Evento presentazione del sussidio “Educate, infinito presente”

24/02/2021 dalle 15:30 alle 17:30

la Commissione Episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università ha pubblicato il sussidio “Educare, infinito presente. La pastorale della Chiesa per la scuola”. Si tratta di uno strumento prezioso, che manifesta l’amore e l’impegno della comunità cristiana per l’educazione e la scuola in particolare.
Il testo è scaricabile liberamente al link https://educazione.chiesacattolica.it/educare-infinito-presente/
Fra gli obiettivi che il sussidio si prefigge, vi è quello di favorire la riflessione su temi di così viva attualità in ambito educativo, attraverso il confronto e la condivisione delle esperienze.
È per questo motivo che proponiamo un’incontro fissato per mercoledì 24 febbraio 2021
dalle ore 15,30 alle 17,30 sulla piattaforma Cisco Webex.A presentare il sussidio sarà mons. Mariano Crociata, presidente della Commissione Episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università, insieme all’ing. Stefano Versari, direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna. Seguiranno gli interventi di tre direttori di Uffici diocesani: Daniela Noris (Bergamo), Mirko Campoli (Tivoli), don Francesco Rinaldi (Napoli).

Sussidio per la celebrazione della Domenica della Parola di Dio

Il Sussidio per la celebrazione della Domenica della Parola di Dio, che quest’anno cade il 24 gennaio 2021, ruota intorno al tema della speranza. La Sacra Scrittura ci consegna parole profonde e vere, che ci consentono di essere realisti e nel frattempo di guardare al futuro con fiducia.

Il Sussidio per la celebrazione della Domenica della Parola di Dio, che quest’anno cade il 24 gennaio 2021, ruota intorno al tema della speranza. La Sacra Scrittura ci consegna parole profonde e vere, che ci consentono di essere realisti e nel frattempo di guardare al futuro con fiducia.
Il Sussidio vede la collaborazione di quattro Uffici della CEI: l’Ufficio Catechistico Nazionale, l’Ufficio Liturgico Nazionale, l’Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso e Ufficio Nazionale per i Beni Culturali Ecclesiastici e l’Edilizia di Culto. Ai testi biblici per la preghiera e la meditazione e a quelli liturgici per la celebrazione si aggiungono brani provenienti dal dialogo ecumenico e alcune immagini artistiche.

Consulta la presentazione sul sito di Chiesacattolica e scarica il sussidio.

 

3 dicembre 2020: Giornata Mondiale delle persone con disabilità- LINK EVENTO ONLINE

Il 3 dicembre 2020, GIORNATA MONDIALE DELLE PERSONE CON DISABILITÀ, dalle ore 18:00 alle ore 20:00, avrà luogo un evento nazionale ed un momento di preghiera vissuto con gli altri uffici e servizi delle altre Nazioni.

A breve sarà disponibile il programma.

L’evento, che si svolgerà online tramite la piattaforma “Cisco Webex Events” e sarà trasmesso attraverso i canali Youtube e Facebook della Conferenza Episcopale Italiana, è indirizzato a tutti gli operatori pastorali che sono impegnati territorialmente nella “pastorale delle persone con disabilità” nei suoi vari aspetti (Diocesano, regionale, associazioni, movimenti, strutture residenziali e realtà carismatiche).

Tramite questo link è possibile effettuare l’iscrizione (entro il 30 novembre), obbligatoria per poter accedere all’evento.

 

Per ogni evenienza è possibile rivolgersi alla segreteria del Servizio, per telefono al n. 06-66398.311, oppure tramite email all’indirizzo pastoraledisabili@chiesacattolica.it.

 

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Il nuovo sussidio della CEI per l’Avvento e il Natale

«Due parole affiorano dal cuore in questo tempo particolarmente complesso: speranza e prossimità. I tempi dell’Avvento e del Natale segnano l’inizio di un nuovo anno liturgico. Come andrà? Cosa aspettiamo? Mentre le nostre parole restano incerte e mute, la Parola di Dio in questo tempo annuncia e celebra la speranza […]. La storia ci ha messi di fronte alla prova impegnativa di un’emergenza sanitaria che non sta risparmiando nessuno, chi direttamente e chi indirettamente. Il cuore è stretto dalla paura, le relazioni sembrano sospese come molte delle attività. Se pur immersi in questa situazione inedita, non vogliamo chiuderci all’inedito di Dio. Anzi, desideriamo aprirci a Lui, e ad ogni uomo e donna. […] Nella situazione di desolazione e sconforto, il Natale di Cristo, che ha assunto tutta la nostra umanità, ci apre alla speranza non solo di poter ricevere un supplemento di vita ma una nuova Vita.»

È con queste parole che mons. Stefano Russo, segretario generale della CEI, ha presentato il sussidio liturgico-pastorale per i tempi di Avvento e Natale che i vescovi italiani mettono a disposizione quest’anno e che si intitola Camminiamo nella speranza. Nella prima parte del documento, tre riflessioni richiamano le dimensioni essenziali di una vita autenticamente cristiana: “Celebrare per la vita” a cura dell’Ufficio Liturgico Nazionale, “Annunciare la vita” dell’Ufficio Catechistico Nazionale e “Vivere ciò che si celebra e si annuncia” della Caritas italiana. La seconda parte, introdotta dalla riflessione “Pregare in famiglia: la bellezza di un’esperienza” a cura dell’Ufficio per la Pastorale della Famiglia, offre le schede per la preghiera nelle domeniche e nelle solennità del Tempo di Avvento e Natale preparate dall’Ufficio Liturgico Nazionale e dall’Ufficio per la Pastorale per persone con disabilità, con rimandi a letture e attività da fare con bambini piccoli o ragazzi con disabilità intellettiva.

L’ultima parte presenta uno schema di preghiera per la celebrazione della novena in preparazione alla solennità dell’Immacolata Concezione della beata Vergine Maria e due schemi per la novena del Natale, uno con la famiglia e uno con la comunità. Infine, una breve scheda illustra la novità, presente nella nuova edizione del Messale Romano, della messa vespertina nella vigilia della solennità dell’Epifania. È anche possibile scaricare dei file di canti consigliati; gli audio non vanno utilizzati durante la celebrazione, ma per imparare il canto o favorire, mediante l’ascolto, la meditazione. Tutte queste proposte sono da utilizzare tenendo conto delle situazioni e delle opportunità pastorali di ciascuna comunità o delle diverse famiglie.

Messaggio alle comunità cristiane in tempo di pandemia

Fratelli e sorelle,
vorremmo accostarci a ciascuno di voi e rivolgervi con grande affetto una parola di speranza e di consolazione in questo tempo che rattrista i cuori. Viviamo una fase complessa della storia mondiale, che può anche essere letta come una rottura rispetto al passato, per avere un disegno nuovo, più umano, sul futuro. «Perché peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi» (Papa Francesco, Omelia nella Solennità di Pentecoste, 31 maggio 2020).

Ai componenti della Comunità cristiana cattolica, alle sorelle e ai fratelli credenti di altre Confessioni cristiane e di tutte le religioni, alle donne e agli uomini tutti di buona volontà, con Paolo ripetiamo: «Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera» (Rm 12,12).
Inviamo questo messaggio mentre ci troviamo nel pieno della nuova ondata planetaria di contagi da Covid-19, dopo quella della scorsa primavera. L’Italia, insieme a molti altri Paesi, sta affrontando grandi limitazioni nella vita ordinaria della popolazione e sperimentando effetti preoccupanti a livello personale, sociale, economico e finanziario. Le Chiese in Italia stanno dando il loro contributo per il bene dei
territori, collaborando con tutte le Istituzioni, nella convinzione che l’emergenza richieda senso di responsabilità e di unità: confortati dal magistero di Papa Francesco, siamo certi che per il bene comune occorra continuare in questa linea di dialogo costante e serio.

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Il Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana
Roma, 22 novembre 2020

Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo

Francesco ai giovani: non “vivacchiate”, scegliere Dio rende felici

Non stare parcheggiati ai lati della vita: nella Messa per il passaggio della Croce della Gmg, il Papa parla ai giovani di “grandi sogni” che rendono liberi, da cercare oltre il pensiero dominante che riduce la felicità al divertimento, l’esistenza ad una febbre di consumi, l’amore ad emozioni. Poi l’annuncio: la celebrazione diocesana della GMG dal prossimo anno passa dalla Domenica delle Palme alla Domenica di Cristo Re

 

 

“Io sono lì – dice Gesù – dove il pensiero dominante, secondo cui la vita va bene se va bene a me, non è interessato.  Io sono lì, dice Gesù anche a te, giovane che cerchi di realizzare i sogni della vita”. Così il Papa si rivolge ai ragazzi nella Santa Messa per il passaggio della Croce della Giornata Mondiale della Gioventù nella festa di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo.  Commentando l’ultima pagina del Vangelo di Matteo prima della Passione sottolinea che “prima di donarci il suo amore sulla croce, Gesù ci dà le sue ultime volontà”. Francesco chiarisce: “Ci dice che il bene che faremo a uno dei suoi fratelli più piccoli – affamati, assetati, stranieri, bisognosi, malati, carcerati – sarà fatto a Lui”.  (Ascolta il servizio con la voce del Papa)

Due domande essenziali

Il Papa pone due interrogativi: “Aiuto qualcuno che non può restituirmi? Sono amico di una persona povera?”. Il Papa pone questi interrogativi per poi dare la risposta di Cristo: “Io sono lì, ti dice Gesù,  ti aspetto lì, dove non immagini e dove magari non vorresti nemmeno guardare, lì nei poveri”. Il Papa ricorda la figura di San Martino: da giovane soldato non battezzato, un giorno vide un povero che “chiedeva aiuto alla gente, ma non ne riceveva, perché tutti passavano oltre”. Francesco spiega che “vedendo che gli altri non erano mossi a compassione, comprese che quel povero gli era stato riservato”. Non aveva niente con sé, solo la sua divisa di lavoro e allora tagliò il suo mantello e ne diede metà al povero, “subendo – sottolinea – le risa di scherno di alcuni lì attorno”. Poi sognò Gesù, rivestito della parte di mantello con cui aveva avvolto il povero. Fece quel sogno – aggiunge il Papa – “perché lo aveva vissuto, pur senza saperlo, come i giusti del Vangelo di oggi”.

L’invito a non restare parcheggiati ai lati della vita

E dunque il forte incoraggiamento del Papa: “Cari giovani, cari fratelli e sorelle, non rinunciamo ai grandi sogni. Non accontentiamoci del dovuto. Il Signore non vuole che restringiamo gli orizzonti, non ci vuole parcheggiati ai lati della vita, ma in corsa verso traguardi alti, con gioia e con audacia”. E’ molto incisivo il richiamo all’attualità e a convinzioni che sembrano imperanti: “Non siamo fatti per sognare le vacanze o il fine settimana – afferma il Papa – ma per realizzare i sogni di Dio in questo mondo. Egli ci ha reso capaci di sognare per abbracciare la bellezza della vita”. Dunque, la convinzione profonda: “Le opere di misericordia sono le opere più belle della vita. Se hai sogni di vera gloria, non della gloria del mondo che viene e va, ma della gloria di Dio, questa è la strada. Perché le opere di misericordia danno gloria a Dio più di ogni altra cosa”. E su questa frase il Papa si sofferma, la ripete.

Grandi scelte per grandi sogni

Il Papa dà voce a un interrogativo importante: “Ma da dove si parte per realizzare grandi sogni?”, si chiede per poi rispondere: “Dalle grandi scelte”. E’ il Vangelo a chiarirlo, ricorda: “Nel momento del giudizio finale il Signore si basa sulle nostre scelte. Sembra quasi non giudicare: separa le pecore dalle capre, ma essere buoni o cattivi dipende da noi. Egli trae solo le conseguenze delle nostre scelte, le porta alla luce e le rispetta. Per i giovani il messaggio è chiaro e potente: “La vita, allora, è il tempo delle scelte forti, decisive, eterne. Scelte banali portano a una vita banale, scelte grandi rendono grande la vita”. Papa Francesco lo dice senza mezzi termini: “Noi, infatti, diventiamo quello che scegliamo, nel bene e nel male. Se scegliamo di rubare diventiamo ladri, se scegliamo di pensare a noi stessi diventiamo egoisti, se scegliamo di odiare diventiamo arrabbiati, se scegliamo di passare ore davanti al cellulare diventiamo dipendenti”. Con una certezza che illumina: “Se scegliamo Dio diventiamo ogni giorno più amati e se scegliamo di amare diventiamo felici”.

Non restare appesi ai perché della vita

“Sì, perché – aggiunge – la bellezza delle scelte dipende dall’amore”. E anche  questa affermazione Papa Francesco sceglie di ripeterla, sottolineando così tutta l’importanza.  Gesù sa che “se viviamo chiusi e indifferenti restiamo paralizzati, ma se ci spendiamo per gli altri diventiamo liberi”. Dunque il Papa “consegna” ai giovani il segreto della vita: “Il Signore della vita ci vuole pieni di vita e ci dà il segreto della vita: la si possiede solo donandola”. “Ma ci sono degli ostacoli che rendono ardue le scelte”: Francesco lo ricorda, citando “spesso il timore, l’insicurezza, i perché senza risposta”. Anche qui un’indicazione chiara: l’amore chiede di andare oltre, di “non restare appesi ai perché della vita aspettando che dal Cielo arrivi una risposta”. E, dunque,  “l’amore spinge a passare dai perché al per chi, dal perché vivo al per chi vivo, dal perché mi capita questo al per chi posso fare del bene. Per chi? Non solo per me: la vita è già piena di scelte che facciamo per noi stessi, per avere un titolo di studio, degli amici, una casa, per soddisfare i propri hobby e interessi.

La febbre dei consumi e l’ossessione del divertimento

Tra tante riflessioni, il Papa mette a nudo il rischio che tutte le attraversa: “Rischiamo di passare anni a pensare a noi stessi senza cominciare ad amare”. E cita Manzoni sottolineando che “diede un bel consiglio”, quando ne I promessi Sposi  scrisse: «Si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio». Ma “non ci sono solo i dubbi e i perché a insidiare le grandi scelte generose, ci sono tanti altri ostacoli”. Il Papa ricorda “la febbre dei consumi, che narcotizza il cuore di cose superflue” e “l’ossessione del divertimento, che sembra l’unica via per evadere dai problemi e invece è solo un rimandare il problema”. Ma anche “c’è il fissarsi sui propri diritti da reclamare, dimenticando il dovere di aiutare”. E poi sintetizza “la grande illusione sull’amore” spiegando che “sembra qualcosa da vivere a colpi di emozioni, mentre amare è soprattutto dono, scelta e sacrificio”.

Difendere l’originalità contro le mentalità  dell’usa-e-getta e del tutto-e-subito

Poi due inviti a ribaltare la mentalità che vorrebbe imporsi:  “Scegliere – sottolinea il Papa – soprattutto oggi è non farsi addomesticare dall’omologazione, è non lasciarsi anestetizzare dai meccanismi dei consumi che disattivano l’originalità, è saper rinunciare alle apparenze e all’apparire”. Inoltre, “scegliere la vita è lottare contro la mentalità dell’usa-e-getta e del tutto-e-subito, per pilotare l’esistenza verso il traguardo del Cielo, verso i sogni di Dio”. A questo proposito il Papa aggiunge a braccio che l’obiettivo è vivere e non vivacchiare, spiegando di aver sentito questa espressione da un ragazzo. Francesco aggiunge: “Vorrei darvi un ultimo consiglio per allenarsi a scegliere bene. Se ci guardiamo dentro, vediamo che in noi sorgono spesso due domande diverse. Una è: che cosa mi va di fare? È una domanda che spesso inganna, perché insinua che l’importante è pensare a sé stessi e assecondare tutte le voglie e le pulsioni che vengono. Ma la domanda che lo Spirito Santo suggerisce al cuore è un’altra: non che cosa ti va? ma che cosa ti fa bene?”. Il Papa ribadisce che “qui sta la scelta quotidiana, che cosa mi va di fare o che cosa mi fa bene?”. E afferma: “Da questa ricerca interiore possono nascere scelte banali o scelte di vita. Guardiamo a Gesù, chiediamogli il coraggio di scegliere quello che ci fa bene, per camminare dietro a Lui, nella via dell’amore. E trovare la gioia.”

Il passaggio della Croce

Al termine della celebrazione eucaristica, il Papa ha salutato cordialmente tutti  i presenti e quanti hanno seguito attraverso i media. E ha rivolto un saluto particolare  ai giovani panamensi e portoghesi, rappresentati da due delegazioni, che hanno fatto, subito dopo, il significativo gesto del passaggio della Croce e dell’icona di Maria Salus Populi Romani, simboli delle Giornate Mondiali della Gioventù. “È un passaggio importante – ha detto il Papa – nel pellegrinaggio che ci condurrà a Lisbona nel 2023.

La GMG locale nella festa di Cristo Re

Poi l’annuncio della decisione di Papa Francesco con queste parole: “E mentre ci prepariamo alla prossima edizione intercontinentale della GMG, vorrei rilanciare anche la sua celebrazione nelle Chiese locali. Trascorsi trentacinque anni dall’istituzione della GMG, dopo aver ascoltato diversi pareri e il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, competente sulla pastorale giovanile, ho deciso di trasferire, a partire dal prossimo anno, la celebrazione diocesana della GMG dalla Domenica delle Palme alla Domenica di Cristo Re”.  Il Papa ha spiegato che “al centro rimane il Mistero di Gesù Cristo Redentore dell’uomo, come ha sempre sottolineato San Giovanni Paolo II, iniziatore e patrono delle GMG”. Aggiungendo: “Cari giovani, gridate con la vostra vita che Cristo vive e regna! Se voi tacerete, grideranno le pietre!”.

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il sinodo per l’Amazzonia un anno dopo

A un anno dalla celebrazione del sinodo per l’Amazzonia, che si è tenuto in Vaticano dal 6 al 27 ottobre 2019, si tenta ora di tracciare un primo bilancio degli sviluppi che ne sono derivati. A fare il punto sono stati nei giorni scorsi alcuni partecipanti al sinodo di lingua tedesca in una videoconferenza organizzata ad Aquisgrana dalle organizzazioni caritative Misereor e Adveniat.

Voci e pareri sul cammino della Chiesa in Amazzonia

Una voce critica – come riferisce l’agenzia KNA del 21 ottobre scorso – è stata quella del teologo della liberazione Paulo Suess. A suo modo di vedere, nei dibattiti al sinodo c’è stata sì una grande apertura a vere riforme, ma alla fine hanno prevalso i «tradizionalisti» che volevano il minor cambiamento possibile. Hanno «messo all’angolo il papa», accusandolo persino di essere fautore di divisione e di eresie, ossia di falsi insegnamenti. Per questo Francesco sarebbe stato «molto cauto» nel Documento finale del sinodo. Secondo Suess, una forte Chiesa locale indigena sarebbe «un arricchimento per l’intera Chiesa mondiale e in nessun modo una minaccia, come alcuni temono».

Diverso, invece, il parere del vescovo tedesco Johannes Bahlmann, di Obidos (Amazzonia): gli indigeni e tutte le altre persone della regione amazzonica si sono sentiti rafforzati dal sinodo e hanno sviluppato una nuova fiducia in se stessi.

Per suor Birgit Weiler, del Perù, all’interno della Chiesa è gratificante che le donne e le popolazioni indigene dell’America Latina siano ora maggiormente coinvolte. È importante, tuttavia, che non siano solo consultate, ma anche che abbiano voce nelle decisioni. Ci sono qui molti segnali positivi – ha sottolineato –, e ha espresso la viva speranza che continuino ad essere tradotti in pratica.

Riferendosi all’attuale pandemia del coronavirus, ha affermato che questa ha mostrato «in tutta la sua brutalità» quanto siano drammatiche le differenze sociali e le ingiustizie che ne derivano: vittime sono soprattutto i poveri che, affidati a un sistema sanitario pubblico marcio, non possono rimanere a casa per proteggersi. Inoltre – ha proseguito – è aumentata notevolmente la violenza contro le donne. La Chiesa deve quindi esercitare una pressione più energica sulla politica per punire la violenza e far rispettare i diritti umani.

Michael Heinz, amministratore delegato dell’organizzazione umanitaria per l’America Latina Adveniat, ha affermato che, in seguito al sinodo, si sono ora create nuove reti nella regione amazzonica. A differenza della Germania, dove i documenti vengono spesso «archiviati e rapidamente dimenticati», i documenti sinodali in America Latina sono stati molto discussi e si sono dimostrati «pieni di vita». Oltre alla precedente opzione per i poveri e i giovani, ora si è aggiunta anche un’«opzione per la creazione e per i popoli indigeni».

Nella videoconferenza, l’amministratore delegato della Misereor, Pirmin Spiegel, si è riferito ai dibattiti in corso sull’accordo UE-Mercosur sulle relazioni commerciali con i paesi sudamericani. Il fatto che in questa area le questioni sugli standard ambientali, i diritti umani e il controllo democratico giochino un ruolo decisivo può essere considerato anche come esempio di ciò che potrebbe derivare concretamente dai dibattiti al sinodo sull’Amazzonia.

Il silenzi su certe richieste

Il papa è stato criticato da più parti per la mancanza di riforme su alcuni temi molto attesi. Nell’esortazione post-sinodale Querida Amazonia, pubblicata lo scorso febbraio, egli non ha accolto i suggerimenti dell’assemblea sinodale di ordinare sacerdoti uomini sposati maturi né di prevedere un diaconato per le donne in casi eccezionali e tantomeno di alleviare l’obbligo del celibato per i preti. Come prima misura per combattere la carenza di sacerdoti in Amazzonia, Francesco ha invece raccomandato di pregare per un numero maggiore di vocazioni, di provvedere un migliore utilizzo dei sacerdoti esistenti nella regione e favorire una formazione più appropriata. Nel complesso – ha sottolineato – la Chiesa e la cura pastorale in Amazzonia dovrebbero essere maggiormente caratterizzate dalla presenza di laici impegnati.

Ma, come è stato riferito da Civiltà Cattolica, ha spiegato così le ragioni del suo silenzio su quei temi che erano i più attesi da una certa opinione pubblica: «C’è stata – ha dichiarato – una discussione… una discussione ricca… una discussione ben fondata, ma nessun discernimento, che è qualcosa di diverso dall’arrivare ad un buono e giustificato consenso o a maggioranze relative. Dobbiamo capire – ha precisato – che il sinodo è più di un parlamento; e in questo caso specifico non poteva sfuggire a questa dinamica. Su questo argomento è stato un parlamento ricco, produttivo e persino necessario; ma non più di questo. Per me questo è stato decisivo nel discernimento finale, quando ho pensato a come fare l’esortazione».

Francesco ha poi chiarito che un sinodo dovrebbe essere un luogo di riflessione orante e non un luogo in cui si sviluppano pressioni lobbistiche di tipo parlamentare.

La  Conferenza della Chiesa per l’Amazzonia

Uno dei frutti più importanti del sinodo è stata senza dubbio la creazione, lo scorso mese di giugno, della nuova Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia.

Non è stato facile arrivarci. I mesi per giungere alle delibere e i relativi preparativi, che si sono svolti in gran parte in segreto, sono stati duri. Secondo alcune informazioni, un certo numero di forze conservatrici era scettico; e c’era una resistenza anche in Vaticano.

La scelta della data di quella istituzione non è stata casuale: il 29 giugno 2020, giorno in cui si celebra la solennità dei santi Pietro e Paolo. E ciò conferma la vocazione del nuovo organismo di «porsi al servizio della Chiesa, della sua opzione profetica e della sua azione missionaria in uscita». «Ci sembra – sostiene la nota dell’annuncio – che la nascita di questa Conferenza ecclesiale sia un atto di speranza, unito al magistero di papa Francesco, che ha accompagnato da vicino tutto il processo». Ma non solo: la Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia vuole essere anche una proposta concreta «in questi tempi difficili ed eccezionali per l’umanità, mentre la pandemia colpisce con forza la regione panamazzonica e le realtà di violenza, di esclusione e di morte nei confronti del bioma e dei popoli che lo abitano reclama un’urgente quanto imminente conversione integrale».

Con la creazione di questa Conferenza, si raccolgono due istanze emerse dal sinodo: la prima, riportata nel Documento finale, chiede di «creare un organismo episcopale che promuova la sinodalità tra la Chiesa della regione panamazzonica, che aiuti a delineare il volto amazzonico della Chiesa e continui nell’impegno di trovare nuovi cammini per la missione evangelizzatrice» (n. 115). La seconda, invece, è espressa da papa Francesco nella sua esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia ed è l’auspicio «che i pastori, i consacrati, le consacrate e i fedeli laici dell’Amazzonia si impegnino nell’applicazione» del lavoro sinodale (n. 4).

Il cardinale peruviano Pedro Barreto, vicepresidente di Repam, considera la Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia come «un dono al papa e alla regione amazzonica». Le strutture modificate potrebbero aiutare a facilitare il percorso verso le riforme. Nella Conferenza ora costituita sono rappresentati vescovi, sacerdoti, diaconi e membri delle popolazioni indigene di tutti gli stati amazzonici. «Non ci sono nazionalismi, né divisioni», sottolinea Barreto. Si tratta della Chiesa come spazio di vita comune che deve essere protetto a beneficio di tutta l’umanità.

La Conferenza è composta dai rappresentanti di nove paesi della regione amazzonica. A presiedere la conferenza sarà il cardinale Hummes. Un fatto rilevante è la scelta di inserire nell’organismo tre rappresentanti indigeni: due laici – Patricia Gualinga e Dario Siticonatzi, rispettivamente dei popoli sarayaku e ashaninka – e suor Laura Vicuña, del popolo kariri.

Secondo lo statuto, il nuovo organismo dovrà essere collegato con il CELAM – Consiglio episcopale latinoamericano – e cooperare con il Repam (Rete ecclesiale panamericana, con sede a Quito, in Ecuador) anche se con uno statuto autonomo.

Il presidente del CELAM, l’arcivescovo Miguel Cabrejos, è stato coinvolto nella pianificazione sin dall’inizio, assicura Barreto, «ma non siamo solo semplicemente un’altra istituzione». Il progetto è sostenuto da popolazioni indigene, laici e clero allo stesso modo, il che significa che esso possiede una grande propulsione. Inoltre, il progetto promuove il decentramento voluto dal papa. Papa Francesco accompagna perciò l’iniziativa con grande compiacimento.

Le aspettative dalla Conferenza ecclesiale amazzonica sono grandi. I cattolici di tutto il mondo sperano vivamente di ricevere impulsi per un rinnovamento della Chiesa dal sinodo per l’Amazzonia. Tuttavia, per le ragioni dette, l’esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia di Francesco è stata accolta da alcuni con una certa delusione. È probabile, comunque, che le discussioni ricomincino presto.

Il Documento finale del sinodo si augura che l’organismo ora istituito nell’incontro dei vescovi «trasmetta le idee che sono state sollevate a tutta l’area della Chiesa in America Latina e nei Caraibi». Ciò significa che il processo postsinodale è tutt’altro che concluso.

Non è un luogo per credenti

Le grandi e storiche istituzioni, laiche o religiose che siano, sembrano in egual misura divenute spazi di pratiche e retoriche incapaci di rinnovarsi e che gli individui faticano a sentire propri. Si amplificano così le dinamiche del fai-da-te, dove quegli aspiranti credenti che restano gli esseri umani tracciano itinerari sempre più personalizzati, che prevedono qualche volta l’abbandono, la diserzione, ma molto più spesso la selezione, il patteggiamento, l’appartenenza condizionata, l’autogestione e molte altre tattiche simili. Non è più necessario addentrarsi in qualche complesso studio demoscopico per avere riscontri di questi processi.

Nella crisi delle istituzioni

Basta osservare quello che succede anche alla nostra Chiesa. Che l’istituzione stia vivendo momenti di non felice reputazione sembra chiaro a tutti. Eppure le sue palesi inadeguatezze non riguardano tanto gli “scandali” con cui a ripetizione i suoi luoghi di potere allietano la nostra cronaca, meglio di Netflix, con i loro noir quotidiani. Sesso, soldi e potere sono in fondo zone d’ombra facili da riconoscere, da stigmatizzare e a limite, per il credente, anche da perdonare.

Quello che resta più difficile da vedere è la conclamata incapacità del cattolicesimo istituito nell’essere luogo che consenta alla fede di avere una forma reale. Possibilmente nel presente, non in un ideale senza tempo. L’impressione è che cresca sempre di più il numero di quanti per poter dare forma alla propria fede devono mettersi, se non fuori, per lo meno ai margini della Chiesa, in qualche circoscritta oasi di condivisione personalizzata. Il quesito che grava sulla Chiesa di oggi è se essa sia ancora un posto per credenti (per credenti, non per affezionati alle pratiche religiose).

Una domanda come questa, adeguatamente calibrata secondo i rispettivi domini, potrebbe riguardare allo stesso modo tutte le Chiese, i partiti, la scuola, i sindacati, persino la scienza e tutte quelle istituzioni che ogni giorno fanno i conti con la crescente disaffezione degli individui che dovrebbero trovare in esse forme compatibili alle loro attese. Bisogna rendere atto a papa Francesco, almeno per quel che riguarda i problemi della Chiesa, di aver provato a prendere il toro per le corna. Quanto la sfida si stia rivelando ardua lo vediamo tutti. Nondimeno non va misconosciuto il coraggio spirituale di un tentativo che mira a salvare proprio l’esausta vocazione generativa di una Chiesa molto prossima alla sterilità clinica. Attraverso segni, discorsi, simboli, uomini, scelte, per la verità non tutto andato sempre a segno, Francesco ha perlomeno immesso nei discorsi di Chiesa il vocabolo «riforma», conferendo a esso un significato di trasformazione che ha di mira un cattolicesimo nuovamente ospitale delle differenze in cui chiunque può trovare la forma della propria fede. Fratelli tutti, seconda enciclica del pontificato, fa parte di questo tentativo.

L’intuizione di Francesco

La sua intuizione principale consiste nel comprendere che di una simile questione il cristianesimo tradizionale e istituito non può venire a capo da solo, ma soltanto occupandosi contemporaneamente del “credere” di tutti, che anzitutto riguarda la possibilità di porre quotidianamente fiducia in un mondo umano e ospitale, luogo di quella giustizia che, sperimentata nella storia, può anche essere attesa anche dopo di essa. Senza la cura seria e concreta di una tale giustizia anche la speranza religiosa finisce per gracchiare dagli altoparlanti di un’ideologia come le altre. L’“aver fede” di ciascuno riguarda sempre anche il “poter credere” di tutti. E il tema della “fraternità”, in questo senso, rappresenta qualcosa di più del suono familiare e un po’ bigotto del gergo religioso che di fatto ne è rimasto l’erede quasi esclusivo.

Ispirato per esplicita ammissione alla tradizione francescana, “fraternità” è nel contempo il termine rimosso dalla triade che ha fatto nascere la nostra modernità illuminata e secolare: liberté, egalité, fraternité. La civiltà scaturita da quelle parole d’ordine è anche quella che ha sostanzialmente privilegiato le prime due, fondando un sistema sociale basato sulle libertà individuali e sull’uguaglianza dei diritti che, senza il principio attivo di un primato dei legami, ha trasformato il mondo nello spazio antagonistico di un’arena in cui tutti vogliono tutto come tutti ma dove pochi possono avere quello che resta solo di qualcuno.

Molti segnali, allarmanti quanto normalmente ignorati, contribuiscono a rendere seri questi discorsi e sottrarli al sorrisetto impudente dei cinici. Le strutture economiche, i metodi della produzione, la burocrazia dei diritti, il sistema comunicativo, le prassi politiche, le deviazioni finanziare e tutto quanto compone l’impalcatura di questa civiltà esaltata e frenetica, viene messo allo specchio dei suoi costi sociali, degli “scarti” sistematici che, trasformati in numeri statistici, non disturbano col loro volto umano e personale. L’intensità della sua marcia, senza fine e senza fini, domina il mondo proclamando il convincente slogan «Liberi tutti!», motto araldico della presente ecumene capital informatica.

Qualcosa di epocale

Diffondendo l’espressione Fratelli tutti, il papa compie qualcosa di molto più grande che immettere nel chiacchiericcio globale qualche goccia di francescanesimo edificante; rivendica la completezza dei sogni moderni compromessi da pericolose omissioni, come un composto chimico che, senza uno solo dei suoi elementi, diventa un veleno mortale. È qualcosa di francamente epocale. I primi a capirlo saranno ancora una volta i difensori di un paradigma tecnomercantile che, per quanti inconvenienti stia incontrando, non mostra affatto segni di indebolimento: non mancheranno di screditare un pontificato che non detesteranno mai abbastanza; gli ultimi a capirlo saranno ancora una volta quei mandarini ecclesiastici che troveranno questo documento non sufficientemente religioso perché eccessivamente sociale: non mancheranno di contare i giorni in vista di un cambio di pagina.

In questa enciclica, che tra vari (per qualcuno irritanti) primati ha anche quello di contenere (credo per la prima volta) la citazione di una canzone (Samba da Benção, di Vinicius de Moraes), scommette sulla resa di un capitale spirituale che da troppo tempo il cristianesimo tiene sotto la mattonella dell’immobilità. Far valere qualcosa che è di tutti non significa scordare quello è proprio. Significa alimentare l’aria in cui esso può respirare.

Giovanni XXIII insisteva nel perseguire quello che unisce anziché quello che divide. Francesco mobilita ogni energia possibile per dare a questo principio forma sociale. Sa di poter parlare a molta «gente di fede» che non necessariamente si trova oggi tra la «gente di Chiesa». Nella speranza di riportare molta «gente di Chiesa» a essere anche e ancora «gente di fede».

di: Giuliano Zanchi

Una nuova guida per comunità e parrocchie sull’ecologia integrale

L’ecologia integrale è un faro che illumina la via di sempre più comunità, diocesi e parrocchie, che stanno attuando una conversione ecologica e sociale. Ma per questa trasformazione collettiva non c’è molto tempo, come ricorda Papa Francesco: curare e custodire il creato, le sorelle e i fratelli, a partire da quelli più svantaggiati, è ormai un imperativo morale. Per aiutare in questo percorso, la seconda edizione della Guida per comunità e parrocchie sull’ecologia integrale, a cura di FOCSIV in collaborazione con l’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI, propone pratiche di conversione ecologica, sociale e ambientale tramite la presentazione di venti esempi concreti dal Nord al Sud dell’Italia, in collegamento con gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.

Il documento è rivolto non solo ai responsabili diocesani, parrocchiali e di comunità, ma a tutte le persone di buona volontà che intendono agire per rendere concreto il proprio impegno di conversione sociale e ambientale. Prendendo spunto dalle pratiche presentate, che possono essere replicate, la Chiesa può dimostrarsi in uscita e profetica soprattutto in quei territori che vivono importanti problemi ambientali e sociali. Nell’introduzione di don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio della CEI, si legge:

«La Guida è insieme una raccolta e un invito. Raccoglie le buone pratiche già esistenti e le ripropone con libertà. Ciascuno così può fare discernimento e progettare il suo impegno. Invita a generare altre buone pratiche, che possono arricchire il patrimonio già consistente e rafforzare il processo avviato da papa Francesco con Laudato si’. L’impegno riguarda le diverse realtà ecclesiali: le diocesi, le parrocchie, gli istituti religiosi, i monasteri, le associazioni, i movimenti, i gruppi, le famiglie… fino ai singoli cristiani. Ciascuno può, per il semplice fatto che abita questo bellissimo e fragile pianeta. Ma soprattutto, perché custodisce una riserva etica che nasce dal progetto di Dio sulla creazione. La cura della casa comune è parte integrante del servizio credente al bene comune. Non si aggiunge come un di più o come un occhiolino schiacciato alle mode del momento. È un colossale “sì” al dono del Creatore.»

Scarica qui la Guida per comunità e parrocchie sull’ecologia integrale

da Rete Sicomoro del 12/10/2020

“Fratelli tutti”, ecco l’enciclica sociale di Papa Francesco

Fraternità e amicizia sociale sono le vie indicate dal Pontefice per costruire un mondo migliore, più giusto e pacifico, con l’impegno di tutti: popolo e istituzioni. Ribadito con forza il no alla guerra e alla globalizzazione dell’indifferenza

Isabella Piro – Città del Vaticano

Quali sono i grandi ideali ma anche le vie concretamente percorribili per chi vuole costruire un mondo più giusto e fraterno nelle proprie relazioni quotidiane, nel sociale, nella politica, nelle istituzioni? Questa la domanda a cui intende rispondere, principalmente, “Fratelli tutti”: il Papa la definisce una “Enciclica sociale” (6) che mutua il titolo dalle “Ammonizioni” di San Francesco d’Assisi, che usava quelle parole “per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo” (1).

Sulla tomba di san Francesco il Papa firma “Fratelli tutti”

Il Poverello “non faceva la guerra dialettica imponendo dottrine, ma comunicava l’amore di Dio”, scrive il Papa, ed “è stato un padre fecondo che ha suscitato il sogno di una società fraterna” (2-4). L’Enciclica mira a promuovere un’aspirazione mondiale alla fraternità e all’amicizia sociale. A partire dalla comune appartenenza alla famiglia umana, dal riconoscerci fratelli perché figli di un unico Creatore, tutti sulla stessa barca e dunque bisognosi di prendere coscienza che in un mondo globalizzato e interconnesso ci si può salvare solo insieme. Motivo ispiratore più volte citato è il Documento sulla fratellanza umana firmato da Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar nel febbraio 2019.

La fraternità è da promuovere non solo a parole, ma nei fatti. Fatti che si concretizzano nella “politica migliore”, quella non sottomessa agli interessi della finanza, ma al servizio del bene comune, in grado di porre al centro la dignità di ogni essere umano e di assicurare il lavoro a tutti, affinché ciascuno possa sviluppare le proprie capacità. Una politica che, lontana dai populismi, sappia trovare soluzioni a ciò che attenta contro i diritti umani fondamentali e che punti ad eliminare definitivamente la fame e la tratta. Al contempo, Papa Francesco sottolinea che un mondo più giusto si raggiunge promuovendo la pace, che non è soltanto assenza di guerra, ma una vera e propria opera “artigianale” che coinvolge tutti.

Guardare gli altri come fratelli e sorelle per salvare noi e il mondo

Legate alla verità, la pace e la riconciliazione devono essere “proattive”, puntare alla giustizia attraverso il dialogo, in nome dello sviluppo reciproco. Di qui deriva la condanna che il Pontefice fa della guerra, “negazione di tutti i diritti” e non più pensabile neanche in una ipotetica forma “giusta”, perché ormai le armi nucleari, chimiche e biologiche hanno ricadute enormi sui civili innocenti. Forte anche il rifiuto della pena di morte, definita “inammissibile”, e centrale il richiamo al perdono, connesso al concetto di memoria e di giustizia: perdonare non significa dimenticare, scrive il Pontefice, né rinunciare a difendere i propri diritti per custodire la propria dignità, dono di Dio. Sullo sfondo dell’Enciclica c’è la pandemia da Covid-19 che – rivela Francesco – “ha fatto irruzione in maniera inattesa proprio mentre stavo scrivendo questa lettera”. Ma l’emergenza sanitaria globale è servita a dimostrare che “nessuno si salva da solo” e che è giunta davvero l’ora di “sognare come un’unica umanità” in cui siamo “tutti fratelli” (7-8).

Problemi globali esigono azioni globali, no alla “cultura dei muri”

Aperta da una breve introduzione e articolata in otto capitoli, l’Enciclica raccoglie – come spiega il Papa stesso – molte delle sue riflessioni sulla fraternità e l’amicizia sociale, collocate però “in un contesto più ampio” e integrate da “numerosi documenti e lettere” inviate a Francesco da “tante persone e gruppi di tutto il mondo” (5). Nel primo capitolo, “Le ombre di un mondo chiuso”, il documento si sofferma sulle tante storture dell’epoca contemporanea: la manipolazione e la deformazione di concetti come democrazia, libertà, giustizia; la perdita del senso del sociale e della storia; l’egoismo e il disinteresse per il bene comune; la prevalenza di una logica di mercato fondata sul profitto e la cultura dello scarto; la disoccupazione, il razzismo, la povertà; la disparità dei diritti e le sue aberrazioni come la schiavitù, la tratta, le donne assoggettate e poi forzate ad abortire, il traffico di organi (10-24). Si tratta di problemi globali che esigono azioni globali, sottolinea il Papa, lanciando l’allarme anche contro una “cultura dei muri” che favorisce il proliferare delle mafie, alimentate da paura e solitudine (27-28). Inoltre, oggi si riscontra un deterioramento dell’etica (29) cui contribuiscono, in un certo qual modo, i mass-media che sgretolano il rispetto dell’altro ed eliminano ogni pudore, creando circoli virtuali isolati e autoreferenziali, nei quali la libertà è un’illusione e il dialogo non è costruttivo (42-50).

L’amore costruisce ponti: l’esempio del Buon Samaritano

A tante ombre, tuttavia, l’Enciclica risponde con un esempio luminoso, foriero di speranza: quello del Buon Samaritano. A questa figura è dedicato il secondo capitolo, “Un estraneo sulla strada”, in cui il Papa sottolinea che, in una società malata che volta le spalle al dolore e che è “analfabeta” nella cura dei deboli e dei fragili (64-65), tutti siamo chiamati – proprio come il buon samaritano – a farci prossimi all’altro (81), superando pregiudizi, interessi personali, barriere storiche o culturali. Tutti, infatti, siamo corresponsabili nella costruzione di una società che sappia includere, integrare e sollevare chi è caduto o è sofferente (77). L’amore costruisce ponti e noi “siamo fatti per l’amore” (88), aggiunge il Papa, esortando in particolare i cristiani a riconoscere Cristo nel volto di ogni escluso (85). Il principio della capacità di amare secondo “una dimensione universale” (83) è ripreso anche nel terzo capitolo, “Pensare e generare un mondo aperto”: in esso, Francesco ci esorta ad “uscire da noi stessi” per trovare negli altri “un accrescimento di essere” (88), aprendoci al prossimo secondo il dinamismo della carità che ci fa tendere verso la “comunione universale” (95). In fondo – ricorda l’Enciclica – la statura spirituale della vita umana è definita dall’amore che “è sempre al primo posto” e ci porta a cercare il meglio per la vita dell’altro, lontano da ogni egoismo (92-93).

I diritti non hanno frontiere, serve etica delle relazioni internazionali

Una società fraterna, dunque, sarà quella che promuove l’educazione al dialogo per sconfiggere “il virus dell’individualismo radicale” (105) e per permettere a tutti di dare il meglio di sé. A partire dalla tutela della famiglia e dal rispetto per la sua “missione educativa primaria e imprescindibile” (114). Due, in particolare, gli ‘strumenti’ per realizzare questo tipo di società: la benevolenza, ossia il volere concretamente il bene dell’altro (112), e la solidarietà che ha cura delle fragilità e si esprime nel servizio alle persone e non alle ideologie, lottando contro povertà e disuguaglianze (115). Il diritto a vivere con dignità non può essere negato a nessuno, afferma ancora il Papa, e poiché i diritti sono senza frontiere, nessuno può rimanere escluso, a prescindere da dove sia nato (121). In quest’ottica, il Pontefice richiama anche a pensare ad “un’etica delle relazioni internazionali” (126), perché ogni Paese è anche dello straniero ed i beni del territorio non si possono negare a chi ha bisogno e proviene da un altro luogo. Il diritto naturale alla proprietà privata sarà, quindi, secondario al principio della destinazione universale dei beni creati (120). Una sottolineatura specifica l’Enciclica la fa anche per la questione del debito estero: fermo restando il principio che esso va saldato, si auspica tuttavia che ciò non comprometta la crescita e la sussistenza dei Paesi più poveri (126).

Migranti: governance globale per progetti a lungo termine

Al tema delle migrazioni è, invece, dedicato in parte il secondo e l’intero quarto capitolo, “Un cuore aperto al mondo intero”: con le loro “vite lacerate” (37), in fuga da guerre, persecuzioni, catastrofi naturali, trafficanti senza scrupoli, strappati alle loro comunità di origine, i migranti vanno accolti, protetti, promossi ed integrati. Bisogna evitare le migrazioni non necessarie, afferma il Pontefice, creando nei Paesi di origine possibilità concrete di vivere con dignità. Ma al tempo stesso, bisogna rispettare il diritto a cercare altrove una vita migliore. Nei Paesi destinatari, il giusto equilibrio sarà quello tra la tutela dei diritti dei cittadini e la garanzia di accoglienza e assistenza per i migranti (38-40). Nello specifico, il Papa indica alcune “risposte indispensabili” soprattutto per chi fugge da “gravi crisi umanitarie”: incrementare e semplificare la concessione di visti; aprire corridoi umanitari; assicurare alloggi, sicurezza e servizi essenziali; offrire possibilità di lavoro e formazione; favorire i ricongiungimenti familiari; tutelare i minori; garantire la libertà religiosa e promuovere l’inserimento sociale. Dal Papa anche l’invito a stabilire, nella società, il concetto di “piena cittadinanza”, rinunciando all’uso discriminatorio del termine “minoranze” (129-131). Ciò che occorre soprattutto – si legge nel documento – è una governance globale, una collaborazione internazionale per le migrazioni che avvii progetti a lungo termine, andando oltre le singole emergenze (132), in nome di uno sviluppo solidale di tutti i popoli che sia basato sul principio della gratuità. In tal modo, i Paesi potranno pensare come “una famiglia umana” (139-141). L’altro diverso da noi è un dono ed un arricchimento per tutti, scrive Francesco, perché le differenze rappresentano una possibilità di crescita (133-135). Una cultura sana è una cultura accogliente che sa aprirsi all’altro, senza rinunciare a se stessa, offrendogli qualcosa di autentico. Come in un poliedro – immagine cara al Pontefice – il tutto è più delle singole parti, ma ognuna di esse è rispettata nel suo valore (145-146).

La politica, una delle forme più preziose della carità

Il tema del quinto capitolo è “La migliore politica”, ossia quella che rappresenta una delle forme più preziose della carità perché si pone al servizio del bene comune (180) e conosce l’importanza del popolo, inteso come categoria aperta, disponibile al confronto e al dialogo (160). Questo è, in un certo senso, il popolarismo indicato da Francesco, cui si contrappone quel “populismo” che ignora la legittimità della nozione di ‘popolo’, attraendo consensi per strumentalizzarlo al proprio servizio e fomentando egoismi per accrescere la propria popolarità (159). Ma la migliore politica è anche quella che tutela il lavoro, “dimensione irrinunciabile della vita sociale” e cerca di assicurare a tutti la possibilità di sviluppare le proprie capacità (162). L’aiuto migliore per un povero, spiega il Pontefice, non è solo il denaro, che è un rimedio provvisorio, bensì il consentirgli una vita degna mediante l’attività lavorativa. La vera strategia anti-povertà non mira semplicemente a contenere o a rendere inoffensivi gli indigenti, bensì a promuoverli nell’ottica della solidarietà e della sussidiarietà (187). Compito della politica, inoltre, è trovare una soluzione a tutto ciò che attenta contro i diritti umani fondamentali, come l’esclusione sociale; il traffico di organi, tessuti, armi e droga; lo sfruttamento sessuale; il lavoro schiavo; il terrorismo ed il crimine organizzato. Forte l’appello del Papa ad eliminare definitivamente la tratta, “vergogna per l’umanità”, e la fame, in quanto essa è “criminale” perché l’alimentazione è “un diritto inalienabile” (188-189).

Il mercato da solo non risolve tutto. Occorre riforma dell’ONU

La politica di cui c’è bisogno, sottolinea ancora Francesco, è quella che dice no alla corruzione, all’inefficienza, al cattivo uso del potere, alla mancanza di rispetto delle leggi (177). È una politica incentrata sulla dignità umana e non sottomessa alla finanza perché “il mercato da solo non risolve tutto”: le “stragi” provocate dalle speculazioni finanziarie lo hanno dimostrato (168). Assumono, quindi, particolare rilevanza i movimenti popolari: veri “poeti sociali” e “torrenti di energia morale”, essi devono essere coinvolti nella partecipazione sociale, politica ed economica, previo però un maggior coordinamento. In tal modo – afferma il Papa – si potrà passare da una politica “verso” i poveri ad una politica “con” e “dei” poveri (169). Un altro auspicio presente nell’Enciclica riguarda la riforma dell’Onu: di fronte al predominio della dimensione economica che annulla il potere del singolo Stato, infatti, il compito delle Nazioni Unite sarà quello di dare concretezza al concetto di “famiglia di nazioni” lavorando per il bene comune, lo sradicamento dell’indigenza e la tutela dei diritti umani. Ricorrendo instancabilmente “al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato” – afferma il documento pontificio – l’Onu deve promuovere la forza del diritto sul diritto della forza, favorendo accordi multilaterali che tutelino al meglio anche gli Stati più deboli (173-175).

Il miracolo della gentilezza

Dal sesto capitolo, “Dialogo e amicizia sociale”, emerge inoltre il concetto di vita come “arte dell’incontro” con tutti, anche con le periferie del mondo e con i popoli originari, perché “da tutti si può imparare qualcosa e nessuno è inutile” (215). Il vero dialogo, infatti, è quello che permette di rispettare il punto di vista dell’altro, i suoi interessi legittimi e, soprattutto, la verità della dignità umana. Il relativismo non è una soluzione– si legge nell’Enciclica – perché senza principi universali e norme morali che proibiscono il male intrinseco, le leggi diventano solo imposizioni arbitrarie (206). In quest’ottica, un ruolo particolare spetta ai media che, senza sfruttare le debolezze umane o tirare fuori il peggio di noi, devono orientarsi all’incontro generoso e alla vicinanza agli ultimi, promuovendo la prossimità ed il senso di famiglia umana (205). Particolare, poi, il richiamo del Papa al “miracolo della gentilezza”, un’attitudine da recuperare perché è “una stella nell’oscurità” e una “liberazione dalla crudeltà, dall’ansietà e dall’urgenza distratta” che prevalgono in epoca contemporanea. Una persona gentile, scrive Francesco, crea una sana convivenza ed apre le strade là dove l’esasperazione distrugge i ponti (222-224).

L’artigianato della pace e l’importanza del perdono

Riflette sul valore e la promozione della pace, invece, il settimo capitolo, “Percorsi di un nuovo incontro”, in cui il Papa sottolinea che la pace è legata alla verità, alla giustizia ed alla misericordia. Lontana dal desiderio di vendetta, essa è “proattiva” e mira a formare una società basata sul servizio agli altri e sul perseguimento della riconciliazione e dello sviluppo reciproco (227-229). In una società, ognuno deve sentirsi “a casa” – scrive il Papa – Per questo, la pace è un “artigianato” che coinvolge e riguarda tutti e in cui ciascuno deve fare la sua parte. Il compito della pace non dà tregua e non ha mai fine, continua il Pontefice, ed occorre quindi porre al centro di ogni azione la persona umana, la sua dignità ed il bene comune (230-232). Legato alla pace c’è il perdono: bisogna amare tutti, senza eccezioni – si legge nell’Enciclica – ma amare un oppressore significa aiutarlo a cambiare e non permettergli di continuare ad opprimere il prossimo. Anzi: chi patisce un’ingiustizia deve difendere con forza i propri diritti per custodire la propria dignità, dono di Dio (241-242). Perdono non vuol dire impunità, bensì giustizia e memoria, perché perdonare non significa dimenticare, ma rinunciare alla forza distruttiva del male ed al desiderio di vendetta. Mai dimenticare “orrori” come la Shoah, i bombardamenti atomici a Hiroshima e Nagasaki, le persecuzioni ed i massacri etnici – esorta il Papa – Essi vanno ricordati sempre, nuovamente, per non anestetizzarci e mantenere viva la fiamma della coscienza collettiva. Altrettanto importante è fare memoria del bene, di chi ha scelto il perdono e la fraternità (246-252).

Mai più la guerra, fallimento dell’umanità!

Una parte del settimo capitolo si sofferma, poi, sulla guerra: essa non è “un fantasma del passato” – sottolinea Francesco – bensì “una minaccia costante” e rappresenta la “negazione di tutti i diritti”, “il fallimento della politica e dell’umanità”, “la resa vergognosa alle forze del male” ed al loro “abisso”. Inoltre, a causa delle armi nucleari, chimiche e biologiche che colpiscono molti civili innocenti, oggi non si può più pensare, come in passato, ad una possibile “guerra giusta”, ma bisogna riaffermare con forza “Mai più la guerra!” E considerando che viviamo “una terza guerra mondiale a pezzi”, perché tutti i conflitti sono connessi tra loro, l’eliminazione totale delle armi nucleari è “un imperativo morale ed umanitario”. Piuttosto – suggerisce il Papa – con il denaro che si investe negli armamenti, si costituisca un Fondo mondiale per eliminare la fame (255-262).

Pena di morte è inammissibile, abolirla in tutto il mondo

Una posizione altrettanto netta Francesco la esprime a proposito della pena di morte: è inammissibile e deve essere abolita in tutto il mondo. “L’omicida non perde la sua dignità personale – scrive il Papa – Dio ne è garante”. Di qui, due esortazioni: non vedere la pena come una vendetta, bensì come parte di un processo di guarigione e di reinserimento sociale, e migliorare le condizioni delle carceri, nel rispetto della dignità umana dei detenuti, pensando anche che l’ergastolo “è una pena di morte nascosta” (263-269). Viene ribadita la necessità di rispettare “la sacralità della vita” (283) laddove oggi “certe parti dell’umanità sembrano sacrificabili”, come i nascituri, i poveri, i disabili, gli anziani (18).

Garantire libertà religiosa, diritto umano fondamentale

Nell’ottavo e ultimo capitolo, il Pontefice si sofferma su “Le religioni al servizio della fraternità nel mondo” e ribadisce che la violenza non trova base alcuna nelle convinzioni religiose, bensì nelle loro deformazioni. Atti “esecrabili” come quelli terroristici, dunque, non sono dovuti alla religione, ma ad interpretazioni errate dei testi religiosi, nonché a politiche di fame, povertà, ingiustizia, oppressione. Il terrorismo non va sostenuto né con il denaro, né con le armi, né tanto meno con la copertura mediatica perché è un crimine internazionale contro la sicurezza e la pace mondiale e come tale va condannato (282-283). Al contempo, il Papa sottolinea che un cammino di pace tra le religioni è possibile e che è, dunque, necessario garantire la libertà religiosa, diritto umano fondamentale per tutti i credenti (279). Una riflessione, in particolare, l’Enciclica la fa sul ruolo della Chiesa: essa non relega la propria missione nel privato – afferma – non sta ai margini della società e, pur non facendo politica, tuttavia non rinuncia alla dimensione politica dell’esistenza. L’attenzione al bene comune e la preoccupazione allo sviluppo umano integrale, infatti, riguardano l’umanità e tutto ciò che è umano riguarda la Chiesa, secondo i principî evangelici (276-278). Infine, richiamando i leader religiosi al loro ruolo di “mediatori autentici” che si spendono per costruire la pace, Francesco cita il “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza”, da lui stesso firmato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi, insieme al Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib: da tale pietra miliare del dialogo interreligioso, il Pontefice riprende l’appello affinché, in nome della fratellanza umana, si adotti il dialogo come via, la collaborazione comune come condotta e la conoscenza reciproca come metodo e criterio (285).

Il Beato Charles de Foucauld, “il fratello universale”

L’Enciclica si conclude con il ricordo di Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e soprattutto il Beato Charles de Foucauld, un modello per tutti di cosa significhi identificarsi con gli ultimi per divenire “il fratello universale” (286-287). Le ultime righe del documento sono affidate a due preghiere: una “al Creatore” e l’altra “cristiana ecumenica”, affinché nel cuore degli uomini alberghi “uno spirito di fratelli”.

 

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2020-10/enciclica-fratelli-tutti-papa-francesco-sintesi-fraternita.html

 

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Fratelli tutti Lettera Enciclica Francesco

Conferenza sulla Lettera Enciclica Fratelli tutti