Decimo Congresso nazionale di archeologia cristiana

Solitudine e comunione, si può sostenere, non si escludono a vicenda.
Sono interdipendenti e complementari.
È questa una verità che Cicerone evidenzia quando parla di se stesso come di persona «mai meno sola di quando è sola».
Una persona, in altri termini, può essere sola nel senso che non è nell’immediata compagnia di altri, e tuttavia, se vive un’intensa e creativa vita spirituale, nelle proprie profondità scopre un indissolubile vincolo di comunione con gli altri.
Ritiro non significa necessariamente isolamento, solitudine non implica lontananza e disinteresse.
Quanti sono compartecipi della nostra umanità possono essere fisicamente assenti, ma sono spiritualmente presenti.
La comunione può esistere a molti diversi livelli.
Dal suo deserto cristiano, Evagrio Pontico afferma la stessa cosa quando dice che il monachòs, con cui forse intende non solo il monaco ma proprio il solitario, è «separato da tutti e unito a tutti».
Questo descrive esattamente la situazione dell’anacoreta, uomo o donna che sia: «separato da tutti» esternamente, in termini spaziali o topografici, ma interiormente e spiritualmente «unito a tutti» attraverso la preghiera.
Come dice abba Lukios nei Detti dei padri del deserto, «se non impari prima a vivere con gli altri, non sarai capace di vivere in solitudine come dovresti».
Il futuro eremita deve prima essere provato e saggiato dall’esperienza della vita nel cenobio.
Come dovrebbe un solitario organizzare il suo tempo ogni giorno? Anche qui c’è varietà, ed è giusto che sia così.
Come afferma William Blake, «una sola legge per il leone e per il bue significa oppressione ».
San Cristodulos prevede che i suoi eremiti vivano di vegetali crudi e che mangino una volta al giorno di pomeriggio.
Una descrizione un po’ più completa del programma quotidiano dell’eremita e della sua dieta ci è fornita da un testimone del XIV secolo, san Gregorio Sinaita.
E gli divide il giorno in 4 periodi di tre ore ciascuno.
Partendo dall’aurora, il solitario esicasta impiega la prima ora del giorno in ciò che Gregorio chiama «ricordo di Dio attraverso la preghiera e la vigilanza del cuore », cioè in primo luogo la recitazione della preghiera di Gesù.
La seconda ora è dedicata alla lettura e la terza alla psalmodia, la recitazione del salterio.
Gregorio probabilmente prevede che il solitario conosca il salterio a memoria.
Il secondo e il terzo di questi periodi di tre ore sono consacrati alle stesse tre attività, nello stesso ordine.
Poi, alla decima ora del giorno il solitario prepara e consuma il suo pasto.
All’undicesima ora, se vuole, può prendersi un breve riposo.
Alla dodicesima ora recita vespro.
Per la notte Gregorio propone tre programmi alternativi.
Gli «incipienti» devono passare metà della notte svegli e l’altra metà dormendo, con mezzanotte come punto di divisione; non importa quale metà della notte è usata come veglia.
Quelli «a metà del cammino» (mesoi) devono passare le prime due ore della notte svegli, le successive 4 dormendo e le 6 restanti svegli.
Il «perfetto», aggiunge Gregorio con asciutto tocco di umorismo, non ha bisogno di dormire, per cui può passare tutta la notte stando in piedi e rimanendo sveglio.
Nelle ore di veglia della notte il solitario recita il mattutino (orthros) e probabilmente prima di esso il mesonykton, o ufficio di mezzanotte; poi, all’aurora, l’ora prima.
Il resto della veglia notturna si può passare ancora nella recitazione del salterio, nella lettura, e soprattutto nella pratica della preghiera di Gesù.
È significativo che il solitario non è esentato dalla recitazione dell’ufficio divino.
Ma cosa succede se non sa leggere? Gregorio non lo dice; probabilmente in questo caso si prevede che egli dica la preghiera di Gesù, e di fatto esistono regole precise, che specificano quante centinaia di preghiere di Gesù devono sostituire le diverse parti dell’ufficio divino.
Come nei regolamenti per Patmos, Gregorio prevede che il solitario mangi solo una volta al giorno, dopo l’ora nona e prima del vespro.
Egli non fa menzione di alcun pasto leggero prima di questo.
Probabilmente durante la quaresima il solitario, seguendo le normali regole ortodosse, non mangiava fino a dopo vespro.
Nella prima settimana di quaresima e nella settimana santa osservava indubbiamente un digiuno più rigoroso, come fanno molti monaci nei cenobi.
Gregorio permette al solitario di mangiare una libbra di pane al giorno, di bere due coppe di vino e tre di acqua.
Altrimenti il suo cibo deve consistere in «qualunque cosa sia a portata di mano, non qualunque cosa il tuo impulso naturale ricerca, ma ciò che la provvidenza provvede, da essere mangiato senza troppa spesa».
Questo probabilmente comprendeva verdure fresche, quando ce n’erano; perché molti eremiti, e tale è il caso al Monte Athos oggi, hanno un piccolo orto.
Ma come possiamo rispondere a san Basilio quando chiede: «Di chi laverai i piedi… se vivi in solitudine?».
Che servizio rende il solitario al mondo che lo attornia? Non è egoista e antisociale ritirarsi in reclusione, volgendo le spalle, così sembra, alle angosce e alle sofferenze degli altri uomini? Si tratta di una critica alla vita solitaria che è stata fatta spesso, già nel passato e più diffusamente nel nostro tempo.
Cosa rispondiamo? È ovviamente possibile replicare con le parole di Cristo: «Quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto» (Mt 6,6).
Cristo stesso si ritirava regolarmente «in un luogo deserto» per pregare (Mc 1,35; Lc 4,42).
Ma certamente, quando Cristo dice «chiudi la porta» parla di qualcosa che dobbiamo fare ogni tanto, in modo temporaneo, prima di tornare nuovamente ai doveri e alle richieste della nostra vita quotidiana in società.
Non suggerisce di tenere la porta costantemente chiusa.
Afferma semplicemente che nella vita di ogni persona attiva nel lavoro sociale occorre una dimensione di solitudine.
Cosa diremo dunque di coloro per i quali la solitudine è una condizione permanente? Fra tutte le possibili risposte alla domanda di san Basilio, la migliore a mia conoscenza è quella fornita da san Serafino: «Acquisisci la pace interiore – egli dice – e migliaia attorno a te troveranno la salvezza».
Il solitario è in grado supremo uno che cerca con la grazia di Dio di acquisire la pace interiore; ed è precisamente in questo modo che assiste agli altri.
Se in ogni generazione ci sono non più di un pugno di persone, uomini e donne, che nella reclusione hanno acquisito la pace del cuore, essi hanno sull’intera comunità umana che li circonda un effetto creativo che supera ogni calcolo (anche se naturalmente l’acquisizione della pace interiore è possibile anche a quelli che vivono in mezzo alla società).
Ora i solitari che hanno acquisito la pace interiore possono certamente aiutare gli altri uomini direttamente agendo da padri e madri spirituali, dando consigli a quanti vanno da loro di persona cercando assistenza.
Una guida di questo tipo fu l’eremita egiziano sant’Antonio, che nella seconda metà della sua vita divenne, con le parole del suo biografo sant’Atanasio di Alessandria, «un medico dato all’Egitto da Dio».
Ma le parole di san Serafino hanno un campo d’applicazione più ampio.
Attraverso la loro preghiera nascosta i solitari aiutano anche moltissimi altri ai quali la loro esistenza è totalmente sconosciuta.
Diventando fiamme ardenti di preghiera i solitari trasformano il mondo circostante solo con la loro esistenza, con il semplice fatto della loro segreta presenza.
È questo il fondamentale contributo fornito da chi è «separato da tutti e unito a tutti».
*metropolita ortodosso, Diokleia in “Avvenire” dell’8 settembre 2010

“Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore”

Che cos’è il Meeting Con le sue quasi 800.000 presenze il Meeting di Rimini – che dal 1980 ha luogo ogni anno, in una settimana della seconda metà di agosto – è il festival estivo di incontri, mostre, musica e spettacolo più frequentato del mondo.
Si tratta di una realtà unica nel suo genere: una fondazione che da 30 anni si propone di creare occasioni di incontro tra persone di fedi e culture diverse, nella certezza che luoghi di amicizia fra gli uomini possano essere l’inizio della costruzione della pace, della convivenza e del bene comune.
Questa posizione umana e culturale, che ha origine nell’appartenenza all’esperienza cristiana, è stata in questi anni capace di un’apertura testimoniata dalle personalità più significative della scena mondiale che si sono avvicendate sul palcoscenico del Meeting: dal Santo Padre Giovanni Paolo II a Chaim Potok, dall’allora cardinale Ratzinger a Madre Teresa di Calcutta, dal Dalai Lama a Eugène Ionesco, da Andrei Tarkovskij a Riccardo Muti, da Lech Walesa a Ibraim Rugova, dal cardinale Jean-Louis Tauran a Amre Moussa, da Carlo Rubbia a George Smoot, da Ennio Morricone a José Carreras, da Jean Guitton a Luigi Giussani, da Simone Veil a Martha Graham, da David Rosen a François Michelin, da Mario Draghi a Tony Blair; e ancora, politici, imprenditori, scienziati, filosofi, artisti.
Al di sopra di ogni diversità, l’esperienza elementare dell’uomo si rivela come il terreno comune per l’incontro e il dialogo.
Non il dubbio sull’identità, ma la certezza, spalanca la persona alla scoperta e al riconoscimento di tutto ciò che è bello e buono, e così il Meeting è diventato un luogo dove l’altro non è innanzitutto qualcuno da combattere, ma un aiuto a scoprire la verità che corrisponde alle esigenze più profonde dell’uomo.
A parte un piccolo nucleo di 14 persone che lavora a tempo pieno alla sua preparazione, il Meeting di Rimini viene organizzato, allestito, gestito e poi smontato grazie all’appassionato e generoso lavoro dei volontari: sono oltre 3.000 ogni anno, in gran parte giovani, provenienti dall’Italia e da molti altri Paesi del mondo.
E’ soprattutto grazie al loro contributo che il Meeting di Rimini è diventato anche una manifestazione dai grandi numeri: 439 mostre, circa 3300 incontri e 6000 personaggi.
Sono oltre 900 i giornalisti accreditati durante l’ultima edizione.
Il Meeting è un grande evento sociale, una festa, un luogo dove, come disse Giovanni Paolo II nella sua visita nel 1982, si costruisce “una civiltà che nasca dalla verità e dall’amore”, ma soprattutto è un gesto di gratuità: migliaia di persone, di ogni età e condizione sociale, che donano tempo ed energie per realizzare la manifestazione.
Il discorso culturale che vi si svolge, ne è solo una conseguenza.
Il meeting Tema Programma Mostre Uomini all’opera Villaggio ragazzi Sala stampa Quotidiano Meeting TV Sponsor Servizi Gallery Pianta interattiva Espositori Indice edizioni  Tema e Personaggi La provocazione contenuta nel titolo del Meeting 2010, come anticipato durante il comunicato conclusivo della scorsa edizione, “Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore”, afferma che la natura dell’uomo è innanzitutto il suo cuore che si esprime come desiderio di cose grandi.
Il motore di ogni azione umana è questa aspirazione a qualcosa di grande, l’esigenza di qualcosa di infinito.
È questa tensione il tratto inconfondibile dell’umano, la scintilla di ogni azione, dal lavoro alla famiglia, dalla ricerca scientifica alla politica, dall’arte all’affronto dei bisogni quotidiani.
I grandi desideri e le grandi aspirazioni non sono un ostacolo o qualcosa che complica l’esistenza, ma sono ciò che rende l’uomo irriducibile proprio perché essi sono il segno del suo rapporto con l’infinito.
Clicca qui per leggere gli spunti sul tema.
Vi presentiamo alcuni personaggi che interverranno al Meeting 2010 con le tematiche che verranno affrontate: La relazione fondamentale sul tema del Meeting Stefano Alberto, Docente di introduzione alla Teologia all’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano Nato nel 1959, sacerdote della Fraternità dei Missionari di San Carlo Borromeo, è docente di Introduzione alla teologia nell’Università Cattolica del S.
Cuore di Milano.
Membro del Consiglio nazionale di Comunione e Liberazione, ha curato diversi volumi trai quali: Vangelo e storicità.
Un dibattito (1995), La Chiesa Corpo mistico di Cristo nel primo capitolo della Lumen Gentium (1996) e Generare tracce nella storia del mondo.
Nuove tracce d’esperienza cristiana (1998) con Luigi Giussani e Javier Prades.
Le sfide della modernità S.
Em.
Card.
Angelo Scola
, Patriarca di Venezia Dottore in filosofia e teologia, è ordinato prete nel 1970.
Nel 1991 viene ordinato vescovo di Grosseto.
Dal 1995 al 2002 è stato Rettore della Pontificia Università Lateranense e Preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia.
Nel 2002 viene nominato Patriarca di Venezia e nel 2003 creato Cardinale.
Scenari internazionali Libertà religiosa e responsabilità politica, Medio Oriente, integrazione e convivenza tra i popoli, immigrazione e multiculturalità.
“Le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo”: è ancora valida questa provocazione nello scenario attuale? Su questo si confronteranno capi di stato e protagonisti della scena mondiale.
Miguel Diaz, Ambasciatore USA presso la Santa Sede (E’ stato invitato) Prima di diventare Ambasciatore, Miguel Diaz, 45 anni, nato ad Havana (Cuba), è stato professore di teologia al College of Saint Benedict in St.
Joseph, e alla Saint John’s University di Collegeville entrambi in Minnesota.
È consigliere della Catholic Theological Society of America ed ex presidente della Academy of Catholic Hispanic Theologians degli Stati Uniti.
Diaz è il primo Ispanico a rappresentare gli USA presso la Santa Sede.
Diaz è stato un membro del “Voices for the Common Good”, ufficio di esperti in materia di pensiero cattolico sociale.
In anni recenti ha partecipato a diversi dialoghi ecumenici alcuni di questi presieduti da alte cariche religiose, e ha organizzato incontri con teologi Africani, Americani e Latini sul tema dell’umanità.
Franco Frattini, Ministro degli Esteri Italiano Nato a Roma nel 1957, è ministro degli Esteri nell’attuale governo.
Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri durante il governo Berlusconi I, è stato ministro della Funzione pubblica e degli Affari regionali del successivo governo Dini.
Nel 1996 si dimette dall’incarico di governo per candidarsi alle elezioni politiche con il Polo per le Libertà, nella lista di Forza Italia.
Dal 14 novembre 2002 al 18 novembre 2004 è stato Ministro degli Affari esteri del governo Berlusconi II, del quale era già componente dal 2001 in qualità di Ministro della Funzione pubblica.
Dal novembre 2004 al maggio 2008 Frattini è stato vicepresidente della Commissione europea e Commissario europeo alla Giustizia, Libertà, e Sicurezza.
Joaquin Alliende-Luco, Presidente Associazione Aiuto alla Chiesa che Soffre Eletto presidente dell’associazione nel 2008, Padre Joaquín Alliende-Luco nasce 1935 a Santiago del Cile ed è ordinato sacerdote nel 1961.
Ha preso parte come esperto di Teologia ai lavori preparatori delle ultime tre assemblee generali del Consiglio dei Vescovi Latinoamericani (CELAM), svoltesi nel 1979 a Puebla (Messico), nel 1992 a Santo Domingo (Repubblica Dominicana) e nel 2007 ad Aparecida (Brasile).
È tuttora membro di numerose commissioni teologiche in vari Paesi ed è particolarmente interessato alle questioni di Teologia pastorale, tra cui l’importanza della pietà popolare per la Chiesa in America Latina, su cui ha scritto varie opere.
L’associazione che guida è presente in 17 paesi del mondo con lo scopo di portare soccorso alla chiesa.
Le sezione italiana pubblica ogni due anni un rapporto sulla libertà religiosa nel mondo.
Mary McAleese, Presidente dell’Irlanda Nominata ottavo Presidente d’Irlanda l’11 Novembre del 1997, e rieletta l’1 Ottobre 2004, Mary McAleese è avvocato e Professore di Diritto.
Nata nel 1951 a Belfast è il primo Presidente proveniente dall’Irlanda del Nord.
Sposata, con tre figli, è cresciuta durante il periodo più violento dell’Irlanda, che venne poi chiamato “The Troubles” e la sua famiglia è stata una delle più colpite dal conflitto.
Mary McAleese è anche una giornalista, ha lavorato come presentatrice in radio e in televisione con la Radio Telefís Éireann.
Giustizia, uguaglianza, integrazione, antisettarismo, riconciliazione sono i suoi interessi personali, il tema della sua Presidenza è “costruire ponti”.
L’uomo e il diritto Quali sono le radici di una convivenza post moderna che si fondi sull’esperienza elementare dell’uomo, cioè su quell’insieme di esigenze e evidenze che lo caratterizzano, al di là del principio hobbesiano e della tradizione del diritto naturale? Al Meeting incontri con giuristi di livello internazionale.
Paolo Carozza, Associate professor of Law nella University of Notre Dame Paolo Carozza, nato nel 1963, è associate professor of Law nella University of Notre Dame, Indiana, dove è anche membro del Kroc Institute for International Peace Studies, membro del Nanovic Institute for European Studies e membro di facoltà del Center for Civil and Human Rights.
I suoi campi di interesse e di insegnamento riguardano il diritto internazionale e il diritto comparato europeo e latino americano, sui quali ha scritto numerosi articoli e saggi John Milbank, Professor in Religion, Politics and Ethics at the University of Nottingham Nato nel 1952, teologo cristiano, è professore di Religione, Politica e Etica alla Università di Nottingham.
In precedenza, ha insegnato alle Università di Lancaster, Cambridge e Virginia.
È uno dei fondatori del movimento Radical Orthodoxy.
Il suo libro più conosciuto è Theology and Social Theory, mentre il più recente è Being Reconciled: Ontology and Pardon.
Carter Snead, Fellow at the Ethics and Public Policy Center and Associate Professor of Law at the University of Notre Dame È professore di diritto e bioetica alla Notre Dame University dell’Indiana, nonché consulente giuridico della presidenza del Comitato di bioetica americano e delegato Usa all’Unesco per la stesura della Dichiarazione universale sulla bioetica e i diritti umani.
Collabora con numerose testate giornalistiche americane.
Joseph H.
H.
Weiler
, Director, The Straus Institute for the Advanced Study of Law & Justice, Co-Director, Tikvah Centre for Law & Jewish Civilization New York University Nasce nel 1951 a Johannesburg, in Sud Africa.
È professore universitario presso l’Università di New York (NYU).
Ha ricoperto la carica di Membro del Comitato di Giuristi della Commissione per gli Affari Istituzionali del Parlamento europeo che ha co-redatto la Dichiarazione sui Diritti e sulle Libertà dell’Uomo del Parlamento Europeo.
È membro dell’Accademia Americana delle Arti e delle Scienze.
È inoltre autore di articoli e libri nei settori del diritto internazionale, comparativo e europeo.
Il suo contributo alla teoria giuridica europea è stato di grande valore, impegnandosi in lavori sul mercato interno, sulle relazioni esterne e sulla legge sociale.
Testimonianze dal mondo Uomini e donne da ogni parte del mondo che raccontano come la vita rinasce quando, nell’esperienza del quotidiano o in circostanze estreme, il desiderio di felicità si scopre irriducibile e incontra un’ipotesi positiva di risposta.
Margherita Coletta, Presidente Associazione Coletta E’ la vedova del brigadiere Giuseppe Coletta, morto a Nassiriya nel 2003 nell’attentato che costò la vita a 19 italiani tra militari e civili.
Dopo l’attentato, ha costituito un’Associazione che continua l’opera del marito che già in missione organizzava container di aiuti diretti ai bambini che incontrava nelle varie missioni all’estero.
Shodo Habukawa, Monaco Buddista e Docente alla Koyasan University Docente alla Koyasan University, è uno dei leader del buddismo giapponese, veterano nel Meeting.
Vi partecipò la prima volta nel 1998, affascinato da un incontro con don Luigi Giussani, andato in Giappone per una conferenza su buddismo e cristianesimo.
Fredy Komakech, Degracious Adrawa, Luigi Emalu, Denis Oryem, Caesar Nyeko (Meeting Point International, Uganda) Sono alcuni dei tanti ragazzi raccolti per strada a Kampala, spesso orfani o abbandonati dalle famiglie, cresciuti da Rose Busingye e dalle donne del Meeting Point International in Uganda.
Cinque volti, cinque storie che racconteranno come anche in Africa è possibile la rinascita di uomini nuovi.
Marie Therèse, Presidente della Cooperativa Karibu Marie Therese Mukamitsindo, è una delle tante donne scappate dal Rwanda, lacerato dalla guerra civile.
Trovato rifugio in Italia, inizialmente ha lavorato come badante, poi stabilitasi a Sezze Romano (Latina) ha fondato nel 1996 la cooperativa Karibu (che in swahili indica un benvenuto cordiale e sincero), con lo scopo di accogliere altre donne che come lei ricevono lo status di rifugiate oppure hanno appena intrapreso l’iter legale per poterlo ottenere.
Nel 2004 nasce una collaborazione ufficiale con il Ministero degli Interni, che ha riconosciuto la cooperativa come luogo privilegiato per offrire prima accoglienza, sostegno e formazione a donne e bambini rifugiati che arrivano dal Corno d’Africa.
A Karibu vengono accolti ragazze e bambini, malati nel fisico e nella mente, che devono superare traumi orribili e cercare di tornare a una vita normale.
Mireille Yoga, Educatrice al Centro Sociale Edimar (Yaoundé, Camerun) Educatrice al Centro Sociale Edimar, in Camerun, centro che si dedica al reinserimento famigliare e sociale dei ragazzi raccolti per strada; la rinascita di Mireille avviene proprio nell’incontro con alcuni missionari, “un colpo di luce” che apre a una vita nuova, pur tra mille difficoltà.
Lei sposata da dieci anni, non riesce ad avere figli, più di una croce per la società in cui vive, e il marito, pur tra le pressioni del clan e dei genitori, decide di non lasciarla perché affascinato dal suo modo di stare con i ragazzi.
Maria Teresa Landi, Senior Investigator al National Institutes of Health (NIH), Bethesda, MD Ricercatrice al National Institute of Health, il cuore della ricerca scientifica americana, laureata a Milano, Maria Teresa Landi è professore associato di Epidemiologia presso la Johns Hopkins University e professore aggiunto di Epidemiologia presso la George Washington University.
Le sue ricerche si muovono nel campo della ricerca genetica applicata al cancro e porterà al Meeting una testimonianza sul suo lavoro.
Scienza Le ricerche scientifiche, lo sguardo all’universo e la curiosità verso l’origine e la natura stessa delle cose, sono state sempre l’occasione per l’uomo di scoprire “cose grandi”.
Attraverso incontri con scienziati e una mostra dedicata alla matematica, il racconto dell’avventura umana della ricerca.
Laurent Lafforgue, Professore all’IHÉS (Institut des Hautes Études Scientifiques) È professore permanente presso l’ HIÉP (Institut des Hautes Études Scientifique di Parigi).
Si è dedicato allo studio del cosiddetto “programma di Langlands” conseguendo quei risultati che nel 2002 gli sono valsi la Medaglia Fields (il più prestigioso riconoscimento internazionale assegnato nell’ambito della Matematica).
Nel 2003 è nominato Cavaliere della Legione d’Onore e membro dell’Académie des Sciences.
Sensibile al problema dell’educazione, dal 2004 inizia a interessarsi al sistema educativo in Francia pubblicando un documento-manifesto sulla scuola; nel 2005 Chirac lo nomina membro dell’Alto Consiglio dell’Educazione, ma Lafforgue darà le dimissioni all’indomani della prima riunione di lavoro in durissima polemica con funzionari ed esperti del Ministero dell’Educazione, che il matematico ritiene responsabili del tracollo del sistema scolastico francese.
Edward Nelson, Docente di Matematica al Department of Mathematics presso la Princeton University, Membro della National Academy of Sciences e Membro dell’American Academy of Arts and Sciences Nato nel 1932 in Georgia, è docente di Matematica al Department of Mathematics presso la Princeton University, Membro della National Academy of Sciences e Membro dell’American Academy of Arts and Sciences.
E’ famoso per i suoi lavori in fisica, matematica e logica matematica, in particolare per la cosiddetta “Internal Set Theory”.
Ha lavorato anche all’università di Chicago ed è stato membro dell’ “Institute for Advanced Study”.
Incontri con Da una passione grande per il proprio lavoro, una passione per la vita.
Giornalisti, filosofi e storici, incontreranno il grande pubblico del Meeting.
Fabrice Hadjadj, Filosofo e Scrittore Nato nel 1971 a Nanterre, filosofo ed intellettuale francese di cultura ebraica, si è convertito nel 1998 al cristianesimo.
Collabora con Figaro Littéraire e Art press, insegna filosofia e letteratura al liceo privato cattolico Sainte-Jeanne-D’Arc di Brignoles.
Nei diversi libri, tra i quali troviamo Réussir sa mort– Anti-méthode pour vivre, grazie al quale nel 2006 ha vinto il Grand Prix catholique de littérature, Hadjadj, affronta il tema della sessualità e della morte.
Vladimir Legojda, Docente di Giornalismo all’Istituto di Relazioni Internazionali MGIMO di Mosca Direttore del mensile giovanile ortodosso «Tommaso» (in russo «Foma»), principale periodico ortodosso, con una tiratura di circa 40mila copie diffuse nelle chiese e nelle edicole di tutta la Federazione e dell’omonimo centro culturale e formativo, conduttore televisivo, autore di numerose pubblicazioni.
Laureato in giornalismo presso l’Università di Relazioni Internazionali di Mosca (MGIMO), ha effettuato il dottorato in Scienze Politiche ed è ordinario di giornalismo internazionale presso la medesima università.
Nel 2009 gli è stato affidato dal patriarca Kirill il nuovo Dipartimento sinodale per l’informazione.
Diarmuid Martin, Arcivescovo di Dublino Dottore in filosofia e teologia, è ordinato prete nel 1969, nel 1994 diviene nominato segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, e rappresenta la Santa Sede all’assemblea generale dell’Onu per le questioni sociali Nel marzo del 2001 viene nominato Arcivescovo a Nunzio Apostolico a Ginevra e nel 2004 diventa Arcivescovo di Dublino.
E’ attualmente il vice presidente della conferenza episcopale d’Irlanda.
A pochi giorni dalla beatificazione di John Henry Newman, il cardinale interverrà in un incontro su uno dei più grandi pensatori cristiani degli ultimi secoli John Waters, Columnist de The Irish Times Nato nel 1955, John Waters è scrittore, editorialista e vicedirettore di The Irish Times, il più autorevole quotidiano di Dublino.
Ha iniziato la sua carriera giornalistica nel 1981 con Hot Press, la più importante rivista irlandese politicomusicale.
Protagonista della cultura musicale irlandese, è diventato uno dei più autorevoli critici musicali in patria e incontri programma 86 in seguito scrittore ed anche cantante.
Ha pubblicato sei libri, l’ultimo nel 2007 dal titolo Lapsed Agnostic e diverse commedie per radio e teatro.
Dopo aver vissuto “l’etica della ribellione”, ha incontrato la verità cristiana che sembrava sepolta nelle nebbie dell’infanzia.
È un sostenitore del movimento irlandese dei diritti dei padri.
martedì 27 aprile 2010 Back Altre news Guarnieri e Vittadini, interviste sul Meeting 21/08/2010 La compagnia di don Giussani al Meeting 21/08/2010 Omaggio a don Giussani (1922–2005) 21/08/2010 Ecco cosa l’Islam può imparare dal Meeting 20/08/2010 Meeting: selezione rassegna stampa 20/08/2010 Il Meeting si unisce al cordoglio per la scomparsa del presidente emerito Francesco Cossiga 17/08/2010 Gli spettacoli del Meeting 12/08/2010 Arrivati i primi volontari 11/08/2010 Teologia della liturgia 10/08/2010 Anteprima Meeting: da Caligola a Fellini 10/08/2010 Il presidente Emilia Guarnieri illustra i contenuti dell’edizione 2010, ricca di letteratura, poesia, musica e di incontri con personaggi della cultura e delle religioni.
«In un momento così drammatico c’è bisogno di uomini capaci di desiderare cose grandi non riducendo la realtà a partire dai propri interessi Smettiamola  di conformarci al coro relativista secondo cui ognuno ha la sua verità».
Quattro anni dopo il Meeting della ragione Comunione e Liberazione propone quello del cuore.
Nel frattempo c’è stata la battaglia sui Dico, la crisi è ancora lì, la Fiat ha “disdetto” il contratto dei metalmeccanici…
La scelta di questo tema significa che le capacità concertative della ragione vi hanno deluso? “La ragione è esigenza di infinito” suggeriva il Meeting del 2004, stesso contenuto del “cuore” che “desidera cose grandi” del titolo di quest’anno.
Cuore e ragione – ci risponde Emilia Guarnieri, presidente del Meeting per l’amicizia tra i popoli – non sono contrapposti, questo è  il dogma del razionalismo moderno che “fa fuori” il desiderio infinito dell’uomo, riducendo la ragione a misura di ciò che già si conosce.
In un momento così drammatico c’è bisogno di uomini capaci di desiderare cose grandi e di usare la ragione in tutta la sua capacità, non riducendo la realtà a partire dai propri istinti o dai propri interessi.
Smettiamola  di conformarci al coro relativista secondo cui ognuno ha la sua verità, il cuore è puro soggettivismo, il bene comune è un’utopia, i desideri non c’entrano con la politica o con l’economia… Il Meeting, dite, è “un luogo dove la storia passa in anticipo”: perché quest’anno fa tappa in Irlanda? Quando abbiamo incontrato il presidente di Irlanda e ci ha colpito il suo accento sulle relazioni internazionali: la relazione tra persone, capace anche di andare oltre un puro rapporto istituzionale, può essere un fattore  imprescindibile anche per affrontare i grandi conflitti.
Il Meeting molto spesso è arrivato in anticipo proprio perché invita persone che abbiano qualcosa da dire, al di là della loro notorietà.
Spesso per fortuna succede che “chi ha qualcosa da dire” prima o poi riesca a “dirlo” e conti nella storia.
Per esempio  nel 1981 è stato nostro ospite  il giornalista Tadeusz Mazowiecki, che nel 1989 fu il premier del primo governo non comunista della Polonia.
Il cartellone è sempre stato il luogo dei messaggi forti: per restare al protagonista dello spettacolo di apertura, oggigiorno chi è Caligola e cosa significa avere “bisogno della luna”? Caligola è l’uomo che scopre il suo desiderio di infinito – “ho bisogno della luna” – e  non trovando una risposta a questo desiderio impazzisce.
Un grande testo teatrale, una  provocazione attuale, perché spesso tanti drammi umani, che sfociano poi nella droga, nella violenza, nella malattia, hanno alle spalle un esasperato ed inappagato desiderio di giustizia, di amore, di verità.
Lunedì chiederete al cardinale Erdö e al Metropolita di Minsk Filaret se un europeo moderno possa “credere proprio” alla divinità di Cristo: la cultura aiuta a desiderare “cose grandi” oppure è una zavorra? Viva la cultura, sempre! Cultura è consapevolezza del  rapporto con il reale, è l’humus nel quale si tirano su i figli, è  di ogni uomo e di ogni popolo.
Sono cultura  il volontario che lavora al Meeting, come la donna che canta al proprio piccolo, perché in ogni gesto si esprime la coscienza del rapporto che il particolare ha con la totalità, tant’è vero che quanto più questa coscienza è forte, tanto più è alta la cultura che si esprime.
Anche la cultura intellettuale e accademica o  esprime una concezione della vita o resta pura chiacchera: non serve né interessa a nessuno.
Al Meeting inoltre ci sarà letteratura, poesia, musica, perché niente come la poesia è in grado di evocare l’infinito sospingendo il cuore verso le cose grandi.  Da qualche tempo, il “Meeting della politica” è sottotono: segno che la politica non ha “cuore”? Un politico che il cuore ha mostrato di averlo è stato Cossiga.
Al Meeting ci aveva invitato ad essere liberi dal potere e ad avere la fantasia dei figli di Dio.
Uno che la politica la faceva, che ha fatto parlare di sé perché le idee le aveva.
Ciò che  oggi manca è il dibattito ideale, non astratto, ma quello che di fronte ai problemi ha la libertà di identificarli e il coraggio di lanciare un progetto, un’idea.
Al Meeting la politica non manca, ciò che ci interessa è che si parta dai reali bisogni.
Un esempio? L’incontro-confronto del ministro Maroni con opere che lavorano in tema di immigrazione.
Di anno in anno, aumenta la caratura degli incontri economici: dobbiamo aspettarci una “ricetta ciellina” contro la crisi? L’economia è un test per verificare se l’uomo può compiere il proprio desiderio di felicità da solo, rifugiandosi nell’individualismo più sfrenato, oppure se ha bisogno dell’altro.
La mostra “Dentro la crisi, oltre la crisi” curata dalla Fondazione per la Sussidiarietà, così come la presenza delle opere della Cdo rappresentano il contesto nel quale abbiamo invitato Marchionne, Tremonti, Passera, Marcegaglia… Con loro vogliamo verificare quanto una concezione ideale c’entri anche con l’economia.
   Paolo Viana Avvenire 21 08 2010

19° Meeting Internazionale dei Giovani

19° MEETING INTERNAZIONALE DEI GIOVANI San Martino – SCHIO (VI) – 12 13 14 15 Agosto 2010 “Tutti tuoi o Maria… per avere la vita eterna” Schio, 10 Luglio 2010: L’Associazione Opera dell’Amore di Schio (Vicenza), presenta il 19° Meeting Internazionale dei Giovani dal titolo “Tutti tuoi o Maria… per avere la vita eterna” che si svolgerà a San Martino di Schio dal 12 al 15 Agosto 2010.
Questo evento ha l’intento di comunicare, attraverso la preghiera, le catechesi, le testimonianze, la musica, profondi valori di vita e di fede cristiana.
Sarà un momento per confrontarci e per condividere insieme momenti di gioia, di amicizia, di riflessione, importanti per la crescita spirituale ed umana.
E’ una manifestazione nata per i giovani e con i giovani.
Per molti di essi è diventata una tappa importante e, se vogliamo, alternativa per trascorrere le proprie vacanze estive, tanto è vero, che il Meeting è diventato un appuntamento fisso per molti giovani provenienti dall’Italia e da altri Paesi europei che, spinti dal desiderio di arricchire il proprio bagaglio spirituale, vogliono essere “luce del mondo e sale della terra” in questo mondo che sta perdendo ogni riferimento etico.
Ecco perché, nel corso della manifestazione, si alternano interventi e testimonianze relativi alle varie attività e iniziative sorte in questi luoghi (fede, difesa della vita, opere per i bambini dei paesi poveri, casa di riposo, recital, musica, cori, radio, pubblicazioni…) con ospiti esperti nei temi di comune interesse, privilegiando l’aspetto propriamente spirituale.
Quest’anno, il titolo che abbiamo scelto per riflettere e vivere il 19° Meeting Internazionale dei Giovani è “Tutti tuoi o Maria… per avere la vita eterna”.
In sintonia col messaggio del Papa rivolto ai giovani alla XXV Giornata Mondiale della Gioventù “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna (Mc 10,17)”, chiederemo a Maria di guidare i giovani del mondo intero all’incontro con il suo Figlio divino Gesù e di continuare ad essere la celeste custode della loro fedeltà al Vangelo e della loro speranza.
(cfr messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la XXIV GMG – 5 Aprile 2009) Appuntamenti principali del 19° Meeting Internazionale dei Giovani Il programma del 19° Meeting Internazionale dei Giovani è molto denso e vario: il momento centrale di ogni giornata è la Santa Messa, alla quale susseguono momenti di canto, di animazione, di riflessione con catechesi, di testimonianze di conversione, di preghiera, momenti di gioia e di vera amicizia.
Gli appuntamenti principali della manifestazione sono:  Giovedì 12 Agosto – ore 20.30: “IL MONDO CANTA MARIA” quinta tappa del tour 2010 del Festival Internazionale di Musica Cristiana organizzato da Radio Kolbe Sat.
Per questo atteso appuntamento ospiteremo sul palco del Meeting Cristina Grego da Bassano del Grappa (Vicenza), Angelo Maugeri da Milano e Greg Wolton da Nashville U.S.A.
vincitore di 5 oscar mondiali della musica cristiana.
Venerdì 13 Agosto – ore 17.30: “COME SATANA CORROMPE LA SOCIETA’” intervento di Annalisa Colzi, scrittrice.
Da sempre interessata ai problemi giovanili, Annalisa, proveniente da Montemurlo (Prato), presenterà il suo ultimo libro “Come Satana corrompe la società”, il cui scopo è capire come il maligno utilizza i vari strumenti moderni per portare le anime alla perdizione.
Nell’intervento toccherà temi quali la teledipendenza (Grande Fratello, L’Isola dei famosi…), internet, libri e riviste (Harry Potter…), musica da sballo, cartoons (Dragon Ball, Pokèmon, Naruto, I Simpson..
) e Hallowen.
Il fine non è quello di condannare il mondo mediatico e l’universo giovanile, quanto quello di mettere il dito in quella che è veramente una piaga purulenta che infetta molti giovani.
Sabato 14 Agosto – ore 10.30: intervento-testimonianza di MAGDI CRISTIANO ALLAM.
Magdi Cristiano Allam è attualmente Deputato al Parlamento Europeo in seno al PPE.
E’ stato vicedirettore ad personam del Corriere della Sera fino al novembre 2008.
E’ particolarmente attento e appassionato alle tematiche che concernono la realtà dei modelli di convivenza sociale in Occidente, quali democrazia e diritti umani, identità nazionale e cittadinanza, immigrazione e integrazione.
Nato al Cairo il 22 Aprile 1952, il 22 Marzo 2008, durante la Veglia pasquale, ha ricevuto il Battesimo, la Cresima e l’Eucaristia in San Pietro da Papa Benedetto XVI, abbandonando l’islam.
Ha ricevuto numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali.
Tramite il sito www.ioamolitalia.it promuove un movimento per la riforma etica della cultura politica e delle istituzioni pubbliche in Italia.
E’ sposato con Valentina Colombo e ha quattro figli.
Sabato 14 Agosto – ore 21.00: “PER LA VITA ETERNA” proiezione di un filmato in ricordo di Renato Baron, animatore del Movimento Mariano Regina dell’Amore.
Domenica 15 Agosto – ore 11.30: “RICORDANDO RENATO” intervento di Rita Baron, moglie di Renato Baron.
Domenica 15 Agosto – ore 16.00: “IL MOVIMENTO IN CAMMINO” con gli interventi di Mons.
Giuseppe Bonato, assistente diocesano del Movimento Mariano Regina dell’Amore, Gino Marta, presidente dell’Associazione Opera dell’Amore, Mirco Agerde, coordinatore della spiritualità del Movimento Mariano Regina dell’Amore.
Informazioni e servizi ACCOGLIENZA: Per le intere giornate del Meeting sarà attivo un punto di accoglienza e di informazione.
Per tutti i giovani, fino ai 30 anni, saranno distribuiti gadget con i quali partecipare alle attività e ricevere sconti sulle consumazioni.
CAMPEGGIO e CAMPER GRATUITO: Dal 11 al 16 Agosto funzionerà gratuitamente in zona meeting un campeggio attrezzato di tutti i servizi necessari (docce, servizi igienici ecc…).
Inoltre a due passi dal campeggio è prevista un’area gratuita per la sosta camper.
Per garantire la piazzola per la tenda e il posto camper è consigliata la prenotazione inviando una e-mail all’indirizzo info@meetingdeigiovani.it oppure telefonando in orario d’ufficio presso Radio Kolbe Sat al numero 0445 505035.
STAND GASTRONOMICO SELF SERVICE: Per le intere giornate del meeting funzionerà, in un tendone adiacente alla tendo struttura che ospiterà la manifestazione, un ricco stand gastronomico self service gestito dal nostro personale competente.
BABY SITTING: Tutte le famiglie partecipanti con bambini di età compresa dai 4 ai 12 anni, potranno usufruire di un servizio giornaliero gestito dal nostro personale, che garantirà servizi di animazione, gioco e attività varie.
RADIO KOLBE SAT, media partner dell’evento, seguirà in diretta mondiale sulle frequenze audio tutto il 19° Meeting Internazionale dei Giovani con ampie interviste ai protagonisti che animeranno la manifestazione.
Inoltre tutto il Meeting sarà trasmesso in mondovisione sul sito internet www.radiokolbe.it.
Per ulteriori informazioni e per l’intero programma del 18° Meeting Internazionale dei Giovani visitate il sito internet: www.reginadellamore.org Il comitato del Meeting

Arcipelago islam

Nel suo celebre discorso all’università cairota di Al-Azhar, Barack Obama reclamò la necessità di un nuovo inizio, «basato su interesse e rispetto reciproci», tra gli Stati Uniti e i musulmani nel mondo, e si assunse la diretta responsabilità, «in quanto presidente degli Stati Uniti, di combattere contro gli stereotipi dell’Islam dovunque si presentino».
Poco più di un anno è passato da quel 4 giugno 2009 che a molti sembrò prefigurare la costruzione di una nuova strategia diplomatica e, insieme, di una cornice narrativo-simbolica opposta a quella del suo predecessore, e la battaglia di Barack Obama contro le letture semplicistiche, parziali e politicamente orientate del complesso mondo islamico sembra essere più necessaria che allora.
Lo dimostra l’interesse polemico suscitato dal saggista americano Paul Berman che nel suo ultimo libro, The Flight of the Intellectuals, critica pesantemente l’acquiescenza degli occidentali verso l’Islam moderato (accusato, sotto le sue vesti liberali, di nascondere progetti egemonici radicali, violenti e jihadisti) e per questo si è meritato – dopo quelle di Pankaj Mishra sul «New Yorker» e di Andrew March su «American Prospect» – le critiche severe di Marc Lynch, docente di Scienze politiche e Direttore dell’Institute for Middle East Studies alla George Washington University.
Il quale, su «Foreign Affairs», smontando i presupposti ideologici sottesi alla «cultura di guerra» di Berman che «marginalizza i pragmatisti e rafforza gli estremisti», ribadisce la necessità di distinguere i grandi mutamenti e la competizione antagonistica tra i gruppi riconducibili all’Islam politico.
Processi irreversibili Nel tentativo di analizzare l’islamismo – sostiene infatti Lynch – sono possibili due approcci: «il primo vede l’islamismo essenzialmente come un unico progetto con diverse varianti, in cui le similitudini sono più importanti delle differenze»; il secondo invece riconosce «le differenze nell’ideologia e nel comportamento dei vari filoni islamisti».
A questo secondo orientamento, che rappresenta per Lynch uno strumento essenziale per indebolire l’idea fittizia che l’Occidente sia in guerra con l’Islam, e che distingue e differenzia anziché accomunare indistintamente, che articola e argomenta anziché sentenziare e accusare, si ispirano diversi testi, pubblicati di recente, dedicati all’arcipelago dell’Islam politico.
Tra questi, va segnalato innanzitutto la (tardiva) traduzione italiana di Islam, Popolo e Stato.
Idee e movimenti politici in Medio Oriente (traduzione di Mattia Guidetti, Jaca Book, euro 28, pp.
256) di Sami Zubaida, professore emerito di Scienze politiche e Sociologia al Birbeck College di Londra.
Un libro, come ricorda l’autore introducendo la terza edizione, scritto negli anni Ottanta, nel decennio successivo alla rivoluzione iraniana del ’79, quando cioè l’Islam politico rappresentava ancora una novità, e nel quale non vengono solo criticate esplicitamente le spiegazioni «essenzialiste», che assumono il fenomeno islamico «come un’emanazione delle essenze culturali dei popoli musulmani, considerate storicamente senza soluzione di continuità», ma viene contestualizzata la nascita e la natura dell’Islam politico moderno.
Quell’insieme di «idee e movimenti, per lo più di opposizione, che in un modo o nell’altro vogliono istituire uno stato islamico, e che ne cercano il modello nella ‘storia sacra’ della comunità politica dei fedeli delle origini stabilita dal Profeta Muhammad a Medina nel VII secolo».
Di contro alle letture essenzialiste à la Paul Berman, che si riferisce all’Islam «fondamentalista» e all’Islam tout court come a una forma di religione caratterizzata da uniformità ideologica e da una visione monolitica e impermeabile alle idee e alle concezioni «moderne» e occidentali, Sami Zubaida ricorda come «gli edifici dottrinali e politici che si costruiscono a partire dai ‘fondamenti’ possano differire largamente»; che l’islamismo ha mostrato una grande diversità di ideologie e stili politici; che «qualsiasi ritorno alle ‘fonti’ comporta una costruzione di queste fonti in linea con le conclusioni desiderate».
E, soprattutto, che revival religioso, «fondamentalismo» e Islam politico sono reazioni politicizzate a irreversibili processi di secolarizzazione.
In questo senso, sostiene Zubaida, i movimenti islamici, proprio perché operano ideologicamente (anche laddove le loro aspirazioni vengono teorizzate come panislamiche) all’interno dei paradigmi politici di statonazione e «popolo» ispirati dall’Occidente, possono e devono essere compresi solo nei termini dettati dalle condizioni socio-economiche contemporanee, oltre che attraverso un’analisi attenta dei particolari processi di istituzionalizzazione della religione all’interno dei confini statali entro cui si manifestano.
Processi dagli esiti imprevedibili e diversi, come dimostrano il caso dell’Iran, «dove la rivoluzione islamica si è normalizzata in uno stato ‘regolare’», e dell’Egitto, dove «la richiesta di uno stato islamico è stata dismessa a favore di una islamizzazione conservatrice della società e della condotta dei costumi a tutti i livelli della società».
Al pari di Sami Zubaida, anche Georges Corm, economista e storico, già docente di Pensiero politico arabo contemporaneo, Sociologia dello sviluppo e Storia economica nelle università libanesi, ministro delle Finanze in Libano dal 1998 al 2000, rifiuta un’analisi limitata ai riferimenti storico-religiosi.
E nella sua Storia del Medio Oriente.
Dall’antichità ai nostri giorni (Jaca Book, pp.
175, euro 16, traduzione di Ida Bonali), si disfa dei sistemi di periodizzazione stabiliti per la storia europea, così come del «prisma politico dell’analisi storica contrassegnata dalle suddivisioni ‘nazionali’ che l’Europa si è forgiata», e offre una conoscenza «profana» di questa regione del mondo, identificando la «geologia delle culture» che si è formata in Medio Oriente sui grandi zoccoli geografici regionali: l’Anatolia, l’altopiano iranico, la bassa (babilonese e caldea) e l’alta Mesopotamia e l’Egitto.
Nel suo itinerario lungo l’evoluzione del Medio Oriente, dall’antichità fino all’occupazione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti passando per il periodo del dominio coloniale, Corm individua tre modelli specifici di resistenza e reazione al dominio europeo e di modernizzazione: quello turco, «forgiato dall’ideologia laica e nazionalista degli ufficiali dei Giovani Turchi che nasce alla fine del XIX secolo, nonché dal kemalismo»; quello arabo, più precisamente nasseriano, «di rivoluzione e dittatura militare nazionalista, vagamente ispirato al modello kemalista»; quello iraniano, fortemente segnato dal nazionalismo europeo e «caratterizzato da una miscela contraddittoria di conservatorismo e di progressismo nei religiosi, di antimperialismo e di rivolte sociali contro gli interessi della corte reale e dei ricchi proprietari terrieri».
Per poi tentare di delineare le ragioni che stanno alla base «della decadenza del Medio Oriente a partire dal XVIII secolo», tra le quali annovera l’uso selettivo e occasionale del diritto internazionale da parte delle potenze occidentali, che continuano a intervenire con operazioni «dal carattere ibrido e contraddittorio, insieme democratico e coloniale».
Un fenomeno moderno Anziché concentrarsi in maniera specifica, come fa Corm, sull’aspetto geografico e sulla roccaforte regionale dell’Islam, su quella «zona strategica fin dalla spedizione di Napoleone Bonaparte» che è il Medio Oriente, Berverley Milton-Edwards, docente di Politica e Relazioni internazionali alla School of Politics della Queen’s University di Belfast, punta l’attenzione «sul mondo musulmano nella sua totalità, o meglio ancora su quei paesi in cui la maggioranza della popolazione è di fede musulmana».
E nel libro Il fondamentalismo islamico dal 1945 (presentazione di Francesca Sforza, Salerno Editrice, 18 euro, pp.
240) ricostruisce la storia del fondamentalismo islamico in chiave politica (perché l’Islam, sostiene l’autrice, sin dalle sue radici nell’Arabia del VII secolo «è sempre stato collegato alla politica»), contestando l’idea che l’Islam sia un «anacronismo, una casa monolitica sotto il cui tetto risiede un miliardo di musulmani» e dimostrando l’infondatezza della tesi secondo cui il fondamentalismo islamico sarebbe in rotta di collisione col secolarismo: una tesi, scrive Milton-Edwards, «che si è rivelata incapace di comprendere che islamismo e fondamentalismo sono sostanzialmente un fenomeno moderno».
Un fenomeno che a partire dal 1945, e proprio in virtù della sua matrice politica primaria, ha assunto un posto centrale nello scenario della maggior parte degli stati musulmani.
E al «movimento-madre dell’islamismo contemporaneo», I Fratelli musulmani (Jama’a al-Ikhwan al- Muslimin) – la cui nascita non a caso è avvenuta in Egitto nel 1928, «in un periodo in cui il processo di modernizzazione e di secolarizzazione dello stato egiziano si era esteso a tutti i compartimenti del politico» – è dedicato il volume collettaneo curato da Massimo Campanini, docente di Storia dei paesi islamici all’Università di Napoli l’Orientale, e Karim Mezran, direttore del Centro Studi Americani di Roma e docente universitario: I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo (Utet,pp.
282, euro 22).
Distinzioni ambigue.
Un testo utilissimo per diverse ragioni: perché non solo analizza in profondità (con il bel saggio di Anthony Santilli) le diverse fasi attraverso le quali il movimento fondato da Hassan al-Banna ha ottenuto legittimazione sociale e politica in Egitto, ma allarga la prospettiva a un’analisi regionale (con i testi di Campanini sul Sudan, di Daniele Atzori sulla Giordania, di Tiziana Giuliani sul Maghreb, di Marco Di Donato sulla filiazione di Hamas) e globale, con i testi di di Stefano Allievi e Brigitte Maréchal sull’influenza del movimento in Europa e di Mezran sulla Fratellanza musulmana negli Usa (in cui si riconosce «il potenziale politico positivo» che i movimenti islamici potrebbero giocare «nel permettere l’integrazione con la cultura e i valori politici del mondo americano»).
E soprattutto perché è animato da una ricerca onesta e rigorosa, che giudica «ambigua, euro-centrica, occidentalo-centrica» la stessa distinzione tra islamismo moderato e islamismo radicale, ricusando le accuse di linguaggio biforcuto mosse ai movimenti islamisti «moderati» come «frutto di un pregiudizio ideologico».
Per approdare alla consapevolezza che, se è vero che la «presenza contemporanea dell’Islam in Europa è probabilmente da considerare uno dei principali avvenimenti culturali della seconda metà del XX secolo», dobbiamo dotarci di un’adeguata attrezzatura concettuale.
Di cui non possono far parte le tartufesche tesi di Berman sull’Islam fascista.
in “il manifesto” del 16 luglio 2010

Dire Dio nel processo di apprendimento scolastico

Dire Dio Secondo l’approccio psicologico e psicoanalitico   Massimo Diana Pozza di Fassa, mercoledì 30 giugno 2010.
La relazione si può scaricare dagli allegati a destra         DIRE DIO IN UNA SCUOLA LAICA     1.
 Le resistenze nella scuola laica Dire… l’indicibile?:                                                              Ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto                                                            (Romani, 1, 19)   1.1  Dire Dio: Legittimo?                                Giobbe finalmente si arrende a Dio: “ Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi Ti vedono.” (Giobbe, 42, 59) Non c’è uomo che non lo conosca, almeno per sentito dire; perché se ne parla: non c’è lingua che non lo nomini.
(Spaemann, 2008).
Legittimamente? Per garantirsi, la ragione ha percorso piste rigorose ed ha tentato di vagliarne la fidabilità.
Con esito incerto: una tradizione secolare e autorevole lo ha riconosciuto all’origine della realtà, causa e fondamento del mondo.
Ma la stessa tradizione trova resistenze tenaci, magari proprio sul versante di chi fa del riferimento a Dio l’orizzonte di significato definitivo per la propria esistenza.
Pascal e Kierkegaard rappresentano solo gli esponenti più illustri fra i credenti che hanno avanzato dubbi e perplessità sulla dimostrazione razionale, sulla cosiddetta via rationis.
In epoca moderna scuole filosofiche di impatto straordinariamente vasto e accreditato hanno negato alla ragione umana il diritto di parlare di Dio (Kant); hanno screditato l’intera compagine tradizionale che ne esigeva la presenza (Nietzsche); hanno denunciato il riferimento a Dio come evasivo di un impegno umano responsabile (Feuerbach-Marx).
Insomma la compagine della credibilità appare scossa.
E tuttavia il tema di Dio non è di quelli che si possano sottacere; ha tutta la provocazione di un confronto che mette in gioco o addirittura a repentaglio l’esistenza.
    1.2  Resistenze in ambito divulgativo:             In chi… crede colui che crede?                                                                           Quasi un secolo fa un pensatore credente J.
Rivière, s’interrogava sulla resistenza dell’a-teo di fronte a tante verità, di cui la fede è depositaria.
Mettendosi nei panni dell’interlocutore, ripeteva a se stesso: – com’è possibile che un uomo intelligente, di buona cultura ammetta… – E faceva un elenco discreto di affermazioni, cui il credente dà normalmente la propria adesione (Rivière, 1925, 32).
Per cui si era proposto un compito singolare: spiegargli  il suo punto di vista, dipanargli la logica e la coerenza del proprio modo di pensare, con la… presunzione di metterlo a parte di un’esperienza singolarmente illuminante       Qualche anno fa il cardinal Martini, allora arcivescovo di Milano, aveva avviato una interessante iniziativa: la cattedra dei non credenti.
In un dibattito assai vivace aveva chiamato in causa il non credente e l’aveva sollecitato a spiegare la propria posizione.
Uno di loro, che si riconosce in questa schiera, riprende recentemente le fila (Savater, 2007).
“In che cosa crede chi non crede?” era la domanda.
“Crediamo, risponde F.
Savater, nella constatazione dei fenomeni naturali stabiliti dalla scienza, in quel che è verificato da studi storici e sociali, nell’opportunità di alcuni valori morali, eccetera.” (Savater, 2007, 85).
Considerazioni piuttosto evasiva:[1] Più incalzante è invece la domanda che, a sua volta, Savater propone: “- In cosa credono coloro che credono… – Perché ci credono una volta che riescono a chiarire in cosa credono.
… – Non si tratta di pretendere da chi crede in ‘Dio’ che chiarisca il contenuto della sua         fede e le ragioni che lo portano ad adottarla…” ( Savater, 2007, 86).
Invece noi pensiamo che proprio di questo si tratti: che chi crede in Dio sia in dovere di mettere a punto la risposta e dire con chiarezza in che cosa e in Chi crede e le ragioni per cui ci crede! Appunto perché vive in un contesto in cui ‘credere in Dio’ non è affatto ovvio.
Nel trecento l’amico di Dante, Guido Cavalcanti, è passato alla storia perché, secondo il suo biografo, ‘passò la vita a cercar se trovar si potesse che Dio non fusse…’ Savater sembra essersi proposto lo stesso compito; ma data la situazione culturale odierna non passerà alla storia per questo.
Fa parte di quella schiera piuttosto numerosa che Sartre ha già lucidamente identificata una sessantina di anni fa.
Il nostro problema, scriveva Sartre, non è l’esistenza di Dio, ma che “l’uomo ritrovi se stesso e si persuada che nulla può salvarlo da se stesso, fosse pure una prova valida dell’esistenza di Dio.” (Sartre, 1968, 93).
    1.3 Resistenze nelle matrici culturali             Nihilismo contemporaneo e le sue matrici:  la visione di Heidegger[2].
                                                  Dicono a me tutto il giorno                                                                                    Dov’è il tuo Dio?                                                                                                                (Salmo 41)   Sintetizzando.
  Nella visione più radicale di Heidegger la tradizione occidentale, metafisica s’innesta al pensiero filosofico e lo oscura allorché il pensiero occidentale, piegandosi esclusivamente sull’ente ne ha raggruppata la problematica attorno a due nodi centrali: “…la metafisica distingue infatti da sempre fra ciò che l’ente è e fra il fatto che esista o meno…
Con questa distintnzione comincia la storia dell’essere come metafisica” (Heidegger, 1961, 2°, 400-401).
La distinzione fra essenza ed esistenza viene in quel momento definitivamente formulata.
Platone specialmente si piega sulla considerazione dell’essenza con la segreta fiducia di tracciare il problema dell’essere.
In realtà risale ultimamente proprio a questa distinzione l’oblio dell’essere: allorché i due aspetti dell’ente – essenza ed esistenza – vengono considerati come l’opposizione più profonda e definitiva finiscono con l’oscurare l’originaria distinzione fra essere ed ente.[3] L’ente si propone e s’impone, occupando l’intero orizzonte della riflessione, senza rimando a fondamento alcuno.
L’insita inconsistenza dell’ente e la conseguente aspirazione del pensiero a rilevarne la fondazione induce ad elaborare una gerarchia fra gli enti; e la loro reciproca azione si trasforma in causalità.
che tende a dare ragione di ciascuno di loro.
  Si vanno dunque rinsaldando gli anelli d’una lunga catena che, risalendo di ente in ente, crede finalmente di potersi agganciare ad un anello definitivo, rappresentato da un ente che sia pura causalità, da cui tutti gli altri trarrebbero origine ed in cui troverebbero giustificazione.
La meta sembra suggestiva: il solco fra essenza ed esistenza, di cui sono segnati tutti gli altri enti, qui trova finalmente modo di essere colmato.
L’actualitas ha assunto tali proporzioni da assorbire e fondere in sé i due ‘con-principi’, essenza ed esi­stenza.­ L’attualità è l’essenza stessa di tale essere sommo, gli appartiene necessariamente; non solo, ma trova in lui la propria scaturigine ultima: ‘E l’ente che non può non essere: teologicamente pensato tale ente si chiama Dio” (Heidegger, 1961, 2°, 4I5).
     1.2 La concezione metafisica del mondo   [4]Di fronte alla metafisica e contro di essa Nietzsche ha preso apertamente posizione.
Ha tentato di rilevarne l’inconsistenza: ha affermato che il suo fondamento vivente, il summum ens, non poteva più reggere ed ha decretato la morte di Dio, non tanto come ribellione religiosa (Heidegger, 1961, 1°, 183), quanto come rivalsa di un pensiero più moderno e maturo di fronte alla tradizione filosofica occidentale.
Decretare la morte di Dio è decretare l’inanità di tutte le prospettive che a lui venivano rapportate.  Tutta la gerarchia dei valori tradizionali si affloscia perchè è crollato il loro punto di convergenza, il loro centro di attrazione.
L’ente stesso, segnato nella sua essenza da un inconfondibile impronta teologico-cristiana ne esce irrimediabilmente compromesso.
E il vuoto, scavato al centro, nel cuore degli enti, si allarga irresistibilmente alla periferia, vanificandone man mano uno strato sempre più largo.
La morte di Dio ha creato, per così dire, la base di lancio del nihilismo; il suo inarrestabile allargarsi ne segna le tappe successive.
Nietzsche non si preoccupa che la storia provi o contesti la validità delle sue affermazioni; per lui queste vanno assumendo la garanzia d’una certezza originaria, indiscutibile.
Se il mondo sembra ancora ruotare attorno all’antica stella, illuminarsi della sua luce, si tratta di un movimento che si protrae solo per forza d’inerzia, d’una luce destinata a spegnersi perchè appunto esaurita nella sua sorgente.
 “Le scene del teatro del mondo possono ancora per qualche tempo apparire le stesse, ma il dramma che si rappresenta è già un altro” (Heidegger, 1961, 2°, 33)• Dio potrà ancora per qualche tempo sembrare il regista, in realtà intreccio, trama, azione gli sono sfuggite di mano.
Al punto che la sua presenza si fa inutile e superflua.
Se il mondo può stare da sé, da solo, il destino di Dio è segnato; non c’è più ragione per cui egli debba esser chiamato in causa….
La sua scomparsa ha scavato un vuoto profondo: ha suscitato quell’indefinibile sensazione di inconsistenza, di inanità che N.
chiama ‘sensazione di insignificanza’, che s’allarga oltre i singoli enti fino al cuore, all’essenza stessa dell’ente (Heidegger, 1961, 2°, 80).
    1.4  Il linguaggio su Dio perde la presa   La lettura che Heidegger propone della sentenza di Nietzsche ha il pregio della sintesi e della radicalità.
Andrà naturalmente verificata e senza dubbio ridimensionata.
Lascia tuttavia la sensazione di aver colto un aspetto profondo e conturbante del linguaggio tradizionale su Dio: che cioè qualcosa suoni a vuoto; non penetri nel cuore della realtà, di cui presume di parlare.
La verità di Dio non sembra scalfitta da un discorrere insistente e continuo, quanto evasivo e inefficace.
Soprattutto il linguaggio non sembra in grado di parlare di Dio, anche se il suo nome ritorna fino al parossismo.
Giustifica di conseguenza una riflessione in grado di rivederne le matrici e i percorsi.
Vi si addensano richiami e suggestioni che possono sollecitare un autentico rinnovamento del linguaggio anche su Dio.
Dio è assente dalla vita; se c’è, costituisce il fulcro dell’esistenza, ma questa sembra scorrere senza avvertirlo   Ha ancora senso parlarne? Si può parlarne?   Nichilismo in atto             L’ospite inquietante                                       Galimberti             L’orizzonte di senso             I Giovani?                                                      Ricerche Iard, 2007 Perché non sono cristiano – e tanto meno cattolico? Odifreddi Una diceria irrinunciabile – non negoziabile              Spaemann   Verità oggettiva o interpretazione? Essere e tempo                                                           il linguaggio in Heidegger             Verità come alétheia Verità e metodo                                                         il linguaggio in Gadamer             Ricupero dell’ontologia Verità e interpretazione                                             Pareyson Percorso razionale legittimo in ambito religioso?     2.
Ipotesi orientativa:  L’orizzonte ermeneutico   2.1       La teorizzazione: Cfr.
Trenti, Il linguaggio… p.
69 e ss.
            2.2       Esemplificazioni: (da verificare in dialogo)          A.
Marcel – La promessa   La fedeltà è uno dei temi preferiti dall’analisi di Marcel.
La sua ricerca attorno alla dignità dell’uomo e alle sue radici trascendenti trova qui uno dei riferimenti qualificati e marcatamente originali.
( Cfr.
Marcel, 1940, 192 e ss.).
Senza data (1930) L’altro giorno ho promesso a C… che andrò a visitarlo di nuovo nella clinica in cui agonizza da settimane.
Promessa che, nel momento in cui la formulavo, è scaturita, almeno credo, da più intimo di me stesso.
Promessa generata da un’ondata di pietà: è condannato, egli lo sa, egli sa che io lo so.  Dalla mia ultima visita son trascorsi diversi giorni.
L’insieme di cose, che ha causato la mia promessa, non si è modificato e su questo punto non posso farmi alcuna illusione.
Devo poter dire, anzi ne sono proprio sicuro, che egli m’ispira sempre la stessa compassione.
Come potrei giustificare un cambiamento nella mia disposizione interiore, dato che nulla è venuto ad alterarla? Tuttavia la mia pietà sentita dell’altro giorno, è diventata una pietà teorica.
Penso ancora che egli è infelice, che è opportuno compiangerlo, ma l’altro giorno non avrei pensato proprio a formulare questo giudizio.
Era proprio inutile.
Tutto il mio essere era uno slancio irresistibile verso di lui, con un immenso desiderio di aiutarlo, di mostrargli che ero con lui, che la sua sofferenza era la mia.
Devo riconoscere che questo slancio non esiste più; potrò soltanto imitarlo con un artificio, ma qualcosa in me rifiuta questo inganno.
Tutto ciò che posso fare è di osservare che C… è infelice, solitario e che io non posso abbandonarlo; d’altronde ho promesso di ritornare; la mia firma è in fondo ad un atto di stipulazione e questo atto è in suo possesso.
(MARCEL Gabriel, 1964,.
262-263).
E, quasi a convalida, ci si potrebbe domandare se fuori dell’ambito, almeno largo e generale, per un impegno  risoluto attorno ad una ‘ragione di vita’ si possa conferire unità all’esistenza: quindi se la fedeltà non si porti a perno dell’identità della persona; e tuttavia non  esiga anche un riferimento che trascende la persona.
La fedeltà annuncia un singolare rapporto fra iniziativa interiore e appello trascendente: quasi vigile valorizzazione d’un dono offerto in permanenza; operante appena la libertà vi si desta, lo avverte e lo accoglie.
A sua volta l’esistenza stessa sembra risvegliarsi all’appello di una misteriosa sollecitazione, proveniente da un mondo che, senza esserle estraneo, la trascende.
La persona sembra situarsi in un rapporto misterioso con sorgenti profonde e definitive – il filosofo potrebbe dire che è in rapporto con la totalità, con l’essere -; sembra comunque portare la percezione oscura di una consegna radicalmente impegnativa.
Certo non cessa di risultare cattivante la volontà di essere pari a se stessi, di stare alla parola proprio come affermazione che l’uomo è prima e oltre le situazioni  in cui la sua vita si snoda.
Resta tuttavia difficile ribadire il significato della fedeltà quando sono in gioco valori decisivi o la vita stessa.  Appare anzi illusoria una fedeltà a se stessi che non ha testimone, né interpreta una consegna, data da uno che attende risposta e sa misurarla.
Proprio dove la promessa si radica in una valutazione pensosa, interprete di aspirazioni profonde che fermentano l’esistenza, induce a risalirne all’origine.
Letta in profondità l’esperienza pare scaturire da una consegna; la promessa sembra in grado di evocarla e la fedeltà appare la traccia privilegiata per compierla.
In ultima analisi la fedeltà letta nei suoi rimandi sembra sottendere un appello all’assoluto; risolversi in invocazione, almeno implicita.
  B.
Buber:  La risorsa evocativa del linguaggio   Il linguaggio sembra posarsi sulla superficie delle cose, preoccupato di descriverle; invece le attraversa e chiama in causa la vita nei suoi risvolti, spesso impenetrabili, forse evocativi di una presenza arcana che si lascia presagire.
La religione sembra avanzare una pretesa inconciliabile con la natura stessa del linguaggio: chiamare per nome una realtà trascendente per definizione, quindi ‘altra’ da ogni realtà finita; perciò indicibile.
E tuttavia proprio questa presunzione attraversa da sempre la ricerca individuale e collettiva: la religione è palesemente patrimonio della cultura umana.
Ha rivendicato al proprio linguaggio un senso autentico; forse addirittura un senso risolutivo per l’esistenza.
Vi ha privilegiato l’uso di forme peculiari che ne hanno potenziato la risorsa evocativa.
  Buber in tutto il suo ragionare che potremmo definire ‘sapienziale’ fa perno su la parola fondamentale, che non è una formula magica: è progressiva umanizzazione dell’esperienza consueta, capace di trasfigurare la quotidianità: “ Ma, per noi, più grande di ogni enigma tessuto ai margini dell’essere è la centrale realtà del tempo terreno e quotidiano con il suo raggio di sole sul ramo dell’acero e il presentimento del Tu eterno.” (Buber, 1993, 122) La relazione costituisce la pista privilegiata all’affermazione e alla consapevolezza religiosa.
Presentimento e presagio risultano l’atteggiamento che apre e legittima il riferimento a Dio: sono parole-chiave per aprire alla ricerca umana l’orizzonte religioso: la realtà ha uno spessore che affonda le radici nel mistero; l’uomo ne porta una indefinita intuizione – presentimento -.
Costituisce la traccia rivelativa della verità delle cose create e perciò costitutivamente relazionate al loro creatore.
La relazione con il Tu non è né magica né scontata, è cercata, attraverso il processo dell’interpretazione! Viene illuminandosi appena la crosta dell’ovvietà si spacca: ‘sai sempre nel tuo cuore che hai bisogno di Dio… e Dio ha bisogno di Te.’ (Buber, 1993, 118) Il Tu è costitutivamente in relazione; senza di questa non è: – donde la parzialità di ogni interpretazione individualistica, – in grado di approfondire perfino l’intuizione del ‘singolo’ di Kierkegaard, dove la relazione risulta perentoriamente affermata proprio a partire dal versante religioso: l’uomo sta di fronte a Dio.
Il rapporto costituisce l’esperienza religiosa, che Buber interpreta e scandisce in una sintesi indovinata ed efficace: “Relazione originaria che da Dio all’uomo è missione e comando, dall’uomo a Dio visione e intelligenza, fra i due conoscenza e amore.” (Buber, 1993, 121) La relazione dunque è costitutiva dell’uomo.
Orienta all’interpretazione del rapporto con Dio, contemplato nel gesto creatore, che non riguarda tanto l’origine della creazione quanto l’esperienza attuale che l’uomo ne assume.
L’incontro e la conseguente affermazione di Dio avviene nel presentimento che esplora il mistero, e progressivamente nella consapevolezza della relazione, di cui vive l’universo creato.
  2.3       Esistenza e rapporto costitutivo con Dio                  Lucido 2.4       Esistenza e presagio                                                  Lucido                         2.5       Per il credente?                         inno al Dio ignoto                  Trenti, Linguaggio…, p.
87                         Guardate i gigli: Lc.
12                         “                    p.
88                         Credere in…                                         “                    p.
95                         Banchetto: Mt.
22   2.6        Fusione di orizzonti nell’ambito credente,                                                                        Trenti, Linguaggio…  p.109 e ss.
        3.
Per un’ applicazione al triennio dei Licei             Elaborazione esemplificativa.
                        Gruppo di studio:       Roberto                                                            Cristina            &

“dire Dio”

“Nel momento di nominare Dio, le parole della fede vengono meno, ed ogni discorso che Gli viene applicato non potrà dire né come Lui è, né quanto Lui è grande”: già nel IV secolo Sant’Ilario di Poitiers esprimeva la difficoltà di “dire Dio” con le parole di cui gli uomini dispongono.
Una constatazione tanto più cruciale nel contesto attuale, in cui, malgrado una forte richiesta di spiritualità, ogni discorso su Dio viene sospettato di essere una proiezione delle nostre rappresentazioni umane o, anche, di “mettere le mani su Dio”.
Organizzando, dal 2 al 5 luglio, nell’antica città di Poitiers in cui ancora aleggia la memoria di Sant’Ilario e di santa Radegonda, il 2° forum delle spiritualità cristiane, il mensile Panorama (proprietà del gruppo Bayard, editore di La Croix) ha offerto ai 400 partecipanti venuti da tutta la Francia e anche dal Belgio, l’occasione di approfondire quella che può essere una spiritualità cristiana oggi: come dire l’indicibile, l’inesplicabile? Quali relazioni tra linguaggio e vita spirituale?…
Il forum ecumenico era organizzato con la diocesi di Poitiers, col suo arcivescovo Mons.
Albert Rouet, e con la vicina abbazia di Saint Martin de Ligugé.
Come faceva notare padre Jean-Marie Ploux, prete della Missione di Francia (1), la sfida attuale viene in particolare dal fatto che le teologie da noi ereditate sono tributarie di un mondo in cui l’esistenza di Dio appariva ovvia, mentre oggi non è più così.
“La teologia dominante della Redenzione, forgiata sulla nozione di peccato originale, risolve in maniera semplicistica la disgrazia, il male, ciò che deriva dalle “disfunzioni” della natura.
Per molti, il problema della disgrazia è divenuto un ostacolo insormontabile sulla via del riconoscimento del Dio redentore.
Parlare di Dio con il linguaggio dei primi secoli, significa condannarsi a non essere capiti.” Per Padre Ploux, Dio non rientra più nell’ambito del bisogno o della necessità, ma della gratuità.
Dire Dio oggi significa scegliere di vedere il mondo a partire dai più deboli: “Quando i cristiani vivono così, le persone lo capiscono bene”, ha aggiunto, lungamente applaudito…
Spesso, le parole riducono, rinchiudono.
Anche i gesti o una preghiera silenziosa possono “dire” la presenza di Dio.
Diverse persone intervenendo hanno insistito sulla necessità del silenzio.
“Si può arrivare a parlare di Dio senza deserto, senza notte, senza esodo, senza silenzio?” chiedeva Mons.
Albert Rouet, arcivescovo di Poitiers, che suggeriva del resto che “più della precisione del vocabolario, sono importanti il tono, il timbro della voce, il modo in cui si dice”.
Tutte le forme di linguaggio – oggetto di diversi laboratori – meritano di essere esplorate come vie di accesso alla vita spirituale: arti plastiche, musica, letteratura, poesia, ascolto dei Padri del deserto, “lectio divina”, fotografia…
E anche il linguaggio cinematografico non deve essere trascurato tra i mezzi moderni di dire Dio, come ha spiegato Henri Quinson (2), parlando delle riprese del film Des hommes et des dieux.
Pluripremiato a Cannes, questo film, dedicato ai monaci di Tibhirine (sarà nelle sale cinematografiche francesi a partire dall’8 settembre), ha già segnato profondamente i suoi attori.
Un’osservazione liminare di Dom Jean-Pierre Longeat, abate di Ligugé, merita di essere meditata: “Se cerchiamo solo delle parole per dire Dio, è inutile che stiamo qui.
Noi cerchiamo della parole per fare l’esperienza di Dio, e per formare insieme il Corpo di Cristo…” Nel cristianesimo, dire e fare, cioè vivere, non sono separabili.
(1) autore di Dieu n’est pas ce que vous croyez, Bayard, 2009 (2) autore di Moine des cités.
De Wall Street aux Quartiers-Nord de Marseille, Ed.
Nouvelle Cité 2008 Gli atti del Forum saranno inviati gratuitamente su semplice richiesta a panorama@bayardpresse.com di Béatrice Bazil in “La Croix” del 6 luglio 2010 (traduzione: www.finesettimana.org)

L’arte di diventare umano

CONVEGNO PEDAGOGICO – ARTISTICO L’ARTE DI DIVENTARE UMANO LA PEDAGOGIA WALDORF-STEINER IN ITALIA CONFERENZE – MOSTRE – LABORATORI 17-20 giugno 2010 Palazzo Panciatichi (Firenze) e Villa Demidoff (Pratolino) 17 giugno: Inaugurazione, Conferenza e Concerto ore 15.00 – 18.30 presso l’Auditorium del Consiglio della Regione Toscana, Palazzo Panciatichi in Via Cavour 4, Firenze 18 giugno: Visite artistiche guidate a Firenze alle ore 9.30 e alle ore 14.00 Spettacolo di Circo alla Romola – San Casciano (Fi) in Via della Chiesa 4, ore 14.30 – 15.30 19 e 20 giugno: Conferenze, Mostre e Laboratori per bambini e adulti ore 10.00 – 18.00, presso Villa Demidoff, Pratolino (Fi) A cura delle Scuole Steiner – Waldorf di Firenze e di Dresda Per informazioni: ASSOCIAZIONE SCUOLA WALDORF FIRENZE www.scuolawaldorffirenze.it – Tel.
055.827135 La partecipazione al convegno è gratuita e aperta a tutti! Gemellaggio tra le scuole WALDORF di Dresda e di Firenze Per una pedagogia che favorisca la crescita di uomini liberi, sani, tolleranti capaci di imparare dalla vita ed essere membri responsabili della società civile.
Le scuole Waldorf di Firenze e di Dresda organizzano un convegno dal titolo “L’arte di diventare umano”.
Un appuntamento pensato per fare il punto su una realtà già consolidata in  molti paesi del mondo ma che è in forte espansione anche in Italia  e in Toscana pur non avendo alcun finanziamento pubblico.
Un’iniziativa tra l’altro, quella del convegno, programmata in occasione del ventesimo anniversario della riapertura della scuola di Dresda, città gemellata con Firenze.  Il convegno si terrà dal 17 al 20 giugno con il patrocinio del Comune di Firenze, della Provincia di Firenze, della Regione Toscana, del Comune di San Casciano e della Federazione Waldorf.
La cerimonia di apertura si terrà a Palazzo Panciatichi, nell’auditorium del Consiglio della Regione, mentre le altre giornate si svolgeranno a Villa Demidoff.
Durante il convegno sono previsti vari interventi sulla pedagogia steineriana a cura di docenti italiani e stranieri, sono previsti laboratori per ragazzi e adulti, mostre fotografiche, mostre di pittura, visite guidate e di lavori degli studenti.
E infine sono previsti anche un concerto e l’esibizione del coro della scuola di Dresda.
CHE COSA SONO LE SCUOLE WALDORF La scuola Waldorf si pone come ideale supremo l’educare alla libertà.
La libertà presuppone l’amore per la conoscenza e per la verità.
Il bambino, quale essere in divenire, porta con sé la possibilità futura di diventare un individuo libero, capace di agire in modo cosciente.
Far sorgere delle domande e cercarne le risposte è il senso più profondo dello sviluppo umano secondo gli insegnanti Waldorf.
La scuola Waldorf si fa custode di questo potenziale così prezioso e  sceglie un via educativa volta a proteggere, nutrire e rafforzare i talenti e le qualità del bambino rispettandone i tempi di maturazione e di sviluppo.
L’approccio artistico permette ad ogni singola individualità di una classe  di partecipare e di nutrire il proprio essere.
Fiabe, leggende e miti  sono uno strumento educativo fondamentale della pedagogia  soprattutto nei primi anni di formazione.
Un altro  prezioso strumento  di cui si avvale la pedagogia, è il ritmo – della giornata , della settimana, delle stagioni.
Tale strutturazione temporale delle materie e delle attività facilita la sicurezza, la fiducia  e l’apprendimento nel bambino.
Le materie principali vengono svolte ad “epoche”, vale a dire per un certo numero di settimane,  e il bambino si immerge  solo in una disciplina e solo in quella.
In questo modo l’esperienza didattica diventa sfaccettata e qualitativamente ricca agendo in profondità, ma sempre nel rispetto dei diversi tempi e modi di apprendimento  di ciascun alunno.  La seconda parte della mattinata è dedicata alle materie artistiche, alle attività manuali e lingue straniere (2) secondo un ritmo settimanale.
LA SCUOLA WALDORF DI FIRENZE La scuola Waldorf nasce nella provincia di Firenze per iniziativa di un’associazione fondata nel 2001 ed oggi ha sede nei locali di una ex scuola elementare situata alla Romola (Via della Chiesa 4, Comune di S.
Casciano), in una bella posizione panoramica nella Val di Pesa, a circa 8 km da Firenze.
Ad oggi l’associazione è presente sul territorio con una scuola dalla prima alla ottava classe (ciclo elementare e delle medie inferiori) e con tre sezioni di “Giardino d’Infanzia”.
Associazione Scuola Waldorf Firenze – via della Chiesa 4, La Romola, San Casciano  (Fi) tel: 055.827135 www.scuolawaldorffirenze.it info@scuolawaldorffirenze.it

Preghiera e solidarietà: 16 maggio, in piazza con il Papa

Sarà il card.
Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ad aprire domenica mattina il grande raduno in Piazza San Pietro per esprimere solidarietà al Papa, nel quale si pregherà anche per le vittime dei preti pedofili.
«La grande presenza è un segno efficace di affetto», ha sottolineato il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ricordando l’attualità della richiesta di penitenza contenuta nel Messaggio di Fatima.
Per padre Lombardi, «il Papa ha certamente gradito» nei giorni scorsi la partecipazione massiccia dei cattolici portoghesi ai diversi appuntamenti del viaggio che si è appena concluso.
Riferendosi allo scandalo degli abusi che il Pontefice ha letto nei giorni scorsi alla luce del messaggio di Fatima, Lombardi ha sottolineato ancora una volta che per Benedetto XVI «le sofferenze e le difficoltà della Chiesa vengono anche, in particolare, dal nostro interno, cioè dal nostro essere peccatori, e per questo il messaggio di conversione e di penitenza ha una particolare attualità e importanza».
Con questo spirito «pregheremo sicuramente per tutte le vittime», assicura Paola Dal Toso, segretaria delal Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laiclai, che ha promosso l’iniziativa.
«È subito emerso questo bisogno – rivela ai microfoni della Radio Vaticana – nel momento in cui abbiamo cominciato a pensare anche a questo tipo d’iniziativa.
Così come vogliamo anche ricordare il tanto bene che non fa rumore, che viene compiuto da tanti sacerdoti, dove si trovano, nell’anonimato, il tanto bene che realizzano e che non fa certamente pubblicità».
La nostra, ricorda, «è un’iniziativa che parte proprio dalla base, cioè proprio dalle associazioni, dalle aggregazioni, alle quali poi si sono unite alcune che non fanno parte della Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali.
Ma di sicuro ci saranno anche moltissime parrocchie, scuole cattoliche, le famiglie e tutta quella realtà di laici, che anche spontaneamente, sicuramente, saranno presenti, perché sensibili e perchè vogliono condividere».
La vigilia.
Dare voce ai sentimenti, molto diffusi a livello popolare di fedeltà, gratitudine e sostegno filiale a Benedetto XVI.
È l’aria che si respira alla vigilia dell’arrivo a Roma di decine di migliaia di fedeli da tutta Italia che hanno raccolto l’invito della Consulta nazionale delle aggregazioni laicali a ritrovarsi in piazza domani.
La parola d’ordine è arrivare per tempo ben prima della preghiera del Regina Coeli.
Alle 11, infatti, il colonnato del Bernini accoglierà gli aderenti ad associazioni e movimenti ecclesiali che parteciperanno a una celebrazione della Parola presieduta dal cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei.
«Come pastori siamo accanto al laicato cattolico, raccogliendo l’invito delle realtà che aderiscono alla Consulta nazionale delle aggregazioni laicali.
La solidarietà al Papa in questo tempo di prova – sottolinea il vescovo Mariano Crociata, segretario generale della Cei dal sito http://www.cnal.it/ – e l’adesione convinta al suo magistero sono un segno concreto di comunione ecclesiale».
Un gesto di unità che si è venuto costruendo in questi giorni come Avvenire ha puntualmente documentato ospitando le adesioni di numerosi movimenti e associazioni e le testimonianze di chi si prepara a partire.
«Testimoniare l’affetto e la vicinanza a Benedetto XVI è dovere morale per ogni cristiano, e lo è anche per ogni vincenziano», nota Claudia Nodari, presidente nazionale della Federazione della Società di San Vincenzo De Paoli.
«Siamo vicini al Papa – prosegue – anche contro il tentativo di cancellare tutto il bene che la Chiesa ed i suoi ministri hanno fatto e continuano a fare per il bene spirituale e materiale delle persone in ogni parte del mondo».
«Sentiamo il dovere di ringraziare il Pontefice per l’esempio che ci offre e per il suo costante insegnamento a fronteggiare il male non con il male, ma con il bene», sottolinea il presidente nazionale dell’Unione giuristi cattolici italiani, Francesco D’Agostino.
Anche i giuristi cattolici, aggiunge il presidente, saranno in San Pietro domani «per pregare e per dare un segno della comunione che unisce tutti coloro che sono in ascolto della Parola di Dio».
Anche il consiglio esecutivo dell’Assemblea dei dipendenti laici vaticani in un comunicato ha segnalato ai propri associati l’appuntamento di domenica.
«Condividiamo l’iniziativa nel desiderio di far sentire a Benedetto XVI tutto il nostro affetto e supporto in questo momento, come fedeli e come suoi collaboratori» si legge.
E sono decine i comunicati e le segnalazioni di adesione all’iniziativa – pervenuti anche dalle diocesi italiane, molte delle quali hanno anche promosso iniziative specifiche – che stanno giungendo in queste ore alla segreteria della Cnal, disponibili nel sito www.cnal.it.
Il sito della Consulta a partire dalle 10,55 di domani fino alle 12,20 trasmetterà in diretta audio-video il momento di preghiera e di incontro.
Attesi treni speciali e centinaia di autobus da tutta la Penisola provenienti anche da diocesi, parrocchie, scuole e università.
L’incontro sarà seguito in diretta da Tv2000 a partire dalle 10,55 e da «A Sua immagine» (Raiuno) dalle 10,30.
Il blog www.asuaimmagine.blog.rai.it, che ha lanciato l’iniziativa «Il tuo sms al Papa», è stato raggiunto da 15mila contatti al numero 335.1863091.
A conclusione della giornata domani alle 15, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, Bagnasco presiederà una Messa.
Avvenire 15 05 2010

Strategie per gestire i comportamenti di disturbo

Riprendo il contributo di questo lavoro, partendo dalla conclusione dell’articolo precedente, dove ho evidenziato alcuni comportamenti di disturbo.
Dicevo che il clima comunicativo del gruppo comprende anche i momenti di noia e di disturbo: sono tutti stimoli che se adeguatamente rilevati possono consentire al gruppo di evolvere verso il compito: fare del disturbo un motivo di apprendimento, utilizzare il segnale della noia per riorientare i lavori.
  Per la gestione dei gruppi si possono utilizzare due strumenti fondamentali:   a)      lo strumento della parola, pensando agli stili di comunicazione efficace b)      lo strumento ancora più efficace: l’intervento sul e con il “non verbale”, molte volte infatti i disturbi si gestiscono con movimenti del corpo, avvicinamento alla persona che parla e inoltre con giochi/esercizi centrati sul non verbale.
  Nella comunicazione efficace è presente in maniera sinergica il mondo verbale e non verbale delle persone.
La distinzione qui riportata è solo per motivi didattici.
  Il contenuto che segue è un tentativo di riflettere su quello che spesso osservo e faccio durante la conduzione di gruppi di lavoro.
Questo è il resoconto di una mia riflessione sulla pratica di conduzione dei gruppi.
Questa esperienza non ha un intento di tipo teorico, ma semplicemente narrativo.
Tale dimensione narrativa però, nel prossimo articolo, sarà inserita all’interno di un modello teorico di riferimento.
Infatti, nel prossimo articolo affronteremo il tema del team building secondo l’approccio del costruttivismo.
    IL TRATTAMENTO DEI DISTURBI CON IL PRIMATO DELLA VOCE     La nostra voce è uno strumento di espressione molto differenziato, che orchestra e interpreta il nostro discorso: il timbro della voce, l’altezza del suono, il volume, il modo di usare il respiro, il ritmo dell’articolazione, la risonanza, la velocità e la lentezza nel parlare: tutto questo dice parecchio di chi parla, a volte più che non il contenuto del messaggio.
Si possono comprendere anche aspetti della personalità di chi parla, se si fa attenzione alla sua voce.
  – Come gestire chi parla troppo   Quando nel gruppo ci troviamo di fronte ad una persona che parla tanto e velocemente, un modo per aiutarla a contenersi e modellizzare un nuovo comportamento è quello di rispondere con un timbro molto basso e lentamente.
Certo, il limite di questa considerazione, che qui facciamo, sta nel fatto che non possiamo vedere quello che realmente succede.
Se provate però ad avvicinarvi alla persona che parla troppo veloce e provate a rispondere in maniera lenta, vedrete gli effetti.
A bassa voce potreste dire: “Mi chiedo qual è l’obiettivo di questa tua considerazione.
Ti chiedo di fermarti, perché faccio fatica a seguirti e voglio dare spazio anche agli altri”.
  –          Come gestire il tacere   Talvolta capita che all’inizio di un incontro, la persona più timida per evitare di esplorare lo spazio della stanza si siede sulla prima sedia che trova libera e cioè quella più vicina alla porta.
Questa persona osserva, ascolta, ma in silenzio.
Un primo modo per aiutarla ad entrare nella relazione con il gruppo è quello di avvicinarsi e, mentre si parla, mettere la mano sulla spalla in modo tale che sul piano non verbale lo si include nel processo comunicativo.
Sul piano della comunicazione verbale si può chiedere un parere su quello che si dice, mostrandogli così stima e considerazione.
Naturalmente tutto questo dovrà essere fatto con autenticità: se facciamo finta di includere una persona taciturna, l’effetto di questa azione sarà il rinforzo delle sue resistenze.
Il silenzio dell’intero gruppo può indicare che le idee di base di una discussione non sono chiare.
In questo caso il facilitatore può essere di aiuto collegando le idee dei singoli partecipanti e facendo, per esempio, uno schema di sintesi.
Inoltre il silenzio può provenire dalla paura di impegnarsi e di esporsi, se c’è poca fiducia negli altri membri del gruppo.
Il silenzio può inoltre esprimere noia se i partecipanti pensano che si pretende troppo poco nel gruppo o se le loro aspettative non corrispondono all’azione del momento del gruppo.
Il facilitatore per tentare di risolvere la situazione di silenzio nel gruppo può chiedere cosa si pensa del silenzio e che cosa si è pensato e sentito durante tale periodo.
Il silenzio del singolo partecipante inoltre può essere un’azione consapevole del soggetto per “punire” il facilitatore o altri partecipanti.
Il silenzio inoltre può essere una fuga per contattare, per via immaginativa, altre scene primarie della storia personale.
Il silenzio può dunque esprimere aspetti molti diversi della situazione del gruppo.
Non c’è uno schema prestabilito secondo il quale il facilitatore potrebbe agire, ma rispetto al silenzio il facilitatore dovrà essere lucido, prendersi del tempo e porsi alcune domande:   –          se e in quale misura il facilitatore è preoccupato per tale silenzio e quale sia la sua reazione emozionale; –          se e in quale misura il gruppo sia preoccupato del silenzio stesso; –          se un certo partecipante con il silenzio esprima una ritirata improduttiva; –          quale sia il messaggio specifico del silenzio; –          e in ultimo, il fattore più importante, quali segnali non verbali del gruppo “commentano” il silenzio…   Ecco alcune vie verbali per entrare in contatto: il facilitatore potrebbe dire: “Al momento ho poco contatto con te e vorrei sapere che cosa ci comunichi con il tuo silenzio”.
Se tace tutto il gruppo invece, il facilitatore potrebbe dire: “Non sono sicuro di che cosa voglia dire il vostro silenzio.
Che cosa volete esprimere con questo silenzio?”   –          Come gestire il generalizzare   Di solito una comunicazione efficace con le persone che generalizzano si esprime con una domanda: “Ti chiedo, per favore, di fare un esempio concreto.
Prova ad immaginare di parlare ad un bimbo di sei anni”.
In tal modo, chi di solito generalizza apprende gradualmente l’importanza di essere concreto e circostanziato.
Non sono gli altri che devono capire o gli altri che non ascoltano.
Il punto è quanto io ascolto, quanto capisco gli altri, quanto mi assumo la responsabilità di farmi capire.
Chi generalizza non parla di persone, parla di oggetti (loro, quelli, sempre…).
  –          Come gestire chi fa domande in continuazione   Il punto è individuare che tipo di domanda fa il componente del gruppo e perché la fa.
Dalla mia esperienza le domande evidenziano spesso un attacco verso il leader, sono un tentativo di far capire che si conosce bene l’argomento, quasi a intendere che il leader è un sapiente onnisciente che ha ricevuto il “Verbo”.
Con queste persone, se il leader evidenzia che a quella domanda non sa rispondere e dice di prendersi del tempo per studiare la risposta, si modellizza in questo modo l’idea che il leader non è la persona che sa tutto ma al contrario quella che è disposta ad imparare.
  –          Come gestire il frequente interpretare   Ci sono persone che nel gruppo di solito sono influenzate da modelli, teorie, punti di vista, esperienze che talvolta vengono assolutizzati e attraverso i quali si leggono le situazioni, i fatti, le persone, quello che si dice ecc.
Questi modelli vengono applicati senza criterio ad ogni situazione comunicativa e quindi ci si può sentir dire: “Siccome non mi hai guardato negli occhi, tu non mi ascolti” e magari questa comunicazione arriva da uno che sta in fondo alla sala, mentre si lavora in gruppo! Il punto di fondo del frequente interpretare sta nel fatto che molte volte non siamo consapevoli di proiettare il nostro vissuto emotivo e cognitivo sulla vita degli altri.
  –          Come gestire i colloqui “fuori la porta”   Molti partecipanti, durante il lavoro di gruppo, tendono a bisbigliare con il loro vicino mentre sta parlando un’altra persona.
Se il facilitatore non interviene, la coesione del gruppo ne soffrirà notevolmente, perché questi colloqui possono provocare diffidenza e irritazione.
Il facilitatore in questo caso domanderà a coloro che fanno il colloquio a parte se siano disposti a comunicare il contenuto del colloquio a tutto il gruppo.
  –          Come gestire ritardi e assenze   Spesso succede che i singoli partecipanti tardano o non vengono ai gruppi di lavoro, esprimendo così la loro opposizione all’attività di gruppo o nei confronti del facilitatore.
In alcuni casi l’assenza evidenzia il fatto che c’è un’attività che procura paura.
In altri casi alcune esigenze personali sembrano non rispettate.
Cosa deve fare il facilitatore? Una prima ipotesi potrebbe essere la seguente: “Che cosa vuol dire per voi il fatto che questa persona non c’è”.
Il facilitatore dovrà anche parlare del fatto che ognuno ha il diritto di ritirarsi in ogni momento dell’interazione di gruppo, ma è importante che avverta di volersi ritirare.
E’ una indicazione di adultità l’assumersi la responsabilità di non voler lavorare con questo gruppo perché non risponde né ai bisogni personali e nemmeno a quelli professionali.
    PER CONCLUDERE     Gestire i disturbi: non ci sono ricette o procedure standard, è necessario fare esperienze, riflettere e provare nuove strategie.
L’esperienza, l’ascolto e soprattutto la supervisione ci consentono di imparare nuove modalità di aiutare il gruppo a sviluppare le risorse personali e quelle professionali.
Nel prossimo articolo svilupperemo la dimensione teorica di questo approccio al lavoro di gruppo.
Parleremo di costruttivismo.

L’Irc laboratorio di cultura e di umanità

Si terrà dal 12 al 14 aprile a Torino, presso il Novotel (corso Giulio Cesare, 338), il Convegno nazionale per direttori e responsabili diocesani dell’Insegnamento della religione cattolica (Irc), organizzato dal Servizio nazionale per l’Irc della CEI sul tema “L’Irc laboratorio di cultura e di umanità: il contributo degli Uffici Diocesani”.
Si aprirà con un un momento di preghiera alle 8.45 presieduto da S.
Em.za Card.
Severino Poletto, Arcivescovo di Torino.
Seguirà il saluto introduttivo di Don Vincenzo Annicchiarico, Responsabile del Servizio Nazionale per l’Irc.
Alle 9.15 il Card.
Poletto porgerà un saluto ai partecipanti.
Poi faranno seguito quelli del Dott.
Francesco De Sanctis, Direttore Scolastico Regionale del Piemonte e di Don Bruno Porta, Responsabile Regionale Irc.
Alle 10.00 la relazione di S.
E.
Mons.
Ignazio Sanna, Arcivescovo di Oristano sul tema “La questione antropologica ed il contributo dell’Irc all’educazione”, cui seguiranno un breve dibattito e, per tutto il pomeriggio, una serie di laboratori seminariali.
Il programma di martedì sarà aperto alle 7.30 dalla S.
Messa presieduta da S.
E.
Mons.
Guido Fiandino, Vescovo ausiliare di Torino.
In mattinata sono previste due relazioni: alle 9.15 quella su “La riforma del 2° Ciclo”, a cura del Dott.
Giuseppe Cosentino, Capo Dipartimento per l’Istruzione delMIUR.
Alle 10.00 sarà invece la volta di Don Filippo Morlacchi, Responsabile Regionale Irc del Lazio (“L’Irc nel riordino del 2° Ciclo”).
A fine mattinata la conclusione dei laboratori seminariali del giorno precedente mentre il pomeriggio e la serata del 13 aprile saranno dedicati alla Venerazione della Sacra Sindone.
Mercoledì 14 aprile alle ore 9.15Don Cesare Bissoli, Docente emerito di Bibbia e Catechesi presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma, interverrà su “Lettura biblico-teologica dei traguardi per lo sviluppo delle conoscenze (tsc) e degli obiettivi di apprendimento (oa) dell’Irc dell’Infanzia e del 1° Ciclo” mentre alle 11.15 è prevista l’ultima relazione del convegno, “Rilevare i dati nazionali sugli avvalentesi dell’Irc: criteri scientifici di riferimento e ricaduta sull’operato delle singole diocesi”, a cura del Dott.
Alessandro Castegnaro, Docente di Politica sociale all’Università degli Studi di Padova e Presidente dell’OSReT (Osservatorio socio-religioso del Triveneto).
«Il convegno», spiega Don Vincenzo Annicchiarico, «sarà un’occasione di confronto sulle novità che investono il mondo della scuola e quindi l’Irc ma anche un momento di riflessione sulla questione educativa e sul contributo che l’Irc può dare alla crescita e alla formazione delle nuove generazioni».