Messaggio di Benedetto al XI Incontro Internazionale delle “Equipes Notre Dame”

“GLI SPOSI CRISTIANI SIANO IL VOLTO SORRIDENTE E DOLCE DELLA CHIESA”

Il messaggio di Benedetto XVI ai partecipanti all’XI Incontro Internazionale delle “Equipes Notre Dame”

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 23 luglio 2012 (ZENIT.org).-

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone ha inviato a nome del Santo Padre Benedetto XVI ai partecipanti all’XI Incontro Internazionale delle Equipes Notre Dame che ha luogo a Brasilia (Brasile) dal 21 al 26 luglio 2012 sul tema: Osare il Vangelo.

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Eminenza Reverendissima,

il Santo Padre, informato dell’evento dell’XI Incontro Internazionale delle Equipes Notre Dame a Brasilia, mi ha incaricato di trasmettere, con questo messaggio, il suo paterno saluto ai partecipanti e a tutte le coppie del Movimento, che è nato della lungimirante intuizione pastorale del Servo di Dio Henri Caffarel, sacerdote, e la cui missione non ha visto diminuire, con il passare del tempo, la sua attualità e la sua urgenza. Anzi, questa è in certo modo aumentata alla luce dei problemi e delle difficoltà che il matrimonio e la famiglia sperimentano oggi, circondati da un clima di crescente secolarizzazione.

In questo contesto, le coppie delle Equipes Notre Dame proclamano, non solo a parole, ma soprattutto con la loro vita, le verità fondamentali sull’amore umano ed il suo significato più profondo: “Un uomo ed una donna che si amano, il sorriso di bimbo, la pace di un focolare: ecco un discorso senza parole, ma straordinariamente persuasivo, nel quale ogni uomo può già presentire, come per trasparenza, il riflesso di un altro amore e il suo appello infinito” (Paolo VI, Alle coppie delle Equipes Notre Dame, 4 maggio 1970)

Certamente questo ideale può sembrare troppo alto. È per questo che il movimento incoraggia i suoi membri ad attingere costantemente alle sorgenti della grazia del sacramento del matrimonio e della partecipazione all’eucarestia domenicale; al di là delle risorse della grazia dei sacramenti, esso propone loro con grande saggezza un “metodo” ricco di impegni e suggerimenti semplici e concreti per vivere nel quotidiano una spiritualità incarnata di sposi cristiani. Tra questi, possiamo sottolineare “il dovere di sedersi”, cioè un impegno a mantenere periodicamente un tempo di dialogo personale tra i coniugi, durante il quale ciascuno presenta all’altro, con totale sincerità ed in un clima di ascolto reciproco, i problemi e le situazioni più importanti nella vita di coppia. Nel nostro mondo, così segnato dall’individualismo, dall’attivismo, dalla fretta e dalla distrazione, il dialogo sincero e costante tra gli sposi è essenziale per evitare che nascano, crescano e si sedimentino le incomprensioni che, sfortunatamente, spesso finiscono in rotture insanabili, che nessuno più aiuta a ricomporre. Dunque, coltivate questa preziosa abitudine di sedere uno accanto all’altra per parlare e ascoltarvi, per comprendervi l’un l’altro, costantemente, di fronte alle sorprese e alle difficoltà di un lungo cammino.

Fra tre mesi, celebreremo il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, che in molti suoi documenti ha offerto alla Chiesa del nostro tempo un volto rinnovato del valore dell’amore umano, della vita coniugale e familiare; in questa occasione si aprirà l’Anno della Fede, per ritrovare tutta la vivacità e la gioia dell’annuncio della fede nel nostro mondo e nel nostro tempo. Sua Santità Benedetto XVI invita gli sposi cristiani ad essere “il volto sorridente e dolce della Chiesa”, i migliori e più convincenti messaggeri della bellezza dell’amore sostenuto e nutrito dalla fede, dono di Dio offerto con larghezza e generosità a tutti, affinché ogni giorno possano scoprire il senso della loro vita.

Come segno di gratitudine ecclesiale, di incoraggiamento per le nuove sfide che incontriamo, e come garanzia di grazia e luce dell’Altissimo per i lavori dell’XI Incontro Internazionale delle Equipes Notre Dame, il Santo Padre concede a tutti i partecipanti e alle loro famiglie la sua implorata benedizione apostolica.

Approfitto di questa occasione per testimoniare a vostra Eminenza Reverendissima i sentimenti della mia fraterna stima in Cristo Signore.

Vaticano, 5 luglio 2012

Tarcisio Card. Bertone
Segretario di Stato di Sua Santità

Bertone agli atleti azzurri: “Lo sport quale lezione di vita”

“Mostrate a quali traguardi può condurre la vitalità della giovinezza, quando non si rifiuta la fatica di duri allenamenti e si accettano volentieri non pochi sacrifici e privazioni”.

Ha ripreso le parole del Papa il Card. Bagnasco nel messaggio inviato domenica 22 luglio alla Squadra Olimpica azzurra, riunita a Londra nella storica St.Peter’s Church per la S. Messa, celebrata alle ore 19.

“Una lezione di vita più che mai necessaria oggi – ha osservato il Presidente della CEI – in un tempo di crisi che chiama tutti a rigore e sacrificio”.Soffermandosi in particolare sulle Olimpiadi, “dove si confrontano popoli e nazioni che rappresentano culture e tradizioni differenti”, il Cardinale Presidente ha evidenziato che esse possono “diventare tramite di una forza ideale capace di aprire vie nuove, e a volte insperate, nel superamento di tensioni, conflitti, violazione dei diritti umani”.

IL MESSAGGIO

da: CEI del 22/07/2012

Nel terzo millennio una teologia militante al servizio della carità

La trasformazione del pianeta in “villaggio globale”, accelerata dall’esperienza della realtà virtuale consentita dall’universo multimediale e dal “web”, incide anche sulla sfera religiosa e spirituale.

Fenomeni come il New Age o Era dell’Acquario, dall’impatto vastissimo soprattutto nella cultura nord- e sud-americana sembrano rispondere al bisogno di rassicurazione prodotto dall’accelerazione dei cambiamenti attraverso una sorta di “gnosi” per il popolo, in cui le sub-culture prodotte dalla dipendenza mediatica trovano garanzie psicologiche e consolazioni a buon mercato, convenienti alle finalità delle grandi agenzie di consenso economico e politico del pianeta.

Ecco perché diventa urgente individuare come il cristianesimo – nella varietà dei contesti e delle sue tradizioni confessionali e specialmente nella pienezza della sua espressione cattolica – debba contribuire a costruire in rapporto ad esse un’umanità più giusta e felice, più unita e conforme al progetto divino di salvezza.

Tre ambiti di impegno si lasciano riconoscere come ineludibili per tutte le Chiese e per il loro cammino comune: la risposta da dare al nuovo bisogno di spiritualità, l’urgenza emergente della cattolicità e l’impegno al servizio della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato.

Si può dire che la riflessione della fede del terzo millennio si giocherà intorno alla martyrìa allakoinonìa e alla diakonìa, vissute dai cristiani. La via della martyrìa corrisponde a una ritrovata esigenza di spiritualità emersa dalla parabola dell’epoca moderna: c’è bisogno di una teologia più teologica, più collegata al vissuto spirituale.

La modernità aveva separato, se non addirittura contrapposto, il momento razionale e il momento esperienziale della vita, producendo quel divorzio fra riflessione e spiritualità, che aveva reso anche la teologia piuttosto arida e intellettualistica e la spiritualità piuttosto sentimentale e intimistica.

L’epoca post-moderna spinge a saldare nuovamente questi due ambiti: l’alternativa della fede all’astrattezza dell’ideologia sta nella possibilità di sperimentare un rapporto personale con la Verità, nutrito di ascolto e dialogo con il Dio vivo. La Verità non è qualcosa che si possiede, ma Qualcuno dal quale lasciarsi possedere.

Secondo la critica di moda negli anni dell’ideologia rampante, la dimensione contemplativa della vita sembra offrirsi come riserva di integralità umana e di autentica socialità. Si può quindi supporre che il futuro del cristianesimo o sarà più spirituale e mistico, e ricco di esperienze del Mistero divino, o potrà ben poco contribuire alla crisi e al cambiamento in atto nel mondo. La ricerca di un nuovo consenso intorno alle evidenze etiche domanda ai cristiani una risposta a partire dalla testimonianza specifica della loro fede nel Dio di Gesù Cristo, anche per evitare il rischio non indifferente di “riduzione al minimo comun denominatore”, che sembra emergere in alcuni approcci interreligiosi alla questione etica.

Accanto alla via della martyrìa, quella della koinonìa corrisponde alla nostalgia di unità che si affaccia nella “globalizzazione” del pianeta. In particolare, in Europa – culla delle divisioni fra i cristiani – la disgregazione seguita al crollo del muro di Berlino e l’emergere violento di regionalismi e nazionalismi sfidano le Chiese a porsi come segno e strumento di riconciliazione fra loro e al servizio dei loro popoli.

Sul piano teologico è significativo che la riflessione ecumenica, dopo aver dedicato una privilegiata attenzione alle forme sacramentali, si concentri sul tema della koinonìa, che esprime non solo un’esigenza di ripensamento ecclesiologico riguardo alla struttura e alla vita interna delle Chiese, ma anche un’attenzione alla sfida che il bisogno di unità emergente dalle nuove divisioni pone alle comunità cristiane.

Emerge una nuova, diffusa attenzione alla “cattolicità”, intesa sia secondo il suo significato di universalismo geografico, reso più che mai attuale proprio dai processi di “globalizzazione” del pianeta, sia secondo il senso di pienezza e totalità, che rimanda all’integralità della fede e della attualizzazione della memoria del Cristo.

Non sorprende allora che in ambito ecumenico si dedichi nuova attenzione all’unità universale nella Chiesa. Un contributo notevole alla riscoperta della cattolicità, come esigenza e condizione della missione cristiana, viene da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: il loro pontificato, caratterizzato da un’itineranza apostolica, ha evidenziato la ricchezza della “regionalizzazione” della Chiesa e ha ribadito le esigenze dell’unità dottrinale e pastorale sul piano universale.

La rilevanza di quest’azione è stata palese in alcuni cambiamenti storico-politici, come quello della crisi del “socialismo reale”, ma va considerata soprattutto nella sua specificità spirituale di riproposizione del Vangelo come messaggio di vita e salvezza per le singole situazioni culturali e per la crescita nell’unità e nella pace della famiglia umana. La prima decade del Terzo Millennio indica questa direzione proponendola come un itinerario di conversione e rinnovamento per tutti i credenti, chiamati a far memoria dei doni di Dio, ma anche a riconoscere le proprie colpe, personali e collettive, e a ripensare la propria identità e missione di fronte alle sfide del nuovo millennio cristiano, specialmente in chiave ecumenica e nell’ottica del dialogo interreligioso. Una teologia ecclesialmente responsabile e aperta alle esigenze della cattolicità sembra più che mai necessaria.

Infine, la testimonianza evangelica della carità come diakonìa, nell’impegno per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato, appare come il terzo grande campo di azione per il cristianesimo degli inizi del Terzo Millennio in tutte le sue espressioni confessionali: le sfide della giustizia sociale sono oggi interconnesse con i rapporti internazionali di dipendenza e con la questione ecologica.
Lo stretto intreccio appare con grande chiarezza quando si considerino i processi in atto nella “globalizzazione”, superando visuali regionalistiche, a volte troppo chiuse: il cristianesimo, religione universale diffusa nei contesti storici e culturali più diversi, appare qui soggetto privilegiato per tener desta una coscienza critica attenta a difendere la qualità della vita per tutti e capace di farsi voce specialmente di chi non ha voce e fronteggiare, con un impatto morale e spirituale di grande portata, le logiche esclusive ed egoistiche delle grandi agenzie mondiali di potere economico e politico.

Di fronte alla crisi mondiale e all’avidità da cui essa è stata generata la testimonianza del primato della carità è una sfida e una promessa. I credenti devono contare solo sulla vitalità della loro fede e l’operosità evangelica: tuttavia, il patrimonio spirituale che si esprime nella vastissima rete di opere di volontariato e di solidarietà che la Chiesa ha espresso con creatività, anche nel nostro tempo di mutamenti rapidi e spesso drammatici, costituisce al tempo stesso un contributo e una proposta all’umanità intera per l’edificazione di un “villaggio globale” che sia più a misura umana.

È significativo che la Chiesa sia intervenuta in termini inequivoci con l’Enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritatesull’attuale forma in cui si presenta la questione sociale. I cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni del secolo richiedono però a tutte le Chiese di far propria la denuncia del sistema di dipendenze che regge i rapporti specialmente fra il Nord e il Sud del mondo. A tutti è domandato di contribuire a individuare una via economico-politica che superi le rigidità del collettivismo e dei suoi fallimenti storici, e gli egoismi miopi di un capitalismo assolutista e accentratore. Una teologia “militante” nel servizio della carità e della ricerca di una più grande giustizia appare qui come compito e sfida ineludibile.

di Bruno Forte

da AVVENIRE 10/7/12

Incontro annuale tra UE e comunità religiose

Sostegno alle famiglie, solidarietà tra le generazioni, lotta alle sfide demografiche, questione-immigrazione, problema occupazionale, conciliazione tra lavoro e vita privata: sono molteplici gli argomenti affrontati durante l’incontro annuale tra istituzioni dell’Ue e comunità religiose presenti in Europa, svoltosi oggi presso la Commissione europea a Bruxelles.


L’appuntamento, inquadrato all’articolo 17 del Trattato di Lisbona, è definito come un dialogo regolare, aperto e trasparente, che intende far risuonare nelle sedi comunitarie la voce delle Chiese, in rappresentanza delle fedi religiose del continente e del loro impegno a livello pubblico, sul piano sociale, culturale, educativo, della solidarietà e della convivenza pacifica tra i popoli.

Istituzioni e Chiese. L’incontro di quest’anno aveva per tema “Solidarietà intergenerazionale: verso un quadro per la società di domani in Europa”, anche in relazione al 2012 che la stessa Ue ha dichiarato Anno dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni. José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, ha fatto gli onori di casa; il vertice è stato co-presieduto da Laszlo Surjan, per il Parlamento europeo, e da Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio Ue. Hanno partecipato oltre venti rappresentanti di comunità credenti, tra cristiani (cattolici, evangelici, ortodossi, anglicani), musulmani, esponenti della religione ebraica, indù e delle comunità bahá’í, provenienti da tutta Europa. Per la delegazione cattolica erano presenti: mons. André-Joseph Léonard, arcivescovo di Malines-Bruxelles; mons. Giovanni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio (Italia), vice presidente della Comece, Commissione degli episcopati della Comunità europea; mons. Virgil Bercea, vescovo di Oradea Mare (Romania), anch’egli vice presidente della Comece; mons. Adolfo Gonzales Montes, vescovo di Almeria (Spagna). La delegazione cattolica arrivava particolarmente preparata all’incontro: infatti l’assemblea Comece della scorsa primavera si era concentrata esattamente su questi argomenti, affermando che il reciproco sostegno tra giovani, adulti e anziani “resta il fondamento dello sviluppo umano e delle nostre società”.

Per un futuro prospero. Il presidente della Commissione, José Manuel Barroso, ha affermato al termine del confronto: “Nell’affrontare la crisi economica stiamo facendo il massimo per garantire il giusto equilibrio tra la solidarietà e il senso di responsabilità fra gli Stati membri. Dobbiamo però rivolgere un’attenzione perlomeno equivalente alla solidarietà e al senso di responsabilità tra giovani e anziani. Solo mantenendo la solidarietà fra i popoli e le generazioni al centro dei nostri interventi riusciremo a sormontare la crisi e a porre le basi di un futuro prospero”. Questo “è il collante che tiene unite le nostre comunità. E la posizione delle Chiese e delle comunità religiose permette loro di promuovere la coesione nelle nostre società”. Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, ha dichiarato: “Una generazione persa è una cosa che non possiamo permetterci né a livello socioeconomico né, soprattutto, a livello umano, così come non possiamo permetterci l’esclusione dei più anziani per minore produttività”. “Le Chiese, le sinagoghe, le moschee, i templi, così come le ong, scuole e associazioni ad essi collegate, sono luoghi di aggregazione a livello locale, che possono quindi dare un contributo importante al miglioramento della comprensione e della conoscenza reciproca fra le generazioni”.

La voce dei vescovi cattolici. Mons. André-Joseph Leonard ha affermato che, fra le diverse possibili opzioni (ricorso alle migrazioni, sostegno alle famiglie), per dare un futuro alla società europea “è da preferire l’aiuto alle famiglie, favorendone la stabilità, che è la sola opzione di lungo respiro per uscire dalla crisi”. Ciò implica “decisioni coraggiose in materia di politica fiscale, di aiuti ai nuclei numerosi e altre misure sociali per preservare l’equilibrio tra vita famigliare e lavoro”. In tale contesto, mons. Gianni Ambrosio ha ribadito “la necessità di proteggere la domenica come giorno di riposo settimanale comune in tutta Europa”. “Esso è di importanza fondamentale” per le relazioni tra le persone, per la vita sociale e spirituale di ogni persona, per la comunità locale. Mons. Adolfo Gonzales-Montes, facendo riferimento alla situazione nel suo Paese, la Spagna, ha chiesto “politiche solide e veramente efficaci per contrastare la disoccupazione giovanile” e ha indicato il ruolo-chiave che possono svolgere i fondi europei. Mons. Virgil Bercea, romeno, ha invece posto l’accento sul fatto che molte famiglie dell’est vivono situazioni difficili in quanto molte persone devono emigrare per poter lavorare, e i figli crescono in tal caso senza la vicinanza e il ruolo essenziale dei genitori. In tal senso ha invitato le istituzioni comunitarie “a mettere in opera iniziative che favoriscano lo sviluppo economico e il mercato del lavoro” nei Paesi dell’est.

da: SIR del 12/07/12

Il ruolo dei luoghi educativi

“L’argomento religione è stato piuttosto trascurato o minimalizzato nelle ricerche e nella letteratura sull’immigrazione”, invece “l’aspetto religioso acquista oggi dimensioni ed interesse crescenti”. Infatti, “attraverso nuove immigrazioni, la costituzione di nuovi nuclei familiari, le conversioni (collegate soprattutto alla celebrazione di matrimoni interreligiosi) aumenta il numero dei centri religiosi non cattolici (moschee, chiese, pagode…) e cambiano riti e sensibilità fra i cattolici”.

Lo ha detto ieri mons. Giancarlo Perego, direttore generale Migrantes, durante la presentazione, a Roma, del volume “Asia-Italia. Scenari migratori” promosso e finanziato dalla Caritas Italiana e dalla Fondazione Migrantes. Il volume focalizza l’attenzione sulle migrazioni che dall’Asia si dirigono verso l’Italia.

Nuovi scenari. “Guardare alle appartenenze religiose dei migranti – ha precisato mons. Perego – significa porre l’attenzione alla complessità delle storie personali e collettive, arricchire le facce del prisma che ci restituisce l’immagine del migrante non solo come lavoratore o lavoratrice, non solo come clandestino o irregolare, non solo come alunno o studente, non solo come utente dei servizi, ma come persona”. In realtà, “il fenomeno della mobilità crescente mentre favorisce nuove possibilità di scambio tra i popoli, crea identità meticcie, alimenta anche pesanti conflittualità”. Di fronte a questa situazione, in cui “è forte la tentazione della chiusura”, “sono fondamentali atteggiamenti ispirati all’ascolto, all’accoglienza e alla ospitalità nei confronti dello ‘straniero’, superando tanto il modello dell’assimilazione che nega la differenza, quanto quello della tolleranza che mantiene la distanza, e promuovendo una forma di integrazione, che si sforzi di trasformare la multiculturalità e la multireligiosità in interculturalità e in interreligiosità”.

Alcuni dati. In questi nuovi scenari l’Italia, ha sottolineato il direttore generale di Migrantes, “sta diventando differente anche sul piano della cattolicità” e al tempo stesso “sta diventando diversamente religiosa”. Facendo riferimento in particolare al Continente asiatico, mons. Perego ha snocciolato alcuni numeri: “Dei 766.000 immigrati, 205.000 sono mussulmani, 158.000 cristiani, 114.000 induisti, 88.000 buddisti, 60.000 appartenenti ad altre religioni orientali. I cattolici sono originari soprattutto dalle Filippine (109.000); sempre dalle Filippine sono 7.000 cristiani riformati. I musulmani sono soprattutto originari del Pakistan (73.000), Bangladesh (71.000). Gli induisti e gli appartenenti alle religioni orientali provengono soprattutto dall’India e dalla Cina”. Secondo il direttore di Migrantes, “è un mondo cristiano e religioso straordinario, un laboratorio di esperienze religiose che chiede un dialogo ecumenico e religioso rinnovato nella quotidianità, costruito su esperienze di studio, di ricerca, di incontro e di dialogo con i nostri ‘fratelli’, come ha invitato a fare il Concilio Vaticano II”. 

Guardare al futuro. In questa nuova realtà “la Chiesa italiana è invitata dalle migrazioni” a “ripensare i luoghi educativi (gli oratori e le scuole e le università cattoliche in particolare), la liturgia, che è stata arricchita da tradizioni diverse (bizantina, siro-malabarese…), gli itinerari di fede e di iniziazione cristiana, il presbiterio diocesano (ricco di 2300 sacerdoti immigrati), il mondo delle religiose (oltre 3000 provenienti da altri Paesi del mondo), lo stile e gli strumenti di accoglienza, i mezzi di comunicazione sociale”. L’esperienza di una Chiesa Cattolica italiana differente invita, pertanto, “a un percorso educativo, non unilaterale, che dalle relazioni personali e sociali passa alle relazioni ecclesiali”. Non solo: “La presenza in Italia di quasi 2 milioni e 500 mila immigrati provenienti da tradizioni e comunità religiose cristiane, in particolare dal mondo ortodosso, chiede un ritorno a un dialogo ecumenico che da una parte è costruita sulla conoscenza, ma dall’altra costruita sulle relazioni, di cui la preghiera costituisce l’elemento centrale”. Nelle diocesi italiane “si moltiplicano le iniziative nel segno del dialogo ecumenico: celebrazioni comuni, libri per la preghiera comune, la concessione di edifici sacri a comunità ortodosse, centri di ascolto e servizi di carità in comune con il mondo protestante…”. Per mons. Perego, “sono segni che s’inseriscono dentro un cammino ecumenico e, in particolare, di dialogo con la Chiesa orientale ortodossa”. Quanto al futuro, “la stabilità di questo quadro delle appartenenze religiose dipende dall’incidenza dei flussi. Se nel futuro – come è probabile – prevarranno i flussi dall’Africa, in particolare da quella Subsahariana, e dall’Asia (Cina e India da sole raggiungeranno a breve i 3 miliardi di abitanti), si determinerà una maggiore presenza islamica e atea, anche se da questi Paesi arrivano – come la ricerca evidenzia – pure numerosi cattolici e oltre che induisti e buddisti”. “Il domani – ha concluso il direttore generale di Migrantes – si prepara nel dialogo che oggi si costruisce”.

Da SIR del 5/7/12

Un nuovo modello per l’Italia e i cattolici

Il mondo cattolico dà il meglio in ambito locale, ma rischia il provincialismo e il rifiuto della politica”; questo il dibattito suscitato dall’articolo di Ernesto Galli sul silenzio dei cattolici in Italia rispetto alla politica italiana.

L’irrilevanza dei cattolici” di Ernesto Galli della Loggia del 24 giugno 2012

La questione cattolica costituisce uno dei nodi più profondi attorno a cui si annoda e si snoda la vicenda nazionale. Prima e dopo la costruzione dello stato unitario. Per questo, essa riemerge, con regolarità impressionante, in tutti i passaggi storici nei quali cambiano gli equilibri di potere. Era accaduto così al momento della formazione dello stato, prima e dopo la seconda guerra mondiale, alla nascita della repubblica fino a tangentopoli. E così ancora oggi, nel mezzo di una gravissima crisi economica e finanziaria. Non è un caso. Comunque la si giri, il paese non sta in piedi a prescindere da questa radice. Per questo, è prima di tutto a questa radice che il paese guarda nei momenti più delicati. Per i cattolici, essere all’altezza del loro compito non è sempre stato facile, soprattutto a causa di alcune inclinazioni involutive che, quando non sono contrastate, ne deprimono le potenzialità.

La prima di queste tendenze ha a che fare con il provincialismo a cui è esposta (per paradosso) la cultura cattolica italiana. Forti di un’influenza che altrove non ritrovano e qualche volta sospettosi nei confronti di molti dei processi che si producono con la modernità, molti cattolici – accademici, imprenditori, banchieri, politici – cedono, anche alla tentazione di rimanere nel piccolo stagno nazionale, guadagnando posizioni eminenti, ma finendo così per soffrire di un provincialismo che li rende marginali alle più importanti dinamiche storiche. In questo modo, l’originale punto di vista che il cattolicesimo ha elaborato sui temi sociali, economici e antropologici finisce per svilirsi e perdere il suo potenziale propositivo.

La seconda è che i cattolici impegnati nel mondo danno il meglio di sé lontano dalle complicate vicende e altrettanto complicate preoccupazioni dei Palazzi (qualunque natura abbiano), nelle tante forme del loro concretissimo radicamento locale che, a onor del vero, ne costituiscono anche il più autentico punto di forza. Laddove, cioè, l’assunzione di responsabilità sociale, economica, istituzionale si misura direttamente con la vita delle persone e delle comunità, rendendo evidente il nesso che, per un cattolico rimane centrale, tra potere e servizio. Tremendamente generativa, una tale postura ha però il limite di tradursi facilmente in disinteresse o addirittura in diffidenza nei confronti della politica, specie di livello nazionale, vista per lo più come intrigo e mera lotta di potere.

Queste due fragilità latenti tra i cattolici – associate alle pulsioni più identitarie che, come è naturale che sia, attraversano talvolta anche la Chiesa – attivano dinamiche “uguali e contrarie” nel mondo laico: insofferenti a molti aspetti dell’italia cattolica, accade spesso che siano i laici ad avere maggiori esperienze e collegamenti internazionali e, nel contempo, a considerare il governo centrale la leva di cui servirsi per potere finalmente modernizzare il paese.

Dal combinato disposto di questi due atteggiamenti, è l’Italia che ne esce con le ossa rotte, finendo schiacciata tra forme di provincialismo moralista da un lato e progetti di modernizzazione astratta dall’altro. Attorno a questo nodo, l’Italia vive o muore. Da questa diagnosi mi pare derivino diverse indicazioni per leggere anche la delicata fase storica che stiamo attraversando in questi anni.

Cominciamo col dire che il problema è lo stesso, tanto per i “cattolici” quanto per i “laici”: trovare il codice di ricomposizione tra le sfide del tempo e la particolarissima matrice culturale, economica e sociale di questo paese. Senza fughe in avanti, ma anche senza un’eccessiva accondiscendenza. A questo sforzo di tutti – che tradurrebbe il citatissimo ma spesso misconosciuto bene comune – i cattolici possono contribuire in modo specialissimo nella misura in cui sono capaci di ripartire dalla realtà di un paese che mantiene delle peculiarità indiscutibilmente “cattoliche” – la piccola impresa, la famiglia, il territorio, il senso della bellezza e dell’infinito – non per riaffermarla in modo identitario, ma per porla in relazione alle sfide del tempo (globalizzazione, tecnicizzazione, pluralismo), liberandola così dalle derive involutive in cui rischia sempre di rimanere avviluppata. Ai laici è chiesto per converso di riconoscere la peculiarità dell’Italia, amando il paese per quello che è e rifuggendo la ricorrente tentazione di volerne uno del tutto diverso (possibilmente non cattolico).

Se si rileggono così gli ultimi 150anni si vedrà che il paese ha respirato ed è cresciuto quando si è stati capaci di questo doppio movimento. Oggi, ci troviamo in una nuova, delicatissima fase di passaggio. Un modello di crescita economica è in fase di profonda ristrutturazione a livello planetario e ciò spezza gli equilibri di marginalità su cui il paese si è retto negli ultimi decenni. Come ci insegna la storia, le crisi hanno sempre una doppia natura: mentre distruggono, creano e, al di là dei rischi, esse offrono sempre nuove opportunità. Abbiamo chiamato “seconda repubblica” il sistema politico che ha gestito il modo in cui il nostro paese è stato dentro l’ultima fase storica. Al suo interno hanno prevalso due progetti di modernizzazione molto diversi tra loro, ma accomunati da un approccio fondamentalmente “a-cattolico” (postura che, politicamente, si è tradotta in opposte strategie di “gestione” della questione cattolica).

La storia ci dice che i risultati non sono stati propriamente brillanti, forse proprio perché quel lavoro di rilettura e reinterpretazione del paese di cui parlavo prima si è interrotto. È probabile che, nata sulle ceneri della DC, questa fase non poteva che essere così. Ma adesso, ecco riaffiorare il nodo dei cattolici, nodo che non può e non deve essere ridotto alla questione della creazione di un partito. Forse lungo la strada si porrà anche tale questione. Ma, per il momento, i cattolici sono chiamati dalla storia a dire come leggono la crisi del paese e come intendono uscirne.

Per chi ha occhi per vedere il paese reale e orecchie per sentire i suoi interpreti più originali la strada, a dire il vero, appare già sufficientemente tracciata: passare da un modello di crescita dissipativo – che non solo non ci possiamo più permettere, ma che anche ha corroso profondamente il nostro tessuto sociale e umano – ad uno più generativo, capace di “produrre valore condiviso”. Che concretamente significa: ripensamento del welfare al di là della dicotomia pubblico-privato nella prospettiva dei beni comuni e di una ricucitura di un tessuto sociale gravemente lacerato; centralità dell’impresa (con le sue molteplici forme) e della creazione di ricchezza, mediante la valorizzazione del lavoro, della educazione, della ricerca; riconoscimento della vita e della famiglia dal punto di vista culturale, fiscale e sociale; europeismo vigoroso secondo una visione poliarchica e sussidiaria della forme istituzionali. Nella prospettiva di una rilettura profonda del paese che i cattolici ritengono di saper fare e di dover offrire, ancora una volta, all’Italia e ai suoi figli.

*preside di sociologia all’Università Cattolicadi Milano

di  MAURO MAGATTI Corriere della sera 6/7/12

“Lascia perdere chi ti porta a mala strada” documentario su Don Puglisi

Martedì 3 luglio Rai1 trasmette un documentario con testimonianze inedite – tra cui quella del killer – su don Pino Puglisi, per il quale Be­nedetto XVI ha approvato il 28 giugno il decreto di riconoscimento del marti­rio in odio alla fede.

Un martire che parla in tv, che con pacatezza e fermezza chiede la scuola per il quartiere, s’indigna perché ci sono adolescenti che non sanno nemmeno mettere la firma e nel rione Brancaccio mancano i servizi es­senziali.
Fa un certo effetto sentir parlare don Pino Puglisi con la sua voce, in un video dei primi anni ’90. Lui, così allergico ai riflettori, lavorava nel silenzio del quo­tidiano, in una parrocchia di periferia, dove «in appena tre anni di attività ha innescato una rivoluzione culturale» ri­corda il cardinale Paolo Romeo, arcive­scovo di Palermo. Per questo è stato uc­ciso, racconta con un passamontagna sul viso Salvatore Grigoli, il killer reo­confesso del parroco di San Gaetano, ucciso a Brancaccio il 15 settembre 1993 e prossimo alla beatificazione.

La vitti­ma e il carnefice parlano con la loro vo­ce nel documentario Lascia perdere chi ti porta a mala strada , firmato dai regi­sti Pino Nano e Filippo Di Giacomo, che sarà trasmesso oggi su Rai1 alle 23.10 e che è stato presentato ieri a Palazzo del­le Aquile dal sindaco Leoluca Orlando, dal cardinale Romeo, dal suo ausiliare monsignor Carmelo Cuttitta, dal pro­curatore generale di Catanzaro, il pa­lermitano Santi Consolo, da Marco Si­meon, responsabile di Rai Vaticano, e A­lessandro Casarin, direttore della Tgr.
Una presentazione che cade proprio nell’anniversario di ordinazione sacer­dotale di don Puglisi, per il quale Be­nedetto XVI ha approvato il 28 giugno il decreto di riconoscimento del marti­rio in odio alla fede.

Filmati di reperto­rio, foto di famiglia, immagini girate da parrocchiani, testimonianze inedite, partendo dal lungo racconto che fa di quella sera l’assassino. Tra le testimo­nianze che lo speciale ripropone, quella di uno dei fratelli di don Pi­no, Francesco Puglisi («anche se lo faranno santo…a me manca da vent’anni il mio dolce fratello…») e di suor Carolina Iavazzo, braccio destro del sacerdote per tre anni. E ancora il filosofo Massimo Caccia­ri, il postulatore della causa di bea­tificazione, monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanza­ro, che definisce l’impegno pastorale e umano di padre Puglisi «un monu­mento alla libertà». Uno speciale che il sindaco Orlando si impegna a diffondere nelle scuole pa­lermitane «perché possa raggiungere il maggior numero di persone. Ricorda­re don Pino Puglisi è un invito a guar­dare oltre le apparenze e a cogliere la meravigliosa normalità di un martire».

Avvenire, martedì 3 luglio 2012

Selezione Nazionale. Progetti di formazione diocesana per catechisti

Anno pastorale 2013 – Anno della Fede

Presentazione del Regolamento

L’Ufficio Catechistico Nazionale (UCN) della CEI e in collaborazione con il Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica (SPSE) della CEI, indice una Selezione Nazionale di Progetti di Formazione Diocesana per Catechisti.

Alla luce degli orientamenti pastorali 2010-2020 dell’Episcopato Italiano Educare alla vita buona del Vangelo, annunciare Cristo significa portare a pienezza l’umanità e quindi seminare cultura e civiltà.

Non c’è nulla, nella nostra azione, che non abbia una significativa valenza educativa. Così anche i temi legati al sostegno economico alla Chiesa possono affiancarsi a pieno titolo a tutti gli altri aspetti pastorali che concorrono ad educare alla vita buona del Vangelo.

Perciò il titolo della selezione è “Non di solo pane. Formazione catechistica, corresponsabilità economica e partecipazione dei fedeli alla vita della Chiesa”.

La selezione coinvolge gli Uffici Catechistici Diocesani (UCD) nella formazione dei catechisti e tra gli obiettivi si pone anche quello di valorizzare il precetto di “sovvenire alle necessità della Chiesa”, diffondendo i valori alla base del suo sostegno economico ed educando i fedeli ad una loro effettiva corresponsabilità e partecipazione alla vita della Chiesa.

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Per una testimonianza pubblica della fede

La nuova evangelizzazione al centro del 40° incontro dei segretari generali delle conferenze episcopali

Edimburgo, Scozia, 29 giugno – 2 luglio 2012

 

Prosegue la riflessione dei segretari generali delle Conferenze episcopali in Europa sul tema della “nuova” evangelizzazione. Al centro del loro 40° incontro che si svolgerà quest’anno presso il Dynamic Earth di Edimburgo, i segretari generali rifletteranno sulla testimonianza della fede nel mondo della politica, della cultura, nella legge e nell’opinione pubblica.  Gli altri temi dell’agenda dei segretari generali prevedono discussioni su: i sistemi di finanziamento della Chiesa; l’ecumenismo in Europa e la traduzione dei testi liturgici della Chiesa cattolica.

Ad aprire i lavori nei locali del Dynamic Earth di Edimburgo (Holyrood Road, Edimburgo, EH8 8AU) del quarantesimo incontro dei segretari generali delle Conferenze episcopali d’Europa, sarà il cardinale Keith Patrick O’Brien, arcivescovo di St. Andrews ed Edimburgo, presidente della Conferenza episcopale scozzese.

L’anno scorso, a Vilnius, i segretari generali avevano riflettuto su alcuni aspetti specifici della nuova evangelizzazione quali: il rapporto cultura e qualità della fede; la vita spirituale e l’appartenenza ecclesiale; e, infine, strutture e carismi della Chiesa (vedi comunicato 22/06/2011). Quest’anno, a pochi mesi dall’apertura del Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione convocato da Papa Benedetto XVI e in agenda per l’ottobre 2012 in Vaticano, la questione della testimonianza pubblica della fede nella società europea sarà affrontata attorno ai temi della politica, della cultura, delle leggi e dell’opinione pubblica. La riflessione sarà articolata su tre livelli: il livello nazionale, quello della Scozia, sarà affidato al professore John Haldane, direttore del Centro di Etica, Filosofia e Attualità dell’Università di St. Andrews (Scozia); il livello europeo, da mons. Piotr Marzurkiewicz, segretario generale della ComECE (Commissione degli Episcopati della Comunità Europea) e da mons. Aldo Giordano, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo; e infine, con una testimonianza d’oltreoceano, quella di mons. Ronnie Jenkins, segretario generale della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti, che presenterà la situazione americana.

Nei giorni successivi, i segretari focalizzeranno la loro attenzione sui temi del finanziamento della Chiesa in Europa, dell’ecumenismo e della traduzione di alcuni testi liturgici della Chiesa cattolica.

I risultati di un’indagine condotta presso le Conferenze episcopali sui vari sistemi di finanziamento delle Chiese in Europa saranno presentati da dr Erwin Tanner, segretario generale della Conferenza episcopale svizzera.

La situazione ecumenica in Scozia e in Europa sarà affidata invece a fr. Stephen Smyth, segretario generale dell’ACTS (Action of Churches Together in Scotland) e al canonico della Chiesa Episcopale di Scozia, Bob  Fyffe, segretario generale del CTBI (Churches Together in Britain and Ireland).

Infine, il tema della traduzione del messale e del lezionario sarà affrontato da Mons. Bruce Harbert, già direttore esecutivo del Comitato Internazionale sull’Inglese nella Liturgia (ICEL).

Prenderanno parte all’incontro anche mons. Antonio Mennini, nunzio apostolico in Gran Bretagna, mons Mario Conti, arcivescovo di Glaskow e mons. Peter Moran, vescovo emerito di Aberdeen.

I lavori saranno scanditi da momenti di preghiera e dalla celebrazione quotidiana dell’eucarestia. Domenica 1 luglio, i segretari celebreranno insieme al cardinale Keith O’Brien, la Santa Messa nella cattedrale di Edimburgo alle ore 13.15.

Si allega il programma dell’incontro e la lista dei partecipanti. I lavori sono a porte chiuse, ad eccezione della sessione di apertura, venerdì 29 giugno 2012 alle ore 20.30 presso il Dynamic Earth. Un comunicato finale sarà rilasciato al termine dell’incontro.

Una conferenza stampa si svolgerà lunedì 2 luglio alle ore 11.00 a Edimburgo presso il Macdonald Holyrood Hotel – 81, Holyrood Road, Edinburgh, EH8 8AU

L’incontro promosso dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) si svolge a Edimburgo su invito del segretario generale della Conferenza episcopale scozzese, mons. Paul Conroy e grazie all’ospitalità del cardinale Keith Patrick O’Brien, arcivescovo di St. Andrews ed Edimburgo, presidente della Conferenza episcopale scozzese.

Il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) include le attuali 33 Conferenze Episcopali Europee, rappresentate dai loro Presidenti, dagli Arcivescovi del Lussemburgo e del Principato di Monaco, dall’Arcivescovo di Cipro dei Maroniti, dal Vescovo di Chişinău (Rep. Moldova) e dal Vescovo eparchiale di Mukachevo. L’attuale presidente è il Cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Esztergom-Budapest, Primate d’Ungheria, i Vicepresidenti sono il Cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova, e Mons. Józef Michalik, Arcivescovo di Przemyśl, Polonia. Il Segretario Generale del CCEE è Mons. Duarte da Cunha. Il Segretariato ha sede a San Gallo (Svizzera). www.ccee.ch

Messaggio per la 7° Giornata per la salvaguardia del creato

Messaggio della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) per la 7ª Giornata per la salvaguardia del creato, in programma il 1 settembre prossimo. Il documento, che è stato diffuso oggi, porta le firme della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, e della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo.

“Educare alla custodia del creato per sanare le ferite della terra”

1. La Giornata per la salvaguardia del creato: lode e riconciliazione

Celebrare la Giornata per la salvaguardia del creato significa, in primo luogo, rendere grazie al Creatore, al Dio Trino che dona ai suoi figli di vivere su una terra feconda e meravigliosa.

La nostra celebrazione non può, però, dimenticare le ferite di cui soffre la nostra terra, che possono essere guarite solo da coscienze animate dalla giustizia e da mani solidali. Guarire è voce del verbo amare, e chi desidera guarire sente che quel gesto ha in sé una valenza che lo vorrebbe perenne, come perenne e fedele è l’Amore che sgorga dal cuore di Dio e si manifesta nella bellezza nel creato, a noi affidato come dono e responsabilità. Con esso, proprio perché gratuitamente donato, è necessario anche riconciliarsi quando ci accorgiamo di averlo violato.

La riconciliazione parte da un cuore che riconosce innanzi tutto le proprie ferite e vuole sanarle, con la grazia del Signore, nella conversione e nel gesto gratuito della confessione sacramentale. Quindi si fa anche riconciliazione con il creato, perché il mondo in cui viviamo porta segni strazianti di peccato e di male causati anche dalle nostre mani, chiamate ora a ricostituire mediante gesti efficaci un’alleanza troppe volte infranta.

Questo è lo scopo del messaggio che vi inviamo, carissimi fratelli e sorelle, come Vescovi incaricati di promuovere la pastorale nei contesti sociali e il cammino ecumenico, in un fecondo intreccio che ci vede vicini e ci impegna tutti. Nella condivisione della lode e della responsabilità per la custodia del creato, il mese di settembre sta diventando per tutte le Confessioni cristiane una rinnovata occasione di grazia e di purificazione. Anche di questo rendiamo grazie al Signore.

La nostra riflessione raccoglie le tante sofferenze sperimentate, in questo anno, da numerose comunità, segnate da eventi luttuosi. Pensiamo alle immense ferite inflitte dal terremoto nella Pianura Padana. Mentre riconosciamo la nostra fragilità, cogliamo anche la forza della nostra gente, nel voler ad ogni costo rinascere dalle macerie e ricostruire con nuovi criteri di sicurezza. Pensiamo alle alluvioni che hanno recato lutti e distruzioni a Genova, nelle Cinque Terre, in Lunigiana e in vaste zone del Messinese. Nel pianto di tutti questi fratelli e sorelle sentiamo il lutto della terra, cui la stessa Sacra Scrittura fa riferimento, e che coinvolge tristemente anche gli animali selvatici, gli uccelli del cielo e i pesci del mare (cfr Os 4,3). È significativo, in proposito, che il 9 ottobre sia stato dichiarato dallo Stato italiano “Giornata in memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall’incuria dell’uomo”.

2. Una storia di guarigione e responsabilità

La guarigione nasce da un cuore che ama, che si fa vicino all’altro per essere insieme liberati nella verità e condividere la vita. È la logica dell’educazione alla “vita buona del Vangelo” che le nostre Chiese stanno percorrendo in questo decennio.

Ce lo ricorda anche la storia biblica di Giuseppe (cfr Gen 37-49), venduto dai fratelli per rivalità e gelosia. La sua vicenda contiene un concreto itinerario di guarigione da parte di Dio delle ferite, sia quelle del cuore che quelle della terra. Giuseppe è gettato nel pozzo, gridando la sua innocenza, ma non è ascoltato dai fratelli. A prestare ascolto al suo gemito sarà Dio stesso, che ha cuore di padre. Giuseppe diventerà il viceré d’Egitto, attuando una intelligente politica agraria. Nella precarietà della crisi che si abbatte sul paese, resa visibile dalle vacche magre e dalle spighe vuote, immagini di forte suggestione anche per il momento attuale, la relazione del popolo con la terra sarà sanata proprio grazie alla lungimiranza e alla responsabilità per il bene comune dimostrata da Giuseppe, figura emblematica della Sapienza donata da Dio a Israele.

Egli, inoltre, pensa in termini di riconciliazione e non di vendetta quando si vede davanti i suoi fratelli, che lo hanno tradito e venduto. Se li mette alla prova con severità, è per cogliere l’autenticità del legame che li unisce al padre Giacobbe, verificando così la radice di ogni guarigione, interiore ed esteriore. Dopo aver constatato che il padre resta il premuroso e insostituibile punto di riferimento, egli rivela la sua identità, in un pianto liberatorio che diviene accoglienza fraterna e futuro di benessere in una terra e in un cuore riconciliati in saggezza e verità. Giuseppe stesso esce trasformato da questo perdono: egli diviene consapevole dell’agire misericordioso di Dio verso gli uomini.

Quello di Giuseppe, dunque, è l’itinerario biblico che proponiamo, perché possa essere di luce e di speranza, durante questo faticoso ma liberante cammino di benedizione.

3. Educare all’alleanza tra l’uomo e la terra

A noi, come Chiese in Italia, in sintonia con tante Chiese nel mondo, spetta proprio questo compito: riportare il cuore della nostra gente dentro il cuore stesso di Dio, Padre di tutti, che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45). Solo se diventerà primaria la coscienza di una universale fraternità, potremo edificare un mondo in cui condividere le risorse della terra e tutelarne le ricchezze. Ciò si accompagna alla comprensione che la creazione ci è donata da Dio, che essa stessa si fa percorso verso Dio e ci fa sperimentare il dialogo tra di noi nella verità, come fratelli che hanno riconosciuto la paternità gratuita di Dio.

Si legge, infatti, nel messaggio scaturito dall’ultimo Forum Europeo Cattolico-Ortodosso, tenutosi a Lisbona nello scorso giugno: «Non è più possibile dilapidare le risorse del creato, inquinare l’ambiente in cui viviamo come stiamo facendo. La vocazione dell’uomo è di essere il custode e non il predatore del creato. Oggi si deve essere consapevoli del debito che abbiamo verso le generazioni future alle quali non dobbiamo trasmettere un ambiente degradato e invivibile» (n. 11).

È nella Bibbia che incontriamo la grande prospettiva dell’alleanza tra Dio e la sua creazione, in una reciprocità da riconoscere davanti a luoghi dove la bellezza esteriore si è fatta segno di una bellezza interiore – pensiamo, ad esempio, ai tanti siti dove i monaci custodiscono il creato – ma anche davanti ai tristi scempi dell’ambiente naturale, provocati dal peccato degli uomini, evidente soprattutto nelle azioni della criminalità mafiosa.

Tra ecologia del cuore ed ecologia del creato vi è infatti un nesso inscindibile, come ricorda Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate: «L’uomo interpreta e modella l’ambiente naturale mediante la cultura, la quale a sua volta viene orientata mediante la libertà responsabile, attenta ai dettami della legge morale» (n. 48). L’ambiente naturale non è una materia di cui disporre a piacimento, «ma opera mirabile del Creatore, recante in sé una “grammatica” che indica finalità e criteri per un utilizzo sapiente, non strumentale e arbitrario. Oggi molti danni allo sviluppo provengono proprio da queste concezioni distorte» (ivi), come quelle che riducono la natura a un semplice dato di fatto o, all’opposto, la considerano più importante della stessa persona umana.

Ci viene chiesto, perciò, di annunciare queste verità con crescente consapevolezza, perché da esse potrà sgorgare un concreto e fedele impegno di guarigione dell’ambiente calpestato. Si tratta di un compito che appartiene alla sollecitudine educativa delle comunità cristiane e offre l’occasione per catechesi bibliche, momenti di preghiera, attività di pastorale giovanile, incontri culturali. È  una responsabilità che appartiene anche ai docenti, in particolare agli insegnanti di religione: essa potrà essere intensivamente richiamata nel mese di settembre, dedicato in modo speciale al creato e tempo di ripresa della scuola.

Ritessere l’alleanza tra l’uomo e il creato significa anche affrontare con decisione i problemi aperti e i nodi particolarmente delicati, che mostrano quanto ampie e complesse siano le questioni legate all’intreccio tra realtà ambientale e comunità umana. Accanto all’annuncio, infatti, è necessaria anche la denuncia di ciò che viola per avidità la sacralità della vita e il dono della terra. Proprio in questi mesi è venuta all’attenzione dei media la questione dell’eternit a Casale Monferrato, con i gravi impatti sulla salute di tanti uomini e donne, che continueranno a manifestarsi ancora per parecchi anni. Un caso emblematico, che evidenzia lo stretto rapporto che intercorre tra lavoro, qualità ambientale e salute degli esseri umani. L’attenzione vigilante per tale drammatica situazione e per i suoi sviluppi deve accompagnarsi alla chiara percezione che l’amianto è solo uno dei fattori inquinanti presenti sul territorio. Vi sono anzi aree nelle quali purtroppo la gestione dei rifiuti e delle sostanze nocive sembra avvenire nel più totale spregio della legalità, avvelenando la terra, l’aria e le falde acquifere e ponendo una grave ipoteca sulla vita di chi oggi vi abita e delle future generazioni.

Mentre esprimiamo una volta di più quella solidarietà partecipe, che si è già manifestata in numerosi gesti di condivisione, desideriamo proporre una riflessione tesa a cogliere in tali accadimenti alcuni elementi che la stessa forza dell’emergenza rischia di lasciare sullo sfondo, impedendo di percepirne tutta la rilevanza. Occorre invece saper leggere i segni dei tempi, scoprendo – nella luce della fede – quegli inviti a riorientare responsabilmente il nostro cammino che essi portano in sé.

Annunciare la verità sull’uomo e sul creato e denunciare le gravi forme di abuso si accompagna alla messa in atto di scelte e gesti quali stili di vita intessuti di sobrietà e condivisione, un’informazione corretta e approfondita, l’educazione al gusto del bello, l’impegno nella raccolta differenziata dei rifiuti, contro gli incendi devastatori e nell’apprendistato della custodia del creato, anche come occasioni di nuova occupazione giovanile.

4. Per una Chiesa custode della terra

Vivere il territorio come un bene comune è un’esigenza di vasta portata, che richiama anche le comunità ecclesiali a una presenza vigilante. Il territorio, infatti, è davvero tale quando abitato da un soggetto comunitario che se ne prenda realmente cura e la presenza capillare del tessuto ecclesiale deve esprimere anche un impegno in tal senso. Abbiamo bisogno di una pastorale che ci faccia recuperare il senso del “noi” nella sua relazione alla terra, in una saggia azione educativa, secondo le prospettive degli Orientamenti pastorali Educare alla vita buona del Vangelo. Prendersi cura del territorio, del resto, significa anche permettere che esso continui a produrre il pane e il vino per nutrire ogni uomo e che ogni domenica offriamo come “frutti della terra e del nostro lavoro” a Dio, Padre e Creatore, perché diventino per noi il Corpo e il Sangue del Suo amatissimo Figlio.

Per questo invitiamo con forza a tornare a riflettere sul nostro legame con la terra e, in particolare, sul rapporto che le comunità umane intrattengono col territorio in cui sono radicate. Si tratta di una realtà complessa e ricca di significati, che spesso rimanda a storie di relazioni e di crescita comune, in cui la città degli uomini e delle donne rivela il suo profondo inserimento in un luogo e in un ambiente. Il territorio è sempre una realtà naturale, con una dimensione biologica ed ecologica, ma è anche inscindibilmente cultura, bellezza, radicamento comunitario, incontro di volti: una densa realtà antropologica, in cui prende corpo anche il vissuto di fede.

I santi ci insegnano con chiarezza la strada da seguire, come san Bernardino da Siena, che mentre poneva al vertice della sua opera pastorale il nome di Gesù, davanti al quale tutti i ginocchi si piegano in adorazione, si adoperava per rafforzare i Monti di pietà e i Monti frumentari, segni di una rinascita che dà al denaro il giusto valore, diventando anche precursore di quella “economia di fiducia” che sola può guarire le ferite della nostra crisi, causata da avidità e insipienza.

Le stesse mani dell’uomo, sostenute e guidate dalla forza dello Spirito, potranno così guarire e risanare, in piena riconciliazione, il creato ferito, a noi affidato dalle mani paterne di Dio, guardando con responsabilità educativa alle generazioni future, verso cui siamo debitori di parole di verità e opere di pace.

Roma, 24 giugno 2012