“Fratelli tutti”, ecco l’enciclica sociale di Papa Francesco

Fraternità e amicizia sociale sono le vie indicate dal Pontefice per costruire un mondo migliore, più giusto e pacifico, con l’impegno di tutti: popolo e istituzioni. Ribadito con forza il no alla guerra e alla globalizzazione dell’indifferenza

Isabella Piro – Città del Vaticano

Quali sono i grandi ideali ma anche le vie concretamente percorribili per chi vuole costruire un mondo più giusto e fraterno nelle proprie relazioni quotidiane, nel sociale, nella politica, nelle istituzioni? Questa la domanda a cui intende rispondere, principalmente, “Fratelli tutti”: il Papa la definisce una “Enciclica sociale” (6) che mutua il titolo dalle “Ammonizioni” di San Francesco d’Assisi, che usava quelle parole “per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo” (1).

Sulla tomba di san Francesco il Papa firma “Fratelli tutti”

Il Poverello “non faceva la guerra dialettica imponendo dottrine, ma comunicava l’amore di Dio”, scrive il Papa, ed “è stato un padre fecondo che ha suscitato il sogno di una società fraterna” (2-4). L’Enciclica mira a promuovere un’aspirazione mondiale alla fraternità e all’amicizia sociale. A partire dalla comune appartenenza alla famiglia umana, dal riconoscerci fratelli perché figli di un unico Creatore, tutti sulla stessa barca e dunque bisognosi di prendere coscienza che in un mondo globalizzato e interconnesso ci si può salvare solo insieme. Motivo ispiratore più volte citato è il Documento sulla fratellanza umana firmato da Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar nel febbraio 2019.

La fraternità è da promuovere non solo a parole, ma nei fatti. Fatti che si concretizzano nella “politica migliore”, quella non sottomessa agli interessi della finanza, ma al servizio del bene comune, in grado di porre al centro la dignità di ogni essere umano e di assicurare il lavoro a tutti, affinché ciascuno possa sviluppare le proprie capacità. Una politica che, lontana dai populismi, sappia trovare soluzioni a ciò che attenta contro i diritti umani fondamentali e che punti ad eliminare definitivamente la fame e la tratta. Al contempo, Papa Francesco sottolinea che un mondo più giusto si raggiunge promuovendo la pace, che non è soltanto assenza di guerra, ma una vera e propria opera “artigianale” che coinvolge tutti.

Guardare gli altri come fratelli e sorelle per salvare noi e il mondo

Legate alla verità, la pace e la riconciliazione devono essere “proattive”, puntare alla giustizia attraverso il dialogo, in nome dello sviluppo reciproco. Di qui deriva la condanna che il Pontefice fa della guerra, “negazione di tutti i diritti” e non più pensabile neanche in una ipotetica forma “giusta”, perché ormai le armi nucleari, chimiche e biologiche hanno ricadute enormi sui civili innocenti. Forte anche il rifiuto della pena di morte, definita “inammissibile”, e centrale il richiamo al perdono, connesso al concetto di memoria e di giustizia: perdonare non significa dimenticare, scrive il Pontefice, né rinunciare a difendere i propri diritti per custodire la propria dignità, dono di Dio. Sullo sfondo dell’Enciclica c’è la pandemia da Covid-19 che – rivela Francesco – “ha fatto irruzione in maniera inattesa proprio mentre stavo scrivendo questa lettera”. Ma l’emergenza sanitaria globale è servita a dimostrare che “nessuno si salva da solo” e che è giunta davvero l’ora di “sognare come un’unica umanità” in cui siamo “tutti fratelli” (7-8).

Problemi globali esigono azioni globali, no alla “cultura dei muri”

Aperta da una breve introduzione e articolata in otto capitoli, l’Enciclica raccoglie – come spiega il Papa stesso – molte delle sue riflessioni sulla fraternità e l’amicizia sociale, collocate però “in un contesto più ampio” e integrate da “numerosi documenti e lettere” inviate a Francesco da “tante persone e gruppi di tutto il mondo” (5). Nel primo capitolo, “Le ombre di un mondo chiuso”, il documento si sofferma sulle tante storture dell’epoca contemporanea: la manipolazione e la deformazione di concetti come democrazia, libertà, giustizia; la perdita del senso del sociale e della storia; l’egoismo e il disinteresse per il bene comune; la prevalenza di una logica di mercato fondata sul profitto e la cultura dello scarto; la disoccupazione, il razzismo, la povertà; la disparità dei diritti e le sue aberrazioni come la schiavitù, la tratta, le donne assoggettate e poi forzate ad abortire, il traffico di organi (10-24). Si tratta di problemi globali che esigono azioni globali, sottolinea il Papa, lanciando l’allarme anche contro una “cultura dei muri” che favorisce il proliferare delle mafie, alimentate da paura e solitudine (27-28). Inoltre, oggi si riscontra un deterioramento dell’etica (29) cui contribuiscono, in un certo qual modo, i mass-media che sgretolano il rispetto dell’altro ed eliminano ogni pudore, creando circoli virtuali isolati e autoreferenziali, nei quali la libertà è un’illusione e il dialogo non è costruttivo (42-50).

L’amore costruisce ponti: l’esempio del Buon Samaritano

A tante ombre, tuttavia, l’Enciclica risponde con un esempio luminoso, foriero di speranza: quello del Buon Samaritano. A questa figura è dedicato il secondo capitolo, “Un estraneo sulla strada”, in cui il Papa sottolinea che, in una società malata che volta le spalle al dolore e che è “analfabeta” nella cura dei deboli e dei fragili (64-65), tutti siamo chiamati – proprio come il buon samaritano – a farci prossimi all’altro (81), superando pregiudizi, interessi personali, barriere storiche o culturali. Tutti, infatti, siamo corresponsabili nella costruzione di una società che sappia includere, integrare e sollevare chi è caduto o è sofferente (77). L’amore costruisce ponti e noi “siamo fatti per l’amore” (88), aggiunge il Papa, esortando in particolare i cristiani a riconoscere Cristo nel volto di ogni escluso (85). Il principio della capacità di amare secondo “una dimensione universale” (83) è ripreso anche nel terzo capitolo, “Pensare e generare un mondo aperto”: in esso, Francesco ci esorta ad “uscire da noi stessi” per trovare negli altri “un accrescimento di essere” (88), aprendoci al prossimo secondo il dinamismo della carità che ci fa tendere verso la “comunione universale” (95). In fondo – ricorda l’Enciclica – la statura spirituale della vita umana è definita dall’amore che “è sempre al primo posto” e ci porta a cercare il meglio per la vita dell’altro, lontano da ogni egoismo (92-93).

I diritti non hanno frontiere, serve etica delle relazioni internazionali

Una società fraterna, dunque, sarà quella che promuove l’educazione al dialogo per sconfiggere “il virus dell’individualismo radicale” (105) e per permettere a tutti di dare il meglio di sé. A partire dalla tutela della famiglia e dal rispetto per la sua “missione educativa primaria e imprescindibile” (114). Due, in particolare, gli ‘strumenti’ per realizzare questo tipo di società: la benevolenza, ossia il volere concretamente il bene dell’altro (112), e la solidarietà che ha cura delle fragilità e si esprime nel servizio alle persone e non alle ideologie, lottando contro povertà e disuguaglianze (115). Il diritto a vivere con dignità non può essere negato a nessuno, afferma ancora il Papa, e poiché i diritti sono senza frontiere, nessuno può rimanere escluso, a prescindere da dove sia nato (121). In quest’ottica, il Pontefice richiama anche a pensare ad “un’etica delle relazioni internazionali” (126), perché ogni Paese è anche dello straniero ed i beni del territorio non si possono negare a chi ha bisogno e proviene da un altro luogo. Il diritto naturale alla proprietà privata sarà, quindi, secondario al principio della destinazione universale dei beni creati (120). Una sottolineatura specifica l’Enciclica la fa anche per la questione del debito estero: fermo restando il principio che esso va saldato, si auspica tuttavia che ciò non comprometta la crescita e la sussistenza dei Paesi più poveri (126).

Migranti: governance globale per progetti a lungo termine

Al tema delle migrazioni è, invece, dedicato in parte il secondo e l’intero quarto capitolo, “Un cuore aperto al mondo intero”: con le loro “vite lacerate” (37), in fuga da guerre, persecuzioni, catastrofi naturali, trafficanti senza scrupoli, strappati alle loro comunità di origine, i migranti vanno accolti, protetti, promossi ed integrati. Bisogna evitare le migrazioni non necessarie, afferma il Pontefice, creando nei Paesi di origine possibilità concrete di vivere con dignità. Ma al tempo stesso, bisogna rispettare il diritto a cercare altrove una vita migliore. Nei Paesi destinatari, il giusto equilibrio sarà quello tra la tutela dei diritti dei cittadini e la garanzia di accoglienza e assistenza per i migranti (38-40). Nello specifico, il Papa indica alcune “risposte indispensabili” soprattutto per chi fugge da “gravi crisi umanitarie”: incrementare e semplificare la concessione di visti; aprire corridoi umanitari; assicurare alloggi, sicurezza e servizi essenziali; offrire possibilità di lavoro e formazione; favorire i ricongiungimenti familiari; tutelare i minori; garantire la libertà religiosa e promuovere l’inserimento sociale. Dal Papa anche l’invito a stabilire, nella società, il concetto di “piena cittadinanza”, rinunciando all’uso discriminatorio del termine “minoranze” (129-131). Ciò che occorre soprattutto – si legge nel documento – è una governance globale, una collaborazione internazionale per le migrazioni che avvii progetti a lungo termine, andando oltre le singole emergenze (132), in nome di uno sviluppo solidale di tutti i popoli che sia basato sul principio della gratuità. In tal modo, i Paesi potranno pensare come “una famiglia umana” (139-141). L’altro diverso da noi è un dono ed un arricchimento per tutti, scrive Francesco, perché le differenze rappresentano una possibilità di crescita (133-135). Una cultura sana è una cultura accogliente che sa aprirsi all’altro, senza rinunciare a se stessa, offrendogli qualcosa di autentico. Come in un poliedro – immagine cara al Pontefice – il tutto è più delle singole parti, ma ognuna di esse è rispettata nel suo valore (145-146).

La politica, una delle forme più preziose della carità

Il tema del quinto capitolo è “La migliore politica”, ossia quella che rappresenta una delle forme più preziose della carità perché si pone al servizio del bene comune (180) e conosce l’importanza del popolo, inteso come categoria aperta, disponibile al confronto e al dialogo (160). Questo è, in un certo senso, il popolarismo indicato da Francesco, cui si contrappone quel “populismo” che ignora la legittimità della nozione di ‘popolo’, attraendo consensi per strumentalizzarlo al proprio servizio e fomentando egoismi per accrescere la propria popolarità (159). Ma la migliore politica è anche quella che tutela il lavoro, “dimensione irrinunciabile della vita sociale” e cerca di assicurare a tutti la possibilità di sviluppare le proprie capacità (162). L’aiuto migliore per un povero, spiega il Pontefice, non è solo il denaro, che è un rimedio provvisorio, bensì il consentirgli una vita degna mediante l’attività lavorativa. La vera strategia anti-povertà non mira semplicemente a contenere o a rendere inoffensivi gli indigenti, bensì a promuoverli nell’ottica della solidarietà e della sussidiarietà (187). Compito della politica, inoltre, è trovare una soluzione a tutto ciò che attenta contro i diritti umani fondamentali, come l’esclusione sociale; il traffico di organi, tessuti, armi e droga; lo sfruttamento sessuale; il lavoro schiavo; il terrorismo ed il crimine organizzato. Forte l’appello del Papa ad eliminare definitivamente la tratta, “vergogna per l’umanità”, e la fame, in quanto essa è “criminale” perché l’alimentazione è “un diritto inalienabile” (188-189).

Il mercato da solo non risolve tutto. Occorre riforma dell’ONU

La politica di cui c’è bisogno, sottolinea ancora Francesco, è quella che dice no alla corruzione, all’inefficienza, al cattivo uso del potere, alla mancanza di rispetto delle leggi (177). È una politica incentrata sulla dignità umana e non sottomessa alla finanza perché “il mercato da solo non risolve tutto”: le “stragi” provocate dalle speculazioni finanziarie lo hanno dimostrato (168). Assumono, quindi, particolare rilevanza i movimenti popolari: veri “poeti sociali” e “torrenti di energia morale”, essi devono essere coinvolti nella partecipazione sociale, politica ed economica, previo però un maggior coordinamento. In tal modo – afferma il Papa – si potrà passare da una politica “verso” i poveri ad una politica “con” e “dei” poveri (169). Un altro auspicio presente nell’Enciclica riguarda la riforma dell’Onu: di fronte al predominio della dimensione economica che annulla il potere del singolo Stato, infatti, il compito delle Nazioni Unite sarà quello di dare concretezza al concetto di “famiglia di nazioni” lavorando per il bene comune, lo sradicamento dell’indigenza e la tutela dei diritti umani. Ricorrendo instancabilmente “al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato” – afferma il documento pontificio – l’Onu deve promuovere la forza del diritto sul diritto della forza, favorendo accordi multilaterali che tutelino al meglio anche gli Stati più deboli (173-175).

Il miracolo della gentilezza

Dal sesto capitolo, “Dialogo e amicizia sociale”, emerge inoltre il concetto di vita come “arte dell’incontro” con tutti, anche con le periferie del mondo e con i popoli originari, perché “da tutti si può imparare qualcosa e nessuno è inutile” (215). Il vero dialogo, infatti, è quello che permette di rispettare il punto di vista dell’altro, i suoi interessi legittimi e, soprattutto, la verità della dignità umana. Il relativismo non è una soluzione– si legge nell’Enciclica – perché senza principi universali e norme morali che proibiscono il male intrinseco, le leggi diventano solo imposizioni arbitrarie (206). In quest’ottica, un ruolo particolare spetta ai media che, senza sfruttare le debolezze umane o tirare fuori il peggio di noi, devono orientarsi all’incontro generoso e alla vicinanza agli ultimi, promuovendo la prossimità ed il senso di famiglia umana (205). Particolare, poi, il richiamo del Papa al “miracolo della gentilezza”, un’attitudine da recuperare perché è “una stella nell’oscurità” e una “liberazione dalla crudeltà, dall’ansietà e dall’urgenza distratta” che prevalgono in epoca contemporanea. Una persona gentile, scrive Francesco, crea una sana convivenza ed apre le strade là dove l’esasperazione distrugge i ponti (222-224).

L’artigianato della pace e l’importanza del perdono

Riflette sul valore e la promozione della pace, invece, il settimo capitolo, “Percorsi di un nuovo incontro”, in cui il Papa sottolinea che la pace è legata alla verità, alla giustizia ed alla misericordia. Lontana dal desiderio di vendetta, essa è “proattiva” e mira a formare una società basata sul servizio agli altri e sul perseguimento della riconciliazione e dello sviluppo reciproco (227-229). In una società, ognuno deve sentirsi “a casa” – scrive il Papa – Per questo, la pace è un “artigianato” che coinvolge e riguarda tutti e in cui ciascuno deve fare la sua parte. Il compito della pace non dà tregua e non ha mai fine, continua il Pontefice, ed occorre quindi porre al centro di ogni azione la persona umana, la sua dignità ed il bene comune (230-232). Legato alla pace c’è il perdono: bisogna amare tutti, senza eccezioni – si legge nell’Enciclica – ma amare un oppressore significa aiutarlo a cambiare e non permettergli di continuare ad opprimere il prossimo. Anzi: chi patisce un’ingiustizia deve difendere con forza i propri diritti per custodire la propria dignità, dono di Dio (241-242). Perdono non vuol dire impunità, bensì giustizia e memoria, perché perdonare non significa dimenticare, ma rinunciare alla forza distruttiva del male ed al desiderio di vendetta. Mai dimenticare “orrori” come la Shoah, i bombardamenti atomici a Hiroshima e Nagasaki, le persecuzioni ed i massacri etnici – esorta il Papa – Essi vanno ricordati sempre, nuovamente, per non anestetizzarci e mantenere viva la fiamma della coscienza collettiva. Altrettanto importante è fare memoria del bene, di chi ha scelto il perdono e la fraternità (246-252).

Mai più la guerra, fallimento dell’umanità!

Una parte del settimo capitolo si sofferma, poi, sulla guerra: essa non è “un fantasma del passato” – sottolinea Francesco – bensì “una minaccia costante” e rappresenta la “negazione di tutti i diritti”, “il fallimento della politica e dell’umanità”, “la resa vergognosa alle forze del male” ed al loro “abisso”. Inoltre, a causa delle armi nucleari, chimiche e biologiche che colpiscono molti civili innocenti, oggi non si può più pensare, come in passato, ad una possibile “guerra giusta”, ma bisogna riaffermare con forza “Mai più la guerra!” E considerando che viviamo “una terza guerra mondiale a pezzi”, perché tutti i conflitti sono connessi tra loro, l’eliminazione totale delle armi nucleari è “un imperativo morale ed umanitario”. Piuttosto – suggerisce il Papa – con il denaro che si investe negli armamenti, si costituisca un Fondo mondiale per eliminare la fame (255-262).

Pena di morte è inammissibile, abolirla in tutto il mondo

Una posizione altrettanto netta Francesco la esprime a proposito della pena di morte: è inammissibile e deve essere abolita in tutto il mondo. “L’omicida non perde la sua dignità personale – scrive il Papa – Dio ne è garante”. Di qui, due esortazioni: non vedere la pena come una vendetta, bensì come parte di un processo di guarigione e di reinserimento sociale, e migliorare le condizioni delle carceri, nel rispetto della dignità umana dei detenuti, pensando anche che l’ergastolo “è una pena di morte nascosta” (263-269). Viene ribadita la necessità di rispettare “la sacralità della vita” (283) laddove oggi “certe parti dell’umanità sembrano sacrificabili”, come i nascituri, i poveri, i disabili, gli anziani (18).

Garantire libertà religiosa, diritto umano fondamentale

Nell’ottavo e ultimo capitolo, il Pontefice si sofferma su “Le religioni al servizio della fraternità nel mondo” e ribadisce che la violenza non trova base alcuna nelle convinzioni religiose, bensì nelle loro deformazioni. Atti “esecrabili” come quelli terroristici, dunque, non sono dovuti alla religione, ma ad interpretazioni errate dei testi religiosi, nonché a politiche di fame, povertà, ingiustizia, oppressione. Il terrorismo non va sostenuto né con il denaro, né con le armi, né tanto meno con la copertura mediatica perché è un crimine internazionale contro la sicurezza e la pace mondiale e come tale va condannato (282-283). Al contempo, il Papa sottolinea che un cammino di pace tra le religioni è possibile e che è, dunque, necessario garantire la libertà religiosa, diritto umano fondamentale per tutti i credenti (279). Una riflessione, in particolare, l’Enciclica la fa sul ruolo della Chiesa: essa non relega la propria missione nel privato – afferma – non sta ai margini della società e, pur non facendo politica, tuttavia non rinuncia alla dimensione politica dell’esistenza. L’attenzione al bene comune e la preoccupazione allo sviluppo umano integrale, infatti, riguardano l’umanità e tutto ciò che è umano riguarda la Chiesa, secondo i principî evangelici (276-278). Infine, richiamando i leader religiosi al loro ruolo di “mediatori autentici” che si spendono per costruire la pace, Francesco cita il “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza”, da lui stesso firmato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi, insieme al Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib: da tale pietra miliare del dialogo interreligioso, il Pontefice riprende l’appello affinché, in nome della fratellanza umana, si adotti il dialogo come via, la collaborazione comune come condotta e la conoscenza reciproca come metodo e criterio (285).

Il Beato Charles de Foucauld, “il fratello universale”

L’Enciclica si conclude con il ricordo di Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e soprattutto il Beato Charles de Foucauld, un modello per tutti di cosa significhi identificarsi con gli ultimi per divenire “il fratello universale” (286-287). Le ultime righe del documento sono affidate a due preghiere: una “al Creatore” e l’altra “cristiana ecumenica”, affinché nel cuore degli uomini alberghi “uno spirito di fratelli”.

 

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2020-10/enciclica-fratelli-tutti-papa-francesco-sintesi-fraternita.html

 

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Fratelli tutti Lettera Enciclica Francesco

Conferenza sulla Lettera Enciclica Fratelli tutti

 

Educare, infinito presente

La presentazione di mons. Mariano Crociata
7 Settembre 2020

Il presente sussidio è uno dei frutti del cammino decennale che i Vescovi italiani hanno dedicato all’educazione. Esso testimonia che quello dell’educazione è un dossier che non può mai essere considerato chiuso e, anzi, un tempo così lungo dedicato ad essa conduce semmai ad una consapevolezza più avvertita di un impegno che si presenta accresciuto per urgenza e novità di esigenze. La Commissione episcopale per l’educazione, la scuola e l’università, che ne porta la responsabilità, ha voluto riservare una attenzione particolare alla scuola e al rapporto che la Chiesa è chiamata a intrattenere con essa. Un rapporto che ha già una lunga storia alle spalle e una considerevole ricchezza di esperienze, ma che oggi chiede una rivisitazione alla luce delle circostanze profondamente mutate. Il mutamento è tale da metterci dinanzi una scuola dal volto completamente diverso da quello che ha conosciuto chi è passato per le sue aule (anche queste ben altra cosa da quelle di oggi!) appena pochi decenni fa. Se a questo si aggiunge l’esplosione dell’epidemia da coronavirus, delle cui conseguenze di lungo periodo non possiamo essere adeguatamente avvertiti nel momento in cui scriviamo, ci rendiamo conto del bisogno di uno sguardo nuovo, di un atteggiamento più duttile, capace di aderire ad una realtà in continua evoluzione.

Un tale approccio suppone innanzitutto proprio questo: la capacità di tenere sotto osservazione la realtà della scuola, per capire e seguirne le incessanti trasformazioni che la caratterizzano in questa fase della sua storia. La missione evangelizzatrice della Chiesa esige innanzitutto tale attitudine a comprendere il destinatario della sua azione, così da rendere la sua parola intellegibile. E il destinatario è, in questo caso, tutto il mondo dell’infanzia, della fanciullezza e dell’adolescenza: tutti infatti passano per la scuola.

L’azione pastorale della Chiesa ha bisogno di farsi meno ‘istituzionalizzata’ (pur servendosi di tutti gli strumenti ‘istituzionalizzati’ di cui dispone) e più personalizzata. Del resto, nell’intreccio imperscrutabile dei percorsi personali di incontro con Dio e con gli altri, nessun credente, nel mondo della scuola e nel tessuto ecclesiale, è escluso da un ruolo missionario e testimoniale che conduca alla scoperta di Cristo Gesù. Quest’ultima nota – testimoniale – in modo speciale deve essere tenuta presente, perché «la Chiesa non cresce per proselitismo ma “per attrazione”» (Evangelii gaudium, n. 14); e se questo vale in generale, ha una portata enorme nel caso delle nuove generazioni.

In questo ambito vanno verificate, poi, due condizioni che l’azione pastorale della Chiesa avverte la necessità di abbracciare con decisione. La prima riguarda il superamento di una attività portata avanti in maniera settoriale, quasi separata dalle altre che la comunità ecclesiale conduce; un tale modo separato di procedere non è più concepibile perché non conducente ai fini che si vogliono perseguire. La seconda tocca un’idea dominante degli Orientamenti pastorali sull’educazione e che conosce una ripresa e una attualità sorprendenti, per iniziativa di papa Francesco, e cioè la necessità di alleanze educative o di un patto educativo. A cominciare da scuola e Chiesa, tutti gli attori e gli organismi della collettività che hanno attinenza con il mondo dell’educazione e della scuola sono chiamati a mettersi in rete, a collegarsi attivamente per favorire la crescita sana e autentica delle nuove generazioni. Ne va del futuro dell’intera comunità umana, oltre che di quella ecclesiale.

Con queste attenzioni, il presente sussidio può sperare di contribuire ad un nuovo punto di partenza, a un nuovo inizio, nell’impegno per l’educazione e per la scuola animato dalla fede e, con cuore libero, aperto alla condivisione dell’esperienza insuperabile della fede in Cristo, Maestro e Signore.

 

S.E. mons. Mariano Crociata

Vescovo di Latina

Presidente della Commissione Episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università

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I temi del sussidio

Linee orientative per la ripresa della catechesi

In sintonia con i protocolli sanitari della scuola, sono offerte linee orientative per la ripresa dei percorsi educativi in ambito parrocchiale.

 

In allegato anche

 

La Chiesa e i linguaggi della pandemia

Che cosa ha imparato la Chiesa dalla pandemia? O, meglio: abbiamo appreso qualcosa
nel periodo del lockdown?
La seconda puntata del convegno “La Chiesa alla prova della pandemia” tenutasi nel monastero di Camaldoli dal 24 al 28 agosto 2020 non ha voluto eludere tale interrogativo scomodo, anche rileggendo esperienze pastorali, provvedimenti assunti e
fecondità inespresse (per la prima parte si veda SettimanaNews).

Le giornate – dedicate rispettivamente a tematiche ecclesiologiche, liturgiche e comunicative – hanno evidenziato l’importanza di una riflessione critica sul momento pandemico, che ha fatto emergere problematiche e potenzialità che già c’erano, come ha premesso il monaco camaldolese Matteo Ferrari, organizzatore dell’incontro, introdotto dal priore Alessandro Barban e dal vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro Riccardo Fontana.

Chiesa

Nella sua prolusione, Giuseppe Angelini – già preside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale – ha segnalato come in questo periodo si sia riproposta la frattura tra coscienza e società, espressa soprattutto dalla cancellazione dell’interrogativo morale in ambito pubblico, sostituito da soluzioni tecnico-scientifiche che segnerebbero il trionfo di una mentalità clinico-terapeutica.
La presenza della Chiesa, anziché dar voce alle coscienze personali, è stata declinata «in forme molto ripetitive, litaniche, sostanzialmente gregarie rispetto al dibattito pubblico» come se «non avesse nulla di proprio da dire in proposito»; sarebbe invece di estrema importanza una mediazione nelle profondità culturali della società odierna per trasformare la pandemia in occasione di evangelizzazione.

L’ecclesiologo Dario Vitali (Pontificia Università Gregoriana) ha scelto la categoria paolina di “corpo di Cristo” per indagare gli effetti della pandemia sullo stato di salute della Chiesa; un corpo già «debole, debilitato, sfibrato» ha visto ulteriormente compromesse le proprie capacità di rigenerarsi: come un paziente anziano, ora necessita di una lunga convalescenza, nutrendosi di soluzioni condivise che riattivino le connessioni interne e di consapevolezza di ciò che ha diviso il corpo ecclesiale.

È intervenuto anche il pastore Fulvio Ferrario, decano della Facoltà valdese di teologia, a proposito dell’irrilevanza sistemica della Chiesa. Essa, più che inseguire i criteri di legittimazione della sua presenza sociale sul piano laico che la valorizzano solamente in quanto erogatrice di servizi sociali di prima necessità, potrebbe ripensarsi nella categoria del “non necessario”: non in quanto superfluo, bensì nell’ordine del “più che
necessario”, della gratuità che non può essere imposta ma solamente riconosciuta liberamente.

Di fronte alla pandemia, cattolici romani e protestanti hanno fatto ricorso alle rispettive “specialità della casa”: da un lato, la pietà sacramentale senza accesso diretto ai sacramenti, dall’altro, la predicazione della Parola con eventi domenicali su piattaforme digitali. Tuttavia proprio in questa fase si sono posti nuovi interrogativi: in campo riformato inusuali nostalgie del sacramento sino a proposte di consacrare via webcam, in quello cattolico la consapevolezza che il Vangelo può giungere anche attraverso molteplici canali, pure telematici.

Nella mia relazione ho mostrato la convergenza dei sondaggi degli ultimi mesi – uno dei quali, condotto dall’associazione “Nipoti di Maritain” da me diretta e già presentato in sintesi anche su SettimanaNews – su un aumento complessivo di un terzo, tra gennaio e aprile, delle pratiche religiose dei cattolici italiani. Non solamente quindi “messe in streaming” – le cui riprese audio/video necessitano di inedite attenzioni di estetica liturgica – e che comunque persino sommate insieme non riescono a raggiungere gli ascolti di papa Francesco, ma pure meditazioni del vangelo quotidiano e occasioni di riflessione, soprattutto da parte dei più giovani, sul senso della propria vita.

Inoltre, si è notata la divergenza di letture proprio sulle dirette social delle celebrazioni dei presbiteri: criticate come manie di protagonismo clericale da parte di altri preti che non hanno voluto farle, invece generalmente sono state molto apprezzate dal fedele medio che in esse ha trovato un’espressione di vicinanza e di cura pastorale, dato dal quale partire prima di considerazioni di altro tipo.

A partire da questa constatazione di teologia fondamentale – è vero comunque, come aveva studiato Dario Vitali, che il sensus fidei è in larga parte dipendente dall’impostazione ricevuta – è possibile poi educare il cammino dei fedeli ad una consapevolezza più matura della realtà ecclesiale e sacramentale.

Liturgia

Ma tale apprezzamento laicale per le “messe in streaming” può anche denotare, come ha rilevato nella seconda giornata la liturgista sr. Elena Massimi, docente presso gli istituti “Auxilium” di Roma e “S. Giustina” di Padova, la fatica della recezione dell’ecclesiologia del concilio Vaticano II e l’incomprensione dello statuto stesso della
liturgia, opera di Cristo e del suo corpo che è la Chiesa tutta che fa l’eucaristia, la quale a sua volta costituisce la Chiesa.

L’intervento ha sottolineato alcune criticità dei decreti liturgici adottati in tempo di Covid-19, maggiormente preoccupati per la validità canonica dei sacramenti, e si è interrogata sulla rinnovata attualità di alcune pratiche discutibili come le indulgenze, le messe celebrate dal solo sacerdote e la cosiddetta “comunione spirituale”, nate in ben altri contesti; ad ogni modo si auspica che l’interesse significativo che ha investito recentemente la liturgia non venga sprecato.

Lorenzo Voltolin, presbitero della diocesi di Padova, è partito da un interrogativo: che tipo di comunità si costituisce quando i corpi non possono incontrarsi? Nel suo paradigma interpretativo i new media sono un’estensione del nostro corpo e come esso iniziano a funzionare, attivando anche dal punto di vista chimico gli stessi meccanismi percettivi inter-corporei, con la pompa sodio-potassio e i successivi effetti sulla corteccia cerebrale.
Inoltre funzionano sul corpo e permettono esperienze significative intra-corporee, nella realtà virtuale; sebbene questa non vada confusa con la realtà stessa, si tratta di un ulteriore spazio esistenziale, una realtà a pieno titolo fondata sui sensi corporei, e non sull’immaginazione.

Ciò che permette di verificarne l’autenticità è il collegamento con il proprio referente fisico: in altre parole, se vi è un legame biologicamente reale – per esempio quello tra un parroco e la propria comunità – tale percezione performativa può creare partecipazione comunitaria; se invece non vi è alcun nesso con una realtà conosciuta
fisicamente la celebrazione si fa spettacolo.

Morena Baldacci, responsabile della pastorale battesimale della diocesi di Torino, ha parlato di preghiera “in casa” (anziché di preghiera “in famiglia”, per poter includere un maggiore numero di esperienze anche di single e di conviventi) portando esempi, più che di sussidi, di pratiche concrete. Tali liturgie domestiche hanno permesso a una pur sempre esigua minoranza di fedeli già assidui di riscoprire gesti e parole del quotidiano; non un mero “trasloco” dalle chiese alle case, ma piuttosto una piccolezza scelta in cui sperimentare una pluralità di servizi e di ministeri.
In seguito, è stata proposta l’esperienza della Tenda della Parola animata dal parroco parmense Guido Pasini che, in tempo di pandemia, ha inviato a una mailing list un breve sussidio con tracce audio lette e cantate per pregare il vangelo domenicale.

Linguaggi

Nel terzo giorno dedicato alla comunicazione sono intervenuti due presbiteri della diocesi di Bergamo.
In primis Manuel Belli, che ha rilevato gli sforzi da parte delle Chiese per apprendere come stare su un web abitato da nativi digitali che hanno sempre vissuto in tempo di crisi e che possono essere sensibili, più che a spiegazioni causali o a illusori ottimismi, a una pastorale della prossimità al singolo individuo.
Giuliano Zanchi è entrato nel rapporto tra fede e arte, anche a proposito della riproducibilità tecnica dei sacramenti nell’“infosfera” in cui si è inevitabilmente immersi, dell’eloquenza (quasi sacramentale) di alcune immagini circolate durante la pandemia e dell’esigenza della ritualizzazione della vita, nel momento in cui si inventano nuovi riti alternativi personali perché quelli della liturgia non vengono percepiti più come espressivi, a causa di un sostanziale isolamento della Chiesa dal mondo culturale in cui avvengono novità.

Nel pomeriggio si è avuta l’occasione di ascoltare la testimonianza video del salesiano Alfio Pappalardo, autore di Un minuto per pregare sul social dei giovanissimi TikTok, oltre a quella del 23enne Emmanuele Magli (canale Religione 2.0 su YouTube) docente di IRC a Bologna e di Marco Scandelli, parroco di Borgo Maggiore a San Marino, che quotidianamente offre un video di #2minutiDiVangelo.

Responsabilità e vulnerabilità

La mattinata conclusiva, dopo l’esperienza del “pellegrino rosso” Matteo Bergamelli – che con entusiasmo, creatività e ironia testimonia la sua fede soprattutto su instagram – ha visto l’intervento del filosofo Stefano Biancu, docente alla LUMSA e vicepresidente del MEIC.
In quest’ultima relazione si sono rivissute le domande della filosofia morale in tempo di pandemia: abbiamo una conoscenza più limitata di quanto pensassimo anche delle realtà fisiche, non tutto è sotto il nostro controllo, eppure abbiamo una certa responsabilità – rispondere a qualcuno di qualcosa – su ciò che invece dipende da noi,
senza temere quella vulnerabilità che, esponendoci al rischio di poter essere feriti dagli altri, consente di accedere a esperienze più grandi.
Entra così in gioco una dinamica di beni “supererogatori”, cioè non esigibili (come il perdono, l’amore, l’accoglienza) eppure vissuti con la coscienza che siano tali: è il “massimo necessario”, per esempio, del personale sanitario che ha compiuto come atto dovuto il proprio servizio, definito invece da altri nei termini di “eroismo”.

Insomma, dopo la puntata di giugno più “a caldo”, anche con quella di agosto questo convegno ha voluto, su temi più specifici, offrire un aiuto per comprendere l’attuale delicata fase ecclesiale, senza offrire alcuna ricetta preordinata, ma ripensando alle ricchezze e alle debolezze che questo tempo ha fatto scoprire, al fine di investire energie e lavorare con pazienza sui punti nodali affinché i frutti vengano da cammini condivisi, e non da scorciatoie.

http://www.settimananews.it/chiesa/la-chiesa-linguaggi-della-pandemia/

Papa Francesco indica il «piano» per risorgere dalla pandemia

Lucia Capuzzi sabato 18 aprile 2020
Gli anticorpi della solidarietà contro le emergenze, il protagonismo dei popoli via per lo sviluppo umano. Dalla rivista spagnola “Vida Nueva” il Papa invita al coraggio «di una nuova immaginazione»

«L’impatto di tutto ciò che sta accadendo, le gravi conseguenze che già si segnalano e s’intravedono, il dolore e il lutto per i nostri cari ci disorientano, angosciano e paralizzano». Immerso in un interminabile Sabato Santo, il mondo è chiuso nel sepolcro della pandemia. Il peso dell’angoscia per i morti e i malati, della tristezza dell’isolamento, dell’ansia per il devastante contraccolpo economico, gli sbarra la via d’uscita. «Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?». Le parole delle discepole risuonano martellanti. Eppure, proprio nel ventre di pietra del sepolcro, maturano i germi della Risurrezione.

Da lì, dunque, parte il “Piano per risorgere” proposto da papa Francesco sulla rivista spagnola Vida Nueva, uno dei punti di riferimento sull’attualità ecclesiale per i Paesi di lingua castigliana. Le lacrime profuse da un capo all’altro del pianeta, nelle ultime settimane, proprio come quelle delle donne di fronte alla tomba del Maestro, non costituiscono le parole ultime e definitive del presente. Poiché da e con esse irrompe il desborde di Dio: parola cara al Pontefice, difficile da tradurre in italiano se non come “di più”. Il traboccamento divino consente agli esseri umani di trasformare il male in nuova forza per costruire il futuro. «Se abbiamo potuto imparare qualcosa in tutto questo tempo è che nessuno si salva da solo. Le frontiere cadono, i muri crollano e tutti i discorsi integralisti si dissolvono dinanzi a una presenza quasi impercettibile che manifesta la fragilità di cui siamo fatti», scrive Bergoglio e sottolinea: «È il soffio dello Spirito che apre orizzonti, risveglia la creatività e ci rinnova in fraternità per dire presente (oppure eccomi) dinanzi all’enorme e improrogabile compito che ci aspetta».

È, dunque, urgente discernere il suo battito per dare impulso a dinamiche in grado di testimoniare e canalizzare la vita nuova che il Signore vuole generare in questo momento della storia. Non è il momento di comodi palliativi, di rattoppi inadeguati rispetto alle gravi conseguenze della crisi in atto. «È il tempo propizio per trovare il coraggio di una nuova immaginazione del possibile, con il realismo che solo il Vangelo può offrici», afferma Francesco. L’implacabile lezione di interconnessione della pandemia ci mostra come le emergenze possono essere sconfitte anzitutto «con gli anticorpi della solidarietà», prosegue il Pontefice, citando un recente documento della Pontificia Accademia per la vita. Se agiamo come popolo, pertanto, «persino di fronte alle altre epidemie che ci minacciano, possiamo ottenere un impatto reale».

Saremo capaci di vincere il fatalismo di cui siamo prigionieri e di scrivere la storia presente e futura senza voltare le spalle alle sofferenze di tanti? L’interrogativo di Francesco è rivolto, certo, alla comunità internazionale. Ma soprattutto agli uomini e alle donne di buona volontà nelle cui mani – il Papa l’ha detto più di una volta – risiedono davvero le sorti del mondo. In questo senso l’editoriale su Vida Nueva prosegue la strada già tracciata nella lettera inviata ai Movimenti e alle organizzazioni popolari il giorno di Pasqua, in cui li invitava a essere costruttori di un cambiamento ormai improrogabile: «Pensiamo al progetto di sviluppo umano integrale a cui aneliamo, che si fonda sul protagonismo dei popoli in tutta la loro diversità». Di nuovo, Francesco squarcia il velo della fatica presente per far balenare un orizzonte che vede la famiglia umana unita nella ricerca dello sviluppo umano integrale. È questa «l’alternativa della civiltà dell’amore», con cui conclude l’articolo. Non un vagheggiamento ingenuo bensì un’utopia possibile con uno sforzo impegnato di tutti – come diceva il cardinale Eduardo Pironio, citato dal Papa –, «una comunità impegnata di fratelli».

XXXV Giornata Mondiale della Gioventù: “Giovane, dico a te, alzati!”.

“Dio ci ha salvato servendoci. In genere pensiamo di essere noi a servire Dio. No, è Lui che ci ha serviti gratuitamente, perché ci ha amati per primo. È difficile amare senza essere amati. Ed è ancora più difficile servire se non ci lasciamo servire da Dio”.

Papa Francesco lo ha detto nella riflessione proposta nella celebrazione della Domenica delle Palme.

Una celebrazione surreale nella basilica vaticana vuota e all’altare della Cattedra. La emergenza sanitaria ha indotto a questa scelta anche il Papa.  Nel presbiterio sono stati collocati il Crocifisso di San Marcello e la Salus Populi Romani.

Il rito della Commemorazione dell’ingresso del Signore in Gerusalemme si è svolto ai piedi dell’Altare della Confessione, verso la Cattedra, dove è stato allestito un addobbo di palme e ulivi.

Francesco prosegue la sua riflessione: “Dio ci ha salvati lasciando che il nostro male si accanisse su di Lui. Senza reagire, solo con l’umiltà, la pazienza e l’obbedienza del servo, esclusivamente con la forza dell’amore”.

E le prove più dolorose sono quelle del tradimento e dell’abbandono, dice Papa Francesco. Un tradimento che sperimentiamo anche noi e “nasce in fondo al cuore una

delusione tale, per cui la vita sembra non avere più senso. Questo succede perché siamo nati per essere amati e per amare, e la cosa più dolorosa è venire traditi da chi ha promesso di esserci leale e vicino”.

Ma noi per primi dice il Papa, siamo traditori: “Se siamo sinceri con noi stessi, vedremo le nostre infedeltà. Quante falsità, ipocrisie e doppiezze! Quante buone intenzioni tradite! Quante promesse non mantenute! Quanti propositi lasciati svanire!”.

Ma il Signore ci conosce, e “ci ha guariti prendendo su di sé le nostre infedeltà, togliendoci i nostri tradimenti. Così che noi, anziché scoraggiarci per la paura di non farcela, possiamo alzare lo sguardo verso il Crocifisso, ricevere il suo abbraccio”.

E poi c’è l’abbandono: “Gesù aveva sofferto l’abbandono dei suoi, che erano fuggiti. Ma gli rimaneva il Padre”. E tutto questo dice il Papa lo ha fatto per noi “perché quando ci sentiamo con le

spalle al muro, quando ci troviamo in un vicolo cieco, senza luce e via di uscita, quando sembra che perfino Dio non risponda, ci ricordiamo di non essere soli”.

E allora anche oggi “nel dramma della pandemia, di fronte a tante certezze che si sgretolano, di fronte a tante aspettative tradite, nel senso di abbandono che ci stringe il cuore, Gesù dice a ciascuno: “Coraggio: apri il cuore al mio amore. Sentirai la consolazione di Dio, che ti sostiene”.

Allora quale deve essere la risposta dell’uomo ? “Possiamo non tradire quello per cui siamo stati creati, non abbandonare ciò che conta. Siamo al mondo per amare Lui e gli altri. Il resto passa, questo rimane. Il dramma che stiamo attraversando ci spinge a prendere sul serio quel che è serio, a non perderci in cose di poco conto; a riscoprire che la vita non serve se non si serve. Perché la vita si misura sull’amore. Allora, in questi giorni santi, a casa, stiamo davanti al Crocifisso, misura dell’amore di Dio per noi. Davanti a Dio che ci serve fino a dare la vita, chiediamo la grazia di vivere per servire. Cerchiamo di contattare chi soffre, chi è solo e bisognoso. Non pensiamo solo a quello che ci manca, ma al bene che possiamo fare”.

E il Papa conclude con un pensiero per i giovani, visto che oggi si celebra la XXXV Giornata Mondiale della Gioventù, quest’anno a livello diocesano, sul tema: “Giovane, dico a te, alzati!”.

“Certo, amare, pregare, perdonare, prendersi cura degli altri, in famiglia come nella società, può costare. Può sembrare una via crucis. Ma la via del servizio è la via vincente, che ci ha salvati e che ci salva la vita. Vorrei dirlo specialmente ai giovani, in questa Giornata che da 35 anni è dedicata a loro. Cari amici, guardate ai veri eroi, che in questi giorni vengono alla luce: non sono quelli che hanno fama, soldi e successo, ma quelli che danno sé stessi per servire gli altri.

Sentitevi chiamati a mettere in gioco la vita. Non abbiate paura di spenderla per Dio e per gli altri, ci guadagnerete! Perché la vita è un dono che si riceve donandosi. E perché la gioia più grande è dire sì all’amore, senza se e senza ma. Come Gesù per noi”.

Insieme sulla stessa barca

Uscire a seminare: questa l’idea di un gruppo di amici che in questo passaggio storico così difficile vuole offrire le sensibilità, le idee, le riflessioni di uno sguardo credente a chi voglia lasciarsi interrogare dallo stravolgimento determinato dalla pandemia del Covid-19.

Uscire a seminare: nei campi della coscienza e dell’intelligenza delle cose, per condividere il desiderio di scendere in profondità nei giorni che viviamo, guardandoli alla luce del Vangelo come esperienza, certo dolorosa ma autentica, dell’umano.

Uscire a seminare: una lettera, un sussidio per il Triduo pasquale, un instant-book, materiali che sono semplici suggerimenti per allargare e arricchire una riflessione sull’oggi che non può essere solitaria ma deve farsi costruzione del sentire del Popolo di Dio che si scopre parte dell’umanità e del pianeta di cui abbiamo la responsabilità.

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Quaresima, il Papa: con Dio è sempre un dialogo cuore a cuore

Nonostante il male nella vita della Chiesa e del mondo, il Signore continua a offrirci un tempo “favorevole” alla conversione. Lo evidenzia Francesco nel Messaggio per la Quaresima, in cui ricorda che la nostra vita nasce dall’amore di Dio, respingendo la menzogna secondo cui essa sarebbe originata da noi stessi, quando diamo ascolto alla voce del diavolo. Quindi esorta alla compassione per i sofferenti. Tra gli appuntamenti del periodo quaresimale, ricorda “Economy of Francesco”, l’appuntamento di marzo ad Assisi

Giada Aquilino – Città del Vaticano

Convertiamoci a un dialogo “aperto e sincero” con il Signore. È l’esortazione del Messaggio di Papa Francesco per la Quaresima 2020, che si apre il 26 febbraio, mercoledì delle Ceneri. Il titolo è: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”.

Cambiamento di rotta

Non dobbiamo mai dare “per scontato” il fatto che, osserva il Pontefice, il Signore ci offra “ancora una volta un tempo favorevole alla nostra conversione”. Anzi: tale “opportunità” dovrebbe suscitare in noi un senso di “riconoscenza” e scuoterci dal “nostro torpore”.

Malgrado la presenza, talvolta anche drammatica, del male nella nostra vita, come in quella della Chiesa e del mondo, questo spazio offerto al cambiamento di rotta esprime la tenace volontà di Dio di non interrompere il dialogo di salvezza con noi.

Uso fuorviante dei mezzi di comunicazione

Francesco definisce “appassionata” la volontà di Dio di dialogare con i suoi figli, che giunge al punto di “far ricadere” su Gesù tutti i nostri peccati, fino a “mettere Dio contro Dio”, come scrisse – ricorda il Pontefice – il Papa emerito Benedetto XVI nella sua Prima Enciclica, Deus Caritas Est. Dio, rimarca Francesco, ama infatti “anche i suoi nemici”. Il dialogo che vuole stabilire con ogni uomo, mediante il Mistero pasquale del suo Figlio, non è “parlare o ascoltare le ultime novità”.

Questo tipo di chiacchiericcio, dettato da vuota e superficiale curiosità, caratterizza la mondanità di tutti i tempi, e ai nostri giorni può insinuarsi anche in un uso fuorviante dei mezzi di comunicazione.

Dare la vita

L’invito del Papa è ancora una volta a lasciarci coinvolgere dal “dinamismo spirituale” del “grande Mistero della morte e risurrezione di Gesù”, aderendo ad esso “con risposta libera e generosa”. La gioia del cristiano – evidenzia Francesco – scaturisce proprio dall’ascolto e dall’accoglienza “della Buona Notizia della morte e risurrezione” di Cristo, il kerygma.

Chi crede in questo annuncio respinge la menzogna secondo cui la nostra vita sarebbe originata da noi stessi, mentre in realtà essa nasce dall’amore di Dio Padre, dalla sua volontà di dare la vita in abbondanza. Se invece si presta ascolto alla voce suadente del “padre della menzogna” si rischia di sprofondare nel baratro del nonsenso, sperimentando l’inferno già qui sulla terra, come testimoniano purtroppo molti eventi drammatici dell’esperienza umana personale e collettiva.

 

L’attualità della Pasqua

La Pasqua di Gesù, si legge nel testo firmato dal Papa a San Giovanni in Laterano il 7 ottobre scorso nella memoria della Beata Maria Vergine del Rosario, “non è un avvenimento del passato”.

Per la potenza dello Spirito Santo è sempre attuale e ci permette di guardare e toccare con fede la carne di Cristo in tanti sofferenti.

 

Un dialogo cuore a cuore

Grazie al Mistero pasquale, aggiunge Francesco parlando di una “urgenza della conversione”, ci è stata “donata” la misericordia di Dio, che possiamo sperimentare “solo in un ‘faccia a faccia’ col Signore crocifisso e risorto”.

Un dialogo cuore a cuore, da amico ad amico. Ecco perché la preghiera è tanto importante nel tempo quaresimale. Prima che essere un dovere, essa esprime l’esigenza di corrispondere all’amore di Dio, che sempre ci precede e ci sostiene. Il cristiano, infatti, prega nella consapevolezza di essere indegnamente amato. La preghiera potrà assumere forme diverse, ma ciò che veramente conta agli occhi di Dio è che essa scavi dentro di noi, arrivando a scalfire la durezza del nostro cuore, per convertirlo sempre più a Lui e alla sua volontà.

 

Le piaghe di Cristo oggi

Il Papa spinge il cristiano a non lasciar “passare invano” questo tempo di grazia, nella “presuntuosa illusione” di essere noi i padroni “dei tempi e dei modi della nostra conversione a Lui”. E quanto più ci lasceremo coinvolgere dalla sua Parola, tanto più riusciremo a sperimentare – assicura Francesco – la sua misericordia “gratuita” per noi.

Mettere il Mistero pasquale al centro della vita significa sentire compassione per le piaghe di Cristo crocifisso presenti nelle tante vittime innocenti delle guerre, dei soprusi contro la vita, dal nascituro fino all’anziano, delle molteplici forme di violenza, dei disastri ambientali, dell’iniqua distribuzione dei beni della terra, del traffico di esseri umani in tutte le sue forme e della sete sfrenata di guadagno, che è una forma di idolatria.

 

Condivisione della ricchezza

Anche oggi, evidenzia, è importante richiamare gli uomini e le donne di buona volontà alla “condivisione dei propri beni” con i più bisognosi “attraverso l’elemosina”, come forma di “partecipazione personale” all’edificazione di un mondo più equo.

La condivisione nella carità rende l’uomo più umano; l’accumulare rischia di abbrutirlo, chiudendolo nel proprio egoismo. Possiamo e dobbiamo spingerci anche oltre, considerando le dimensioni strutturali dell’economia.

 

Economy of Francesco

È per tale motivo, spiega il Pontefice, che in questo tempo quaresimale, dal 26 al 28 marzo prossimi ad Assisi, ha convocato “giovani economisti, imprenditori e change-makers”.

Come ha più volte ripetuto il magistero della Chiesa, la politica è una forma eminente di carità. Altrettanto lo sarà l’occuparsi dell’economia con questo stesso spirito. Altrettanto lo sarà l’occuparsi dell’economia con questo stesso spirito evangelico, che è lo spirito delle Beatitudini.

L’obiettivo è dunque quello di “contribuire a delineare un’economia più giusta e inclusiva di quella attuale”.

24 febbraio 2020, 11:30

Il Papa e le donne: assumetevi responsabilità con coraggio

CITTÀ DEL VATICANO. «Prendete le cose in mano con coraggio!». Questa l’esortazione del Papa ad una delegazione dell’Unione Mondiale delle Organizzazioni Femminili Cattoliche (Umofc/Wucwo), ricevuta nei giorni scorsi in Vaticano, alla quale Francesco ha indicato l’esempio di Maria Maddalena, «che ha annunciato coraggiosamente la risurrezione di Gesù, anche quando gli apostoli non gli hanno creduto», e non ha mancato di indirizzare una raccomandazione: «Senza follia non c’è santità».

«Quando abbiamo chiesto al Papa un messaggio per le 8 milioni di donne che appartengono alle organizzazioni membri dell’Umofc in tutti continenti, il Santo Padre ci ha incoraggiato e ha sottolineato che per andare avanti nel cammino verso la santità ci vuole molto coraggio e anche una certa pazzia», racconta Maria Lia Zervino, presidente generale dell’organizzazione. «In quel senso, ha espresso: “Senza pazzia non c’è santità”. Ci ha spinto a essere come Maria Maddalena, che ha avuto la follia di annunciare la resurrezione di Gesù agli apostoli, anche se non le credevano. La sua esortazione è stata: “Fatevi carico con coraggio”».

L’udienza «ha avuto una durata più o meno di 40 minuti. Il clima è stato molto accogliente, fraterno e anche gioioso per il sense of humor del Papa», afferma Zervino.

Una nota dell’Unione Mondiale delle Organizzazioni Femminili Cattoliche riferisce che con il Papa la delegazione ha discusso «della realtà della Chiesa, delle donne e del principio mariano; della sinodalità dei laici; dell’ideologia del genere a livello internazionale; del dialogo interreligioso per la fratellanza umana e della missione specifica delle donne in tutti questi ambiti pastorali».

«Il tema centrale», spiega Zervino, «è stato proprio quello delle donne e la Chiesa, però non soltanto sul “ruolo” che, come ha detto il Papa tante volte, deve essere più approfondito e molto più esteso, ma anche su come noi donne dell’Umofc, con il nostro modo femminile di essere donne laiche, possiamo contribuire a sviluppare il “principio mariano” all’interno della Chiesa e a manifestare il volto femminile della Chiesa nel mondo di oggi».

Le donne dell’Umofc sono «convinte che le donne organizzate sinergicamente tra di loro possano prestare un incalcolabile servizio alla Chiesa», spiega ancora la presidente. «Non vogliamo occupare posti per ottenere potere o fare rivendicazioni e nemmeno per essere lì per decorazione, come un vaso di fiori. Pensiamo invece che sia fondamentale che le diverse strutture ecclesiali accolgano il desiderio di Papa Francesco di contare su donne con una formazione adeguata che intervengano nei processi decisionali».

Quanto al tema della sinodalità, Zervino spiega: «“Le donne sono quelle che portano avanti la Chiesa, senza ricoprire cariche”. In questo quadro, la sinodalità è stata considerata come il camminare insieme del Popolo di Dio. All’interno di questo Popolo di Dio, è stato evidenziato quanto possono aiutare a superare le ideologie le esperienze concrete delle donne dell’Umofc che, cercando la “santità della porta accanto”, tutti i giorni si impegnano in azioni meravigliose ma silenziose per l’evangelizzazione e lo sviluppo umano integrale. Ascoltare le testimonianze di queste donne è un passo importante per il cammino sinodale della Chiesa, perché costituiscono un osservatorio vivente sulle donne nel mondo».

“Aprite le porte alla vita”

Questo il titolo del Messaggio dei Vescovi per la 42° Giornata per la Vita prossimo  2 febbraio 2020.

“Osiamo sperare che la Giornata per la vita divenga sempre più un’occasione per spalancare le porte a nuove forme di fraternità solidale. Un abbraccio di pace e bene”, queste le parole del direttore a conclusione della lettera (in allegato) con cui invita gli Uffici diocesani di pastorale familiare, le diocesi e le Associazioni ad animare la Giornata 2o2o