Francesco alle università pontificie: lavorate insieme con slancio e lungimiranza

Il Papa riceve rettori, docenti, studenti e personale delle istituzioni accademiche vaticane e chiede di aprirsi a sviluppi coraggiosi e inediti per favorire la missione universale della Chiesa: l’università non è la scuola dell’uniformità, ma l’accordo tra voci

Paolo Ondarza – Vatican News

Quella delle istituzioni accademiche pontificie romane è “un eredità ricchissima, che può promuovere vita nuova, ma che può anche inibirla se diventa troppo autoreferenziale” o “un pezzo di museo”. Ricevendo in Aula Paolo VI circa 3.000 persone, tra rettori, docenti, studenti e personale delle Università e Istituzioni pontificie romane, Francesco esorta a “fare coro” per affrontare le sfide inedite del presente (Ascolta il Podcast con la voce del Papa):

Specie dopo la pandemia del Covid 19, urge avviare un processo che porti a una sinergia effettiva, stabile e organica tra le istituzioni accademiche, per meglio onorare gli scopi specifici di ciascuna e per favorire la missione universale della Chiesa. E non andare litigando fra noi per prendere un alunno, un’ora in più. .Vi invito, pertanto, a non accontentarvi di soluzioni dal fiato corto, e a non pensare a questo processo di crescita semplicemente come a un’azione “di difesa”, volta a fronteggiare il calo delle risorse economiche e umane. Va visto, piuttosto, come uno slancio verso il futuro, come un invito ad accogliere le sfide di un’epoca nuova della storia.

No a soluzioni dal fiato corto

“Fare coro” tra le diverse componenti delle comunità e fra le varie istituzioni accademiche sorte a Roma nei secoli grazie alla “generosità e lungimiranza di molti ordini religiosi”, dice il Papa, si impone come necessario. “A fronte del minor numero di allievi e di insegnanti, questa molteplicità di poli di studio rischia di disperdere energie preziose. Così, anziché favorire la trasmissione della gioia evangelica dello studio, dell’insegnamento e della ricerca, minaccia a volte di rallentarla e affaticarla. Dobbiamo prenderne atto”.

La realtà è più importante dell’idea

L’eredità secolare di facoltà e università pontificie va sviluppata, avviando “al più presto un fiducioso processo” in una “direzione corale”, “con intelligenza, prudenza e audacia, tenendo sempre presente che – precisa il Vescovo di Roma – la realtà è più importante dell’idea”.

Se volete che abbia un futuro fecondo, la sua custodia non può limitarsi al mantenimento di quanto ricevuto: deve invece aprirsi a sviluppi coraggiosi e, se necessario, anche inediti.

A questo proposito il Papa indica nel Dicastero per la Cultura e l’Educazione il referente per accompagnare le istituzioni accademiche in questo cammino.

Cristo dirige il coro

“Corale” è la realtà della speranza, constata il Pontefice che, contemplando il Cristo Risorto, opera di Pericle Fazzini, dominante il palco dell’Aula Paolo VI, riflette su come le mani di questa scultura assomiglino a quelle di un maestro di coro: la destra aperta sembra dirigere l’insieme dei coristi; la sinistra con l’indice puntato invece suggerisce l’idea che stia convocando un solista, dicendo: “Tocca a te”.

Le mani del Cristo coinvolgono al tempo stesso il coro e il solista, perché nel concerto il ruolo dell’uno si accordi con quello dell’altro, in una costruttiva complementarità. Per favore: mai solisti senza coro. “Tocca a tutti voi!” e al tempo stesso: “Tocca a te!”. Questo dicono le mani del Risorto. Mentre ne contempliamo i gesti, rinnoviamo allora il nostro impegno a “fare coro”, nella sintonia e nell’accordo delle voci, docili all’azione viva dello Spirito.

Scuola di accordo e consonanza di voci

L’università d’altronde è la scuola dell’accordo e della consonanza tra voci e strumenti differenti: “il luogo”, dice Francesco citando san John Henry Newman, “dove diversi saperi e prospettive si esprimono in sintonia, si completano, si correggono e si bilanciano l’un l’altro”. Un’armonia che va coltivata innanzitutto a partire da sé stessi, accordando le tre intelligenze che vibrano nell’anima: mente, cuore e mani. Queste ultime, paragonate da Aristotele e Kant rispettivamente all’anima e al cervello esterno dell’uomo, esorta il Pontefice, siano “eucaristiche come quelle di Cristo”: capaci di rendere grazie, di misericordia, di generosità e di “stringere altre mani”.

La prima volta che sono uscito in Piazza, da Papa, mi sono avvicinato ad un gruppo di ragazzi ciechi. E uno mi disse: “Posso vederla? Posso guardarla?” Io non capii. “Sì”, gli ho detto. E con le mani cercava…e mi… “Ah grazie”: mi ha visto con le mani. Questo mi ha toccato tanto.

L’intelligenza di mani sensibili

Se “il verbo prendere indica un’azione tipicamente manuale”, prosegue il Vescovo di Roma, esso “è anche radice di parole come comprendere, apprendere e sorprendere: mentre le mani prendono, la mente comprende, apprende e non si lascia sorprendere”:

Perché questo avvenga, ci vogliono mani sensibili. La mente non potrà comprendere nulla se le mani sono chiuse dall’avarizia, o se sono “mani bucate”, che sprecano tempo, salute e talenti, o ancora se si rifiutano di dare la pace, di salutare e di stringere altre mani. Non potrà apprendere nulla se le mani hanno dita puntate senza misericordia contro i fratelli e le sorelle che sbagliano. E non potrà sorprendersi di nulla, se le stesse mani non sanno congiungersi e levarsi al Cielo in preghiera.

Essere missionarie oggi

di LUCIA CAPUZZI giornalista di «Avvenire»

Donne che vanno oltre. Così, parafrasando Madeleine Delbrêl, possiamo definire le missionarie. Quelle che partono verso orizzonti lontani e luoghi remoti in cui vivono e, spesso, muoiono da martiri, nel senso di testimoni. E quelle che, «senza battello», oltrepassano frontiere culturali, sociali e spirituali per raggiungere l’altro. Come ci ricorda papa Francesco nel messaggio per la scorsa Giornata missionaria mondiale: «La Chiesa di Cristo era, è e sarà sempre “in uscita” verso i nuovi orizzonti geografici, sociali, esistenziali, verso i luoghi e le situazioni umane “di confine”, per rendere testimonianza di Cristo e del suo amore a tutti gli uomini e le donne di ogni popolo, cultura, stato sociale. In questo senso, la missione sarà sempre anche missio ad gentes, come ci ha insegnato il Concilio Vaticano II, perché la Chiesa dovrà sempre spingersi oltre, oltre i propri confini, per testimoniare a tutti l’amore di Cristo».

Non è possibile tracciare un identikit rigido delle missionarie poiché la parola “missione” ingloba un contenuto plurale, multidimensionale, policromo. Fino alla seconda metà del Novecento, il termine veniva impiegato, in base all’accezione conferitale dai gesuiti nel XVI secolo, per indicare delle attività speciali della Chiesa. Nel boom missionario dell’Ottocento, si riferisce alla figura un po’ romantica del presbitero inviato ufficialmente dalla gerarchia ecclesiastica in un Paese non cristiano con il mandato di convertire la popolazione e edificare una comunità ecclesiale.
Una formula che, paradossalmente, esclude le donne. Eppure, proprio questo periodo, vede il fiorire di straordinarie figure: le grandi suore missionarie, da Francesca Saverio Cabrini, apostola dei migranti, a Laura Montoya, pioniera della difesa degli indigeni amazzonici. Donne che sono andate oltre in molti sensi, inclusi i pregiudizi nei propri confronti.
È il primo gennaio 1872 quando tre ragazze, Maria Caspio, Luigia Zago e Isabella Zadrich, danno vita al nucleo originario di quello che poi sarà il primo Istituto femminile esclusivamente missionario nato in Italia: le Pie madri della Nigrizia, ora comboniane. Il fondatore, Daniele Comboni, è consapevole dell’audacia della scelta e delle perplessità che rischiava di suscitare. A farlo perseverare è la convinzione profonda della necessità delle donne, testimoni della compassione di Dio per i poveri. Per questo, paragona le “sue” suore a «un sacerdote e più di un prete». Esse sono – scrive – «una vera immagine delle antiche donne del Vangelo, che, con la stessa facilità con la quale insegnano l’abc agli orfani abbandonati in Europa, affrontano mesi di lunghi viaggi a 60 gradi, attraversano deserti su cammelli, e cavalcano cavalli, dormono all’aperto, sotto un albero o in un angolo di una barca araba, aiutano i malati e chiedono giustizia dai Pascià per gl’infelici e gli oppressi. Loro non temono il ruggito del leone, affrontano tutti i lavori, viaggi disastrosi e la morte, per conquistare le anime per la Chiesa». Altri istituti verranno costituiti negli anni immediatamente successivi: le suore saveriane, le suore della Consolata, le missionarie dell’Immacolata.

A mandare in crisi il concetto “classico” di missione e di missionario o missionaria è la sua associazione all’espansione coloniale dell’Occidente. Una certa narrativa cerca di integrare la trasmissione della fede nell’opera “civilizzatrice dell’uomo bianco” nei confronti di popoli “primitivi o selvaggi”. È il concilio Vaticano II a fare piazza pulita di ogni ambiguità e a dare uno spessore inedito all’impulso missionario. La missione non è uno dei tanti uffici ecclesiali bensì dimensione costitutiva della Chiesa che partecipa alla missio Dei. In tale ottica, si configura come un dinamismo il cui fine è raggiungere il mondo intero per trasformarlo in Popolo di Dio. Quest’ultimo è missionario poiché Dio lo è.

Nell’ecclesiologia odierna, la Chiesa è considerata essenzialmente missionaria: esiste mentre è inviata e mentre si costituisce
in vista della sua missione. Una svolta ben descritta nell’articolo della storica Raffaella Perin [a pag. 12]. Evangelii gaudium, ispirato dal documento di Aparecida e dagli stimoli del Sinodo sulla Nuova evangelizzazione, riprende con forza questa prospettiva.

Nella “Chiesa in uscita” di cui parla papa Francesco, stile, attività, orari, linguaggio e struttura sono trasformati dalla scelta
missionaria, che ne costituisce il perno. La riforma della Curia romana, contenuta nella Costituzione apostolica Praedicate evangelium, ne è l’incarnazione concreta, come illustrato dalla canonista Donata Horak [a pag. 18].
Essere missionari è, dunque, un modo di essere comunità ecclesiale. Non è sociologia. La missione non è una Ong, come ripete il Pontefice. Non è, cioè, un’attività istituzionalizzata, una funzione da svolgere, un impegno da portare a termine, seppure a fini benefici e caritativi. È la natura della Chiesa. Il motore del suo agire. Riguarda il cuore del Vangelo: inquietudine per chi è escluso e passione per il Regno. Come afferma Agostino Rigon, direttore generale del Festival della missione: «Se Dio si preoccupa del mondo interno, anche il campo della missio Dei è il mondo intero: ogni essere umano e tutti gli aspetti della sua esistenza».
È la fraternità a spingere l’uomo o la donna a farsi prossimo dei caduti agli angoli delle vie, ovunque essi si trovino: indigeni espulsi dalle loro terre, vittime di tratta, bimbi schiavi, rom intrappolati nelle periferie delle città, migranti condannati a un invisibile pellegrinare. Ad aiutarli a rialzarsi e ad accettare di essere rialzato da loro.

Perché gli scartati sono maestri, di vita e di fede, come mette in luce un inedito progetto del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale che ha realizzato una sorta di “cattedra dei poveri di teologia”. Un gruppo di esperti ha rivolto le grandi domande della teologia a un gruppo di marginali fra i marginali. Le risposte, un distillato di Vangelo.
Da ciò, però, sorge un interrogativo cruciale. Se tutti i battezzati e le battezzate sono necessariamente missionari, ha ancora senso la scelta di quanti – laici e religiosi – lasciano il proprio Paese e si recano in luoghi lontani per annunciare il Vangelo con la vita e con le opere? «Ovviamente sono convinta di sì», afferma Marta Pettenazzo, religiosa delle missionarie di Nostra Signora degli Apostoli e prima donna a guidare tra il 2014 e il 2019 la Conferenza degli istituti missionari italiani (CIMI). «L’impegno missionario riguarda ciascuno e ciascuna. Alcuni e alcune, tuttavia, hanno la chiamata dedicare tutta la loro esistenza e talenti alla testimonianza del Vangelo, dentro e fuori dal proprio Paese». Una missione, dunque, intesa a trecentosessanta gradi e rivolta alla fragilità umana ovunque essa si trovi.

Se l’orizzonte geografico non è più dominante, esso, tuttavia, non è scomparso. «La cosiddetta missio ad extra, cioè vissuta in altre nazioni rispetto alla propria, è una delle dimensioni della missione e continua ad essere la priorità per alcuni Istituti o congregazioni. Al cuore di
questa scelta non si colloca tanto lo spostamento fisico quanto l’attitudine esistenziale che implica la disponibilità a partire. Significa lasciare il tuo noto per andare verso qualcos’altro. E quando lo fai, ti metti necessariamente nell’attitudine dell’imparare. La missione mi ha insegnato che doni solo nel modo in cui in cui impari», sottolinea suor Marta. Di nuovo, spunta la dimensione “dell’andare oltre” in cui il
contributo delle donne diventa fondamentale. Lo è sempre stato: la prima missionaria della storia della cristianità è Maddalena, come ci racconta la biblista Marinella Perroni [a pag. 16]. La missione contemporanea, al cui cuore si collocano il prendersi cura e l’accompagnare, ha però un volto molto femminile, come dimostra il caleidoscopio di storie raccolte in questo numero. Da quella di Lisa Clark, missionaria della nonviolenza nella società civile e all’interno delle istituzioni, alla vicenda di suor Zvonka Mikec, dell’Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, una vita missionaria in Africa, incontrata a Roma dalla scrittrice Tea Ranno, ex allieva delle salesiane. Il recupero del femminile, associato a lungo a irrazionalità e incapacità di gestione, come sostiene il teologo protestante David Bosch, è fondamentale per liberare il concetto di missione da ogni pretesa di dominio, da ogni ansia performativa, da ogni paradigma efficientista.

Solo il missionario che al vigore abbina la tenerezza sa creare spazi di autentica gratuità. Certo, tale atteggiamento mentale e spirituale richiede un percorso di formazione integrale che resta una delle sfide aperte. Istituti e congregazioni, per le religiose e o le laiche che vi appartengono, sempre più abbinano alla teologia di base studi avanzati di missionologia, oltre a un curriculum specifico per la mansione che andranno a svolgere nelle diverse opere, dalla sanità all’istruzione. «Certo, andrebbe potenziata maggiormente la parte sull’interculturalità», dice suor Marta. Per quante, invece, scelgono di partire con associazioni o attraverso la diocesi, oltre alla formazione interna, esistono dei corsi specifici, tra cui quello del Centro unitario per la formazione missionaria (CUM) di Verona.
La nota dolente, specie in tempi di recessione mondiale, resta il sostentamento. Solidarietà e opere sono le prime fonti anche se perennemente insufficienti. Spesso il contributo dei benefattori copre la realizzazione di progetti specifici. Più difficile, però, trovare fondi per il mantenimento, indispensabile affinché le missionarie possano dedicarsi a tempo pieno agli ultimi. Religiose e laiche spesso optano
per l’inserimento nelle diocesi dei Paesi di accoglienza.

Rimane, tuttavia, da risolvere la questione di rendere il contributo riconosciuto per il loro impegno nella pastorale, pienamente adeguato rispetto al lavoro svolto e idoneo a sostenersi. Una modalità, ancora pionieristica, che si va affermando è quella di comunità missionarie intercongregazionali e, a volte, miste, che consentano di sperimentare appieno relazioni di reciprocità tra i generi.
Insomma, la missione del XXI secolo non può fare a meno delle donne. «La loro creatività è indispensabile per affrontare le situazioni limite nelle quali sei immersa in missione. Per me missionaria è colei che contribuisce a partorire la fede sia in chi non la conosce sia in quanti hanno perso il senso». Una “levatrice del Va n g e l o ” che non ha l’ansia di battezzare o, peggio, di conquistare proseliti bensì cerca di aprire finestre per far entrare il soffio dello Spirito nelle donne e negli uomini di questo tempo.

 

DONNE CHIESA MOND O
MENSILE DELL’OSSERVATORE ROMANO NUMERO 119 FEBBRAIO 2023 CITTÀ DEL VAT I C A N O

Cristianesimo di minoranza

L’articolo che segue è di Faggioli ed è interessante per comprendere la situazione generale della Chiesa cattolica e in particolare per il ruolo che ha assunto «nella storia delle violenze e degli abusi nella Chiesa». Acquisire uno statuto di minoranza (e a maggiore ragione acquisirlo per demerito), specie nei paesi con «radici» cristiane non lascia dormire sonni tranquilli, agita i dibattiti, specie per l’interrogativo su come porsi di fronte al nuovo: ne parla sull’ultimo numero dell’anno Massimo Faggioli, presentando le due diverse e complementari visioni di Chantal Delsol (La fin de la chrétienté, Cerf, Paris 2021) e di Danièle Hervieu-Leger e Charles Schlegel (Vers l’implosion?, Seuil, Paris 2022).

 

Attualità, 22/2022, 15/12/2022, pag. 707

Cristianesimo di minoranza. Secondo due libri francesi

Massimo Faggioli

Nessuno può salvarsi da solo. Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace

Messaggio di sua santità Francesco per la LVI Giornata mondiale della pace

1° gennaio 2023

Nessuno può salvarsi da solo.
Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace

«Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte» (Prima Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi 5,1-2).

1. Con queste parole, l’Apostolo Paolo invitava la comunità di Tessalonica perché, nell’attesa dell’incontro con il Signore, restasse salda, con i piedi e il cuore ben piantati sulla terra, capace di uno sguardo attento sulla realtà e sulle vicende della storia. Perciò, anche se gli eventi della nostra esistenza appaiono così tragici e ci sentiamo spinti nel tunnel oscuro e difficile dell’ingiustizia e della sofferenza, siamo chiamati a tenere il cuore aperto alla speranza, fiduciosi in Dio che si fa presente, ci accompagna con tenerezza, ci sostiene nella fatica e, soprattutto, orienta il nostro cammino. Per questo San Paolo esorta costantemente la Comunità a vigilare, cercando il bene, la giustizia e la verità: «Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri» (5,6). È un invito a restare svegli, a non rinchiuderci nella paura, nel dolore o nella rassegnazione, a non cedere alla distrazione, a non scoraggiarci ma ad essere invece come sentinelle capaci di vegliare e di cogliere le prime luci dell’alba, soprattutto nelle ore più buie.

2. Il Covid-19 ci ha fatto piombare nel cuore della notte, destabilizzando la nostra vita ordinaria, mettendo a soqquadro i nostri piani e le nostre abitudini, ribaltando l’apparente tranquillità anche delle società più privilegiate, generando disorientamento e sofferenza, causando la morte di tanti nostri fratelli e sorelle.

Spinti nel vortice di sfide improvvise e in una situazione che non era del tutto chiara neanche dal punto di vista scientifico, il mondo della sanità si è mobilitato per lenire il dolore di tanti e per cercare di porvi rimedio; così come le Autorità politiche, che hanno dovuto adottare notevoli misure in termini di organizzazione e gestione dell’emergenza.

Assieme alle manifestazioni fisiche, il Covid-19 ha provocato, anche con effetti a lungo termine, un malessere generale che si è concentrato nel cuore di tante persone e famiglie, con risvolti non trascurabili, alimentati dai lunghi periodi di isolamento e da diverse limitazioni di libertà.

Inoltre, non possiamo dimenticare come la pandemia abbia toccato alcuni nervi scoperti dell’assetto sociale ed economico, facendo emergere contraddizioni e disuguaglianze. Ha minacciato la sicurezza lavorativa di tanti e aggravato la solitudine sempre più diffusa nelle nostre società, in particolare quella dei più deboli e dei poveri. Pensiamo, ad esempio, ai milioni di lavoratori informali in molte parti del mondo, rimasti senza impiego e senza alcun supporto durante tutto il periodo di confinamento.

Raramente gli individui e la società progrediscono in situazioni che generano un tale senso di sconfitta e amarezza: esso infatti indebolisce gli sforzi spesi per la pace e provoca conflitti sociali, frustrazioni e violenze di vario genere. In questo senso, la pandemia sembra aver sconvolto anche le zone più pacifiche del nostro mondo, facendo emergere innumerevoli fragilità.

3. Dopo tre anni, è ora di prendere un tempo per interrogarci, imparare, crescere e lasciarci trasformare, come singoli e come comunità; un tempo privilegiato per prepararsi al «giorno del Signore». Ho già avuto modo di ripetere più volte che dai momenti di crisi non si esce mai uguali: se ne esce o migliori o peggiori. Oggi siamo chiamati a chiederci: che cosa abbiamo imparato da questa situazione di pandemia? Quali nuovi cammini dovremo intraprendere per abbandonare le catene delle nostre vecchie abitudini, per essere meglio preparati, per osare la novità? Quali segni di vita e di speranza possiamo cogliere per andare avanti e cercare di rendere migliore il nostro mondo?

Di certo, avendo toccato con mano la fragilità che contraddistingue la realtà umana e la nostra esistenza personale, possiamo dire che la più grande lezione che il Covid-19 ci lascia in eredità è la consapevolezza che abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri, che il nostro tesoro più grande, seppure anche più fragile, è la fratellanza umana, fondata sulla comune figliolanza divina, e che nessuno può salvarsi da solo. È urgente dunque ricercare e promuovere insieme i valori universali che tracciano il cammino di questa fratellanza umana. Abbiamo anche imparato che la fiducia riposta nel progresso, nella tecnologia e negli effetti della globalizzazione non solo è stata eccessiva, ma si è trasformata in una intossicazione individualistica e idolatrica, compromettendo la garanzia auspicata di giustizia, di concordia e di pace. Nel nostro mondo che corre a grande velocità, molto spesso i diffusi problemi di squilibri, ingiustizie, povertà ed emarginazioni alimentano malesseri e conflitti, e generano violenze e anche guerre.

Mentre, da una parte, la pandemia ha fatto emergere tutto questo, abbiamo potuto, dall’altra, fare scoperte positive: un benefico ritorno all’umiltà; un ridimensionamento di certe pretese consumistiche; un senso rinnovato di solidarietà che ci incoraggia a uscire dal nostro egoismo per aprirci alla sofferenza degli altri e ai loro bisogni; nonché un impegno, in certi casi veramente eroico, di tante persone che si sono spese perché tutti potessero superare al meglio il dramma dell’emergenza.

Da tale esperienza è derivata più forte la consapevolezza che invita tutti, popoli e nazioni, a rimettere al centro la parola «insieme». Infatti, è insieme, nella fraternità e nella solidarietà, che costruiamo la pace, garantiamo la giustizia, superiamo gli eventi più dolorosi. Le risposte più efficaci alla pandemia sono state, in effetti, quelle che hanno visto gruppi sociali, istituzioni pubbliche e private, organizzazioni internazionali uniti per rispondere alla sfida, lasciando da parte interessi particolari. Solo la pace che nasce dall’amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare le crisi personali, sociali e mondiali.

4. Al tempo stesso, nel momento in cui abbiamo osato sperare che il peggio della notte della pandemia da Covid-19 fosse stato superato, una nuova terribile sciagura si è abbattuta sull’umanità. Abbiamo assistito all’insorgere di un altro flagello: un’ulteriore guerra, in parte paragonabile al Covid-19, ma tuttavia guidata da scelte umane colpevoli. La guerra in Ucraina miete vittime innocenti e diffonde incertezza, non solo per chi ne viene direttamente colpito, ma in modo diffuso e indiscriminato per tutti, anche per quanti, a migliaia di chilometri di distanza, ne soffrono gli effetti collaterali – basti solo pensare ai problemi del grano e ai prezzi del carburante.

Di certo, non è questa l’era post-Covid che speravamo o ci aspettavamo. Infatti, questa guerra, insieme a tutti gli altri conflitti sparsi per il globo, rappresenta una sconfitta per l’umanità intera e non solo per le parti direttamente coinvolte. Mentre per il Covid-19 si è trovato un vaccino, per la guerra ancora non si sono trovate soluzioni adeguate. Certamente il virus della guerra è più difficile da sconfiggere di quelli che colpiscono l’organismo umano, perché esso non proviene dall’esterno, ma dall’interno del cuore umano, corrotto dal peccato (cf. Vangelo di Marco 7,17-23).

5. Cosa, dunque, ci è chiesto di fare? Anzitutto, di lasciarci cambiare il cuore dall’emergenza che abbiamo vissuto, di permettere cioè che, attraverso questo momento storico, Dio trasformi i nostri criteri abituali di interpretazione del mondo e della realtà. Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un senso comunitario, ovvero come un «noi» aperto alla fraternità universale. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, ma è l’ora di impegnarci tutti per la guarigione della nostra società e del nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, seriamente impegnato alla ricerca di un bene che sia davvero comune.

Per fare questo e vivere in modo migliore dopo l’emergenza del Covid-19, non si può ignorare un dato fondamentale: le tante crisi morali, sociali, politiche ed economiche che stiamo vivendo sono tutte interconnesse, e quelli che guardiamo come singoli problemi sono in realtà uno la causa o la conseguenza dell’altro. E allora, siamo chiamati a far fronte alle sfide del nostro mondo con responsabilità e compassione. Dobbiamo rivisitare il tema della garanzia della salute pubblica per tutti; promuovere azioni di pace per mettere fine ai conflitti e alle guerre che continuano a generare vittime e povertà; prenderci cura in maniera concertata della nostra casa comune e attuare chiare ed efficaci misure per far fronte al cambiamento climatico; combattere il virus delle disuguaglianze e garantire il cibo e un lavoro dignitoso per tutti, sostenendo quanti non hanno neppure un salario minimo e sono in grande difficoltà. Lo scandalo dei popoli affamati ci ferisce. Abbiamo bisogno di sviluppare, con politiche adeguate, l’accoglienza e l’integrazione, in particolare nei confronti dei migranti e di coloro che vivono come scartati nelle nostre società. Solo spendendoci in queste situazioni, con un desiderio altruista ispirato all’amore infinito e misericordioso di Dio, potremo costruire un mondo nuovo e contribuire a edificare il Regno di Dio, che è Regno di amore, di giustizia e di pace.

Nel condividere queste riflessioni, auspico che nel nuovo anno possiamo camminare insieme facendo tesoro di quanto la storia ci può insegnare. Formulo i migliori voti ai Capi di Stato e di Governo, ai Responsabili delle Organizzazioni internazionali, ai Leaders delle diverse religioni. A tutti gli uomini e le donne di buona volontà auguro di costruire giorno per giorno, come artigiani di pace, un buon anno! Maria Immacolata, Madre di Gesù e Regina della Pace, interceda per noi e per il mondo intero.

Dal Vaticano, 8 dicembre 2022

Francesco

Potenzialità e limiti nel “dire Dio” oggi in Italia e oltre… L’apporto delle scienze e le provocazioni per il sapere teologico

Cecilia Costa*

SOMMARIO
L’articolo presenta una riflessione articolata e documentata sulle provocazioni e sulle sollecitazioni che le scienze sociali possono offrire alle altre scienze, in particolare alle scienze teologiche e alla catechetica. L’osservazione attenta dei fenomeni sociali, senza estromettere quelli che riguardano la dimensione religiosa dell’uomo e “Dio” nella percezione che l’individuo e la società di fatto elaborano, risulta imprescindibile per cogliere il senso della realtà e della storia che viviamo. A sua volta, in un contesto pluralistico e complesso che spinge alla transdisciplinarità, le scienze sociali possono ricevere degli apporti dalle altre scienze, accogliendo l’invito a interessarsi di temi di confine come la lettura del “religioso” e il “dire Dio oggi”, senza preclusioni ideologiche, senza venir meno al doveroso tenore di onestà intellettuale.

 

SCARICA NUMERO:

C&E 7(2) – 02. Costa

 

► PAROLE CHIAVE
Dio; Interdisciplinarità; Religiosità; Scienze sociali; Teologia.

 

 

Cecilia Costa è Ordinario di Sociologia dei processi culturali presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Roma Tre

 

 

 

ACCEDI ALLA RIVISTA ONLINE nella sezione “CATECHETICA ED EDUCAZIONE”

“Dire Dio” ai margini della vita e in un tempo di incertezze”

Concilio Vaticano II: il messaggio della Segreteria Generale del Sinodo

Pubblichiamo di seguito il Messaggio della Segreteria Generale del Sinodo in occasione del 60° anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II (11 ottobre 1962 – 11 ottobre 2022). 

Il 60° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II è un momento di particolare grazia anche per il Sinodo, che rappresenta un frutto di quell’assise ecumenica, anzi una delle sue «più preziose eredità» (Francesco, cost. ap. Episcopalis Communio, 15 settembre 2018, 1). Il Synodus Episcoporum, infatti, è stato istituito da San Paolo VI all’inizio del quarto e ultimo periodo del Concilio (15 settembre 1965), venendo incontro alle richieste avanzate da numerosi padri conciliari.
Scopo del Sinodo era e rimane quello di prolungare, nella vita e nella missione della Chiesa, lo stile del Concilio Vaticano II, nonché di favorire nel Popolo di Dio la viva appropriazione del suo insegnamento, nella consapevolezza che quel Concilio ha rappresentato «la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX» (Giovanni Paolo II, lett. ap. Novo millennio ineunte, 6 gennaio 2001, 57). Un compito lungi dall’essere esaurito, visto che la recezione del magistero conciliare è un processo in atto, addirittura per certi aspetti ancora agli inizi.
Nel corso di questi decenni, il Sinodo si è posto costantemente al servizio del Concilio, contribuendo per la sua parte a rinnovare il volto della Chiesa, in una sempre più profonda fedeltà alla Sacra Scrittura e alla vivente Tradizione e in attento ascolto dei segni dei tempi. Le sue Assemblee – Generali Ordinarie, Generali Straordinarie e Speciali – sono state tutte, ciascuna a suo modo, permeate dalla linfa vitale del Concilio, del quale hanno di volta in volta approfondito gli insegnamenti, dischiuso le potenzialità di fronte a nuovi scenari, favorito l’inculturazione tra i diversi popoli.
Anche il processo sinodale in corso, dedicato a «La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa», si situa nel solco del Concilio. La sinodalità è in tutto un tema conciliare, ancorché tale termine – di conio recente – non si trovi espressamente nei documenti dell’assise ecumenica. La magna charta del Sinodo 2021-2023 è la dottrina del Concilio sulla Chiesa, in particolare la sua teologia del Popolo di Dio, un Popolo che «ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali lo Spirito Santo dimora come in un tempio» (Lumen gentium 9).
Del resto, «comunione, partecipazione e missione» – i termini che Papa Francesco ha voluto includere nel titolo stesso del percorso sinodale, facendone per così dire le parole chiave – sono eminentemente parole conciliari. La Chiesa che siamo chiamati a sognare e a edificare è una comunità di donne e uomini stretti in comunione dall’unica fede, dal comune battesimo e dalla medesima eucaristia, a immagine di Dio Trinità: donne e
uomini che insieme, nella diversità dei ministeri e dei carismi ricevuti, partecipano attivamente all’instaurazione del Regno di Dio, con l’ansia missionaria di portare a tutte e a tutti la gioiosa testimonianza di Cristo, unico Salvatore del mondo.
Già Benedetto XVI affermava che «la dimensione sinodale è costitutiva della Chiesa: essa consiste nel con-venire da ogni popolo e cultura per diventare uno in Cristo e camminare insieme dietro a Lui, che ha detto: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6) (Angelus, 5 ottobre 2008). Nello stesso orizzonte Papa Francesco, commemorando il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo, ha asserito che il cammino della sinodalità, «dimensione costitutiva della Chiesa», «è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio» (17 ottobre 2015).

Città del Vaticano, il 10 ottobre 2022
A un anno dell’apertura del processo sinodale 2021-2023

10 Ottobre 2022

Canonizzato Artemide Zatti, salesiano laico e infermiere

Il 9 ottobre 2022 papa Francesco ha canonizzato – accanto a mons. Giovanni Battista Scalabrini – Artemide Zatti (1880-1951). Infermiere e farmacista, questo laico salesiano ha passato la vita al servizio dei malati e dei poveri in Patagonia.

Papa Francesco vede in sant’Artemide Zatti il «buon Samaritano» della pagina evangelica. È quanto ha dichiarato ai membri della famiglia salesiana in vista della sua canonizzazione:

Il Buon Samaritano ha trovato in lui un cuore, delle mani e una passione, soprattutto per i piccoli, i poveri, i peccatori, gli ultimi.

Nel suo discorso egli ha enfatizzato la devozione totale dell’infermiere e farmacista per i poveri, nonché la sua fervente fede, che irradiava l’amore di Dio nei luoghi che visitava.

Artemide Zatti, di origine italiana, emigrò in Argentina con la propria famiglia all’età di 17 anni. Si installarono a Bahia Blanca, piccola città a sud di Buenos Aires, nel nord della Patagonia argentina. Spesso Artemide ha accompagnato il proprio parroco, don Carlo Cavalli, un salesiano, nella visita ai malati. Osservando la sua dedizione e la sua profonda fede, don Carlo gli fece leggere una vita di Don Bosco. Toccato dall’esempio del prete e coinvolto dalla lettura, scelse di diventare salesiano.

A 20 entrò in seminario, ma contrasse la tubercolosi occupandosi di un giovane prete malato. Padre Evasio Garrone, che lo curò, invitò Artemide a pregare Maria Ausiliatrice per la propria guarigione, e gli suggerì di formulare un voto: «Se ti guarisce, dedicherai tutta la vita ai malati». Artemide promise e guarì. Rinunciò al sacerdozio per meglio assicurare la vocazione di infermiere presso i malati. Divenne frate laico l’11 gennaio 1908, e fece la professione perpetua l’8 febbraio 1911.

Da allora dedicò la propria vita ai malati, e specialmente ai più poveri, curandoli gratuitamente e facendo chilometri per recarsi al loro capezzale. «Una delle grandi caratteristiche di Zatti era la compassione che aveva per la gente», ha dichiarato ad i.Media Pierluigi Cameroni, postulatore generale per le cause dei santi della famiglia salesiana:

Anzitutto perché accoglieva i poveri in ospedale, ma anche perché – con la sua ben nota bicicletta – si faceva il giro di tutta la città per andare a trovare i poveri, quelli che non potevano recarsi da lui, quelli che non avevano medicine.

Vedere Cristo nei malati

Artemide Zatti vide il Signore sofferente in ciascuno dei malati affidati a lui. Diceva letteralmente alla religiosa incaricata della gestione infermieristica: «Prepari per favore un letto a un Gesù di 12 anni». Oppure: «Ha per caso un paio di scarpe per un Gesù di 30 anni?». Prima che lo facesse il Papa, per via di questa leggendaria compassione già tutti lo chiamavano “il Buon Samaritano”.

ZATTI

Si dedicò totalmente all’ospedale San José de Viedma. Nel 1913 ne assunse la responsabilità, divenendone vice-direttore, amministratore e infermiere-capo. Nel 1915 divenne direttore dell’ospedale San José e due anni più tardi, presa una licenza da infermiere professionista, divenne direttore della farmacia. Morì il 15 marzo 1951 per un cancro al pancreas.

Il prodigio che ha sbloccato la sua ascesa agli altari ha avuto luogo nel 2016 nelle Filippine: un uomo, vittima di un grave incidente vascolare cerebrale ma troppo povero per farsi operare in ospedale, ha recuperato totalmente la salute grazie alle preghiere del fratello, salesiano, al beato Artemide Zatti. «Anche in questo miracolo, direi che abbia voluto aiutare uno privo di mezzi», sottolinea Pierluigi Cameroni.

Le guarigioni miracolose non sono il solo “àmbito di competenza” del nuovo santo: papa Francesco ha invitato a considerare che Artemide Zatti è anche un potente intercessore per le vocazioni, e lo ha fatto raccontando un’esperienza personale, occorsagli quando era Provinciale dei Gesuiti di Argentina.

Gli affidai la richiesta al Signore di sante vocazioni alla vita consacrata laica, per la Compagnia di Gesù: dal momento in cui abbiamo cominciato a pregare per la sua intercessione, il numero dei giovani coadiutori è aumentato in maniera significativa.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

Mathilde De Robien – i.Media per Aleteia – pubblicato il 10/10/22

I ministeri istituiti a servizio della comunità. Lettori, accoliti, catechisti

Pensando di fare cosa gradita vi inviamo il programma di questo corso.

I Ministeri istituiti a servizio della comunità

 

Può essere utile per preti, diaconi, laici e laiche per una visione introduttiva del tema in tempo di discernimento pastorale. Così pure può essere importante per la formazione di quei laici e laiche che sono stati indicati dalle parrocchie/diocesi per questi ministeri.

 

 

I ministeri istituiti del lettore, dell’accolito e del catechista

Pubblicata il documento della Cei per inserire il tema dei ‘ministeri istituiti’ all’interno del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia

Recependo gli interventi di papa Francesco con i due motu proprio “Spiritus Domini” e “Antiquum Ministerium”, entrambi emanati nel 2021, la Conferenza Episcopale Italiana ha elaborato una Nota per orientare la prassi concreta delle Chiese di rito latino che sono in Italia sui ministeri istituiti del lettore, dell’accolito, del catechista.

Il documento, pubblicato oggi, è introdotto da una breve presentazione firmata dai due vescovi presidenti delle Commissioni episcopali direttamente competenti sul tema: Franco Giulio Brambilla di Novara (dottrina della fede, annuncio, catechesi) e Gianmarco Busca di Mantova (liturgia).

Con questa Nota spiegano i due presuli, la Cei “intende inserire il tema dei ‘ministeri istituiti’ all’interno del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, in modo che possa diventare anche un’opportunità per rinnovare la forma Ecclesiae in chiave più comunionale”. Il Cammino sinodale costituirà così “un luogo ideale di verifica anche sulla effettiva ricaduta dei nuovi ministeri istituiti del lettore, dell’accolito e del catechista nella prassi ecclesiale”.

Concretamente la Nota – che è ad experimentum per il prossimo triennio – precisa che il lettore: proclama la Parola di Dio nell’assemblea liturgica, in primis nella celebrazione eucaristica; potrà avere un ruolo anche nelle diverse forme liturgiche di celebrazione della Parola, della liturgia delle Ore e nelle iniziative di (primo) annuncio. Prepara l’assemblea ad ascoltare e i lettori a proclamare i brani biblici, anima “momenti di preghiera e di meditazione (lectio divina) sui testi biblici”, accompagna “i fedeli e quanti sono in ricerca all’incontro vivo con la Parola”.

L’accolito invece è colui che serve all’altare, coordina il servizio della distribuzione della Comunione nella e fuori della celebrazione dell’Eucaristia, in particolare alle persone impedite a partecipare fisicamente alla celebrazione. Anima inoltre l’adorazione e le diverse forme del culto eucaristico.

Il catechista infine cura l’iniziazione cristiana di bambini e adulti, e accompagna quanti hanno già ricevuto i sacramenti nella crescita di fede. Può “coordinare, animare e formare altre figure ministeriali laicali all’interno della parrocchia, in particolare quelle impegnate nella catechesi e nelle altre forme di evangelizzazione e cura pastorale”.

La Cei, spiega poi la Nota, ha scelto di conferire il “ministero istituito” del/la catechista a una o più figure di coordinamento dei catechisti dell’iniziazione cristiana dei ragazzi e a coloro che in modo più specifico svolgono il servizio dell’annuncio nel catecumenato degli adulti. Non solo. Secondo “la decisione prudente del vescovo e le scelte pastorali della diocesi”, il/la catechista “può anche essere, sotto la moderazione del parroco, un referente di piccole comunità (senza la presenza stabile del presbitero) e può guidare, in mancanza di diaconi e in collaborazione con lettori e accoliti istituiti, le celebrazioni domenicali in assenza del presbitero e in attesa dell’Eucaristia”.

La Nota stabilisce che i candidati ai “ministeri istituiti” possono essere uomini e donne: devono avere almeno 25 anni ed essere persone “di profonda fede, formati alla Parola di Dio, umanamente maturi, partecipi alla vita della comunità cristiana, capaci di instaurare relazioni fraterne e di comunicare la fede sia con l’esempio che con la parola”.

Saranno istituiti dal vescovo dopo un tempo di formazione di almeno un anno da parte di una equipe di esperti. I percorsi formativi saranno stabiliti dai vescovi. Al termine della fase di discernimento vocazionale e di formazione, i candidati saranno istituiti con il rito liturgico previsto dal Pontificale Romano. Il mandato verrà conferito per un primo periodo di cinque anni, rinnovabile previa verifica del vescovo.

I ministeri istituiti del lettore, dell’accolito e del catechista

di Conferenza Episcopale Italiana

Presentazione

La presente Nota ha lo scopo di recepire gli interventi di Papa Francesco (il motu proprio Spiritus Domini e il motu proprio Antiquum ministerium) per orientare la prassi concreta delle Chiese di rito latino che sono in Italia sui ministeri istituiti, sia del Lettore e dell’Accolito (per i quali si attende la revisione dei riti di istituzione da parte della Congregazione per il Culto Divino), sia del Catechista.

Con questa Nota, inoltre, la Conferenza Episcopale Italiana intende inserire il tema dei «ministeri istituiti» all’interno del cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, in modo che possa diventare anche un’opportunità per rinnovare la forma Ecclesiae in chiave più comunionale.

Il Cammino sinodale costituirà così un luogo ideale di verifica anche sulla effettiva ricaduta dei nuovi ministeri istituiti del Lettore, dell’Accolito e del Catechista nella prassi ecclesiale.

Per questo la presente Nota, approvata dalla 76ª Assemblea Generale e integrata dal Consiglio Episcopale Permanente con le indicazioni emerse in sede assembleare, è ad experimentum per il prossimo triennio.

Il Consiglio Permanente determinerà le modalità di verifica e di approfondimento del tema.

Roma, 5 giugno 2022, Solennità di Pentecoste

Franco Giulio Brambilla, Vescovo di Novara,
Presidente della Commissione Episcopale
per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi

Gianmarco Busca, Vescovo di Mantova,
Presidente della Commissione Episcopale per la liturgia


Nota per orientare la prassi concreta delle Chiese di rito latino che sono in Italia sui ministeri istituiti del Lettore, dell’Accolito, del Catechista

«Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune» (1Cor 12,4-7).

L’apostolo Paolo, dinanzi alla vitalità della comunità di Corinto, articola in modo trinitario carismi, ministeri e attività riferendoli rispettivamente allo Spirito, a Cristo Signore e al Padre, senza dare una definizione e un ordine preciso nel successivo elenco dei carismi. Tuttavia, egli indica due coordinate per il discernimento ecclesiale: da una parte, pone il primato dell’azione dell’unico Spirito, che distribuisce i suoi doni come vuole; dall’altra, pone il valore dell’edificazione dell’intera comunità.

1. I due motu proprio di Papa Francesco

Entro questo orizzonte, che è insieme storico-salvifico ed ecclesiale, vocazionale e ministeriale, vanno collocati i documenti relativi ai ministeri del Lettore, dell’Accolito e del Catechista recentemente promulgati da Papa Francesco.

Nella scia del Concilio Vaticano II, già Paolo VI aveva voluto rivedere la prassi della Chiesa latina relativa agli ordini sacri come era stata formulata dal concilio di Trento. Il Concilio Vaticano II aveva disposto che «il ministero divinamente istituito venisse esercitato in ordini diversi da coloro che già in antico venivano chiamati vescovi, presbiteri e diaconi» (Lumen gentium, n. 28). In linea con quella decisione, il motu proprio Ministeria quaedam (15 agosto 1972) abolì gli «ordini minori» dell’Ostiario, dell’Esorcista, del Lettore e dell’Accolito, e l’ordine maggiore del Suddiacono, che erano conferiti in vista dell’ordinazione sacerdotale, configurando quelli del Lettore e dell’Accolito come «ministeri istituiti», non più considerati come riservati ai candidati al sacramento dell’Ordine.

A distanza di cinquant’anni, Papa Francesco ha promulgato il motu proprio Spiritus Domini (10 gennaio 2021), con il quale ha superato il vincolo di Ministeria quaedam che «riservava il Lettorato e l’Accolitato ai soli uomini» e ha disposto l’inclusione delle donne nei ministeri laicali/battesimali con la modifica del can. 230 § 2 del Codice di Diritto Canonico, accompagnando la decisione con la Lettera al Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede circa l’accesso delle donne ai ministeri del Lettorato e dell’Accolitato.

Papa Francesco ha inoltre promulgato il motu proprio Antiquum ministerium (10 maggio 2021), sull’istituzione del ministero del Catechista per la Chiesa universale. La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha fatto seguire poi una Lettera ai Presidenti delle Conferenze dei vescovi sul Rito di istituzione dei Catechisti (13 dicembre 2021), con in allegato il rito corrispondente.

I due motu proprio consentono di far maturare una visione più articolata della ministerialità e del servizio ecclesiale, rendendo sempre più evidente quell’indispensabile apporto della donna, di cui Papa Francesco aveva già scritto, invitando di conseguenza ad «allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa» (Evangelii gaudium, n. 103). Il fatto che i tre ministeri istituiti siano ora esercitati anche da donne rende ancor più evidente che la cura della Chiesa nei confronti dei suoi figli, soprattutto di quanti si trovano in condizioni di difficoltà, è compito condiviso da tutti i fedeli, uomini e donne.

2. I ministeri istituiti nella Chiesa

«I ministeri istituiti hanno il loro fondamento teologico nella realtà della Chiesa come comunione di fede e di amore, espressa nei grandi documenti del Vaticano II. […] Ogni ministero è per l’edificazione del corpo del Signore e perciò ha riferimento essenziale alla Parola e all’Eucaristia fulcro di tutta la vita ecclesiale ed espressione suprema della carità di Cristo, che si prolunga nel “sacramento dei fratelli”, specialmente nei piccoli, nei poveri e negli infermi, nei quali Cristo è accolto e servito» (Premesse CEI al Rito di istituzione, 1 e 3).

Come ogni ministero nella Chiesa, anche i ministeri istituiti sono contraddistinti da soprannaturalità di origine, ecclesialità di fine e di contenuto, stabilità di prestazione, pubblicità di riconoscimento (cf. Evangelizzazione e ministeri, n. 68).

Il «ministero ordinato», conferito con il sacramento dell’Ordine ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, è costitutivo per la vita della Chiesa (cf. Lumen gentium 28). Fin dall’inizio, accanto ai ministri ordinati sorsero figure ministeriali che svolgevano servizi diversi a favore della comunità cristiana. Progressivamente questi ministeri furono confinati nel solo ambito liturgico e inquadrati in un sistema clericale quali ordini minori che, all’interno di un percorso ascendente, conducevano al sacerdozio ministeriale. Si tratta oggi di riscoprire il loro fondamento battesimale, radice dei «ministeri istituiti» e dei tanti ministeri di fatto che la Chiesa è chiamata a discernere per un servizio adeguato al popolo di Dio. Infatti, nel corso della storia, con il continuo mutare delle situazioni ecclesiali, sociali, culturali, l’esercizio di tali servizi nella Chiesa assume forme differenti.

due documenti Ministeria quaedam e Spiritus Domini hanno configurato i «ministeri istituiti» del Lettorato e dell’Accolitato, Antiquum ministerium il ministero del Catechista, come possibili forme della ministerialità ecclesiale. Esse riguardano coloro che, avendo ricevuto il Battesimo e la Confermazione ed essendo dotati di un particolare carisma per il bene comune della Chiesa, dopo un adeguato cammino di discernimento e preparazione, vengono istituiti dal Vescovo Lettori, Accoliti o Catechisti, con un apposito rito liturgico. La conformazione a Cristo e la comune radice battesimale e crismale pongono i ministeri nella Chiesa, ciascuno a suo modo, a servizio della configurazione del suo corpo ecclesiale e della trasmissione del Vangelo, in vista dell’unica missione ecclesiale. «Ciascun ministero istituito ha un suo inserimento specifico nella Chiesa locale, come manifestazione autentica della molteplice iniziativa dello Spirito che riempie e vivifica il corpo di Cristo» (Premesse CEI al Rito di istituzione, n. 1).

I ministeri istituiti trovano la loro radice nei sacramenti dell’iniziazione cristiana. Lettori e Accoliti sono battezzati la cui identità è qualificata nel Rito di istituzione per un servizio ecclesiale nella liturgia, in particolare alla mensa sia della Parola che del Pane (cf. Dei Verbum, n. 21) da cui scaturisce l’impegno stesso della vita cristiana. I Catechisti sono battezzati la cui identità è qualificata nel Rito di istituzione per vivere più intensamente lo spirito apostolico e servire l’annuncio e la maturazione della fede della comunità cristiana. «Ne consegue che l’opera del ministro non si rinchiude entro l’ambito puramente rituale, ma si pone dinamicamente al servizio di una comunità che evangelizza e si curva come il buon samaritano su tutte le ferite e le sofferenze umane» (Premesse CEI al Rito di istituzione, n. 3)

Il Lettore, l’Accolito e il Catechista vengono istituiti in modo permanente e stabile e assumono, da laici e laiche, un ufficio qualificato all’interno della Chiesa (cf. I ministeri nella Chiesa, n. 5); dopo il rito, il Vescovo conferisce a ciascun ministro istituito un mandato per l’esercizio concreto del ministero.

Di seguito vengono richiamate le indicazioni essenziali circa l’identità e i compiti di questi ministeri.

3. Identità e compiti dei tre ministeri

(a) Il Lettorato

Identità. Il Lettore è istituito per l’ufficio, a lui proprio, di proclamare la parola di Dio nell’assemblea liturgica (cf. Ministeria quaedam, n. 5). In particolare, a partire da un assiduo ascolto delle Scritture, richiama la Chiesa intera alla presenza di Gesù, Parola fatta carne, giacché come afferma la costituzione liturgica «è Cristo che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura» (cf. Sacrosanctum Concilium, n. 7).

Compiti. Il compito del Lettore si esplica in prima istanza nella celebrazione liturgica, in particolare quella eucaristica, perché sia evidente che la proclamazione della Parola è il luogo sorgivo e normativo dell’annuncio. Al Lettore è affidato il compito di preparare l’assemblea ad ascoltare e i lettori a proclamare con competenza e sobria dignità i passi scelti per la liturgia della Parola. Il Lettore/Lettrice potrà avere un ruolo anche nelle diverse forme liturgiche di celebrazione della Parola, della liturgia delle Ore e nelle iniziative di (primo) annuncio verso i lontani. A questo si aggiunge il compito più ampio di animare momenti di preghiera e di meditazione (lectio divina) sui testi biblici, con una particolare attenzione anche alla dimensione ecumenica. In generale, egli/ella è chiamato/a ad accompagnare i fedeli e quanti sono in ricerca all’incontro vivo con la Parola, fornendo chiavi e metodi di lettura per la sua retta interpretazione e la sua fecondità spirituale e pastorale.

(b) L’Accolitato

Identità. L’Accolito è istituito per il servizio al corpo di Cristo nella celebrazione eucaristica, memoriale della Cena del Signore, e al corpo di Cristo, che è il popolo di Dio, soprattutto i poveri e gli infermi (cf. Rito di Istituzione degli Accoliti, n. 29). In particolare richiama la presenza di Cristo nell’Eucaristia della Chiesa, per la vita del mondo.

Compiti. Compito dell’Accolito è servire all’altare, segno della presenza viva di Cristo in mezzo all’assemblea, là dove il pane e il vino diventano i doni eucaristici per la potenza dello Spirito Santo e dove i fedeli nutrendosi dell’unico pane e bevendo all’unico calice, diventano in Cristo un solo Corpo. A lui/lei è affidato anche il compito di coordinare il servizio della distribuzione della Comunione nella e fuori della celebrazione dell’Eucaristia, di animare l’adorazione e le diverse forme del culto eucaristico, che irradiano nel tempo il ringraziamento della Chiesa per il dono che Gesù ha fatto del suo corpo dato e del suo sangue versato. A questo si aggiunge il compito più ampio di coordinare il servizio di portare la comunione eucaristica a ogni persona che sia impedita a partecipare fisicamente alla celebrazione per l’età, per la malattia o per circostanze singolari della vita che ne limitano i liberi movimenti. In questo senso, l’Accolito è ministro straordinario della Comunione e a servizio della comunione che fa da ponte tra l’unico altare e le tante case.

(c) Il Catechista

Identità. Il Catechista, in armonica collaborazione con i ministri ordinati e con gli altri ministri, istituiti e di fatto, si dedica al servizio dell’intera comunità, alla trasmissione della fede e alla formazione della mentalità cristiana, testimoniando anche con la propria vita il mistero santo di Dio che ci parla e si dona a noi in Gesù. Il ministero del Catechista richiama la presenza nella Chiesa e nel mondo del Signore Gesù, che per l’opera dello Spirito Santo chiama ogni uomo alla salvezza, rendendolo nuova creatura in Cristo (cf. 2Cor 5,17), servo del Regno di Dio nella Chiesa.

Compiti. Compito del Catechista è formare alla vita cristiana, attingendo alla Sacra Scrittura e alla Tradizione della Chiesa. In primo luogo, questo compito si esplica nella cura della catechesi per l’iniziazione cristiana, sia dei bambini che degli adulti. A questo si aggiunge anche l’ufficio più ampio di accompagnare quanti hanno già ricevuto i sacramenti dell’iniziazione nella crescita di fede nelle varie stagioni della loro vita. È il ministro che accoglie e accompagna a muovere i primi passi nell’esperienza dell’incontro con la persona di Cristo e nel discepolato quanti esprimono il desiderio di una esperienza di fede, facendosi così missionario verso le periferie esistenziali. Infine, a lui/lei può essere chiesto di coordinare, animare e formare altre figure ministeriali laicali all’interno della parrocchia, in particolare quelle impegnate nella catechesi e nelle altre forme di evangelizzazione e nella cura pastorale. Tra le possibilità indicate dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, la Conferenza episcopale italiana sceglie di conferire il «ministero istituito» del/la Catechista a una o più figure di coordinamento dei catechisti dell’iniziazione cristiana dei ragazzi (cf. n. 9) e a coloro che «in modo più specifico svolgono il servizio dell’annuncio» nel catecumenato degli adulti (cf. n. 10). Il Catechista, secondo la decisione prudente del Vescovo e le scelte pastorali della Diocesi, può anche essere, sotto la moderazione del parroco, un referente di piccole comunità (senza la presenza stabile del presbitero) e può guidare, in mancanza di diaconi e in collaborazione con Lettori e Accoliti istituiti, le celebrazioni domenicali in assenza del presbitero e in attesa dell’Eucaristia.

In questo modo, tra l’altro, potrà essere sempre più evidente la corresponsabilità in ambito pastorale tra ministri ordinati e ministri istituiti, perché si realizzi quanto affermato da Lumen gentium: «Che tutti concordemente cooperino, nella loro misura, all’opera comune» (n.30).

4. La formazione ai ministeri istituiti

Ogni ministero istituito possiede una connotazione vocazionale: «È il Signore che suscita i ministeri nella comunità e per la comunità» (Premesse CEI al Rito di istituzione, n. 2). Il servizio nella Chiesa non si configura come una professione, né come una carica onorifica: si tratta piuttosto di assimilare i tratti del Maestro, che è non è venuto per essere servito ma per servire (cf. Mc 10,45).

Il Signore chiama chiunque è istituito in uno di questi ministeri a mettere a disposizione tutto se stesso, «stabiliter» (can. 230 § 1 del Codice di Diritto Canonico), per l’edificazione dei fratelli. Le comunità con i loro presbiteri presentano i candidati, i quali saranno istituiti dal Vescovo dopo un tempo di adeguato accompagnamento e formazione da parte di una équipe di esperti. Il Vescovo infatti in primo luogo riconosce tale vocazione e ne valuta l’utilità per un servizio determinato all’interno della realtà ecclesiale locale; in un secondo tempo li istituisce con il rito liturgico proprio; infine, con un atto giuridico, conferisce il mandato per quel ministero specifico.

Ai ministeri istituiti di Lettore, Accolito e Catechista possono accedere uomini e donne che manifestano la loro disponibilità, secondo i seguenti criteri di discernimento: siano persone di profonda fede, formati alla Parola di Dio, umanamente maturi, attivamente partecipi alla vita della comunità cristiana, capaci di instaurare relazioni fraterne, in grado di comunicare la fede sia con l’esempio che con la parola, e riconosciuti tali dalla comunità, nelle forme e nei modi che il Vescovo riterrà opportuni.

I Vescovi stabiliscano percorsi formativi idonei per conseguire tre finalità essenziali: aiutare nel discernimento sulla idoneità intellettuale, spirituale e relazionale dei candidati; perfezionare la formazione in vista del servizio specifico, con la pratica di attività pastorali adeguate; consentire un aggiornamento biblico, teologico e pastorale continuo di quanti hanno già ricevuto il mandato per un ministero. Tali percorsi formativi possono essere svolti con l’ausilio di istituzioni accademiche esistenti nel territorio come gli Istituti di Teologia e di Scienze Religiose. Il supporto di tali istituzioni renderà più agevole il compito di strutturare piani di formazione, che prevedano non solo lezioni frontali, ma anche seminari e stage in situ. Infine, per quanto concerne il tempo di formazione, si preveda almeno un anno con la guida di un’equipe diocesana, che potrà continuare la formazione nei primi tempi dell’esercizio del ministero.

Ai Pastori è chiesto di sensibilizzare la comunità cristiana a lasciar emergere quei doni dello Spirito, che possono diventare effettivi ministeri laicali. La cura dei nuovi ministeri apre la possibilità concreta di ridisegnare il volto delle comunità cristiane. Il Cammino sinodale in corso nelle Chiese che sono in Italia è un’occasione propizia, perché la ricezione dei ministeri nelle singole Chiese locali avvenga in forma sinodale. In tal modo si potrà creare lo spazio per nuove figure capaci di mettere in moto una percezione più dinamica dell’annuncio del Vangelo, con la ricchezza di nuovi volti ed esperienze differenziate.

5. Il Rito di istituzione e il mandato

Al termine della fase di discernimento vocazionale e di formazione di base, il/la candidato/a viene istituito/a con il rito liturgico previsto dal Pontificale Romano. Come afferma la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti nel caso dei Catechisti istituiti, «definire tale ministero come stabile, oltre ad esprimere il fatto che nella Chiesa esso è “stabilmente” presente, significa anche affermare che i laici che abbiano l’età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza Episcopale, possono essere istituiti in modo stabile (come i Lettori e gli Accoliti) al ministero di Catechista: ciò avviene mediante il Rito di istituzione che, pertanto, non può essere ripetuto» (Lettera ai presidenti delle Conferenze dei Vescovi sul Rito di istituzione dei Catechisti, n. 3). Il rito liturgico mostra così non solo che il Pastore riconosce nel candidato una vocazione ad un servizio ecclesiale, ma che l’intera comunità è lieta di accogliere e sostenere il nuovo ministro nella sua missione. I ministri istituiti si inseriscono così a pieno titolo nel grembo della Chiesa locale, da cui sono generati a servizio del popolo di Dio.

Per quanto riguarda l’età dell’ammissione, si conferma quanto scritto già nel documento della Conferenza Episcopale Italiana, I ministeri nella Chiesa, pubblicato nel 1973, che al n. 9 stabiliva il limite di 21 anni, poi innalzato a 25 anni nella delibera n. 21 del 18 aprile 1985.

Come affermato nella Lettera della Congregazione per il Culto Divino sopra citata, «l’esercizio del ministero può e deve essere regolato nella durata, nel contenuto e nelle modalità dalle singole Conferenze episcopali secondo le esigenze pastorali» (n. 3). Il mandato per l’esercizio concreto del ministero viene conferito per un primo periodo di cinque anni, seguito da una verifica compiuta dal Vescovo insieme con un’equipe preposta a questo. Alla luce di tale verifica si potrà rinnovare il mandato per l’esercizio del ministero, tenendo conto del cambiamento delle condizioni di vita del ministro istituito e delle esigenze ecclesiali in continuo mutamento.

I ministri istituiti «non saranno semplici esecutori delle indicazioni dei presbiteri e dei diaconi, ma veri animatori di assemblee presiedute dal pastore d’anime, promotori della corresponsabilità nella Chiesa e dell’accoglienza di quanti cercano di compiere un itinerario di fede, evangelizzatori nelle varie situazioni ed emergenze di vita, interpreti della condizione umana nei suoi molteplici aspetti (cf. Apostolicam actuositatem, n. 24). Essi renderanno presente alla comunità le attese e le aspirazioni degli uomini del nostro tempo e insieme saranno un segno autentico della presenza della Chiesa nelle famiglie, nei luoghi di studio e di lavoro e sulle strade del mondo (cf. Apostolicam actuositatem, n13)» (Premesse CEI al Rito di istituzione, n. 5).

14 luglio 2022 – Settimana News

Il Papa: la famiglia sotto attacco, ideologie di vario tipo saccheggiano i valori umani

Francesco riceve i padri di Schönstatt in occasione del Capitolo generale e li esorta a dare risposte alle preoccupazioni degli uomini e donne del nostro tempo: “Molti matrimoni in crisi, giovani tentati, anziani dimenticati, bambini sofferenti… farsi portatori di speranza e aprire nuove strade”. Il saluto al nuovo superiore Awi Mello

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

Nelle “situazioni buie” di oggi, tra “matrimoni in crisi, giovani tentati, anziani dimenticati, bambini sofferenti”, mentre la famiglia è sotto attacco e “colonizzazioni ideologiche” tentano di “saccheggiare selvaggiamente” gli stessi valori umani, bisogna farsi portatori di speranza. Papa Francesco riceve i padri della comunità di Schönstatt, movimento mariano cattolico nato in Germania nel 1914, in occasione del Capitolo generale, e chiede loro di dare una risposta alle fatiche e inquietudini della gente.

Il saluto al nuovo superiore generale

Prima del discorso, interamente in spagnolo, il Papa saluta il nuovo superiore generale, padre Alexandre Awi Mello, eletto il 21 agosto scorso. Per cinque anni il religioso brasiliano è stato segretario del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita. Un servizio per il quale Francesco esprime la propria gratitudine: “È stato il mio segretario ad Aparecida, poi la mia guida a Rio de Janeiro, quindi il mio segretario qui. Grazie, per la sua collaborazione in questi anni in comunione con il Successore di Pietro, a beneficio di tutta la Chiesa. Le auguro un ministero fruttuoso in questa nuova responsabilità che le è stata affidata”.

Portatori di speranza

Un grazie, Papa Francesco, lo rivolge anche all’intera comunità:

Voi, cari fratelli e sorelle, svolgete un bel servizio alla Chiesa e al mondo, soprattutto accompagnando le famiglie nelle varie vicende e vicissitudini che stanno attraversando, annunciando a tutti i suoi membri la bellezza dell’“Alleanza d’Amore” che il Signore ha stabilito con il suo popolo. Oggi ci sono molti matrimoni in crisi, giovani tentati, anziani dimenticati, bambini sofferenti. Siete portatori di un messaggio di speranza in queste situazioni buie che ogni fase della vita attraversa.

“Questo – aggiunge il Papa, distaccandosi dal testo scritto – procede un po’ di pari passo con questo saccheggio dei valori umani, un saccheggio che stanno facendo selvaggiamente le colonizzazioni ideologiche di ogni tipo”.

Distanze e ideologie

Sì, dice Francesco, “il mondo ci chiede sempre più spesso di dare risposte agli interrogativi e alle inquietudini degli uomini e delle donne del nostro tempo”. E una delle preoccupazioni più gravi riguarda la famiglia e la sua natura:

Vediamo spesso che la natura della famiglia è attaccata da diverse ideologie, che fanno vacillare le fondamenta che sostengono la personalità dell’essere umano e, in generale, tutta la società. Inoltre, in seno alle famiglie, in molte occasioni si constata una distanza di comprensione tra gli anziani e i giovani

Alleanza tra le generazioni

Il Pontefice ricorda il suo ciclo di catechesi nell’udienza generale del mercoledì per ribadire “l’alleanza tra le generazioni, cioè tra i più anziani e i più giovani, è ciò che può salvare l’umanità, perché in questo modo si conserva l’identità personale e familiare”. In famiglia “non si eredita solo un patrimonio genetico o un cognome, ma anche e soprattutto si eredita la saggezza di ciò che significa essere umano, secondo il progetto di Dio”.

Il mistero della nostra redenzione è quindi intimamente legato anche all’esperienza dell’amore nelle famiglie. E non dimentichiamo che in ultima analisi la fede si trasmette sempre in ‘dialetto’ attraverso le famiglie, gli anziani, i nonni.  

L’esempio della Madonna

Il modello è la Sacra Famiglia, e soprattutto la Vergine Maria, “che si prende cura con amore tenero e impegnato di tutti i suoi figli e figlie, soprattutto dei più poveri, nel corpo e nello spirito”. I membri di Schönstatt  venerano con “grande amore” la Vergine con il titolo di “Madre Tre Volte Ammirabile”. “È un modello fondamentale per tutti, che spinge a creare ponti fondati sulla carità fraterna e sulla comunione dei beni con i più bisognosi”, sottolinea Francesco.

A braccio, racconta che sul suo comodino “è intronizzata la statuetta della Vergine, l’ha messa lì Alexandre (Mello, ndr), e dopo quindici giorni ha portato anche una corona per incoronarla. Ossia che ho tutta la cerimonia fatta della vostra ‘setta’”, dice, tra le risate dei presenti. “Così ogni volta che entro nella mia camera da letto è la prima cosa che vedo e devo ricordarmi di voi”.

Aprire nuove strade

Il Papa conclude infine con l’incoraggiamento ai membri di Schönstatt “ad andare avanti nei vostri apostolati, rinnovandovi sempre con la grazia dello Spirito Santo e mostrando coraggio per aprire cammini nuovi al servizio delle famiglie, per far risplendere la bellezza dell’Alleanza stabilita tra Dio e gli uomini, con la spiritualità e l’esperienza vissuta dei valori cristiani”.

 

articolo originale su Vatican News 01 settembre 2022