L’ecumenismo secondo Benedetto XVI

Molte erano le aspettative dalla visita del papa in Germania sul capitolo dell’ecumenismo. In un luogo simbolico, il convento degli agostiniani di Erfurt, dove il giovane Martin Lutero fu monaco e
prete della Chiesa cattolica, e davanti alle autorità della potente chiesa evangelica tedesca, Benedetto XVI ha ridefinito a suo modo la posta in gioco del dialogo ecumenico.
Si possono leggere le grandi linee della sua posizione, che diverge in parte da quella del suopredecessore, nell’attacco inatteso contro altri cristiani.
Evocando «una forma nuova di cristianesimo, che si diffonde con immenso dinamismo missionario» – nel quale si possono riconoscere le correnti evangeliche pentecostali -, il papa opera una requisitoria feroce.
Questa corrente è tacciata di «cristianesimo di debole densità istituzionale, con poca consistenza razionale e ancor meno consistenza dogmatica e anche con poca stabilità». Ci metterebbe, afferma il papa, «nuovamente di fronte alla questione di sapere ciò che resta sempre valido, e ciò che può e deve essere cambiato».


Criteri


Dietro l’esigenza istituzionale esposta da Benedetto XVI appare l’imperativo di situarsi in una storia e, soprattutto, in una tradizione, cosa che di solito manca a comunità che spuntano come funghi attorno al carisma di un solo uomo e che rivendicano la loro indipendenza.
Non si può qui dimenticare il testo Dominus Jesus del 2001, nel quale il cardinal Ratzinger considerava la successione apostolica (la trasmissione ininterrotta da vescovi a vescovi) come una condizione necessaria per essere una vera chiesa.
Anche se i luterani rispondono solo in parte a questo esigente criterio, il papa, a Erfurt, ha preferito non tornare su quel testo, accolto molto male all’epoca in ambiente protestante.
La seconda critica – la debolezza della consistenza razionale – fa eco ad una affermazione abituale di Benedetto XVI che non cessa di martellare sul fatto che la fede cristiana deve essere edificata sulla ragione, la quale conduce naturalmente a Cristo e a Dio. La forte presenza dell’emozione nel rito, con pratiche nelle quali il corpo sembra prevalere sullo spirito, è in questa prospettiva molto sospetta al vescovo di Roma.
In terzo luogo i pentecostali mancherebbero di struttura dogmatica. È incontestabile, ma è anche la ragione del loro successo. Il rilievo si applica ugualmente a tutti coloro che vorrebbero  liberarsi da regole giudicate secondarie o troppo repressive nelle attuali società occidentali.
Vissute timidamente nel cattolicesimo o esibite apertamente presso i riformati più liberali, le velleità moderniste dei gruppi più attenti ai valori cristiani che non alle esigenze ecclesiali, sono qui prese di mira. Al di fuori di uno stretto inquadramento non c’è salvezza, dice il papa.


Instabilità


L’ultimo rilievo indirizzato alle correnti cristiane pentecostali riguarda la loro instabilità. Nella tradizione protestante, qualunque divergenza può essere pretesto per un’uscita e per la  reazione di una nuova chiesa.
Nel contesto cattolico, l’insistenza del papa su questo punto è un segnale di fronte ai progetti dichiarati di indipendenza, in Austria e altrove, e di fronte ai promotori di evoluzioni interne.
Ma il richiamo alla stabilità mette anche in discussione i percorsi di avvicinamento e di piccoli passi che hanno lungamente ritmato il cammino ecumenico. Così, Benedetto XVI qualifica il “dono ecumenico dell’ospite”, dietro il quale si può vedere l’ospitalità eucaristica (accoglienza alla comunione di fedeli luterano-riformati) come «cattiva comprensione politica della fede e dell’ecumenismo».
Di fronte «all’assenza di Dio nelle nostre società (che) si fa più pesante», il «compito ecumenico centrale» consisterebbe ormai nel ripensare la fede, non edulcorandola, ma vivendola «integralmente nel nostro oggi».
Ciò che seguirà a questo discorso fondatore ci dirà se i nuovi binari ecumenici, nei quali gli ortodossi si immetteranno senza difficoltà, incontreranno il favore di tutta la galassia dei fedeli.


in “www.temoignagechretien.fr” del 28 settembre 2011 (traduzione: www.finesettimana.org)

 

“Dove c’è Dio, là c’è futuro”

 

è questo il titolo che Benedetto XVI ha voluto dare alla sua terza visita in Germania, che comincia domani.

 


Che la “priorità” di questo pontificato sia riavvicinare gli uomini a Dio, papa Benedetto l’ha detto più volte. Ma il caso della Germania rende tale sua urgenza ancor più impellente.

L’ex Germania dell’Est, assieme all’Estonia e alla Repubblica Ceca, è il territorio europeo in cui gli atei sono più numerosi e in cui i non battezzati sono la maggioranza.

A Berlino e ad Erfurt, la città di Lutero, papa Joseph Ratzinger entrerà proprio in questo perimetro di massimo allontanamento dalla fede, in Europa.

Ma anche a Friburgo in Brisgovia, terza tappa del suo viaggio, l’affievolimento della fede cristiana è un fenomeno esteso.

È uscito di recente in Germania, pubblicato da GerthMedien, un libro che analizza il declino del cristianesimo in questo paese in termini molto crudi.

Già il titolo è eloquente: “Gesellschaft ohne Gott. Risiken und Nebenwirkungen der Entchristlichung Deutschlands [Società senza Dio. Rischi ed effetti collaterali della scristianizzazione della Germania]”.

L’autore è Andreas Püttman, 47 anni, ricercatore presso la fondazione Konrad Adenauer come sociologo dei processi culturali, già vincitore del Katholischen Journalistenpreis, il premio per il giornalismo promosso dai media cattolici tedeschi.

Non solo ad Est, ma nell’intera Germania meno della metà della popolazione, il 47 per cento, afferma di credere in Dio.

Dal 1950 ad oggi i protestanti sono crollati da 43 a 25 milioni. Mentre i cattolici erano nel 1950 25 milioni e altrettanti sono rimasti oggi, perdendone anch’essi molti per strada.

Se nel 1950 un cattolico su due andava a messa tutte le domeniche, oggi nell’Ovest del paese solo l’8 per cento ci va. Nell’ex Germania orientale, dove i cattolici sono una piccola minoranza, questa quota è del 17 per cento.

L’età media dei praticanti è ovunque di 60 anni. E solo il 15 per cento dei tedeschi sotto i 30 anni, ovvero i potenziali genitori della futura generazione, considera l’educazione religiosa importante per i figli.

Quanto ai contenuti della fede, solo il 58,7 per cento dei cattolici e il 47,7 per cento dei protestanti crede che Dio ha creato il cielo e la terra. E ancora meno sono coloro che credono nel concepimento verginale di Maria o nella resurrezione dei morti. Solo il 38 per cento dei tedeschi considerano il Natale una festa religiosa.

In questo avanzante deserto della fede come può entrare in opera la “nuova evangelizzazione”, altro grande obiettivo di questo pontificato?

Le forme possono essere molto varie. Una di queste è descritta nel reportage che segue, pubblicato lo scorso 20 luglio da “Avvenire”, il quotidiano della conferenza episcopale italiana.

Teatro del reportage è Chemnitz, già Karl-Marx-Stadt, una delle città più vuote di fede della già vastamente scristianizzata ex Germania orientale.

Protagoniste della rinnovata evangelizzazione sono alcune famiglie di cattolici neocatecumenali, lì giunte con questa finalità missionaria da altri paesi d’Europa.

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IN MISSIONE NEL PROFONDISSIMO EST

di Marina Corradi

Fuori il sole è ancora alto, d’estate, ma alle otto di sera le strade sono già semideserte. Siamo a Chemnitz, Theater Strasse 29, in un vecchio palazzo appena ristrutturato che sa ancora di calce fresca. Delle famiglie neocatecumenali ciò che più ti colpisce, quando le vedi insieme come questa sera, sono i figli: sei coppie, ciascuna con nove o dodici o anche quattordici ragazzi. In tutto sono una settantina, adolescenti o da poco sposati. E guardi le loro facce, i loro occhi lucenti, e pensi: che meraviglia, e che ricchezza abbiamo perso, noi europei del figlio unico, mentre da una stanza accanto arriva perentorio lo strillo di uno dei primi nipoti.

Commuove, la piccola folla di ragazzi cristiani stasera a Chemnitz, ex Karl-Marx-Stadt. Perché in quest’angolo di ex Repubblica Democratica Tedesca la civiltà nacque, nell’anno 1136, da un pugno di monaci benedettini, che fondarono un’abbazia; e si erano portati dietro delle famiglie cristiane che vivevano attorno al convento e disboscavano le foreste, per farne terra da coltivare; e anche quelle famiglie avevano una decina di figli ciascuna.

Che la storia possa ricominciare, quando sembra finita? Te lo domandi in questa città silenziosa e spenta, dove un abitante su quattro è vecchio, e spesso solo, e soli sono i figli unici di famiglie disfatte. La gente di qui si volta a guardare, se una famiglia neocatecumenale esce con anche solo una metà dei suoi figli. E se un compagno di scuola capita a casa a pranzo, incredulo fotografa con il cellulare la folta tavolata.

La missione “ad gentes” di Chemnitz, composta di due comunità, ciascuna accompagnata da un sacerdote, è formata da due famiglie italiane, due spagnole, una tedesca e una austriaca. I padri, in patria, avevano un lavoro sicuro. Negli anni ’80 partirono per la prima missione. Li mandò il fondatore del Cammino neocatecumenale Kiko Arguello, accogliendo un desiderio di Giovanni Paolo II: cristiani che riportassero il Vangelo nelle periferie delle metropoli occidentali. Andrea Rebeggiani, professore di latino e greco, lasciò con la moglie e i primi cinque figli la sua casa a Spinaceto, periferia sud di Roma, e approdò nel marzo 1987 in una Hannover sommersa da una tempesta di neve. Anche Benito Herrero, ricco avvocato catalano, abbandonò tutto e venne qui, a studiare tedesco alle scuole serali assieme ai profughi curdi.

E già era una straordinaria avventura. Ma nel 2004 il Cammino neocatecumenale ideò un altro passo: famiglie accompagnate da un sacerdote si sarebbero trasferite nelle città più scristianizzate, semplicemente per stare tra la gente ed essere il segno di un’altra vita possibile. Una struttura, in sostanza, benedettina. Il vescovo di Dresda, Joachim Friedrich Reinelt, invitò i neocatecumenali a Chemnitz, della ex DDR forse la frontiera più dura. E di nuovo queste famiglie partirono. Non solo i genitori, ma anche i figli, liberamente, uno per uno. “Avevamo solo cinque o sei anni quando abbiamo lasciato il nostro paese”, spiega oggi Matteo, figlio di Andrea. Ora siamo grandi, questa volta è la nostra missione”.

Difficile la vita a Chemnitz, in questa provincia povera che sa ancora di DDR, per dei ragazzi cresciuti all’Ovest. Qualcuno soffre, se ne va. Poi, quasi sempre, ritorna. Dura la vita dei padri, di nuovo in cerca di lavoro a cinquant’anni. Se lo stipendio non basta, si vive degli assegni familiari del welfare tedesco e dell’aiuto delle comunità neocatecumenali di provenienza. Con le quali il legame è forte. In patria, per queste famiglie le comunità recitano costantemente il rosario. In estate mandano qui i ragazzi, a fare la missione cittadina: un’esplosione di allegria per le solitarie vie di Chemnitz, da quei gruppi di adolescenti romani o spagnoli.

Discussioni alla porte del cimitero: “Sapete che le ossa dei vostri morti risorgeranno, un giorno?”. I più, della gente di Chemnitz, alzano le spalle e se ne vanno: “Soprattutto i vecchi, sembrano non tollerare di sentire parlare di Dio”. Ma la vera missione, dice l’avvocato Herrero, “è essere qui”. Qui nella vita quotidiana, dietro ai banchi o al lavoro, tra gente che ti guarda e non capisce, che domanda e si stupisce; scontrosa, diffidente, impaurita. Essere qui: come Maria, 27 anni, maestra in un asilo dove tanti genitori sono già divisi, e testimoniare di una famiglia in cui ci si vuole bene per sempre.

Come uno dei ragazzi spagnoli, barista d’estate in una gelateria: ha incuriosito il proprietario, che una sera è venuto a sentire la catechesi, e poi è ritornato. Piccolissimi numeri: ma non c’è smania di proselitismo in questa gente. Già lieti d’essere qui: “La missione prima di tutto educa noi e i nostri figli all’umiltà. Non siamo dei superman, ma uomini come gli altri, fragili e paurosi”. Paurosi? Ci vuole un coraggio da leoni per lasciare tutto e con una nidiata di bambini partire per un paese sconosciuto.

Da dove viene il coraggio? “Dio – ti rispondono – chiede all’uomo ciò che ha di più caro, proprio come lo chiese ad Abramo, che offrì suo figlio Isacco. Ma se offri tutto a Dio, scopri che lui ti dona molto di più. Ed è fedele, e non ti abbandona”. Quante storie, fra questi cristiani che invecchiano lietamente in una corte di figli e nipoti. C’è il professore ex sessantottino che a trent’anni si sentiva finito e disilluso, e ora ha 9 figli e 7 nipoti, più 3 in arrivo. C’è l’informatico che da adolescente ha sofferto dell’abbandono del padre, e ha perso la fede; e sa cosa possono avere in testa questi ragazzi di Chemnitz, con i loro affetti divisi. Ragazzi che invidiano i suoi figli: “Che fortuna – ci dicono spesso – voi tornate da scuola e mangiate tutti assieme. Noi mangiamo soli, o con il gatto”. In un lampo di nostalgia di una famiglia vera.

“Ci sono segni capaci di toccare anche il cuore dei più lontani – dice Fritz Preis, da Vienna – e noi siamo qui per portarli a questa gente”. Ma quale motore spinge un così sbalorditivo lasciare ogni certezza? “Io ho fatto tutto questo per gratitudine”, risponde l’avvocato catalano. “Gratitudine per mia moglie, per i figli, per la vita, per tutto quello che Dio mi ha dato”.

Taci, perché un cristiano “normale”, già in affanno con i suoi pochi figli nel suo paese, resta muto davanti alla fede di queste famiglie; testimoni di un Dio che chiede tutto, ma dà molto più di quanto ha ricevuto. Taci, davanti alla serenità delle quattro sorelle laiche che assistono le famiglie nelle necessità quotidiane: “Io volevo semplicemente mettermi al servizio di Dio”, dice Silvia, romana, con un sorriso che trovi raramente nelle nostre città. Le vedranno, queste facce, questa singolare letizia, qui, dove non credono più in niente? Quando i neocatecumenali spiegano che sono venuti da Roma e Barcellona, per annunciare che Cristo è risorto, la gente di Chemnitz si ritrae turbata, come disturbata in un sonno pesante. Talvolta rispondono: “Vorremmo crederci, ma non ne siamo capaci”.

Due generazioni senza Dio sono tante, per la memoria degli uomini. Ma quando, un giorno, alcuni dei figli del professor Rebeggiani si sono messi a cantare dal balcone di casa – per la pura gioia di farlo – l’antico canto “Non nobis Domine sed nomini tuo da gloriam”, i vicini si sono affacciati, e sono rimasti ad ascoltare. E una vedova ha chiesto ai ragazzi di cantare lo stesso canto al cimitero, in memoria del marito morto. Così è stato, e fra i presenti uno è si è avvicinato, alla fine: “Da tanto tempo – ha detto – non sentivo qualcosa che mi desse una speranza”.

Chissà, ti chiedi, se anche per quel pugno di monaci benedettini e di laici arrivati qui nel 1136 non sia cominciata così: con lo stupore di uomini che intravedevano in loro una bellezza, e ne provavano una misteriosa nostalgia.

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Il quotidiano della conferenza episcopale italiana che ha pubblicato il reportage, nel quadro di un’inchiesta a puntate su “I semi della fede” in varie città di più continenti:

> Avvenire

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Ancora “Avvenire”, il 14 settembre, ha pubblicato la seguente sintesi del libro di Andreas Püttman:

> Scristianizzazione, la sfida della Germania

 

 

ALTRI ARTICOLI

 

un primo bilancio della visita in Germania di papa Benedetto XVI di Wir sind Kirche in Wir sind Kirche Deutschland del 25 settembre 2011 (http://www.wir-sind-kirche.de)

Primo bilancio da parte di Wir sind Kirche della visita del papa. “Dinanzi alle amare delusioni dell’incontro ecumenico del papa ad Erfurt, Wir sind Kirche esorta tutte le comunità cattoliche ed evangeliche a mettersi ecumenicamente insieme e «fare ciò che ci unisce».” Il valore autonomo della coscienza è legato senza riserve a norme oggettive già date: è il nucleo premoderno di un discorso strutturato modernamente. ” Per quanto sia giusto lamentare la crescente assenza di Dio nella coscienza dell’uomo, parlare di Dio non può diventare un diversivo per disinnescare le crisi e i problemi ecclesiali”

 

30.9.2011

“Noi siamo Chiesa”, firmato Ratzinger

Per la prima volta da quando è papa, Benedetto XVI ha citato e criticato in pubblico il movimento di opposizione ecclesiale più diffuso e attivo nei paesi di lingua tedesca. L’ha fatto in un discorso a braccio ai seminaristi di Friburgo. Ecco le sue parole


28.9.2011

Nella ricca Germania la Chiesa si faccia povera!

Mai prima del suo terzo viaggio in patria Benedetto XVI aveva dato così forte risalto all’ideale di una Chiesa povera di strutture, di ricchezze, di potere. Nello stesso tempo, però, ha insistito anche sul dovere di una vigorosa “presenza pubblica” di questa stessa Chiesa. Sono possibili le due cose insieme?


25.9.2011

“È nuovamente l’ora di togliere coraggiosamente ciò che vi è di mondano nella Chiesa”

Solo così lo scandalo vero del cristianesimo, quello della croce, può risplendere agli uomini, senza essere messo in ombra “dagli altri dolorosi scandali degli annunciatori della fede”. Il discorso del papa ai cattolici tedeschi impegnati nella Chiesa e nella società


23.9.2011

“La scottante domanda di Martin Lutero deve diventare di nuovo la nostra domanda”

Il papa alla Chiesa evangelica di Germania. L’ecumenismo vive e cade sulla questione di Dio e del male. La duplice sfida del protestantesimo “evangelical” e della secolarizzazione. Come ravvivare la fede senza annacquarla


22.9.2011

C’è un giudice a Berlino. E rivuole re Salomone

Dopo Rastisbona nel 2006 e dopo Parigi nel 2008, la terza grande lezione di questo pontificato. Papa Benedetto la tiene nella capitale tedesca e nel cuore del suo sistema politico. Cita sant’Agostino: “Togli il diritto, e allora che cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti?”

 

XXV Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona 2011

Aperto il XXV Congresso Eucaristico

Eucaristia, matrice  d’unità per il Paese

 

“Nell’anno in cui il nostro Paese fa memoria dei suoi 150 di unificazione nazionale, è importante esplicitare la forza rigenerante dell’Eucaristia, che ha contribuito a plasmare l’identità profonda del nostro popolo ben prima della sua stessa identità politica”.

Il Card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha voluto ricordarlo ad Ancona sabato 3 settembre, aprendo il XXV Congresso Eucaristico Nazionale, nella suggestiva cornice del Teatro delle Muse, alla presenza delle autorità religiose e civili.

“L’Eucaristia, essendo il centro vitale della Chiesa, ha avuto sempre, nella vita dei centri grandi e piccoli disseminati nella nostra Penisola, una indubbia centralità”, ha aggiunto il cardinale sottolineando che di ciò “oggi si avverte ancor più il bisogno di ribadire il primato di Dio e per ritrovare insieme la strada di un bene condiviso”.
Del resto, “attorno al memoriale di Cristo è cresciuta la stessa memoria condivisa che ha reso uno il nostro Paese; e, ne siamo convinti, passa ancora da lì ogni speranza di prospettiva futura”, ha osservato mons. Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona-Osimo, che nel suo saluto ha ribadito il legame tra Eucaristia e vita sociale.

“Dal riconoscere la nostra appartenenza al Signore, dal nutrirci di Lui fino a rimanere in Lui – ha osservato ancora l’Arcivescovo – nascerà la fiducia che ci consentirà di uscire da ogni meschino cabotaggio e di tornare a prendere il largo sul mare della storia”.

Soprattutto, ha rilevato da parte sua Gian Mario Spacca, presidente della regione Marche, “in un tempo in cui le coordinate di riferimento per la comunità nazionale sembrano offuscate, in cui famiglie e lavoratori vivono quotidiane sofferenze, in cui i giovani faticano ad intravvedere l’orizzonte del proprio futuro”.
“Che questo Congresso, grande festa della fede cristiana, sia sorgente di ispirazione e di energie per un impegno di tutti nella costruzione di una società più giusta, più solidale e più fraterna”, è stato l’augurio del Legato Pontificio, card. Giovanni Battista Re.

Una sintesi della relazione principale, “Eucarestia e storia di una nazione”, affidata ad Andrea Riccardi, è disponibile sul sito www.congressoeucaristico.it insieme alla possibilità di scaricare i testi integrali.

 

 

 

Domenica 4 Settembre 2011

Ancona, la Messa inaugurale del Cen

Una storia narrata con letizia e coraggio

 

 

 

 

“Oggi, ad Ancona, si apre il XXV Congresso Eucaristico Nazionale, con la Santa Messa presieduta dal mio Legato, il Cardinale Giovanni Battista Re. Domenica prossima, a Dio piacendo, avrò la gioia di recarmi ad Ancora per la giornata culminante del Congresso. Fin da ora rivolgo il mio saluto cordiale e la mia benedizione a quanti parteciperanno a questo evento di grazia, che nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia adora e loda Cristo, sorgente di vita e di speranza per ogni uomo e per il mondo intero”.

Con queste parole il Papa, domenica 4 settembre, al termine dell’Angelus si è collegato alla celebrazione di Ancona, presieduta dal Card. Re, e concelebrata fra gli altri dal Card. Bagnasco e dall’Arcivescovo Menichelli.

Quest’ultimo, nell’introdurre la celebrazione, trasmessa da RaiUno con la regia di don Antonio Ammirati, ha invitato a leggere il Congresso come l’occasione di grazia con cui “rinnovare la fede nell’Eucaristia, rimotivare la missione della Chiesa italiana, raccontare con letizia e coraggio l’amore per Cristo Signore, percorrere la via della santità che nell’Eucaristia trae alimento e ragione, leggere l’Eucaristia come un convivere sociale dove la giustizia e la fraterna solidarietà hanno cittadinanza senza paura alcuna”.

Testo integrale dell’omelia (sezione “Relazioni e interventi”), foto e approfondimenti sul sito www.congressoeucaristico.it

Da lunedì 5, ogni giorno dalle 9.30, sempre sul sito ufficiale del Cen, la diretta dalle città della Metropolia di Ancona, dove – dopo la preghiera e la lectio, qualificati relatori affrontano le tematiche del Congresso: gli ambiti della vita quotidiana alla luce dell’Eucaristia.

 


Lunedì 5 Settembre 2011

Cen, le giornate dei 5 ambiti

Eucaristia, sinfonia di vita

 

 


 

Davanti alla “frammentazione dei saperi, delle persone, delle relazioni e delle componenti sociali”, la sfera dell’affettività può rappresentare “un nucleo generatore di unità”. Se è vero infatti che l’affettività “è un campo problematico”, è altrettanto vero che può essere “uno spazio per sperimentare una nuova via dove incontrare l’uomo”.
Lo ha affermato Ina Siviglia, docente alla Facoltà teologica di Palermo, nella relazione sulla vita affettiva, tema guida della giornata di lunedì 5 settembre al XXV Congresso Eucaristico Nazionale. Nella società di oggi “la sfera affettiva può essere definita come ‘cultura dei senza’: sesso senza amore, amore senza matrimonio, matrimonio senza figli”. E questo, ha osservato Siviglia, “deve indurci ad analisi e riflessioni molto puntuali che, evitando un moralismo esagerato, conducano ad una progettualità educativa che sappia accompagnare in maniera continuativa il bambino, il ragazzo, il giovane”. Secondo la teologa, è necessaria “una vera e propria alleanza educativa tra diversi soggetti educanti”. Occorre cioè “creare reti di relazioni che costituiscano ambienti competenti
e favorevoli ad una crescita armonica della personalità e a una specifica maturazione dell’affettività”.
“Le esperienze affettive sono sempre più spesso svincolate da ogni legame duraturo e al di fuori di qualsiasi logica progettuale e al tempo stesso i legami non sempre sono alimentati dalla dimensione affettiva”, ha rilevato da parte sua il pedagogista dell’Università Cattolica e presidente della Confederazione dei Consultori di Ispirazione Cristiana, Domenico Simeone, ricordando che “per compiere il cammino verso un amore maturo i bambini, i ragazzi e i giovani hanno bisogno di testimoni credibili e affidabili con cui confrontarsi, di adulti che sappiano ‘compromettersi’ nella relazione educativa, hanno bisogno di educatori che sappiano aprire le porte del futuro perché sogni, desideri, progetti possano trovare dimora”. Del resto, ha sottolineato Simeone, “compito dell’educatore è suscitare nel soggetto una responsabile progettazione dell’esistenza, che, evitando i rischi della progettazione inautentica connotata da acriticità, incoerenza, unilateralità, assecondi la capacità di effettuare scelte orientate al futuro, aperte al cambiamento e volte alla piena realizzazione della persona nella sua globalità”.
In quest’ottica, “la famiglia rimane l’ambito fondamentale dell’umanizzazione della persona, il luogo privilegiato della cura degli affetti e dell’educazione”. Non meno importante è il ruolo della comunità ecclesiale: “i problemi scottanti che interpellano oggi la Chiesa (giustizia, pace, bioetica, ecologia) e non ultima la questione antropologica – ha concluso Siviglia – esigono un serio ripensamento globale di tutta la progettualità e la prassi pastorale”. Per vivere pienamente la vita eucaristica.

 

Martedì 6 Settembre 2011


Cen, è la giornata della fragilità

Entra in carcere la Croce della Gmg

 

 


 


Il Centro Caritativo Beato Gabriele Ferretti, nasce dall’esigenza di continuare l’esperienza di accoglienza e apertura alla persona che in vario modo è effettuata, con il coordinamento della Caritas Diocesana, nelle realtà ecclesiali del territorio dell’ Arcidiocesi di Ancona-Osimo.
Sarà gestito dall’Associazione di riferimento della Diocesi, la SS. Annunziata Onlus, ed è rivolto a persone in difficoltà, senza fissa dimora, con problemi legati a disagi di tipologie diverse e vede la realizzazione di un centro con numerosi servizi legati a singole progettualità:
1) casa di seconda accoglienza,
2) “mercatino della solidarietà” per residenti in stato di povertà,
3) mensa serale,
4) centro diurno per senza dimora
5) laboratorio
6) servizio di igiene personale (docce- lavanderia).
Il Centro Caritativo Beato Gabriele Ferretti vuole essere soprattutto un’opera segno che stimoli tutti gli uomini e le donne di buona volontà a mettersi in atteggiamento di incontro e attenzione nei confronti di chi soffre, di chi è rimasto solo, di chi ha smarrito la strada…
Le possibilità che si aprono rispetto al volontariato in questa nuova realtà, che si aggiunge al Centro Giovanni Paolo II di via Podesti, sono quindi numerose, in base alla disponibilità di tempo e alle caratteristiche di ciascuno.
L’importante è che questa opera viva della presenza costante e generosa di chi riconosce il proprio cammino personale e di fede alla luce dell’incontro e della condivisione con l’altro e cerca quindi di vivere la propria esperienza nell’ottica della comunione, del pane spezzato per tutti, del pane condiviso con tutti nella solidarietà e nella giustizia.


Mercoledì 7 Settembre 2011

Al Cen è la volta di lavoro e festa

Il Vangelo  nel cuore della vita

Uno sguardo eucaristico sulla realtà vuol essere il Congresso in corso nella metropolia di Ancona: un esercizio essenziale, per vivere nella luce dell’Eucaristia e per celebrarla nel cuore della vita. In questa prospettiva, mercoledì 7 settembre si punta a rileggere il Vangelo nell’ambito del lavoro e della festa, con una serie di incontri di approfondimento tra Fabriano, Ancona, Falconara e Osimo: dalle 10 si possono seguire in streaming sul sito del Congresso. Riflessioni, ma anche celebrazioni, concerti, e feste.

 

 

 

Giovedì 8 Settembre 2011

Cen, la giornata della tradizione

Per una vita buona, per una vita riuscita



L’ambito della tradizione – a cui il Congresso dedica la giornata di giovedì 8 settembre – invita a riflettere in qual modo l’Eucaristia sostiene il dinamismo della vita cristiana. Il Cristo che si dona, presente nel pane eucaristico, è il riferimento per quella vita buona del Vangelo, nella quale ogni uomo ed ogni donna può trovare la più profonda realizzazione della sua umanità. E’ la giornata dei sacerdoti e della vita consacrata; è la giornata della processione eucaristica, solennizzata anche dall’infiorata.  La città è spesso fatta di mondi che non si parlano: come l’Eucaristia aiuta a coniugare unità e diversità, a fare posto agli esclusi? Maggioranza e minoranza sono due categorie spesso usate contrapposte: come l’Eucaristia ricompone persona e comunità, i pochi e i molti? L’Eucaristia è pane del cammino, accompagna ovunque: come può diventare fonte di accoglienza?

 

 

Venerdì 9 Settembre 2011

Cen, la giornata della cittadinanza

“I cristiani hanno una parola per la città”

 

 

 

“Dobbiamo arrenderci all’Eucaristia che, unendoci intimamente a Gesù, ci apre agli uomini e ce li fa riconoscere non solo come nostri simili ma come fratelli, e ci spinge a servirli. Non è dunque la sintonia ideologica o caratteriale che ci unisce gli uni agli altri, ma Dio; e nella sua verità non ci sono lontananze incolmabili o fratture che non possono essere sanate”. La giornata dedicata alla cittadinanza ha trovato il suo culmine nella celebrazione eucaristica presieduta dal Card. Bagnasco.
Ad Ancona, in una Cattedrale gremita, venerdì 9 settembre il Presidente della Cei, citando sant’Agostino ha ricordato come “nella santa comunione, infatti, siamo assimilati a Lui, conformati a Lui: la nostra individualità viene elevata ma non distrutta, si ritrova più ricca nella comunione trinitaria”.
Questo orizzonte religioso “precede il pur nobile impegno morale” e rende i cristiani “consapevoli di avere qualcosa di proprio da dire”; qualcosa che si condensa in una precisa visione dell’uomo, i cui “cardini costitutivi” e “fondativi della nostra civiltà umanistica” si riassumono nella “vita senza alcuna decurtazione, il matrimonio e la famiglia, la libertà religiosa ed educativa”. Da tale architrave nasce il bene comune, del quale “il lavoro è espressione peculiare, e sul quale oggi si addensano motivate preoccupazioni”.
Soffermandosi sul tema della città, il Cardinale ha richiamato le immagini evangeliche del lievito e del sale per parlare della presenza dei cristiani nella società civile. Ha, quindi, lanciato un appello a dar voce “insieme” a tale presenza: “«insieme», senza avventure solitarie, per essere significativi ed efficaci: «insieme» secondo le forme storicamente   possibili, con realismo e senza ingenuità o illusioni, facendo tesoro degli insegnamenti della storia.
“La condensazione di ideali comuni, che nascono dall’ ispirazione cristiana e dalla sapienza umana – ha concluso – è una ricchezza per tutti”.

» Omelia del S.Em. Card. Angelo Bagnasco [.doc] [.mp3]

 

 


Sabato 10  Settembre 2011

Cen, la giornata della famiglia
Mille famiglie,  una sola famiglia

 

La domenica è “il giorno privilegiato della famiglia”. Per questo “non bisogna rassegnarsi a lasciarlo ridurre a week end, fine settimana consumista e individualista, disgregazione delle comunità e delle famiglie”. Il monito è stato lanciato sabato 10 settembre dal card. Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, durante la celebrazione eucaristica che ha dato il via al quarto pellegrinaggio delle famiglie, inserito nel programma del Congresso eucaristico nazionale.
“La partecipazione assidua alla messa della domenica è il sostegno necessario e insostituibile della famiglia cristiana”, ha ricordato il cardinale sottolineando che “intorno a questo incontro settimanale col Signore nell’assemblea liturgica, la famiglia si costruisce come piccola chiesa missionaria e cellula vitale della società mediante la procreazione generosa e responsabile, l’educazione cristiana dei figli, la preghiera in casa, l’amore reciproco e verso tutti, l’incremento delle virtù personali e sociali, le attività ecclesiali e caritative, l’impegno lavorativo e civile”.
Del resto, “ogni celebrazione eucaristica, in quanto ripresentazione del sacrificio della croce, è anche celebrazione dell’alleanza nuziale di Cristo con la Chiesa”. Ecco perché “per i coniugi cristiani partecipare bene e possibilmente insieme alla Messa significa alimentare l’amore reciproco, la carità coniugale”. “La domenica, che nel vangelo di oggi viene chiamata il primo giorno della settimana – ha ribadito il card. Antonelli – è destinata a diventare il giorno privilegiato della famiglia”.
Ai partecipanti al pellegrinaggio delle famiglie – circa 30 mila persone aderenti ad associazioni e movimenti arrivate ad Ancona da tutta Italia – è giunto il saluto del Papa che, attraverso un telegramma a firma del segretario di Stato Tarcisio Bertone, ha esortato ad “attingere sempre dalla celebrazione e dall’adorazione eucaristica energie nuove per camminare in unità di amore e vita e cooperare all’edificazione della comunità ecclesiale e civile”.
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Venerdì 2 Settembre 2011


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La mostra, inaugurazione in diretta
L’arte europea racconta l’Eucaristia



Alla Mensa del Signore. Capolavori dell’Arte Europea da Raffaello a Tiepolo”: la mostra – allestita ad Ancona per il Congresso Eucaristico – presenta un cospicuo numero di capolavori dell’arte, ben 120 opere, molti di dimensioni monumentali, il cui allestimento si è reso possibile grazie agli imponenti spazi della Mole Vanvitelliana.
Un vero e proprio museo dunque, pur se temporaneo, il cui tema evoca subito i nomi di Leonardo e Raffaello, il primo presente con la predella della pala Baglione raffigurante la Carità, il secondo evocato da molte opere fra cui spicca lo spettacolare e monumentale gruppo scultoreo della Basilica della Beata Vergine dei Miracoli di Saronno, che permetterà al pubblico di ammirare in forma tridimensionale il celebre affresco di Leonardo del convento delle Grazie.
La straordinarietà di questa mostra risiede, oltre che nei capolavori dei grandi maestri dell’arte europea, nella preziosa e ricca raccolta del vasto tesoro artistico conservato nelle diocesi marchigiane: un ordinamento storico-artistico mai realizzato prima d’ora e che rende la rassegna unica nel suo genere.
A presiederne l’inaugurazione, venerdì, 2 settembre, alle 18 – vedi la diretta streaming – saranno il Card. Giovanni Lajolo, Presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, S.E. mons. Edoardo Menichelli, Arcivescovo di Ancona-Osimo, don Stefano Russo, Direttore dell’Ufficio Nazionale per i Beni Culturali Ecclesiastici della CEI, Dott. Gian Mario Spacca, Presidente della Regione Marche, Prof. Fiorello Gramillano, Sindaco di Ancona, Dott.ssa Patrizia Casagrande, Presidente della Provincia di Ancona, Dott. Massimo Sarmi, Amministratore Delegato Poste Italiane, Prof. Giovanni Morello, Presidente Comitato Scientifico del CEN, Prof. Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani e Dott. Rodolfo Giampieri, Presidente Camera di Commercio di Ancona.


Da Avvenire

 

La seconda giornata di lavori del Congresso eucaristico nelle Marche è stata dedicata al tema della “fragilità”. In mattinata, riflessioni in contemporanea ad Ancona, Loreto e Osimo, dove si sono celebrate al mattino le messe presiedute rispettivamente da monsignor Liberati, monsignor Marrucci e monsignor Canalini, a cui sono seguite le lodi. In serata ad Ancona la messa presieduta dal cardinale Tettamanzi (nella foto Siciliani, gli stand delle cooperative nate dal Progetto Policoro).





Declino degli ordini religiosi

 

 

È la fine di una grande storia?

 

 

Ottimi affari, negli ultimi anni ma ancor più nei prossimi, per gli agenti immobiliari romani che trattano «grandi edifici di pregio». Dopo il Concordato — e poi, con ritmo accelerato, nel secondo dopoguerra — congregazioni e istituti cattolici del mondo intero hanno costruito a Roma le loro Case generalizie. Alcuni hanno eretto qui anche i loro noviziati e seminari. Spesso non si è badato a spese, soprattutto nell’ampiezza dell’area acquistata, sistemata a parco per proteggere tranquillità e privacy dei religiosi. I progettisti erano in gran parte del Paese d’origine dell’Istituto, così che Roma ha finito per ospitare una collezione di architettura mondiale (nel meglio e nel peggio), anche se quasi sempre invisibile dietro cancelli, mura, alberi. Ebbene, non solo la secolarizzazione,  ma anche le prospettive dopo il Vaticano II, stanno realizzando silenziosamente quanto fecero con la violenza i francesi del giovane Bonaparte, allorché occuparono Roma e deportarono il Papa; e   poi i Piemontesi, quando lo costrinsero a imprigionarsi non a Parigi ma nel recinto vaticano. In entrambi i casi, tra le prime mosse degli invasori ci fu lo sfratto violento di frati, monaci e monache   la messa sul mercato del loro grande patrimonio immobiliare. Patrimonio che, poi, fu ricostituito, anzi moltiplicato sino a quando, raggiunto il vertice alla metà degli anni Sessanta, ha cominciato un imprevisto declino.


Molto si è parlato e si parla del rarefarsi delle vocazioni alla vita sacerdotale, pensando però, soprattutto, al clero secolare, quello delle diocesi, delle parrocchie. Ma forse meno si è detto, almeno  nel mondo laico, dell’inarrestabile declino numerico delle innumerevoli congregazioni di religiosi e, in modo ancor più accentuato, di religiose. Tra Ottocento e primo Novecento sono sorte centinaia di famiglie di suore di «vita attiva», che hanno svolto preziosi compiti sociali, spesso con un impegno ammirevole e talvolta eroico. Ma ora quei compiti sono gestiti (spesso a costi ben maggiori e con efficacia ben minore: ma questo è un altro discorso…) da enti pubblici, oppure quei bisogni sono stati eliminati dai tempi mutati. La giovane che abbia oggi — ad esempio — la vocazione al servizio dei malati come infermiera, o dei bambini come maestra, pensa a un contratto ospedaliero o statale e non, come un tempo, a un noviziato di Sorelle. Anche le Congregazioni maschili hanno sentito duramente la sparizione dei compiti per i quali erano stati fondati. Ma sia tra gli uomini che tra le donne ha agito anche lo spirito conciliare, con la riscoperta del «sacerdozio universale» con la conseguente rivalutazione del laicato, dunque con la consapevolezza che per essere cristiani sino in fondo la vita religiosa non è la via obbligata.


Di fronte al declino, i Superiori hanno spesso reagito nel modo contrario a quanto suggerivano esperienza e sensus fidei: nelle molte crisi della sua storia, sempre la Chiesa ha affrontato la sfida scegliendo il rigore, non l’allentamento delle briglie. Non avvenne così quando la Riforma protestante svuotò metà dei conventi d’Europa o nel XIX secolo, dopo la bufera rivoluzionaria? Nel dopo  Vaticano II, invece, la riscrittura di Regole e Statuti per addolcire ascesi e disciplina, l’imborghesimento di vite che erano state austere, non ha attratto novizi, desiderosi di Assoluto, come tutti i  giovani, e non di compromessi con lo spirito del tempo. Non a caso, chi ha retto meglio sono i monasteri di clausura che hanno continuato a proporre una Regola esigente, come da Tradizione. Dopo l’esodo impressionante del decennio ’68-78, i vuoti non sono stati riempiti e (seppur in modo più o meno accentuato, a seconda degli Istituti) il declino continua e l’età media s’innalza.
Verranno generosi e abbondanti rincalzi, allora, da Asia e Africa? I Superiori generali che interrogai, quando feci una lunga inchiesta tra le Congregazioni, mi confessarono che questa è stata,  almeno in parte, una grande illusione. Motivi spesso dubbi sull’origine della «vocazione» (un modo, come da noi un tempo, di sottrarsi alla miseria, di studiare, di diventare un notabile), culture,  temperamenti, storie troppo diverse per identificare la vita intera al carisma di un Fondatore europeo spesso di secoli fa.


Insomma, le statistiche sono impietose e la realtà, troppo spesso, presenta case di formazione trasformate in case di riposo, che assorbono per l’assistenza molte delle energie superstiti. Non passa  mese in cui qualche scuola non si chiuda; qualche convento, anche storico e illustre, non venga abbandonato; qualche chiesa non sia passata alle diocesi, esse pure in grandi difficoltà di personale. Intanto, qualche Casa generalizia di Roma è messa sul mercato, per ritirarsi in luoghi meno vasti e più economici.


Realtà rattristante, per un credente? Certamente è doloroso assistere al declino di istituzioni che furono benemerite e madri di tanti santi e constatare il dolore di cristiani che hanno dato la vita a Famiglie che amavano e che, ora, vedono estinguersi. Ma, nella prospettiva di fede, nulla può esserci di davvero inquietante. La Provvidenza che guida la storia (e tanto più la Chiesa, corpo stesso di Cristo) sa quel che fa: «Tutto è Grazia», per dirla con le ultime parole del curato di campagna di Bernanos. La Chiesa non è un fossile, ma un albero vivo dove, sempre, alcuni rami inaridiscono mentre altri spuntano e vigoreggiano. Chi conosce la sua storia sa che in essa, sull’esempio del Fondatore, la morte è seguita dalla risurrezione, spesso in forme umanamente impreviste. Non si dimentichi che nel primo millennio cristiano c’erano soltanto preti secolari e monaci: tutte le famiglie religiose sono apparse solo a partire dal secondo millennio. Frati e suore non ci furono per molti secoli, dunque, pur lasciando un ricordo glorioso e nostalgico, potrebbero non esserci in futuro (è una ipotesi estrema) o, almeno, avere sempre meno peso e influenza. Ciò che è certo è che, a ogni generazione, in molti cristiani continuerà ad accendersi il bisogno di vivere il Vangelo sine glossa, nella sua radicalità. Quale volto nuovo assumerà la vita consacrata per intero al perfezionamento personale e al servizio del prossimo? Beh, la conoscenza del futuro ci è preclusa, è monopolio di Colui che, attraverso poveri uomini, guida una Chiesa che non è nostra ma sua.


in “Corriere della Sera” del 31 agosto 2011

«Un cuore che arde per tutta la creazione»

 

Il 1° settembre, capodanno della Chiesa ortodossa, è la Giornata del Creato.

In occasione di questo appuntamento dedicato alla riflessione sulla necessità di salvaguardare l’ambiente che abbiamo  ricevuto in dono con il dovere di lasciarlo in eredità alle generazioni future, ci sembra importante tradurre il messaggio per l’occasione del patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, anche perché su questo tema la Chiesa ortodossa e le Chiese evangelico-luterane sono state le prime a mostrare consapevolezza e sensibilità.
La Giornata del Creato si celebra nella Chiesa ortodossa dal 1989 su proposta del patriarca Dimitrios all’Assemblea ecumenica di Basilea. In Italia – come negli altri Paesi cattolici – l’iniziativa è stata introdotta nel 2006.

 

Amati figli nel Signore,
Per grazia di Dio, iniziamo oggi ancora un altro anno della Chiesa, ancora un altro ciclo di festa, con tutte le opportunità che ci fornisce, benedetto per noi così da intensificare la nostra lotta spirituale in modo che ci possiamo rendere conto dell’opportunità che ci è stata concessa di diventare “a somiglianza di Dio” e che anche noi possiamo diventare i suoi santi.
Questo giorno, il 1 ° settembre, il primo giorno dell’anno della Chiesa, è anche, proprio su iniziativa del Patriarcato ecumenico, dedicato alla preghiera per l’ambiente naturale. Questa dedica è  tutt’altro che estranea al significato della giornata che ci invita ad un rinnovato impegno spirituale, dal momento che questa lotta fa sì che ‘il cambiamento buono’ in una persona contribuisca al miglioramento delle sue relazioni con l’ambiente e della sua sensibilità nel riconoscere l’importanza della sua tutela e conservazione.
E così oggi siamo chiamati a glorificare il santo nome di Dio, perché egli ha fatto dono al genere umano della natura da conservare e sostenere come l’ambiente più ideale per un sano sviluppo del corpo e dello spirito. Non possiamo, tuttavia, trascurare il fatto che l’uomo non ha riconosciuto il valore di questo dono di Dio, come avrebbe dovuto e continua a distruggere l’ambiente per avidità  o altri desideri egoistici.
Il nostro ambiente, come sappiamo, è composto da terra, acqua, sole e aria e anche, naturalmente, fauna e flora. L’uomo può sfruttare la natura a suo vantaggio fino ad un certo limite che garantisce la sostenibilità delle risorse energetiche consumate e salvaguarda la riproduzione di tutte le creature viventi. In effetti, questo sfruttamento della natura in senso buono è esplicito comando di Dio per l’uomo prima della sua caduta nel peccato. La trasgressione di questo limite, però, che è stata una caratteristica degli ultimi due secoli della storia umana, e ha condotto alla distruzione  dell’armonia dei costituenti naturali dell’ambiente, al loro logoramento e, alla lunga, alla morte del creato e dell’uomo stesso che non può sopravvivere in eco-sistemi che sono diventati sbilanciati in un modo irreversibile. Un risultato di questo fenomeno è la comparsa e la diffusione di malattie a causa dell’alterazione della catena alimentare causata dalle attività umane.
L’importanza fondamentale delle foreste (il 2011 è l’Anno dedicato dalle Nazioni Unite alle foreste) e della flora in generale per la sostenibilità della terra in quanto eco-sistema è giustamente sottolineato al giorno d’oggi, così come la necessità di preservare le sue risorse idriche, ma non dobbiamo sottovalutare l’enorme contributo della vita animale nel garantire lo sviluppo armonioso e il funzionamento della natura. Gli animali sono sempre stati amici per l’uomo e servi dei bisogni umani, fornendoci cibo, vestiario e trasporto, nonché protezione e compagnia. Lo stretto rapporto dell’uomo con gli animali è dimostrato dal fatto che sono stati creati lo stesso giorno (Gen 1,24-31) e dal comando di Dio di Noè di salvare una coppia di ogni specie dal diluvio imminente  (Gen 6,19 ). E’ molto significativo che Dio mostri particolare attenzione alla conservazione del regno animale. Spesso nelle Vite dei Santi incontriamo storie sui rapporti meravigliosi tra Santi e  animali, anche feroci, che in altre circostanze sarebbero stati tutt’altro che amichevolmente disposti verso l’uomo. Questo, naturalmente, non è dovuto alla loro natura malvagia, ma alla resistenza dell’uomo alla grazia di Dio e la sua successiva rotta di collisione con gli elementi e le creature della natura.
Inoltre, un’ulteriore conseguenza della rottura del rapporto tra Adamo ed Eva e il loro Creatore, Dio, è stata l’interruzione del loro rapporto con l’ambiente: “Maledetto il suolo per causa tua! Con dolori ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai!” (Gen 3,17-19); la riconciliazione dell’uomo con Dio comporta la sua riconciliazione con gli elementi della natura.
In quest’ottica è chiaro che un buon rapporto dell’uomo con l’ambiente si sviluppa quando insieme a questo si sviluppa un buon rapporto tra l’uomo e Dio. C’è un passo ben noto della vita di Sant’Antonio che racconta come, all’età di novantanni il Santo avesse deciso sotto la guida di un angelo del Signore di partire addentrandosi nel deserto per andare a trovare un altro eremita, San Paolo di Tebe, così da beneficiare del suo consiglio spirituale. Dopo aver camminato per tre giorni in cerca del Santo seguendo le tracce di animali selvatici, finalmente ha incontrato un leone che con calma ha piegato la testa davanti a lui e, facendo un dietrofront, ha condotto Antonio alla grotta di San Paolo, dove trovò l’eremita servito da animali selvatici. La sua razione di pane gli veniva portata ogni giorno da un corvo! Infatti, il giorno in cui Sant’Antonio gli ha fatto visita, l’uccello ha portato una doppia razione, dato che aveva pure previsto l’ospite! Questi santi avevano sviluppato
un rapporto benedetto con Dio, e quindi avevano altresì gentili rapporti con tutte le creature della natura. La creazione di questo buon rapporto con Dio deve essere la nostra preoccupazione principale, e al servizio di questo obiettivo, dobbiamo lottare per una buona relazione con il nostro ambiente, animale, vegetale e fisico. Da questa prospettiva il nostro amore per gli animali non sarà semplicemente una manifestazione di solidarietà con quanti amano gli animali e che, ahimè, troppo spesso viene accompagnato da indifferenza alle sofferenze del nostro prossimo, immagine di Dio, ma sarà il risultato autentico del nostro buon rapporto con il Creatore di tutte le cose. Vorrei che il Creatore dell’universo “estremamente buono” e della realtà terrena “estremamente buona”, vale a dire l’ecosistema, ispirasse tutti noi a comportarci con compassione verso tutti gli elementi della natura con cuore che pieno di misericordia per tutti: esseri umani, animali e piante. Quando a San Isacco il Siro è stato chiesto: “In cosa consiste un cuore misericordioso?” ha risposto: “Un cuore misericordioso è un cuore che arde per tutta la creazione, per gli uomini, per gli uccelli, per le bestie e per ogni cosa creata e dal ricordo e dalla contemplazione di queste cose sono riempiti gli occhi di lacrime Dall’intensità e sovrabbondanza di misericordia del cuore, e dalla sua profonda contrizione, il cuore non può sopportare di sentire o di vedere alcun danno o alcuna creatura cui accada dolore ” (Isacco il Siro, Discorso 81).
Attraverso tale compassione verso tutto il creato onoreremo il ruolo che ci è stato conferito da Dio di reggitori della creazione, guardando con cura paterna a tutti i suoi elementi. In questo modo questi elementi saranno obbedienti a noi, rimanendo a nostra disposizione con benevolenza e fedeltà nell’eseguire la loro missione di servire alle nostre esigenze secondo il comando del Signore”.
Il vostro caro fratello in Cristo in preghiera fervente davanti a Dio

+ Bartolomeo di Costantinopoli

in “Vino Nuovo” (www.vinonuovo.it) del 1 settembre 2011 (traduzione: Maira Teresa Pontara Pederiva)

Libertà religiosa: indagine mondiale del Pew Forum

 

L’indagine mondiale del Pew Forum registra l’aumento di restrizioni e violenze. Il primato negativo a Egitto, Pakistan e India. Tra i paesi musulmani l’unico in controtendenza è la Turchia. I più maltrattati: i cristiani

 

 

L’indagine del Pew Forum ha preceduto le rivolte che sconvolgono il Nordafrica e il Medio Oriente. Ma non promette nulla di buono sui loro sviluppi futuri.

Già prima dello scoppio delle rivolte, infatti, gli indicatori segnavano quasi ovunque un peggioramento.

L’indagine ha riguardato le restrizioni alla libertà religiosa in 198 paesi del mondo: sia le restrizioni imposte dai governi, sia quelle prodotte da violenze di persone e di gruppi.

Rispetto a un’analoga indagine del Pew Forum di tre anni prima, il confronto segna un diffuso aumento di tali restrizioni.

E il paese che più di tutti è cambiato in peggio è proprio uno di quelli della cosiddetta “primavera araba”: l’Egitto.

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Limitando lo sguardo ai paesi con più di 50 milioni di abitanti – come nel grafico sopra riprodotto – si può notare, rispetto alla precedente indagine, il netto peggioramento della situazione anche in Pakistan e in Nigeria.

I due colossi, l’India e la Cina, cambiano di poco rispetto a tre anni prima.

L’India rimane il paese record per le ostilità tra i gruppi religiosi, che si aggiungono alle già pesanti restrizioni di legge. A dispetto della fama pacifista che questo paese reca con sé.

Mentre la Cina mantiene il record – conteso solo da Iran ed Egitto – delle restrizioni di tipo politico. Con un aumento sensibile, però, anche delle ostilità interreligiose nella popolazione, in precedenza più contenute.

Va notato che tra i paesi con gli indicatori peggiori vi sono quelli con la più numerosa popolazione musulmana del globo: Indonesia, Pakistan, Egitto, Iran, Bangladesh…

Tra i grandi paesi musulmani solo la Turchia ha attenuato il proprio grado di restrizione alla libertà religiosa, rispetto a tre anni prima.

Proprio in questi giorni il primo ministro turco Tayip Erdogan ha deciso la restituzione alle fondazioni religiose non musulmane di più di mille proprietà confiscate dal regime dopo il 1936:

> Storica decisione: Erdogan restituisce le proprietà sequestrate alle minoranze religiose

Tra i paesi europei quello con gli indicatori peggiori, sia politici che sociali, è la Russia. Ma anche il Regno Unito e la Francia hanno irrigidito le restrizioni legali alla libertà religiosa.

Una curiosità. Tra le cinque nuove potenze emergenti le due maggiori, la Cina e l’India, hanno pessimi standard per quanto riguarda la libertà religiosa.

Il Brasile e il Sudafrica, invece, sono all’estremo opposto, con ampi spazi di libertà.

Mentre la Russia era tre anni fa in una posizione intermedia, ma ha fatto rapidi passi di avvicinamento alla zona critica.

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In sintesi, uno su quattro dei paesi che già nel 2006 registravano forti restrizioni alla libertà religiosa hanno ulteriormente peggiorato i loro standard negli anni successivi.

Ma se si guarda non ai singoli stati ma al numero degli abitanti, i risultati dell’indagine sono ancor più impressionanti: ben il 59 per cento della popolazione mondiale vive oggi con restrizioni alla libertà religiosa “alte” o “altissime”.

La religione che più soffre tale situazione è il cristianesimo. Ma anche i musulmani ne sono vittima. In Nigeria lo scontro sociale è con i cristiani, ma altrove i musulmani sono soggetti a restrizioni legali e a violenze soprattutto ad opera di loro correligionari. In Iraq, ad esempio, sono molto più numerose le vittime di attentati islamisti alle moschee che alle chiese.

Ricchissima di dati, la doppia indagine del Pew Forum – l’autorevole centro ricerche sulla religione e la vita pubblica con sede a Washington – è tutta da leggere.

Sia quella pubblicata il 17 dicembre 2009:

> Global Restrictions on Religion

Sia quella messa in rete il 9 agosto di quest’anno, con le variazioni intercorse in ciascun paese:

> Rising Restrictions on Religion

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Alla precedente indagine del Pew Forum www.chiesa aveva dedicato il seguente servizio:

> Libertà di religione? Per 5 miliardi di uomini è un sogno proibito (8.1.2010)

Eucarestia e logos, un legame propizio per la Chiesa

 

Descrizione evento:

EUCARISTIA E LOGOS.
Un legame propizio per la Teologia e la Chiesa
Alpignano (TO)  29 agosto – 2 settembre 2011

Le ragioni del Congresso

Il XXII Congresso nazionale dell’ATI si pone in ideale continuità con il precedente: Teologia dalla Scrittura. Se là il tema messo a fuoco era il modus del riferimento costitutivo della teologia alla Scrittura, si tratta ora di mettere a tema la qualità che il lógos cristiano è per sé chiamato a esibire a partire dal segno e dal luogo istitutivo dell’identità e della missione della comunità dei discepoli di Gesù: l’Eucaristia.

Il percorso muove dall’attestazione biblica del proporsi del gesto eucaristico nella sua singolare originalità che è insieme aperta a una pluralità di declinazioni; intreccia poi, di qui, un profilo più generale, inteso a tratteggiare lo “stile” e il “linguaggio” che dal gesto eucaristico per sé sprigionano, con due profili più specifici: il primo, volto a rinvenire l’effettiva incidenza storica dell’Eucaristica sulla forma della teologia e del pensare cristiano, ma anche dell’arte, della mistica e del rapporto coniugale nella sua paradigmatica esemplarità; il secondo, volto a profilare l’indole che l’annuncio di Gesù Cristo ha da assumere, da un lato, in conformità alla sua intrinseca natura eucaristica, e, dall’altro, in sintonia con i segni dei tempi in un contesto, come quello contemporaneo, dilatato a misura globale.

I laboratori previsti, con metodologia seminariale, offriranno l’opportunità, tenendo fermo l’oggetto formale che regge il percorso, di fare il punto su alcune questioni necessariamente implicate dal gesto eucaristico in ordine alla figura della fede, dell’assemblea eucaristica e della missione.

L’intuizione e l’auspicio è che si possano così verificare, almeno in modo principiale, la pertinenza oggettiva e la rilevanza pratica di un legame – quello tra Eucaristia e logos – oggi a ben vedere più che mai propizio per la teologia e per la Chiesa.

Programma
Lunedì 29 agosto

16.00: Apertura dei lavori – Saluti della autorità

Eucaristia e logos (Piero Coda)

Sintesi sui pre-congressi (Francesco Scanziani)

Dalla Scrittura: un unico gesto per un pensiero plurale (Maurizio Marcheselli)

19.30: Celebrazione del Vespro

Martedì 30 agosto

7.30: Celebrazione eucaristica presieduta dal Card. Severino Poletto, Arcivescovo emerito di Torino

9.00: Eucaristia e stile cristiano (Pierangelo Sequeri)

11.00: Eucaristia e linguaggio della fede cristiana (Paul Gilbert)

16.00: Gruppi di studio (coordinamento a cura di Paolo Gamberini – sarà possibile partecipare a uno dei gruppi proposti):

Inculturazione e eucaristia; linguaggi inculturati (Andrea Bozzolo)
La struttura dialogica dell’assemblea eucaristica (Andrea Grillo)
Eucaristia e presenza di Cristo (Cesare Giraudo)
Fare teologia a partire dalla liturgia: Odo Casel e Karl Rahner (Pierpaolo Caspani)
Identità eucaristica: a partire dagli altri (Paolo Gamberini)

19.30: Celebrazione del Vespro

Mercoledì 31 agosto

7.30: Celebrazione eucaristica presieduta da Mons. Piero Coda

9.00 – 10.00:  Eucaristia e teologia in P.A. Florenskij (Natalino Valentini)
Eucaristia e teologia in E. Jüngel (Fulvio Ferrario)

11.00 – 12.00:  Eucaristia e teologia nel concilio di Trento (Angelo Maffeis)
Eucaristia e teologia nel concilio Vaticano II (Ghislain Lafont)

16.00: Assemblee di zona

18.00: Assemblea generale elettiva

19.30: Celebrazione del Vespro

Giovedì 1 settembre

7.30: Celebrazione delle Lodi

9.00: Eucaristia e soggetto del pensare cristiano (Serena Noceti)

11.00: La carne del logos:

Eucaristia e linguaggio dell’arte (Guido Bertagna)
Eucaristia e linguaggio della mistica (Francesco Asti)
Rapporto coniugale e logos eucaristico (Xavier Lacroix)

15.30: Visita alla Reggia della Venaria Reale e al centro di Torino

19.00: Celebrazione eucaristica presso il Santuario della Consolata di Torino, presieduta da Mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino

Venerdì 2 settembre

7.30: Celebrazione eucaristica presieduta da Mons. Luciano Pacomio, vescovo di Mondovì

9.00: Eucaristia e logos annunciato. Una chiave interpretativa (Roberto Repole)

Contesti:  Asia (Paolo Gamberini)
Europa (Giovanni Ferretti)
America Latina (Ermis Segatti)

12.30: Conclusione

 

I teologi riflettono sul culto del corpo

Sesso e “culto” del corpo, ma anche arte e globalizzazione. Sono alcuni dei temi che terranno impegnati da lunedì a venerdì prossimo i teologi che, in occasione del 150˚dell’Unità d’Italia, hanno scelto Torino per il loro appuntamento nazionale, giunto all’edizione numero 22. Sarà l’hotel Parlapà di Alpignano ad ospitare il congresso organizzato ogni due anni dall’Associazione teologica italiana, la più rappresentativa del settore, con i suoi 320 membri, tra preti e laici, che di mestiere studiano «la scienza di Dio». L’associazione è nata nel ‘67, dopo il Concilio Vaticano II, nel tentativo di «svecchiare» la teologia, facendola dialogare con la modernità.
Alla faccia di chi pensa che la teologia abbia la testa «tra le nuvole», i convegnisti si confronteranno su body building, palestra, alimentazione e più in generale cura del corpo, ma anche arte,  religioni «fai da te», eros e sessualità. «Questo non solo per smentire la fama sessuofobica della Chiesa cattolica – puntualizzano gli organizzatori – ma per dare un contributo a chiarificare che cosa  dice il corpo di quel che l’uomo è, nelle sue pulsioni e nella sua forza, così come nei suoi limiti e nella sua debolezza».
Tema portante del congresso, nel corso del quale verrà anche rinnovato il cda dell’associazione, è «Eucarestia e logos, un legame propizio per la Chiesa». Un anticipo del Congresso eucaristico nazionale, che si svolge ad Ancona a partire da sabato prossimo. «Cercheremo di capire in che misura l’Eucarestia incide sul pensiero dei cristiani e, di conseguenza, nel dibattito pubblico».
Ancora: «In un contesto di pluralismo e di crisi, ci chiederemo cosa abbia ancora da dire oggi il pensiero cristiano, misurandoci su temi che non passano mai di moda, come l’amore di coppia».
Al convegno partecipano l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, che giovedì alle 19 celebra la messa alla Consolata – dopo la visita dei teologi alla Reggia di Venaria e al centro di Torino – e il suo predecessore, il cardinale Severino Poletto, oltre a mons. Luciano Pacomio, vescovo di Mondovì. Si alterneranno alcuni tra i nomi più importanti del panorama attuale della teologia, con relazioni su temi quali la mistica, la liturgia e l’inculturazione, ossia lo sforzo di «tradurre» la fede cristiana nelle culture a lei più lontane. Tra i relatori, il teologo e musicista don Pierangelo Sequeri parlerà dello «stile» cristiano, mons. Piero Coda, presidente uscente dell’associazione, del rapporto tra Eucarestia e «logos», il monaco benedettino francese Ghislain Lafont del Vaticano II, la teologa Serena Noceti del pensiero cristiano, il filosofo Xavier Lacroix del matrimonio. Infine, venerdì il convegno si chiude allargando lo sguardo alle terre di missione. Don Ermis Segatti, responsabile della Pastorale diocesana della Cultura, parlerà della situazione in America Latina, il padre gesuita Paolo Gamberini di quella in Asia, mentre a don Giovanni Ferretti toccherà la vecchia Europa.

di Fabrizio Assandri
in “La Stampa” del 26 agosto 2011

 

 

Chiesa di fede e di governo

Chiesa e Stato (o società): quante analisi e discussioni si sono avviluppate e ingarbugliate attorno a questo binomio. E i colori dei discorsi il più delle volte si sono fatti accesi e le tonalità squillanti.

Tanto per esemplificare gli estremi cromatici: «La Chiesa è lo spietato cuore dello Stato», scriveva Pasolini in un poemetto della Religione del mio tempo (1961), mentre Martin Luther King, nella Forza di amare (1968), ribatteva: «La Chiesa non è la padrona o la serva dello Stato, bensì la sua coscienza». C’è, poi, un altro equivoco da schiodare nell’opinione comune, ossia l’equazione d’identità Chiesa-Clero, con esiti spesso fieramente polemici, come già accadeva a Machiavelli che, intingendo la penna nel curaro, scriveva queste righe nei suoi Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio: «Abbiamo con la Chiesa e con i preti noi Italiani questo primo obbligo: di essere diventati senza religione e cattivi»!

Ma che cos’è effettivamente la Chiesa, questa realtà così celebrata e contestata, considerata anche il nodo più aggrovigliato che l’ecumenismo tenta vanamente di dipanare? Se dovessimo cercare la risposta nella bibliografia anche solo post-conciliare, ci troveremmo immersi subito in una foresta dai mille sentieri, nella quale si muovono a fatica già i teologi e dalla quale fedeli e “laici” uscirebbero ben presto spossati. Certo, si potrebbe consegnare loro quella sorta di mappa chiara e ben definita che è il documento del Concilio Vaticano II sulla Chiesa, denominato dalle prime parole Lumen gentium, ma forse anche in quel caso sarebbe necessaria un’esegesi di quel testo così denso e intenso, a causa della sua funzione “ufficiale”. Si potrebbe rimandare a quel Dizionario di Ecclesiologia, edito lo scorso anno da Città Nuova e da noi presentato proprio in queste pagine, ma si cadrebbe nel rischio della dispersione. Non sono neppure più agevoli i percorsi suggeriti dai manuali o trattati teologici, grossi tomi la cui lettura estenua già gli specialisti.

Vorremmo indicare una via un po’ più pianeggiante e breve. L’ha abbozzata in un volume ridotto ma succoso uno dei nostri migliori teologi contemporanei, Severino Dianich, docente emerito della facoltà di Teologia di Firenze, che ha sulle spalle una personale panoplia bibliografica poderosa, ma che qui ama indossare un’attrezzatura leggera quasi da viaggiatore. Sì, perché quello che egli propone è un viaggio, anzi, un’«esperienza» dal momento che presentare un tema della fede «non è mai un’operazione asettica, da svolgersi come si fosse col camice bianco in laboratorio». Alla radice della Chiesa c’è un dato originario. È «l’atto della comunicazione della fede da un credente a un’altra persona che l’accoglie e la fa sua», creando così una profonda comunione interpersonale; questo evento è «frutto di un disegno divino e della grazia di Dio che opera nella storia per attuarlo». In pratica, la Chiesa si rivela come il punto di incrocio fra l’orizzontalità dell’incontro tra  persone nella fede e la verticalità del rivelarsi di Dio nella grazia.
Si comprende, quindi, che la definizione della Chiesa come società è imperfetta: essa, certo, proprio perché comunità di uomini e donne inserite nelle coordinate spazio-temporali, insiste ed esiste nella storia e ha una dimensione “carnale”; ma al tempo stesso nel suo cuore intimo custodisce una realtà trascendente fatta appunto di grazia e di fede, senza la quale si sterilizzerebbe in una mera istituzione. La mappa ecclesiale che Dianich delinea è, perciò, ritmata costantemente su questi due livelli. Da un lato, c’è l’evento germinale che è dono divino e annuncio di fede. Esso vede in  azione la gratuità e l’efficacia superiore del sacramento, che genera continuità, indefettibilità, verità. D’altro lato, questo evento si attua nel mondo, ha per attori non solo Dio, ma anche persone,  apostoli, ministri, testimoni. La Chiesa, perciò, è dotata di una sua visibilità che si esprime nelle strutture e si espande nell’universalità (la «cattolicità»).

È su questo secondo versante che si colloca appunto il nesso Chiesa-politica da cui siamo partiti. La stessa «incarnazione», anzi, il cuore del messaggio evangelico e del Regno di Dio, fondato sulla giustizia, sulla libertà, sulla dignità umana, sulla salvezza, non possono non avere ridondanze sociali. Se Dio e il suo Cristo sono il principio dell’umanità nella sua nobiltà nativa, «nessun uomo, nessuna forza nazionale o economica – scrive Dianich –, nessun partito e nessuna ideologia possono pretendere di dominare l’uomo nella sua totalità, rifiutando di essere giudicati dalla coscienza  di ciascuno». Questa sorgente primordiale della dignità umana nella sua libertà, nella vita, nella moralità, nell’amore, nel bene comune (è il «Date a Dio quel che è di Dio», del celebre asserto di Gesù) non esclude, tuttavia, che esista uno spazio di autonomia proprio della politica e dell’economia nella gestione storica dell’umanità: è appunto il «Date a Cesare quel che è di Cesare» che Cristo  imboleggia nella moneta con l’«immagine» di Cesare, laddove però non si deve dimenticare che «immagine» di Dio è l’uomo nella sua profonda identità trascendente, come proclama la Scrittura (Genesi 1, 27).
È, però, altrettanto ovvio che questa evidenza di principio si fa più complessa, si appesantisce e si offusca quando deve mettersi concretamente in azione nel groviglio delle vicende storiche. E qui  si apre un altro più delicato capitolo, al quale abbiamo già fatto riferimento in passato, quello della dottrina sociale della Chiesa, e a livello più generale, la corretta declinazione della categoria «laicità», indispensabile nella visione cristiana che non è teocratica, ma neppure totalmente secolaristica per i principi sopra enunciati. Fermiamoci qui, rimandando al testo di Dianich e alla bibliografia ragionata che egli propone in finale. A chi non è digiuno di studi teologici e volesse ulteriormente procedere nell’orizzonte specifico dell’ecclesiologia, suggeriamo la recente  raccolta di scritti del cardinale Walter Kasper, un importante teologo che è stato a lungo a capo del dicastero vaticano per il dialogo ecumenico, dopo essere stato vescovo della rilevante diocesi di  Stoccarda.

Anche nelle sue pagine, che sono di approfondimento, si vedrà emergere la categoria ecclesiale fondante della comunione e del dialogo.

Severino Dianich, La Chiesa mistero di comunione, Marietti 1820, Genova – Milano, pagg. 246, € 24,00
Si vedano anche:
Walter Kasper, La Chiesa di Gesù Cristo, Queriniana, Brescia, pagg. 488, € 43,00
Thomas Söding, Gesù e la Chiesa, Queriniana, Brescia, pagg. 362, € 31,00

 

 

 

 

 

in “Il Sole 24 Ore” del 28 agosto 2011

Una campagna anticattolica?

 

Riprende la campagna mai sopita su Chiesa cattolica e tasse.

 

 

Riportiamo di seguito alcuni contributi per comprendere i dati della polemica e la rispota scaricabile  pubblicata nel volume “La vera questua”

 


Campagna anticattolica
Da 4 anni le stesse bugie


Freezer e microonde sono il toccasana in tante cucine. E pure in certe redazioni. Proprio ieri un “settimanale di politica cultura economia” lanciava una roboante inchiesta dal titolo «La santa evasione», così riassunta: «I vescovi lanciano l’anatema contro chi non paga le tasse, ma i patrimoni della Chiesa vivono di agevolazioni ed esenzioni. Ecco la mappa di un tesoro che conta un quinto degli immobili italiani. E per legge sfugge alla manovra».

Nulla di nuovo. La fonte principale, se non unica, è una vecchia inchiesta di Curzio Maltese apparsa sulla “Repubblica” dal 28 settembre al 17 dicembre 2007, poi raccolta nel volume “La Questua”. A ogni puntata dell’inchiesta seguiva una pagina di Avvenire che confutava, dati alla mano, errori, verità dimezzate e omissioni, lavoro poi confluito nel libro “La vera questua” (scaricabile qui). “Repubblica” non rispose mai né mai corresse i suoi sbagli; ma Maltese ripulì il libro dagli errori più madornali, pur senza mai citare “Avvenire”, esempio perfetto di mobbing mediatico: ci sei ma non esisti.

Nient’altro di nuovo, se non un misterioso «altro libro» di Piergiorgio Odifreddi, che accuserebbe la Chiesa di un’evasione doppia, rispetto a quella denunciata da Maltese.

A sconcertare è l’assenza totale di fonti che i lettori possano controllare. Si citano vaghe «stime» e «calcoli», magari dei «Comuni». Tutto così generico da risultare inattendibile. Si dice, si ripete, si ridice che «la Chiesa non paga l’Ici», ma da quattro anni non facciamo che ripetere la verità: la Chiesa paga l’Ici per tutti gli immobili di sua proprietà che danno reddito, a cominciare dagli appartamenti (vedi la lettera del parroco romano) e dai cinema con caratteristiche commerciali. E se qualcuno non paga ma dovrebbe pagare, sbaglia e va fatto pagare. Ma chi?

L’inchiesta, se così la si può definire, non lo dice. Sbrina e riscalda. E insinua. Afferma che a Roma gli immobili del Vaticano sono grandi evasori. Ma non si prende la briga di chiedere all’Agenzia delle Entrate della capitale l’elenco degli enti non commerciali contribuenti. Comprensibile: se fosse una vera inchiesta, dovrebbe spiegare che Apsa (Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica) e Propaganda Fide sono al secondo e al terzo posto tra i contribuenti, dietro un importante istituto di previdenza. Quindi paga, eccome se paga. Ma poiché il teorema esige che evada, le cifre dell’Agenzia vanno oscurate, altrimenti farebbero saltare il teorema.

Son fatte così queste “inchieste”. Perfino la Caritas romana viene messa nel mirino come «proprietaria» di ben 70 immobili. La Caritas non «possiede» nulla ma gestisce, in effetti, mense e comunità di recupero per ex tossicodipendenti, case per malati terminali di Aids o per giovani madri in difficoltà… che per il gruppo guidato da Carlo De Benedetti, così in sintonia con le parole d’ordine e le campagne di Radicali italiani e Massoneria italiana, devono fruttare ampi redditi, e quindi vanno ben spremuti.

Nulla di nuovo, dunque. Anche se con ineffabile faccia tosta qualcuno afferma che la Chiesa manterrebbe un imbarazzato silenzio e non avrebbe mai smentito nulla, tutto è già stato ampiamente confutato dal 2007 in poi; ma la campagna militare esige l’applicazione del mobbing mediatico: so perfettamente che ci sei, mi rispondi e cerchi il dialogo, ma ti ignoro e faccio come se tu non esistessi. Via allora con le cifre sparate a casaccio senza citare fonti controllabili. Così gli immobili di proprietà della Chiesa cattolica, in Italia, ieri erano il 30 per cento, oggi calano al 22 e domani chissà… palesi enormità, avvalorate da numeri che si riferiscono a Roma, dove però tutte le congregazioni religiose del mondo hanno una “casa madre” o una rappresentanza, e molte Conferenze episcopali nazionali hanno i loro collegi dove ospitano i propri studenti che frequentano le Pontificie università. Che un collegio di seminaristi o giovani preti, che studiano e pregano, collegio che non produce reddito alcuno ma ha soltanto dei costi, debba pagare l’Ici è una palese sciocchezza. Nessun istituto d’istruzione la paga.

Ma la campagna contro la Chiesa non teme le sciocchezze. Leggiamo infatti l’elogio dell’emendamento dei Radicali «che farebbe cadere l’esenzione dall’Ici (…) per tutti gli immobili della Chiesa non utilizzati per finalità di culto», con questo elenco: «Quelli in cui si svolgono attività turistiche, assistenziali, didattiche, sportive e sanitarie, spesso in concorrenza con privati che al fisco non possono opporre scudi di sorta». La scure decapiterebbe anche innumerevoli ong, enti di promozione sportiva laicissimi, scuole non cattoliche, realtà culturali, politiche e sindacali. Un massacro. E costerebbe una cifra inaudita (la sola scuola paritaria, pubblica esattamente come la statale, fa “risparmiare” 6 miliardi all’anno) a uno Stato costretto a intervenire là dove la Chiesa, e altri, sarebbe costretti a mollare. Ma che importa? La furia demagogica ha bisogno di un facile bersaglio da additare all’odio popolare. E intanto gli evasori, quelli veri, gongolano.

Umberto Folena

 

Qualcosa che impressiona di Marco Tarquinio


– Il Grande Oriente suona la carica | La lettera: «Io, parroco, pago tutto»


– L’OSPITE  Chiesa e non profit: la ricchezza dei poveri di Angelino Alfano

 

 

L’Ici no, ma la Chiesa qualcosa deve fare
di Alberto Melloni

Farebbero malissimo i vescovi a sottovalutare la richiesta che arriva da più parti e che riguarda i «sacrifici» che anche la Chiesa dovrebbe fare nell’indomabile montare della crisi.
È ovvio che in molti casi queste istanze nascondono la stessa faciloneria che ha convinto milioni di italiani che il problema dei debiti sovrani dipenda in Italia dai privilegi dei politici che  esistono e sono odiosi ma non sono certo il cuore della cosa. E dunque potrebbe essere fortissima la tentazione di respingere al mittente tali istanze con argomenti tecnicamente e giuridicamente solidi.
Sui patroni basterebbe ammiccare ai sindaci e agli uffici scolastici per far sì che il calendario delle lezioni reintroduca dalla finestra festività che così verranno sottratte solo ai ceti operai e impiegatizi che non possono permettersi i ponti. Sulle festività che il concordato blinda ci si potrebbe limitare a richiamare la indisponibilità del tema (è la Repubblica che ha deciso insieme alla Santa Sede di mettere sotto l’ombrello di un trattato internazionale le feste dei dogmi di Pio IX e di Pio XII anziché il triduo pasquale: per cui, se ne ha voglia, porti la politica al Papa una legge con allegato il trattato sul triduo di Hans Urs von Balthasar). Sull’8 per mille, materia decisa dal concordato Casaroli-Craxi, i vescovi potrebbero ricordare agli smemorati radicali che gli accordi di Villa Madama prevedevano un riesame in commissione paritetica (nell’infondato timore che la quota stabilita non colmasse la «congrua») e che non è stato un ukaze Cei a impedirlo. Così pure sulle esenzioni Ici i vescovi potrebbero legittimamente rimandare ad una più attenta lettura all’elenco delle Onlus fra le quali (con esiti insostenibili dal punto di vista costituzionale) si chiede di discriminare quelle che hanno «fini di religione», declinati nella libertà della loro espressione.
Così facendo, però, verrebbero meno a quel dovere evocato dal presidente Napolitano nella sua orazione civica di Rimini, e che è una chiamata in attesa di reclute: porsi cioè al livello delle sfide che il Paese non può non affrontare. E qui i vescovi potrebbero cogliere in istanze vulnerabili o populiste una occasione. Il sistema dell’8 per mille, infatti, era stato inventato da grandi  ecclesiastici (Casaroli, Silvestrini, Nicora) per dare alla Chiesa italiana, e non alla Santa Sede, una sua autonomia, specialmente rispetto alla politica: e quel sistema aveva una implicazione di parificazione fra Chiese e religioni che non è stato implementato dallo Stato che ne aveva il dovere.
Se il miliardo e passa di entrate non basta a proteggere la Chiesa da una politica delle blandizie la questione, allora, è ancora più grande.
Il denaro dato alla Cei, infatti, è stato speso (quasi sempre) bene: ha rimesso in sesto un patrimonio che il Fondo edifici di culto del ministero degli Interni non poteva mantenere; ha finanziato tanta solidarietà. Non mancano le ombre: ha certo foraggiato sacche di interessi e comprato consensi in vendita, ha dato fiducia a mezze tacche della finanza o della cultura, ha coperto operazioni meschine (d’altronde, come spiegava un grande cardinale italiano, in fatto di denaro «i preti delinquenti si fidano sempre di delinquenti, perché sono anche loro delinquenti; i preti buoni si fidano dei delinquenti perché sono buoni»). Ma non è lo Stato che può dar lezioni di rigore, se non segna un punto e a capo per tutti.
Quel denaro però ha eroso qualcosa di assai più profondo per la Chiesa italiana: e cioè la sua fede nella povertà come via necessaria della Chiesa, secondo il limpido dettato della costituzione conciliare Lumen Gentium 8. Perché — come ha insegnato l’emersione dei crimini di pedofilia — ogni consiglio evangelico può essere vissuto in modo estrinseco o profondo: e come la superficialità esalta le turpitudini, la sincerità anche debole accresce la virtù. Così la scarsa fiducia, per dir così, nella povertà ha sottratto alla Chiesa una credibilità di cui oggi avrebbe bisogno, per essere  nella svolta che stiamo vivendo fattore di unità profonda del Paese.
Con quella credibilità potrebbe affrontare tutte le questioni sul tappeto difendendo il diritto delle feste religiose di tutti, cercando un punto di ripartenza del senso civico di tutti, insegnando  quel «linguaggio di verità», che il presidente ha evocato sul presente, sui vent’anni ultimi e che forse andrebbe spinto almeno indietro per poter produrre un rinnovamento vero della coscienza civica di tutti.
Qualcosa di limpido e impolitico come un tale atto di fede — con tutte le conseguenze di rigore e di trasparenza che esso comporta — darebbe ai vescovi o comunque accrescerebbe quella autorevolezza di cui hanno bisogno loro, spettatori di rimpianti e di lotte di carriera ecclesiastica spudorate: e di cui ha ancor più bisogno il Paese. Nei giorni più difficili della sua storia  post-fascista — l’8 settembre del 1943, il 9 maggio del 1978 — l’Italia ha trovato nella Chiesa un sostegno infungibile e in quei gesti di coraggio la Chiesa ha guadagnato una credibilità capitalizzata  per decenni. Nessuno può escludere che giorni, per fortuna diversi nella forma, ma non meno impegnativi nella sostanza, siano oggi innanzi al Paese.

in “Corriere della Sera” del 28 agosto 2011

 

 

 

Rassegna Stampa

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30 agosto 2011

 

“«So bene – ha detto Bagnasco… – che il compito è arduo perché si tratta di intaccare consuetudini e interessi vetusti»… ha parlato di «reazione di disgusto» della gente semplice nei confronti, in politica, di «stili non esemplari che sono la norma»… Il vero uomo, ha detto il cardinale, non è quello che ha potere e denaro: «I giovani non vogliono essere ingannati»…”
“Per combattere la corruzione, tornata a galla nelle cronache di questi giorni, bisogna far capire con l’esempio che cos’è il valore della verità… essa va richiesta in modo particolare a coloro che costituiscono, per ruolo o visibilità, modelli di comportamento, [ma] è necessario interrogare in primo luogo se stessi… se abbiamo… la determinazione… di cercare al di là dell’apparenza, di fare fatica. Se si ha voglia, in sintesi, di essere consapevoli o servi”
“Gennaro Acquaviva, che è stato il plenipotenziario di Bettino Craxi per la revisione del Concordato del 1984… non chiede certo alla Chiesa di pensare a «una rinuncia, ma a una riduzione», questo sì, «per coerenza con lo scopo dell’8 per mille»… «Il metodo dei radicali non va bene perché non si può strattonare in questo modo un soggetto come la Chiesa cattolica che letteralmente tiene in piedi e unito il nostro Paese»… Sta alla Cei pensare il da farsi…”

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29 agosto 2011

 

“in un momento di straordinaria gravità, non è lecito attendersi dalla Chiesa un qualcosa di più, un gesto unilaterale e di valore sostanziale e simbolico?”.

28 agosto 2011

 

  • Economia e gratuità di Bernard Ginisty in www.garrigues-et-sentiers.org del 28 agosto 2011 (nostra traduzione)
“È una bellissima cosa che degli economisti ci ricordino che la gratuità non è ristretta in una parentesi vacanziera, ma che essa sola dà senso all’arte di vivere da esseri umani”
“Per la strategia liberista, che ha un’ossessiva paura della memoria, la gente deve dimenticare il suo passato sociale… senz’altro ideale che la religione del danaro. Sono da seppellire le aspirazioni condivise di una vita felice per tutti senza confini, il senso di compiutezza umana provato nel lottare insieme per la giustizia… la constatazione che la fatica e il sangue versato sono seme e nutrimento, la speranza contro ogni speranza, l’esperienza che il pane condiviso è pane moltiplicato e fonte di vita per tutti”
“In Cei lo ripetono da giorni: «E’ sbagliato confondere una tassa come l’Ici con l’otto per mille che è un’intesa tra lo Stato e le confessioni religiose». E una cosa è il Vaticano e un’altra le diocesi con le loro spese per culto e carità. Adesso la protesta esce dai Sacri Palazzi e diventa pubblica. Il quotidiano della Conferenza episcopale punta l’indice contro «Radicali, massoni e il potente partito dell’evasione»”
“Quel denaro però ha eroso qualcosa di assai più profondo per la Chiesa italiana: e cioè la sua fede nella povertà come via necessaria della Chiesa, secondo il limpido dettato della costituzione conciliare Lumen Gentium 8. (…) Così la scarsa fiducia, per dir così, nella povertà ha sottratto alla Chiesa una credibilità di cui oggi avrebbe bisogno, per essere nella svolta che stiamo vivendo fattore di unità profonda del Paese.”
“Per restare con i piedi per terra conviene ricordare pacatamente all’Avvenire che sul Fatto Quotidiano è stata posta sin dall’inizio una domanda fondamentale, che circola nelle teste di tanti cittadini credenti e diversamente credenti. La Chiesa è disponibile o no – di fronte al rischio di crack dell’Italia – a rinunciare volontariamente a una parte delle sovvenzioni statali derivanti dall’8 per mille, visto che tagli pesanti sono imposti a settori vitali come sanità, istruzione, enti locali? È una domanda non acrimoniosa, che nulla disconosce dell’impegno della Chiesa per i più deboli. “
“Oggi, la Chiesa ufficiale, quella del Vaticano e della Cei, è un potente sostegno al potere politico, qui da noi. E davanti a una mobilitazione della pubblica opinione, arcistufa dei privilegi fiscali che quel potere ha concesso al sistema ecclesiastico (una “leggenda nera”, secondo il quotidiano dei vescovi), il tirare in ballo il potere occulto della Massoneria suona a dir poco grottesco. Davvero, come ha scritto Avvenire, si tratta di “Qualcosa che impressiona””
“Impressionante la realtà dell’evasione fiscale. Impressionante la disattenzione verso quell’immenso e bistrattato valore e quella portentosa (ma non inesauribile) risorsa che è la famiglia, e la famiglia con figli. Impressionante la campagna politico-mediatica che è stata scatenata contro la Chiesa per il solo fatto di aver detto tutto questo”

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27 agosto 2011

 

“è anche vero che spesso non c’è trasparenza nella gestione di tutte le risorse materiali della Chiesa cattolica. Un dibattito aperto e partecipato sulle scelte che è possibile operare e sui criteri da seguire alla luce del Vangelo sarebbe un passo importante.”
“Senza grandi gesti, in realtà, basterebbe che l’8×1000 fosse calcolato esattamente per il gettito che dà”
premesso tutto quanto già sta facendo per fronteggiare la crisi e le ragioni dell’attuale regime fiscale, è immaginabile qualche gesto simbolico e liberamente scelto da parte della Chiesa italiana per contribuire al risanamento del debito pubblico?
“Freneticamente alla ricerca di unità d’azione nel luglio scorso, l’associazionismo cattolico si è ammutolito dopo il decreto anticrisi. Eppure ci sarebbe molto da dire da parte cattolica sullo svuotamento dell’art.18 dello statuto dei lavoratori, sull’evasione fiscale, sui costi della politica. Stupisce particolarmente il silenzio sullo scardinamento – attraverso l’articolo 8 del decreto – del principio della “giusta causa” nei licenziamenti…”
“E’ in giuoco quell’impresa di riappropriazione “pubblica” dei “beni comuni” (al plurale) che pure è stata da più parti segnalata come l’indice di un vento nuovo fatto di insperata coscienza politica e di desiderio di partecipazione” “non va mollata la presa sul tema dei “beni comuni” come tessere di quel più vasto mosaico che è il massimo bene umano possibile, da realizzare non con la delega in bianco a qualcuno ma con il concorso consapevole e il controllo assiduo di tutti.”

26 agosto 2011

 

“”Possiamo rassicurare tutti, compreso Pierluigi Bersani: le mense della Caritas non si toccano e rimarranno esenti dalle fiscalità come del resto tutte le associazioni di assistenza e beneficenza”.” “L’intento del partito di Marco Pannella è quello di far abolire gli sgravi per le attività commerciali svolte da enti ecclesiastici, come per l’appunto quelle ricettivo-turistiche, assistenziali, ricreative, sportive e sanitarie, “equiparandoli a chi fa le stesse cose senza insegna religiosa””
“A questi ricchi italiani non si chiede la metà in solidarietà, ma solo un piccolo contribuito. E se hanno frodato il Fisco non si chiede loro il quadruplo, ma solo il giusto. Quella di Zaccheo è stata una conversione miracolosa. A questi ricchi si chiede solo una conversione all’equità e alla solidarietà semplicemente umane e all’osservanza delle leggi” “… Se n’è accorta finalmente anche la Conferenza episcopale italiana…”
“Anziché tassare i patrimoni dei ricchi, coloro ai quali anche un forte prelievo fiscale non cambierebbe la vita, s’è preferito colpire quell’ammortizzatore sociale italiano per eccellenza che è la famiglia. Unico vero patrimonio del Paese”

 

 

 

Il triplice richiamo del Presidente della CEI


il ruolo educativo della famiglia, la responsabilità educativa della società, il servizio della carità

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La solennità della Madonna della Guardia ha offerto al Cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, l’occasione per un triplice intervento in ideale continuità: dall’omelia di domenica 28 a quelle di lunedì 29 agosto.
Schematicamente, il primo contributo è stato incentrato sulla famiglia e sull’indispensabile ruolo educativo dei genitori (“lo Stato, che di per sé deve difendere e costruire il bene comune, ha il compito grave di salvaguardare e di promuovere il bene primario della famiglia, per cui un uomo e una donna si scelgono nell’amore e si consacrano totalmente e per sempre l’uno all’altra con il vincolo del matrimonio”); il secondo, sulla responsabilità educativa della società, per cui il Cardinale ha posto con forza la questione morale in politica (“Non si tratta in primo luogo di fare diversamente, ma di pensare diversamente, in modo più vero e nobile se si vuole purificare l’aria, e i nostri giovani non siano avvelenati nello spirito”); infine, sul servizio della carità (“La Chiesa – attraverso le innumerevoli opere di carità a servizio dei deboli e dei poveri – non solo viene in soccorso alle tante fragilità umane, ma mette in atto delle vere scuole di umanità e di fede, dove i discepoli sono lo stuolo degli operatori e dei volontari, spesso giovani e giovanissimi, che con gioia e dedizione aiutano i bisognosi, toccano con mano la complessità della vita, imparano ad amare nel segno del dono di sé senza nulla pretendere”).

file attached Omelia Guardia 28 agosto
file attached Omelia Guardia, 29 agosto pomeriggio.doc
file attached Omelia Guardia, 29 agosto 2011.doc

 


I richiami e le indicazioni di Bagnasco

Alle radici del bene comune

 

La crisi che viviamo in questo periodo provoca interrogativi, ansietà, che investono le basi stesse del bene comune, le motivazioni di quel crescere insieme che sentiamo messo a rischio dalla crisi economica, dallo scollamento tra principi etici fondamentali e una realtà che va in direzione opposta. Con le omelie pronunciate al Santuario della Madonna della Guardia, il Cardinale Angelo Bagnasco, ha offerto un cammino di riflessione sul tema dell’incertezza che si sta insinuando sul nostro futuro, su quello dei nostri giovani, dei ragazzi, che si va facendo opaco. Radice essenziale della società umana è il valore della famiglia, fonte insostituibile della formazione delle nuove generazioni, che è messo in discussione da chi nega la sua  centralità. La famiglia rappresenta la roccia su cui costruiamo la nostra umanità e le scienze psicologiche da sempre vedono nella sua solidità, nell’affetto dei genitori, nel legame tra le sue componenti, la base insostituibile per la gioia, la capacità di crescere, affrontare la vita, che si trasmette ai giovani. Chiunque pensi alla propria famiglia, ha osservato Angelo Bagnasco, sente come un’onda di calore che lo avvolge, ricorda la forza dei sentimenti che hanno alimentato i suoi primi anni, l’hanno introdotto alla vita. Lo Stato non può essere indifferente all’identità della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, perché ciò vorrebbe dire indifferenza verso la società che si vuole edificare, porre le basi di una disgregazione del tessuto umano che colpisce soprattutto i giovani, che devono ancora farsi come esseri umani pieni e completi.

I principi cui deve ispirarsi la nostra vita chiedono però rispondenza nella società degli adulti. Molti si accorgono oggi con stupore quanto sia fondato il magistero pontificio, di Benedetto XVI in particolare, sui valori di onestà, probità, sobrietà, che devono segnare l’esperienza umana; se ne accorgono perché toccano con mano che essi sono degradati, sfigurati, da una visione utilitarista pronta a cancellare la dimensione etica lasciando che ciascuno operi come meglio gli aggrada. Sociologia, letteratura, cinema, ci dicono invece ad ogni pié sospinto, che il modello che rischia di prevalere nelle nostra società è il modello di chi è più forte, scaltro, persino furbo; ma la crisi e l’ansietà per il futuro che stiamo vivendo ci mostrano quanto sia fallace questo modello, ci dicono che «la vita non è di chi se la gode», e «il successo del potere e dell’affermazione personale – anche a prezzo della propria onestà – non porta lontano»: perché dietro l’angolo spunta la corruzione che pervade la società, corrompe i rapporti umani, provoca danno a tutti. Il Cardinale Bagnasco richiama alla coerenza, invita tutti a fare la propria parte, non fingere che si possa essere bravi e disonesti insieme, capaci e scaltri allo stesso tempo; occorre promuovere «un ambiente di vita, un orizzonte di modelli, un clima respirabile di valori, un humus comune, dove l’apparenza, il raggiro, la corruzione non la spuntano, la disonestà non è la regola esibita e compiaciuta». Nessuno può chiamarsi fuori, tanto meno coloro che hanno responsabilità nella vita pubblica, i cui comportamenti sono importanti perché si «possa pensare diversamente, in modo più vero e nobile, se si vuole purificare l’aria, e i nostri giovani non siano avvelenati nello spirito».

Il Cardinale Angelo Bagnasco ha completato il cammino di riflessione delineando il ruolo e la funzione che la “carità”, cioè il dono di sé stessi agli altri, svolge nella società. Lo Stato ha l’importante compito di fare e creare giustizia, ma la giustizia non basta a soddisfare i bisogni più profondi dell’uomo. L’essere umano chiede rapporti autentici, di solidarietà profonda, con gli altri, sostegno non solo materiale, e il cristianesimo ha introdotto nella storia l’amore per il prossimo come categoria nuova che comprende ma supera la giustizia, dona qualcosa di più che nessuna legge può dare. I giovani comprendono quasi istintivamente la categoria della carità cristiana, perché vi vedono realizzata la propensione all’amicizia, alla gioia di donare senza nulla chiedere; la carità ha sempre rappresentato un grande vantaggio per lo Stato, realizzando gratuitamente ciò che le strutture pubbliche non sono in grado di fare; ma contiene un tesoro più grande, perché chi la attua supera d’incanto i vizi e le colpe d’egoismo di cui soffriamo oggi, offre un esempio di virtù e abnegazione che esalta l’uomo e propone agli altri una alternativa di vita di cui tutti avvertono, nella coscienza, il fascino.

Carlo Cardia

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Alcuni commenti dalla Stampa

 

“«So bene – ha detto Bagnasco… – che il compito è arduo perché si tratta di intaccare consuetudini e interessi vetusti»… ha parlato di «reazione di disgusto» della gente semplice nei confronti, in politica, di «stili non esemplari che sono la norma»… Il vero uomo, ha detto il cardinale, non è quello che ha potere e denaro: «I giovani non vogliono essere ingannati»…”
“Per combattere la corruzione, tornata a galla nelle cronache di questi giorni, bisogna far capire con l’esempio che cos’è il valore della verità… essa va richiesta in modo particolare a coloro che costituiscono, per ruolo o visibilità, modelli di comportamento, [ma] è necessario interrogare in primo luogo se stessi… se abbiamo… la determinazione… di cercare al di là dell’apparenza, di fare fatica. Se si ha voglia, in sintesi, di essere consapevoli o servi”
“Impressionante la realtà dell’evasione fiscale. Impressionante la disattenzione verso quell’immenso e bistrattato valore e quella portentosa (ma non inesauribile) risorsa che è la famiglia, e la famiglia con figli. Impressionante la campagna politico-mediatica che è stata scatenata contro la Chiesa per il solo fatto di aver detto tutto questo”