi in sintonia con questo giovane del Vangelo? I comandamenti ti fanno da strada per realizzare quell’incontro con Cristo che desiderate entrambi, Lui con te e tu con Lui? Oppure ci cammini ai margini? b- Il momento della proposta * Verrebbe da pensare che a questo punto il giovane si congeda da Gesù e Gesù dal giovane, il quale magari fischiettando torna a casa con la “ vita eterna” in tasca! Ma non è proprio così.
Quello sguardo intenso di amore di Gesù penetra dentro il cuore del giovane.
Gesù vi vede due cose: questo giovane è veramente bravo; e però dentro di lui vi può essere un filo nero, una sorta di finestra chiusa a Dio, che pure sta onorevolmente servendo, una chiusura di cui lui stesso non sa rendersi conto.
Vi può essere ‘mammona’, l’idolo del “possesso di molti beni”. * Gesù vuol verificare e lancia la sua proposta, audace, radicale: “Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!” (v.21). E’ la condizione fatta al giovane per diventare suo discepolo, di andare a stare con Gesù.
* La richiesta è triplice – primo: liberarsi dall’idolo di tanti, troppi beni che (come si vede dalla reazione del giovane) gli stanno “intristendo” il cuore; – secondo: non c’é da buttar via niente, ma donare ai poveri perché abbiano la loro dignità di persone, la dignità che Dio vuole per tutti i suoi figli a partire dagli ultimi; – terzo: seguire Gesù, farlo guida sicura e costante della propria esistenza.
* Sono le parole di chiamata dei discepoli: Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni (Mc 1,16-20), di Levi o Matteo (Mc 2,14): abbandono di ciò che non è Gesù per avere tutto Gesù.
Le conseguenze sono forti e chiare: – Gesù prima di chiederci qualcosa di nostro, ci offre sempre qualcosa di suo: un’amicizia, anzi un amore generoso e totale.
Accogliendolo diventiamo suoi discepoli amati, illuminati, protetti, ed anzi ci fa suoi testimoni.
– Perché questo avvenga, Gesù fa una richiesta coraggiosa che Lui ha vissuto per primo: “Va, vendi quello che hai e dallo ai poveri”. Si noterà che il Maestro non vuole che disprezziamo le ricchezze o che non ci impegniamo nel produrre beni, non chiede di buttare via i soldi o le cose che ci stanno a cuore, non ci manda a vivere da miserabili… – Ci impegna invece a fare una grande impresa di ingegneria, più grande ancora del ponte di Messina: con le proprie ricchezze (salute, comodità, sicurezze, talenti) costruire un ponte che vada sull’altra riva della vita, nel mondo dei poveri (malati, sofferenti, orfani, persone sole, stranieri, mendicanti, emarginati…) per stringere loro la mano da amici: salutarli, parlare con loro, aiutarli a poter avere ciò di cui hanno bisogno (medicine, lavoro, cibo, vestito, soldi per l’affitto, compagnia …).
E in questo modo realizzare il bellissimo ‘miracolo’ promesso da Gesù quando facciamo del bene ad un povero: incontriamo Lui (cfr Mt 25, 31-46). – Poi rimane una cosa sola da fare: continuare la strada cominciata, seguire Gesù (è il verbo che egli preferiva).
Vuol dire che Lui sta davanti come il capocordata in una scalata e noi dietro, condividendo in tutto la sua vita.
– Questo non ci porta via dal nostro mondo, dai nostri interessi e aspirazioni, ma ci fa vivere tutto in modo nuovo.
Gesù lo definisce “un tesoro in cielo” che rende liberi e felici già in terra.
Purtroppo non è stato così per il giovane ricco, con cui si chiude l’incontro.
Traccia per una riflessione Ho mai pensato: – che Gesù ama ogni persona che lo cerca? – che aiutare i poveri nelle diverse forme è incontrare Gesù, come nella Messa? – che Gesù, il suo insegnamento, tutta la sua persona, merita di essere ascoltato e seguito fedelmente come il più sicuro Maestro di vita ? c- Il momento della decisione Purtroppo sappiamo che l’incontro, iniziato così bene, è finito in uno scontro.
E non per colpa di Gesù.
Perché? Osserviamo la stringente logica del vangelo.
* Gesù pone il giovane di fronte ad una decisione: accettare di restare con Lui o andarsene.
O sì o no, o con me o contro di me (Mt 12,30). E’ il suo stile di sempre.
La ragione è intuibile: Gesù solo è il salvatore della persona.
* Il giovane, pur amato da Gesù, dice di no; invece i discepoli, tra cui Pietro, subito dopo questo spiacevole episodio, mostrano di avere detto di sì: “Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito” (Mc 10,28).
* La decisione del no si accompagna alla tristezza e diventa allontanamento da Gesù.
Si può pensare che anche Gesù sia diventato triste e pensieroso, tanto che riprende il discorso con i la gente e in particolare con i suoi discepoli (Mc 10,23-31).
– Mette in guardia con gravi affermazioni coloro che hanno un possesso avido ed egoista delle ricchezze: “Quanto è difficile per quelli che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio” (Mc 10, 23).
Mentre ai discepoli che gli hanno detto sì, ripete con altre parole la splendida promessa del “tesoro in cielo”, bruciata dal giovane ricco: “In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratello o sorella o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà” (Mc 10,29-30).
Notiamo le indicazioni che Gesù dà alla vita di una persona che lo voglia seguire.
* Mettiamoci bene in testa: incontra Gesù veramente, non superficialmente, non chi si limita a constatarlo, magari sentendolo un gran bravo, simpatico personaggio, ma chi dall’ammirazione e dall’attrazione passa alla decisione di fare una scelta, naturalmente la scelta di Lui totalmente e con la gioia di seguirlo sempre perché è un amico sempre presente, 24 ore su 24.
Capitasse che mi allontano, Lui non si allontana, mi segue come l’ombra, come lo Sconosciuto con i due fuggiaschi di Emmaus (Lc 24,13-36).
* Gesù soltanto ha parole di vita eterna (cfr Gv 6, 68), è cioè capace di venire incontro alle aspirazioni profonde della persona: verità, giustizia, pace, gioia, amore gratuito e sincero, libertà, coraggio di diventare volontario per gli altri, speranza di futuro, progettualità… * Gesù provoca chi lo incontra e alla luce dell’esperienza fatta con il giovane ricco, afferma chiaramente che con il possedere ricchezze si rischia fatalmente di venire posseduti da esse, esserne imprigionati, diventare schiavi, perdere la libertà e la serenità, minati dalla paura di essere derubati. Concretamente Gesù invita a superare la barriera dell’ego-centrismo con tutti i pesi che trascinano giù: l’attaccamento esagerato alle cose terrene, l’orgoglio, la prepotenza, la cura di star bene da solo, farsi la strada della felicità con la droga, l’alcol, il sesso facile, il pensare di avere sempre ragione, fare il bullo… In termini positivi Gesù invita a fare delle proprie risorse un intelligente investimento di amore operoso per i poveri.
Come abbiamo visto sopra.
* L’incontro con Gesù non può limitarsi a rimanere un racconto evangelico di ieri. Noi siamo giovani oggi e Gesù, il risorto dai morti, è il Signore che vuole incontrarci oggi.
Vi è la triplice via che porta ad un incontro valido e bello con il Signore: – La via dell’incontro con Gesù nella preghiera, che vuol dire soprattutto la Messa domenicale e la Confessione, la lettura della Parola di Dio; – La via di prestare un servizio a chi è nel bisogno, fare un volontariato in cui ci mettiamo le nostre ‘ricchezze’: un po’ del nostro tempo, la nostra amicizia, un aiuto concreto di sostegno, in famiglia e fuori (compagni malati, anziani, disabili, emigrati, barboni…); – La via della riflessione personale per ritirare le decisioni aperte o nascoste dei nostri no a Gesù e maturare quelle del sì, per qualche settore della propria vita (famiglia, scuola, tempo libero, parrocchia, relazione con il ragazzo/a…).
Se ci prepariamo seguendo questa triplice via, allora l’incontro con il Papa sarà un grande momento di libertà, la libertà di dire sì a Cristo, riparando il no triste del giovane ricco.
Un’ultima traccia di riflessione * Gesù invita a fare una scelta nei suoi confronti.
Tu da che parte stai? Gesù è per te una ‘cosa’ che serve al momento opportuno, o una brava persona da contattare ogni tanto, o una persona viva grande come Dio, amico vero cui posso legare la mia vita, il mio futuro? * La ragione del rifiuto fatto dal giovane ricco è logica.
Il suo cuore era già occupato dalle ricchezze materiali, non c’era posto per Gesù e la sua visione di realtà così attenta al mondo dei poveri.
Per questo Gesù disse un giorno: “Non potete servire Dio e la ricchezza” (Mt 6,24).
Cosa posso dire di me? Quali sono le mie ‘ ricchezze’, quelle che fanno i miei desideri, che mi occupano di più (soldi, divertimento, prestigio, facebook, sms…)? Il loro uso è compatibile con le parole di Gesù al giovane ricco? Quanto sono ‘ricco’ di solidarietà, di gratuità, di altruismo, di volontariato? * Qual’é la mia effettiva relazione con Gesù? Lo incontro nella lettura del vangelo, nei sacramenti, specie l’Eucaristia domenicale, nell’aiuto ai poveri? www.chiesagiovane.it pastoralegiovanile@vicariatusurbis.org Servizio Diocesano per la Pastorale Giovanile di Roma “MAESTRO BUONO, CHE COSA DEVO FARE PER AVERE IN EREDITA’ LA VITA ETERNA?” (Mc 10,17) In CAMMINO VERSO PIAZZA SAN PIETRO Incontro dei giovani con Benedetto XVI 25 marzo 2010 1.
“Poter incontrare Gesù, fare un dialogo con Lui è possibile? Come?” * Sì, è possibile.
Ed è facile, non occorrono visti speciali come quando si va all’estero in certi paesi.
Gesù non vive all’estero, non è un estraneo, sta in mezzo a noi come un amico vivo e giovane.
L’ha detto Lui: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io, in mezzo a loro” (Mt 18,20).
* Viene subito in mente Tor Vergata, quella meravigliosa notte, al tempo della GMG del 2000, eravamo due milioni.
E Gesù c’era, lo sentivamo tutti, in particolare nella persona del Servo di Dio Giovanni Paolo II.
* Ebbene, noi saremo diverse migliaia in Piazza S.
Pietro il prossimo 25 marzo intorno a Benedetto XVI che ci ha convocati in vista della Giornata Mondiale della Gioventù di quest’anno.
E Gesù ci aspetta là, accanto al Papa! 2.
La procedura per l’incontro con Gesù è semplice.
E’contenuta nel libro-guida dei cristiani: il Vangelo.
Lì abbiamo la scaletta sicura, il format di ogni incontro con Lui.
* Vi sono diversi incontri di Gesù con i giovani.
Di due si dice che li ha risuscitati: una ragazza, la figlia di Giairo a Cafarnao (Lc 8,49-50), e un ragazzo, il figlio di una vedova di Naim (Lc 7,11-17).
E’ chiaro: Gesù vuole giovani vivi e li rende tali! * Ma Gesù ha incontrato anche giovani vivi che erano affascinati dalla sua personalità.
Si racconta di uno che ha aiutato Gesù a moltiplicare il pane e il pesce per la gente mettendogli generosamente a disposizione il suo cestino quotidiano (Gv 6,9).
E’ stato ancora un giovane a stargli coraggiosamente accanto nel momento terribile dell’arresto (Mc 14,51).
Tra Gesù e i giovani vi è un feeling speciale, indimenticabile, ieri, oggi e sempre.
3.
Ma qui diventa necessario andare al fondo dei fatti.
Tra amici non basta incontrarsi, è necessario parlarsi, aprirsi l’uno all’altro.
E’ quanto sarà avvenuto sovente nella vita di Gesù.
Ed infatti nel Vangelo è riferito proprio un dialogo prolungato che Gesù ha avuto con un giovane.
Lo riportiamo qui prendendolo dal vangelo secondo Marco al capitolo 10, versetti 17-22.
17 Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”.
18 Gesù gli disse:“Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo.
19 Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”.
20 Il giovane (Mt 19,20) allora gli disse: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza”.
21 Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”.
22 Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. Forse e senza forse la lettura lascia un po’ di amaro in bocca perché questo giovane ha detto di no a Gesù.
E’ la realtà, anche nostra, di certe volte.
Ma non è fatale che sia così.
Molti giovani hanno detto sì: Agnese, Tarcisio, Maria Goretti, Domenico Savio, Piergiorgio Frassati… In un certo modo tocca a noi adesso risarcire lo sgarbo fatto al Maestro.
E’ importante capire bene il contenuto del dialogo.
Ognuno di noi dica: Adesso sono io colui che incontra Gesù ed è incontrato da Lui! 4.
Il racconto comprende tre momenti che dicono la trama di ogni incontro con Gesù.
Il momento della domanda, il momento della proposta, il momento della decisione.
Sono tre tempi tra loro indissolubili e con cui fare i conti.
Omelie sul Vangelo di Luca
UNIVERSITÀ PONTIFICIA SALESIANA con la collaborazione del GRUPPO ITALIANO DI RICERCA SU “ORIGENE E LA TRADIZIONE ALESSANDRINA” XIV LETTURA DI ORIGENE – 2010 OMELIE SUL VANGELO DI LUCA Lunedì 11 gennaio 2010, ore 17.00 presso Istituto Salesiano Sacro Cuore, Via Marsala 42 – ROMA Enrico dal Covolo Il “Magnificat” di Maria (HLc.
VIII) Presiede la Prof.ssa Emanuela Prinzivalli, coordinatrice del GIROTA (= GRUPPO ITALIANO DI RICERCA SU “ORIGENE E LA TRADIZIONE ALESSANDRINA Prossime riunioni: Lunedì 15 marzo 2010, ore 17,00 Istituto Sacro Cuore, Via Marsala 42 – ROMA XVII omelia, Simeone e Anna incontrano Gesù: Stefano Tampellini Lunedì 15 febbraio 2010, ore 17,00: Istituto Sacro Cuore, Via Marsala 42 – ROMA XIII omelia, La nascita di Gesù: Leonardo Lugaresi Martedì 13 aprile 2010, ore 19,30: Sant’ Ivo alla Sapienza, Corso Rinascimento 40 – ROMA XVIII e XIX omelia Quando Gesù ebbe dodici anni: Antonio Grappone Martedì 4 maggio 2010, ore 19,30: Sant’ Ivo alla Sapienza, Corso Rinascimento 40 – ROMA XXXIX omelia, Insegnamenti di Gesù: Emanuela Prinzivalli Coordinatori: Mario Maritano, Enrico dal Covolo, Emanuela Prinzivalli Università Pontificia Salesiana – P.za dell’Ateneo Salesiano, 1 – 00139 Roma – tel.
06/872901 Dipartimento di Studi Storico-Religiosi, P.zale A.
Moro 5 -000185 ROMA–Tel.
06/49913705 e-mail: maritano@unisal.it; enrico@unisal.it; prinzivalli@iol.it; I primi tre incontri si tengono presso l’Istituto «Sacro Cuore», via Marsala 42 – ROMA , Roma (accanto alla Stazione Termini; alloggio su prenotazione: tel.
06/44.63.353, ospitalità; 49.27.221, centralino), gli ultimi due a Sant’ Ivo alla Sapienza, Corso Rinascimento 40 – ROMA (per eventuali informazioni ulteriori, riguardo a questi due ultimi incontri, rivolgersi al prof.
don Mauro Mantovani: <mantovani@unisal.it>).
I tempi della lettura rispecchiano l’originalità e l’impegno dell’iniziativa.
Ogni incontro sarà di almeno un’ora piena, e consterà di tre momenti: a) breve sintesi del testo in esame; b) lettura e commento dei passi più importanti; c) discussione.
ü Si farà riferimento alla traduzione italiana: Origene, Commento al Vangelo di Luca di Origene, a cura di S Aliquò – C.
Failla, Città Nuova, Roma 1969, rist.
1974.